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Referendum sulle trivelle


Rotwang

Referendum sulle trivellazioni. Vi ricordiamo che per ABROGARE la legge sulle trivellazioni bisogna votare SÌ, se invece volete mantenere la legge votate NO  

31 members have voted

  1. 1. Cosa votate al referendum sulle trivelle?

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    • No
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    • Non voto/Non so/Altro
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Internazionale

Da qualche mese in Italia si parla del referendum contro le trivellazioni, promosso da nove consigli regionali, appoggiati da numerosi movimenti e associazioni ambientaliste tra cui il coordinamento No Triv. Il referendum si terrà il 17 aprile. Ecco cosa prevede e gli effetti che può avere.

 

Quando si svolge il referendum?

Il referendum si svolgerà il 17 aprile. In molti chiedevano di spostare il voto a giugno, quando in diverse città italiane si terranno le elezioni amministrative, per risparmiare sull’allestimento dei seggi. La concomitanza tra amministrative e referendum avvantaggerebbe i promotori del quesito referendario, perché aumenterebbe la possibilità di raggiungere il quorum necessario affinché il referendum sia valido. Per raggiungerlo, deve andare a votare la metà degli aventi diritto. Il governo e il presidente della repubblica hanno deciso di convocare il referendum abrogativo il 17 aprile. La legge (decreto 98 del 2011) non prevede che le elezioni possano svolgersi in concomitanza con un referendum.

 

Cosa chiede il quesito referendario?

Nel quesito referendario si chiede: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri).

 

Quali effetti può avere il sì al referendum?

Se vincerà il sì, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del sì bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti. Tra gli altri saranno interessati dalla misura: il giacimento Guendalina (Eni) nell’Adriatico, il giacimento Gospo (Edison) nell’Adriatico e il giacimento Vega (Edison) davanti a Ragusa, in Sicilia. Non saranno interessate dal referendum tutte le 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano.

 

Perché il raggiungimento del quorum è necessario?

Raggiungere il quorum è necessario perché solo così il risultato del referendum sarà valido, come previsto dall’articolo 75 della costituzione italiana. Per essere valido devono andare a votare il 50 per cento degli aventi diritto.

 

Perché è rimasto in piedi solo un quesito referendario su sei?

Nel settembre del 2015 Possibile, il movimento fondato da Giuseppe Civati, aveva promosso otto referendum, ma non era riuscito a raccogliere le 500mila firme necessarie (secondo l’articolo 75 della costituzione) per chiedere un referendum popolare. Poche settimane dopo dieci consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna,Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) hanno promosso sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. L’Abruzzo si è poi ritirato dalla lista dei promotori.
A dicembre del 2015 il governo ha proposto delle modifiche alla legge di stabilità sugli stessi temi affrontati dai quesiti referendari, per questo la cassazione ha riesaminato i quesiti e l’8 gennaio ne ha dichiarato ammissibile solo uno, perché glialtri sette sarebbero stati recepiti dalla legge di stabilità.
A questo punto sei regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) hanno deciso di presentare un conflitto di attribuzione alla corte costituzionale riguardo a due referendum, tra quelli dichiarati decaduti dalla cassazione. I consigli regionali contestano al governo di aver legiferato su una materia che è di competenza delle regioni in base all’articolo 117 della costituzione, modificato dalla riforma costituzionale del 2001. Il 9 marzo la consulta valuterà l’ammissibilità del conflitto di attribuzione. Se il conflitto sarà valutato ammissibile, allora la corte entrerà nel merito.
Se la corte costituzionale accogliesse i ricorsi delle regioni, i due quesiti referendari in precedenza non ammessi tornerebbero a essere validi e dovranno essere sottoposti agli elettori. I due quesiti riguardano il “piano delle aree” (ossia lo strumento di pianificazione delle trivellazioni che prevede il coinvolgimento delle regioni, abolito dal governo con un emendamento alla legge di stabilità) e la durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma.

 

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AndrejMolov89

Oddio, questo referendum è un po' una puttanata. Prima cosa nel mare adriatico c'è poco petrolio, anzi penso che non ce ne sia, però, ci sono delle risorse di metano abbastanza cospicue che possono essere ancora coltivate per un bel po'. Seconda cosa stanno intortando le persone con la questione del terremoti indotti dall'uomo... Che è un po' una puttanata perché i fluidi reimmessi sono gli stessi che sono stati tirati via per l'estrazione: ovvero il bilancio del flusso dell'acqua è più o meno lo stesso. Io pensavo che il referendum fosse legato ai sondaggi per la prospezione del petrolio, non per le concessioni di attività minerarie già in corso d'opera... Mi lascia al quanto perplesso il contenuto del referendum, considerando, anche, che il metano è il combustibile fossile meno inquinante e che viene considerato uno dei combustibili che dovrebbero aiutare la transizione da fossile rinnovabile.

