Jump to content

Essere un uomo


Lyronesium

Recommended Posts

Copio qui l'articolo ché forse non tutti riescono a leggerlo: 

HOUSTON. L'inizio è a casa nostra, è il dopo pranzo e siamo in quattro, buttati in terra sul tappeto. Più mio figlio, due anni compiuti da poco, che erige torri colorate con grande impiego di concentrazione. Pezzo di Lego dopo pezzo di Lego la torre sale su, e a fine costruzione lui l'abbatte con un gesto. Dopo ride. Poi ricomincia, e così via per un buon quarto d'ora ciclico di creazione e distruzione. A turno lo aiutiamo quando l'incastro dei pezzi non funziona. Ci siamo spostati dalla tavola al tappeto senza soluzione di continuità, recintando con i nostri corpi un parco giochi.

Il tema è la lingua inglese, che tutti e quattro usiamo in università, anche se per alcuni di noi non è la lingua madre. In verità il cuore della questione è la faglia che da sotto sentiamo che la smuove, lo scompenso che nella pratica comporta la nuova correlazione tra generi e pronomi. Quando entriamo in classe abbiamo studenti e studentesse che, sintetizzando, rivendicano il diritto di vivere secondo il genere in cui si riconoscono - maschile, femminile, non binario - e non secondo le apparenze o il sesso che è stato loro assegnato alla nascita. E che chiedono che la grammatica si accordi a quel genere quando parliamo di loro con gli altri. Se una persona dall'apparenza maschile si riconosce nel femminile, ad esempio, starà a me formulare di conseguenza la frase. Dirò she, userò her, per il possessivo. 

Lì, buttato sul tappeto di casa nostra, denuncio la fatica di stare dietro a tutto questo. Guardo nostro figlio, lo vedo distruggere una torre, dico come una facezia che in lui l'istinto maschile mi pare piuttosto sviluppato, che non credo avremo da lavorare sui pronomi. Sento che la frase, così come la pronuncio, arriva dal secolo passato, ma ormai è tardi e l'ho già lasciata andare. E infatti la conseguenza sono alcuni minuti più complessi, in cui la nostra collega - un'attivista, in qualche modo - tiene male a bada la tensione. Poi dice che al contrario bisognerebbe cominciare proprio dai bambini, usare per ciascuno di loro il pronome they, un neutro in inglese, invece di he o she, evitare cioè di chiuderli dall'inizio in un pronome. 

Blu o rosa?

Insegno in un'università americana progressista di Houston, un'isola liberale nell'oceano conservatore  - non di rado filo-trumpiano - del Texas, quasi sempre tra i primi stati per numero di transessuali morti ammazzati. Dal 2010 al 2016 Houston ha avuto una sindaca dichiaratamente lesbica, Annise Parker, cui è succeduto un sindaco afroamericano, Sylvester Turner, che attualmente governa la città. E però a tre ore di qua, a Austin - una delle capitali hipster d'America - il governatore del Texas, Greg Abbott, delibera una legge che vieta agli studenti transgender di partecipare alle competizioni sportive. Contemporaneamente il senatore repubblicano Matt Krause si appella alla Texas Education Agency per mettere al bando centinaia di libri, nelle biblioteche scolastiche, con al centro questioni razziali e di genere perché "osceni" e "pornografici". La pietra dello scandalo, o meglio il pretesto, è Gender queer: a memoir, un graphic novel autobiografico di Maia Kobabe. 

Così mentre in tutta l'America esplode la moda del "gender reveal party", con cui i genitori annunciano al mondo il sesso dei figli con fuochi d'artificio blu o rosa che a volte si trasformano in incendi, le università americane ribollono di rivendicazioni. Chiedono di essere chiamati con il pronome che hanno scelto, di avere bagni dedicati, di avere diritto di parola. Chiedono in sostanza di essere visti, e hanno preso la parola con il piglio di chi detta legge, perché sentono il potere che hanno. Dalla California al Texas, dal Connecticut alla Louisiana, entrare in classe significa sapere che le persone sedute di fronte a te hanno qualcosa da dire su sé stesse e che sta a te tenerne conto. Sono state educate sin dall'infanzia al credo che è il cliente che comanda, e ora lo usano come strumento di lotta, di emancipazione. Siamo noi che paghiamo, adesso stateci a sentire.

