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Siamo una società signorile... di massa?


Aarwangen

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13 hours ago, castello said:

ma quante cazzate state dicendo!

ma avete mai letto un testo economico? una rivista o un quotidiano economico?

Sì, ne leggo...e non credo che io, Hinz o Almadel abbiamo scritto cazzate. Il fatto che non concordiamo con Ricolfi direi che poco ha a che vedere con le competenze...semmai va a discapito di quel che crede di saperne Ricolfi.

 

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7 hours ago, schopy said:

Sì, ne leggo...e non credo che io, Hinz o Almadel abbiamo scritto cazzate. Il fatto che non concordiamo con Ricolfi direi che poco ha a che vedere con le competenze...semmai va a discapito di quel che crede di saperne Ricolfi.

 

infatti Schoppino non c'entrava niente Ricolfi, bensì quello che ho letto nei post su propensione al consumo, redistribuzione della ricchezza, tassazione dei capitali, investimenti produttivi o meno, immigrazione…   (tu non hai scritto cazzate, cmq  )     :)

 Diversità di idee e soluzioni a parte, l'economia è una scienza abbastanza esatta; non si può dire ad es che c'è una maggiore propensione al consumo nei ceti più ricchi. Affermazioni del genere, soprattutto se sostenute con pervicacia, precludono un dibattito serio.  No?

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  • 1 month later...
31 minutes ago, Orfeo87 said:

Non è che abbia tanto sbagliato sul fatto su cose come:

1) il vivere al di sopra delle proprie possibilità,
2) l'incapacità di mantenere un livello minimo di intraprendenza da parte delle generazioni nate negli 80 e prima,

poi il solito inciampo nelle solite, trite e conservatrici critiche al 68 affloscia quasi tutto.

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2 hours ago, Dav1de said:

Non è che abbia tanto sbagliato sul fatto su cose come:

1) il vivere al di sopra delle proprie possibilità,
2) l'incapacità di mantenere un livello minimo di intraprendenza da parte delle generazioni nate negli 80 e prima,

poi il solito inciampo nelle solite, trite e conservatrici critiche al 68 affloscia quasi tutto.

Ma gli articoli li hai letti?

1)Fatto sta che l’adesione dell’Italia alla moneta unica, assieme alla liberalizzazione dei servizi finanziari (nuovo testo Unico Bancario del 1993), al calo dei tassi ed all’afflusso di capitali dall’estero porta alcuni effetti fra cui un aumento dei consumi spinto dal debito privato, fenomeno fino a quel momento abbastanza limitato in Italia, paese dove piuttosto era il risparmio, non l’indebitamento delle famiglie, la norma.

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Fatto sta che vedete come i consumi dal 1996 al 2000 partano verso l’alto da 220 mld. di euro a oltre 250 per poi aumentare piano piano fino ai quasi 270 mld. massimo del 2007 per poi crollare e recuperare solo oggi il livello del 2005, cioè 15 anni fa.

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Prendiamo come confronto la Francia dove invece vedete che si parte anche lì nel 1996 dallo stesso livello, 220 mld., ma la crescita è meno impetuosa prima e il 2008 porta solo un rallentamento, che sembra ormai superato e viaggiano tranquillamente sopra i 310 miliardi senza che per Ricolfi loro siano una “società signorile di massa”, chissà poi perché. Ah sì perché crescono, ma se aumentano sempre i consumi, si cresce, è macro 101 (oh finché ai tedeschi va bene finanziarli, buon per loro).

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Allo stesso tempo infatti l’indebitamento delle famiglie, prima praticamente inesistente, aumenta, anche se a livelli ancora molto inferiori rispetto alle altre economie avanzate e, comunque, in calo dal 2010 ad oggi.

Un altro dato estremamente importante è la Posizione Netta sull’Estero (o NIIP), che indica se un paese è “a credito” o “a debito” rispetto al resto del mondo. I famosi paesi che “vivono oltre i loro mezzi” di solito vedono infatti un forte indebitamento, spesso privato (che poi quando le cose van male diventa pubblico, vedi Spagna, Irlanda, ecc), che finanzia consumi, e anche investimenti, oltre le capacità produttive del paese stesso e quindi poi determina un saldo negativo della NIIP.

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Come vedete l’Italia ha visto un peggioramento progressivo della sua posizione netta sull’estero fino al 2008 ma dal 2015 è riuscita, grazie primariamente al surplus commerciale (cioè alla differenza positiva fra export ed import) a ripianarla ed ora tende allo zero e anzi, se il trend continua, diventeremo di nuovo un paese creditore verso il resto del mondo.

Queste analisi, come dicevo, sono completamente assenti nel libro di Ricolfi, che in sostanza invece dice in vari punti che stiamo “svendendo l’argenteria” per pagarci “consumi che non possiamo permetterci.” Ma a chi staremmo svendendo l’argenteria? Ai teteski katifi come dicono i no€? E allora come mai stiamo andando in credito verso l’estero?