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Ho trovato molto interessante questa dichiarazione di Simone Quaranta:

Ho più volte rimarcato che tutta la questione sia una speculazione demagogica , fuorviante e perniciosa....Un po' di corretta informazione al di fuori di slogan e demagogia pare doverosa e necessario per aiutare a far riflettere e comprendere:

1 - il referendum non deciderà nulla sulle nuove "trivelle" (in realtà correttamente s'intede per nuove perforazioni) ma riguarda la durata delle concessioni già in essere,e relative ad aree in mare aperto e comunque entro le 12 miglia dalla costa dove ci sono già piattaforme di estrazione di gas metano in alcuni casi da più di 30 anni.
2 -il referendum, qualora si raggiungesse il quorum, andrebbe a determinare la cessazione immediata delle attività di estrazione alla scadenza delle concessioni, tipicamente di durata trentennale, anche qualora sotto ci sia rimasto ancora un ingente quantitativo di gas metano.
3 - in pratica con già tutte le strutture fatte, i tubi posati sul fondo del mare e senza dover fare nessuna nuova perforazione, saremmo costretti a chiudere i rubinetti delle piattaforme esistenti da un giorno all'altro rinunciando a circa il 60-70% della produzione di gas nazionale (gas metano stiamo parlando e non petrolio). Non potendo da un giorno all'altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gassiere e petroliere) nei nostri mari, alla faccia dello spirito ambientalista che anima i comitati promotori e con sostanzioso impatto sulla nostra bolletta energetica.
4 - il referendum non fermerà le "trivelle" nelle tremiti, non ci sono e mai ci saranno trivelle nelle tremiti. Si trattava di un permesso di prospezione e studio, ben oltre le 12 miglia dalle tremiti e comunque non più in vigore vista la rinuncia della compagnia interessata.
5 - il referendum non fermerà la “petrolizzazione” dell'Italia come qualcuno vuole far credere, riguarda infatti le aree marine entro le 12 miglia dalla costa dove geologicamente si sono accumulati solo giacimenti di gas metano, quello che, ricordate, ci da una mano, perché tra i combustibili fossili quello meno inquinante e recentemente riconosciuto dall'unione europea il BRIDGE ovvero quello che ci porterà avanti nella transizione verso le rinnovabili per i prossimi 30 anni. Quindi non sarebbe uno STOP al petrolio, che in Italia viene estratto quasi esclusivamente a terra, in Basilicata, ma uno stop al gas, ovvero a quella fonte energetica pulita la cui introduzione ha portato storicamente alla riduzione dell'uso del carbone.
6 - Le trivelle (impianti di perforazione) non uccidono il turismo. La maggiore concentrazione di piattaforme in Italia si ha davanti alla riviera romagnola che storicamente è anche la zona con maggiori presenze turistiche; estrazione di gas e sviluppo della costiera romagnola sono andati avanti di pari passo dagli anni 60 ad oggi. Viceversa regioni senza" trivelle" e che si preoccupano tanto delle "trivelle" hanno spiagge fatiscenti, depuratori non funzionanti e discariche abusive nel bel mezzo dei parchi naturali. Farebbero bene a preoccuparsi di quello.
7 - L'estrazione di gas dal mare adriatico non provoca terremoti, c'è un rapporto ufficiale ISPRA (Istituto Superiore Protezione Ambiente) che lo certifica. Chiunque afferma diversamente afferma il falso e non conosce la geologia del mare adriatico. Infatti nel nostro mare i sedimenti, sabbie ed argille, in seguito all'estrazione del gas, si deformano plasticamente, e la deformazione plastica è l'esatto opposto dei meccanismi di rottura dei terremoti.
In tal caso sarebbe utile farsi spiegare cosa è una zona "Mineralizzata a Gas"; tutti si aspettano grandi caverne..in realtà si tratta di rocce calcaree nella cui porosità è intrappolato i gas (stesso dicasi per il petrolio)
8 - Un esito positivo del referendum avrebbe impatto devastante sull'economia di alcune regioni, nella sola emilia romagna 6000 persone perderebbero il lavoro in 2 anni.
9 - Tutti vogliamo un mondo più pulito, le rinnovabili sono il futuro, non ancora il presente, occorre un congruo periodo di transizione perché affondare il sistema gas oggi senza avere ancora una valida alternativa non è intelligente né da un punto di vista economico né per la tutela dell'ambiente.

