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Urban Dictionary (Raccolta di Racconti brevi)


Silverselfer

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Premetto che io sono pessimo nei titoli ed ho scelto questo perché l'altro ---> Paprica alla Mandragola, lo avevo trovato insieme alla mia editor per partecipare ad un concorso circa nella prima metà degli anni duemila. A quel concorso arrivai nella cinquina dei finalisti, però ne ricavai un'esperienza molto negativa, tipo la vincitrice che mi viene a insinuare che sono un pervertito, sostenendo che sono compiaciuto dalle scene di sesso che descrivo ... cioè, hai vinto e senti il bisogno di venirmi a fare la morale? 

In ogni modo, continuai a lavorare nell'ambito della piccola editoria ---> un mondo veramente cinico. Alla fine, insieme alla mia editor, dopo un peregrinare di esperienze e un susseguirsi di delusioni, e parlo di livello umano e non professionale, complice l'età che avanza, mollai tutto. Ovviamente non smisi di scrivere che rimane la sola ragione di vita cui riesco ad ottemperare, però ho cancellato o, meglio, chiuso quella parentesi come ho fatto per le tante altre parentesi tonde, quadre e graffe che compongono la complessa espressione della mia esistenza.

Fatto è che alla mia editor, una donna che mi ama e a cui voglio un bene dell'anima, è stato diagnosticato un mieloma incurabile. Non sono bravo in queste cose e non sono capace di dire addio alle persone ... sono un disastro. Lei sta mettendo ordine in quel passato che sta per abbandonare e in cui io occupo una parte non trascurabile .... che fallimento che sono. Insomma, lei ha conservato tutto di me, ogni e-mail, ogni messaggino sul telefonino e anche le bozze di quei racconti con cui mi convinse ad abbandonare l'ultima spiaggia ---> sarebbe troppo lungo spiegarvi. 

Ora mi ritrovo con questa cartella piena di racconti scritti in tutto l'arco degli anni novanta, cioè compreso il tempo dei banchi di scuola. Non so cosa farci! Mi giungono tra il capo e il collo come una mannaia in un momento a dir poco complicato della mia esistenza! Magari conoscessi cos'è il blocco dello scrittore, almeno la smetterei di leggere su questo rigo la mia incommensurabile incapacità di vivere. 

Io non so che farci con questa roba ... sta lì che mi accusa rendendomi difficile respirare ...

E' roba vecchia, datata soprattutto dalla tecnologia che cito ... e ma che ci posso fare se sono nato a cavallo di questi decenni di transizione? Potrei facilmente apportare un veloce aggiornamento, ma non voglio. 

Io non lo so chi sei tu che stai leggendo ora questo stonato tip tap sulla mia tastiera, però spero mi perdonerai se ti uso per placare i mille demoni che mi mordono la coscienza. Io ho deciso di postare qui questi racconti che mi occludono la pace mentale ... 

Il primo racconto si chiama Varechina ---> Nasce da un altro racconto originario di Paprika alla Mandragola che si titolava "A mezzo servizio" ---> Forse è il più recente di tutti, ma la bozza che sto per postare non è la mia, appartiene alla mia editor che  me la inviò per lavorarci sopra. Lei l'asciugò di tutti gli eccessi di colore cui sono solito incedere ... rileggendola, sono riuscito a vedere qualcosa che ... non lo so, è strano ... è come se, rileggendo, vedessi qualcosa di sconosciuto ... bah, io non cambio una virgola e ve la passo ... se poi non avete voglia di leggere, sappiate che non nutro alcuna aspettativa o altro ... vi voglio bene bastardi!

 

Urban Dictionary

Raccolta di Racconti Brevi

***

                                                                                                                                  Varechina 

Zip zap. Zip Zap, fa il ticchettio della sveglia a batteria. Zip zap, risuona nel silenzio notturno della camera. Mancano solo cinque minuti alle sei, quando il piripiripì … piripiripì dell’orologio darà il via ad una nuova giornata. T è già sveglia e si toglie i tappi di cera alle orecchie, le piace ascoltare questi attimi di vuoto prima di cominciare la corsa a tappe degli appuntamenti quotidiani.

Piripiripì… Sono le sei. T si alza lasciando suonare la sveglia per il marito che ancora ronfa. Si muove al buio senza alcun problema. Arriva in cucina ed i lampi del neon materializzano una realtà che non cambia mai. Prende la caffettiera, ci versa l’acqua, mette il caffè nel passino e vi avvita il bricco, stringendolo più forte che può. Nell’acquaio ci sono i piatti sporchi della sera avanti, che era domenica ed ha avuto ospiti. Cerca di sistemare tutto in una vaschetta per tenere libera l’altra per il risciacquo. Il rumore acuto del cozzo tra il vetro dei bicchieri, la ceramica dei piatti e il metallo delle posate, esplode nel silenzio sepolcrale del mattino ferendole le orecchie ancora addormentate.

Prende dalla pirofila due pezzi avanzati del pollo coi peperoni, li chiude nella gavetta che il marito porterà a lavoro. Chiude in fretta perché l’odore del condimento le dà la nausea. Versa qualche goccia di detersivo concentrato al limone nella pirofila, poi ci aggiunge un po’ d’acqua e la mette sul fuoco. E’ il solo modo per rimuovere l’incrostazione dell’arrosto.

Il piripiripì della sveglia si è fermato, finalmente il marito ha abbandonato il letto. T immerge le mani nell’acqua sporca dei piatti.

Quando il gorgoglio della moca riempie l’aria col suo contrappello all’aroma di caffè, il signor Spanzani è già in cucina. Niente baci od anche solo formali ringraziamenti fra coloro che un tempo sono stati fervidi amanti. Lei non smette di far scivolare le mani nella schiuma unta delle stoviglie sporche e lui nemmeno si accorge del caffè che tracanna in fretta.

L’orologio sulla parete della cucina segna appena le sei e un quarto. Suo marito ha speso meno tempo del solito per la toletta; ciò vuol dire che questa mattina avrà un’attenzione in più per lei.

Le biascica qualcosa all’orecchio, qualcosa di romantico per lui, osceno per lei.

T non alza lo sguardo dall’acqua sporca dei piatti. Ora ci sta immergendo la pirofila con i suoi miasmi repellenti. Lui, da dietro, le alza la camicia da notte e senza complimenti scosta le mutandine. Non chiede alcun permesso, come fosse un diritto acquisito. C’infila due dita grondanti saliva e cerca di ritirare la pancia trattenendo il fiato.

Nella pirofila di vetro sono difficili da lavare le incrostazioni dell’arrosto, hanno bisogno di uno strofinio molto violento, con particolare attenzione ai bordi in cui è sempre difficile arrivare.

Ora T si sta tenendo con le mani gli angoli del mobile del lavandino, che sobbalza sotto gli ultimi colpi di un lungo matrimonio.

T vorrebbe avere un viso sfatto e la pelle secca, così almeno non le farebbe schifo suo marito che ha un’attenzione per lei. Vorrebbe essere come lui che si è gonfiato il ventre a suon di sbornie, che ha una pelle così callosa da ferire la sua, che non cura la propria igiene e va a letto con i calzini che impuzzoliscono le lenzuola, che rutta e pèta liberamente in sua presenza come stesse sempre solo in una latrina. Vorrebbe essere come lui, privo di desideri, parco dei propri istinti.

Il signor Spanzani s’affanna e grugnisce, poi tira su col naso e si stacca un grumo di catarro dalla gola che sputa nella vaschetta del risciacquo. L’acqua del rubinetto lo trascina via nel sifone e poi nelle fogne, dove è giusto che stia.

Il druuuu… del citofono segna le sei e mezzo. Sono i compagni di lavoro del marito, che lui porta al cantiere col furgoncino della ditta. Lui la saluta con un bacio sulla guancia, lei avverte solo la barba che le raspa la pelle. Cos’è che non va più fra loro due? T ha smesso di chiederselo ormai da troppo tempo.

Varechina: l’acqua santa della casalinga che tutto deterge e lava via. T la tira via dallo sportello dei detersivi e la usa per pulire la dove il marito ha sporcato; a furia di grattare in quel punto la formica dello sportello del lavandino si è sbiadita.

Alle sette meno venti T è in bagno. Ha portato con sé la tanichetta gialla col teschio rosso ritratto sull’etichetta. Prima di sedersi sulla tavoletta, ne versa sulla pezza con cui cancella ogni traccia del passaggio del signor Spanzani. Dopo, a cavalcioni sul bidé, finirà quel che suo marito non è più in grado di fare da anni.

