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Psicologi ed Empatia


Almadel

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No, non mi riferisco ai problemi di chi ha iniziato un percorso di psicoterapia

e si è sentito frustrato dalla scarsa preparazione della persona a cui si era rivolto.

 

Mi riferisco proprio alle persone che hanno intrapreso questo percorso di studio

e che - con molto o scarso profitto - lo hanno portato fino alla laurea.

 

Io ne conosco molti - nella mia città tale facoltà è molto popolare -

e ho notato un tratto distintivo che pare accomunarli tutti

e che forse è il motivo che li ha spinti a intraprendere questa carriera.

 

Mi riferisco alla totale assenza di empatia

ovvero all'assoluta incapacità di capire le motivazioni profonde

negli altri e - spesso e volentieri - anche in sé stessi.

Come se iscriversi a quella facoltà fosse un chiaro fenomeno di ipercompensazione.

 

All'inizio era solo un gioco divertente:

chiedevamo un'opinione alle amiche psicologhe e poi guardavamo gli eventi

procedere esattamente nel modo opposto a quanto era stato previsto.

 

Succevvisamente ci siamo accorti che a questa mancanza di empatia

si univa immancabilmente un'incapacità di mantenere dei legami affettivi stabili.

Di primo acchito ho pensato all'arroganza: "Egli pensa di saper interpretare dei segnali,

non vi riesce; ma si affeziona alla diagnosi iniziale precludendosi l'elasticità per approfondire l'analisi".

Ma non bastava: non riusciva a spiegare la totale incapacità diagnostica;

avrebbe semmai spiegato solo alcuni clamorosi granchi.

 

La mia idea che l'iscrizione a Psicologia sia una forma di compensazione

dovuta alla confusione sessuale, alla incapacità di introspezione e alla mancanza di empatia

ha però in effetti radici lontane; datate alle mie prima ricerche di uno psicologo

che si occupasse della formazione dei "risponditori" di ArciGay

(nell'epoca in cui i giovani gay non scrivevano nei forum, ma ci telefonavano...)

Dieci minuti di conversazione e pensavo: "Cavoli, ha bisogno di un terapeuta;

ma se tutti gli psicologi sono come lui, piuttosto lo faccio parlare con un ingegnere"

 

Nel caso nessuno di voi abbia avuto delle esperienze simili,

forse la causa della mia sensazione è diversa.

Però sarei molto curioso di confrontarmi su questo.

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Durante i 5 anni di università ho percepito distintamente questo tipo di caratteristiche che descrivi ma SOLO da parte delle donne. Ovviamente eravano in assoluta predominanza 7 su 10 ma la stragrande maggiorparte di loro non era lì per delle "straordinarie capacità" o per abnegazione verso la professione o predisposizioni personali all'ascolto e alla comprensione. Però stiamo parlando di corsiste. Parliamo di gente che alla laurea se ci arriva ci arriva perchè vuole e non perchè è dotata. Io non so che specializzazione abbiano preso, nessuna di loro, perchè io sono uscito dalla facoltà ed ho preso una strada tutta mia, ma credo che 3 quarti di loro finiranno a fare le assistenti sociali o le somministratrici di test e ricercatrici. Le prime sono la cosa che odio di più, le altre due quelle più inutili.

Non dovrei dire certe cose soprattutto considerando che sono ramificazioni importanti, ma proprio non riesco a concepire la psicologia diversamente da quella che io credo sia: ascolto, comprensione, indagine e superamento insieme al cliente. Il resto è pura perdita di tempo.

 

Per contro ho avuto delle insegnanti che mi hanno letteralmente affascinato nei modi, nelle capacità e nel loro modo di lavorare. Questo tipo di psicologhe sono, a mio avviso, una manna dal cielo. L'empatia la vedi come fosse un chilo di pane in mezzo al tavolo, la senti dal modo in cui parlano e dal modo in cui NON parlano. La connessione è istantenea e la voglia di capire è innegabile. Ho preso ispirazione da loro nelle cose che mi mancavano. Questi sono i VERI professionisti del settore.

 

Dal canto mio consiglio sempre di rivolgersi ad uno psicologo TUTTE LE VOLTE che non si trovano risorse per farcela da soli o si ci sente stanchi MA occorre fare attenzione alla persona alla quale si ci rivolge. Questa regola vale un po' per tutti i mestieri, dal chirurgo al meccanico ma, in questo caso giacchè trattasi di emotività, personalità e bisogni, occorre fare un pizzico di attenzione in più.

 

Per questo motivo SCONSIGLIO comportamentisti (giudici, investigatori e ricercatori dove tutto è da ricondurre allo stimolo-risposta); Freudiani della prima scuola (troppo interessati a scovare il dramma dietro le cose anche quando non c'è. Si piange, si ci dispera si ci sente meglio ma solo perchè dopo non si ha più per cosa piangere. La guarigione è scarsa).

 

Cognitivisti e Gestalitici sono i migliori nel settore. A questo ramo giungono quelli con una predisposizione all'ascolto, sono attivi e determinati. Mirano alla guarigione il prima possibile e in maniera costruttiva. Hanno un modo d'operare ad ampio spettro e non cadono facilmente nei vizi della terapia. Sono leggermente freddi per coloro che sono eccessivamente sensibili e vanno dallo psicologo per piangere ma questo solo perchè a loro non interessa il crogiolamento nel dramma (al quale concedono comunque uno spazio importante) ma alla presa di posizione su come proseguire nella vita PER CONTO PROPRIO.