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AndrejMolov89

@@lux,

 

Infatti nel nostro mare i sedimenti, sabbie ed argille, in seguito all'estrazione del gas, si deformano plasticamente, e la deformazione plastica è l'esatto opposto dei meccanismi di rottura dei terremoti. In tal caso sarebbe utile farsi spiegare cosa è una zona "Mineralizzata a Gas"; tutti si aspettano grandi caverne..in realtà si tratta di rocce calcaree nella cui porosità è intrappolato i gas (stesso dicasi per il petrolio)


Questa frase non ha molto senso: non erano argille? XD. Comunque la deformazione che va lungo la faglia è una deformazione plastica. Diciamo che le argille non accomulano energia elastica a differenza delle rocce. La questione del terremoto viene data dall'iniezione o sottrazione di fluidi nell'intorno e dalla presenza o meno di alcune strutture. Poi dipende dal contesto geologico, qual'è il campo degli sforzi tettonici, come si reinseriscono i fluidi, qual'è la variazione del peso della colonna dei sedimenti in assenza dei fluidi estratti. Diciamo che comunque vista la zona ritengo improbabile che sia possibile indurre un terremoto, semmai, nel caso più sfortunato si può scatenare che è un concetto diverso. 
 
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AndrejMolov89

comunque molte di quelle piattaforme sono ad estrazione petrolifera, mi spiace contraddirti @lux

Credo siano ambe due: gas naturale e petrolio sono spesso accoppiati, però, variano le proporzioni delle due risorse. La maggioranza sono Gas comunque. All'interno delle sequenze continentali-marine ci sono molti orizzonti sismici che indicano la presenza di fluidi che è probabilmente gas principalmente. di solito ai giacimenti di petrolio è associato anche uno di metano, ma non sono sicuro che un giacimento di metano sia necessariamente anche di petrolio quindi non posso dire dalla tabella sottostante se venga estratto petrolio o meno, ma solo che la risorsa coltivata è il gas.

 

http://unmig.mise.gov.it/unmig/strutturemarine/piattaforme.pdf

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Tanto anche questo referendum molto probabilmente fallirà non raggiungendo il quorum, non mi pare un quesito referendario in grado di portare enormi masse alle urne.

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LifeGate

 

Domenica 17 aprile 2016, dalle ore 7:00 alle ore 23:00, i cittadini italiani sono chiamati a votare per il “referendum sulle trivellazioni”, ovvero la consultazione popolare che chiede l’abrogazione del comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006 sulle norme in materia ambientale.

 

Il referendum nazionale è stato promosso da nove regioni italiane contro i progetti petroliferi del governo nelle acque territoriali ed è sostenuto da molte associazioni ambientaliste e dal movimento NoTriv. Le regioni promotrici sono Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.

 

Per cosa si vota

“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”, è questa la domanda a cui si deve rispondere. Se non si vuole che le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa vengano rinnovate, bisogna votare SÌ. Votando NO si manifesta la volontà di mantenere la normativa esistente. Il referendum popolare è valido solo se raggiunge il quorum, cioè se va a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto, secondo quanto previsto dalla Costituzione. I giacimenti interessati sono Guendalina (Eni) e Gospo (Edison) nel mare Adriatico e il giacimento Vega (Edison) nelle acque di fronte alla città di Ragusa, in Sicilia.

 

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Dove e quando si vota

Si vota domenica 17 aprile dalle ore 7:00 alle ore 23:00 presso il seggio elettorale dove il cittadino è iscritto. Il numero del seggio è presente sulla tessera elettorale, sotto la sezione riportante i dati anagrafici. Non si può votare in nessun altro modo. Per i residenti all’estero, gli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) o gli elettori temporaneamente all’estero (minimo tre mesi) si rimanda alle informazioni fornite dal ministero degli Affari esteri.

 

Come si vota al referendum sulle trivellazioni

Per votare è necessario presentarsi al seggio elettorale del comune di residenza a cui si è iscritti muniti di tessera elettorale e di documento d’identità. È utile verificare fin da ora che la propria tessera contenga ancora spazi disponibili per la timbratura, altrimenti è possibile richiedere il rilascio di una nuova tessera presso l’Ufficio elettorale del proprio comune.

Edited by Rotwang
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Io o andrò e votero no, oppure non andrò proprio.

Meglio estrarre quel che possiamo in casa, piuttosto che comprare quelle stesse quantità arricchendo paesi canaglia come quelli arabi.

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Il Post

 

Per la prima volta nella storia della Repubblica, il prossimo 17 aprile gli elettori italiani saranno chiamati a votare a un referendum richiesto dalle regioni, invece che – come di solito avviene – tramite una raccolta di firme. Si tratta del cosiddetto referendum “No-Triv”: una consultazione per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa italiana. In tutto le assemblee di nove regioni hanno chiesto il referendum: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Una raccolta di firme per presentare il referendum era fallita lo scorso inverno. L’esito del referendum sarà valido solo se andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.

 

Cosa vuole cambiare il referendum

Nel referendum si chiede agli italiani se vogliono abrogare la parte di una legge che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento. Il quesito del referendum, letteralmente, recita:

 

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

 

Il comma 17 del decreto legislativo 152 stabilisce che sono vietate le «attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» entro le 12 miglia marine delle acque nazionali italiane. La legge stabilisce che gli impianti che esistono entro questa fascia possono continuare la loro attività fino alla data di scadenza della concessione, che su richiesta può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento. Si parla quindi di permettere o no che proseguano le estrazioni sugli impianti che esistono già.

