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L'Italia di Renzi


Rotwang

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Una “situazione di criticità (per certi versi emergenziale)” relativa alle risorse che mette a rischio “i servizi di primaria importanza“. Sono gli effetti che la riforma varata dal governo Renzi ha avuto sulle finanze e la funzionalità delle Province italiane, secondo la Corte dei Conti. Senza l’adozione di “interventi necessari”, “la forbice tra risorse correnti e fabbisogno per l’esercizio delle funzioni fondamentali – si legge nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale inviata nei giorni scorsi al Parlamento – allo stato delle cose, tende ad una profonda divaricazione, difficilmente sostenibile per l’intero comparto”, scrivono i magistrati contabili in merito agli effetti del riordino funzionale e istituzionale della riforma Delrio.

 

Il governo ne ha fatto uno dei tratti fondamentali della propria narrazione: l'”abolizione delle Province” annunciata con l’approvazione del ddl Delrio approvato in via definitiva il 3 aprile 2014 dalla Camera nella realtà non è mai avvenuta. Negli enti territoriali, infatti, sono stati ridotti e rimodulati gli organi “politici” ma è rimasto in piedi tutto il corredo di funzioni tecniche delegate in materia di scuola, strade, trasporti pubblici, formazione e ambiente. Ora, secondo i giudici contabili, molti servizi legati a queste funzioni sono a rischio perché il riordino previsto dalla legge firmata dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio procede a rilento.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/31/province-corte-dei-conti-mancano-le-risorse-a-rischio-i-servizi-fondamentali/1922933/

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http://www.huffingtonpost.it/2015/08/01/piano-renzi-sud_n_7918110.html?fbph&ncid=fcbklnkithpmg00000001&ncid=tweetlnkithpmg00000001

 

Tra i parlamentari Pd più sensibili al tema già si sogna un “Piano Marshall” per il Sud. In grado di mettere insieme i fondi europei e i cofinanziamenti, sfuggendo anche agli angusti limiti del Patto di Stabilità. Di certo, la decisione di Matteo Renzi di convocare una direzione Pd il 7 agosto interamente dedicata all’agonia del Mezzogiorno ha sorpreso un po’ tutti. Compresi quei 70 parlamentari che dopo il tragico rapporto Svimez avevano fatto pressione sul premier-segretario affinché la questione meridionale entrasse finalmente nell’agenda del governo e del partito.

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  • 4 weeks later...

L'Espresso

 

 

E' sempre stata la Madre di tutte le Battaglie, la riforma del Senato: la stella, insieme con l’Italicum, sotto cui è nato il governo Renzi, la controprova della #svoltabuona, la quinta colonna della rottamazione delle prime due Repubbliche.

 

“E’ la Madre di tutte le Battaglie”, disse lo stesso premier ad agosto 2014, salutando così il primo via libera del ddl Boschi a Palazzo Madama (183 sì, un patrimonio al confronto con l’oggi). E adesso che il Parlamento si appresta a riaprire l’8 settembre e i duellanti a incrociare le spade a suon di (513 mila) emendamenti e nodo elettività, quella definizione torna.

 

Con una differenza: invece che uno slancio feroce e arrembante, ora la Madre di tutte le Battaglie suona come una sentenza cupa e contundente. Già perché adesso il ddl che riforma il Senato è sulla buona strada per fare da spartiacque tra il prosieguo della legislatura e la sua interruzione anticipata. Invece che il segno dell’inizio, l’inizio della fine.

 

Stavolta non è solo questione di minacce e aut aut: ma dell’aria che gli gira intorno, i segnali, il quadro. Insomma, non è solo perché renziani come Matteo Ricci lo dicono chiaro e tondo, anche nelle interviste (“C’è solo un passaggio politico che può portare sicuramente al voto anticipato: il blocco della riforma istituzionale”, ha detto a Qn l’altro giorno). Ma anche perché nel Pd, quello che alla festa dell’Unità Massimo D’Alema ha definito “un partito al bivio”, non sono pochi coloro che stavolta – al di là delle proprie convinzioni più o meno renziane - a quella eventualità credono: mettono nel conto possa andare davvero così. Che a Renzi al Senato “il gioco si possa incasinare troppo”; che possa allora “tirare le carte sul tavolo”, mandare “all’aria tutto” e chiamare le urne.

 

A raccoglierli come le briciole di Pollicino, segnali ed elementi non mancano. Intanto, sul fronte Renzi. Il premier è rientrato dalle vacanze annunciando un tour per teatri dal forte sapore di campagna elettorale (primo appuntamento, Pesaro: meno Imu e Tasi per tutti ); per gli appassionati di numerologia, c’è da notare che i teatri saranno cento, cifra da occasioni speciali (vedasi: il programma dei cento giorni, le cento proposte della Leopolda 2011, le cento province girate in camper nel 2012, i cento tavoli della Leopolda 2013). Che Renzi metta nel conto di non portare a casa la riforma, e che si risolva ad andare a votare col sistema doppio (Italicum e Consultellum) è segnalato anche dal fatto (rivela il Foglio) che in estate abbia commissionato simulazioni su come sarebbe la composizione del Senato se si andasse alle urne con la legge elettorale riscritta dalla Consulta.

 

Poi c’è la questione dei rapporti con la minoranza dem, un muro che sembra crescere ogni giorno di più: anche perché pure i non renziani, dopo aver ingoiato provvedimenti invisi a sinistra come Jobs act e riforma della scuola, trattano ormai il Senato come la Madre di tutte le Battaglie, quasi fosse l’ultima che possono fare. Un atteggiamento che, dai tecnicismi del ddl Boschi (“nel” invece che “dal” e cose del genere) arriva a questioni di principio: “Vengono prima le Costituzioni che i governi” dice il senatore 'ribelle' Vannino Chiti. Il “partito al bivio” descritto da D’Alema è in effetti esattamente questo: la sua scelta (ovverosia quella di Renzi) è tra la “possibilità di ricostruire il centrosinistra”, e “la possibilità dell’alleanza con Alfano, Casini, Cicchitto e Verdini: che non è un paradosso, è l’attuale maggioranza di governo”, ha sferzato l’ex premier.

Già, perché per tornare al Senato e alla sua riforma, il problema di Renzi stavolta è numerico. O per meglio dire di alleanze: come segnalava perfidamente D’Alema, appunto. Perché, se pure è plausibile ipotizzare che la pattuglia dei 26 oppositori interni dem si ridurrà al momento del voto, è pur vera quella riflessione fatta l’altro giorno dal presidente del Senato Grasso, sempre alla Festa dell’Unità: “attualmente la maggioranza al Senato c’è, il problema è che se fai il computo degli emendamenti proposti all’articolo 2, si comincia a vedere che questa maggioranza può non esserci, se tutti confermano le loro proposte”.

Per questo, la seconda carica dello Stato invita “a trovare una soluzione politica per superare quella che può essere una impasse sul profilo dei numeri”. Un’intesa vera, insomma. Già, ma come, con chi? Certo, è tutt’altro che escluso che alla fine, oltre alla pattuglia dei verdiniani, un aiuto di Forza Italia nel nome delle riforme (e della legislatura che continua) possa arrivare. Non è casuale in questo senso la tiepidissima accoglienza che Berlusconi ha riservato alle aperture in nome dell’anti-renzismo da parte del leader leghista Salvini. Eppure, anche con un eventuale soccorso azzurro, paiono lontanissimi i tempi da Patto del Nazareno quando Renzi poteva con qualche nobiltà rivendicare che le riforme si fanno “non da soli, ma cercando il più possibile di coinvolgere le opposizioni”. Per altro verso, come si diceva, pure un ricompattamento del Pd non sembra alle viste: da Palazzo Chigi filtra un no a riccio a una modifica in direzione del senato elettivo e, al contrario della minoranza, personaggi di spicco come il senatore Miguel Gotor continuano a sostenere che “a Palazzo Madama c’è una larga maggioranza favorevole a cambiare quella norma”, e che “non siamo al Telegatto”.

