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Gay ripiegati su se stessi


VolereVolare

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Thomas Mann va in vacanza a Venezia  si infatua

di un tredicenne nobile polacco e ci scrive sopra un

racconto...ne scrive ad un amico, della storia parla

pure la moglie e questi due fatti sono pure pubblicati

su wikipedia

 

Ad abundantiam altri omosessuali dalla stessa vicenda tirano fuori

film e melodrammi musicali, cioè si fanno ispirare dal racconto

 

E Schopy ha difficoltà a comprendere cosa vi sia di omosessuale

nel racconto che ha letto?

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No, non ho difficoltà a comprendere cosa vi sia di omosessuale in Morte a Venezia...!

Le mie reticenze riguardano il fatto che quella venga bollata come "letteratura gay"...non riesco a pensare al "racconto gay" come ad un genere letterario al pari del "giallo" o del "romanzo storico"....sarà che sono il tipo di gay ripiegato su sé stesso.

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Non voglio intromettermi chiedo scusa, ma è per capire.

Ok, sono bisessuali/gay che parlano di bisessuali/gay. La tematica è chiara. Il contagio ad altri artisti, lo accettiamo.

 

La cultura gay, quindi l'impronta artistica peculiare, il contesto socioculturale specifico, il legame oltre la tematica in se, la "scuola" o gli elementi tipici di quel contesto culturale non trovabili altrove, quelli si vedono di meno.

 

Dove finisce la tematica gay, qui trattata in maniera fantastica, bellissima, intensa, nella maniera tipica di quella "cultura tardo romantica" trasversale dei paesi dell' Impero Tedesco, e dove inizia la cultura gay in uno splendido racconto di una infatuazione di un uomo per un altro uomo? Il racconto è sicuramente "intriso" del conflitto fra l'omosessualità e la difficoltà di viverla in un contesto ostile. Ma ancora, è tematica questa. Non so, non sono convinto. Probabilmente mi manca un livello di comprensione.

 

Faccio un esempio parallelo: il romanzo "il buio e il miele" di Arpino (che non ho letto ma mi è stato raccontato), che ha ispirato i film "profumo di donna" che ho visto in entrambe le versioni, anche se ricordo bene solo la versione con Al Pacino. Il libro parla di una menomazione, la cecità. Ne parla nel senso profondo della solitudine, della menomazione, del difficile rapporto sociale che si instaura, nell'adattamento della vita di un cieco. Il libro, e il film "trasudano" di cecita, di disagio, di orgoglio triste, di una battaglia che si sente comunque persa in un mondo che non è adatto a chi non vede. La cecità è una tematica, una via con la quale l'autore ci porta a conoscere un mondo differente, un approccio differente all'Italia del dopoguerra.

 

Non voglio essere offensivo per nessuno, ne a tutti i costi affermativo, non so con quali altre parole posso fermare il vostro istinto del "muro contro muro" quindi cercate con comprensione, se volete, di venirmi dietro nel discorso. Facendo una comparazione fra i due racconti, mi sembra in entrambi di cogliere una forte tematica, molto intensa e molto personale.

Credo che un cieco che legga (o audiolegga), il racconto, ne troverà sicuramente un eco e una vicinanza molto forte, non per forza positivamente, ma anche in senso critico. Probabilmente ne verrà in qualche modo sollecitato e ne troverà delle chiavi in più rispetto a un normovedente, perchè vivendone la problematica in prima persona comprende molto di più la questione.

Il racconto ha ispirato molte altre opere: due film e gli stessi film hanno causato poi una serie di dibattiti, produzioni artistiche di vario tipo: dalla fotografia a performance teatrali. Probabilmente Arpino si è ispirato ad altre fonti, per il suo racconto, anche solo vedendo chi sono i protagonisti: militari, quindi con tutto un eco a quella situazione di dopoguerra, di una umanità malconcia e ferita che dopo essere stata obbligata dagli eventi a diventare dis-umana, torna alla propria umanità della vita quotidiana portandosi le sue cicatrici, a volte interiori, a volte esteriori.

 

Si può parlare però di una cultura specifica del "disagio visivo"? possiamo dire che il buio e il miele è un capisaldo della cultura "cieca"? non credo. E non vedo come, in parallelo, per ragioni simili, si possa indicare nel racconto di Thomas Mann, una espressione di una cultura gay.
 

Edited by korio
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@korio, chiedi se esista una "letteratura non vedente"? La risposta è no.

Se invece la domanda è "Potrebbe esistere una letteratura non vedente"? La risposta è senz'altro sì.

Perché esista ci aspettiamo che alcune condizioni vengano rispettate.

 

In primo luogo ci immagineremo che tale produzione artistica provenga dai non-vedenti,

perché non basta essere l'Oggetto di un'opera, è necessario anche esserne il Soggetto.

Una Cultura della Cecità non può farsi solo raccontare da altri, deve riuscire a raccontarsi da sé.

 

In secondo luogo deve essere consistente al suo interno.

Il non-vedente deve leggere altri autori non-vedenti, riconoscersi in quei temi,

riproporli nelle sue varianti personali o contestarli, assimilarli e discuterli.

Non basta mettere in fila dieci libri scritti da ciechi e dire "E' una cultura".

E' necessario che ciascun autore conosca - se non tutte - molte delle altre nove opere.

 

In terzo luogo è necessario che lo stile di detta cultura

sia talmente tanto fortemente connotato da sussistere autonomamente

anche spogliato da ogni riferimento biografico o tematico.

Al punto che ogni cieco dica "com'è cieca quest'opera!"

solo perché ne riproduce le stesse passioni e frustrazioni che i non vedenti conoscono bene

anche se il protagonista dell'opera ci vede benissimo.

Fino alla conseguenza che un vedente possa essere una "icona cieca"

perché ne incarna lo spirito pur in assenza di deficit alla vista. 

 

Queste tre caratteristiche impediscono che oggi 

si possa parlare di una letteratura legata alla comunità dei non-vedenti:

di fatto perché non è questa comunità a produrla,

perché gli autori ciechi ancora non discutono delle loro opere

e perché non riconoscono come "cieco" qualche stilema o icona.

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Ma forse l'incomunioabilità tra le due fazioni (chi sostiene e chi non sostiene l'esistenza di una "cultura gay") è anche una questione terminologica. Perché oggi ci si definisce gay anziché omosessuali o checche?

Perché nel termine gay c'è la connotazione dell'emancipazione, della soggettualità in una società eteronormativa, del biopotere etc.

Naturalmente, visto questo presupposto, mi aspetterei che una letteratura gay sia una letteratura di impegno politico, o come minimo "organica" (in senso gramsciano) alla causa gay.