 

La situazione oggi

Gran parte delle 66 concessioni estrattive marine che ci sono oggi in Italia si trovano oltre le 12 miglia marine, che non sono coinvolte dal referendum. Il referendum riguarda soltanto 21 concessioni che invece si trovano entro questo limite: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia. Le prime concessioni che scadranno sono quelle degli impianti più vecchi, costruiti negli anni Settanta. Le leggi prevedono che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.

 

Se al referendum dovessero vincere il sì, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra circa cinque-dieci anni. Gli ultimi, cioè quelli che hanno ottenuto le concessioni più recenti, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni. In tutto in Italia ci sono circa 130 piattaforme offshore utilizzate in processi di estrazione o produzione di gas e petrolio. Quattro quinti di tutto il gas che viene prodotto in Italia (e che soddisfa circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale) viene estratto dal mare, così come un quarto di tutto il petrolio estratto in Italia. Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve che si trovano in quest’area.

 

Cosa succede in caso di vittoria dei sì

Il referendum non modifica la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia e nemmeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma: e compiere nuove trivellazioni entro le 12 miglia è già vietato dalla legge. Una vittoria dei sì al referendum impedirà l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni. Il giacimento di Porto Garibaldi Agostino, per esempio, che si trova a largo di Cervia, in Romagna, è in concessione all’ENI ed è sfruttato da sette piattaforme di estrazione. La concessione risale al 1970 ed è stata rinnovata per dieci anni nel 2000 e per cinque nel 2010. In caso di vittoria del sì, l’ENI potrà ottenere una seconda e ultima proroga per altri cinque: dopo sarà costretta ad abbandonare il giacimento, anche se nei pozzi si trovasse ancora del gas.

 

Le ragioni di chi è favore del Sì

Secondo i vari comitati “No-Triv”, appoggiati dalle nove regioni che hanno promosso il referendum e da diverse associazioni ambientaliste come il WWF e Greenpeace, le trivellazioni andrebbero fermate per evitare rischi ambientali e sanitari. I comitati per il No ammettono che per una serie di ragioni tecniche è impossibile che in Italia si verifichi un disastro come quello avvenuto nell’estate del 2010 nel Golfo del Messico, quando una piattaforma esplose liberando nell’oceano 780 milioni di litri di greggio, ma sostengono che un disastro ambientale in caso di gravi malfunzionamenti di uno degli impianti sia comunque possibile.

 

Alcuni aderenti ai comitati per il Sì hanno anche parlato dei danni al turismo che avrebbero arrecato le piattaforme. È importante sottolineare, però, che il referendum non impedirà nuove trivellazioni (che sono già vietate) né la costruzione di nuove piattaforme, ma solo lo sfruttamento di quelle già esistenti. Inoltre, il legame tra piattaforme e danni al turismo non è stato dimostrato chiaramente. La regione con il più alto numero di piattaforme, l’Emilia-Romagna, è anche una di quelle con il settore turistico più in salute. La Basilicata, la regione del sud più sfruttata per la produzione energetica, è stata una di quelle che negli ultimi anni hanno visto crescere di più il settore turistico.

 

Greenpeace ha pubblicato uno studio realizzato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca, che mostra come tra il 2012 e il 2014 ci siano stati dei superamenti dei livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione di alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia. Non sembra però che i valori fossero particolarmente preoccupanti. Gli stessi promotori del referendum sottolineano che l’inquinamento non è la priorità che ha reso necessario il referendum. La ragione principale, spiegano, è “politica”: dare al governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative. Come è scritto sul sito del coordinamento “no-triv”:

 

«Il voto del 17 Aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’UNICO STRUMENTO di cui i movimenti che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori, alle loro prerogative, alla stessa Costituzione italiana»

 

Le ragioni di chi è a favore del No

Contro il referendum è stato fondato il comitato “Ottimisti e razionali“, presieduto da Gianfranco Borghini, ex deputato del Partito Comunista e poi del PdS. Il comitato sostiene che continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento: l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.

 

Una vittoria del sì avrebbe poi delle conseguenze sull’occupazione, visto che migliaia di persone lavorano nel settore e la fine delle concessioni significherebbe la fine dei loro posti di lavoro. Nella provincia di Ravenna il settore dell’offshore impiega direttamente o indirettamente quasi settemila persone.

 

L’aspetto “politico”, infine, è una delle principali ragioni per cui il referendum è stato criticato. Il referendum, secondo gli “Ottimisti e razionali”, è lo strumento sbagliato per chiedere al governo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili. Il referendum, dal loro punto di vista, somiglia più a un tentativo di alcune regioni – che hanno reso possibile la consultazione – di fare pressioni sul governo in una fase in cui una serie di leggi recentemente approvate e la riforma costituzionale in discussione stanno togliendo loro numerose autonomie e competenze, anche in materia energetica.