 

Esempio:

 

Sono Gay.

 

Il comportamentista: Creazione di una connessione sinaptica strutturata in modo determinato in cui l'attrazione fisica sessuale ed emotiva è legata alla comparsa di un duale stimolo-risposta che ne ha modificato e consolidato la struttura stessa.

 

Freudiano prima scuola: Mancato superamento dei complessi di sviluppo psicosessuale. Indagine dello stadio dello sviluppo sessuale orale anale e fallico. Costituizione di un emotività psicosessuale deviata dal normale processo evolutivo. Genitori colpevoli.

 

Freudiano scuola moderna: Deviazione dal normale sviluppo sessuale. Irrisolti complessi creano stadi di squilibrio ed isteria che devono essere esternati. Risoluzione impossibile ma possibile "rinormalizzazione" dello stato psicologico (pur non potendo cambiare quello sessuale).

 

Gestalt: Manifestazione del dramma. Se sta qui è perchè sta male. Perchè? Dove ha orgine questo stato di malessere? L'individuo manifesta difficoltà relazionali, possibili situazioni odierne o passate di malessere. Il conflitto non è stato manifestato ed è represso. L'insieme dei fatti è diverso dalle conseguenze di ogni singola situazione. L'iindividuo come percepisce il mondo che lo circonda e come con esso si relaziona?

 

Cognitivista: Teoria dell'attaccamento affettivo. Quali sono i motivi che lo spingono a sentire il bisogno di? L'individuo ha una chiara concezione di se stesso? Ha denaturalizzato la propria prospettiva? Somministrazione di alcuni test per comprendere se sono presenti altre problematiche. Alle volte consigliati psicofarmaci blandi come coadiuvanti alla terapia finchè necessari.

Edited by Aquarivs
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privateuniverse

Mi ricordo una conversazione in chat con un ragazzo che studiava psicologia. Mi prese in giro e mi ridicolizzò perché ero timido e avevo difficoltà.

 

Nel chiudere la conversazione mi vendicai dicendo che, secondo me, aveva sbagliato studi.

 

Non conosco bene degli psicologi ma, per quel poco che vale la mia impressione, ho la stessa sensazione di almadel.

 

D'altra parte, una volta che ebbi uno scambio di messaggi con uno di loro su un forum gay, mi rispose che la psicoterapia può anche comportare che si "affronti" il paziente; in altri termini, non è detto che, pur mettendosi nei panni del paziente, lo psicoterapeuta "gli dia ragione". Il che è anche plausibile, ma non so se vada bene per tutti.

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Aggiungo una cosa che ho dimenticato di dire:

oltre all'arroganza e alla mancanza di empatia,

molti psicologi sembrano "disponibili all'ascolto"

per l'evidente necessità di "evitare domande personali".

Mi pare sia un problema che hanno anche i giornalisti

che paiono pronti a intervistare nel timore che qualcuno faccia domande a loro

(ricordo di averlo pensato anni fa osservando Maurizio Costanzo

e più recentemente l'ho fatto notare a un amico psicologo che è arrossito platealmente).

 

Sulla questione della differenza tra maschi e femmine sollevata da Aquarivs

devo dire che è difficile da parte mia dare un'impressione univoca,

in quanto di maschi eterosessuali che hanno frequentato tale corso

devo ammettere di averne conosciuto assai pochi o forse nessuno.

Tantissimi gay - questo è certo - spinti a mio avviso proprio

da quella necessita di "imparare a conoscersi" che un gay può sentire a 18 anni.

 

Straordinariamente la persona migliore che ho conosciuto nel campo

non pretendeva affatto di avere alcuna dote empatica,

si occupava invece di "Storia della psicanalisi" e dalla sua posizione più "umanistica"

poteva permettersi delle valutazioni molto simili a quelle che vi propongo ora.

 

Che una teoria psicologica possa essere più o meno funzionale di un'altra

è sicuramente una cosa vera; però si genera un paradosso...

Se una persona potesse scegliere liberamente l'approccio che desidera

da parte dello psicologo al quale si rivolge, è chiaro che non ha bisogno di psicoterapia.

Se già so come voglio che siano affrontate le problematiche riguardanti la mia omosessualità,

probabilmente ho già la maturità sufficiente per superarle da solo.

 

Quello che invece mi interessava sottolineare è che certe facoltà

si scelgono per evidenziare i propri punti di forza delle Superiori (come Matematica o Filosofia);

altre per seguire certe velleità più o meno ben riposte (come Lettere o il DAMS)

altre per valutazioni di tipo economico (come Ingegneria, Medicina o Giurisprudenza);

ma nel caso di Psicologia l'impressione è che si cerchi di riparare un problema personale.

Quasi che mancando il coraggio per "andare dallo psicologo"

per lo meno si trovi quello per "diventare uno psicologo".

 

I rischi per il paziente diventano allora evidenti;

ma - non essendo io un paziente - sono più preoccupato

per i rischi dello stesso psicologo.