Probabilmente sarebbe una pessima letteratura, però sarebbe più accettabile definirla letteratura gay

- in realtà esiste la queer theory, ma è filosofia, e non ho difficoltà a riconoscere in essa l'unico e autentico statuto culturale acquistato dal mondo lgbtq.

Ma in ambito letterario puro, per esempio, io, come tanti altri, questa cultura gay non la vediamo. Vediamo delle tematiche omosessuali. In qualcuna delle numerose opere che sono state citate, si parla di "identità gay", da qualche parte? Di che cosa significa essere gay, dopo Stonewall?

Il discorso potrebbe cambiare se volgiamo la nostra attenzione a media più attuali, come la televisione e il cinema o anche la musica, e la pop art (che ritengo, in effetti, un vero e proprio mezzo di comunicazione di massa, meno che arte). Qui forse possiamo intravvedere in forma autorale l'autocoscienza di un'identità gay. Qui possiamo vedere degli stilemi glbtq, come il camp.

Io, come queer, posso riconoscere una cultura queer anche in ambito letterario, grazie a Burroughs. Ma non mi sognerei mai di iscrivere Burroughs nel registro della cultura gay, perché c'è una distanza abissale fra i suoi ragazzi selvaggi e - che so - i protagonisti di "Queer" (serie televisiva inglese e americana).

Questo non semplicemente perché i protagonisti delle opere di Burroughs non sono edipizzati, a differenza dei protagonisti di "Queer" - sia chiaro. Basta leggere "Queer" di Burroughs per rendersene conto.

Anche se la traduzione (erronea)in italiano del titolo con "Checca" è molto fuorviante, e lascerebbe presumere il contrario...

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@Almadel la tua posizione è interessante, ma tuttavia incorretta a mio parere.

 

Non credo basti dire  beh, la comunità dei ciechi non è organizzata quindi non ha fatto richiesta ufficiale dell'etichetta "cultura cieca"

 

Nel tuo primo elenco di caratteristiche:


In primo luogo ci immagineremo che tale produzione artistica provenga dai non-vedenti,

perché non basta essere l'Oggetto di un'opera, è necessario anche esserne il Soggetto.

Una Cultura della Cecità non può farsi solo raccontare da altri, deve riuscire a raccontarsi da sé.

 

Non è necessario essere ciechi per fare una fotografia artistica sulla cecità, che rientri perfettamente all'interno di una potenziale "cultura cieca".

In realtà perchè un'opera sia parte della cultura, deve parlare indipendentemente dall'autore. Non è necessario infatti che Picasso abbia un occhio sulla natica perchè le sue opere siano importanti.

Nel caso ristretto della letteratura, con cui ci stiamo cimentando, a maggior ragione non è importante che l'autore "sia" ma che "racconti". Io non so se Arpino era cieco o no, quando ha scritto il testo. La forza dello scritto è che "non ne ha importanza". Così, se ci fosse una potenziale "cultura gay" le sue opere letterarie sarebbero indipendenti da chi le scrive, come dici dopo tu al terzo punto, rimangano intatte anche togliendo un aspetto biografico.

 

 

 In secondo luogo deve essere consistente al suo interno.

Il non-vedente deve leggere altri autori non-vedenti, riconoscersi in quei temi,

riproporli nelle sue varianti personali o contestarli, assimilarli e discuterli.

Non basta mettere in fila dieci libri scritti da ciechi e dire "E' una cultura".

E' necessario che ciascun autore conosca - se non tutte - molte delle altre nove opere.

 

Questo non è vero. In una cultura non c'è necessità di conoscere tutti gli autori precedenti e dimostrarlo. Sempre in pittura Ligabue non conosceva nulla degli autori precedenti, eppure fa parte a pieno titolo di una scuola pittorica.

Nella scrittura del passato, era facile che non ci fosse un accesso alle produzioni degli altri e che quindi non si conoscesse tutta l'opera di altri autori. 

Ma in generale, comunque, se è normale che ci sia una contaminazione fra autori, chi ti ha detto che Arpino non conosca o non si sia studiato tutte le opere di autori non vedenti prima di lui? E che fai, leggi un libro e poi giudichi se è "cultura gay" dopo una attenta ricostruzione dell'autore? Non credo. Un' opera parla da se, è un prodotto indipendente altrimenti non sarebbe un'opera.

 

E in questo pezzo dici una cosa importante:

 

 

 In terzo luogo è necessario che lo stile di detta cultura

sia talmente tanto fortemente connotato da sussistere autonomamente

anche spogliato da ogni riferimento biografico o tematico.

 

In che modo l'opera di Mann sarebbe gay, se andiamo a togliere il riferimento al tredicenne amore maschile? Se andiamo a togliere la sua storia biografica?

In realtà non ne rimarrebbe nulla.

 

A me il dubbio rimane. Ma sto cercando in giro.

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Non è necessario essere ciechi per fare una fotografia artistica sulla cecità, che rientri perfettamente all'interno di una potenziale "cultura cieca".
In realtà perchè un'opera sia parte della cultura, deve parlare indipendentemente dall'autore. Non è necessario infatti che Picasso abbia un occhio sulla natica perchè le sue opere siano importanti.
Nel caso ristretto della letteratura, con cui ci stiamo cimentando, a maggior ragione non è importante che l'autore "sia" ma che "racconti". Io non so se Arpino era cieco o no, quando ha scritto il testo. La forza dello scritto è che "non ne ha importanza". Così, se ci fosse una potenziale "cultura gay" le sue opere letterarie sarebbero indipendenti da chi le scrive, come dici dopo tu al terzo punto, rimangano intatte anche togliendo un aspetto biografico.

 

No, è anche necessario che lo sia.

Non basta che Goethe scriva "Viaggio in Italia"

per entrare a far parte della letteratura italiana.

Anzi "Il Milione" di Marco Polo pur raccontando della Cina

è molto più "italiano" di Goethe. 

 

 

 


Questo non è vero. In una cultura non c'è necessità di conoscere tutti gli autori precedenti e dimostrarlo. Sempre in pittura Ligabue non conosceva nulla degli autori precedenti, eppure fa parte a pieno titolo di una scuola pittorica.
Nella scrittura del passato, era facile che non ci fosse un accesso alle produzioni degli altri e che quindi non si conoscesse tutta l'opera di altri autori. 
Ma in generale, comunque, se è normale che ci sia una contaminazione fra autori, chi ti ha detto che Arpino non conosca o non si sia studiato tutte le opere di autori non vedenti prima di lui? E che fai, leggi un libro e poi giudichi se è "cultura gay" dopo una attenta ricostruzione dell'autore? Non credo. Un' opera parla da se, è un prodotto indipendente altrimenti non sarebbe un'opera.