Edited by Rotwang
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Per ora il comitato per il NO mi è sembrato più persuasivo.

 

Eh, il SI sta subendo un oscuramento mediatico mai visto prima, oggi ne ho parlato con dei miei parenti e nemmeno sapevano che il 17 aprile si vota...

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Io se non vedevo qui qualche info in più non avrei capito nulla su sto referendum... È dura scegliere, da un lato sarebbe meglio estrarre per conto nostro il metano ed altro, tuttavia a livello personale non sono favorevole alle trivellazioni... Temo comunque che vincerà in no, ci son troppi soldi in balli

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Left

 

Non c’è modo peggiore di argomentare con un dissidente seppellendolo. Mentre la politica dovrebbe essere l’arte del cogliere il meglio per arrivare alla sintesi migliore (come un mastro birraio con i diversi luppoli, per rendere bene l’idea) oggi il metodo più in voga risulta essere l’affossamento. Una finezza politica pari ad una rumorosa discesa degli unni, una cosa così. Per forza alla fine rischi addirittura di avere nostalgia di un D’Alema qualsiasi.

 

Comunque, senza perdersi in ciance, la tecnica per combattere il prossimo referendum del 17 aprile, quello che le regioni hanno voluto contro le trivellazioni in mare (regioni renziane comprese), è l’imposizione del silenzio. Tutti muti. Nemmeno un telegiornale che ne parla, nemmeno d’inciampo, nemmeno con una parola di sguincio. Il referendum no triv è il referendum più invisibile del west. E anche nell’informazione filogovernativa (quella che oggi ci inonderà di Renzi con caschetto pronto a martellare l’ultimo diaframma di galleria, roba da epopea tirannica sudamericana) nessuno accenna al fatto che gli italiani possano decidere di fermare le trivellazioni e i loro danni ambientali e sanitari. Del resto funziona così: non c’è peggior silenzio del silenzio imposto da un leader chiassoso. È il silenzio più fragoroso e vergognoso che vi possa capitare di ascoltare in giro.

 

Però è un’occasione di sfida storica: si potrebbe fare un movimento neomelodico nazionalpopolare che renda le trivelle ‘pop’. Che si parli di trivellazioni negli uffici, al bar sotto casa davanti al caffè, che i “valori fuori norma degli impianti esistenti” diventino famigliari come un fuorigioco, che l’equilibrio ambientale delle coste sia il reality più seguito nel prossimo mese. Provate a pensare che Paese bello sarebbe un Paese dove vostra madre, alla cena settimanale, vi chiede com’è andata “l’argomentazione delle ragioni del sì”, oppure la vostra fidanzata si dica preoccupata del poco amore con cui informate le persone con cui avete occasione di parlare. Immaginate i milanesi, tutti di fretta sopra le loro auto sempre più basse e strette, mentre sfruttano un rosso al semaforo per convincere quell’ex collega che non sentivano da un po’. «Chiudere con leucemie, tumori, avvelenamento di acqua, aria, suolo, cibo, per andare finalmente oltre il modello energetico fondato sulle energie fossiliiiii!»: immaginate di stare fermi con lo scooter al semaforo e sentire il motociclista a lato urlare una frase così. Roba da diventare a forma di una favola di Rodari. Una cosa del genere.

 

Per questo mese scegliete un hobby inconsueto: trivellateli per non farvi trivellare. Vedete che godimento, i telegiornali nazionali, quando devono fare ammenda di non averne parlato. Come gli editoriali sul Corriere contro “l’internet”. Una cosa così.

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Il 17 aprile si voterà sulle trivelle. Il referendum è stato voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Non propone un alt immediato né generalizzato. Chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Come è accaduto per altri referendum, il quesito appare di portata limitata ma il significato della consultazione popolare è più ampio: in gioco ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei combustibili fossili, il futuro del referendum come strumento di democrazia.

 

La domanda che si troverà stampata sulle schede è "Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è ancora gas o petrolio?" Dunque chi vuole - in prospettiva - eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.

 

I due schieramenti sono rappresentate da comitati. Da una parte c'è il Comitato Vota sì per fermare le trivelle "Il petrolio è scaduto: cambia energia!") a cui hanno aderito oltre 160 associazioni (dall'Arci alla Fiom, da quasi tutte le associazioni ambientaliste a quelle dei consumatori, dal Touring Club all'alleanza cooperative della pesca). Dall'altra un gruppo che si definisce "ottimisti e razionali" e comprende nuclearisti convinti come Gianfranco Borghini (presidente del comitato) e Chicco Testa, il presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli, la presidente degli Amici della Terra Rosa Filippini. Ecco, punto per punto, le ragioni dei due schieramenti.

 

Quanto petrolio è in gioco?

 

Le ragioni del sì

Secondo i calcoli di Legambiente, elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell'1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire l'intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.