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AndrejMolov89

Questa tua impressione è giusta da un lato, dall'altro è un po' da analizzare seriamente.

La psicologia è diventata troppo inflazionata negli ultimi tempi, ma soprattutto, in molti suoi aspetti diventa semplicemente un commento al comportamento e una sorta di osservare un essere umano. Questo fatto ha cercato di darle uno statuto maggiormente scientifico, ma al contempo l'ha allontanata anche dalla sua funzione di supporto verso le altre persone. Cioè, il lato della comprensione pura e semplice ha superato il percorso che dovrebbe permette di comprendere l'oggetto di studio.

La psicologia, forse, soffre di questa necessità di scientificità. Non dico che essa non sia scientifica in toto, ma molti suoi aspetti non rispecchiano molto i canoni di una scienza come geologia o altro; ma questo fatto non è un difetto. Non è necessario che sia totalmente scientifica (se non quando si studiano gli effetti a megascala di determinati fenomeni), ma nella "cura" individuale, questa eccessiva scientificità sostituisce la parte umana.

Inoltre, durante il percorso, essendo un po' troppo scientifica, gli studenti soffrono del complesso di superiorità tipico degli studenti dei primi anni, cioè credono di studiare un fatto scientifico e certo, quindi nella loro idea possono comprendere il fenomeno con una semplice analogia con quanto hanno studiato. E' solo dopo molti anni di studio che questo difetto si estingue lasciando spazio al dubbio e alla necessità di ricerca. Parlo, ovviamente, da persona non addentro a questi schemi, ma secondo me magari è una possibile giustificazione della mancanza di empatia di alcuni.

:D

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Mi riferisco proprio alle persone che hanno intrapreso questo percorso di studio

e che - con molto o scarso profitto - lo hanno portato fino alla laurea.

 

Non ne faccio parte ma mi permetto di intervenire :-P e tra l'altro pure in questo caso per raccontare un'esperienza positiva (per quanto casuale, anzi forse proprio per questo ancora più positiva)

Evidentemente in questo campo io ho un culo stratosferico.

C'è stato un periodo in cui seguivo un corso a Milano, un solo giorno alla settimana, e il treno del ritorno lo pigliavo di sera tardi e arrivavo a casa ben dopo la mezzanotte.

Ora piuttosto in generale io sono terrorizzato pure dalla mia ombra, giusto per farvi capire che per molto meno mi viene un'ansia pazzesca.

Una sera mi trovo in carrozza con una studentessa di psicologia (non ancora laureata) che ha attaccato (lei, ovviamente, nel senso che io non riuscirei a dire "ciao" nemmeno all'uomo più bello del mondo manco se indossa una maglietta con il testo di Coming clean e la bandierina arcobaleno) bottone (e sono matematicamente sicuro che lo ha fatto perché ha subito capito le mie difficoltà) e ridendo e scherzando è finita che per diverse settimane i viaggi in treno sono stati molto meno pesanti e faticosi rispetto al solito. (edit: tengo a precisare che lei l'ho incontrata solo quella sera e basta)

 

Mi pare giusto far suonare tutte e due le campane, da una parte ho letto troppe volte di esperienze DAVVERO traumatiche per non credere che qualcosa di vero ci sia e che ci siano grossi problemi in questo campo, d'altro canto in linea di massima io ho avuto grossissimi aiuti ed esperienze talmente positive che mi pare doveroso parlarne, soprattutto viste le grossissime reticenze delle persone a cercare questo tipo di aiuto (ad esempio io facevo questo ragionamento: "i miei genitori sono miei nemici, i miei genitori mi vogliono portare dallo psichiatra = lo psichiatra è mio nemico")... tra l'altro fra le varie testimonianze che ho letto in rete tantissimi anni fa ce n'era pure una che grossomodo si poteva riassumere così (specificando il fatto che dopo un pò pure i genitori in questione si erano rotti le balle del terapeuta in questione)

Ripeto io evidentemente ho un culo stratosferico :-P

Edited by Azthok
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...non posso evitare di contribuire a questa discussione,

visto che per un bel po' ho frequentato uno studente di psicologia, seppure sui generis :)

Quando ci siamo conosciuti aveva ripreso da poco gli studi,

dopo aver abbandonato qualche anno per motivi di lavoro.

E pure la sua precedente formazione era atipica,

perciò questo ragazzo spesso univa in sé i pregi e i difetti dell'autodidatta,

da cui non mi spingo a generalizzare per affermare che

"gli psicologi mancano di empatia"...

Lui stesso nutriva un certo scetticismo riguardo colleghi di facoltà e professori.

 

Sulla scientificità o meno della psicologia non mi esprimo,

non conoscendo abbastanza la materia, non posso dar pareri, né ho canoni per valutarne i "metodi"...

Le mie esperienze come paziente son state scioccanti;

una volta parlai alla psicologa di mia madre della mia omosessualità,

e lei non tentò nemmeno di capire perché non volevo dirlo a mio padre,

consigliandomi il coming out e pace.