Alle sette T esce dal bagno per andare a svegliare i figli. Entrare nella stanza dei ragazzi è la cosa che preferisce fare al mattino. La stanza e piccola e l’aria è viziata. Si affretta a tirare su le tapparelle. La finestra è esposta a levante e il sole dell’alba invade prepotentemente la stanza. T spalanca le imposte e la brezza fresca del mattino le riempie i polmoni di speranza, in cosa nemmeno lei lo sa.

Quando hanno comprato questa casa c’era sola aperta campagna oltre al raccordo anulare. Si potevano vedere le mucche al pascolo e un vecchio casale in lontananza. Ora sono sorti centri commerciali ovunque. Spicca la scritta gialla dell’Ikea sull’enorme edificio blu, poi hanno tirato su anche i tabelloni d’Euronics ed Eldo, e hanno costruito l’autolinea dell’Anagnina col suo via vai di torpedoni blu, che scaricano i loro carichi umani provenienti dalla provincia. Le mucche ci sono ancora, ma non pascolano più, le hanno chiuse in un recinto fangoso, le pare di sentire quell’olezzo nauseabondo. Se fosse il padreterno farebbe piovere per sette giorni e sete notti un diluvio di varechina, a sbiancare tutto quel cumulo di nefandezze.

La luce del mattino entra prepotentemente nella stanza, scatenando le lamentele dei ragazzi che si ribellano. T nel sentirli ha una pulsione di gioia, il loro vigore le riempie il desolante silenzio interiore che l’ha accompagnata fino a questo momento.

L’energia che promana dalla giovinezza dei propri figli, la nutre di un’abbondante razione di felicità. 

Essi non sospettano lontanamente da dove arrivi tutto il suo gaio accanimento, il perché lei se la rida tanto nello scoprirli e nel tempestare le loro carni sode di fastidiosi pizzicotti. T è così felice di ritrovarli, di vederli così belli e sani che non la sfiora neppure il pensiero d’essere mal interpretata, anzi, deve trattenersi perché vorrebbe accudirli come fossero ancora nella culla, leccarli come farebbe una bestiola coi propri cuccioli.

Giada è la più grande, ha quindici anni ed è bellissima. T nel suo diario ha scritto che vuole per lei tutto quello che non ha potuto avere per sé. Giovanni ha dodici anni ed è troppo vivace. Tutti gli danno a dosso e i parenti non lo invitano alle feste di compleanno dei cuginetti. T litiga sempre per difenderlo, nessuno lo capisce, nessuno conosce il tesoro che nasconde dentro la sua scorza dura.

Uno per volta i ragazzi escono dal bagno puliti e profumati, indossando ogni giorno abiti puliti e profumati, perfettamente stirati. T li segue con lo sguardo per essere certa che nulla glieli sporchi.

Alle sette e quaranta in punto devono uscire da casa. Così faranno in tempo a prendere il 512 barrato, che ha differenza del 512 semplice fa meno fermate ed è certa che arriveranno in tempo a scuola.

Esce sul terrazzino della cucina che sta sopra il portone del palazzo, per vederli uscire. Li segue ancora con lo sguardo fino in fondo alla strada. Quando erano più piccoli si voltavano sempre a salutarla prima di svoltare, ora sono troppo grandi, ma T gli soffia un bacetto lo stesso perché è sicura che anche loro lo vogliono.

Lavate le tazze del latte della colazione dei ragazzi, T prepara il bucato. Divide pazientemente la biancheria che va messa in ammollo nella varechina, dai colorati che mette a lavare in lavatrice col Napisan.

Si sono fatte le otto e dieci, è ora di lavare i pavimenti. Questa mattina sta provando un nuovo prodotto, è lo Iodosan tradizionale, ma in questo pare che siano state aggiunte “le virtù della varechina”; almeno adesso può smettere di aggiungercela lei. Una volta col Mastrolindo bagno al cloro, si formò una reazione chimica che l’ha spedì dritta al pronto soccorso. Le viene ancora da ridere a pensarci. Del resto di robe del genere le ne sono capitate diverse, come quell’altra volta che aveva finito il balsamo per i capelli, ed ha usato il Coccolino ammorbidente “fresco pulito”. Le provocò un’orribile reazione allergica!

Ci sarebbe da spolverare sopra gli armadi, ma si è fatto tardi. Ha promesso a Caterina di farle la tinta ai capelli. Deve essere da lei per le nove perché alle undici ha appuntamento dal medico.

La sua toletta è molto semplice, una doccia e via. Non che non ami truccarsi, ma trova superfluo sprecare i suoi costosi cosmetici per nulla. Certo potrebbe acquistarne a buon mercato sulle bancarelle dei cinesi, come fa Caterina, ma chissà con quali porcherie li fanno!

Din Don Dan… Din Don Dan… fa la suoneria del telefonino, è sicuramente Caterina. T non si affretta perché non c’è bisogno di rispondere, sono solo squilletti che l’avvertono di fare in fretta. Si lega i capelli in una sbrigativa coda di cavallo, perché anche la sua tinta andrebbe rinnovata e riduce la sua folta chioma ad uno schifo. Poi si guarda di nuovo i denti; fissandoli le pare di vedere i batteri come microscopici vermicelli annidarsi tra un dente e l’altro. Ascoltando una lezione di scienze di Giovanni, ha scoperto che quelli fanno cacca e piscia sullo smalto immacolato, intaccandolo fino a formarci una carie. Da quando l’ha scoperto affonda due dita nel collo largo della tanichetta gialla, e veloce se li passa sui denti. Il sapore di varechina le invade la bocca, i suoi vapori bruciano nelle nari, ma almeno così quegli esserini cacca e piscia avranno avuto quello che si meritano.

 

Suona a casa di Caterina alle nove e venti.

- Certo che tu e la puntualità avete litigato da piccole.- Le dice sarcastica l’amica. Caterina è agitata perché stamattina deve incontrare il suo nuovo medico della mutua. Lei ne cambia in continuazione, appena gli minacciano il razionamento degli psicofarmaci le vanno sui nervi. Lexodan, Sanax, Roipnol, Tavor, Prezene ecc, ecc… oramai Katty (questo è il suo diminutivo) non li chiama neppure per nome ma per principio attivo.

Ha preso la tinta Garnier e non L’Oreal, è inutile starle a spiegare che non è la stessa cosa. Decide di impastarle quella mondezza e farla finita. Katty è troppo nervosa e mentre aspettano che la tinta prenda, trascina T in camera a farsi dare consigli sul cosa indossare.

T è orgogliosa del proprio gusto, del resto tutti glielo riconoscono. Ma Katty vuole solo qualcuno che ascolti i suoi vaneggiamenti ansiogeni. Minigonne inguinali e top al limite della decenza, per Katty la moda è sinonimo di seduzione, e la seduzione si ottiene solo mettendo in evidenza i propri attributi sessuali.

Le dieci sono abbondantemente passate, quando T sta lavando i capelli all’amica. Katty ora sta facendo il diavolo a quattro perché un poco di tinta le è finita sull’orecchio destro, e non vuole saperne di andare via. Se la prende con T, ma lei che ci può fare se ha le orecchie a ventola! L’ha messa la nivea sui bordi del cuoio capelluto e, infatti, c’è solo quella stupida macchiolina. Riesce a calmarla solo quando le propone uno stiraggio al volo sulla tavola del ferro da stiro. Per fortuna i capelli vengono dritti come spaghetti e le coprono bene le orecchie asinine.  

Si sono quasi fatte le undici. T guida con disinvoltura nel traffico cittadino, mentre Katty non fa che parlare dei turni delle farmacie aperte, scovandone sempre di nuove dove recitare la parte della casalinga sprovveduta che non si è accorta di avere la ricetta delle pillole scaduta.

Alle undici e mezza T si congratula con se stessa per essere riuscita ad attraversare la Via Tuscolana in meno di 15 minuti. Ora è fuori la sala d’aspetto del dottore, nell’attesa che Katty incontri il suo nuovo medico. T non entra mai negli ambulatori; questi sono sempre gremiti da portatori di malattie. Li guarda tutti con circospezione, e trattiene il fiato quando le passano accanto.

- Oh Dio, Dio, Dio. Mi sento male, portami all’osteria. – Esordisce Katty quando esce. Questo è il suo grido di battaglia quando s’imbatte in un individuo di sesso maschile che le mette in subbuglio gli estrogeni. Pare che il nuovo medico le abbia dato un brivido positivo, il che significa che torneranno spesso… molto spesso. Quel poveraccio non sa a cosa sta andando incontro.

