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Sulla felicità come fine


Isher

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[modbreak=yrian]Segnalo il topic correlato La felicità è un dono o una conquista?[/modbreak]Il fine della vita è la felicità?Non credo. Non è possibile. Per essere felici, bisogna non provare infelicità: evitare, quindi, l'infelicità.Ma allora bisogna non essere toccati dalla morte della madre, dall'improvvisa malattia del padre, dal dolore che può toccare un amico, un fratello, un parente: il proprio compagno, le persone che si amano. O, se non essere toccati, non farsene troppo coinvolgere - il che è forse peggio. Felicità significherebbe anche dimenticare, il più possibile. Ma, ammesso che sia possibile, e non curandosi se sia giusto o no, qual è il resto?Si può essere felici solo diventando un dio danzante oppure umanamente abbastanza orribili.  Il mio è un parere fra altri possibili, forse estremo, ma, secondo me, va all'osso. Dite la vostra.

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Il fine della mia vita è la felicità, condizione che però non mi illudo sia duratura. Chi crede che per esser felice si debba esserlo sempre non conoscerà mai la felicità.

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forse il vero problema nel tuo post non è domandarsi se la felicità sia o meno uno dei fini della vita, ma cos'è.La felicità non è riuscire ad evitare (per pura fortuna) il dolore, o essere poco 'umani' in modo da non soffrirne... è riuscire a godere di quei momenti felici che la vita ci offre, in differenti quantità, tra un dolore e l'altro, ed è, a mio avviso, proprio l'esistenza della sofferenza e del dolore che ci permettono di percepire la felicità...

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si il fine della vita dovrebbe essere la felicità. Ma la realtà che ci circonda fa cosi schifo da non poter mai raggiungere la felicità vera e propria, che duri una vita. Il segreto è cercare il più possibile di realizzare quel che può renderci felici ed essere alle volte un pò di pietra per non lasciarsi abbattere da tutto lo schifo che si incontra/si vede/si sente.

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La felicità ... è riuscire a godere di quei momenti felici che la vita ci offre, in differenti quantità, tra un dolore e l'altro
Mi dai ragione, allora: la felicità non è fine, in queste condizioni. Io non nego né il godimento, né l'esistenza di periodi più o meno lunghi di piacere e felicità, nego, o almeno dubito, che possa essere fine. A meno...(vedi sopra).
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Hinzelmann

Se la felicità è un fine della vita, vuol dire che non si è felici.Vuol dire pensare la felicità al futuro, come speranza di felicità.D'altronde, anche nel ricordo, la memoria di felicità è nostalgia.Nostalgia e speranza sono l'irruzione nel presente di felicitàaltrimenti assenti?D'altronde Sonnen ci dice: la felicità non può durare una vita, è unaillusione. L'illusione è la durata, non la speranza. Si può pensare lafelicità come speranza e raggiungerla a condizione di rinunciare allapaura di perderla. Mi pare si possa dirla così ed è una correzione sensata.Si può pensare ad una felicità non presente, sperando di provarla ancora.Questa felicità, la felicità che si prova, è una condizione esistenziale o una sensazione?Parrebbe una sensazione che già contiene il sentimento della sua fine.D'altronde se la felicità fosse un "principio vitale"' un principio non un fine, la felicità come pulsione, mi sembrerebbe qualcosa dimolto simile al piacere e quindi qualcosa di diverso.E' un bel casino... :DCredo di non venirne a capo

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Riporto un ragionamento tipico del poeta Giacomo Leopardi:Il fine della vita è la felicità che deve essere duratura, durare in eterno. Dato che nulla può durare in eterno perchè tutto è soggetto ai cambiamenti del tempo, l'uomo è costretto all'infelicità, o perlomeno ad una felicità solo temporanea.E in effetti... è proprio così... ragionando al limite, una persona può essere felice per tutta la vita, ma la vita, anche quella finisce prima o poi :love:

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L'illusione è la durata, non la speranza. Si può pensare lafelicità come speranza e raggiungerla a condizione di rinunciare allapaura di perderla. Mi pare si possa dirla così ed è una correzione sensata.Si può pensare ad una felicità non presente, sperando di provarla ancora.E' un bel casino... :DCredo di non venirne a capo
No, al contrario, hai introdotto un'importante distinzione, ma porti acqua al mio mulino, perché la felicità corretta è un'idea di felicità, non la felicità, è un concetto di concetto. Inoltre: se la felicità è speranza di felicità, allora la felicità scompare, è inglobata nella speranza: quel che prende il posto della felicità è la speranza. Potrei non essere d'accordo, se mi pongo dalla parte della felicità, ma posso essere interamente d'accordo, se mi pongo dalla parte della mia tesi che la felicità non può essere fine.
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Mah, forse lo scopo della vita è quello di farci provare tutte le migliaia di sfumature dei propri sentimenti ed emozioni.L'importante è non rendersi conto prima di morire di aver sprecato la propria vita...

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Mi dai ragione, allora: la felicità non è fine, in queste condizioni. Io non nego né il godimento, né l'esistenza di periodi più o meno lunghi di piacere e felicità, nego, o almeno dubito, che possa essere fine. A meno...(vedi sopra).
eh no... tu dici:
Per essere felici, bisogna non provare infelicità: evitare, quindi, l'infelicità.
e
bisogna non essere [...] dal dolore [...]. O, se non essere toccati, non farsene troppo coinvolgere - il che è forse peggio.
Io dico che il dolore e l'infelicità sono elementi fondamentali per la felicità stessa, ovvero devono esistere.Che poi non sia il fine della vita... su quello siam d'accordo ^^
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la felicità è un utopia..non si è mai realmente felici..il semplice star bene è una conquista..la felicità non esiste..e se esiste non dura mai tanto..

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Io dico che il dolore e l'infelicità sono elementi fondamentali per la felicità stessa, ovvero devono esistere.
SaintJust, sei cristiana?Aky_86: il tema del topic non è la felicità o se la felicità esista, amenità su cui non mi interrogherei, ma se la felicità possa realmente essere il fine della vita; se possa essere perseguita come fine della vita: e se per caso non lo sia - qui vorrei andare a parare - che cosa si possa mettere al suo posto (non il dolore e l'infelicità, beninteso)
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ops..ho cannato topic..allora rimediamo..ehm..credo che tutti noi siamo alla ricerca della felicità..viviamo cercando di rendere la nostra vita..una vita felice...star bene con noi stessi e con gli altri..cerchiamo in tutti i modi di essere felici raggiungendo i traguardi che ci prefiggiamo..quindi si la felicità è il fine della vita..

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SaintJust, sei cristiana?
ahahahah assolutamente no :rotfl:Se mi conoscessi sapessi che le mie idee sono di quanto più distante possa esistere dal cristianesimo... e sopratutto non credo che l'uomo sia nato per soffrire...Probabiolmente mi sono espressa male... penso solo che una cosa non possa esistere senza il suo opposto. felicità non è mancanza di dolore, è semplicemente ciò che riconosciamo come contrario di esso (e viceversa)... insomma... senza le ombre la luce che senso ha?Penso che se esistesse al mondo qualcuno capace di non soffrire mai questa persona non potrebbe mai conoscere neanche la felicità...
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Penso che se esistesse al mondo qualcuno capace di non soffrire mai questa persona non potrebbe mai conoscere neanche la felicità...
SaintJust, ti manca la nozione di apriori.Ora mi spiego. Sofferenza e Dolore non sono l'antitesi di felicità, ma, come ha già detto Almadel da qualche parte, di Piacere o Gioia. Qui sarei perfettamente d'accordo con te. Spesso penso che la cessazione del dolore (o l'assenza di dolore) sia la forma suprema di piacere: basta aver avuto un forte mal di denti e guarirne per rendersene conto, non parliamo di una malattia seria.Ma la felicità irrompe e non ha bisogno del suo contrario per essere conosciuta! Pensa al tuo primo amore! Alla felicità senza nome e pazzesca che tutto d'un tratto ti abita.Quindi il tuo ragionamento è - per me - sbagliato.E sei cristiana, mia cara... Così ti definirebbe Nietzsche. :D:love:
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ahahahah XDPenso che inizierò improvvisamente ad odiarlo Nietzsche :roll:Vedi qui dovrei scrivere un poema e ora non mi va ma... se ripenso al mio primo amore sento di esser stata felice perchè prima la mia vita era, elegantemente parlando, un letamaio... con tanto di maialini grufolanti XDOgni cosa è relativa, sentimenti compresi. La felicità, per me, non può essere felicità vera se non si conosce un qualsiasi controaltare, e quindi, non può esistere a priori da sola... come nulla al mondo. Anche perchè, sinceramente parlando, un tempo ero felice (e parlo di felicità vera) solo perchè nella mia giornata non capitava nulla, ora non è più così... ma è complicato, contorto e poco comprensibile.Sopratutto... partiamo dal presupposto che soffro di una forma (ora blanda) di ambivalenza, il che spiega un tantino meglio la mia impossibilità a scindere le cose :love:

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un tempo ero felice (e parlo di felicità vera) solo perchè nella mia giornata non capitava nulla, ora non è più così... ma è complicato, contorto e poco comprensibile.
No no, è perfettamente chiaro, ora. Il tuo discorso era molto concreto e personale e io non lo avevo capito, credevo piuttosto a una teorizzazione generale. Di qui le mie domande...e l'anatema di Nietzsche!
soffro di una forma (ora blanda) di ambivalenza, il che spiega un tantino meglio la mia impossibilità a scindere le cose  :love:
Ma che cos'è l'ambivalenza? Se hai voglia di dirlo, beninteso.
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Il fin della vita è la felicità.La vita è una costante ricerca della felicità.Mmmmmhh... è così no?Nel senso... che si tratti di guarire un insopportabile mal di denti o superare il dolore causato dalla perdita di una persona cara oppure molto più semplicemente trovare qualcosa da fare stasera per non annoiarsi come ieri o passare quello schifoso esame per togliersi dalle balle la materia...Tutti piccoli passi per essere domani più felici di oggiO anche stare, nei prossimi 5 minuti, meglio di quanto siamo stati negli ultimi 10

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No no, è perfettamente chiaro, ora. Il tuo discorso era molto concreto e personale e io non lo avevo capito, credevo piuttosto a una teorizzazione generale. Di qui le mie domande...e l'anatema di Nietzsche!
ecco appunto per questo pensavo di non essermi espressa bene... ci sono argomenti, credo, che non riuscirò mai a scindere dalla mia sfera personale...
Ma che cos'è l'ambivalenza? Se hai voglia di dirlo, beninteso.
Corriamo il rischio di finire fuori topic... comunque...L'ambivalenza nell'ambito emotivo, quella a cui mi riferivo per l'appunto io, è la presenza simultanea di due sentimenti di valenza opposta.trovo su internet che:"A livello psicoanalitico, l'ambivalenza è una possibile causa di nevrosi come la schizofrenia e l'omosessualità [e questa non la sapevo... :love:]. Qui è chiaro che ci troviamo di fronte a conflitti interiori non risolti, conflitti la cui natura è ambivalente, ruoli sociali, idee e sentimenti che non combaciano con la propria interiorità ma che devono essere espressi ugualmente."Non ho, purtroppo, a portata di mano il manuale di psichiatria e psicologia, quindi non posso far altro che spiegarlo a parole mie (o servirmi di questa cosa trovata su internet che, bene o male, si avvicina molto a ciò che sapevo, ma non del tutto, e non credo sia molto autorevole)
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Hinzelmann

@ the morning starMettiamo in parentesi le perdite gravi.Limitandosi alla noia di una serata o a un esame.Non ti sei mai sentito felice al punto che l'esame c'era ma nonte ne fregava nulla ed eri felice anche se non avevi nulla da farenella serata?Questo credo che tutti lo abbiamo provato e lo proviamoQuello di cui tu parli secondo me è altro, è il principio di piacere.Ed infatti tu parli della necessità di essere domani più felicedi oggi, che letteralmente "tradisce" la vera natura, pulsionale, di ciòdi cui parli. Certo la vita è ricerca del piacere, noi viviamo di tanti piccoliappagamenti e un appagamento è pure superare un ostacolo che fa paura( come un esame ) . D'altronde potrei pure dirti che la noia per la serata vuota,senza niente da fare, fa molto pensare ad un horror vacui, ovvero ad un'altra formadi paura.@ SaintjustDire che la schizofrenia è una nevrosi è quasi assurdo quanto dire che lo sia l'omossessualità.La schizofrenia è cosa ben più grave purtroppo, quanto all'omosessualità inutile dire che nonè una nevrosi. Forse vuoi dire che soffri di una forma blanda di sindrome bipolare, perchè non si puòsoffrire di "ambivalenza"