 

Sì, è necessario.

Non si può essere un "poeta maledetto" (sottocultura francese del Decandentismo)

senza essere Francese (vedi punto uno) e senza aver letto quantomeno Baudelaire,

senza chiamare Verlaine "principe dei poeti" e senza venire citato da Mallarmné

nell'opera "Les Poetes Maudits". 

Puoi non conoscere le opere precedenti a patto che i tuoi successori conoscano le tue.

E' questo a creare una "scuola" (sfortunatamente su Wikipedia non mi dicono esplicitamente

che Ligabue appartiene ai "Naif", quindi benché riconoscibile - punto tre - trovo la mia tesi confermata)

 

 

 


In che modo l'opera di Mann sarebbe gay, se andiamo a togliere il riferimento al tredicenne amore maschile? Se andiamo a togliere la sua storia biografica?
In realtà non ne rimarrebbe nulla.

 

Renditi conto - per adesso - che è come chiedersi cosa ci sia di fantasy

nel Ciclo di Shannara se mi togli il riferimento agli elfi :)

Dovremmo prendere due libri che trattino di pederastia

un altro gay "L'Immoralista" di Gide e uno etero "Lolita" di Nabokov

ed esaminare in cosa Mann sia più simile al francese che al russo.

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@akinori curioso che ora tu dica più volte che la traduzione del titolo del libro 'Queer' con 'Checca' è erronea, quando tu stesso l'hai usata per pagine in un altro topic, fino a quando io ti ho fatto notare che è una cosa che oggi non fa più nessuno, e che l'avevo vista in uso solo per il libro di Burroughs
ma tu ovviamente mi desti contro dicendo che ero io che non sapevo cogliere
ora invece mi è venuto il dubbio che tu Burroughs non lo conoscessi proprio

tra l'altro la serie (meravigliosa) si chiama 'Queer as folk', sia quella usa che quella uk
...a parte questo ultimamente mi trovo a saltare quasi tutti i tuoi post

ti consiglierei di rivedere drasticamente le tue modalità di comunicazione, ma dubito che tu possa accettare un consiglio
 

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In che modo l'opera di Mann sarebbe gay, se andiamo a togliere il riferimento al tredicenne amore maschile? Se andiamo a togliere la sua storia biografica?

In realtà non ne rimarrebbe nulla.

 

Questa è esattamente la forma mentis censoria che gli eterosessuali applicano

alla lettura di un libro gay, perchè la applicano all'omosessualità in generale. Se

non ne esci anche in via ipotetica non puoi capire....

 

Si identificano delle caratteristiche, le si isolano e le si estraggono dalle persone

o dalle opere - se applichiamo la forma mentis all'interpretazione di un'opera-  in

modo da tenerle ben separate e distinte.

 

E' una storia di amore e morte omosessuale, si toglie omosessuale e rimane una

storiella "decadente" quindi Morte a Venezia sta nel "decadentismo" e nell'estetismo

"borghese" ( solo un approccio estetizzante-estenuato dell'autore può giustificare come

Tadzio viene descritto etc. )

 

Però Thomas Mann non era quel tipo di scrittore....lo diventa solo in questa opera che

parla di pederastia e amore e morte. Il risultato è che tolta l'omosessualità lo stile di

Morte a Venezia non si capisce, nè si giustifica nel quadro dell'opera complessiva dell'Autore.

 

Thomas Mann si è divertito a fare il decadente estetizzante...oppure non sarà il fatto

che l'omosessualità può spiegare tante cose di questo racconto? A partire dal gioco

di mistificazione e demistificazione che Mann ingaggia col suo protagonista, cioè con

se stesso, essendo il suo alter ego etc

 

PS con il riferimento ai non vedenti, secondo me tu esprimi la paura che se esiste una cultura

 gay, esiste qualcosa che potrebbe indicare l'esistenza di una minorazione della persona...non

voglio cavalcare  0questo argomento perchè non voglio il muro contro muro. ma il fatto che siamo

una minoranza non  significa che siamo minorati, soltanto che siamo di meno. 

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Ma non diciamo cazzate Hinzelmann. Ho fatto milioni di premesse proprio per evitare questa associazione. Quanto sei disgustoso con questa tua illazione. E allora divento cattivo anche io.

 

Guardiamo la realtà: io vivo la mia omosessualità, anzi bisessualità alla luce del sole nella normalità della mia vita quotidiana. Per me essere gay o etero non fa differenza, certamente devo tutelarmi da quel minimo di ignoranza umana che ancora crea problemi, ma essendo una piccola nicchia nella mia quotidianità non faccio fatica. Non ho bisogno di portare nessun distintivo con me. Se ho un ragazzo vado in giro con il mio ragazzo e se ho una ragazza vado in giro con la mia ragazza e mi comporto esattamente alla stessa maniera in entrambi i casi. Ora che sono single, faccio le avances sia con i maschietti che con le femminucce, sempre nel rispetto di una riservatezza che la mia educazione mi impone, sia nel trattare maschietti che nel trattare femminucce.

 

Tu richiedi che ci sia tutta una "differenza" e "distanza" dal mondo "eterosessuale", e questa distanza la stigmatizzi con cultura gay, comunità gay, ghetto gay, amicizie solo gay. etc etc.

Hai quasi solo amicizie gay, frequenti solo locali gay, a ogni persona che incontri ti curi di dire che sei gay, quando non basta il tuo comportamento da gay mainstream. 

Guardi gli etero a distanza, per te ogni produzione gay ha una importanza fondamentale e ti curi quasi esclusivamente di letteratura e arte e musica gay-connessa.

Chi è che sta facendo omofobia interiorizzata dei due? Chi la vive come un disagio e una situazione di inferiorità? Chi si ritiene "diversamente etero" dei due?

 

Chi è dei due che si è ripiegato sul gay? Ecco perchè a te da fastidio molto la mia presenza qui e quello che dico. A te da fastidio perchè non concepisci che si possa essere omosessuale senza essere "gay", senza cioè doversi stringere all'interno di un piccolo mondo stretto che ti lamenti la società ha preparato per te, ma che in realtà ti sei scavato con le tue stesse mani.

 

Ma questa distanza ci sta. Solo accettala. Io rappresento tutto quel mondo omosessuale, anzi, bisessuale, che se ne frega abbastanza del "giusto modo di essere gay in questo mondo così cattivo e crudele".

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Korio, sinceramente, stai prendendo sul personale un argomento che non lo è.

Penso che tu ti debba chiedere perché lo fai.

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Ecco perchè a te da fastidio molto la mia presenza qui e quello che dico.

 

Ovviamente il fatto di aver separato la mia osservazione dal resto del testo

e di aver precisato che lo facevo al fine di farti riflettere su questa associazione-paura

fra minoranza e minorati...non è servito a niente.

