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Un gay può essere anche gaio?


Nino Quincampoix

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Nino Quincampoix

Da qualche tempo "frequento" il mondo gay (sono domiciliato ancora in parte a Eterolandia), conosco persone, si chiacchiera, ecc.

 

Molte delle persone che ho incontrato però hanno un elemento in comune: un sottile velo di tristezza (quasi melanconia) che li copre e li nasconde a volte. A questo velo poi spesso occorre aggiungere una certa dose di diffidenza che é assolutamente comprensibile. 

Io invece sono abbastanza allegro, rido spesso, scherzo e non mi prendo troppo sul serio. Cioé quando si tratta di parlare di cose serie, sono sempre disponibile (e sono anche un grande ascoltatore), ma in una serata, magari davanti ad un bicchiere di vino rosso, tendo a sorridere mentre parlo di me o delle cose successe durante la giornata.

 

Capisco che dietro al raggiungimento di una propria consapevolezza sessuale c'é sempre dolore, fatica e frustrazione, ma mi domando (e Vi domando):

 

si può vivere la propria gaytudine con gaiezza?

 

o in altre parole (parafrasando "antiche" telenovelas):  anche i gay ridono???

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Rispondo per quanto concerne ME STESSO, come ho già fatto in altri thread, e ribadisco il mio SI' più sincero e convinto.

 

E questa gaiezza direi che si raggiunge quando si diviene consapevoli di non dover dipendere psicologicamente dalla propria tendenza sessuale, ma dal fatto di essere anzitutto un uomo/donna come tutti gli altri: due gambe, due braccia, una testa possibilmente pensante, interessi, passioni, hobby, sport, lavoro... né più, né meno di qualsiasi altro essere umano.

 

Essere "orgogliosi di essere gay" è sì importante, oggigiorno, per raggiungere certi obiettivi sul piano del riconoscimento di diritti, ma non dovrebbe avere alcuna particolare incidenza sulla tua personalissima intimità: per quella, forse, è anche un agente di disturbo.

 

Finché devi sentire ed alimentare il bisogno di essere orgoglioso di essere una "differenza", a mio avviso, non avrai mai la piena gaiezza, che (e ribadisco si tratti del mio personalissimo punto di vista) si raggiunge solo quando si è pienamente convinti di essere assolutamente normali come tutti gli altri.

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Mm, non ho capito come mai "essere orgogliosi di essere gay" -secondo Lanx- renda più difficile essere allegri...

 

Io sono orgoglioso di essere gay e, al momento, anche particolarmente allegro.

Sarà il vino rosso? E' possibile...

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Ovviamente non condivido una virgola di quanto detto da LanX.

 

O meglio non dubito che per alcuni possa essere necessario elaborare il passaggio uguaglianza=indifferenza=normalità

 

Ma credo, che ragionevolmente non possa essere una tappa di arrivo definitivo.

 

In primo luogo è sbagliato il traguardo, cioè la normalità. Serve ad autorassicurarci ma è un falso traguardo.

 

In secondo luogo è impossibile non relazionarsi in qualche modo a quella differenza, che c'è

e direi che per relazionarsi in modo sintonico, questa differenza debba essere considerata

come una caratteristica che ha un valore ( irriducibilmente personale intendo non militante )

 

Per certi versi direi che per me è l'esatto contrario: l'uguaglianza la si richiede per i diritti ma per il resto

vive la difference...

 

Basta come sempre raffrontare la condizione degli omosessuali a quella che è stata la condizione e la

questione femminile ( per analogia come altra discriminazione sessuale ) per  capire che non può che essere

così.

 

Quanto alla melanconia, che nei gay però spesso convive con "esplosioni" di gayezza...

E' un atteggiamento psicologicamente difensivo che ha a che vedere con uno/più

dolori inflitti dagli altri, quando questi dis-piaceri sono difficili da affrontare e risolvere

si ripiega egoticamente su se stessi in un atteggiamento melanconico.