Sono, tutte queste, fibrillazioni di cui il presidente del Senato Grasso, come è emerso dalle sue parole in piazza dell’altra sera, non può – “nell’imparzialità” del suo ruolo - non tener conto. La sua (sottointesa) apertura sulla possibilità di ammettere gli emendamenti all’articolo 2 (quello sull’elettività, il cuore della riforma), con l’invito esplicito a “superare l’impasse”, era un modo per dire che la mole di quelle perplessità espresse via emendamenti è difficile rispondere solo coi tecnicismi da doppia conforme, ossia trincerandosi dietro il fatto che un articolo approvato nella stessa formulazione dai due rami del Parlamento non è ulteriormente modificabile. Serve qualcosa in più.

Ecco, ma questo qualcosa non è detto che Renzi possa, o voglia, trovarlo, arrivati a questo punto. Soprattutto dopo che in molti gli hanno consigliato di fare “come Tsipras”: chiamare le elezioni prima che il consenso scenda troppo, o almeno sinché si possa contare sull’assenza (o quasi) di un competitor che faccia paura. Dopotutto, come ricorda D’Alema, “i sondaggi ci danno al 30 per cento, abbiamo perso 2 milioni di voti”: Renzi sarà pure “in modalità 40 per cento”, come ha detto ai suoi collaboratori andando al Meeting di Rimini, ma il fattore tempo è ormai tutt’altro che indifferente.

Edited by Rotwang
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L'Espresso

 

(...)

Che Renzi metta nel conto di non portare a casa la riforma, e che si risolva ad andare a votare col sistema doppio (Italicum e Consultellum) è segnalato anche dal fatto (rivela il Foglio) che in estate abbia commissionato simulazioni su come sarebbe la composizione del Senato se si andasse alle urne con la legge elettorale riscritta dalla Consulta.

 

 

(...)

 

 

Mi soffermo su questo passaggio perché se davvero la riforma costituzionale naufragherà, la legge elettorale mostrerà tutta la sua inadeguatezza: al bicameralismo paritario farà infatti riscontro una legge elettorale che prevede un sistema elettorale proporzionale puro il Senato, proporzionale con premio di maggioranza per la Camera, con la conseguenza che alla Camera avemo sicuramente una qualche maggioranza scaturita dalle urne, mentre al Senato, data la frammentazione delle forze politiche, è probabile che ciò non succeda.

 

Peralto, la riforma elettorale entrerà in vigore solo il prossimo luglio, con la conseguenza che un precipitare degli eventi come ipotizzato dall'articolo ci porterebbe al voto con un sistema elettorale proporzionale puro, sia per la Camera che per il Senato (il c.d. Consultellum).

 

Io mi chiedo ancora perché mai questa pecca non abbia indotto il Presidente Mattarella a rinviare alle Camere il c.d. Italicum.

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Ma il presidente della repubblica giudica solitamente per manifesta incostituzionalità ed il fatto che differiscano le leggi di camera e senato non è motivo di incostituzionalità.

 

Per altro le leggi elettorali di Camera e Senato non sono mai state identiche, infatti mentre alla Camera c'è sempre stata un'ampia maggioranza al Senato spesso si è venuta a creare la situazione di una maggioranza risicatissima (vedi legislatura 2006-2008) oppure non si è proprio formata una maggioranza (come alle ultime elezioni 2013, infatti per formare il governo è stato necessario il sostegno di forze appartenenti a schieramenti diversi formassero).

 

Credo che in questo modo si sia voluto legare indissolubilmente le due riforme (legge elettorale e riforma costituzionale) così da rendere necessaria l'approvazione di una riforma costituzionale, diversamente avrebbe rischiato di essere messa da parte una volta approvata la legge elettorale, inoltre credo che molti abbiano voluto questo anche come forma di rassicurazione per non dover tornare alle urne, perchè finchè non sarà approvata una riforma costituzionale vedo difficile che si decida di ritornare a votare anticipatamente.

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Ma il presidente della repubblica giudica solitamente per manifesta incostituzionalità ed il fatto che differiscano le leggi di camera e senato non è motivo di incostituzionalità.

 

beh non sempre, Cossiga ad esempio rinviò alle Camere la proposta di legge sull'obiezione di coscienza adducendo il timore che potesse compromettere il funzionamento delle forze armate, legge che poi fu approvata qualche anno dopo e promulgata senza esitazioni dal Presidente Scalfaro.

La prassi è grosso modo quella che hai indicato tu, i presidenti hanno sempre fatto un uso moderato del potere di rinvio (e bene hanno fatto a trattenersi!), tuttavia al cospetto di una proposta di legge che potrebbe compromettere il buon funzionamento del circuito Parlamento - Governo, una richiesta di riesame (perché di ciò cnsta il rinvio) non sarebbe stata eccentrica.

Certo la diversità di sistemi elettorali non è in sè motivo di censura, non foss'altro perché è la stessa Costituzione a prefigurare alcune differenze, ma in questo caso siamo di fronte a due sistemi del tutto divergenti ed è questo che a mio avviso dovrebbe destare allarme. Se il premio di maggioranza alla Camera si giustifica in una logica di stabilità, tale finalità risulta del tutto frustrata se un simile premio non viene assegnto al Senato, con il risultato di aver aver limitato la rappresentatività del corpo elettorale in un ramo del parlamento senza tuttavia aver ottenuto alcunché in punto di stabilità di governo. D'atro canto la Corte costituzionale aveva già esternato simili preoccupazioni, per cui volendo le motivazioni non sarebbero mancate (C.Cost. 1/2014, punto 4 in diritto: "Essa, infatti, stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo").

 

Per altro le leggi elettorali di Camera e Senato non sono mai state identiche, infatti mentre alla Camera c'è sempre stata un'ampia maggioranza al Senato spesso si è venuta a creare la situazione di una maggioranza risicatissima (vedi legislatura 2006-2008) oppure non si è proprio formata una maggioranza (come alle ultime elezioni 2013, infatti per formare il governo è stato necessario il sostegno di forze appartenenti a schieramenti diversi formassero).

 

E' vero che i sistemi elettorali delle due camere sono stati disciplinati da leggi distinte (almeno fino alla legge Calderoli), ma è anche vero che ri trattava pur sempre di leggi elettorali che rispondevano ad una medesima logica. Dal '48 ai primi anni '90 la legge elettorale prevedeva per il Senato un sistema elettorale uninominale maggioritario, ma per l'attribuzione dei collegi uninominali richiedeva percentuali di voti talmente alte (mi pare il 70%) che non venvano raccolte da nessun candidato (tranne per i candidati della SVP in Alto-Adige), per cui la distribuzione dei seggi avveniva secondo un sistema proporzionale, seppur su base regionale.

Anche il Matterellum prevedeva sistemi distinti, ma convergenti (3/4 maggioritario, 1/4 proporzionale, con maggiori effetti proporzionali alla Camera per via dello scorporo) e tra l'alto, allora, i problemi di governabilità erano solitamente alla Camera ai tempi del centrosinistra, al Senato ai tempi del primo centrodestra.

Le uniche leggi rispondenti a logiche divergenti che mi vengono in mente sono la c.d. legge truffa, che limitava il premio alla sola Camera, e la legge Calderoli: come sono finite, lo sappiamo.

Se proprio una lezione vogliamo trarre dal passato, a mio avviso è che le differenze tra i sistemi elettorali per le due camere dovrebbero essere il più possibile appianati, non certo rimarcati.

 

 

Credo che in questo modo si sia voluto legare indissolubilmente le due riforme (legge elettorale e riforma costituzionale) così da rendere necessaria l'approvazione di una riforma costituzionale, diversamente avrebbe rischiato di essere messa da parte una volta approvata la legge elettorale, inoltre credo che molti abbiano voluto questo anche come forma di rassicurazione per non dover tornare alle urne, perchè finchè non sarà approvata una riforma costituzionale vedo difficile che si decida di ritornare a votare anticipatamente.

questo a casa mia si chiama mettere il carro davanti ai buoi XD

Le leggi si approvano sulla base della Costituzione in vigore, non di un progetto di riforma che le camere potrebbero stravolgere e finanche, perché no?, respingere.

E' talmente ovvio che la definitiva approvazione di una riforma dell'architettura parlamentare debba precedere, e non già seguire, la riforma elettorale che neppure mi soffermo sul punto.