 

Lì mi son detto, due son le opzioni:

o è troppo stupida per capire i miei casini e mi dice di dichiararmi con mio padre

solo per far la parte di quella "politicamente corretta",

o spera che il mio coming out spinga tutta la famiglia ad intrparendere una bella terapia di gruppo

e così ci guadagna pure nuovi clienti :D

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@Azthok, anche il signore obeso di fianco a te (vedovo da poco)

aveva bisogno di sostegno psicologico. Pensaci.

Pensaci e ti verrà in mente perché lei ha rivolto la parola a te :)

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@@Almadel 1) la carrozza era vuota.

2) io non sono un figo (anche se ultimamente mi sento abbastanza compiaciuto :-) )

3) lei ha fatto quello che era un chiaro straordinario

 

Se proprio devo pensare a un secondo fine trovo più probabile qualcosa da mettere sul curriculum ;-)

E in ogni caso il risultato è stato efficace.

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Ilromantico

Non sono mai stato da uno psicologo, ma un andrologo dell'ospedale ,da cui sono andato una volta per un'infezione, era anche psicologo sessuale. Non potete capire che razza di tizio, freddo come il ghiaccio, arrogante, scortese e con SERI deliri di onnipotenza (proprio un matto!). All'inizio della visita riceve una chiamata al telefono da una paziente e si mette a darle dei veri e propri ORDINI con una superbia e una freddezza da paura. Non so come spiegarlo, ma sembrava come un padre che stesse dando ordini alla sua figlioletta. Io rimasi un po' interdetto! Successivamente, passò a visitarmi, ma lui aveva GIA' deciso la mia diagnosi FREGANDOSENE di guardare gli esami clinici che avevo portato e dando del ciarlatano al medico che mi aveva fatto prescrivere gli esami (la infezione però c'era...!). Se ne fregò altamente degli esami clinici, e del fatto che fossi venuto lì solo perché lui mi prescrivesse quello che c'era da prescrivere, e cominciò a psicoanalizzarm infastidito con arroganza e saccenzai!!!! Disse che ero un tipo insicuro, nevrotico, indeciso e con molte insicurezze sessuali e anche sul campo affettivo. Davvero una roba da NON crederci!!! Magari avrò altri "problemi", ma davvero chiunque può garantire che so sempre ciò che voglio e nel sesso e l'amore ho sempre viaggiato come un treno. Comunque ritornando al medico, dopo avermi fatto un'analisi psicologica (da ciarlatano) NON richiesta, ho risposto col giusto tono che si meritava. La morale della favola è semplice, alla fine tornando a casa cercai notizie sul suddetto medico e scopriì che guarda caso aveva uno studio privato ed era essenzialmente un andrologo specializzato in psicologia sessuale. In parole povere sperava di far aboccare una preda per poi spennarlo nel suo studio. Che tristezza di persone!

 

Per il resto è anche vero che una conoscente di un'amica è una psicologa e l'ho trovata tutto fuorché apatica (anzi è una persona abbastanza simpatica e adorabile). Ma nel caso del medico da strapazzo ritrovo proprio quei difetti e quell'atapia denunciati da Almadel!

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PS tra l'altro, Almadel, si fa per scherzare, eh, ma cacchio ho trovato uno più cinico e misantropo di me!!!!!! :-P

Magari qualche tempo fa mi avresti messo in crisi e mi sarebbe venuta l'ansia da prestazione, attualmente devo dire che invece mi fa quasi piacere :-)

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Non dimenticatevi comunque la difficoltà con la quale lo psicologo deve continuamente tenere a distanza il paziente che tende, involontariamente, a stringere un rapporto di dipendenza morbosa con il proprio terapista. Non che questo giustifichi o indichi, ma è un dato presente e fondamentale della terapia.

Edited by Aquarivs
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Bisognerebbe distinguere, come minimo, i contatti "terapeutici"

da quelli non terapeutici...

 

Non possiamo pretendere dall'amico, che attivi i suoi filtri e si comporti

per tale, secondo le coordinate standard di simpatia-antipatia e rimproverargli

la mancanza di empatia ed al contempo al contrario pretendere la simpatia

quando si tratti di ricevere empatia. La distinzione però è "pelosa" cioè non

facile...

 

Uno dei problemi poi è che noi tendiamo a richiedere allo psicologo o all'amico

psicologo consigli "oggettivi" o risposte "oggettive" a problemi soggettivi che

non hanno bisogno di risposte oggettive ma di un lavoro "soggettivo"

 

A volte può esserci una spiegazione inversa: forse la psicologa di tua madre Schopy

per il fatto di essere "di tua madre", voleva spingere lei sul consiglio oggettivo e di fatto

"respingerti" ( è una possibilità, che avrebbe una sua ragionevolezza...ma tu hai

prefertito l'ipotesi che ci fosse un interesse rispetto al fatto che ti scaricasse o che fosse

stupida )

 

Non essendo la psicologia una scienza oggettiva c'è il pericolo che gli psicologi

cerchino legittimazioni improprie, ma bisogna essere onesti e riconoscere l'inverso

cioè il fatto che a volte siamo noi che possiamo delegittimare la psicologia in quanto

non oggettiva per allontanare percorsi o possibilità sgradite ed indurre il circolo vizioso.