 

Le ragioni del no

Secondo i calcoli del Comitato Ottimisti e razionali la produzione italiana di gas e di petrolio - a terra e in mare- copre, rispettivamente, l'11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. (Visto che questo dato comprende anche le piattaforme che non rischiano la chiusura perché non sono oggetto di referendum, su questo punto le stime dei due schieramenti non si allontanano: l'85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma oltre le 12 miglia, non in discussione).

 

Qual è l'impatto del petrolio in mare?

 

Le ragioni del sì.

A preoccupare non sono solo gli incidenti ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui nostri fondali raggiunge una densità di 38 microgrammi per metro quadrato: tre volte superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa classifica negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.

Inoltre il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive porta l'impronta del petrolio. Due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da Greenpeace e vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell'Ambiente: si riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero dell'Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.

 

Le ragioni del no

L'estrazione di gas è sicura. C'è un controllo costante dell'Ispra, dell'Istituto Nazionale di geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C'è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell'Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non danneggia l'ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.

I limiti presi a riferimento per le sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di Greenpeace non sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di transizione, acque marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi idrici sotterranei.

 

Fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

 

Le ragioni del sì

Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque: il 90-93% degli idrocarburi estratti può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società petrolifere godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell'appeal della bellezza del paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono le licenze.

 

Le ragioni del no

L'industria del petrolio e del gas è solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è rilevante: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate all'estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.

 

Non fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

 

Le ragioni del sì

Sì, perché le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo, che contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro a 1 milione e 400.000 persone.

 

Le ragioni del no

L'attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell'alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari e artistiche, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni.

 

Insistere sulle trivelle è compatibile con gli impegni a difesa del clima?

 

Le ragioni del sì

Alla conferenza sul clima di Parigi 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio radicale e rapido dell'uso dei combustibili fossili. Per mettere il mondo al riparo dalla crescita di disastri meteo come alluvioni, uragani e siccità prolungate, due terzi delle riserve di combustibili fossili dovranno restare sotto terra. In questo quadro investire sul petrolio potrebbe rivelarsi un azzardo economico.

 

Le ragioni del no

Il futuro sarà delle rinnovabili, ma vanno integrate perché la loro affidabilità è limitata. Sole, acqua e vento non sono elementi che possiamo "gestire" a nostro piacimento. Non siamo pertanto in grado di prevedere quanta energia elettrica sarà, in un dato periodo, prodotta dal fotovoltaico, dall'eolico o dalle centrali idroelettriche. E quindi, senza i combustibili fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo abituati e talvolta obbligati a fare.

 

I referendum servono?

 

Le ragioni del sì

"Si deve comunque andare a votare - afferma il presidente della Camera Laura Boldrini - perché il referendum é un esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota come ritiene più opportuno".

 

Le ragioni del no

Diciamo agli italiani: "Non andate a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto distruggere".

 

E quanto costano?

 

Le ragioni del sì

Il mancato abbinamento alle imminenti elezioni amministrative, deciso per rendere più difficile il raggiungimento del quorum, ha comportato uno spreco di oltre 360 milioni - l'equivalente degli introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni attualmente presenti nel Paese.

 

Le ragioni del no

Questo referendum non ha senso e non si doveva fare: è uno spreco di 400 milioni

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Personalmente non andrò a votare o voterò no.

 

Non capisco poi perchè sì parli di "trivellazioni sì trivellazioni no".

 

Il referendum riguarda la possibilità di abrogare la parte di una legge che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.

Non si chiede se fare o non fare nuove trivellazioni.

Si chiede se si vuole continuare a sfruttare gli impianti e i giacimenti attualmente esistenti.

A me sembra insensato votare sì, vedo solo aspetti negativi.

-Ci perderemmo in royalties incassate dallo stato.
-Ci perderemmo come posti di lavoro per chi lavora per questi impianti (direttamente o come indotto).
-Ci perderemmo per il fatto che il gas e petrolio non estratto dovremo importarlo dall'estero, quindi questo comporterebbe maggiori costi economici (perchè acquistarlo dall'estero ci costerebbe di più), ambientali (perchè il trasporto produce inquinamento) e politici (perchè aumenterebbe ancora di più la nostra dipendenza da paesi come Russia o paesi mediorientali).

Senza contare che stiamo parlando per la maggior parte di giacimenti di gas (in tutto si parla di 48 piattaforme di cui 39 estraggono gas) che è uno dei combustibili fossili meno inquinanti rispetto ad esempio al carbone.
Inoltre proprio sul gas l'Italia ambirebbe a diventare un importante snodo e hub europeo: si pensi ai tanti progetti per nuovi rigassificatori o ai progetti per nuove reti di interconnessione (dall'ITGI con la Grecia, al TAP con l'Albania, al Galsi con l'Algeria).