 

Ti ho solo invitato a riflettere sul fatto che essere quantitativamente di meno

non implica nessuna differenza qualitativa di una minoranza rispetto ad una

maggioranza....se sei d'accordo con me non sequitur

 

Fatta questa premessa - ed ignorando il fatto che tu mi hai dato del "disgustoso"

 

A me fastidio non lo dai assolutamente è dall'inizio del topic che preciso che trovo

la vostra posizione "triste", ma non mi irrita in alcun modo...evidentemente

a voi fa comodo pensare che io possa essere arrabbiato o infastidito ma non lo sono

affatto, nè tantomeno riflettere sul concetto di minoranza mi paia metta sub iudice la tua

vita privata XD

 

Resta il fatto che - secondo me - Morte a Venezia, prescindendo dall'omosessualità

dell'autore, della trama e della forma usata per trattare il tema del'amore omosessuale....proprio

non si capisce.

 

Si potranno capire ugualmente i Buddenbrook ma Morte a Venezia è impossibile.

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io sinceramente non sono dichiarata perché mia madre non lo venga a sapere una volta che sarò indipendente allora si può fare..

E sinceramente  dell'opinione della gente omofoba non me ne frega niente! quindi mi frega di una parte dei rimanenti, e a questo punto se non sono omofobi non c'è niente da nascondere..

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privateuniverse

Le mie reticenze riguardano il fatto che quella venga bollata come "letteratura gay"...non riesco a pensare al "racconto gay" come ad un genere letterario al pari del "giallo" o del "romanzo storico"....sarà che sono il tipo di gay ripiegato su sé stesso.

Scusa, tu hai le stesse difficolta' a riconoscere l'esistenza di un genere chiamato "romanzo rosa"?

 

Secondo me no.

 

Neanch'io ce l'ho, anche se, per me, non la ritengo ne' rilevante, ne' significativa. Pero' so che c'e'.

 

E, da almeno vent'anni, se si entra in una qualsiasi libreria, per esempio di un paese anglosassone, si trova la sezione "gay fiction".

 

Ovviamente, la nozione di cultura gay (o omosessuale, non impicchiamoci alle definizioni, @akinori) e' piu' ampia.

 

Quello che non capisco e' come mai si debb fare tanta fatica per piegare qualcosa che per me e' ovvio.

 

Per il resto, concordo completamente con quanto, in questa pagina, hanno scritto @Hinzelmann,@Al ma del e @coeranos; ma mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensa @Isher.

Edited by privateuniverse
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Ma non ho nessuna difficoltà a riconoscere che ci siano che ne so, romanzi progettati, pensati e scritti da gay per un pubblico gay con storie gay, idem per i film...ma nei post precedenti si parlava di Rimbaud, Wilde, Mann, Virginia Woolf...e si ammetterà che non è proprio la stessa cosa. 

 

Io non disconosco che da un certo punto in poi si sia costituita una fetta di mercato per gay ideata da gay...contesto semmai che si invochino come produzioni di "cultura gay" romanzi scritti quando nemmeno si sapeva esattamente cosa significasse essere gay.

Se accettiamo una definizione ampia del termine "gay", come sinonimo di orientamento omosessuale in senso lato, allora sono io che sto sbagliando su tutta la linea.

Se restringiamo il campo di significato del termine "gay", e lo connotiamo anche in senso vagamente "politico", allora mi arrogo il diritto di dire che prima di metà novecento fatico a capire come si potesse produrre cultura "gay" vista la scarsa visibilità/riconoscibilità che poteva avere la comunità "gay" del tempo...

da quel che ho capito Hinzelmann colloca questo stacco almeno 70 anni prima (parlando di date mi pare scrivesse 1870) e per Almadel vi sono, già nella poesia francese della fine del XIX secolo, sufficienti elementi che permettano di riconoscere/isolare una comunità omosessuale di autori "maledetti"....

Edited by schopy
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privateuniverse

Io non disconosco che da un certo punto in poi si sia costituita una fetta di mercato per gay ideata da gay...contesto semmai che si invochino come produzioni di "cultura gay" romanzi scritti quando nemmeno si sapeva esattamente cosa significasse essere gay.

Se accettiamo una definizione ampia del termine "gay", come sinonimo di orientamento omosessuale in senso lato, allora sono io che sto sbagliando su tutta la linea.

Se restringiamo il campo di significato del termine "gay", e lo connotiamo anche in senso vagamente "politico", allora mi arrogo il diritto di dire che prima di metà novecento fatico a capire come si potesse produrre cultura "gay" vista la scarsa visibilità/riconoscibilità che poteva avere la comunità "gay" del tempo...

da quel che ho capito Hinzelmann colloca questo stacco almeno 70 anni prima (parlando di date mi pare scrivesse 1870) e per Almadel vi sono, già nella poesia francese della fine del XIX secolo, sufficienti elementi che permettano di riconoscere/isolare una comunità omosessuale di autori "maledetti"....

Quindi, secondo te, un omosessuale degli anni Venti non poteva cogliere alcun riferimento in un film come "Andrea als die Andersen"; e chi lo realizzo' non pensava a niente in particolare.

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mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensa @Isher.

Mi pare che tu e Hinzelmann vi stiate battendo benissimo contro i negatori della cultura gay. A Schopy, che è evidentemente molto disinformato, ma questo non gli impedisce di affettare un'aria particolarmente blasé e con la puzza sotto il naso, e che dichiara di non sapere in che cosa aiuterebbe a penetrare l'opera di Luchino Visconti lo studio dell'omosessualità in essa opera, o dell'omosessualità e dell'esperienza dell'omosessualità di Visconti, consiglio di leggersi la monumentale opera che Mauro Giori sta costruendo da sette-otto anni a questa parte, e che è culminata in una recente monografia, di oltre cinquecento pagine, un'opera che è stata notata alla Sorbonne da una giovane dottoranda desiderosa di studiare Luchino Visconti e di venire a fare una tesi qui in Italia con questo studioso gay.

 

Cosa leggo in questo topic? Son sincero: parnassismo trito e ritrito e mille volte ripetuto, ma vigliaccamente nemmeno dichiarato come tale, negazionismo interessato, svalutazione aprioristica, negazione della categoria di cultura gay - è tutto negativo, è tutta una serie di negazioni.