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Sì solo che l'approvazione di una riforma costituzionale richiede più tempo con un doppio passaggio parlamentare a distanza di 3 mesi, quindi hanno iniziato ad approvare la legge elettorale, anche perchè spesso nelle legislature precedenti si è rinviato più volte senza poi arrivare ad approvare nulla, almeno ora la si è approvata e si spera  che anche la riforma costituzionale arrivi a compimento.

 

Questo penso serva anche a spingere gli onorevoli a concludere con l'approvazione della riforma costituzionale

 

Poi la legge elettorale riforma costituzionale sono state pensate come un unicum e c'era anche un'intesa per approvarle entrambe visto che anche la riforma costituzionale è già stata approvata alla Camera a larga maggioranza anche con il voto di partiti che stanno all'opposizione.

Non aveva quindi senso approvare una legge per il Senato dentro un ottica di superamento del bicameralismo perfetto.

 

In ogni caso se proprio ci fosse necessità il governo potrebbe approvare un decreto d'urgenza per approvare un'estensione della legge elettorale anche per il Senato, si era ipotizzato un'idea di questo tipo anche prima nel caso non si fosse riusciti ad approvare la legge elettorale.

Edited by Sbuffo
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No Sbuffo, la legge elettorale deve essere coerente con la Costituzione, non con un progetto di riforma costituzionale. Se per riformare la Costituzione è richiesta una procedura aggravata, ciò non può certo legittimare l'adozione di norme di legge incostituzionali sol perché riformare la Costituzione richiede più tempo rispetto ad approvare una legge ordinaria. Tanto varrebbe fare a meno di una costituzione rigida.

 

Se le due riforme sono state pensate come due gemelli siamesi, ciò non toglie che la prima a dover essere approvata sia la riforma della Costituzione, non l'altra, e ciò sia in considerazione della gerarchia delle fonti, sia e soprattutto per ragioni logiche: avessimo anche una costituzione flessibile, prima si delineano composizione e funzione delle Camere, poi le modalità per trasmare i suffragi in seggi.

 

Ma poi, se anche fosse, ci rendiamo conto che il progetto di riforma costituzionale di cui si discute potrebbe essere respinto sia dalle Camere, sia dai cittadini in sede di referendum?

 

Un DL poi sarebbe quanto mai inopportuno, a tacer d'altro: a parte tutte le implicazioni tecnico-normative, se non convertito in legge entro 60 giorni, un DL decade. Visti tempi che intercorrono tra scioglimento e riunine delle nuove Camere, solitamente superiori ai 60 giorni, è quindi verosimile che a doversi esprimere sulla conversione in legge siano le Camere sciolte, quelle stesse Camere che nel caso ipotizzato avrebbero respinto la riforma della Costituzione.  Dopo l'azzardo della legge elettorale che precede la riforma costituzionale, voglimo forse farci mancare anche questo?

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Ma infatti non è incoerente nel senso che non lede nessun principio costituzionale, però allo stesso tempo è fatta nell'ottica di una riforma delle istituzioni che sarà completata con la riforma della costituzione.

 

Non mi sembra cmq un gran problema sia perchè il parlamento ha ben chiara la necessità di intervenire con riforma costituzionale, sia perchè se ce ne fosse necessità sia il governo sia il parlamento potrebbero cmq intervenire approvando un articoletto in cui si scrive che la legge si applica anche al Senato.

 

In ogni caso è stato cmq meglio intervenire piuttosto che non approvare nulla e lasciare il cosiddetto Consultellum alla Camera e al Senato, anche perchè al Senato come si è visto anche prima ci sono sempre stati problemi a formare una maggioranza.

 

Poi ovvio che sarebbe meglio approvare una riforma costituzionale prima e una legge elettorale dopo, ma il rischio era di non riuscire ad approvare poi nulla, quindi la maggioranza ha iniziato a portare a casa la legge elettorale visto che si era raggiunto un ampio consenso su un testo.

 

La politica è fatti di compromessi e di attimi da saper cogliere al momento giusto.

Edited by Sbuffo
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Come fai a dire che non è incoerente se produce strutturalmente maggioranze assembleari fortemente disomogenee in un sistema parlamentare che rimane improntato al bicameralismo paritario? Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, sia l'esercizio della funzione legislativa, per dirla con la Consulta. Sotto questo profilo, Italicum e Porcellum sono simili: entrambi ci consegnerebbero un Senato ingovernabile (anzi l'Italicum è persino peggio, dato che sicuramente nessun partito italiano può ragionevolmente ambire alla maggioranza assoluta con sistema elettorale proporzionale puro).

 

Se Governo e Parlamento avessero voluto agire (più) seriamente, ben avrebbero potuto introdurre un sistema elettorale omogeneo per entrambe le Camere, riservandosi semmai di intervenire in un secondo per eliminare le norme riferite al Senato qualora fosse poi andata in porto la riforma costituzionale proposta dall'esecutivo. In questo caso sì sarebbe stato ipotizzabile anche un eventuale ricorso alla decretazione d'urgenza, ammesso e non concesso che dopo la riforma del Senato una simile revisione della legislazione elettorale possa essere necessaria. Peraltro, faccio notare che se la riforma costituzionale sarà mai approvata, il c.d. Italicum dovrà per forza essere rivisto per adeguarlo alla nuova composizione della stessa camera bassa, per cui in quella occasione si sarebbe potuto espungere le norme riferite all'elezione del Senato per sopravvenuta inutilità.

 

Qui non è questione di compromessi e opportunità da cogliere, perché se i compromessi e le opportunità stridono (eufemismo) con la Costituzione essi vanno semplicemente declinati. Solo giocatori d'azzardo e apprendisti stregoni agirebbero come hanno agito i nostri governanti.

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La politica è fatta di compromessi e opportunità perchè in quel momento c'era una maggioranza per approvare la nuova legge elettorale e non c'era in quel momento evidentemente una maggioranza per estendere la legge elettorale anche al Senato quindi è stata colta quell'occasione perchè in quel momento c'erano le condizioni per arrivare ad un'approvazione.

 

Se ci sarà la necessità si potrà cmq reintervenire sulla legge elettorale con un articoletto che ne estenda l'applicabilità anche al Senato, nel caso in cui invece venga approvata la riforma costituzionale il Senato non sarà più elettivo quindi quella legge elettorale andrà bene così com'è.

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La politica è fatta di compromessi e opportunità perchè in quel momento c'era una maggioranza per approvare la nuova legge elettorale e non c'era in quel momento evidentemente una maggioranza per estendere la legge elettorale anche al Senato quindi è stata colta quell'occasione perchè in quel momento c'erano le condizioni per arrivare ad un'approvazione.

 

Se ci sarà la necessità si potrà cmq reintervenire sulla legge elettorale con un articoletto che ne estenda l'applicabilità anche al Senato, nel caso in cui invece venga approvata la riforma costituzionale il Senato non sarà più elettivo quindi quella legge elettorale andrà bene così com'è.

 

Compromessi e opportunità purchessia, anche se sospetti di incostituzionalità e privi di funzionalità? Secondo questa logica la legge Calderoli sarebbe essa stessa inappuntabile, visto che in allora rappresentava il miglior compromesso possibile tra le forze parlamentari di maggioranza sia tra di loro, sia con il Presidente Ciampi che pretese, è noto, che al Senato fossero assegnati premi di maggiornaza su base regionale.

 

Dici che è stata approvata una riforma monca perché la maggioranza del momento era contraria a legiferare sul sistema elettorale applicabile al Senato, qualche post sopra hai sostenuto che fu pure una scelta deliberata e corretta in quanto di lì a poco sarebbe venuta meno l'investitura popolare dei senatori: ebbene, se queste furono le motivazioni, furono motivazioni del tutto incondivisibili. Non è vero innanzitutto che una nuova legge elettorale per la camera alta sarebbe stata inutile in quanto la Costituzione vigente ora come allora prevede l'elezione dei membri del Senato; per converso, una volta approvata la riforma costituzionale quella parte della legge elettorale avrebbe semplicemente cessato di avere applicazione, senza disturbare la novella costituzionale. Al più sarebbe bastata una norma ad hoc nell'immancabile articolo rubricato "disposizioni transitorie e finali"; o un intervento postumo di pulizia del testo di legge in sede di revisione della legge elettorale: a tal proposito, come ho già sottolineato, non possiamo non notare che il c.d. Italicum dovrà necessariamente essere rivisto in caso di approvazione della riforma Boschi, per cui non regge la tua spiegazione secondo cui si volle approvare da subito una legge elettorale che fosse già conforme alla riforma costituzionale in fieri.