T non ne vuole sapere di fermarsi anche in farmacia, ma è inutile discutere con Katty che già si sente formicolare il braccio destro e teme una paralisi. Comunque non la porta alla farmacia che vuole lei, la ferma a quella vicino casa, davanti al piccolo negozio “Cose di Casa”. Così n’approfitta per andare dalla sora Maria che ha il nipote che lavora alla Nalco, una fabbrica chimica che tra i materiali di scarto produce varechina. La sora Maria le ne ha parlato come qualcosa di prodigioso, tanto che deve essere diluita in abbondante acqua altrimenti corrode anche i mattoni.

Quando rientra in casa con la preziosa tanica gialla di cinque litri, non vede l’ora di provarla. Ma è davvero tardi e c’è il pranzo da preparare. Cucina due spaghetti che condisce col burro, quando i ragazzi rientrano nemmeno si accorgono della fretta con cui li ha cucinati. Mentre mangiano il primo T frigge in padella due cotolette panate, e quando si alzano da tavola può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Nemmeno si accorge di non aver pranzato. E’ già all’acquaio a sgrassare i piatti dall’unto del burro che li appesta.

Alle due meno un quarto sta stendendo la lavatrice. Tutte le altre donne del palazzo asciugano il bucato su stenditoi posti sul terrazzino, ma T No. Lei ha scoperto che il miglior posto è alla finestra del bagno, posta a levante, accanto a quella della stanza dei suoi cuccioli. Purtroppo la finestra è piccola e posta in alto, T si è dovuta ingegnare non poco per fissarci lo stenditoio che si libra nel vuoto per cinque piani. Per appenderci i panni deve sporgersi arrampicandosi sul water. Ogni giorno che si trova lì, col busto quasi tutto di fuori, si chiede cos’è quella misteriosa attrazione che il vuoto esercita su di lei.

Alle due e venti ha già finito, in tempo per accompagnare Giada a studiare da Tatiana a Cinecittà, e Giovanni a ripetizione al centro studi al Numidio Quadrato. T vola con la sua Uno Fiat, presa di terza mano, con la calotta così sensibile all’umidità che bastano due gocce di pioggia per farla fermare. Ma che ci può fare se il marito non vuole saperne di levarsi il suo esoso macchinone che non si muove mai dal garage! La sua pipetta (così chiama la Uno), invece, deve stare posteggiata in strada e ogni volta farla patire è un terno all’otto.

La guida di T è davvero disinvolta. I semafori arancione per lei sono un incentivo ad affrettarsi, per la verità anche un rosso appena scattato è un incentivo ad affrettarsi un pelino di più. Quando è al volante l’assale l’ansia di far presto. E’ inutile che sbraita quello stronzo col macchinone; toh! Beccate ste corna e salutame a soreta. T guida la sua pipetta scarburata tra il traffico, parca della sua ira contro tutti. Lei deve tornare a casa, dalla varechina della sora Maria che l’aspetta ancora con i sigilli sul tappo.

Rientra a casa che sono le tre passate, non ha trovato parcheggio ed ha dovuto lasciare l’auto in terza fila davanti alla GS. Ha lasciato le chiavi a Marina, la cassiera, tanto alle quattro deve tornare a prendere i ragazzi per accompagnarli in palestra.

Decide di provare la varechina per pulire dietro la macchina del gas. Di solito lo fa il mercoledì, ma oggi è un giorno speciale ed è sicura che la dietro c’è già del temibile grasso da stanare. Si ricorda quando il tecnico le è venuto a cambiare il tubo del gas. Le disse tutto meravigliato – Signora mia, ma il tubo se lo doveva far dare da quelli che le hanno venduto la macchina del gas, così avrebbe risparmiato - quello credeva che la sua stufa era nuova di zecca! Beh, del resto sfiderebbe chiunque a trovarci l’ombra di un alone su quell’alluminio lucido come argento.

Csccccc, fa la varechina concentrata tra le piastrelle e il pavimento. Li ha stanati i maledetti “grassi saturi”. Csccccc, li guarda orgogliosa mentre friggono fino ad evaporare. Accidenti! T inizia a tossire; deve alzarsi e scappare all’acquaio. Ha dei conati di vomito, se solo avesse avuto qualcosa nello stomaco lo avrebbe rigettato. “Accidenti!” si dice "forte davvero sta roba della sora Maria". Si pente di non averne comprata una tanichetta di scorta.

Sono le quattro. T è gia in strada, ma quelli del super mercato le hanno spostato la macchina. Tommaso che finiva il turno le ha lasciato il suo posteggio d’oro, davanti ai secchioni dell’AMNU. Un vero peccato doverlo abbandonare così presto. Prima di lasciarlo entra nel bar per avvertire Egidio, il ragazzo del bar sempre gentile, se ne ha bisogno. Lui no, ma sa che il ferramentista ne sta cercando uno per la moglie. T corre nel negozio accanto, da Marcello che ha la moglie di otto mesi e nel pomeriggio va ancora ad aiutarlo in negozio. Tina col suo pancione, trottola svelta nel retro a prendere le chiavi dell’auto.

Si sono fatte le quattro e venti, oramai è un’utopia il solo pensare di arrivare per la mezza davanti al centro studi di Giovanni… ma T ci prova lo stesso.

Rombando e strombazzando pure alle formiche che la intralciano, riesce ad arrivare con un contenuto ritardo di quindici minuti… però Giovanni è già andato via. Fa sempre così, eppure lo ha sgridato, supplicato e quant’altro di non farlo. Però lui sparisce sempre. Quando sale a chiedere da quando tempo è uscito, scopre che nemmeno lo hanno visto. T si arrabbia e vorrebbe sbattere il fermacarte sul muso di quella segretaria inacidita dalla zitellagine. Era già successo che il figlio marinava le ripetizioni ed erano rimasti d’accordo che se non lo vedevano dovevano chiamarla sul telefonino. Ma la zitella in preda alle caldane non vuole saperne delle sue lamentele, alla fine si becca un “vaffanculo” e non se ne parla più di questo centro studi della malora. Giovanni ha proprio ragione - lì dentro sono tutti degli emeriti stronzi.  

T sa dove cercare il figlio. E’ andata dritta davanti al “Centro Biliardi Palombi”; vuole entrare ma... non ce la fa. Quel posto è pieno di maschi… maschi sconosciuti. Esseri lubrici e sbavanti pronti a spogliarla con gli occhi, a pensare chissà cosa mentre le guardano il di dietro. Brutti zozzoni.

T decide di squillare un’ultima volta al numero del figlio, ma niente, non è raggiungibile. Questa per lei è la prova che si trova proprio negli scantinati della sala biliardi. Chiama quindi Giada, che è scocciata perché Tatiana sta a cena dai nonni, e l’ha scaricata sul marciapiede davanti il suo palazzo da più di mezz’ora.  T è fuori di sé. Sale a bordo della Pipetta manco fosse un F-16 carico di bombe deficienti, pronte ad essere scaricate su chiunque l’intralci. Anche la vecchina con la sedia a rotelle elettrica si è presa un suo accidenti “ Piuttosto cammina sul marciapiede e fatti fare la convergenza al cervello, scema” le ha urlato, mentre correva verso Cinecittà a salvare la sua bambina abbandonata a se stessa.

E’ tornata alla sala biliardi insieme a Giada, con i rinforzi spera di trovare il coraggio per entrare, ma non è così. La figlia, pur di non far tardi in palestra si è offerta volontaria per la difficile missione, ma la madre non può mettere a repentaglio l’integrità della sua bambina. Quella sera niente palestra, avrebbero aspettato davanti la Sala Biliardi Palombi finché Giovanni non sarebbe uscito.

Aspettarono fino alle cinque, poi Giada minacciò di tornarsene a casa con l’autobus. T deve cedere, del resto il signor Spanzani è di ritorno e se non la trova in casa le pianta una grana delle sue.

Ma dove diamine è finito Giovanni?

Giovanni oggi ha preferito agli studi una sana partita di calcetto all’oratorio di Don Bosco. Lo stesso che frequentava il padre da giovane. Il signor Spanzani è molto orgoglioso delle goliardiche imprese del figlio, così non ha fatto storie quando Giovanni gli ha telefonato per passarlo a prendere col furgoncino della ditta..

Quando T rientra a casa, alle cinque e tre quarti, se li trova tutti e due spaparanzati sul divano, con le scarpe ai piedi, a sbriciolare due panini con della porchetta che trasuda unto.

Quei due che se ne infischiano di quanto lei sgobbi per loro tutti i giorni, di tutti gli anni, da una vita intera; gli comunicano gai che non ceneranno a casa perché vanno a vedere la partita su Sky, al circolo della Roma sport.

