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Omosessuali nelle aziende e nella Finanza dal Sole24ore


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Giulia Crivelli per “Il Sole 24 Ore”«Sono l'amministratore delegato di Hewlett Packard. E sono gay». «Sono il capo del pronto soccorso. E sono lesbica». La prima affermazione ce la siamo inventata. La seconda se la sono inventata gli sceneggiatori di E.R.-Medici in prima linea, che l'hanno fatta dire a Kerry Weaver in un episodio della serie televisiva passato alla storia. Nella realtà è probabile, in Italia e in moltissimi altri Paesi, che frasi del genere non saranno pronunciate tanto presto. In fondo l'Apa (l'associazione americana degli psichiatri, la più autorevole e ascoltata al mondo) tolse l'omosessualità dal Dsm, il manuale delle malattie mentali, bibbia di ogni psichiatra del pianeta, soltanto nel 1973. E dovettero passare altri vent'anni perché l'Oms, l'organizzazione mondiale della sanità, facesse lo stesso, depennando l'omosessualità dal suo elenco di disturbi mentali.Emblematico, in ordine di tempo, il caso di Lord John Browne, amministratore delegato della britannica Bp, una delle più importanti compagnie petrolifere al mondo, dimessosi il 1° maggio di quest'anno, pochi giorni dopo che gli aggressivi tabloid del Paese avevano rivelato la relazione del manager con un giovane, definito «il suo mantenuto ». Browne non è stato accusato di malversazioni aziendali, bensì di aver mentito per almeno due anni sulla sua relazione omosessuale, nel tentativo di nasconderla.Le pressioni dei media e, presumibilmente, una certa dose di rabbia e sconforto, lo hanno spinto a lasciare l'incarico e l'azienda. Ed è una magra consolazione che quattro giorni dopo le dimissioni, il 5 maggio, il «Guardian» abbia pubblicato una lettera in cui 64 nomi dell'establishment britannico — tra i quali il presidente di Citigroup, l'amministratore delegato della Random House e il direttore della Tate Gallery — attestavano stima e affetto per Browne.Il mondo della finanza e dell'economia restano ovunque omofobi: l'omosessualità è tollerata a patto che non venga resa pubblica. L'inclinazione di Browne, hanno scritto giornali come il «Times» in Gran Bretagna o «Le Monde» in Francia, era nota da tempo. Come lo è quella di molti attori e personaggi dello spettacolo o dello sport. Che vengono regolarmente presentati come " scapoli impenitenti". Nessuna società del Ftse100, l'indice delle 100 più grandi aziende britanniche compilato dal «Financial Times», è guidata da una persona apertamente gay. Lo stesso vale per i primi cento gruppi degli Stati Uniti. E naturalmente per l'Italia, dove la situazione è ulteriormente complicata da atteggiamenti culturali e dall'ingerenza delle gerarchie cattoliche. Ma è possibile che i gay siano numerosi solo nei "ghetti dorati" della moda e dello spettacolo, e in certa misura della pubblicità e dell'arte, e solo lì riescano ad arrivare al vertice?Secondo l'ultimo rapporto Eurispes (2003), gli omosessuali in Italia sono circa cinque milioni, una stima confermata dall'Oms. Il dato sarebbe piuttosto costante a livello geografico e tra le classi sociali e, sorpresa, tra le professioni. Anche tra i politici, dunque. E veniamo alla prima grande anomalia italiana nel panorama europeo.Nel 2001, durante un comizio, il socialdemocratico Klaus Wowereit, candidato sindaco di Berlino disse: «Sono gay e va bene così ». Si portò avanti lo slogan per l'intera campagna elettorale e vinse, diventando il secondo sindaco dichiaratamente gay di una grande città europea. Il primo era stato Bertrand Delanoë, attuale sindaco di Parigi, che nel 1999, nel corso di una trasmissione televisiva, aveva fatto il suo coming out.In Italia, per ora, è concesso solo alludere. Il 30 luglio del 2000 sulla prima pagina della Repubblica apparve un articolo in cui Natalia Aspesi parlava dell'adozione di Gabriele Albertini,all'epoca sindaco di Milano, da parte del settantenne marchese Alberto Litta Modigliani, scapolo senza figli. La giornalista ricordava come, in passato, «in mancanza di una legge sulle unioni civili, coppie di fidanzati si trasformavano in babbo e figlio attraverso