 

Naturalmente potrei portare argomenti positivi a favore della tesi contraria. Ma avrebbe senso? Ad esempio, che Mémoires d'Hadrien o Alexis ou le Traité du vain combat, della Yourcenar, siano intrise di omosessualità, fondate su di essa, è autoevidente, come autoevidente è che sia impossibile leggerle senza conoscerne il radicamente e le forme storiche e senza confrontarsi (i tutti i sensi) profondamente con essa: ma anche leggere Dante e l'episodio di Brunetto Latini, su cui ha scritto un bel saggio Tommso Giartosio, implica un confronto con l'omosessualità e l'omosessualità fa quindi parte integrante (come in tante, tante tante opere della letteratura) del tessuto dellla Divina commedia; gli esempi potrebbero ovviamente moltiplicarsi, passando da autori gay, lesbiche, eterosessuali. Eppure una evidenza del genere non è stata neppure affermata, in questo topic, ed è necessario asserirla: ma allora il problema è dei negazionisti, e i negazionisti in realtà si terranno lontani dalla Yourcenar come da Gide, da Genet come da Fassbinder, e forse non andranno a vedere Luchino Visconti, ma, come ben dice schopy, pontificheranno volentieri su di essi.

 

Potreste uscire da questa impasse (che risulta abbastanza evidente 'dall'esterno', cioè a chi, come me, si è letto buona parte del topic, senza intervenire), cessando di parlare, cessando di credere di stare parlando, della presunta oggettività di un tema, ma accettando il fatto che in realtà state parlando della vostra implicazione verso il tema: per prima cosa, dovreste cioè capire perché categorie quali letteratura omosessuale, cultura e storia omosessuale, critica omosessuale, non so se gay Studies, forse no perché sono un settore "a parte", vi suscitino fastidio e ostilità.

 

Inutile parlare di reticenza, schopy: vai al fondo, la tua è ostilità, e tu tra pochi anni tu sarai apertamente ostile a cose per le quali invece dovresti provare passione, complesse emozioni e sulle quali dovresti fare complesse considerazioni.

 

Alcuni di voi ripetono il solito luogo comune: sono gay, ma questo è solo un aspetto della mia persona, che è molto più grande***. (Conseguentemente anche l'omosessualità di Gide non dovrebbe avere particolare rilievo ai fini della sua opera: beninteso, tutti sanno che è vero il contrario). Sta bene; anche accettando tale premessa (che io non accetto), è allora un dato di fatto che esistono almeno due tipi di omosessuali: quelli come Gide, e quelli come schopy. Certamente di schopy come omosessuale, quando tra 100 anni sarà morto, nessuno parlerà più: magari si parlerà di lui come filosofo; invece finché ci sarà civiltà e cultura - e non prevarranno Indice, oscurantismo o negazionismo - tutti parleranno sempre di Gide come omosessuale e come letterato, inscindibilmente. Ora io, nella mia miseria, voglio stare dalla parte di Gide, voglio vivere e pensare e agire come lui, schopy invece ha un modello opposto o comunque diverso: per schopy essere gay è davvero e probabilmente sarà stato un accidens della sua persona, se ne vuole convincere e probabilmente se ne convincerà; crederà di acquisire maggiore latitudine di intelligenza, invece perderà solo spessore umano complessivo (secondo me, eh!).

 

Ultima cosa: sono violentemente contro il pensiero di alcuni di voi, ma queste parole, necessariamente appassionate, non sono scritte con animosità, sono scritte con spirito d'amicizia.

 

***: a chi pensa questo, consiglierei di pensare, more dialettico, anche alla proposizione opposta e contraria. Difficile dire quale è vera!

Edited by Isher
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@akinori curioso che ora tu dica più volte che la traduzione del titolo del libro 'Queer' con 'Checca' è erronea, quando tu stesso l'hai usata per pagine in un altro topic, fino a quando io ti ho fatto notare che è una cosa che oggi non fa più nessuno, e che l'avevo vista in uso solo per il libro di Burroughs
ma tu ovviamente mi desti contro dicendo che ero io che non sapevo cogliere

 

Stai evidentemente decontestualizzando l'uso che ho fatto del termine "checca" in altre discussioni. Se vai a rileggere, probabilmente l'avrò scritto in corsivo (checca) perché probabilmente usavo il termine con le connotazioni di cui lo "gratificano" gli endo-omofobi (ovvero l'effeminato come "negativo" del gay). Ricordo anche che sostenni che in quel caso era stata una delle migliori traduzioni di titoli americani fatte in Italia. Ma se appunto diamo a checca quella connotazione di "gay che sfugge all'omonormatività". In realtà Queer è intraducibile in italiano e "checca" resta una pessima traduzione, per quanto volenterosa.

 

 


ora invece mi è venuto il dubbio che tu Burroughs non lo conoscessi proprio
tra l'altro la serie (meravigliosa) si chiama 'Queer as folk', sia quella usa che quella uk

 

Se hai questo dubbio non posso farci niente e la cosa non mi cambia la vita! Burroughs è il mio scrittore preferito, lo leggo e lo rileggo, anche in lingua originale, fidati! Egli con il suo genio è la massima espressione di una cultura autenticamente queer, che a differenza di quella gay esiste, non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo.

 

So benissimo che la serie si chiama "Queer as folk" e non la trovo così "meravigliosa"; ritengo sia semplicemente l'espressione di quella subcultura gay-pop, mass mediale e commerciale, di cui parlavo nel post precedente, e che in più abbia il demerito di creare confusione tra il gay e il queer (intesi come gender).

 

.

 

...a parte questo ultimamente mi trovo a saltare quasi tutti i tuoi post
ti consiglierei di rivedere drasticamente le tue modalità di comunicazione, ma dubito che tu possa accettare un consiglio

 

Sì, lo so. Non sei solo tu a fare il "salto", lo fanno in molti. Li leggono, i miei post, ma superficialmente, evitando  i punti più importanti e urticanti: le schize, le connotazioni polivoche, 

E sì, accetto il tuo consiglio. le mie modalità di comunicazione in questo contesto sono probabilmente sbagliate. Non mi sintonizzo con un ricevente "democratico", ma con un ricevente "elitario", che mi risponde con un silenzio che ritengo però eloquente.

Tuttavia se cerco di ridurre la complessità di quello che scrivo, rischio di banalizzare il mio pensiero.  Ci sto lavorando sopra.

 

 


Ma non ho nessuna difficoltà a riconoscere che ci siano che ne so, romanzi progettati, pensati e scritti da gay per un pubblico gay con storie gay, idem per i film...ma nei post precedenti si parlava di Rimbaud, Wilde, Mann, Virginia Woolf...e si ammetterà che non è proprio la stessa cosa. 
 