 

Questo è il meccanismo psicologico della melanconia, spiegato credo pure da Freud in questi

termini, quindi è evidente che non ha molto a che fare con la omosessualità, se non per il fatto

che purtroppo la omosessualità ( propria ) è spesso la causa dei dolori ( inflitti dagli altri )

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Mm, non ho capito come mai "essere orgogliosi di essere gay" -secondo Lanx- renda più difficile essere allegri...

No no no... rileggi bene.

 

Finché devi sentire ed alimentare il bisogno di essere orgoglioso[...]

 

Significa che se questo orgoglio non è una tua condizione naturale, con la quale convivi pacificamente, ma una sorta di talismano con il quale pretendi di esorcizzare il timore di essere giudicato, allora non sarai mai sereno... e di conseguenza neppure "gaio".

 

Vedi... io e te siamo entrambi sereni della nostra condizione, ma con una piccola differenza: tu ne sei orgoglioso, mentre a me, mi si conceda la "finezza", non me ne può fottere di meno. :)

 

In primo luogo è sbagliato il traguardo, cioè la normalità. Serve ad autorassicurarci ma è un falso traguardo.

Non si tratta di un traguardo, ma di come uno la vive... tutto qui.

Se così non fosse, non sarei sereno, ma un'anima in costante tribolazione, che si è imposta di darsi un certo assetto di ometto tutto d'un pezzo per ostentare una sicurezza che in realtà non c'è.

 

E invece no...

 

Parimenti, darsi come traguardo il caricarsi d'orgoglio per esorcizzare gli sguardi indiscreti e le frecciatine, è ugualmente sbagliato e non rappresenta un traguardo.

 

L'importante è proprio non darsi un traguardo... ma vivere la propria condizione avendo la capacità di infischiarsene bellamente degli agenti di disturbo esterni, perchè non solo se sei gay ci sarà qualcuno a romperti le uova nel paniere, ma anche se sei bello o brutto, alto o basso, ricco o povero, umile o superbo, ecc ecc ecc...

 

Siamo costantemente sotto i riflettori, e migliaia di occhi ci osservano, ci giudicano per i parametri più disparati: l'orientamento sessuale è solo uno, e neppure l'unico a caratterizzare discriminazione: se penso a quanta differenza può fare se circolassi con un Porsche Cayenne Turbo piuttosto che con la Lancia Y, già mi viene la pelle d'oca.

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Io invece sono abbastanza allegro, rido spesso, scherzo e non mi prendo troppo sul serio. Cioé quando si tratta di parlare di cose serie, sono sempre disponibile (e sono anche un grande ascoltatore), ma in una serata, magari davanti ad un bicchiere di vino rosso, tendo a sorridere mentre parlo di me o delle cose successe durante la giornata.

 

 

Ma già ti sei dato la risposta: tu sei sereno e allegro (e tienti la tua serenità e allegria!). Perché? Probabilmente perché sei all'inizio della tua vita, della tua vita di gay, perché il tuo carattere e la tua disposizione naturale sono positivi e dinamici, perché sai volere, e sai perdonarti.

 

La malinconia, se non è un elemento quasi innato, dipende dalla riuscita o non riuscita della propria vita, e quindi il problema è avere una vita riuscita e che ci soddisfi. Tra l'altro, tutte le vite hanno un elemento di non-riuscita (è inevitabile), e non è determinante questo, ma solo che si tratti di pochi elementi residuali, noti alla persona.

C'è chi dice di più, che la vita implica degli elementi strutturali di depressione (Melanie Klein) e che il "fallimento" è un tema della vita da integrare (James Hillman); e la visione della Klein si è talmente imposta nell'ambito del freudismo

che tutte le analisi freudiane che si fanno in Italia sono in verità analisi kleiniane.

 

Voglio dire, a parte l'intermezzo psicoanalitico che spero mi perdonerai/perdonerete, che a ben vedere anche la malinconia, o la depressione, un "fallimento", non possono mai essere l'ultima parola, per un uomo, per un uomo intelligente, e se lo sono è perché c'è un'altra ultima parola in sé che rende l'altra possibile: scetticismo, fissità, incapacità a evolvere, credere al monismo, non capire che la vità non è un sogno ma tanti sogni.