Se Parlamento e Governo decisero di agire come agirono non fu per ossequio alla riforma della Costituzione all'esame delle camere. Se fecero quel che fecero fu o per faciloneria, o più probabilmente perché talune forze politiche pretesero coscientemente una normativa elettorale inapplicabile, con la riserva mentale di far valere il loro potere di ricatto quando si sarebbe poi dovuto procedere all'inevitabile revisione. Un po' come il Governo Berlusconi che nel 2005 volle la riforma elettorale per impedire che il centrosinistra potesse vincere le imminenti elezioni.

 

Quanto all'articoletto correttivo, a parte il fatto che -come detto- forze politiche serie lo avrebbero inserito già in sede di approvazione della nuova legge elettorale, non vedo perché mai un senato che avesse appena respinto la riforma Boschi dovrebbe poi approvare l'aggiustamento da te auspicato nella consapevolezza che ciò consentirebbe al Presidente del Consiglio di forzare successive elezioni anticipate da cui poter lucrare, in forza della nuova legge elettorale nuovamente novellata, quella maggiornaza parlamentare che gli consenta di portare a termine proprio la riforma della camera alta tanto avversata.

Peggio ancora la via del decreto legge, che io sappia del tutto inedita (neppure Berlusconi osò tanto): valgono le obiezioni appena esposte, con l'aggiunta dell'ulteriore criticità dei tempi di conversione in legge a pena di decadenza. Come scrivevo qualche post sopra, sulla conversione dovrebbero esprimersi le assemblee palamentari attualmente in carica, non le nuove: se il senato ribelle negasse il proprio apporto?

E poi: se davvero la riforma Boschi venisse travolta, perché mai Governo e Parlamento non dovrebbero cassare con essa anche l'Italicum che, lo hai sostenuto tu stesso, fu pensato in funzione della riforma della Costituzione?

 

A me pare, in conclusione, che questa vicenda dimostri ancora una volta come la nostra classe dirigente continui a contraddistinguersi per una spiccata dabbenaggine quando non per vera e propria cialtroneria.

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Ma il porcellum èp stato dichiarato incostituzionale non perchè differiva la legge da Camera e Senato ma per altri motivi.

 

Poi non ho detto che l'estensione della legge in senato è inutile ora ma che sarà inutile dopo l'approvazione della riforma costituzionale sul bicameralismo.

Poi con l'approvazione della riforma boschi non serve modificare l'italicum ed in ogni caso anche se si volesse si può cmq aggiustare dopo ma almeno la riforma l'hai iniziata a portare a casa.

 

Che le motivazioni siano molteplici l'ho detto precedentemente io stesso e sono come ho detto:

-perchè essendo stata pensata con la riforma costituzionale la legge elettorale risponde a quella conformazione costituzionale che vede il superamento del Senato come organo elettivo.

-perchè non c'era una maggioranza epr approvare quelle modifiche per i motivi precedentemente detti, da un lato volevano la sicurezza di non tornare subito ad elezioni anticipate, dall'altro era cmq accettabile anche perchè avrebbe reso ancora più necessaria l'approvazione di una riforma costituzionale.

 

Quindi hanno deciso di iniziare a portare a casa quella legge elettorale fintanto che c'era il consenso per approvarla, perchè è cmq meglio del consultellum che lascia un sistema completamente proporzionale anche alla Camera (anche perchè il Senato cmq era già spesso senza una maggioranza anche prima quindi non cambia molto da quel punto di vista).

 

Se la riforma costituzionale non passerà, nulla impedirà al parlamento di tornare a modificare la legge elettorale se la cosa sarà resa necessaria.

 

In ogni caso non si poteva fare diversamente perchè non c'era una maggioranza per approvare un'estensione al Senato, la politica come dicevo prima è fatta di compromesso e di occasioni e in quel momento non c'era un'alternativa da cogliere.

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Renzi oggi è tutto felice

http://www.repubblica.it/politica/2015/09/01/news/istat_lavoro_renzi-121996694/?ref=HRER1-1

è contento per i nuovi dati ISTAT

quelli di inizio Agosto (in cui l'ISTAT smentiva i dati del governo e sanciva l'inutilità del Jobs Act) non gli erano piaciuti

poi durante il mese di Agosto sono arrivate strane notizie a mezza bocca riguardo il tentativo del governo di controllare i dati ISTAT

e finalmente, a inizio Settembre, i dati ISTAT sono stati rivisti e ora vanno bene!

meno male!

ora è ufficiale: siamo nel gruppo di "testa" :uhsi:

Edited by conrad65
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(...)

 

Poi con l'approvazione della riforma boschi non serve modificare l'italicum (...)

 

 

ho controllato, avevo fatto confusione io, su questo punto ti do ragione, ma solo su questo :)

 

Rispondo con calma nel fine settimana (brutta cosa finire le ferie...)

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La Stampa

 

Una parte degli elettori che in passato mai e poi mai avrebbero pensato di votare Cinque Stelle ora sono pronti a farlo. Anche elettori «insospettabili», che magari detestano Beppe Grillo, ma sono talmente delusi da tutti gli altri, da essere pronti a fare un passo (per ora mentale), impensabile fino a poche settimane fa. È un fenomeno recente, carsico, per ora avvistato, ma non ancora certificato dai migliori istituti di sondaggi. Dice Roberto Weber, l’unico sondaggista che due anni fa capì in anticipo l’escalation del Movimento Cinque Stelle: «Sì, è così. È un fenomeno recente, che riguarda elettori prevalentemente della sinistra tradizionale, quelli che votavano Pci, Ds o Pd, che in parte potrebbero “colmare” una parte di elettori che sono invece tornati a propendere per l’astensione. Ora sarà interessante studiare a fondo le ragioni di questa novità».  

 

Anche il professor Gianfranco Pasquino, già allievo di Norberto Bobbio e di Giovanni Sartori, è dell’idea che qualcosa si stia muovendo: «In questa stagione la politica classica non è migliorata: può essere che Renzi non abbia responsabilità nella crisi di Roma, ma questa crisi c’è. Può darsi che l’Italia non abbia responsabilità nella difficoltà dell’Europa di affrontare i flussi migratori, ma questa Europa non ci rassicura sulle sue capacità di farcela. Questi e altri problemi persistenti, a cominciare da quelli economici, stanno creando in una parte di elettorato “normale” e attento alle vicende politiche una disponibilità a guardare verso il movimento Cinque Stelle».  

 

Quali le ragioni? L’emersione di una classe dirigente che non sfigura in tv? Restare alternativi al sistema ma senza le invettive della prima ora? «Bisogna riconoscere - dice il professor Arturo Parisi, uno dei “padri” dell’Ulivo - che i Cinque Stelle hanno superato ampiamente la prova che li attendeva. Dopo il 25% alle Politiche i giornali scrivevano è “una bolla” che si sgonfierà e hanno tenuto; dopo hanno scritto: sta arrivando la frana e invece hanno tenuto. Senza fare chissà che, si sono dati un ceto politico riconosciuto e riconoscibile; il profilo di Grillo si è relativizzato e quanto a Renzi sta alimentando un mal di pancia diffuso: per il Pd potrebbe diventare problematico un ballottaggio con i Cinque Stelle». Ma davvero un elettorato tradizionalista di sinistra ora è disponibile al grande salto? «Un Grillo leggermente più moderato, gli insulti lasciati a Salvini, i grillini in tv che sembrano parlamentari “normali” - sostiene Pasquino - sono fattori che consentono ad un elettorato “normale” di prendere in considerazione il voto per un movimento che rappresenta l’unica alternativa. Ora tocca a Grillo fare la mossa successiva: indicare un candidato credibile alla guida del governo».  

Edited by Rotwang
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Ma il porcellum èp stato dichiarato incostituzionale non perchè differiva la legge da Camera e Senato ma per altri motivi.