T non sopporta che il marito s’intrometta nell’educazione del figlio, perché la sua è di fatto una diseducazione. L’idea che Giovanni possa venir su uguale al padre le mette in subbuglio lo stomaco. Così inizia a lamentarsi. Si lamenta della figuraccia che ha dovuto fare al centro studi, si lamenta di aver fatto tardi, si lamenta che Giada non le ha raccolto i panni stesi come le aveva chiesto, si lamenta, si lamenta della casa troppo sporca, si lamenta che non le si dica mai niente in questa casa, si lamenta, si lamenta solo per attaccare briga con quelle amebe che non le danno retta nemmeno per mandarla a quel paese.

Quando i due maschi portano fuori casa le loro ingombranti gonadi, T prepara la cena per Giada. Le ha fatto un’insalata di carote all’aceto con due uova sode, come piacciano tanto a lei. Nel frattempo che consuma la cena, T va finalmente a raccogliere i panni alla finestra del bagno.

Sale sul water e si sporge fuori. La città brilla tutta di luci variopinte, manco fosse un prato illuminato da milioni di lucciole punk. T sorride alla sua mirabile metafora poetica, e se le gode per qualche attimo, là sospesa nel nulla, sulla parete verticale del palazzo, insieme al suo bucato pulito.

Giada, al solito, non si è presa neanche il disturbo di mettere le stoviglie sporche nell’acquaio. T ripone i panni su una sedia e svelta lava i piatti per l’ultima volta, almeno per oggi. Si sente una stretta al cuore quando giunge a questo punto del giorno. Un altro lunedì si è concluso, ha un giorno in meno da vivere, una domenica in meno da dimenticare.

Meno male che ha i panni da stirare o chissà dove la condurrebbero questi tristi pensieri!

La vaporella scorre veloce su maniche, colletti, e gambe di pantaloni, ad inseguire pieghe imperfette. Ci vorrebbe una bella botta di vaporella anche alla sua vita. Il vapore le appesantisce i capelli che lentamente si liberano dalla stretta dell’elastichetto, le illanguidisce la pelle che diventa unta, le inaridisce la mente che si sgombra dai cattivi pensieri.

Sono le ventidue e dieci minuti, T ha finito giusto in tempo per infilarsi nel letto prima che giunga il marito. Si è infilata negli orecchi i soliti tappi di cera per non sentirlo russare, la mascherina nera per esser certa di non vederlo, e un po’ di Vicsinecs sotto il naso per non sentire il suo olezzo. Ecco, è pronta per affrontare la notte. Domani in fondo è un altro giorno.

 

Edited by Silverselfer
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Spoiler

Questo è un altro di quei racconti, anche se non lo scrissi per far parte della raccolta Paprika alla Mandragola. Erano i primi anni del 2000 e a Roma ci fu una >>Veltronata<< nel senso che il sindaco prese a modello una roba che si fa a New York, cioè indire un concorso letterario per racconti da leggere in metropolitana. Io, al solito, lo scrissi ma non lo inviai, però lo riciclai soprattutto per la brevità che mi serviva a completare le 80 cartelle di PaM ... anche se poi non sono certo che alla fine lo inserii ... insomma, a differenza di Varechina, questa versione l'ho ritoccata o, meglio, l'ho riportata allo stadio originario perché alle finalità di un concorso, non è saggio usare dei dialoghi in dialetto, però dove caspita si è mai sentito un romano di borgata parlare in corretto italiano? Faceva l'effetto di un film doppiato in turco!

Lo stile da sceneggiatura è dovuto ad un'amicizia con un sceneggiatore di Arezzo ... un tipo alquanto originale che usava tenere in camera un manichino impiccato ... Tuttavia, era proprio bravo e il suo stile mi ha ispirato moltissimo, in ogni modo, riconosco che in questo breve raccontino, era ancora tutto work in progress ... 

Amore Metropolitano

 

Genere – Storia d’Amore

Titolo – Amore Metropolitano

Autore - Momo

Fermate metro necessarie alla lettura – 7 fermate & una scala mobile

Percorso consigliato – Qualunque prima delle 9 AM

 

 

 

 

 

Ore 06: 01 AM

 

Radiosveglia – annunciatrice - Va ora in onda la prima edizione del radiogiornale.

Speaker - Grande contro-esodo pasquale, coda d’auto lunga 60 km sulla tangenziale di Mestre. Veltroni va a cena con (..)

 

Lui

 

Terzo piano. Palazzo popolare. Quartiere Don Bosco. Roma.

Voce fuoricampo – Ma te voi arzà che so’ le sei passate!

 

 “Accidenti. Pure stanotte ho dormito solo quattr’ore … e pe’ fa’ che poi? Le ronde colla  macchina nova de Giorgetto. Cazzo, qua le cose devono da cambia’! Porcodisse e tutti che s’accasano che della combriccola semo rimasti io e Luca. E mica che c’è mancherà quarcosa!”

 

Voce fuoricampo – Ma te voi arzà sì o no?

 

“Me alzo, mo me alzo, che c’avrai da strilla’ tanto … ma se sul lavoro quel vecchiaccio continua a stamme addosso glielo dico … e cazzo se glielo dico. Gli vado sotto e glielo dico. Ma ‘nsomma, uno se fa er culo tutto il giorno e se se deve sta pure a senti’ quella grandissima testa di cazzo … ma dove sta la schiuma da barba?”

 

-          A Ma, a do’ sta la schiuma da barba?

 

Voce fuoricampo – E che ne so, io mica me faccio la barba. Chiedilo a tu padre.

 

-  Papà … a papà, do’ sta la schiuma da barba?

 

Voce fuoricampo – Era finita e l’ho buttata.

 

- E la bomboletta nova a do’ sta?

 

Voce fuoricampo – E che ne so io, chiedilo a tu madre.

 

-  Ma’… a Maaa, a do’ sta la schiuma da barba nova?

 

Voce fuoricampo – Non ce sta. Se voi non ve fate uscì er fiato prima, come faccio a sape’ che è finita?

 

-  Ma porca miseriaccia zozza (..)

 

Lei

 

Stanza in affitto. Quinto piano. Zona Giulio Agricola.

 

“… segni e simboli: con i simboli il significante non rappresenta il significato; tra A e B c’è una relazione arbitraria che li verifica. Nei segni, il significato coincide con il significante; la relazione tra A e B è meccanica (ad es. divieto di accesso = il significato è uno e diretto)… Testa di rapa non riuscirai mai a passare questo stupido appello, se non muovi le chiappe dal letto. Ti metti il maglione rosso amaranto, vai alla facoltà e ti conquisti la prima fila, così quel maledetto professore non potrà più dire – Signorina non la vedo mai a lezione (..) ”

 

Ore 06: 25 AM

 

Lui

 

Scale interne del palazzo.

 

“Oggi ci spariamo nelle orecchie il caro buon vecchio Lou Reed … tre scudi, un vero affare … è roba vecchia ma bella, specie quella song della pubblicità ...”

 

-          Ciao Morena … se, se, sta attenta te, sta attenta …

 

“Gesù! Se fa’ sempre più bona ... magari tra qualche anno… Cazzo so’ peggio de Girolimoni … me devo trova’ ‘na ragazza oppure scoppio! (..)”

 

Lei

 

Interno ascensore.

 

“Se Vanessa non mi ricompra gli auricolari … ecco, il suo I-Pod non glielo restituisco fin quando non me li ricompra, così stiamo pari … accidenti, ‘ste cuffie mi scompigliano i capelli …”

 

-          Satellite of love ... Satellite’s gone …

 

“ Lou Reed, e te pare che quella non ascoltava musica da tossici …”

 

Ore 06: 37 AM

 

Lui

 

Marciapiede deserto. Furgoni che scaricano merci nei negozi. Fermate d’autobus che iniziano ad affollarsi.

 

“Devo farmi la macchina cazzo! Giorgetto ha fatto il leasing, ma ci vuole un garante … capirai, e chi ci porto io? Papà e il furgoncino della frutta? Patateee ... carciofini ... frutta bella … Cazzo, ho fatto tanto per non esse come a lui … Faccio l’elettricista mica l’avvocato, ma che vuol dire, anch’io ho diritto a ‘na macchina del cazzo. Uno si fa il culo così … e poi ... e poi ti devi pure sentir dire dietro da un vecchio stronzo ... ma oggi gli imbruttisco, se solo s’azzarda, glie parto de capoccia a quel vecchio (..)”

 

 

 

 

Lei

 

Semaforo all’incrocio con Via Appia nuova. Persone che aspettano il verde per attraversare. Piccioni che tubano. Telefonino che squilla.