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.Ed infatti tu parli della necessità di essere domani più felicedi oggi, che letteralmente "tradisce" la vera natura, pulsionale, di ciòdi cui parli.
Mi spieghi questa osservazione che non l'ho capita? :love:
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avevo risposto in maniera molto più logorroica, ma il post è andato, quindi qui di seguito c'è ciò che riuscirò a ricostruire...eh no... il bipolarismo è l'alternarsi di momenti di euforia e depressione... ovvero l'umore oscilla (e non affibbiamo alla mia povera personalità cose di cui non ho mai sofferto :love:) l'ambivalenza è provare due sentimenti contrastanti in contemporanea, in effetti è sbagliato dire che se ne soffre, come dici tu, perchè è un fenomeno caratterizzante, non una patologia quindi avrei dovuto scrivere: sono ambivalente (poco, ma lo sono)... meglio?Sul fatto che non sia autorevole quello che ho trovato su internet l'avevo già detto a priori, ma non dice, avendolo riletto, che la schizzofrenia e l'omosessualità sono nevrosi, ma che possono essere cause di nevrosi, è solo scritto male e spiegato meglio dopo XD

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Hinzelmann

@ saintjustva bene, così hai chiarito.Il senso corretto è i conflitti interiori irrisolti possono essere causa di nevrosi ( un po' scontato ma vero )e l'ambivalenza può essere al più una caratteristica sintomatica di un conflitto interiore irrisolto o di un complesso ( al più sintomo della causa di nevrosi, non causa di nevrosi essa stessa ) L'omosessualità irrisolta può essere causa di nevrosi, certamente non la schizofrenia, certamente non l'ambivalenza.Essendo latamente ambivalente non riesci a sentirti compiutamente felice.Riterrei però che anche in questo caso si parli in realtà di godimento e di piacere

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mai detto che non riesco a sentirmi completamente felice, semmai che non ci riuscivo... in dieci anni pian piano si riesce intanto a conviverci e poi a 'guarirne'.Quello che dicevo è che la mia visione della felicità comunque ha un controaltare di dolore, o di sofferenza, e non è l'assenza di questi ultimi e che, probabilmente, questa mia percezione deriva dai miei pregressi. In sostanza credo che se non si conosce l'infelicità non si può neanche riconoscere la felicità.

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Guest PianoForte
Se la felicità è un fine della vita, vuol dire che non si è felici.Vuol dire pensare la felicità al futuro, come speranza di felicità.
Concordo con la sopra citata visione.La vita è l’insieme di tante piccole cose; se si vive proiettati nel futuro il presente cessa d’esistere, si dilata sempre di più nel tempo e non si attualizza mai. La felicità non è il fine, bensì tutto quel che ci sta in mezzo. E’ giusto volersi prefigurare un futuro, nutrire delle speranze, ma bisogna anche saper adattare le proprie aspettative a quella che sarà la realtà e, sopratutto, imparare a vivere l’attesa, perché è in questa che risiede la felicità.Stare bene consiste nell’accettare quanto ci accade (avvenimenti belli e brutti) pur dandosi da fare per migliorare lo stato delle cose. Inoltre, si dovrebbe imparare ad ascoltare e ritornare in contatto con se stessi giacché in questo modo si sarebbe più autentici e presenti in ogni circostanza: non si lascerebbe scivolare via la felicità, non ci si accorgerebbe di questa solo quando svanisce, non ci si accanirebbe contro il mondo quando le cose non vanno come ci si aspetta, ma si riuscirebbe a cogliere il lato positivo che esiste in ogni contingenza. La felicità è sempre presente; basta saperla cogliere. Il fine della vita dunque non è la felicità, bensì arrivare in fondo già felici.
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La felicità è sempre presente; basta saperla cogliere.
Qual è la felicità presente nella morte? Nella malattia invalidante o senza cura? Nella decadenza fisica e nella perdita della propria sovranità su su stessi (dipendendo ad esempio da una badante rumena)? Nell'essere lasciati da una persona che amavi o essere tradito da un amico che credevi amico?
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Guest PianoForte

No, hai ragione: non c'è felicità negli eventi spiacevoli, ma è sicuramente presente in ciò che li circonda, da qualche parte. E' molto difficile, ma non si deve elevare la tragedia a protagonista o questa ci distruggerà la vita. Io, seppure solo in linea teorica, sono riuscito ad assorbire questo concetto ed è in questo che trovo molto sostegno. Mi piacerebbe riuscire a trasmettertelo...