Voglio essere neutral

Io entro in classe due volte a settimana, per insegnare creative writing. Di fronte ho un gruppo di ragazzi che, di base, si sono iscritti per trovare le parole giuste per parlare di sé in uno spazio - quello della scrittura - di libertà assoluta. L'assunto di base del mio corso - incentrato sul confessional writing - è che qualunque cosa gli altri abbiano da dire su di te, l'unica persona che può davvero dirlo sei tu. E che non c'è nulla di peggio che tenersi in pancia la verità su di sé, perché alla lunga quel segreto comincia a ticchettare. E un giorno fatalmente esploderà. 

La frase che fa da stella polare a ogni lezione è di Anne Carson: "Se non sei la persona libera che vorresti essere, trova il posto per dirlo. Per dire come stanno le cose per te". Arriva da una sua poesia intitolata Candor. Il candor della lingua inglese è quella verità su di sé che è peccato non dire. I testi che i ragazzi leggono, e di cui discutiamo, sono di Annie Ernaux, Joan Didion, Ocean Vuong, Emmanuel Carrère, Yiun Li, e dell'ineludibile Kafka. I testi che scrivono contengono tentati suicidi, violenza domestica, abusi, incomprensioni familiari sui propri orientamenti sessuali. "Chiamami con il pronome che vuoi", è una battuta che può stare in un dialogo qualunque in uno dei loro testi, in una conversazione tra ragazzi. "Ti fanno paura gli angeli?", è un altro passaggio che ricordo, una lite in macchina tra un padre e una figlia che gli urla che vuole essere neutral

La scusa europea

I miei studenti non mi correggono mai, parlo in classe della mia difficoltà. Loro ridono, l'essere europeo non so se rappresenti un'attenuante, ma so anche che dirlo è troppo comodo, per cui dopo averlo detto poi non lo ripeto più. Ma nei loro racconti la questione è centrale, per molti è ineludibile. Ogni tanto chiedo loro aiuto ma non forzo mai, non insisto, so che non posso, so che tutto questo, come ogni forma di rivendicazione identitaria negli Stati Uniti, sta in rapporto con la questione razziale, con la macchia della schiavitù. Il cui assunto di base è che non devono essere i neri, non chi è parte di una qualsiasi minoranza vessata, bullizzata, assassinata, a spiegare alla maggioranza che li vessa come comportarsi. 

Non è un caso che l'hashtag #blacklivesmatter sia stato lanciato da tre donne afroamericane (Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi), di cui due si identificano come queer, e che dall'omicidio di George Floyd in poi ci sia una galassia che si muove spesso insieme, per comune vocazione più che per alleanze formali. E che dice, in buona sostanza, che ogni abuso che ha le sue radici nell'identità va sorvegliato, diffuso fino a produrre una reazione nella società civile. Che il punto della questione è presidiare, e che Darnella Frazier, la diciassettenne che riprese con il telefono e poi diffuse il video della morte di George Floyd ammazzato da un poliziotto bianco a Minneapolis, è stata solo la prima di milioni di retweeters grazie ai quali l'America ha reagito. E che in strada sono scesi tutti insieme. Che a difendere un nero o un transessuale dall'essere ammazzati solo perché tali, è fondamentale che ci siano milioni di persone, uomini e donne, bianchi e neri, omosessuali, eterosessuali, non binari, cittadine e cittadini. 

N-word

Compresi gli studenti e la loro rivoluzione dei pronomi, che avviene in un Paese in cui il termine N-word, la parola che ha sostituito il dispregiativo razziale, nacque negli anni Novanta proprio nelle università per poi diffondersi virale per i campus americani, fino a diventare l'unica possibile dovunque. L'istituzione universitaria in cui insegno ha una "Task force sulla schiavitù, la segregazione e l'ingiustizia razziale" composta di docenti e studenti e insieme ha una Transgender & Gender Non- conforming Student Resource Guide. L'una che sorveglia che non ci siano discriminazioni razziali, l'altra che non ce ne siano di genere. Dentro la guida ci sono informazioni di ordine pratico, relative al cambio del nome, sul documento di identità, sulla patente di guida, sul libretto universitario. Ci sono indicazioni sull'assistenza sanitaria connessa a eventuali operazioni chirurgiche o terapie ormonali, c'è una mappa del campus in cui è possibile individuare, edificio per edificio, i bagni, i "gender neutral restroom". E insieme l'indicazione, sempre nel campus, di spazi di supporto psicologico, come il Queer Support Center, o di organizzazioni fuori dal campus, come il Montrose Center, vera scialuppa di salvataggio, in pandemia, porto franco per i transessuali finiti in mezzo alla strada o bisognosi di proseguire terapie mediche impossibili altrove.

