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Tra federalismo, regionalismo e neocentralismo: i progetti di riforma costituzionale


Serpente

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La gestione dell’emergenza coronavirus ha riportato di attualità un discorso in realtà non assopitosi da quasi un ventennio: il rapporto Stato-Regioni. La tutela della salute è, nell’attuale formulazione dell’articolo 117 della Costituzione, materia di competenza legislativa concorrente: questo significa che lo Stato si limita a dettare i principi generali mentre alle Regioni spetta la normativa di dettaglio, con conseguente possibilità di soluzioni molto variabili sul piano nazionale.

https://www.electiondaynews.it/tra-federalismo-e-regionalismo-i-progetti-di-revisione-costituzionale/

In Parlamento sono depositati progetti di legge volti a riformare ancora una volta questo rapporto, ecco i principali.

La prima proposta del PD

Una proposta del Partito Democratico, avanzata dallo stesso Ceccanti e da altri deputati: si mira prima di tutti all’introduzione di un articolo 116-bis nella nostra Costituzione, che assegni alla legge il compito di istituire la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le città e le autonomie locali. In realtà, questa specifica disposizione avrebbe scarsa portata innovativa in quanto ambo le Conferenze sono già esistenti (previste da una legge del ’97) e sarebbe pertanto unicamente strumentale a conferire loro una esplicita rilevanza costituzionale. Non deve tacersi, comunque, che l’introduzione in Costituzione di una disposizione del genere potrebbe a spingere il legislatore ordinario a dare maggiore rilevanza al ruolo delle Conferenze, oggi tenute meramente, in casi tassativamente previsti, alla formulazione di pareri per lo più non vincolanti. Ben altra portata avrebbe l’introduzione di un ulteriore comma all’articolo 117: nella proposta dei dem, si darebbe il potere allo stato di intervenire anche nelle materie che non gli spettano quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero (oppure, ndr) la tutela dell’interesse nazionale. L’introduzione della clausola generale di interesse nazionale ridarebbe allo stato la possibilità di prendere le redini della situazione in casi di emergenza, tra i quali rientrerebbe una pandemia per dirne una, senza comprimere eccessivamente l’autonomia regionale con una clausola di supremazia statale.

La seconda proposta del PD

Più semplice e diretta un’altra proposta, sempre dei democratici. Al fine di intervenire “chirurgicamente” sull’attuale problema di gestione, si tratterebbe di spostare la materia sanitaria dalla competenza concorrente a quella esclusiva statale, inserendola al secondo comma del 117 sotto il nome di disposizioni generali e comuni per la tutela della salute. Per non esautorare totalmente quel decentramento sanitario, motivo per molti di eccellenze locali, si permetterebbe comunque alle regioni di chiedere in merito ulteriori e speciali forme di autonomia, procedura già oggi ammessa in altri campi.

Gli stessi deputati hanno dato vita ad un’altra proposta, atta a coniugare la concorrenzialità in materia di salute con esigenze di unità nazionale. La gestione regionale della tutela della salute sarebbe sottoposta a due limiti fondamentali: in primis, il “diritto dell’individuo”, espressione forse un po’ vacua persino per un testo di principio; in secundis, il principio di sussidiarietà. Si parla della sussidiarietà verticale, principio previsto dall’articolo 118 e definito dalle giurisprudenze costituzionale ed europea: è un approccio generale volto a delegare la trattazione di una materia all’ente più vicino al cittadino purché questo possa garantire l’adeguatezza della tutela, in mancanza della quale è ammesso l’intervento dell’ente sovrordinato.

La proposta di Fratelli d'Italia

Un progetto di legge costituzionale davvero radicale arriva da Fratelli d’Italia: l’abolizione di tutte le regioni e delle province. La proposta della destra parte dalla presa d’atto delle disfunzionalità politico-amministrative del nostro tipo di stato, ma, oltre alla riforma del 2001, adduce a ragione di queste imperfezioni la disomogeneità delle singole regioni. Per ovviare a questa problematica si propone la costituzione di 36 nuove regioni in cui si dividerà la Repubblica. Tali enti sarebbero individuati, secondo i promotori della riforma, sulla base di specifiche caratteristiche geografiche e sociali che giustifichino la precisa divisione proposta. A tale assetto conseguirebbe anche una totale uniformità di poteri fra le nuove regioni, senza più possibilità da parte di esse di chiedere autonomia differenziata e con totale eliminazione di regioni a statuto speciale.

La terza proposta del PD

In senso quantitativamente opposto va la proposta del deputato PD: l’esigenza è comune a tutti ed è evidente, snellire l’apparato burocratico statale e garantire un maggior coordinamento territoriale, ma in questo caso si raggiungerebbe l’esito attraverso l’accorpamento di alcune regioni, al fine ulteriore di ridurre i costi di gestione. Si tratterebbe di una “nuova stagione del federalismo italiano” che porterebbe a 12 le regioni che compongono lo stato, facendo rientrare tra esse Roma con la qualifica di Capitale-Regione; si propone altresì di ridurre la differenziazione tra regioni, limitando l’attuazione di uno statuto speciale unicamente a Sicilia e Sardegna. Per evitare un ritorno al frazionamento del sistema, il progetto innova anche alla possibilità di istituire nuove regioni: saranno richiesti almeno 2 milioni di abitanti ma non sarà più necessario l’intervento, ora previsto, dei consigli comunali.

La proposta di Italia Viva

Dal partito di Matteo Renzi proviene la prospettiva sicuramente più incisiva sull’autonomia regionale, che verrebbe limitata da una clausola di supremazia statale. In casi in cui lo richieda l’unità giuridica o economica dello Stato e l’interesse nazionale, il Parlamento potrebbe approvare una legge anche in eccesso delle proprie competenze. Sarebbe comunque necessaria una proposta dal governo e la successiva autorizzazione del Presidente della Repubblica. Quest’ultimo requisito formale risulta in realtà ridondante dovendo qualunque legge essere controfirmata dal Presidente della Repubblica, e assume così il valore di una clausola di stile.

La proposta della Lega

Non tutte le forze politiche tendono al ritorno all’accentramento: si segnala a titolo di esempio un disegno di legge della Lega volto all’abolizione della figura del prefetto, organo rappresentante del governo nelle Province e Città Metropolitane, al fine di attribuirne le competenze agli enti locali.

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