 

Mi dispiace per Schopy, ma condivido esattamente questo suo punto di vista :-)

Per motivi ideologici quelli della fazione opposta non vogliono distinguere tra subcultura gay, tematiche omosessuali, letteratura commerciale di genere ( e in questo caso "gay" ci sta, come "giallo", "rosa", "noir") e teoria queer. Mi sembra che vogliano omonormativizzare tutto quanto è stato prodotto da una cultura non eteronormativizzata nel calderone gay, Non mi sembra una operazione intellettualmente onesta. Lo dico serenamente.

 

 


per prima cosa, dovreste cioè capire perché categorie quali letteratura omosessuale, cultura e storia omosessuale, critica omosessuale, non so se gay Studies, forse no perché sono un settore "a parte", vi suscitino fastidio e ostilità.

 

A me denominazioni del genere non suscitano nessuna ostilità, perché mi sembrano abbastanza neutre. Il problema sorge, lo ripeto, quando ad "omosessuale" si sostituisce il termine "gay", che ha una serie di connotazioni identitarie post-Stonewall che non possono essere ignorate, se vogliamo discutere con metodo. E' lo stesso motivo per il quale trovo inappropriata la definizione di Achille e Patroclo come coppia gay - sempre lì ritorniamo . Quello che mi dà realmente fastidio è una visione omonormativa, che vorrebbe appiattire, in questo caso, tutte le varietà del modo di concepire, praticare e vivere l'omosessualità, nelle varie culture e nelle varie epoche storiche, su quella "gay", che è quella contemporanea e che deriva dalla cultura americana contemporanea. Non sono un negazionista. Semplicemente, credo che non esista un'unica visione dell'omosessualità. E che lgbtq non sia = gay (infatti è un acrostico, in cui ci stanno anche lesbiche, bisex, trans gender e queer).

 

Dunque, un film come Milk, per esempio (non a caso opera cinematografica e non letteraria, sicuramente di una qualità artistica superiore a "Queer as folk", pura subcultura gay-pop) lascia intravvedere una cultura gay in forma aurorale, perché è omosessualità intesa come identità politica in senso contemporaneo. Ma in "Morte a Venezia" , di gay non c'è proprio nulla! Ammettere il contrario significa dare a Thomas Mann una emancipazione anacronistica e assolutamente fuori di luogo, perché la "p" (che sta per "pederastia platonica") dell'affezione del protagonista in quell'opera, non compare nemmeno nell'acrostico lgbtq...

Se poi passiamo al film, l'unica rappresentazione di un autentico omosessuale è veramente folkloristica, dura pochissimo, e mi sembra che non abbia nulla a che vedere con la coscienza che vogliono avere di sé i gay contemporanei...

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da quel che ho capito Hinzelmann colloca questo stacco almeno 70 anni prima (parlando di date mi pare scrivesse 1870) e per Almadel vi sono, già nella poesia francese della fine del XIX secolo, sufficienti elementi che permettano di riconoscere/isolare una comunità omosessuale di autori "maledetti"....

 

La mia periodizzazione 1870-1950 muove per l'appunto dall'idea che sia esistita

una esplosione di produzione culturale gay in questo periodo storico, che testimonia

un fermento identitario ( le cui origini io individuo in una serie di fattori storici convergenti

sia facendo il paragone con analoghi fermenti identitari: l'operaio, la suffragetta etc sia

individuando nel romanticismo certe forme espressive -il romanzo e la poesia psicologica -  

sia considerando il fatto che intorno a certi autori esistono circoli culturali e zone franche

di libertà maggiore per potersi esprimere )

 

Wilde sotto questo profilo lo dimostra...la libertà del letterato omosessuale, ma anche i limiti

precisi di questa libertà in Inghilterra in quel periodo storico.

 

In pratica la mia idea è che questa produzione anticipi la formazione di comunità omosessuali

per quanto della microstoria delle comunità gay si sappia molto meno e quindi potrei sbagliare.

 

Per il luogo: mi affido a Isherwood e Auden per dire che in Germania a Berlino una comunità gay

moderna certamente già esisteva negli anni '20-'30, prima che il nazismo la stroncasse. Non dispongo

di fonti su Kuzmin e S. Pietroburgo o Mann e Lubecca o i poeti maledetti e Parigi etc.

 

Ma questo non significa che non disponendone io, non esistano...potrebbe essere un mio difetto

di conoscenza. Cabaret Addio a Berlino Klaus Mann etc. però li conosciamo  

 

Il circolo culturale gay inglese incontra la comunità gay tedesca e noi che questa comunità

sia esistita lo sappiamo anche grazie ai gay inglesi....no? Circoli gay e comunità gay sono i

miei due riferimenti storici...

 

Dopo gli anni '50 prendo Warhol a titolo esemplificativo per dire che succede qualcosa di più

il Camp della comunità gay newyorkese diventa materiale che un gay rielabora per creare una

sua poetica, una sua visione artistica: la pop art

 

Ovviamente è tutto discutibile, io posso portare dei fatti ed in effetti ne porto, ma altri

possono portare fatti diversi etc ( è chiaro che Visconti e Pasolini in Italia, apparterrebbero

interamente al primo periodo....pur avendo creato-scritto dopo etc )

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A Schopy, che è evidentemente molto disinformato, ma questo non gli impedisce di affettare un'aria particolarmente blasé e con la puzza sotto il naso, e che dichiara di non sapere in che cosa aiuterebbe a penetrare l'opera di Luchino Visconti lo studio dell'omosessualità in essa opera, o dell'omosessualità e dell'esperienza dell'omosessualità di Visconti, consiglio di leggersi la monumentale opera che Mauro Giori sta costruendo da sette-otto anni a questa parte, e che è culminata in una recente monografia, di oltre cinquecento pagine, un'opera che è stata notata alla Sorbonne da una giovane dottoranda desiderosa di studiare Luchino Visconti e di venire a fare una tesi qui in Italia con questo studioso gay.

 

Ti ringrazio del consiglio bibliografico.

 

Sta bene; anche accettando tale premessa (che io non accetto), è allora un dato di fatto che esistono almeno due tipi di omosessuali: quelli come Gide, e quelli come schopy. Certamente di schopy come omosessuale, quando tra 100 anni sarà morto, nessuno parlerà più: magari si parlerà di lui come filosofo; invece finché ci sarà civiltà e cultura - e non prevarranno Indice, oscurantismo o negazionismo - tutti parleranno sempre di Gide come omosessuale e come letterato, inscindibilmente. Ora io, nella mia miseria, voglio stare dalla parte di Gide, voglio vivere e pensare e agire come lui, schopy invece ha un modello opposto o comunque diverso: per schopy essere gay è davvero e probabilmente sarà stato un accidens della sua persona, se ne vuole convincere e probabilmente se ne convincerà; crederà di acquisire maggiore latitudine di intelligenza, invece perderà solo spessore umano complessivo (secondo me, eh!)