Ora, il discorso comune vuole che questa, tra i ragazzi e le ragazze dei campus americani e nel mondo, sia soltanto una moda. E che le università americane siano compiacenti o terrorizzate dalle eventuali ripercussioni sui social media.  Io non so dire se nelle istituzioni ci sia più supporto o timore, né se tra i ragazzi e le ragazze nei campus la fluidità sia un trend, un esperimento o la semplice espressione di sé, fin qui troppo a lungo negata. E non mi sembra questo il punto. Perché le istituzioni e i ragazzi sono fatti di singoli, che non hanno idee comuni. "Sono confusa quanto lo è lei, professore", mi ha detto un giorno una studentessa che prima si identificava con they e ora con he/she, ma in classe preferisce she. "Ma tutto questo mi piace!". 

Potere della letteratura

Davvero è un problema, mi chiedo, la fatica a capire un codice nuovo, il non sapere come comportarsi? Faccio fatica, io, certo. Sbaglio, mi blocco in mezzo a una frase, mi fermo davanti a un possessivo. Vorrei dire her story, parlando della storia di una studentessa, e poi invece faccio un giro, decido di rivolgermi a lei dicendo your story. Faccio fatica, faccio errori, provo strade differenti. Non conosco il linguaggio, perché si muove. Ma insegno che il punto della letteratura è la metamorfosi, che è per questa ragione che scrivere sarà sempre una bomba messa sotto la sedia del potere, perché avrà alla base la spinta al candor, a dire come stanno le cose per noi. 

Soprattutto insegno due volte a settimana che gli scrittori e le scrittrici reinventano ogni giorno il linguaggio per il semplice fatto che si sentono estranei nelle frasi con cui si identifica una norma. Che scrivere è dare una casa a ciò che non ha una casa nella norma. E quindi non può che essere naturale stare dalla parte di una generazione che, ciascuno come può, sorveglia, propaga, difende ogni giorno i diritti di chi deve rinnegarsi per sopravvivere o per non finire ammazzato dai "normali".

La fine di questa storia non c'è, perché è, per l'appunto, tutto in movimento, perché la questione centrale è guardare l'altro, ridefinirsi di continuo, e perché io stesso vivo in mezzo a questo. E forse perché c'è questa generazione che dice, di fatto, che il mondo che ha ereditato è fuori controllo su ogni fronte. E almeno su una cosa - dire chi si è - vorrebbe avere il controllo, e provare a cambiare la struttura della frase. 

Tra queste persone ci sarà anche nostro figlio, che a due anni ogni tanto ci chiede - in italiano o in inglese a seconda dell'interlocutore - chi tra i suoi compagni dell'asilo nido è un bambino e chi è una bambina. E che un giorno ci ha detto "sono quasi una bambina", e entrambi, con una minima ma consapevole resistenza della lingua, non abbiamo detto "sei un bambino".

Link to comment
Share on other sites

3 minutes ago, freedog said:

ci possiamo inventare tutte le schwa del mondo, ma saran sempre solo tentativi (vedremo quanto riusciti) di inventarci qsa che manca

Più che altro è un cambiamento abbastanza grande, e dubito che andrà in porto. Se dovesse succedere, sicuramente accadrà fra un bel po' di anni. La lingua si trasforma sempre, vediamo se la schwa sarà una di queste trasformazioni.

9 minutes ago, schopy said:

Copio qui l'articolo ché forse non tutti riescono a leggerlo

Grazie, perché non lo faceva leggere ai non abbonati.