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Di psicologi ne ho girati un po' come paziente... devo dire che in una ho notato quello che hai nominato tu, Almy, cioè la totale mancanza di empatia (motivo che ha contribuito alla decisione di interrompere la terapia con lei), un'altra invece era una persona totalmente empatica e probabilmente mi ha realmente salvato la vita durante un periodo molto negativo.

 

Però devo ammettere che ho notato anche io che a psicologia si iscrivono molte persone "con problemi", forse appunto per compensare quello che dici tu.

 

Sono uscita per un periodo con uno psicologo (ancora non era psicoterapeuta, lavorava come operatore in un centro di recupero) e, parlando del suo lavoro e del fatto che stava passando un brutto periodo, mi raccontava di come i pazienti si stupivano del fatto che lui al lavoro fosse sempre perennemente tranquillo. Considerando che l'avevo conosciuto al di fuori del suo lavoro so benissimo che anche lui aveva i suoi scleri come tutti, ma mi spiegava che ovviamente un conto è la vita di tutti i giorni ma, se devi lavorare con persone che hanno problemi, è ovvio che tu debba assumere un ruolo diverso, dato che è il paziente al centro del tuo lavoro.

Non ho idea di come sia poi nel suo lavoro, se sia del tipo "empatico" o del tipo "non empatico", quindi non posso nè darti ragione nè darti torto Almadel. Però è uno dei rarissimi laureati in psicologia maschio e eterosessuale :P

 

Ad ogni modo penso anche io che per fare lo psicologo sia fondamentale l'empatia... il problema è che non credo che quella te la possa insegnare l'università :-/

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@@Frattaglia io credo anche (ma è una mia idea, ovviamente non ho modo di verificare) che uno davvero bravo almeno un minimo debba anche adattarsi al paziente e quindi assumere comportamenti almeno un minimo diversi da caso a caso. A dire il vero già solo con la singola persona, a me pare proprio che il modo di porsi e il tipo di rapporto sia negli anni in costante evoluzione col mio, (evoluzione implica cambiamento ma ovvio si tratta in questo caso non di un cambiamento né estremo né radicale che immagino sarebbe fortemente stressante e disorientante - figuratevi che a me un minimo di ansia era venuta anche solo la prima volta che l'ho visto cambiare automobile!!!!) a maggior ragione penso valga per persone diverse.

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Non conosco abbastanza bene studenti di psicologia per fare una statistica con Almadel.

Sono in generale d'accordo sul fatto che ciascuno scelga il percorso di studi anche in relazione ad aspetti della propria vita - ma, d'altra parte, è così che ciascuno di noi sviluppa i propri interessi. Non si può prescindere dalla propria esperienza, anche eventualmente traumatica o negativa.

 

L'importante è essere consapevoli di quanto possa influenzare, e trasformarla in una potenzialità.

Io spero che chi si iscrive ai corsi di psicologia, a forza di studiare psicologia, di seguire la terapia obbligatoria eccetera, riconosca i propri problemi, li scavi a fondo, impari a gestirli, e diventi bravo anche con quelli degli altri.

 

Forse gli studenti che hai conosciuto, essendo ancora studenti, non sono molto avanti in questo percorso, e ti mostrano ancora il loro "bisogno" di psicologia su di sé. Quando lo colmeranno, potrebbero diventare più bravi.

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Una mia amica è molto interessata a questi argomenti, non li ha studiati (ha fatto lingue straniere, più che altro per motivi pratici) ma ogni cosa che poteva agganciarci al corso di lingue la faceva, e diceva che a uno di questi corsi il professore la prima cosa che ha detto è stata "bene, se qualcuno è qui per indagare o risolvere questioni personali esca pure che è del tutto inutile" (o qualcosa del genere)

Personalmente posso dire che con l'esperienza mi rendo conto che - almeno per me - scavare in certi argomenti mi farebbe solo male. Io devo dedicarmi a tutt'altre cose. Non so gente che ha problemi diversi, una pertsona che ha problemi paragonabili ai miei non deve (per il bene suo principalmente, ma ovviamente anche perché non riuscirebbe ad aiutare nemmeno nessun'altro) imbarcarsi in studi di quel genere.

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Io spero che chi si iscrive ai corsi di psicologia, a forza di studiare psicologia, di seguire la terapia obbligatoria eccetera, riconosca i propri problemi, li scavi a fondo, impari a gestirli, e diventi bravo anche con quelli degli altri.

 

Io temo il contrario, invece.

Ho l'impressione che lo studio e la terapia obbligatoria

- in qualche modo - aiutino il futuro psicologo

a costruirsi una "narrazione" funzionale a nascondere i loro problemi.

 

Gli strumenti che dovrebbero servire per migliorare il loro approccio verso sé e gli altri

diventano invece funzionali a seppellire a sigillare le proprie nevrosi,

rendendo molto difficile su di loro l'effetto di una eventuale terapia.

Terapia che verrà comunque somministrata da persone altrettanto problematiche

e capace quindi di creare un circolo vizioso di nevrosi che si auto-alimentano.

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@Hinzelmann

Certo, occorre distinguere lo psicologo conosciuto per motivi terapeutici e non...

Se facevo riferimento all'esperienza con la "psicologa di mia madre"

è perché l'ho trovata francamente deludente.