 

Inoltre noi non valutiamo mai abbastanza l'importanza di un sano pragmatismo. La domanda giusta (quella che porta alla soluzione giusta) non è «si può vivere la propria omosessualità con gaiezza?» (è una domanda poco sensata, alla quale non sembra possibile dare una risposta sensata), ma «come vivo? sono capace di vivere serenamente? cos'è che voglio dalla vita? cos'è che non sono capace di prendermi dalla vita? e perché? e voglio davvero essere felice? se sono malinconico perché lo sono?». Tutte domande particolari, precise, multiple, alle quali '"costa" un tantino dare una risposta.

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E bravo Isher... per fortuna che ogni tanto arrivi tu a riformulare i miei stessi pensieri, ma con la tua ammirevole eloquenza. :)

 

Non si tratta, infatti, di essere orgogliosi o meno dell'essere gay in particolare a decretare la "gaiezza", quanto la sommatoria dei fattori soddisfacenti ed insoddisfacenti della propria vita.

 

I flop, gli sbagli, i fallimenti, le aspettative disattese, sono fattori comuni a tutti: basta che siano controbilanciati almeno da una pari quantità di aspetti rassicuranti e piacevoli, per farci lasciare alle spalle certi spettri e vedere la vita sotto una luce diversa.

 

Ma soprattutto: occorre una innata capacità di minimizzare i problemi, massimizzando così il profitto derivante dalle cose positive... facile a dirsi, ma non a caso ho detto, appunto, che è una capacità "innata".

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...E' un atteggiamento psicologicamente difensivo che ha a che vedere con uno/più

dolori inflitti dagli altri, quando questi dis-piaceri sono difficili da affrontare e risolvere

si ripiega egoticamente su se stessi in un atteggiamento melanconico.

 

Questo è il meccanismo psicologico della melanconia, spiegato credo pure da Freud in questi

termini...

 

Freud definì la malinconia come "un investimento nostalgico dell’oggetto perduto"

Secondo me Freud voleva indicare lo stato di attesa eterna, di sospensione di ogni interesse per il presente e per il futuro, che immobilizza il melanconico in una sorta di limbo.

Insomma, una specie di unione di "noia" e "insoddisfazione" (Non mi azzardo a dire "depressione" perchè penso sia un termine fin troppo legato alla psichiatria)

 

Personalmente da quando sto con il mio ragazzo sono molto felice, soprattutto con lui, ma in generale anche con le persone che mi stanno simpatica (Con le persone con cui non mi trovo a mio agio c'è poco da fare, mi dicono che sembro costantemente incazzato e minaccioso)

 

Certo che si può essere gay e al tempo stesso felice, basta dare importanza a ciò che veramente ha una sua importanza per noi (Oltre a essere una passo importante verso l'illuminazione)

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Io credo che i gay dovrebbero ripensare il loro modo di essere ora troppo decadente! Io nel mondo gay trovo più che altro paura di essere scoperti in provincia, scarsa considerazione dell'altro come essere umano ma solo come pezzo di carne in chat e nei locali (e quando cerchi di rivendicarti in quanto tale sei uno che se la tira) e soprattutto scarsa progettualità in tutto quello che fanno!

 

Tutto questo a lungo andare non può che portare che ad uno stato malinconico. Prima o poi becca tutti di questo ne sono sicuro

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Qui si rischia di avvitarsi nel complicato...

 

1)Chiaro che Isher ad esempio rifiuta la domanda come insensata.

  Solo per chi abbia il medesimo approccio alla domanda, la risposta può avere lo stesso

  significato. Altrimenti il significato cambia...può diventare un modo per mentire a se stessi.

 

  La mia risposta è una risposta a LanX, quindi era un tentativo di guidare quelli che scelgono

  o sentono di dover ripondere alla domanda...

 

2) Attenti alle teorizzazioni in psicanalisi...il meccanismo della melanconia è di tipo narcisistico

    perchè è un ripiegamento su se stessi.

    Da qui a stabilire poi se esista un concetto in positivo della melanconia è cosa del tutto

    diversa: in termini psicanalitici io capisco che per Isher è un tema il fallimento, il riuscire,

    per sugar il progetto, per me e kropotkin la perdita o il distacco...