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Vita

 

Michela Costa, geologa

 

Ho letto tutti i vostri post sulle trivelle. Ho guardato tutte le sfilate delle immagini più o meno toccanti e più o meno simpatiche (l’ultima delle quali, “trivella tua sorella”, oltre che essere sfacciatamente maschilista, è stata proprio un epic fail, complimenti agli ideatori!). Immaginavo già che alcuni dei più famosi brand italiani arrivassero anche ad approfittare del momento caldo per le proprie campagne pubblicitarie (ed ecco infatti che “le uniche trivelle che ci piacciono” hanno per protagonisti un fusillo di pasta che si tuffa nel ragù e un cavatappi che affonda nel sughero di un nero d’avola). Mi rendo conto di quanto possa essere abbastanza facile restare impressionati da una campagna di Greenpeace che ci fa vedere le immagini del povero gabbiano tutto sudicio di petrolio che tenta disperatamente di aprire le ali. Ci vengono le lacrime agli occhi, vero? Ma siccome sono chiamata a dare un voto e mi piace pensare e agire con la mia testa, ho deciso di prendermi del tempo per informarmi e andare oltre le immagini e le informazioni che fonti “orientate” ci propinano in rete, soprattutto in materia ambientale, visto il tipico vizio che hanno certe campagne ambientaliste di puntare i piedi e otturare le orecchie. E quello che ho trovato in rete mi ha molto stupita. Sono partita da un paio di articoli (Il Post e Le Scienze) per poi approfondire saltellando da link a link fino a farmi un’idea mia che, per necessità di chiarezza, sento il bisogno di condividere.

 

Premetto che ho molto a cuore l’ambiente ma rifiuto la definizione di ambientalista (parola che come “fondamentalista” e “integralista” denota un estremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio). E no, non sono un geologo che lavora in piattaforma, sono un geologo disoccupato che manco ci pensa ad andare a lavorare in piattaforma, per carità. E non ho nessuno in famiglia che lavora alla Eni. Insomma nessun interesse personale nelle mie opinioni.

 

Lasciando stare le motivazioni occupazionali (in caso di vittoria del SI, circa settemila lavoratori impiegati nel settore perderebbero il posto di lavoro, motivo per cui diversi sindacati si sono schierati a favore del NO) e le motivazioni economiche (dismettere gli impianti prima del tempo significa chiaramente un costo enorme per le spese di ammortamento, perché vuol dire non usare quell’impianto per l’intera vita operativa per cui era stato progettato)voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare nella speranza che non venga raggiunto il quorum, mi sembra la soluzione “più sostenibile”:

 

1) Lo stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che il petrolio. In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle campagne “No-Triv”, viene estratto per la maggior parte a terra e non in mare. Gli impianti che saranno oggetto del referendum estraggono fondamentalmente metano, che sebbene fossile, è una fonte di gran lunga meno dannosa del petrolio e ancora per molti versi insostituibile (attualmente il 54% dell’offerta energetica mondiale). In questa pagina del sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse, vi è l’elenco completo delle piattaforme oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la profondità del fondale (dato spesso sottovalutato, ma molto importante) e il tipo di combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si faccia portavoce di immagini con ragazzi in costume da bagno ricoperti di catrame e poveri pennuti starnazzanti nel petrolio, scorrere velocemente l’elenco degli impianti farà capire brevemente come la percentuale di impianti a GAS sia in netta maggioranza rispetto a quelli a OLIO. Questo si traduce con una sola frase: Siamo disinformati e pronti ad abboccare a qualsiasi cosa, basta che sia green.

 

2) la vittoria del SI porterà comunque alla costruzione di altri impianti. La costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06) e su questo possiamo stare sereni. La vittoria del SI non potrà, però, impedire alle compagnie di spostarsi e costruire nuovi impianti poco oltre questo limite. Praticamente con il SI quello che vogliamo dire alle compagnie e: << Sentite, anche se avete ancora un botto di gas da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i rubinetti e spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese >>. Si, significa questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora potrà scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso mare, dismettere l’impianto entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla) oppure andare a cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in altri paesi. Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno potenziati, per sopperire al fabbisogno energetico. Se vietiamo l’utilizzo degli impianti esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a prendere, no?

 

3) La vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi, contribuisce ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. Ora, immaginiamoci un disastro ambientale, un grave incidente a una piattaforma petrolifera posizionata “correttamente” e cioè oltre il limite delle 12 miglia. Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace o panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata all’avanzare del petrolio verso le coste. In più lo stop delle piattaforme esistenti si tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che vanno a spasso per i nostri mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più ma di cui avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che trasportano petrolio e che possono esplodere o essere soggette a perdite e sversamenti. Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico, anche la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro, potrebbero attingere ai giacimenti che l’Italia abbandonerà in caso di vittoria del SI. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia proprio nulla.