l'adozione per consentire possibili eredità ». Il pezzo cadde sostanzialmente nel vuoto e sembrò chiaro che l'argomento sarebbe rimasto tabù. In Italia hanno fatto ricorso all'adozione, ad esempio, Franco Zeffirelli (che solo di recente ha parlato della sua omosessualità) e Renato Zero. «L'opposizione ai "Dico" è una cartina di tornasole dell'omofobia del nostro Paese — spiega Renato Mannheimer, sociologo e sondaggista —. Essa è legata alla possibilità che siano legalizzati i matrimoni gay. Se chiedi "siete favorevoli ai Dico"?, il 70% risponde di sì. Ma quando aggiungi "si ricordi che possono valere anche per i gay", la percentuale scende al 20 per cento».In fondo, persino nel mondo della moda, dove si presume che l'omosessualità sia molto più diffusa che in altri ambiti, il coming out si è fatto strada lentamente e a farlo sono sempre persone affermate, che hanno raggiunto la fama e la tranquillità economica. Era il 2004 quando Giancarlo Giammetti, inun'intervista a «Vanity Fair», disse quello che tutti sapevano: «Io e Valentino ci siamo amati per 12 anni ». Lo stilista, dalle passerelle parigine, confermò la love story. «La nostra non è stata una storia di soldi o di moda, ma d'amore. Non c'è mai stato un articolo in questo senso, ma ora credo sia troppo tardi per mantenere un segreto. Penso che il mondo sia molto cambiato e quello che un tempo era imbarazzante da leggere, oggi non lo è più», disse Giammetti.Ma è davvero così? George Michael, ricco, bello e famoso, ha nascosto per anni la sua omosessualità e ancora oggi è convinto che l'industria discografica (e parte del suo pubblico) non gli abbiano mai perdonato il coming out. Tra le star hollywoodiane, si vocifera da anni che Tom Cruise sia gay, ma che se lo dicesse non potrebbe più interpretare ruoli da super macho che salva il mondo.Tornando alla moda, tra gli stilisti della nuova generazione, quella cresciuta all'ombra di Giorgio Armani e Gianni Versace, gli unici a parlare con grande franchezza (o sfrontatezza?) della loro omosessualità sono stati Stefano Gabbana e Domenico Dolce. E Tom Ford negli Stati Uniti. Non a caso, tre dei più rivoluzionari designer degli anni Novanta.Superato l'ostacolo del coming out, nel caso della moda, dello spettacolo e, almeno negli Stati Uniti, dell'arte (e forse anche dell'ovattato mondo dell'alta finanza),all'orizzonte potrebbe essercene un altro: la discriminazione degli omosessuali verso gli eterosessuali. In America si sente spesso parlare di "lobby gay" o addirittura di "gay o velvet (di velluto) mafia". Si legge a volte che i gay cercherebbero di influenzare la politica e il mondo dei media, nel tentativo di aumentare la loro influenza ed eliminare le critiche al loro stile di vita. Ma c'è chi usa il termine in un'accezione ancora più negativa: David Geffen, potentissimo produttore hollywoodiano (oltre 4 miliardi di dollari il suo patrimonio persona-le), è stato più volte indicato come uno dei «capi della velvet mafia», definizione che ebbe molta fortuna negli anni Novanta su giornali conservatori come il «New York Post» e sui tabloid inglesi, che accusavano i Governi del Labour di avere troppi membri gay.E in Italia? «Se sei etero, nel mondo della moda hai molte meno possibilità di successo. Primo, perché non puoi usare il sesso per fare carriera. Secondo, perché esiste una discriminazione al contrario che penalizza gli eterosessuali, che finiscono per sentirsi dei diversi», spiega un pr milanese (che ovviamente vuole rimanere anonimo).Infine, gli omosessuali non sono tutti uguali: a fronte di qualche caso di coming out tra attori famosi (Keanu Reeves e Leo Gullotta, per citare un caso italiano), politici (Nichi Vendola) e finanzieri (come il povero Lord Browne) maschi, ci sono pochissimi esempi femminili. Eppure, in teoria, dovrebbero esserci tante lesbiche quanti omosessuali maschi. In un mondo ideale, forse, dichiarare la propria sessualità non dovrebbe aver alcun peso sul giudizio complessivo che la società ha di quella persona. Per arrivare a questo traguardo, gli uomini hanno ancora una lunga strada da fare. E le donne, tanto per cambiare, ancora di più.

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