 

La legge Calderoli è stata dichiarata incostituzionale ANCHE per altri motivi

 

 

Poi non ho detto che l'estensione della legge in senato è inutile ora ma che sarà inutile dopo l'approvazione della riforma costituzionale sul bicameralismo.

 

A dire il vero *ora*, più che utile, sarebbe proprio necessaria, visto che tu stesso affermi che in caso di mancata approvazione del ddl costituzionale il Governo dovrebbe addirittura intervenire con un decreto legge, vale a dire con un atto normativo che la Costituzione vorrebbe riservato a casi straordinari.

Inutile ricordare che una legge elettorale deve essere sempre operativa, senza soluzione di continuità, perché la necessità di rinnovare le Camere può sorgere in qualsiasi momento.

Quanto ad un'eventuale sopravvenuta inutilità in caso di approvazione del ddl Boschi, essa non creerebbe problemi di sorta, visto che le norme sull'elezione del Senato cesserebbero semplicemente di avere applicazione.

 

 

Poi con l'approvazione della riforma boschi non serve modificare l'italicum ed in ogni caso anche se si volesse si può cmq aggiustare dopo ma almeno la riforma l'hai iniziata a portare a casa.

 

Sulla prima parte, come dicevo, mi sono sbagliato io: il c.d. Italicum sarebbe operativo in caso di approvazione del ddl Boschi nella sua versione approvata dalla Camera dei Deputati.

Sull'"iniziare a portare a casa" pezzi di riforma, mi limito a far presente che stiamo parlando di riforme istituzionali, non di carrelli della spesa, e le riforme devono essere approvate secondo un ordine logico che non è certo quello imboccato dall'Esecutivo.

 

 

Che le motivazioni siano molteplici l'ho detto precedentemente io stesso e sono come ho detto:

-perchè essendo stata pensata con la riforma costituzionale la legge elettorale risponde a quella conformazione costituzionale che vede il superamento del Senato come organo elettivo.

 

Se proprio si voleva a tutti costi mettere il carro davanti ai buoi, sarebbe bastato approvare l'intera riforma elettrorale, condizionandone tuttavia l'efficacia all'approvazione della riforma costituzionale: una norma simile già c'è nel c.d. Italicum, sarebbe bastato affinarla un po', operazione questa non improba vista la fantasia che hanno dimostrato di avere le novelle madri e i novelli padri costituenti XD

 

 

-perchè non c'era una maggioranza epr approvare quelle modifiche per i motivi precedentemente detti, da un lato volevano la sicurezza di non tornare subito ad elezioni anticipate, dall'altro era cmq accettabile anche perchè avrebbe reso ancora più necessaria l'approvazione di una riforma costituzionale.

 

Quindi hanno deciso di iniziare a portare a casa quella legge elettorale fintanto che c'era il consenso per approvarla, perchè è cmq meglio del consultellum che lascia un sistema completamente proporzionale anche alla Camera (anche perchè il Senato cmq era già spesso senza una maggioranza anche prima quindi non cambia molto da quel punto di vista).

 

Se la maggioranza voleva esorcizzare il barbaro rito dello scioglimento anticipato (peraltro di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale), ben avrebbe potuto limitarsi a procrastinare l'applicazione della nuova legge elettorale.

 

Se poi la maggiornaza era raccogliticcia (come in effetti era), allora non si poteva certo far affidamento sulla sua capacità di portare a termine quella riforma costituzionale che sola avrebbe poi potuto legittimare *ex post* la legge elettorale valevole per la sola Camera, peraltro sospesa fino a metà anno 2016.

BTW, avevo ancora sentito parlare di incostituzionalità sopravvenuta, ma la categoria della "costituzionalità" sopravvenuta mi giunge del tutto nuova. Evidentemente sono troppo vecchio e troppo poco fantasioso ;-)

 

 

è cmq meglio del consultellum che lascia un sistema completamente proporzionale anche alla Camera (anche perchè il Senato cmq era già spesso senza una maggioranza anche prima quindi non cambia molto da quel punto di vista).

 

 

le novelle madri e i novelli padri costituenti sono infatti così preoccupati dalle pecche del c.d. Consultellum, che lo hanno lasciato in vigore fino al prossimo giugno, sicché se il ddl Boschi venisse affossato nei prossimi mesi (è l'ipotesi dell'articolo de L'Espersso di cui stiamo discutendo), torneremmo a votare proprio con quello.

Chapeau!

 

 

 

Se la riforma costituzionale non passerà, nulla impedirà al parlamento di tornare a modificare la legge elettorale se la cosa sarà resa necessaria.

 

 

Vale quanto detto prima circa l'affidabilità della maggiornaza al Senato: se non era affidabile già allora, è stato un atto da incoscienti approvare una riforma elettorale inapplicabile sol perché si confidava nell'approvazione della ben più impegnativa riforma cotituzionale che avrebbe richiesto una maggioranza ancora più ampia e solida.

Come dicevo nei precedenti posti, chi mai ti garantisce che una maggiornaza in ipotesi così inaffidabile da affossare la riforma costituzionale presupposta dalla legge elettorale da essa stessa già approvata possa poi tornare affidabile per approvare le necessarie modifiche alla legge elettorale (BTW, mica necessariamente l'estensione dell'Italicum, sarebbe forse più coerente cassarlo del tutto, visto che come dici fu ideato in vista del ddl Boschi)?

Non cambia il discorso tirando in ballo la decretazioen di urgenza, visto che il nostro decreto legge dovrebbe essere convertito in legge dalla medesima assemblea parlamentare ribelle che si vorrebbe punire con il voto anticipato.

 

 

 

In ogni caso non si poteva fare diversamente perchè non c'era una maggioranza per approvare un'estensione al Senato, la politica come dicevo prima è fatta di compromesso e di occasioni e in quel momento non c'era un'alternativa da cogliere.

 

 

Se le occasioni e i compromessi sono di dubbia costituzionalità e di certa inefficacia ritengo sia consigliabile lasciarli perdere; in ogni caso, se è vero che è dai frutti che si riconosce l'albero, da questi (e altri) compromessi men che mediocri possiamo riconosce una classe dirigente abbastanza scadente

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L'Huffington Post

 

Per uscire dall’impasse sulle riforme costituzionali Matteo Renzi ha un piano B: porre la questione di fiducia sull’articolo 2 del ddl Boschi, l’articolo che la minoranza Pd vorrebbe cambiare per introdurre l’elezione diretta dei senatori. Per ora è soltanto una possibilità tecnica, che i costituzionalisti più ascoltati dal premier gli hanno segnalato quale estrema ratio per sbloccare la riforma. Renzi vi potrebbe ricorrere nel caso in cui non arrivasse ad un accordo con la minoranza Dem, ma soprattutto nel caso in cui il presidente del Senato Pietro Grasso dovesse decidere di ammettere gli emendamenti all’articolo 2. Cosa che non accadrà, confidano i renziani in Senato. Anche se ufficialmente, fanno sapere dalla presidenza di Palazzo Madama, Grasso non ha ancora deciso.

 

Sono ore di attesa. Anzi si profilano giorni di attesa. Il presidente deciderà solo quando il testo approda in aula, al più presto la prossima settimana, ma chissà, visto che con la prima riunione della Commissione Affari Costituzionali oggi si è capito che la discussione andrà per le lunghe. Ad ogni modo, Grasso non vuole anticipare le sue decisioni perché non rinuncia a quello che è il suo obiettivo primario: lasciare alle forze politiche ogni margine di tempo possibile per arrivare ad un accordo. E oggi lo ha ribadito, in un botta e risposta con Vito Crimi del M5s in aula. Il senatore dei cinquestelle ha sollecitato il presidente a prendere una posizione, perché in occasione della cerimonia del Ventaglio a luglio, gli ha detto, "lei si è espresso favorevolmente ad un eventuale ripensamento politico su tutte le parti del disegno di legge costituzionale, aprendo peraltro alla possibilità integralmente emendativa" dell'articolo 2. Grasso replica e precisa: "La presidenza prende atto delle sue argomentazioni, senatore Crimi, anche se è costretta a rilevare delle inesattezze, per quanto riguarda la propria posizione personale, per quello che si riferisce alla cerimonia del Ventaglio. Le conclusioni che lei ha attribuito al mio intervento sono difformi da quelle che si possono ricavare, ancora oggi, da una lettura del mio intervento".