 

A parte che francamente non credo che nessuno parlerà di me tra cent'anni per qualsivoglia motivo, non credo di acquisire maggior intelligenza relegando l'omosessualità ad un ridotto della mia persona, cerco solo di esprimermi in quello che per me è il modo più autentico, sfortunatamente senza alcun modello cui rifarmi....

spero di ridiscutere di questi temi, se ce ne sarà l'occasione, dopo aver studiato qualcuno dei testi che m'avete suggerito.

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privateuniverse

Alcuni di voi ripetono il solito luogo comune: sono gay, ma questo è solo un aspetto della mia persona, che è molto più grande***.

 

Intanto ti ringrazio per l'intervento, denso e illuminante come al solito.

 

C'è però uno spunto che vorrei raccogliere, a partire dalla citazione dell'intervento.

 

A me sembra che quanto detto sia possibile per tanti altri aspetti. Tante cose sono "solo un aspetto della nostra persona", che, ovviamente, è qualcosa di più della somma delle parti; eppure, gli aspetti importanti della nostra personalità sono quelli tali per cui, se essi mancassero, noi non saremmo più gli stessi. Non c'è soltanto la sessualità, l'orientamento sessuale, l'omosessualità, tutti vissuti in modo più o meno problematico (perché l'affettività e la sessualità possono anche essere nodi irrisolti, problematici nella vita di una persona), tra questi; ce ne sono anche altri.

 

Prendiamo uno scrittore contemporaneo e di successo come Nick Hornby. E' un tifoso dell'Arsenal, e su questo ci ha scritto "Febbre a 90°"; è un appassionato di musica rock, e su questo ci ha scritto "Alta fedeltà" (ma anche in "Un ragazzo" i riferimenti sono evidenti, al punto che uno dei più riusciti, e dei più buffi, tra questi, è il fatto che, è che, per rendere l'idea di quanto "fricchettona", disadattata e fuori dalla realtà ma, al tempo stesso, sensibile e fragile sia la madre del preadolescente che è un po' il coprotagonista del libro, Hornby la descrive come una che ama ascoltare Joni Mitchell, un riferimento che chiunque sia, come me, un conoscitore di musica pop/rock coglie perfettamente in tutte le sue implicazioni). Sarebbe impossibile capire Hornby come scrittore se si prescindesse dal suo essere un tifoso sfegatato di calcio e un appassionato di musica pop e rock; del resto, egli neanche prova a prescindere da questi aspetti. Anzi, li considera parte talmente integrante della sua "persona" dal farne un efficace canale di espressione e di comunicazione. Chiunque leggesse Hornby, o volesse spiegare perché gli piace o no, o volesse capirlo, dovrebbe tener conto di questi aspetti; dubito che ammetterne la rilevanza comporterebbe un qualsiasi problema. A me il calcio non interessa e non piace, ma sarebbe evidentemente assurdo, per me, parlare di Hornby fingendo che il calcio per lui non abbia importanza. Non soltanto: se qualcuno volesse parlare del calcio o del rock come cultura, non potrebbe evitare di citare le opere di Hornby, almeno quelle che ho citato, come esempi.

 

Cos'accadrebbe a un ipotetico equivalente omosessuale di Hornby? Sulla base di questa discussione, incredibilmente, troveremmo qualcuno pronto a dire che l'omosessualità di quest'ipotetico clone omosessuale di Hornby non abbia alcuna rilevanza, né per lui in quanto lettore né a qualunque altro fine.

 

Mi sembra una posizione talmente incredibile da sostenere che tentare di dimostrarne l'inconsistenza mi fa sentire come se dovessi dimostrare che la Terra è rotonda.

 

Io sono convinto di sapere il perché di questa posizione; ma me lo tengo per me perché voglio deliberatamente evitare di scendere sul piano personale.

 

 

Per il luogo: mi affido a Isherwood e Auden per dire che in Germania a Berlino una comunità gay

moderna certamente già esisteva negli anni '20-'30, prima che il nazismo la stroncasse. Non dispongo

di fonti su Kuzmin e S. Pietroburgo o Mann e Lubecca o i poeti maledetti e Parigi etc.

 

Ma questo non significa che non disponendone io, non esistano...potrebbe essere un mio difetto

di conoscenza. Cabaret Addio a Berlino Klaus Mann etc. però li conosciamo  

 

Il circolo culturale gay inglese incontra la comunità gay tedesca e noi che questa comunità

sia esistita lo sappiamo anche grazie ai gay inglesi....no? Circoli gay e comunità gay sono i

miei due riferimenti storici...

 

Mi pare un po' quel che dicevo io quando sostenevo che noi non conosciamo i "codici" degli ambienti omosessuali del passato, o li conosciamo solo in parte; quindi, non possiamo escludere che delle "comunità" di omosessuali, dei "circoli" di omosessuali esistessero anche in altri contesti (anche se non c'era l'equivalente del quartiere di Castro a San Francisco, evidentemente).

 

A questo proposito di certi riferimenti, mi è venuta in mente una cosa che mi rimase impressa fin da quando ero adolescente. In un romanzo di Balzac, l'unico che abbia letto (credo fosse "Papà Goriot") a un certo punto compare un personaggio omosessuale. Non pubblicamente tale, ovviamente; però, a un certo punto, costui fa una specie di "coming out" con un altro personaggio; e, come "prova" della sua omosessualità, Balzac gli fa dire, più o meno, "ho letto e riletto talmente tante volte Venezia Salvata [un'opera teatrale di un drammaturgo inglese del Seicento, Thomas Otway] che la conosco a memoria".

 

Quindi, un ipotetico omosessuale dell'Ottocento non avrebbe trovato un'opera di Busi, ma avrebbe cercato, magari, un riferimento nell'amicizia virile dipinta in un'opera che non ha alcunché di specificamente omosessuale. E questo Balzac, pur non essendo omosessuale, doveva saperlo, così come, probabilmente, lo sapeva Otway.

 

Ma non l'avrebbe saputo un ipotetico equivalente ottocentesco di @schopy o di @korio, invece.

 

Strano, no?

Edited by privateuniverse
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Un tipo che conobbi in sala giochi

- per provarci con me, appreso che frequentavo il Classico -

mi chiese se fossi già arrivato a studiare Platone.