 

    Abbiamo tutti selezionato della melanconia ciò che in realtà a noi premeva.

    Non abbiamo parlato della melanconia ma di noi stessi...

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Non abbiamo parlato della melanconia ma di noi stessi...

Vero... ma d'altronde non credo sia possibile trovare un criterio universale, e mi astengo pure dal dire "MAGARI!!" perchè con questo implicherei la pretesa di ricondurre il tutto ad un fattore comune, omologato per tutti.

 

Ciascuno ha un pregresso ed un presente ben distinti, che costituiscono l'ineluttabile processo formativo che ci ha portati ad essere ciò che siamo: una miriade di soggetti differenti, ciascuno con la propria capacità di confrontarsi con la vita e con il prossimo, tracciando così la rotta del proprio domani.

 

Sarebbe davvero impensabile stabilire una regola generale, valida per tutti, altrimenti sarebbe anche stato scoperto il tanto agognato "segreto della felicità"; e non a caso sia io che Almadel ci riteniamo sereni ed appagati, ma in due modi diametralmente opposti.

 

Chi vuol esser lieto sia... ma ciascuno a modo proprio. :)

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Io credo che i gay dovrebbero ripensare il loro modo di essere ora troppo decadente! Io nel mondo gay trovo più che altro paura di essere scoperti in provincia, scarsa considerazione dell'altro come essere umano ma solo come pezzo di carne in chat e nei locali (e quando cerchi di rivendicarti in quanto tale sei uno che se la tira) e soprattutto scarsa progettualità in tutto quello che fanno!

 

Sugar ha fatto un'osservazione che condivido. 

 

La forte pressione culturare porta anche ad una certa autorepressione di molti gay, essa si esprime in una vita spesso scissa in due: un lato socialmente accettato, fatto di relazioni condivise col mondo esterno, dall'altro il lato gaio, quello piu' occulto e riservato, a volte costituito da semplici rapporti occasionali di tipo sessuale (sia una sauna, un battuage o altro), a volte piu' articolato, ma sempre emarginato dalla vita quotidiana.

 

Non vorrei essere frainteso, non sto affermando che la ricerca del sesso fine a se' stesso abbia una corrispondenza biunivoca col profilo descritto, esso voleva solo essere un esempio, perche' il nocciolo di quella "malinconia" e di quella "tristezza" arriva sempre dal costante impegno fisico e mentale che i gay sprecano per nascondersi, per combattere la paura di essere giudicati.

 

Se questa energia potesse d'un tratto liberarsi, se i gay riuscissero a liberarsi almeno in parte di quella cappa che li tiene relegati e in disparte, ti assicuro che quella tristezza sparirebbe, ti assicuro che ci sarebbero molti piu' gay sereni, senza quell'ombra che anch'io ho constatato nella mia esperienza passata.

 

Per liberare quell'energia, abbiamo la necessita' di sposare il concetto di "proud", di essere orgogliosi, e non avere paura del giudizio altrui, perche' non possiamo sempre aspettare che il mondo cambi, la nostra vita e' molto piu' veloce dei cambiamenti che il mondo in torno a noi riesce a fare, e si rischia di rimanere al palo e di aver buttato via troppo tempo, ed il tempo non torna piu'.

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Esiste uno specifico della malinconia omosessuale?

Dago dice cose giuste, e io vorrei fare una piccola integrazione.

Se rimaniamo ai fatti, tale malinconia sembra legata, in genere, a due dolori, o paure, o fantasmi:

 

quello di non aver generato figli;

quello della solitudine nella fase più tarda della propria vita.

 

Spesso il primo di questi elementi di malinconia o rimpianto è del tutto irreale, perché la persona in questione non ha o non aveva reale desiderio di avere figli, ma si trova semplicemente a non disporre di quell'elemento di rassicurazione che, comunque, la genitorialità porta con sé: ho figliato, qualcosa resterà di me, qualcuno si prenderà cura di me. Allora il problema sarà di trovare modi alternativi sia rispetto alla rassicurante illusione positiva, sia rispetto alla cosa temuta, che poi è sempre la stessa, la solitudine (e dietro di essa la morte, alla quale in verità non c'è rimedio).