 

Al di là delle buone intenzioni, sia i renziani che gli anti-renziani sperano nel presidente: che sia lui a portarli fuori dal cul de sac, stabilendo che sull’articolo 2 ci saranno solo due voti. Vale a dire: quello che corregge il comma 5 modificato alla Camera solo in una preposizione (“nei” al posto di “dai”) e il voto finale sull’articolo. Decisione che potrebbe essere adottata in base all’articolo 104 del regolamento del Senato.

 

Il governo non vuole prendere in considerazione ulteriori modifiche all’articolo 2. Unica concessione, quella del listino da affiancare alla scheda elettorale delle regionali, per dare ai cittadini la possibilità di sapere chi sono i nominati dai partiti che faranno sia i consiglieri regionali che i senatori. Il tutto al di fuori dell’articolo 2. “Non si riparte da zero”, ha detto ieri Renzi con l’intenzione di ripeterlo questa sera nella riunione con i senatori del Pd.

E oggi, in attesa di una risposta ufficiale di Grasso, nella cerchia del premier si confida che il presidente “non potrà mettersi contro la presidente della Commissione Affari Costituzionale, Anna Finocchiaro”. La quale ha parlato dopo la riunione dell’ufficio di presidenza, scandendo che “capovolgere l’impostazione degli articoli 1 e 2 della riforma non è possibile da un punto di vista regolamentare e rischia di disperdere la possibilità di raggiungere il traguardo. Delle modifiche si possono fare sui poteri del Senato senza mettere a rischio ciò che è stato già approvato in ‘doppia conforme’, ossia la composizione del Senato deve restare com’è altrimenti è il caos”. Chiaro.

Insomma, ragionano i più vicini al premier, Grasso non potrà contestare l’impostazione di Finocchiaro. Si aprirebbe un conflitto istituzionale. Ma mentre Renzi continua a confidare nel presidente, ancora non ha certezza matematica di come andrà a finire. Ecco perché i costituzionalisti a lui più vicini valutano tutte le possibilità in campo: in extremis, il governo può porre la questione di fiducia sull’articolo 2, solo su questo articolo visto che il regolamento non permette di votare con fiducia l’intero ddl costituzionale. Alle brutte, si farà così per salvare il cuore della riforma dagli ‘assalti’ dei 25 di minoranza Dem firmatari degli emendamenti che chiedono correzioni all’articolo 2. Perché, segnala uno dei capofila il senatore Vannino Chiti, è in quell’articolo che viene stabilita l’elezione indiretta dei senatori.

“Non so come si faccia a proporre senza arrossire listini di candidati che i cittadini non possono eleggere e presenza di diritto, giusta, dei presidenti delle Regioni in articoli che riguardano il procedimento legislativo o le indennità", spiega Chiti. “Senza modificare l'articolo 2 non è possibile un'intesa: non per pregiudiziali ma per serietà e rispetto della Costituzione”. Invece no, si può fare “con l'articolo 70 della Costituzione”, ribatte il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti. “Spero non si mandi tutto all'aria per scriverlo in un articolo invece che in un altro, noi non intendiamo intaccare l'articolo 2 su questo aspetto, perché è fondamentale e perché facendolo attirerebbe migliaia di emendamenti. Successivamente attraverso la legge elettorale si regolerà il meccanismo di selezione dei nuovi senatori".

La diatriba continua e non si risolverà a breve. Men che meno con la riunione dei senatori con Renzi. Su questo tutti convengono. Il governo resta appeso alle decisioni di Grasso. Valutando bene anche il piano B: la fiducia sull’articolo 2 per mettere con le spalle al muro la minoranza Pd e quanti vorrebbero fare sgambetti alla maggioranza in Senato.

Edited by Rotwang
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L'Huffington Post

 

Per uscire dall’impasse sulle riforme costituzionali Matteo Renzi ha un piano B: porre la questione di fiducia sull’articolo 2 del ddl Boschi (...)

 

Che io sappia, sarebbe la prima volta che un Governo pone la questione di fiducia su un ddl di revisione costituzionale.

Neppure Berlusconi arrivò a tanto, il che è tutto dire.

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A proposito di Italicum, bell'intervento di Paolo Maria Napolitano sul corriere di oggi.

 

Per ora in rete ho trovato solo questo riassunto sul sito di Gad Lerner.

 
 

Sul “Corriere della Sera” di venerdì 11 settembre 2015 l’ex giudice della Corte costituzionale Paolo Maria Napolitano, in carica dal 2006 fino al luglio 2015, è intervenuto per rilevare la possibile incostituzionalità dell’Italicum. Il problema è l’eccessiva distorsione della rappresentanza provocata dal ballottaggio della nuova legge elettorale, che assegna il 54% dei seggi della Camera dei Deputati alla lista vincitrice dello spareggio nazionale. Il nuovo sistema elettorale, votato a maggioranza da PD e alleati centristi, prevede un premio di maggioranza da 340 seggi alla prima lista capace di superare il 40%. Se nessuna lista raggiunge questo risultato, le due più votate concorrono per lo stesso premio di maggioranza in un ballottaggio. Benché il territorio nazionale sia diviso in 100 collegi, l’elezione di tutti i 630 deputati dipende dalla competizione di un unico collegio nazionale. Paolo Mario Napolitano spiega con efficacia i possibili dubbi di costituzionalità dell’Italicum, un opinione autorevole visto che si tratta di uno dei magistrati che, come l’attuale presidente della Repubblica Sergio Matarella,  faceva parte della Consulta nel dicembre 2013, Con la sentenza numero 1 del 2014 la Corte costituzionale aveva bocciato il Porcellum, e secondo Napolitano uno dei due vizi della legge “Calderoli”, un eccessivo premio di maggioranza. L’ex magistrato della Consulta parla di nel probabile rischio di incostituzionalità. Per Napolitano il secondo turno dell’Italicum potrebbe permettere a una forza elettorale del 25% di ottenere una sovrappresentazione del 30% dei seggi grazie alla vittoria nello spareggio. “Dubbi di ben più ampie proporzioni suscita la seconda ipotesi, che l’attuale frammentazione del quadro politico rende probabile che si realizzi. Se al ballottaggio tra due forze che hanno ottenuto al primo turno tra il 20 ed il 25% dei suffragi si recasse alle urne meno della metà del corpo elettorale potrebbe prevalere una formazione politica che ottenga, in cifra assoluta, più o meno lo stesso numero di suffragi conseguiti precedentemente. Si può ritenere una corretta applicazione delle regole democratiche l’attribuzione a questa formazione di un premio di maggioranza superiore al 30% dei seggi? Il ballottaggio non può essere ritenuto uno strumento di per sé legittimante, a prescindere dai voti che ottenga la formazione che in esso prevale”. Napolitano rimarca poi due profonde differenza tra i sistemi maggioritari di alcune grandi democrazie occidentali, come USA, UK e Francia, e l’Italicum. ” La differenza è fondamentale, dato che è inevitabile che forze politiche con un limitato seguito bilancino l’eventuale vittoria in un collegio con la sconfitta in un altro. La seconda differenza è che mentre nelle democrazie che adottano il maggioritario la circostanza che un partito ottenga la maggioranza assoluta dei seggi è un evento favorito ed auspicato, ma non reso obbligatorio dalla legge, da noi è un risultato che si viene ad imporre forzatamente a prescindere dalla consistenza della forza politica”. Il giudice Napolitano consiglia un possibile rimedio per la probabile bocciatura dell’Italicum, ovvero assegnare il premio di maggioranza del ballottaggio solo se la  lista vincitrice otterrà un risultato superiore (anche se non specifica di quanto) rispetto a quanto conseguito al primo turno.