Link to comment
Share on other sites

2 hours ago, Lyronesium said:

La lingua si trasforma sempre, vediamo se la schwa sarà una di queste trasformazioni

Nel caso della schwa, sarebbe un grafismo, visto che non ha pronuncia. Devo capire ancora perche' preferirla all'asterisco che si era usato finora, ma vabbe'.

Dettagli...

Link to comment
Share on other sites

21 minutes ago, freedog said:

Nel caso della schwa, sarebbe un grafismo, visto che non ha pronuncia. Devo capire ancora perche' preferirla all'asterisco che si era usato finora, ma vabbe'.

Dettagli...

Sembra che invece ldo schwab abbia probuncia, anche se non ho capito come in italiano.

Link to comment
Share on other sites

12 minutes ago, marco7 said:

Tu @Lyronesium lo sai pronunciare bene ?

 

No. Non che mi ci sia mai messo, dato che non la uso mai.

8 minutes ago, freedog said:

cioè?

Hai mai sentito un tizio che non sa il calabrese, imitarlo? Ecco uguale. E' una specie di e gutturale. Se vuoi su youtube ci sono vari video.
Prova a pensare alla vocale di quando dici "the" in inglese. 
 

Edited by Lyronesium
Link to comment
Share on other sites

Stesso mio problema. Bisognerebbe avere dei video in cui persone di madrelingua italiana lo usano in frasi alla fine delle parole italiane per vedere che dicono.

Link to comment
Share on other sites

12 hours ago, Lyronesium said:

Credo di sì, ma se parliamo di questo caso allora non correggerei un bambino che afferma di essere una bambina, come non correggerei quello che afferma di essere un cacciabombardiere.

Convengo che non si possa parlarne così in astratto, come dici "troppe cose da analizzare".

Tenendo per un momento da parte le preoccupazioni pedagogiche, quel che mi rimane dalla lettura dell'articolo è, comunque, una certa confusione a proposito del fenomeno nella sua interezza 🙂 

Link to comment
Share on other sites

11 hours ago, freedog said:

In italiano il neutro non c'e'; ci possiamo inventare tutte le schwa del mondo, ma saran sempre solo tentativi (vedremo quanto riusciti) di inventarci qsa che manca

In teoria qualsiasi mutazione è possibile in una lingua, quando la imponga l'uso della gran parte dei parlanti, quindi anche la formazione d'un neutro, prima inesistente, per opportunità di significazione.

Tuttavia normalmente le lingue procedono per semplificazione, almeno in ambito popolare, perché in ambito dotto di solito fanno il contrario, e dunque reintrodurre il neutro sarebbe difficile, se non altro perché si dovrebbero mutare le desinenze delle declinazioni o addirittura troncarle con notevoli effetti sull'intelleggibilità delle frasi.

D'altronde queste cose non si fanno a tavolino per studio ed imperio di pochi, come dimostra il caso dell'Esperanto, lingua composita e fors'anche razionale, ma non parlata né scritta, sì che la sua pretesa universalità s'è infranta sugli scogli della lingua inglese, diffusamente usata.

Peraltro affermare che i problemi d'inferiorità sociale o giuridica o morale d'un sesso rispetto all'altro si possano risolvere con artifici linguistici o retorici  mi pare faccia torto all'intelligenza delle persone, se non altro perché i generi maschile e femminile della lingua per sé stessi indicano semplicemente la differenza di sesso, ma non implicano alcuna necessità di discriminazione, la quale del resto potrebbe sussistere anche se la lingua fosse rigorosamente neutra:

infatti la lingua inglese ha pochissime distinzioni tra maschile e femminile, credo siano limitate ai pronomi personali, ma non mi risulta che nei secoli passati le donne inglesi abbiano avuti più diritti civili o politici o più considerazione sociale che in Italia.....

 

 

15 hours ago, Lyronesium said:

non correggerei un bambino che afferma di essere una bambina, come non correggerei quello che afferma di essere un cacciabombardiere.