Non che mi aspettassi empatia,

né posso figurarmi le ragioni precise per cui mi ha dato certe indicazioni e non altre,

di sicuro è riuscita a comunicarmi una certa...superficialità.

Se intendeva respingermi lo scopo l'ha raggiunto e quindi bene, no...?

Di necessità,

poiché la psicologia ha a che fare con soggetti e non con oggetti,

capisco che non si possa pretendere "soluzioni oggettive".

Ho delle perplessità sulla preparazione di tanti psicologi...

spesso ho preferito complicarmi e risolvermi la vita da solo.

 

Se gli psicologi si iscrivano all'Università per cercare di "risolvere un problema personale"

più che per un interesse costruito sui banchi di scuola non saprei dirlo...

Quel che mi viene in mente è che scelgono una via un po' noiosa per conoscersi.

Edited by schopy
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Io temo il contrario, invece.

Ho l'impressione che lo studio e la terapia obbligatoria

- in qualche modo - aiutino il futuro psicologo

a costruirsi una "narrazione" funzionale a nascondere i loro problemi.

 

Gli strumenti che dovrebbero servire per migliorare il loro approccio verso sé e gli altri

diventano invece funzionali a seppellire a sigillare le proprie nevrosi,

rendendo molto difficile su di loro l'effetto di una eventuale terapia.

Terapia che verrà comunque somministrata da persone altrettanto problematiche

e capace quindi di creare un circolo vizioso di nevrosi che si auto-alimentano.

Qui sei assolutamente fuori strada.

Il concetto dello psicologo che diventa tale perchè alla ricerca di.. è una leggenda metropolitana che può trovare riscontro SOLO fra le matricole e gli studenti in genere i quali, essendo mossi probabilmente dal desiderio di comprendersi e superare certi conflitti, approdano a questa facoltà. Chi arriva al quinto anno difficilmente è partito in simili condizioni. Ancor di più quelli che si specializzano per la terapia (tutti gli altri, i ricercatori, tu nemmeno li conoscerai mai). E anche così facendo tutti gli psicologi sono obbligati a far terapia funzionale proprio alla professione proprio perchè questi siano adeguatamente pronti ad esercitare la professione senza le inferenze personali.

Generalizzare sullo status dello psicologo è pura superstizione ed è, in genere, alimentata dall'ignoranza.

Ho conosciuto molti colleghi e nessuno, ripeto, nessuno di questi esercitava sotto l'inflienza delle proprie nevrosi o si faceva influenzare dalla possibile assonanza delle proprie esperienze con quelle del cliente. Si riceve un insegnamento specifico in questo senso così come si fa con un chirurgo o un astronauta. Si fa quel che si fa solo se si è capaci. Se lo si fa senza esserlo si fallirà molto presto.

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@@Aquarivs io credo (mi interessa giusto per soddisfazione personale avere il tuo parere che a quanto ho capito qualcosa ci capisci) che il meccanismo di cui parla Almadel (sfruttare le nozioni a proprio vantaggio in maniera poco onesta) possa al limite essere usato nella vita di tutti i giorni se si ha intenzione di manipolare più facilmente il prossimo... però se lo fai nell'ambito in cui crede Almnadel (imho):

1) non riesci ad applicare queste cose su di te per aggirare i tuoi problemi (che mi pare Almadel intendesse anche questo)

2) il paziente si rende conto di essere trattatgo come un cane e ti da il largo nel giro di due o tre sedute (ma anche di una magari a volte)

 

Insomma sinceramente anche io ci credo poco alla sua ipotesi. E credo anche che se un terapeuta è un cane davvero cane (come quelli di cui ho letto, che ripeto erano molto peggiori del peggiore che io posso aver provato di persona, ammettendo che le fonti siano affidabili) non sia a causa di problemi psicologici ma per cause ideologiche o al limite altri problemi (ebbene sì, esistono problemi anche di natura diversa da quella psichica al mondo :-P )... oltre ovviamente al fatto che la scuola (e probabilmente anche l'università anche se, spero, a livello minore) sono gestite in una maniera orrenda e spaventosamente ambigua nel nostro paese

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tutti gli altri, i ricercatori, tu nemmeno li conoscerai mai

 

Il grosso degli psicologi che conosco arrivano nel nostro circolo

alla ricerca di "materiale gay" per fare la tesi...

Ragazzi molto studiosi con una corte di amiche a "proteggerli"

che vengono al Gruppo Giovani a distribuire questionari.

 

E anche così facendo tutti gli psicologi sono obbligati a far terapia funzionale proprio alla professione proprio perchè questi siano adeguatamente pronti ad esercitare la professione senza le inferenze personali.

 

Il paradosso è che la terapia è fatta da altri psicologi...

Cioè da altri complessati loro pari che "proteggono" le proprie nevrosi

convincendo i ragazzi in terapia con loro che non si tratti di nevrosi.

 

La Psicologia ha un problema serio:

è l'unica disciplina che si autocertifichi.

Un Fisico e un Muratore hanno le competenze per affermare

che un Ingegnere Edile è effettivamente competente.

Gli unici chiamati ad esprimersi sulle competenze e sulle capacità di uno Psicologo

sono sempre e necessariamente altri psicologi, perché un Neurobiologo e un Filosofo

raramente arrivano a toccare realmente il campo che gli psicologi hanno avocato per sé.