Quindi non solo non stiamo vivendo “sopra le nostre possibilità” come dicono e scrivono alcuni buontemponi, perché esportiamo più di quanto importiamo ormai da anni, ma siamo anche riusciti a ripianare tutto il debito che avevamo fatto in quel periodo degli anni 2000 dove l’euforia ci aveva fatto credere di essere come gli USA, un paese che può tranquillamente indebitarsi col resto del mondo perché il resto del mondo ama essere creditore degli USA ed avere in tasca le sue cambiali, cioè i dollari.

2)

Per valutare quanta popolazione è potenzialmente produttiva si usa un altro indicatore, che non è quello di Ricolfi, ma la popolazione attiva dai 15 ai 64 anni. Perché? Perché fa vedere chi lavora o è disposto a lavorare (cioè è iscritto alle liste di disoccupazione nel caso non sia occupato) fra i residenti in età lavorativa. Certo questo, ovviamente, se si pensa che gli over 64 siano fuori dal mercato del lavoro o se invece mia mamma di 93 anni debba continuare a contribuire alla ricchezza del paese.

Appena quindi utilizziamo l’indicatore usato in tutti gli studi invece che quello cherrypicked secondo strane concezioni, la narrazione moralistica di Ricolfi inizia a traballare.

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Come potete vedere il tasso di attività che nel 1977 era del 57,5% a fine 2018 era arrivato al 65,6% in un trend di crescita che, se davvero ci stessimo avvitando verso un paese in cui sempre meno lavoravano, dovrebbe essere invece di verso contrario.

Ma anche il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro aumenta, pur partendo da un dato inferiore a quello di altri paesi avanzati.

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Vediamo dai dati OECD come dal primo disponibile del 1998 abbiamo una occupazione del 51,92% che arriva al 58,52% nel 2018. E, altro dato molto interessante, diminuisce uno dei nostri tratti tipici, e negativi, il “self-employment”, cioè i lavoratori cosiddetti autonomi, che spesso nascondono situazioni di sottoccupazione, mentre invece stanno aumentando molto nel Regno Unito.

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Quali sono invece i problemi dell’Italia?

Il primo è che abbiamo SEMPRE avuto un tasso di attività basso rispetto agli altri paesi avanzati, sia per motivi culturali, che hanno influenzato ad esempio l’occupazione femminile, sia economico-politici, la parte di economia informale e sommersa specie nel sud Italia..

Sul fatto che invece più della metà della popolazione non è quindi occupata, il problema che abbiamo è demografico, non economico, cioè abbiamo troppi residenti che sono fuori dalla fascia lavorativa 15-64, e, purtroppo, non nella fascia 0-15. La popolazione, cioè, sta invecchiando velocemente.

Ma qua viene il secondo grande problema: non siamo in grado di utilizzare in maniera proficua il fattore lavoro. Infatti ad un aumento della popolazione attiva, e pure degli occupati negli ultimi anni, non c’è stato un corrispondente aumento del PIL. In pratica quindi stiamo aumentando l’età pensionabile, stiamo incentivando forme di impiego a più non posso ma, alla fine, con un risultato minimo.

Mettiamo più “benzina” nel motore per andare praticamente alla stessa velocità.

Il dato che ci spiega bene questo e che, stranamente ma non troppo perché rovinerebbe la sua narrazione, è omesso da Ricolfi ed è il PIL per ora lavorata, sostanzialmente piatto dal 2000 in poi e non fra l’altro dalla crisi del 2008.

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Quindi non è tanto che ci sono oltre la metà degli italiani che parassitano, il problema è che quelli che lavorano non producono abbastanza, e anche spingendo sempre più persone a lavorare la nostra struttura economica è in questo momento così inefficiente che andrebbero verso occupazioni sempre più marginali come valore prodotto. Sapete? Il famoso terziario povero: rider, operatori di call center, camerieri, ecc.

Questo si aggiunge ad una struttura dell’occupazione che vede ancora, pur se in diminuzione, una forte presenza di lavoro autonomo che si ricollega con la vera particolarità italiana, cioè la eccessiva frammentazione dell’impresa, per cui appunto lavori autonomi e microimprese sono ancora la tipologia predominante e, purtroppo, spesso perdente nell’economia moderna globalizzata.

 

Edited by Orfeo87
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On 1/5/2020 at 12:10 PM, Orfeo87 said:

Finalmente arrivano le prime sberle alle analisi del trombone in questione.

Era tempo. Avranno atteso la fine delle feste per permettergli di vendere qualche copia in più prima di stroncarlo 😊

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  • 5 months later...

resta il fatto che la distribuzione di marchette elettorali e redditini vari non serve a una mazza ed è una delle cause del declino e poi c'è da dire che spesso la ricchezza delle persone e delle famiglie non è tanto nel conto in banca a tanti zeri anche se c'è, ma quanto in immobili, fabbricati, fabbriche e capannoni industriali prime case e seconde e così via.

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  • 4 months later...

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