 

“Dove caspita è finito... acc... troppo tardi! Ma no, è la chat dell’Uni … Menù, invio, messaggi in arrivo, Ok … E’ quello scemo di Giampiero - Buona giornata bellissima. Ci vediamo al solito posto, alla solita ora? -.  Sì, come no, la sottoscritta ha chiuso con le notti brave … Menù, invio, messaggi in uscita, OK. - H o l e z i o n e, d e v o r e c u p e r a r e u n e s o n e r o. S o r r y - … Sistemato pure questo.”

 

Ore 06: 41 AM

 

Lui

 

Compattatore manovra per scaricare un cassonetto. Bel seno sopra un maxicartellone pubblicitario. Scale della stazione metro Subagusta. Cornacchia sopra un palo.

 

Voce fuoricampo –  Craa, craa …

 

“E’ proprio primavera, pure le cornacchie s’innamorano. Forse è colpa della stagione se c’ho ste fregole … Boh?! M’innamoro dieci volte al giorno, cazzo! Ma io non vorrei mica una super figa … cioè, manco ‘n cesso … vorrei una tipa sveglia … de quelle che non se fanno posa’ mica la mosca sul naso. Una ragazza seria, non dico verginella … certo però che non deve esse stata con tutti … insomma, una di quelle che ci scambi due parole e t’impiccia er cervello … che te la fa pagare cara se sgarri … Vorrei solo essere importante per qualcuno (..)”

 

Lei

 

Bicchieri di vetro che cozzano tra loro. Vociare indistinto. Odore di cappuccino e cornetti glassati. Caldo intenso.

 

Barista – Un corno e un caffè a lei, giusto?

 

“Guarda un po’ che tipo. Completo grigio, scarpe di pelle con punta squadrata, capello da marines, pizzetto da carabiniere, sguardo deciso e sorriso paraculo … e come ti puoi sbagliare! Dieci a uno che è un agente di commercio ... mmm, guarda come ammicca sto presuntuoso! Si crede un padreterno … certo però non è male, scommetto che se lo depila … Ora basta stronzate! Che a Termini, per cambiare linea della metro, si perde sempre un sacco di tempo ”

 

Ore 06: 53 AM

 

Vagone della metropolitana gremito di passeggeri. Libri che si sfogliano in tripli salti mortali. Aria viziata. Un foglio di quotidiano per terra.

Voce femminile dello speaker automatico - … prossima fermata, Giulio Agricola - next stop, Giulio Agricola.

 

(Musica nelle cuffie: Walk  on the wilde side)

 

Lei - “Tu ... turù ... turù … tutturuttù ... turù …”

Lui - “Che occhi che ha! E che bocca! Che non se farebbe per una così! Dev’esse ‘na studentessa ...”

Lei - “L’aria del mattino deve proprio giovare alla mia pelle, pure quel tizio mi sta fissando … Classe operaia non ci piove … mi piace … chissà perché gli operai non si radono … Che scemo! Mi sta guardando come se gli fosse apparsa la Madonna.”

Lui - “Certo che una tipa come questa che se ne fa di un elettricista figlio de un fruttarolo … certo però che me sta proprio a guarda’! Porca miseria, mica me posso a sta a sbaglia’… T’ho pizzicata! E’ inutile che ora fai finta de guarda’ er manifesto.”

Lei - “ Offertissima per Cuba … Caraibi … Sole … Calore … Sabbia bianca, tiepida, sottilissima … Mare, acqua trasparente … Correre … correre inseguita dall’operaio... ih... ih... che scema!”

Lui - “Cuba … Musica … Luna d’argento … Stanza da letto … Finestra sul mare … brezza sulla pelle nuda … Sesso. Amore vero.”

Lei - “Chissà a cosa starà pensando. Mi guarda così … così … Deve essere uno di quei tipi da scoprire piano, piano … che parlano poco, ma … che non mentono mai.”

Lui - “Non guardarmi con quegli occhi d’angelo … Sei bellissima … Fammi un sorriso dai … un segno e vengo da te … Già, e che le dico? Mi prenderebbe per un maniaco.”

Lei - “Santo cielo devo smetterla di fissarlo o chissà che penserà … e se si fa avanti? Lo mando a quel paese, mica mi sono ridotta a rimorchiare in metropolitana … Certo però …”

 

Voce dello speaker automatico: Termini - Stazione Termini, in coincidenza con la linea metropolitana B, ferrovie per Roma Pantano/Fiumicino aeroporto Leonardo da Vinci – Termini station, connection to underground B line, railway from Roma Pantano to Fiumicino airport Leonardo da Vinci” – Prossima fermata Repubblica - next stop Repubblica”

 

Musica nelle cuffie: Goodbye Lady.

 

The End

 

Edited by Silverselfer
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  • 4 weeks later...
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Avrei dovuto fare in fretta a postare questi racconti ... invece sto capendo cosa intendeva Kafka quando lamentava il poco tempo che la vita quotidiana lo costringeva a riservare alla scrittura. Per dirla tutta ---> Ho peccato! Cioè, mi ero ripromesso che avrei solo dato una riletta ai racconti, in questo caso però, mi sono avventurato in una rivisitazione ... che alla fine ho abortito perché altrimenti chissà ancora per quanto me la sarei trascinata dietro. 

Prima di tutto ---> Non mi andava di riscriverlo e poi mi stavo cacciando in un'insana interpretazione del femminicidio. Di fondo c'è da dire che questo racconto non mi ha mai soddisfatto, tant'è che poi non fu inserito nella raccolta Paprika alla Mandragola <--- così è il terzo racconto che posto e che non rientrava in quella raccolta.

Lo scrissi grosso modo nella seconda metà degli anni novanta, sempre nel contesto della conoscenza dello sceneggiatore di Arezzo. Una sera mi disse ---> Facciamo una sfida di creatività. La faccenda prevedeva che ognuno di noi sfilasse un libro dalla libreria e aprendolo a caso per tre volte, si annotavano le prime tre parole scritte in testa o in fondo alle due pagine. Io non ricordo quali fossero le mie, so solo che una di quelle era "Smeriglio". Probabile che non indicasse il falchetto tipico per essersi urbanizzato nelle nostre città, ma è così che io lo interpretai. 

La sfida prevedeva un massimo di tre cartelle, tutte scritte di un fiato e senza rileggere <-- Una vera tortura per me! Però ci riuscii prima di lui e francamente dubito che lui avesse scritto più di qualche rigo <--- detestava perdere. Tant'è che, dopo aver ascolto questo breve racconto, mi liquidò dandomela vinta ... senza permettermi di ascoltare il suo componimento.

In ogni modo, nel tempo, ho tentato di aggiustarlo eccetera ... questa versione, per esempio, mi ha stupito molto perché non mi ricordavo di aver trasferito la storia a >>Milano<< io ambiento le mie storie sempre a Roma e questa non faceva eccezione, a Milano io non ho mai messo piede! Bah, forse mi sono lasciato prendere dal Duomo gotico ... 

Sta di fatto che non si può cambiare qualcosa, la cui forma è intrisa del momento in cui si è scritta. Sarebbe come ucciderlo, cancellare quel momento e non è giusto. Quindi ho cestinato tutte le interpolazioni e rimesso le cose il più possibile come stavano <-- perdendoci un sacco di tempo. Non aspettatevi nulla di romantico,ve! A volergli trovare un genere, direi che si avvicina di più a un noir ... ok, basta o mi parte lo spoiler ...

LO SMERIGLIO

Stavo per morire senza accorgermi di vivere in un sogno fatto da altri. La mia vita rientrava ancora nei canoni della normalità. Anche il lavoro filava liscio, lo odiavo ma ci dovevo pagare il mutuo della casa, l’affitto e tutti i capricci che mia moglie Debora considerava indispensabili. Io avrei voluto un figlio ma Debby diceva che non potevamo permettercelo, così ho continuato a pagare lo psicanalista al suo cane “Rommel”. 

Mi sono spesso chiesto se amavo veramente mia moglie … la cosa che so è che non potevo vivere senza di lei. Me ne accorsi subito quando fuggì via con l’analista del pastore tedesco. Fu così che entrai a far parte della fascia sociale definita “single”, un ruolo in cui non sono mai riuscito a calarmi. Mi ritrovai a scrivere romanzetti rosa a lieto fine per zitelle che, come me, desideravano vivere nello stesso sogno collettivo ispirato all'amore. Vivevo il futuro restandomene seduto dietro una vecchia macchina da scrivere, annoiato da quello che facevo ma che continuavo a fare perché il mutuo della casa era la sola cosa che mi era rimasta di Debora.

Il cane soffriva la situazione più di me e questo m’infastidiva; insomma, ma chi si credeva di essere? Ero io il marito abbandonato e poteva anche piantarla di guaire per tutta la notte, aspettando inutilmente che lei tornasse a casa. Sì, lo ammetto, ero diventato geloso di quel sacco di pulci e non mi spiegavo il motivo per cui dovevo tenerlo con me. La bestia con il suo istinto iniziò ad avvertire l’ostilità nei suoi confronti e non accettò più il cibo dalle mie mani.