 

Se - per paradosso - foste una manica di deficienti mentali

non ci sarebbe alcun modo di saperlo; perché i presupposti della vostra disciplina,

il controllo sugli operatori del vostro metodo e quello sugli effetti stessi del vostro metodo

sono sempre appannaggio esclusivo degli psicologi stessi.

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Ci sono stati, in passato, sei sapientoni che hanno sfruttato le loro conoscenze e abilità per manipolare gli altri. Questi individui, psicologi appartenevano ed appartengono tutt'ora alla scuola della PNL o programmazione neuro linguistica che prepara le basi al dialogo psicologico, all'ispezione mentale e all'abbattimento delle mura psicologiche attraverso il linguaggio, il discorso, la comunicazione. Alcuni seguaci e promotori di tale scuola hanno usato le scoperte in ambito della psicologia della comunicazione per i loro tornaconti. Ovviamente questo tipo di comportamento non può rimanere nascosto a lungo e, ovviamente tutti noi ne siamo venuti a conoscenza.

 

La programmazione neurolinguistica è ancora valida e seguita. Questo perchè l'efficacia è indiscussa. Tuttavia coloro che la seguono sono esortati vivamente a non farne uso a scopo personale perchè deontologicamente scorretto. Questo vale per qualsiasi ramo della medicina e della scienza.

 

Se il paziente si sente trattato come un cane direi che lo psicologo ha già fallito in partenza. Che sia la scuola o le condizioni del cliente in ogni caso lo psicologo che tale si ritiene ha come obbligo primario l'entrare in contatto con i pensieri ed i punti di vista della persona che assiste. Nell'ambito della psicoterapia di gruppo ho visto al lavoro i miei insegnanti agire proprio secondo questo principio per il quale parole vietate dal cliente divenivano vietate dallo psicologo. Concetti emotivamente sconvolgenti diventavano tabu per lo psicologo ed insieme camminavano dove il cliente sentiva sicuro poter camminare. La terapia va svolta con le risorse del cliente e non con quella dello psicologo.

Contrariamente a quello che si crede lo psicologo NON DEVE MAI SUGGERIRE, COMANDARE O INDICARE. Semmai può interrogarsi, può esplorare e chiedere.

 

Il paradosso è che la terapia è fatta da altri psicologi...

Cioè da altri complessati loro pari che "proteggono" le proprie nevrosi

convincendo i ragazzi in terapia con loro che non si tratti di nevrosi.

 

La medicina indica che determinate terapie siano da ritenersi necessarie, vedi il cesareo invece del parto spontaneo, la chemio alle cure alternative e via discorrendo. Questi dottori istruiscono altri dottori secondo la loro scuola. Non vedo tutta questa differenza con la psicologia.

Ad ogni modo addurre a priori che gli psicologi Istruenti siano complessati è arbitrario e privo di onestà intellettuale. Così come lo sia l'addurre all'istruzione accademica all'iniziazione settaria fra pazzi.

 

Ovviamente il tuo flame è palese motivo per il quale l'attacco alla mia professione per non dire alla mia "sanità mentale" in quanto tale cade sicuramente nel vuoto.

Edited by Aquarivs
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AndrejMolov89

@Aquarivs: Credo che il ragionamento di Almadel abbia come assunto fondamentale il topic della discussione, non era propriamente un attacco gratuito alla tua professione. Ai fini della discussione, secondo me, bisognerebbe discutere questo lato fondamentale del discorso. Per quanto ovviamente possa essere un "mito" o altro.

Sinceramente ho espresso la mia idea: l'eccessiva pretesa di scientificità a livello di cura individuale, può ridurre l'empatia. Il problema è che le materie non scientifiche sono snobbate, e la psicologia secondo me, soffre del suo ruolo di disciplina ponte tra attività umana e scientifica propria. la domanda è questa : il discorso scientifico, puro e rigoroso ha senso solo a livello "mega scala" cioè, a livello collettivo?

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Greed, il tuo è un domandone! :)

 

Preferisco soffermarmi sulla questione "psicologi ed empatia" da un punto di vista personale. Quando feci CO, di comune accordo con i miei genitori decisi di andare dallo psicologo; non fu assolutamente una costrizione, era qualcosa che volevo fare anch'io ed ero quasi "curioso" di andarci. Ho smesso di andare dopo tre mesi perchè, come dissi all'epoca ai miei genitori, stare lì mi dava la sensazione di "immettere dei dati in un computer". Lo psicologo che mi seguiva era assolutamente ben disposto - e deve esserlo pure per lavoro, credo XD - ma fra me e lui, per tutta la durata delle sedute, non è mai crollato quel muro che vedevo fra me e lui, non sono mai riuscito ad entrare in comunicazione empatica con lui, non so neanche bene come definire quello che è stato il nostro rapporto psicologo-paziente...anche a distanza di tempo, mi sono sempre chiesto quanto avesse influito un probabile mio atteggiamento forse errato e quanto avesse invece inciso una sua mancanza di empatia. E' un dubbio che non ho mai chiarito del tutto. So solo che francamente quell'esperienza mi ha lasciato poco. All'epoca - avevo 16 anni - fui anche un po' seccato dalla cosa, perchè ho avuto la netta sensazione di essermi aperto "troppo" con un estraneo impermeabile...dopo invece cominciò a maturare il dubbio: ma non è che sono stato un po' anche io? Ma soprattutto: era necessaria una comunicazione empatica come forse erroneamente la credevo io - da adolescente sbarbato - o un utente medio crede debba esserci? E' per me un qualcosa di tutt'ora irrisolto.