 
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la Repubblica

 

LA MARCIA di Matteo Renzi al governo procede senza scosse e senza accelerazioni particolari. Da tempo non riesce più a sollevare entusiasmo. Le speranze, attorno a lui, si sono raffreddate. Ma, per ora, non sembra in pericolo. Le vicende politiche interne e le emergenze esterne - per prima: la vicenda drammatica dei profughi - non hanno indebolito il sostegno al governo. Questa, almeno, è l'idea che si ricava dal sondaggio dell'Atlante Politico condotto nei giorni scorsi da Demos per Repubblica. Oggi, infatti, Renzi appare un leader senza alternativa, anche se è incalzato da opposizioni che hanno basi ampie e radicate. Il PD resta, comunque, il primo partito, fra gli elettori. Conserva il livello di consensi rilevato prima dell'estate. Anzi, lo migliora, seppure di poco. Supera, infatti, il 33%. Seguito, a distanza, dal M5s. Che si avvicina al 27%, il dato più elevato, da quando è sorto (secondo l'Atlante Politico). Dietro di loro, la Lega di Salvini staziona, intorno al 14%. Ma supera, per la prima volta, in modo netto, Forza Italia. Più che per meriti propri, per demerito del partito di Berlusconi, che scivola all'11%. Il minimo da quando, oltre vent'anni fa, è "sceso in campo", trainato dal suo leader e padrone. Tra le altre forze politiche, si osserva il declino dei centristi NCD e Udc. Ormai ridotti ai minimi termini (meno del 3%).

 

Anche il PD di Renzi, in caso di elezioni con il nuovo sistema elettorale, l'Italicum, appare comunque lontano dal 40%. La soglia prevista per conquistare la maggioranza dei seggi al primo turno. Dovrebbe, dunque, affrontare un ballottaggio, nel quale, secondo le stime del sondaggio di Demos, nessuno dei possibili sfidanti sembra in grado di batterlo. Tuttavia, solo nei confronti della Lega il distacco del PD appare largo. Quasi 30 punti. Di fronte al M5s oppure contro un "cartello" di destra, che riunisse Lega e FI, il PD si affermerebbe, ma non di larga misura. Sfiorando il 54%.

 

Nell'insieme, non si colgono segni di svolta né di grande cambiamento, in questo sondaggio. Semmai, la conferma di una fase di fragile stabilità. Ribadita dagli orientamenti verso i principali leader. Anche in questo caso, Matteo Renzi primeggia. Ma si attesta sugli stessi livelli degli ultimi mesi. Il 42%. È, dunque, il "preferito" fra gli elettori. Davanti a Matteo Salvini, in sensibile calo di gradimento personale. E a Giorgia Meloni. Che dispone di un consenso assai maggiore del proprio partito. È, invece, interessante osservare come Luigi Di Maio ottenga un indice di fiducia superiore a Beppe Grillo, fra gli elettori nell'insieme. Nella base del M5s, il fondatore  -  e "amplificatore"  -  risulta, però, ancora il più apprezzato (da circa il 70%). Ma Di Maio, il successore più accreditato, dispone anche qui di un livello di gradimento, comunque, ampio, prossimo al 60%. Segno che il M5s si è, in parte, autonomizzato da Grillo. Comunque, non è più identificato solo con la sua figura. E, probabilmente, anche per questo mantiene una base di consensi molto ampia.

 

Così, Renzi e il suo governo procedono in mezzo a molte difficoltà, ma non ne sembrano penalizzati in misura eccessiva. Il gradimento del governo, come quello personale del premier, è sceso di oltre 10 punti rispetto a un anno fa. Ma dall'inizio dell'anno appare stabile. E, negli ultimi mesi, perfino in lieve crescita. Sopra il 40%. La valutazione sulle principali politiche del governo, peraltro, non è peggiorata. In alcuni casi, anzi, è perfino migliorata. In tema di lavoro, di fisco. Ma, soprattutto, in tema di immigrazione. Argomento della lettera inviata dal premier a Repubblica. L'ondata degli sbarchi, l'emergenza dei profughi, negli ultimi mesi, non sembrano aver danneggiato l'immagine del governo e di Renzi. Al contrario. Infatti, la quota di cittadini che vede negli immigrati un "pericolo per la sicurezza" oggi è poco più di un terzo della popolazione. Il 35%. In giugno era il 42%. Le immagini del grande esodo dall'Africa e dalla Siria verso l'Europa hanno modificato il sentimento popolare, oltre che l'atteggiamento di molti leader di governo (per prima: Angela Merkel). Così, alla paura e all'ostilità si sono sostituite l'apertura e la pietà. E se, fino a pochi mesi fa, tra gli italiani gli sbarchi erano considerati un'invasione, da respingere, erigendo muri e barriere, oggi prevale il sentimento  -  e l'orientamento  -  di "accoglienza". Sostenuto da oltre il 60% degli intervistati: ben 20 punti in più rispetto a giugno. Una vera "svolta d'opinione".

 

Nella politica italiana, dunque, si annuncia un autunno tiepido. Con un leader solo al comando, circondato da opposizioni che faticano a presentarsi come vere alternative di governo. Il M5s: è canale dell'insoddisfazione popolare. Ma anche soggetto di controllo democratico a livello centrale e locale. La Lega di Salvini: appare sempre più Ligue Nationale. Versione italiana del Front National di Marine Le Pen. Che, tuttavia, si è affermata interpretando le paure degli elettori moderati. Forza Italia, infine, declina, in modo inevitabile e inesorabile, insieme al leader che l'ha inventata. E da cui non può prescindere.

 

Matteo Renzi, dunque, prosegue la sua marcia. Aiutato dalla ripresa positiva del mercato e dell'economia. Dalla timidezza degli avversari. Visto che l'opposizione più insidiosa, oggi, appare quella "interna" al PD.
Così, il 46% degli elettori, ormai, ritiene che governerà fino alla scadenza naturale della legislatura. Il dato più elevato da quando è in carica. A differenza del passato, paradossalmente, ciò avviene proprio quando sembra avere smesso i panni del velocista. Del leader ipercinetico, sempre in movimento, una riforma dopo l'altra, un "fatto" dopo l'altro. Mentre, al contrario, ha rallentato la corsa, ridimensionato le pretese. Il linguaggio. Renzi. Un premier (più) lento, che riflette il sentimento di un Paese stanco. Di miracoli e di promesse.

Edited by Rotwang
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la Repubblica

 

Un Pil rivisto al rialzo sul 2015, "dallo 0,7 allo 0,9 per cento". Ad annunciarlo è il presidente del consiglio, Matteo Renzi, durante la registrazione della puntata di Otto e Mezzoche andrà in onda questa sera. Un'intervista durante la quale esclude di lasciare la segreteria del Pd - in risposta a Massimo D'Alema - e ribadisce: "Io farò al massimo due legislature. Se mi rieleggeranno, sarà l'ultima". Dichiarazioni rese dopo che oggi, a Palazzo Chigi, si è svolta una riunione di circa tre ore tra lo stesso premier, il ministro Pier Carlo Padoan, il sottosegretario Claudio De Vincenti e i rispettivi staff. Al centro della riunione la legge di Stabilità. Un rialzo, quello della previsione del Pil, che potrebbe portare fino a una maggiore disponibilità finanziaria di quasi 2 miliardi di euro, stando alle previsioni del Tesoro.
 
Finanziaria. E proprio a proposito di legge di Stabilità, il capo del governo sottolinea: "Ci sarà una manovra finanziaria da circa 27 miliardi di euro e non ci sarà nessuno sforamento di conto. Anzi, dal prossimo anno scende il debito. Diamo una notizia - ha ribadito -, dal 2016 il debito scende".

Sanità. "Sulla sanità - va avanti - se le cose vanno in una certo modo, male che vada in legge di Stabilità ci saranno le stesse cifre di quest'anno".

Flessibilità. "Utilizzeremo, e non del tutto, le clausole di flessibilità - prosegue -. Noi non sforiamo come fece invece la Germania nel 2003. E allora venne autorizzata da Berlusconi.  Noi non sforeremo".

Prodotto interno lordo. "L'Italia - è l'annuncio - ha previsto una crescita del Pil dello 0,7 per il 2015. Ma nell'aggiornamento del Def, che avremo al prossimo Consiglio dei ministri", la previsione "passerà dallo 0,7 allo 0,9".
 