Nei giorni di questa strana storia ero stressato per via della consegna di un romanzo che non riuscivo a terminare. Comunque mi scervellassi, la protagonista di tutte le mie storie finiva per morire; a volte ero convinto di aver scritto finalmente un lieto fine ma … quando lo rileggevo scoprivo che Anna, la protagonista, era stata sventrata, seviziata o quant'altro.

Il monolocale in cui mi ero trasferito era saturo delle ultime pagine stracciate, era impossibile muoversi senza scalciarne qualcuna, solo il cane sembrava divertirsi a masticarle, lo faceva solo per prendermi in giro con il suo sarcasmo canino … o forse riusciva a sentire il sangue con cui avevo condito quelle truculente descrizioni?

Inutile stare a nascondere che dietro al volto di Anna si celava quello di mia moglie, del resto era sempre stata lei ad ispirare quelle storie strappa lacrime, a rendere sopportabile continuare a scrivere di melense scene d’amore e cuori spezzati. Forse era solo giunto il momento di cambiare il nome alla mia eroina, ma ucciderla avrebbe deluso le lettrici e rischiavo di essere licenziato dall'editore. Avevo bisogno di Anna per campare, allo stesso modo di come avevo ancora bisogno del ricordo dell’amore di Debora per sopravvivere …

Erano i primi giorni di Giugno e la primavera scaldava le serate come fossimo in piena estate. Io avevo appena terminato di scrivere l’ennesimo epilogo quando ricevetti la telefonata di Debora che rivendicava ancora qualcosa di suo. Montai su tutte le furie quando mi disse che sarebbe passata a riprendersi il mal tolto. Gli sbraitai contro tutto il disprezzo che provavo per lei. Le chiusi il telefono in faccia minacciando di ucciderla se si fosse presentata ancora alla mia porta … avevo bisogno del suo ricordo e sapevo che non avrei sopportato ancora vederla andar via.

Quando tornai a sedermi davanti alla macchina da scrivere, mi accorsi che l’epilogo si era di nuovo cambiato da solo ed Anna si suicidava. La descrizione di quest’ultima versione del finale era estremamente compiaciuta, scoprii addirittura delle note aggiunte a mano sul dattiloscritto. La calligrafia era inferma e descriveva gli occhi di lei stravolti, il volto gonfio e cianotico, la lingua penzoloni, mentre il collo rotto sanguinava stretto nel ruvido cappio di una corda.

Fui sul punto di impazzire, ero sconvolto! Mi versai un bicchiere pieno fino all’orlo delle scolature di tutti i liquori che avevo in casa. Nel monolocale non si respirava, non aprivo la finestra da giorni. Camminando incespicai in qualcosa di grosso nascosto sotto ad un mucchio di pagine appallottolate, mi ringhiò il bastardo … mi ricordai allora che non lo portavo fuori da diversi giorni … mi chiesi se non fosse quel sacco di pulci  a rendere  l’aria irrespirabile.

Aprii la porta finestra del balcone, respirai profondamente fino a sentire i polmoni farmi male. Ebbi una lieve vertigine a guardare degli orizzonti che non fossero più le solite pareti di casa. Probabilmente erano settimane che non uscivo all’aria aperta.

La serata era illuminata dalla luce del crepuscolo, eccezionalmente bello considerando che Milano è sempre Milano. Da uno scorcio tra due palazzi riuscivo a vedere distintamente anche le guglie più alte del Duomo. Probabilmente è da là che veniva quel falco che disegnava in cielo cerchi perfetti. Avevo sentito dire che nei mille anfratti delle cattedrali gotiche nidificano le più svariate creature, così mi misi ad osservare le sagome scure sul tetto della cattedrale.

Sorseggiavo il mio insalubre cocktail appoggiato all'inferriata del balcone quando vidi sbucare da dietro un palazzo il falchetto che avevo adocchiato poco prima. Virò all'ultimo permettendomi così di inquadrarlo chiaramente, era bellissimo con le sue piume macchiate di bianco e  nero, il becco ricurvo e gli artigli stretti nella carne di un piccione.

Quando il piccolo smeriglio fu ad un passo da me, chiusi gli occhi d’impulso e sentii lo spostamento d’aria provocato dalle sue ali. Quando li riaprii stavo precipitando, una visione sfuocata del mondo aveva preso a venirmi incontro vorticosamente, sapevo solo per istinto che stavo cadendo, e fu sempre per istinto che aprii le braccia; prima di quel giorno non sapevo certo che in una vita precedente ero stato uno smeriglio! La mia natura animale prese il sopravvento su quella umana ed iniziai a volare.

Inutile starvi a descrivere quanto era meraviglioso sentire l’aria fluire come un elemento solido sotto le mie nuove braccia. Mi lasciai trasportare da una corrente ascensionale che mi fece raggiungere un’altezza tale che potei dominare la città formicolante. La pace di quel luogo era perfetta, le mie piume vibravano al vento mentre disegnavo cerchi nel cielo. Sotto di me si agitavano i grassi vermi della realtà, chiusi nei loro bozzoli di cemento a fornicare e a sbavare le loro tele catarrose con cui tendere nuovi famelici agguati. Ero felice di non essere laggiù con loro. Stavo bene in cielo con le mie ali spiegate come vele al vento. Quella mia nuova natura mi riconciliava con il creato, anche la storia di mia moglie pareva avermi abbandonato. La mia mente era finalmente libera da ogni catena, il dormiente si era finalmente risvegliato.

Fu in quel momento che udii i battagli della cattedrale suonare. I rintocchi mi rapirono dall'incanto, volai in picchiata in direzione delle guglie nere che si stagliavano verso il basso. Quando fui a poche decine di metri da esse capii cos'era stato ad attrarmi. Il suono prodotto dai  battagli aveva fatto alzare stormi di piccioni che salivano in cielo virando. Volavano così compatti che le loro sagome si confondevano facendoli sembrare un unico grande uccello. Ciò ebbe l’effetto di disorientarmi costringendomi a tornare in alto per trovare di nuovo la distanza giusta per un nuovo approccio.

Finalmente riuscii a distinguere una tenera colombella; i miei nuovi riflessi non mi tradirono, picchiai veloce come un fulmine aprendo gli artigli. Al primo attacco sentii la carne della preda lacerarsi nella stretta, ma nonostante la presa mortale, la colomba riuscì a liberarsi, vorticando poi verso il basso. Non dovevo permetterle di raggiungere i sottotetti dei vecchi palazzi del centro. Allargai la coda e poi presi velocità sbattendo rapido le mie ali, le ero di nuovo addosso, tesi le zampe in avanti e questa volta piombai proprio sulle sue spalle e affondai gli artigli nella carne viva.

Mentre cercavo un approdo sicuro tra le guglie, la sentivo ancora rantolare e quando mi posai sotto un’arcata laterale del Duomo, la guardai a lungo. Quella colomba dal piumaggio soffice e bianco mi apparve delicata come la neve di Cortina durante la mia luna di miele. Mi commossi e mi sentii triste d’essere un solitario smeriglio che per sua natura non avrebbe mai potuto amare una bella colombella come quella. Fu un raptus di rabbia e d’invidia o, forse, fu solo per istinto che mi avventai su di essa. Le saltai sopra tenendola ferma con gli artigli. Quel candore mi abbagliava mentre affondavo il becco ricurvo nel suo petto gonfio e tremolante. Sentii il suo costato aprirsi sotto i miei colpi, e la cassa toracica venir via mentre davo forti strattoni con il collo. Il sapore del sangue caldo mi inebriava. Quando qualche pezzo di budello mi rimaneva fuori dal becco, ero costretto a deglutire più volte.

In agguato, all'ombra di un basilisco di pietra, c’era una faina che mi faceva la posta da chissà quanto tempo; l’infame mi saltò addosso per rapire la mia preda. I suoi denti aguzzi erano punture di spillo. Io cercai di difendere la mia tenera colombella allargando le ali ed agitando le zampe. Sebbene all'inizio stessi per avere la peggio, poi ebbi una fruttuosa riscossa, reagii con successo affondando per ben due volte gli artigli negli occhi della temibile fiera. La faina accecata guaì, ma io imperterrito le piombai addosso in un nuovo affondo. La feci scivolare giù dal tetto e per poco non trascinò via anche me.