Non fosse che ero ancora al Ginnasio, avrei mangiato la foglia :)

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@privateuniverse

 

Il riferimento al 1870 è quello "classico" di Foucault, che è stato

contestato da molti...ma solo in senso estensivo ( quindi ai fini della

discussione sull'esistenza  o meno di una cultura gay mi accontento

della data che tutti accettano )

 

E' vero però che molti studiosi ampliano a tutto l'800 e certo

esistono solidi argomenti...solo limitandosi a Balzac c'è

 

Vautrin che compare in 4 romanzi. Ed è ufficialmente considerato il

primo personaggio gay della letteratura francese 

http://fr.wikipedia.org/wiki/Vautrin_(Balzac)

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Io penso che umilmente occorra anche citare qualche fonte critica di un certo spessore, al di la delle proprie opinioni personali o delle proprie convinzioni di comodo,  altrimenti sembra il solito tè fra signore, in cui ognuno mistifica la propria edipizzazione  :read:

Ecco quello che dice, per esempio,  Walter Siti, ex docente universitario (di prestigio) e romanziere omosessuale, intervistato da Bazzocchi:

 

«Sono omosessuale, però nei miei romanzi non ho fatto un discorso sull’omosessualità, ma sul desiderio di un oggetto portatore sano di Assoluto, verso l’alto o verso il basso»

«negli anni ’60 essere gay era rivoluzionario, oggi è nulla di speciale, e tanti sono conservatori». C’è una “gayzzazione dell’Occidente

 

«Ma esiste una cultura omosessuale?», chiede Bazzocchi. «C’era una sottocultura omosessuale, una specie di gergo fondato su interessi comuni per certi tipi di arte, musica, abbigliamento. Ci si sentiva un gruppo discriminato, oggi è diverso: omo ed etero non sono fiumi paralleli, c’è osmosi, e la bisessualità si diffonde. La questione culturale è quindi più ampia. Quando Pasolini fu attaccato per le sue parole sull’aborto rispose che quando uno scrive da omosessuale ha una tinta particolare, che deriva dalla sua esperienza. Questa “tinta” c’è ancora nell’affrontare i problemi culturali».

 

Le mie opinioni non sono poi così tanto "negazioniste" rispetto a quelle di Siti, che sostiene addirittura che c'è stata una sottocultura gay a partire dagli anni '60, ma che ora non c'è più.

 Ma si sa, Walter Siti è il solito troll omofobo e fascista... :bye:

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"Se Walter Siti commentando la canzone di Povia sulla conversione di un gay pentito

può scrivere sulla °Stampa di ieri "se io omosessuale posso uscire dal rancore e dalla

paura amando una donna, perchè no?" è solo perchè 40 anni fa mentre lui come scrive,

si vergognava di essere omosessuale - altri omosessuali, invece di difendere gli omofobi

come lui fa oggi iniziavano a ribellarsi, alzavano la testa, non chinavano più la schiena e

non rasentavano più i muri.

 

Lasci stare Freud e la mamma: in confronto a lui lo scientismo di Freud datato 100 anni fa,

è infinitamente più all'avanguardia

 

Angelo Pezzana 

 

Questo è Walter Siti...uno che non solo ha scelto di non parlare di omosessualità nei suoi libri

ma si è vergognato di esserlo e ha pure dato ragione a Povia

 

Per non diventare come lui ( a parte premi e riconoscimenti ) date retta a Pezzana

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Visto che si parla di Siti, e implicitamente di Freud, Walter Siti è colui che ha rivendicato la legittimità e il diritto dei gay della sua generazione

-che al lume delle teorie freudiane allora imperanti si erano convinti che l'omosessualità fosse una deviazione e arresto

deviante dello sviluppo spichico - di coltivare questa immagine di sé, di rappresentarsi in questo modo patologico pacificato la propria omosessualità.

 

Da brividi.

 

Prego chi ha tempo e voglia di andare a riperticare in internet la sua asserzione e di pubblicarla: prego davvero.

 

Parafrasando Pezzana, se Siti 40 anni fa si pacificava in Freud sentendosi un deviato e ritardato, altri 40 anni fa mettevano in discussione l'Edipo, talché oggi,

- anche se come ho spesso ricordato l'Edipo è tuttora fondamento inconcusso e parte integrante del freudismo - l'omosessualità deve comunque essere considerata

una variante naturale dell'orientamento sessuale daparte della comunità scientifica internazionale.

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Quindi, un ipotetico omosessuale dell'Ottocento non avrebbe trovato un'opera di Busi, ma avrebbe cercato, magari, un riferimento nell'amicizia virile dipinta in un'opera che non ha alcunché di specificamente omosessuale. E questo Balzac, pur non essendo omosessuale, doveva saperlo, così come, probabilmente, lo sapeva Otway.

Ma non l'avrebbe saputo un ipotetico equivalente ottocentesco di @schopy o di @korio, invece.

Strano, no?

...questo spiega perché nel 2013 schopy non è abbastanza sgamato da chiedere ai ragazzi carini che incontra in sala giochi se a scuola hanno già studiato Platone  :D ....@Almadel, comunque se dovessi valutare l'orientamento sessuale di molti miei conoscenti solo sulla base delle loro letture o dei gusti cinematografici o addirittura operistici prenderei -ahimé- un sacco di granchi!

Edited by schopy
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Cos'accadrebbe a un ipotetico equivalente omosessuale di Hornby? Sulla base di questa discussione, incredibilmente, troveremmo qualcuno pronto a dire che l'omosessualità di quest'ipotetico clone omosessuale di Hornby non abbia alcuna rilevanza, né per lui in quanto lettore né a qualunque altro fine.

Io sono convinto di sapere il perché di questa posizione; ma me lo tengo per me perché voglio deliberatamente evitare di scendere sul piano personale.

 

Bah...se intendi dire che, per chi sostiene questa posizione, c'è al fondo un rapporto non ben risolto colla propria omosessualità non ti sbagli troppo. Insomma nel mio caso forse è così, ci sto ancora lavorando.

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privateuniverse

Mah, no, non credo sia questo, almeno non direttamente.

 

Sarà che, per carattere e per formazione, ho la tendenza a separare il giudizio razionale sulla realtà dalla reazione emotiva (del tipo: un conto è sapere che il fumo fa male, un altro è essere capaci di smettere di fumare perché fa male; non essere capaci di smettere di fumare non significa che si debba negare che faccia male), non vedo perché una persona che abbia problemi con la sua omosessualità non possa riconoscere che ci sia una cultura gay con una sua specificità, per gli aspetti che sono stati ampiamente illustrati in queste pagine di discussione.

 

Insomma, per me è un non sequitur, anche se non escludo affatto che un legame possa esserci.

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privateuniverse

Angelo Pezzana 

 

Questo è Walter Siti...uno che non solo ha scelto di non parlare di omosessualità nei suoi libri

ma si è vergognato di esserlo e ha pure dato ragione a Povia

 

Per non diventare come lui ( a parte premi e riconoscimenti ) date retta a Pezzana

 

Dobbiamo copiarne anche l'astiosa acidità, evidente nei giudizi che ha tranciato praticamente su tutti?

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