 

4) La vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare. Cosa vi aspettate, che all’indomani della cessazione delle attività nelle piattaforme, l’Italia magicamente si sosterrà solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili fossili non sia una pratica sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe puntare non alla costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo di quelli già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un futuro (credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili ma ciò deve essere fatto un passo alla volta, con la consapevolezza che un periodo di “transizione” è fisiologico e l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in questo passaggio. In poche parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo essere in grado di sostenere subito “la baracca” in un altro modo altrettanto efficiente. Le stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF hanno detto: “quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari è il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell'area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo che definiamo il Piano energetico, l’Italia come vivrà?

 

5) Il referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune. Non è un referendum lo strumento più adatto per risolvere un tema così complesso e così tecnico. O meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli esperti di coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo. Trivellare non vuol dire necessariamente essere contro le politiche green, anzi, la normativa di settore è piuttosto severa e restrittiva nei confronti delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono prestare attenzione.

 

6) Non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo... Se così fosse, il litorale romagnolo (dove ci sono il maggior numero di impianti) non registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che sono invece ben noti. Così anche la Basilicata. In poche parole il turista da peso ad altre cose, e non alla presenza delle piattaforme.

 

7) ...e non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia. Questa è un’argomentazione piuttosto tecnica di cui non auguro la lettura integrale nemmeno al mio peggior nemico, ma se volete trovate le conclusioni del rapporto a pagina 56 e successive di questo documento.

 

8 ) La vittoria del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Dal momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse le nostre piattaforme e che il passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli di casa e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano che le compagnie si dovranno andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il nucleare). E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo detto che il nostro mare “non si spirtusa”. Il nostro mare, appunto. Per fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni che, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava soddisfatto: «In Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per trent'anni». Inutile dire quanto poco gliene possa fregare del gas agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno né fornelli né automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio e loro si prendono solo gli eventuali rischi più qualche spicciolo che andrà nelle casse del governo locale. Molto comodo essere ambientalisti così, no?

 

Io sinceramente non mi sentirei a posto con la coscienza a votare SI e poi accendere i fornelli con il gas che viene non dall’Adriatico (no per carità, il nostro mare va tutelato) ma dal Mozambico che accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato, accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli occhi per piangere e nessun potere contrattuale per dire “no, noi le vostre trivelle qui non le vogliamo”.

 

Quindi mi auguro semplicemente che chi deciderà di votare SI abbia un comportamento ineccepibile dal punto di vista energetico. Questo non significa solo fare la differenziata e andare in bicicletta. Significa essere pronti, per coerenza personale, a rinunciare all’indomani del referendum a qualsiasi forma di utilizzo dei combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che non siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in nave; significa avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i raggi infrarossi; significa non comprare tantissimi prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati combustibili fossili. Insomma, significa essere degli integralisti energetici, avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti, tra quelli che voteranno SI hanno una condotta del genere?

Edited by Rotwang
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AndrejMolov89

Il problema del referendum è che è totalmente inutile. Se le previsioni del consumo del gas naturale si mantengono costanti, sostanzialmente il sì o il no producono lo stesso e medesimo risultato. Sono riuscito ad estorcere che il NO TRIV è solo un atto politico, un atto politico costoso, dagli effetti pratici nulli, che aumenta la complessità burocratica e che rischia sostanzialmente di accorciare leggermente la vita degli impianti lungo le 12 miglia marine. Già il fatto che sia un referendum politico la dice lunga sull'utilità dello stesso. 
Sostanzialmente, se avessi l'opportunità, voterei no, non mi pare che a livello pratico succedano chissà quali rivoluzioni. L'unica cosa che ho constatato è l'estrema ignoranza sulle energie rinnovabili che hanno tutti. L'italia produce il X% di energie rinnovabili, sì, ma grazie al cazzo, ma la maggior partedi quella produzione è idroelettrico, e non mi pare che l'idroelettrico sia il paradiso enviromental free più auspicabile. Inoltre, portano esempi riguardo l'eolico che sono fuori dal mondo: banalmente se mi confronti la danimarca con l'italia devi capire che ci sono due contesti geografici e geografici fisici completamente diversi, e sostanzialmente anche le dimensioni contano. Altra questione fondamentale, quello che non vogliono ficcarsi in quella testa di minchia è che le energie rinnovabili non danno alcuna garanzia sulla potenza nel tempo: ovvero, molto banalmente, la tensione e la potenza elettrica dovrebbero rimanere costanti sia per l'efficienza dei mezzi, sia per la salute degli stessi. Quindi che mi si dica che attualmente le energie rinnovabili coprano quella percentuale X del fabbisogno nazionale, omettendo praticamente tutta la questione a contorno ed ignorando le più conseguenza di non avere una potenza constante, mi fa ridere. 

Inoltre gli studi fatti da GreenPeace sull'inquinamento dei pozzi d'estrazione sono ridicoli, mistificatori, e osceni. Prendere i limiti legali delle acque superficiali continentali, e applicarli al contesto costiero è da infami e disonesti. Infatti io non nutro simpatia per greenpeace, una manica di deficienti, che si fanno allegramente turlupinare.

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