Fu in quel preciso istante che fui di nuovo intrappolato nella mia natura d’uomo. Guardai giù dal mio balcone una piccola folla che si andava formando intorno alla carcassa di un cane precipitato da chissà dove. Sentivo freddo e decisi di rientrare. L’appartamento era a soqquadro, anche i vetri della porta-finestra erano stati rotti. Il portone di casa era socchiuso, mi chiesi se durante la mia assenza non mi avessero fatto visita i ladri; già, ma a rubare cosa? La porta non era scassinata, evidentemente qualcuno aveva suonato i battagli del campanello … ma chi gli aveva aperto? Il cane forse?

Chiusi di nuovo il portone a doppia mandata e tornai a sedermi davanti alla macchina da scrivere, fu allora che mi accorsi delle mani che grondavano sangue. La mia fantasia cominciava a diventare troppo verosimile, non le bastava più ritrattare i miei epiloghi, voleva ormai riscrivere anche la mia vita?

Andai in bagno, la porta era stata sfondata a calci … ma non mi chiesi il perché. Aprii il rubinetto dell’acqua calda ed insaponai bene le mani, mi tornò in mente Lady Macbeth. Presi a sorridere immaginandomi nelle vesti della dama shakespeariana. Alzai lo sguardo per incontrare il mio riflesso nello specchio della toletta. Tolsi un pezzo di carne che penzolava dall'angolo della bocca, ma dopo mi dispiacque e ce la rimisi. Mi guardai a lungo, cogliendo sul mio volto inzaccherato di sangue dei particolari che fino a quel giorno mi erano sempre sfuggiti.

Tornando a scrivere, incespicai in qualcosa di grosso riverso sotto una pila di pagine sanguinolente. Maledissi cento volte quel dannato cane che ormai mi ignorava fino al punto di non ringhiarmi più.

 

 

 

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  • 4 weeks later...
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Allora ---> Questo racconto ho dovuto riscriverlo perché la bozza originale risale ai tempi dei banchi di scuola, che ho poi rimaneggiato più volte fino alla presentazione in concorso della raccolta. Il problema è che la copia avuta indietro dalla mia editor non è quella. Giudicando dalla grafica 3D del titolo, posso datarla ai tempi di win98 <--- Molto tempo fa! 

Siccome io scrivo di fatti di cui sono stato almeno testimone, ho dovuto anche cancellare molti brani che oramai sono comparsi in altri scritti ... praticamente ho tenuto l'indispensabile per mantenere intatta la struttura, altrimenti il racconto sarebbe scomparso per sempre. Mi è costato moltissima fatica scrivere in terza persona! Mi sono accorto che non lo facevo più dai tempi delle scuole medie <--- Molto tempo fa! Insomma, spero di aver mantenuto il tono umoristico del testo originale ... 

Forse avrebbe meritato una riletta, ma preferisco usare il poco tempo che ho per dedicarmi al prossimo racconto <--- La vita è un mozzico! (romanesco)

 

Mr Universo

 

***

 

Marco è un bel ragazzo che scoppia di salute. In tutta la sua giovane vita non ha mai conosciuto un raffreddore o un mal di pancia. Suo padre, Peppino il pizzicagnolo, lo ha tirato su con la ciccia di prima qualità e lo ripete sempre a tutti, quando se lo vede entrare in negozio, bello e sodo come un maialetto pronto per il macello. Quando è nato, è stato per tutti una festa, tranne che per sua sorella maggiore che si è vista sfilare l’attenzione dei genitori, però anche lei gli vuole bene perché Marco è buono e sta simpatico a tutti. Lui è uno che pensa quello che dice e fa sempre quello che gli suggerisce il cuore. Per quanto queste siano qualità apprezzabili, la sua impulsività iniziò presto a procuragli problemi. Per esempio, il primo giorno d’asilo, spaventato, si barricò dietro il suo banchetto ingaggiando una battaglia contro chiunque volesse avvicinarlo.

Per immaginarsi Marco bisogna pensare a quei pastorelli delle campagne romane ritratti dai viaggiatori ottocenteschi. A Torre Angela, dove è nato e cresciuto, lo definirebbero semplicemente un bel morettone con l’argento vivo in corpo. Nel rione impararono presto a conoscere la sua inesauribile energia, in fatti era sempre in strada a giocare e aveva poco importanza a cosa, a Marco bastava che non si trattasse di roba che lo costringeva a restarsene seduto. “Che ce posso fa io, se pe’ questo le sedie c’hanno i chiodi?” Rispondeva la madre disperata, quando i vigili glielo riportavano al negozio dopo averlo pescato a combinare qualche marachella. Il primo giorno di scuola, Marietta, la mamma, e suo padre Peppino aprirono la norcineria più tardi perché decisero di accompagnarlo entrambi. Sì, certo che il motivo era anche quello di scattare qualche foto ricordo eccetera, ma tutte e due temevano che avesse tentato una fuga o qualsiasi altra follia che gli avrebbe suggerito sul momento il suo cuoricino impaurito.

Per Marco la scuola non fu un regno felice e non perché fosse corto di comprendonio. Il suo vero problema era non rimanere distratto dal mondo che richiamava la sua attenzione come il canto di una Sirena … e lui non ci pensava proprio a turarsi le orecchie. Marco percepiva i concetti della vita solo attraverso le sensazioni del corpo ed è per questo motivo che doveva continuamente muoversi. Fu così che gli insegnanti consigliarono ai genitori di fargli fare dello sport, ma non è che Peppino il pizzicagnolo non avesse già provato a segnarlo alla scuola calcio e poi in piscina e persino alla palestra di karate, però a Marco lo sport non piaceva proprio. Non capiva il motivo per cui correre dietro a una palla o stare a mollo per girare avanti e indietro in una piscina tipo un pesce rosso nella sua ampolla e del karate, beh, alla terza lezione mandò direttamente a quel paese il maestro che pretendeva di dargli ordini.

Marietta stringeva le mani al petto quando pensava al futuro di quel benedetto figliuolo, soprattutto perché non era proprio capace di rimproverargli la sua sensualità prorompente. Lui era fatto così, concludeva il padre, rassegnato a tenersi nel cuore quel piccolo delinquente che ti salutava abbracciandoti forte e non perdeva occasione per strapparti una coccola. Marco crebbe sempre protetto dalla sua famiglia e persino dai suoi amici che cercavano sempre di cavargli un pizzico di senno dalla testa matta. Per non parlare di tutte le ragazzine del circondario che puntualmente cadevano ai suoi piedi insieme alle loro mutandine, le quali si collezionavano nel cassettino dei bei ricordi che Marco teneva sotto chiave in camera sua. Lo sapevano tutte com’era fatto, tuttavia accettavano di averlo per sé anche solo qualche giorno perché era bello, caldo e le travolgeva con la sua pazza voglia di vivere.

L’Ultimo giorno di scuola

Dopo le brevi vacanze di primavera, Marco era solito considerare l’anno scolastico bello e finito. Fuori dalla finestra il sole faceva illanguidire la carne e cadere i reggiseno come foglie in autunno. La bella stagione era arrivata e Marco se ne accorgeva ogni mattino, quando si svegliava con il fulgido fervore della primavera di traverso negli slip. Il sesso da quando era entrato nella sua vita, lo costringeva a non considerare altro e specie in quei giorni, per lui il mondo diventava un nugolo di tette ballonzolanti, chiappe sode come invitanti budini alla crema e quindi pugnette e ancora pugnette e non per farsi passare il desiderio, palparsi i genitali gli dava una vibrante sensazione e un immediato impulso all’azione. Tanto che era solito farlo anche per faccende non direttamente collegate al sesso. Per esempio, lo faceva anche quando era alla cattedra e la tensione gli faceva gocciolare il sudore sotto le ascelle, ecco, una strizzata e gli veniva in mente qualcosa che lo avrebbe tolto dall’impaccio e succedeva lo stesso per ogni altro tipo di momento in cui aveva bisogno di una botta di sicurezza.

La sua carriera scolastica andò avanti sempre col rischio del sette in condotta e solo per liberarsene al più presto, che i suoi insegnanti facevano spallucce prima di regalargli una sufficienza. Tuttavia, l’ultimo semestre di quell’anno scolastico era miracolosamente trascorso senza note disciplinari. Quel giorno aveva persino risposto in maniera plausibile all’interrogazione di Storia! Così, tornato al banco, poté dedicarsi alla missione di trangugiare i profumatissimi panini che Peppino il pizzicagnolo farciva generosamente. Morso dopo morso, gli era ormai rimasta tra le mani solo la stagnola e, complice la noia, le sue mani iniziarono a maneggiare la duttile materia alla stessa maniera di quando si palpava il cavallo dei pantaloni. All’inizio Marco aveva in mente di farne una pallina per la partitella di calcetto durante la ricreazione, ma quando ormai mancavano una manciata di minuti al trillo della campanella, si avvide che le sue mani avevano riprodotto una copia uno a uno dell’opulento salsicciotto che madre natura aveva voluto donargli in un momento di evidente generosità.

