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[blunotte] dall'inizio...


blunotte

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Mi imbarazza un po’ dedicare un topic intero al mio Coming Out ma d’altronde mi sono iscritto a questo forum anche per questo: per trovare un confronto con altre persone riguardo a delle esperienze personali; che poi tanto “personali” non sono, perché su questi temi, si potrebbe dire, siamo un po’ tutti nella stessa barca.

E’ un argomento che sento di dover condividere con qualcuno che mi possa capire, perché le persone con cui ne ho parlato finora hanno potuto darmi “solo” (ma è già molto, lo riconosco) affetto e partecipazione, ma non una comprensione reale dei fatti, della situazione, di quello che ho provato e delle conseguenze.

Voglio quindi ringraziarvi per l’ascolto e soprattutto ringraziare chi ha reso possibile la creazione e l’utilizzo di questo spazio di dialogo “virtuale”, ma prezioso.

 

Spesso questi racconti finiscono con il coming out e con le reazioni che questa ha suscitato sul momento, io invece vorrei partire dalla rivelazione, perché non è stato un punto d’arrivo, bensì ciò da cui tutto ha avuto inizio.

 

Ero piccolo, ricordo. Non so quanti anni avessi di preciso, facevo le medie quindi massimo tredici anni. Mi erano sempre piaciuti i ragazzi, per me era una cosa naturale come bere o mangiare, ma man mano che crescevo divenivo sempre più consapevole che questa mia tendenza non era affatto apprezzata dalla società: insomma, finocchio e frocio erano insulti sulla bocca di tutti!

Quindi, quando una sera a cena decisi di parlarne alla mia famiglia (io, i miei e mia sorella, di dieci anni più grande), con cui avevo sempre avuto molta confidenza, fu come se gli stessi rivelando un delitto: dissi che avevo qualcosa di grave da dirgli e loro, giustamente, si preoccuparono e cominciarono a chiedermi cosa fosse successo, se avessi rubato etc. e io angosciatissimo avevo solo la forza di negare finché, dopo un attimo di silenzio in cui tutti si lambiccavano il cervello mio padre disse: “Ma… sei gay?”, annuii gravemente e tutti scoppiarono in vari “Tutto qua?!” “Ci avevi messo paura!” e “Non è niente di grave!” (quindi, tecnicamente, non gliel’ho detto: lo hanno indovinato).

Mi spiegarono che non c’era niente di cui preoccuparsi, che alla mia età era normale e che spesso era solo una fase: “Passerà” mi dissero, e continuarono a ripeterlo anche negli anni seguenti, con sempre maggiore preoccupazione, perché, ovviamente, non passava un bel niente e in verità io non capivo nemmeno bene perché dovesse passare: ero fatto così, quindi perché avrebbe dovuto passare? Sarebbe come se il colore marrone degli occhi avesse dovuto trasformarsi in azzurro col tempo (e non mi sarebbe dispiaciuto). Mi dissero anche di non dirlo a nessuno perché la gente, lo sapevo, non l’avrebbe presa bene e sarei stato preso in giro da tutti, se non peggio.

I miei genitori e mia sorella sono stati fantastici, non esito a dire che sono una persona fortunata, fin da quella sera mi dissero che qualsiasi scelta avessi fatto loro mi avrebbero sempre amato per quello che ero e anche appoggiato. Dio, quanto sono stato fortunato!

Certo, non fu tutto rose e fiori. Io avrei voluto vivere questa mia condizione in modo naturale, con un po’ di leggerezza, magari ogni tanto condividere un commento o una battuta con i miei, ma ogni volta che facevo uno di questi tentativi loro iniziavano a trattare l’argomento con una gravità insopportabile; una volta ricordo che ero a passeggio con mio babbo e lui, appassionato di cani, fece un apprezzamento su un cane di razza; io dissi qualcosa del tipo: “Il cane non lo so, ma il padrone è proprio un bel ragazzo”, non l’avessi mai fatto! Ho passato le due ore successive a rispondere alle domande preoccupate di mio padre che cercava di capire cosa mi piacesse in un ragazzo, se proprio le ragazze non mi facessero alcun effetto, e infine rinnovando la sua convinzione che probabilmente era una fase e sarebbe passata.

Un’altra volta ero con mia madre in macchina, lei guidava e piangeva e mi diceva tra le lacrime che mi avrebbe appoggiato sempre… Lo so che avrei dovuto esserle grato in quel momento, ma cazzo mi sentivo un malato terminale! Dovetti tirare giù il finestrino perché l’aria era diventata irrespirabile: perché quella cosa doveva essere vissuta con tanta angoscia?!