Esodo migranti. A proposito del mancato accordo in Ue sulle quote, il capo del governo dichiara: "Io, sull'immigrazione, non ho mai visto l'Europa unita e ci ho fatto nottate: a luglio l'Italia con poche partnership, come Malta, era a dire di smettere di pensare che fosse solo il problema di pochi Paesi. C'è tanta strada da fare". Ma, ha aggiunto, "sembra che finalmente i colleghi Ue si siano convinti di tre cose insieme: centri di identificazione, politica di rimpatrio ma è fondamentale anche la cooperazione internazionale".

Il volo a New York. "Andare a New York per la finale con la Pennetta e la Vinci? Non potevo perdere e nemmeno vincere, è l'Italia che ha vinto. La fiera del Levante (a Bari, dove era atteso sabato scorso, ndr) c'è tutti gli anni, ci tornerò. Fosse stato calcio nessuno avrebbe detto nulla. Invece era tennis e in più tennis femminile. Due giovani donne del Sud che arrivano ad una finale del Grande Slam è una cosa talmente grande e straordinaria". Prosegue Renzi: "Se fosse stato calcio nessuno avrebbe fatto polemiche, mi viene quasi il sospetto che andare a vedere due tenniste abbia fatto storcere la bocca, se era la Nazionale i politici sarebbero andati, lo sport deve unire, non facciamo polemiche".


 

Criminalità. "E' macchiettistica - dice il premier - la rappresentazione che intere regioni sono in mano alla criminalità, è uno slogan. L'Italia deve smettere di raccontarsi come qualcosa di totalmente perso".

Replica a D'Alema. Non manca la risposta del premier e segretario del Pd alle parole di Massimo D'Alema: "Escludo - dice Renzi . che posso lasciare il timone del Pd, perché abbiamo deciso, come anche in Germania, che il capo del partito è il capo del governo. D'Alema dice che il Pd va male: ha preso il 42% alle europee, 17 regioni governate, e siamo al 34% che è il doppio della percentuale cui D'Alema ha lasciato i Ds. Mi considerano un usurpatore, ma ho vinto le primarie. Vedremo le prossime, se le perdo resterò a fare la minoranza".

Il futuro di Ncd. Sul futuro del Nuovo centrodestra e dinanzi all'ipotesi che gli alfaniani possano entrare nel Pd, Renzi risponde: "Se sono nell'Ncd li vedrà alle elezioni come Ncd. Ognuno alle elezioni si candida col partito suo, già nel Pd, dove siamo tanti, abbiamo problemi: figuriamoci se chiamiamo altri. Il Pd porterà quelli del Pd, Ncd quelli di Ncd, Fi quelli di Fi".

Presidenziali Usa. "Non credo che Donald Trump andrà molto lontano, non credo abbia le chance che gli attribuiscono i sondaggi, e dico anche per fortuna. Poi vedremo quello che accadrà alle elezioni americane - ha dichiarato il premier a proposito delle elezioni Usa 2016 -. Ma c'è anche un limite alla demagogia. Un modo serio e non fare il politico di professione: io faccio due mandati, se vengo rieletto poi dico basta, vado a casa".

Edited by Rotwang
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Corriere della Sera

 

«Tanto vale abolirlo». Una battuta? Nemmeno per sogno. Un segno della determinazione assoluta del presidente del Consiglio. Abolire cosa? Il Senato. Del tutto. Si può anche superare il bicameralismo perfetto in modo diverso dall’attuale: non trasformando Palazzo Madama in Camera delle autonomie territoriali, con alcune funzioni di garanzia costituzionale, ma appunto prevedendo nient’altro che una sua chiusura. 

Matteo Renzi ha già compiuto un’accelerazione improvvisa, inaspettata, nel decidere di portare subito in Aula, scavalcando i lavori in Commissione, la riforma istituzionale. Ora attende le decisioni del presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso, e la direzione di lunedì del Pd: dove si voterà una linea politica, dove chiederà come in altre occasioni «non disciplina di partito, ma lealtà e responsabilità» ai suoi parlamentari, e dove però si metteranno anche in chiaro alcune cose che forse non tutti hanno previsto, almeno finora. 
Se Grasso dovesse decidere di giudicare emendabile l’articolo 2, il discusso e contestato articolo che regola il sistema elettivo dei futuri senatori, su cui le Camere si sono già espresse due volte e che per il premier è sostanzialmente intoccabile, allora la contromossa potrebbe essere più che inattesa, addirittura clamorosa. 
Renzi lo ha già detto ai suoi, ne ha discusso con i vertici del partito, non ne fa mistero. Per lui toccare l’articolo 2, come vorrebbe la minoranza dem, significherebbe snaturare l’impianto complessivo, la coerenza, della riforma. Si aprirebbe, oltretutto, una sorta di vaso di Pandora, col rischio di mettere in gioco altri punti, ormai dati per assodati, del provvedimento. «E dopo 30 anni di discussioni», come direbbe Anna Finocchiaro, «di tutto abbiamo bisogno che di un mostro giuridico», concludono a Palazzo Chigi. 

Insomma il «tanto vale abolirlo» è al momento ipotesi residuale, subordinata, ma pronta a diventare addirittura linea politica, se le cose dovessero mettersi male. Ovviamente se Grasso giudicasse inemendabile l’articolo 2, come ha già fatto Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, allora tutto si sgonfierebbe in un attimo. Viceversa il premier è pronto a presentare lui stesso, cioè il governo, degli emendamenti (o farlo fare ad un pezzo del suo partito): molto più drastici di quelli che finora sono stati oggetto di divisioni e incomprensioni all’interno della maggioranza. 
Del resto una correzione totale di rotta del suo partito, e degli altri partiti della maggioranza, sarebbe facilmente spiegabile agli elettori: una Camera al posto di due, costi della politica dimezzati, semplificazione istituzionale. Insomma una riforma della Costituzione molto più netta e drastica, sistema monocamerale, punto e basta. 

La preoccupazione del premier, e con lui del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, e di tutti coloro che hanno lavorato in questi mesi al testo in discussione in terza lettura al Senato, è infatti proprio questa: ad oggi il testo di riforma ha una sua coerenza organica, l’ipotesi di modifiche non concordate, non bilanciate in un preciso disegno politico, comporta il rischio di un brutto lavoro o di una brutta riforma, così come accadde con il Titolo V della Costituzione, che ora si vuole correggere. Nella direzione di lunedì prossimo Renzi chiederà un voto, richiamerà il partito ad una linea politica unitaria, dirà che quella che ha davanti il Pd è un’occasione straordinaria di semplificare il sistema istituzionale italiano, dopo decenni di discussioni infruttuose. «Noi intendiamo andare avanti perché è una riforma di cui il Paese ha bisogno ed è un percorso che abbiamo intrapreso più di un anno fa, riprendendo un dibattito ormai trentennale del nostro Paese», è stata ieri la sintesi di Lorenzo Guerini, vicesegretario dem. Ma se si aprisse il vaso di Pandora degli emendamenti, allora il premier sarebbe pronto a prendere decisioni radicali. 

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  • 2 weeks later...

Le leggi si approvano con delle maggioranze e queste maggioranze vanno costruite attorno a delle proposte che abbiano il consenso di una maggioranza parlamentare.

 

Poi il ius soli puro si presta a dei rischi, ad esempio potrebbe attirare persone che intraprendono viaggi anche in clandestinità solo per venire in italia a partorire per far ottenere automaticamente al figlio la cittadinanza italiana.

 

Mi sembra più ragionevole mettere delle clausole come la necessità che i genitori abbiano un regolare permesso di soggiorno o che il figlio abbia completato almeno un cliclo di studi.

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Le leggi si approvano con delle maggioranze e queste maggioranze vanno costruite attorno a delle proposte che abbiano il consenso di una maggioranza parlamentare.

 

Poi il ius soli puro si presta a dei rischi, ad esempio potrebbe attirare persone che intraprendono viaggi anche in clandestinità solo per venire in italia a partorire per far ottenere automaticamente al figlio la cittadinanza italiana.

 

Mi sembra più ragionevole mettere delle clausole come la necessità che i genitori abbiano un regolare permesso di soggiorno o che il figlio abbia completato almeno un cliclo di studi.

 

Il PD si comporta da partito di Centro, perché nel Centro-Sinistra il tuo ragionamento lo fanno in pochi. Sono sempre più convinto che l'unico vero partito di Centro-Sinistra rimasto sia SEL.

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