Be', se non sei interessato a lui, è anche opportuno che tu non lo corregga, ma, se fosse tuo figlio od il tuo alunno, forse alla correzione ti sentiresti non solo interessato, ma anche obbligato, posto che tu reputassi d'aver qualche cosa da correggere:

nel caso ad esempio del cacciabombardiere, l'affermazione potrebbe implicare che il bambino aprisse la finestra e si gettasse giù con le braccia distese, il che, se non abitasse al piano terreno, potrebbe avere effetti perniciosi sulla sua salute, della cui menomazione tra l'altro il padre od il tutore  potrebbero essere chiamati a rispondere a norma di legge.

E' peraltro vero che alcuno potrebbe sostenere che l'interesse del bambino di esprimere liberamente quel che sente di sé, seppur sia contrario all'opinione comune, prevalga in ogni caso su ogni altro interesse, compresa la salute fisica del pargolo stesso:

nel caso estremo l'anima sua sarebbe infatti sciolta dalla prigione del corpo e potrebbe, liberata, ritornare al suo creatore divino sull'ali.... del bombardiere immaginato....

 

Link to comment
Share on other sites

25 minutes ago, Mario1944 said:

Be', se non sei interessato a lui, è anche opportuno che tu non lo corregga, ma, se fosse tuo figlio od il tuo alunno, forse alla correzione ti sentiresti non solo interessato, ma anche obbligato, posto che tu reputassi d'aver qualche cosa da correggere:

Sì, l'immagine che davo io era qualcosa di isolato. Se vogliamo parlare della sua educazione in toto, allora bisognerebbe insegnargli il buon senso,  ma spesso questo non implica fargli abbandonare una fantasia o altro.

Link to comment
Share on other sites

Il problema è che le fantasie possono essere molto pericolose per noi stessi e per gli altri, benché sia indubitabile che stabilire quale sia il limite alla fantasia posto dal buon senso non è per sé facile e tanto meno è facile in una temperie di grandi mutamenti etici e sociali qual è quella presente.

Link to comment
Share on other sites

On 2/5/2022 at 2:19 AM, freedog said:

Nel caso della schwa, sarebbe un grafismo, visto che non ha pronuncia. Devo capire ancora perche' preferirla all'asterisco che si era usato finora, ma vabbe'.

Dettagli...

evidentemente non sono l'unico ad avere sti dubbi..

https://www.corriere.it/cronache/22_febbraio_08/schwa-petizione-d27f1dca-886d-11ec-8804-7df4f9fb61d8.shtml?fbclid=IwAR2MuKOTG8K70UHw9vqcWoxYUVeeaseD-_iqmhvjKFgu6slyC00SClznfTs

Link to comment
Share on other sites

Saramandasama
46 minutes ago, freedog said:

E però una petizione contro qualcosa che si dà/dava per impossibile da attecchire nella lingua italiana, fa pensare, nevvero!

In realtà, contro ogni aspettativa, da quello che si vede in giro, tra i giovani glbt e i duemila, l’uso dello scevà si sta affermando abbastanza. Altro che i cambiamenti linguistici impiegano secoli..[…]
Nato come cazzeggio pseudo-sociolinguistico della Vera Gheno, ad dover essere arginato con una raccolta firme.

Già ha vinto!

Staccə!

Edited by Saramandasama
Link to comment
Share on other sites

4 hours ago, freedog said:

evidentemente non sono l'unico ad avere sti dubbi..

La regola sarà stabilita dai parlanti, come sempre, ma, considerata l'estraneità del singulto gutturale ai suoni finora consueti nella nostra lingua, non pare probabile che accadrà nei prossimi decenni, se mai accadrà.

A coloro tuttavia che esigono che già sia fatta vigere una perfetta parità tra maschi e femmine anche nelle allocuzioni possiamo ricordare la formula di cortesia da gran tempo usata:

"signore e signori" 

la quale per scritto, in ossequio alla sempre richiesta brevità, si può ridurre a:

"signore/i"

così che siano salve insieme la brevità della significazione, la parità dei generi e la cortesia verso il gentil sesso.

 

Link to comment
Share on other sites

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Unfortunately, your content contains terms that we do not allow. Please edit your content to remove the highlighted words below.
Reply to this topic...

×   Pasted as rich text.   Paste as plain text instead

  Only 75 emoji are allowed.

×   Your link has been automatically embedded.   Display as a link instead

×   Your previous content has been restored.   Clear editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

×
×
  • Create New...