Col tempo mi sono allontanato dalla mia famiglia, anzi, mi sono allontanato da tutti. La mia classe delle superiori era formata per la maggior parte da gente bigotta, omofoba e gretta e io mi chiusi sempre più in me stesso. I cinque anni delle superiori furono come cinque anni d’inverno.

Paradossalmente mio padre è quello che, col tempo, ha accettato meglio la cosa, con più leggerezza; entrambi hanno fatto del loro meglio e mi chiedono spesso se a Roma ho conosciuto qualcuno e anzi, una volta mamma mi ha detto imbarazzata e scusandosi perché forse non sarebbe stata lei a dovermelo dire, che “ogni tanto ci vuole una botta di vita, con le dovute precauzioni”… Avrei voluto abbracciarla, ma eravamo al telefono.

 

Poi una sera di qualche settimana fa è stato come se tutto fosse tornato a quando avevo tredici anni: eravamo in cucina io e i miei. Mio babbo scherzava come me sulle ragazze, come ancora non si stanca di fare: dice che nella vita non si sa mai, un giorno potrei anche cambiare opinione; riferendosi a due mie amiche disse che avrei dovuto “dargli una bella botta”, siccome si era in clima di scherzi, io buttai lì che a me, per dirla tutta, le parti intime femminili (ma non ho usato questo termine) facevano anche un po’ schifo.

Subito mia mamma si è irrigidita sulla sedia e, lo sguardo basso, ha detto: “Per me una cosa simile non è normale, ti deve essere successo qualcosa da piccolo”. E’ stato come se il mondo mi crollasse addosso e tutto tornasse indietro, come quando i miei mi dissero che avevano dei sensi di colpa, che erano arrivati a credere che io fossi così perché magari mi era successo qualcosa, perché qualcuno aveva abusato di me… Ma non avevo più tredici anni, ne ho ventuno e allora ho affrontato la questione di petto con mia madre e ci ho parlato a quattr’occhi, dicendole che quello che diceva lei era grave, che mi convinceva del fatto che ancora non aveva accettato tutto… e lei è scoppiata a piangere, mio Dio, è strano vedere piangere mia madre, una donna così forte: le posso contare sulle dita di una mano le volte in cui l’ho vista piangere; è lei quella che manda avanti la casa, che risolve i problemi di tutti e che tiene unita la famiglia, è lei a cui tutti si rivolgono quando hanno bisogno di aiuto, ma mi sono reso conto che lei non chiede mai aiuto, preferisce risolverli da sola e si tiene tutto dentro.

Quella sera la situazione si è capovolta, ero io che l’ascoltavo e cercavo di aiutarla: lei si è scusata, ha detto che era perché da poco sia era operata d’appendicite, che era ancora debole e che ogni tanto le capitava di piangere senza motivo. Poi mi ha detto che lei ha ancora delle resistenze dentro di se, riguardo alla mia omosessualità, delle resistenze psicologiche ed emotive che non riesce a superare, dei sensi di colpa, e mentre mi parlava ci tenevamo la mano e poi ci siamo abbracciati ed eravamo più vicini di prima, ma in un certo senso anche più lontani: in quel momento ho capito che quando dici ai tuoi che sei gay si creano delle distanze tra te e loro che non potranno mai essere eliminate definitivamente (ma che d’altronde ci sarebbero anche se non glielo dicessi, solo che sarebbero latenti); e ho capito che, per quanto l’amore li porti ad accettare la tua condizione, non potranno mai capire a fondo cosa vuol dire, ci saranno sempre dei limiti che non potranno superare.

O forse è solo un cammino molto lungo, un percorso in cui ci avviciniamo l’uno agli altri a piccoli passi, a piccoli passi…

 

Mi scuso per la lunghezza del testo, ora che lo rileggo mi rendo conto che ho scritto davvero troppo e spero che abbiate avuto la voglia e la pazienza di arrivare fino alla fine.

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ciao, leggere il tuo post è stato come volgere uno sguardo al passato, alla mia adolescenza :gh:

Mi ritrovo molto in ciò che hai detto: l’amore li porti ad accettare la tua condizione, non potranno mai capire a fondo cosa vuol dire ma appunto tocca a te farli andare nel profondo. E' un percorso lungo che io con mia madre sto ancora facendo, i passi da fare molteplici soprattutto dal loro lato. Per una madre liberarsi dei sensi di colpa è molto difficile, la mia ci ha messo 2 annetti buoni buoni per farlo, certo non mi domanda se ci scopo con qualcuno ma in campo diritti gay-adozioni-matrimonio, per una donna cattolicissima,  ne discutiamo eccome e ti dirò l'imbarazzo è + da parte mia che sua.