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sono riuscito ad assorbire questo concetto ed è in questo che trovo molto sostegno. Mi piacerebbe riuscire a trasmettertelo...
Ma io sono disponibilissimo a riceverlo. Devi riuscirci tu, io cercherò di collaborare. Non sarebbe la prima volta che il Senex sia fecondato dal Puer. :love:
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RichardIII

Avere la felicità come fine ultimo dell'esistenza è una sorta di tossicodipedenza. La felicità è passeggera per definizione.Si può voler tendere alla pace interiore, alla serenità. In questo caso non c'è niente di speciale in quest'affermazione, è una banalità.Non ho mai sentito nessuno cercare per sè l'incompletezza, l'insoddisfazione o addirittura la sofferenza. A parte i pazzi, i cattolici e i comunisti.

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Guest PianoForte
Non sarebbe la prima volta che il Senex sia fecondato dal Puer.
Non avrei mai questa presunzione… Mi sento soltanto d’esporre il mio pensiero, coltivato da persone del tuo livello, quindi in qualità di tramite più che altro (ho chiesto conferma per ciò che ho scritto direttamente alla fonte della mia saggezza, ovvero al mio analista in persona, quindi forse non dirò verità, ma perlomeno non saranno sciocchezze). Quel che seguirò a sostenere, infatti, si rifà del tutto ai principi sostenuti dalla terapia cognitivo-comportamentale che sto seguendo, secondo la quale, in breve, la felicità è una condizione perseguibile che si può imparare.La felicità è distinta nella felicità che c’è data, che si ottiene tramite la ricerca e l'attesa della stessa, e la felicità che non può essere pretesa, ma può essere conquistata con un determinato atteggiamento e disposizione. Al giorno d’oggi viviamo nella routine quotidiana; tutto procede in modo lineare, scontato e banale, e se da una parte questo ci offre sicurezza, perché ci fornisce punti di riferimento stabili, dall’altra definisce la nostra prigionia: ci barrichiamo nel “solito” e, poiché incapaci di piegarci perché non abbiamo mai imparato ad essere flessibili, le avversità ci spezzano. In seguito, se riusciamo a ricomporci dopo un evento negativo, riprendiamo la nostra esistenza dal punto in cui l’abbiamo interrotta, come se volessimo annullare ciò che ci è accaduto, quasi come se l’evento non ci avesse riguardato, ma a questo modo, invece di fare tesoro delle sorprese della vita, le neghiamo, perché non rientrano nel progetto che ci siamo immaginati, ignorando che la vita è imprevedibile ed è questo ciò che rappresenta il suo valore aggiuntivo. Come ho già detto nel post precedente: lo stare bene deriva dall’accettare quanto ci accade pur cercando di fare il possibile per modificare lo stato delle cose, ossia: è critico quel timore che spesso si prova del diritto e/o del dovere d’essere felici, il quale impedisce di riconoscere, elaborare, condividere e superare l'infelicità che incontriamo tutti nel corso della vita: quando il dolore è considerato una malattia da combattere, piuttosto che un’esperienza da attraversare, l'esistenza s’impoverisce e i vissuti negativi si ripresentano come “coazione a ripetere”, ovvero in tutto quello che identifichiamo come un accanimento della sorte, ma in realtà è un ritorno del rimosso che si esprime a livello inconscio nella nostra attitudine, e quindi nel comportamento.Ecco, spero non abbiate molto da obbiettare, per due ragioni: potreste causarmi una crisi esistenziale; non saprei replicare altro all’infuori di “personalmente questi concetti mi hanno aiutato”. :)Essendo coerente con l’argomento trattato, termino riportando un pensiero di Pascal: "Ciascuno, esaminando i propri pensieri, li troverà sempre occupati dal passato e dall'avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l'avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il passato e il presente sono i nostri mezzi; solo l'avvenire è il nostro fine [cut] così, non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali".
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