In genere le cose che non abbiamo avuto, quando uno ci pensa, si rivelano un luogo di proiezioni incontrollate. Vai poi a vedere se, avendole avute,...

Perché noi produciamo sempre, contemporaneamente (anche se non ce ne accorgiamo), piacere E dispiacere, allegria E tristezza, esaltazione E depressione. Questo è anche un meccanismo trascendentale, cioè qualcosa che si produce senza necessariamente una base reale: c'è il bicchiere di vino che ti fa essere allegro, immotivatamente, ma anche la sbronza triste altrettanto immotivata. E' un'affezione che appartiene all'uomo e da cui sono esentati uccelli e gatti.

 

Alla malinconia, in sostanza, si possono dare secondo me tre risposte:

prenderci le cose la cui mancanza ci fa essere "giustamente" malinconici (malinconia come 'spia' di altro)

accettarla come un modo di funzionare della testa (o forse dell'Anima, in senso junghiano) e farla durare il meno possibile perché se presa sul serio confonde, amplifica e drammatizza (malinconia come produzione fantastica)

metabolizzare e integrare quel che di reale, di perduto per sempre (o mai avuto) essa indica, per cercare di ripartire presto e bene sulle cose che possiamo o ancora possiamo fare (malinconia come ferita da far diventare cicatrice)

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Io credo che i gay dovrebbero ripensare il loro modo di essere ora troppo decadente! Io nel mondo gay trovo più che altro paura di essere scoperti in provincia, scarsa considerazione dell'altro come essere umano ma solo come pezzo di carne in chat e nei locali (e quando cerchi di rivendicarti in quanto tale sei uno che se la tira) e soprattutto scarsa progettualità in tutto quello che fanno!

 

Tutto questo a lungo andare non può che portare che ad uno stato malinconico. Prima o poi becca tutti di questo ne sono sicuro

 

ti quoto al 100 per 100 sugar, quando entri in un mondo che ti immagini divertente un pò frivolo spensierato, ma sopratutto te lo immagini privo di etichette, dove ci si dà una mano l'un l'altro, e poi ti trovi in un mondo dove se porti la stessa maglietta per due sabati (lavandola) diventi quello zozzo, se ti sbagli a prendere su 2 kili diventi quella cicciona, se scopi con uno che non è un gran che diventi culo rotto oppure una "troia" e ti accorgi che il mondo che sognavi non esiste, allora ti prende lo sconforto.

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ti quoto al 100 per 100 sugar, quando entri in un mondo che ti immagini divertente un pò frivolo spensierato, ma sopratutto te lo immagini privo di etichette, dove ci si dà una mano l'un l'altro, e poi ti trovi in un mondo dove se porti la stessa maglietta per due sabati (lavandola) diventi quello zozzo, se ti sbagli a prendere su 2 kili diventi quella cicciona, se scopi con uno che non è un gran che diventi culo rotto oppure una "troia" e ti accorgi che il mondo che sognavi non esiste, allora ti prende lo sconforto.

 

Vi quoto ad entrambi!!!!

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ti quoto al 100 per 100 sugar, quando entri in un mondo che ti immagini divertente un pò frivolo spensierato, ma sopratutto te lo immagini privo di etichette, dove ci si dà una mano l'un l'altro, e poi ti trovi in un mondo dove se porti la stessa maglietta per due sabati (lavandola) diventi quello zozzo, se ti sbagli a prendere su 2 kili diventi quella cicciona, se scopi con uno che non è un gran che diventi culo rotto oppure una "troia" e ti accorgi che il mondo che sognavi non esiste, allora ti prende lo sconforto.