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Sì, credo che tu abbia ragione e che tocchi a me farglielo accettare, cosa che non ho molto fatto negli ultimi tempi: mi sono limitato ad allontanarmi da loro, a cercare di costruirmi la mia vita e gli ho lasciato tutto il peso della situazione sulle spalle; alla fine quasi tutti i tentativi di avvicinamento li hanno fatti loro... mi sento abbastanza in colpa per questo.

Ho letto quello che hai scritto del coming out, e mi sembra che per te sia stato molto più difficile sulle prime, soprattutto il fatto che tuo padre ti abbia detto che gli facevi schifo... non so, forse anche io in quella situazione, chiuso in casa, controllato e al centro del vortice di tensioni che si era creato nella tua famiglia avrei reagito "in modo esagerato".

Ma, certo, dopo questo periodo così difficile, deve essere stata ancora più dolce la riconciliazione con i tuoi: il loro impegno nel cercare di superare limiti e pregiudizi per far parte pienamente della tua vita (sbaglio?).

Grazie di aver risposto, ciao!

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Secondo me quello di cuii tuoi genitori hanno bisogno è di vederti nel contesto di una relazione. Vederti accoppiato con un ragazzo è l'unica cosa che probabilmente gli toglierebbe ogni dubbio che questo è ciò che sei e non cambierà. Finché sei single loro possono auto-convincersi che sia una fase o che tu abbia una percezione sbagliata della tua sessualità ma quando vedono una relazione stabile, che dura prima mesi e poi anni è chiaro che le cose cambiano e la  cosa acquista tutto un altro peso ai loro occhi. Non sto dicendo che devi trovarti un ragazzo e che devi farlo ora perché magari non è quello che vuoi in questo momento, dico solo che secondo me ti lasceranno più in pace se e quando questo avverrà. E comunque è un'ottima cosa che tu abbia parlato con tua madre di recente, anche se lei ha pianto. Le persone a volte non si rendono conto che i loro commenti sono insensibili se non glielo si fa notare. In quel momento lei ha pianto di vergogna non perché ha un figlio gay ma perché ha detto una cosa senza pensarci, che ha ferito suo figlio e probabilmente l'enormità di questo gesto l'ha colpita. Vedrai che le distanze anche qualora tu non riuscissi a superarle definitivamente di sicuro col tempo continueranno ad accorciarsi, perché in finale vi volete bene, si devono solo rendere conto che loro non hanno fatto niente per "causare" la tua omosessualità e quindi non sono responsabili di niente.

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Anche io sono sicuro che per loro sarebbe più facile accettarmi se mi vedessero felicemente fidanzato, se mi vedessero realizzato dal punto di vista sentimentale e relazionale, e anche a me non dispiacerebbe affatto, ma ho l'impressione che per avere, come dici tu, una relazione di mesi e anni occorra come minimo un sentimento molto forte: amore, passione... Ma non è così facile, penso che ci voglia tempo perché nasca una cosa simile nel rapporto tra due persone, forse sono cose che, semplicemente, accadono e che non puoi andare a cercare.

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Sì, credo che tu abbia ragione e che tocchi a me farglielo accettare, cosa che non ho molto fatto negli ultimi tempi: mi sono limitato ad allontanarmi da loro, a cercare di costruirmi la mia vita e gli ho lasciato tutto il peso della situazione sulle spalle; alla fine quasi tutti i tentativi di avvicinamento li hanno fatti loro... mi sento abbastanza in colpa per questo.

Ho letto quello che hai scritto del coming out, e mi sembra che per te sia stato molto più difficile sulle prime, soprattutto il fatto che tuo padre ti abbia detto che gli facevi schifo... non so, forse anche io in quella situazione, chiuso in casa, controllato e al centro del vortice di tensioni che si era creato nella tua famiglia avrei reagito "in modo esagerato".

Ma, certo, dopo questo periodo così difficile, deve essere stata ancora più dolce la riconciliazione con i tuoi: il loro impegno nel cercare di superare limiti e pregiudizi per far parte pienamente della tua vita (sbaglio?).

Grazie di aver risposto, ciao!

Nono non sbagli per nulla ^.^. Ti dirò se anche io mi fossi trovato in una situazione dove, da quello che ho capito, i genitori non pressavano avrei lasciato correre con la promessa di ritornarci più là quando tutto fosse stato più stabile

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