Edited by Fred
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privateuniverse

A proposito della mancanza di empatia degli psicologi, senza voler generalizzare in maniera rozza, mi è venuto in mente un piccolo aneddoto personale.

 

Qualche tempo fa chiesi ad un mio amico gay, molto amico di un laureato in psicologia anche lui gay (del quale aveva una tale stima da considerarlo letteralmente il suo "guru"), di chiedergli di consigliarmi uno psicoterapeuta che avesse esperienza con i gay (tenete conto che io vivo in provincia). La risposta che mi fu riferita è che la mia richiesta era più o meno priva di senso, perché tutti gli psicoterapeuti sono ugualmente capaci di affrontare i problemi di qualunque tipo di persona.

 

A me invece sembra che la mia richiesta un senso ce l'avesse, non perché la psicoterapia si possa, o si debba fare, a compartimenti stagni, per tipologie di problemi o per categorie di persone; ma perché io avvertivo il bisogno di confrontarmi con qualcuno che avesse familiarità con le problematiche che io mi trovavo ad affrontare, e che credo fossero comuni a persone nella mia condizione e non ad altre. A me sembrava evidente che, a parità di "predisposizione empatica" del singolo (elemento che comunque io non sono in grado di valutare a priori), la capacità di comprendere uno stato di sofferenza potesse essere maggiore per una persona che si fosse trovata ad affrontare casi simili rispetto a una che non ne avesse idea se non in maniera mediata o episodica. Volevo evitare, o quanto meno ridurre, il rischio di trovarmi di fronte a qualcuno al quale dover spiegare persino le caratteristiche elementari di uno stato di disagio che, in parte, è indotto da esperienze di vita generate da una situazione esterna e non meramente interiori. Il carico di sofferenza emotiva che si tira dietro una persona che, per esempio, si sia trovata ad affrontare il dramma della scoperta di un orientamento sessuale difforme da quello della maggioranza a 16 anni, per di più in una condizione di isolamento, non è lo stesso di una persona che può certo aver avuto problemi ben più gravi, ma non di questo tipo.

 

Io dò per scontato che chi ha fatto certe esperienze abbia una maggiore capacità di calarsi nella situazione di chi ha fatto esperienze simili e, quindi, di aiutare a trovare soluzioni non preconfezionate. Per fare un esempio, e sempre ripensando alla mia vita, sperimentare un lutto è cosa ben diversa dall'immaginarsi astrattamente di sperimentarlo, anche se, in termini astratti, il lutto si riesce a immaginarlo in termini corretti; io mi trovo a dover rivedere in continuazione le mie opinioni astratte su un qualunque stato d'animo alla luce di ciò che apprendo, sulla mia pelle, sperimentandone diversi,, di stati d'animo, e quindi evolvendomi, giorno dopo giorno. Tutto questo a me sembra persino ovvio e mi sembra discutibile che lo si possa negare a priori.

 

Una persona incapace di cogliere una verità così elementare come fa a capire stati d'animo ben più complicati e difficili da elaborare? Come può essere d'aiuto? E in che mani rischierei di mettermi?

 

Per fare un paragone: io sono un appassionato di lingue straniere, e ho familiarità con i problemi che comporta imparare una lingua straniera. Insegnare una lingua a una persona di madrelingua non è la stessa cosa che insegnarla a una persona che ha una madrelingua diversa. Non è affatto detto che, ad esempio, l'insegnante ideale di inglese per un italiano sia una persona di madrelingua inglese, perché la persona di madrelingua inglese, soprattutto se non conosce l'italiano, potrebbe avere difficoltà a capire le difficoltà specifiche che un italofono incontra nell'imparare l'inglese. E, per di più, una persona abituata ad insegnare l'inglese a persone di madrelingua italiana potrebbe sviluppare una maggior capacità di capire i problemi peculiari che un italiano incontra nel momento in cui vuole imparare l'inglese, e che sono in parte diversi da quelli di una persona di madrelingua tedesca o cinese.

 

Se questo vale per un'attività che richiede molta meno empatia di una psicoterapia o di un aiuto psicologico, perché non dovrebbe valere, a maggior ragione, in un ambito come questo?

Edited by privateuniverse
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Una persona incapace di cogliere una verità così elementare come fa a capire stati d'animo ben più complicati e difficili da elaborare? Come può essere d'aiuto? E in che mani rischierei di mettermi?

 

Parli dello psicologo o del gay?

 

Perchè quella persona avrebbe dovuto essere sia laureato in psicologia

che gay, ma non pare che la compresenza delle due cose abbia prodotto

empatia...XD

 

Comunque ciò di cui parli a me pare più una "compassione" che una empatia

nel senso che con una persona che ha già vissuto certe esperienze - sia un

lutto, sia la scoperta dell'omosessualità - si tratterebbe di condividere.

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