 

Questo è vero. Frequentare certi ambienti gay porta a questo. Sinceramente io ho trovato un gruppo differente, le persone di questo forum sono differenti se vai nelle associazioni anzichè nei locali trovi altre persone. Poi con persone del genere puoi andare in tutti i locali che vuoi  :asd:

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Nino Quincampoix

quindi, nei locali ci si può andare ma

 

- con una maglietta diversa ogni volta

- magri, perfetti

- verecondi e senza rispondere ai "richiami sessuali"

 

che fatica! ecco perché non ce vado...

(la prima passi, ma la mia pancetta e la mia "voracità" non sarebbero bene accette!!!)

 

:asd:

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La "malinconia gay", se la vogliamo chiamare così, deriva semplicemente dal fatto che ci troviamo a vivere in un mondo che non è il nostro. La società è fatta dagli etero per gli etero. I gay sono l'anomalia fuori dalle previsioni ed è inevitabile che ci sentiamo sempre (magari sottilmente) inadeguati, fuori posto. Io personalmente mi sento per gran parte del tempo (quando sono libero e posso mettermi a pensare) in questo modo, come se non avessi nulla a che fare con la gente che mi sta intorno. Ogni tanto mi chiedo proprio nella mia testa "ma io che ci sto a fare qui?". Ma al di là di quest'ultima, che magari è una mia particolarità, penso che la maggior parte dei gay si senta così, alcuni forse a livello inconscio perché ormai si è abituati e non ci si fa più caso.

Insomma, siamo i soli che in ogni situazione sociale, prima di fare qualunque cosa, abbiamo tutta una serie di dubbi e piccole ansie che ci ricordano la nostra condizione di pesci fuor d'acqua: questo tizio che ho di fronte sarà "uno di loro"(etero) o "uno di noi"(gay)? Ostile o amichevole? Se faccio questa azione quale sarà la reazione degli altri? Si ha sempre un po' paura di essere riconosciuti per gli estranei che in fondo siamo e rifiutati, con le prese in giro (o all'estremo con la violenza).

Anche le distorsioni dello "stile di vita gay" derivano da questo: per avere delle relazioni non possiamo normalmente "provare" quelli con cui stiamo insieme in circostanze normali (all'università, al lavoro, etc.), osservando il loro comportamento e la loro personalità e scoprendo col tempo e la lunga frequentazione quell'"affinità elettiva" che rende particolarmente felici e durature le relazioni.

Non siamo gli unici che nel corso della storia hanno dovuto vivere con questo continuo senso di estraneità rispetto al resto della gente: gli ebrei della diaspora, quando vivevano in Europa prima della seconda guerra mondiale, dovevano affrontare sostanzialmente lo stesso stato delle cose, e ci sono tanti libri e racconti scritti da ebrei nel passato in cui si percepisce questo stato d'animo simile a quello che provo io e molti gay che conosco.

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La "malinconia gay", se la vogliamo chiamare così, deriva semplicemente dal fatto che ci troviamo a vivere in un mondo che non è il nostro. La società è fatta dagli etero per gli etero.

 

Io personalmente mi sento per gran parte del tempo (quando sono libero e posso mettermi a pensare) in questo modo, come se non avessi nulla a che fare con la gente che mi sta intorno.

 

Insomma, siamo i soli che in ogni situazione sociale, prima di fare qualunque cosa, abbiamo tutta una serie di dubbi e piccole ansie che ci ricordano la nostra condizione di pesci fuor d'acqua: questo tizio che ho di fronte sarà "uno di loro"(etero) o "uno di noi"(gay)? Ostile o amichevole?

 

 

Cominciamo col dire che la società è fatta da tutti.

Gli omosessuali sono  svantaggiati, sono privi di diritti e di tutela, sono esclusi quindi da leggi che tutelano e

promuovono la differenza eterosessuale, che diventa eteronormativa.

Ciò causa difficoltà maggiori, e tante altre cose che sappiamo.

 

Ma alcune cose sono in nostro potere.

Convertire la malinconia in rabbia, ad esempio, e incanalare la rabbia, la protesta, la reazione in qualcosa di positivo - militanza, partecipazione ad attività culturali gay, solidarietà gay.

Dichiararsi nella società, in modo da non doversi più porre domande che sono frutto del disagio.

Sviluppare un certo gradi di proudness, come dice Dago.

 

Inoltre noi abbiamo un privilegio: appartenere, insieme, a due mondi, e sentirli con eguale intensità.

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Per me il mondo è uno l'importante è abbattere quel muro che lo divide

 

 

Bella risposta, Sugar, a prima vista almeno, perché ci sono delle cose da precisare.

Il «mondo» è uno per tutti (se con esso intendi il mondo in cui viviamo), ma «i mondi» di cui

parlo io non sono «il mondo» bensì le diverse aggregazioni umane nelle quali, poi,

le persone per lo più vivono. Quando vai con i tuoi amici

più cari magari di questo Forum in un locale gay non dirmi che non stai in un mondo

gay, in una aggregazione gay. E che non la senti ben diversa dal mondo del lavoro, ad esempio

il tuo ufficio (tu, per fortuna, ancora non lavori). Di fatto, in attesa che sia abbattuto quel muro,

noi apparteniamo a due mondi, transitiamo continuamente dall'uno all'altro, anche nel corso

della stessa giornata, e almeno in parte anche il virtuale appartiene a questa dinamica. Nel mio

luogo di lavoro io conosco, oltre me, 2 gay. Ti pare che lo possa sentire altrimenti che come un mondo

(nel migliore dei casi) indifferente alla mia differenza? E quindi come un mondo eterosessuale?

 

Questa differenza tra i due mondi la sentirai anche tu sempre più a mano a mano che entrerai nel mondo del lavoro. A meno che Pyer ti procuri un lavoro nel suo teatro dove, ci diceva, ma ciò riguarda in generale il mondo dello spettacolo (teatro, danza soprattutto), i gay sono una presenza molto forte, tale da segnare della loro

differenza quell'ambiente (come anche moda, grafica, credo).

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Isher, quando scrivi

noi apparteniamo a due mondi, transitiamo continuamente dall'uno all'altro, anche nel corso

della stessa giornata, e almeno in parte anche il virtuale appartiene a questa dinamica. Nel mio

luogo di lavoro io conosco, oltre me, 2 gay. Ti pare che lo possa sentire altrimenti che come un mondo

(nel migliore dei casi) indifferente alla mia differenza? E quindi come un mondo eterosessuale?

vi riscontro una certa rassegnazione.

 

mentre prima avevo percepito una forza diversa e forse un maggiore ottimismo quando sostenevi che

noi abbiamo un privilegio: appartenere, insieme, a due mondi, e sentirli con eguale intensità.

 

Io preferisco questa lettura della vita. Che forse ci apre al mondo con una consapevolezza che è, almeno per il sottoscritto, fonte inesauribile di gioia (come quando scopriamo il significato recondito di un'opera d'arte?).

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Beh, Funeral, almeno siamo d'accordo sull'essenziale. Apparteniamo a due mondi, possiamo sentirli e viverli

con eguale intensità e in questo abbiamo un privilegio.

 

Quanto alla differenza di tono, non ci avevo pensato, ma sicuramente mi stai facendo intravedere qualcosa

di reale.

 

Di primo acchito, mi verrebbe da dire che, nella seconda formulazione (tua prima citazione) c'è una certa rabbia, perché sono a volte stufo di essere sempre minoranza, intendo dire minoranza del tutto marginale (vedi l'esempio che ho fatto) - far parte di una minoranza attiva e fiera al contrario mi rinvigorisce e mi 'tende' molto.

Alla rabbia si aggiunge un sentimento di offesa (non so se sia proprio il termine giusto, ma ci va vicino), e infatti dico «(mondo) indifferente alla mia differenza».

 

Mi verrebbe anche da dire che, quando ci poniamo, mi pongo, come Soggetto (Soggetto che esperisce di far parte di due mondi, dunque di avere maggiori potenzialità) viene in primo piano la «forza», quando invece mi pongo come «recipient» a mia volta, non un «io» che progetta ma un «tu» che aspetta risposte, allora esce fuori la frustrazione. Non è «rassegnazione», però, quanto perdita di fiducia.

 

PS: Consuono con il parallelo con la gioia prodotta dall'opera d'arte.

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