Marco si dispiacque solo di non avere abbastanza carta stagnola per aggiungere un bel paio di coglioni all’opera d’arte che, comunque, riscosse una grande acclamazione popolare. Il bel fallo iniziò a correre di mano e in mano, inseguendo le scandalizzate compagne di classe. Non si seppe mai bene in che modo quel passa mano carambolò l’oggetto volante tra le braccia della signorina Merli, cioè la prof pluripremiata con il “Vasetto di Yogurt”, una stronza avviata alla laurea delle inacidite. Non è escluso che la segaligna mantide, furbescamente acquattata, ghermì di proposito l’argenteo pisellone e solo per il gusto di far sibilare il suo agghiacciante grido di battaglia “Vi faccio sospendere!”. La prof percorse imbufalita i corridoi della presidenza brandendo la poderosa minchia e traboccante di lievitante rancore, mostrò l’oggetto dello scandalo al Direttore …

Fu raccontato che il preside non seppe trattenersi dalle risa, qualcuno sostenne che era presente il prete e che pure lui si scompisciò per il ridere. Tutto questo fece ancor di più stizzire la Signorina Merli che finì per pretendere una pena esemplare. Appena si prospettò il sette in condotta per tutta la classe, per le solite vie occulte, le autorità vennero a scoprire di chi era tanta raffinata arte, e Marco fu sospeso senza possibilità di appello. Il ragazzo non trovò comprensione neanche in famiglia e non perché era stato cacciato da scuola, piuttosto per il motivo che continuava a far ridere tutto il vicinato. Marietta gli menò uno scappellotto in testa chiamandolo pervertito e persino suo padre, scuotendo sconsolato la testa, gli domandò fino a quando avrebbe gettato vergogna sulla sua famiglia. “A lavorare!” Fu la sentenza del babbo e Marco abbandonò così gli amici suoi coetanei per entrare nel cinico mondo degli adulti.

Il Cantiere Edile

Peppino il pizzicagnolo telefonò a suo fratello carpentiere affinché si prendesse Marco per insegnargli un mestiere. Questo, a sua volta, ne parlò al suo principale che fu ben felice di assumere a nero un giovane forte e privo d'ogni alternativa. Quello che accolse Marco fu un mondo diverso dalla comunità di giovani in cui era vissuto fino a quel giorno. Gli operai si facevano la spia pur di avere una gratifica alla fine del mese, gli contavano le sigarette che fumava e addirittura le volte che andava a pisciare. Sentiva la sua vita svenduta per un pacchetto di ore dato in affitto e, quando a Capodanno sentì il presidente della Repubblica declamare orgogliosamente che l’Italia si fonda sul lavoro, gli partì di bocca un sonoro rutto …

Il manovale era un lavoro molto duro e anche umiliante, tutti si sentivano legittimati a dargli ordini e sbeffeggiarlo. L’unico momento in cui Marco si trovava in sintonia con gli altri operai era durante la pausa pranzo. La sensualità del corpo gli permetteva di comunicare senza filtri e non appena si richiudevano i termos colorati nelle più brillanti tinte pastello, subito iniziava una competizione di sonori effluvi gastrici. Per Marco il corpo era fonte di una sincera, goliardica affermazione di sé e non aveva alcuna remora per liquidare la competizione con un peto basso tuba, sempre capace di sgomberare il campo dagli scomodi rivali, anche dall'acerrimo Spanzani, o come lo chiamavano tutti "Spuzzani".

Marco invidiava quel gran porco dello Spuzzani, sembrava non avere pensieri strani per la testa e più delle sue idee, era orgoglioso delle proprie flatulenze, anche perché le prime non potevano certo avere i contenuti delle seconde. Marco, invece, era tormentato da uno speciale piacere edonistico, ogni sensazione era inscindibile da una travolgente emozione, il contrario lo era un po’ meno. Ogni impedimento a esprimere questa traboccante fisicità, lo costringeva in uno stato d’intellegibile frustrazione. Era questo il motivo che lo spingeva a recarsi nella palestra di Bodybuilding anche dopo una giornata di duro lavoro. Il culturismo era stato fino a quel giorno solo un hobby, ma da quando la vita gli tolse ogni altra chance, l’immagine di Schwarzenegger in posa da Mr Universo che stava appesa come un santo alla parete della palestra, iniziò a ispirargli una ragione di vita.

Valerio

A Marco dell’agonismo non era mai importato nulla, non gli dava nessuna soddisfazione arrivare primo o secondo e non gli sarebbe importato neanche essere ultimo, se questo non avesse comportato ritrovarsi con la malta incrostata sotto le unghie. Marco non si era mai curato troppo del suo corpo e fino a quel giorno, il suo attrezzo ginnico preferito era rimasto la forchetta. Solo ora si era accorto di avere un accenno di maniglie dell’amore che facevano il paio con una pancia troppo floscia. Non era grasso, ma lo sarebbe diventato presto se non la piantava di mangiare gli insaccati di Peppino il pizzicagnolo. Fu così che chiese consiglio a Valerio, l’assistente della palestra dai biondissimi capelli fluenti.

Valerio si vantava di partecipare alle gare nazionali di fitness, anche se poi nessuno lo aveva mai visto tornare con un trofeo. Tuttavia era l’immagine stessa del palestrato metrosexual che spendeva una fortuna per il suo aspetto fisico. Il narcisismo di Valerio si rivelò subito compatibile con l’edonismo di Marco … un po’ meno il contrario. Lui neanche se li pettinava quei riccioloni neri che portava in testa e qualunque maglietta proprio non voleva saperne di restare incastrata sotto la cintola dei pantaloni. Più degli esercizi agli attrezzi o della dieta a base d’integratori, la fatica più grande per Marco fu proprio dover trascorrere ore davanti allo specchio.

In ogni modo, i risultati iniziarono a vedersi subito, ovviamente si sta parlando di quelli ginnici. Il suo corpo divenne subito sodo e i muscoli iniziarono a tendersi come corde di violino, cesellando sotto la sua bella pelle olivastra, le tornite spigolature di un mirabile corpo maschile. La ceretta integrale si era sempre rifiutato di farla, ma quando giunse alla prima gara, dovette spendere lacrime amare pur di ottemperare al sacrificio. La competizione andò bene, però Marco uscì da quel posto oltremodo deluso. Non era per il primo posto mancato come sosteneva Valerio, ma per le sensazioni che non aveva provato. A lui non bastava bearsi dello sguardo altrui, lui voleva la figa o almeno degli amici per fare bisboccia e invece passava tutto il tempo con Valerio in quel caspita di scantinato puzzolente che era la loro palestra.

Il marketing dilagante della pubblicità che ci insegue H24 da tutti i media, ci lascia intendere che basta essere belli per diventare anche di successo, però Marco si era appena accorto che le cose non stavano così. Lui adesso era bello come un Adone eppure continuava a razzolare nella polvere di quel cantiere merdoso e lo domandò a Valerio cosa doveva fare per diventare come lui, che spendeva una fortuna seppure lavorasse in quella micragnosa palestra di periferia. Valerio nicchiò una mezza risposta fatta di luoghi comuni e poi lo incitò a credere nei suoi sogni e che solo in quel modo sarebbe riuscito a realizzarli. Di quali sogni stava parlando? Marco non aveva mai nutrito grandi ambizioni e se solo non fosse finito in quel cantiere, sarebbe rimasto insieme a Giovanna la tettona, con cui avrebbe avuto un numero imprecisato di figli e solo perché erano le cose della vita che andavano così …

I Sogni

La vita senza sogni non vale la pena di essere vissuta, così gli disse Valerio e aveva ragione! E’ il desiderio di appagarli che ti spinge ad avere ambizioni e ti dà la forza di superare ogni avversità. Era questo che i suoi genitori non erano stati capaci di inculcargli con la loro piccola bottega fatta di sacrifici con la sola prospettiva di accontentarsi. Invece No! Aveva ragione Valerio perché lo dicevano anche nei Talent Show alla televisione che non bisogna mai smettere di credere nei propri sogni. Valerio gli spiegò la sua teoria del primo colpo di cannone, cioè quello che i pirati sparavano nella chiglia della propria nave per costringersi all’arrembaggio. Se Marco voleva cambiare la sua vita, avrebbe dovuto affondare la misera esistenza in cui si stava trascinando e fu così che un bel mattino non si presentò sul cantiere.

Peppino il pizzicagnolo e sua madre Marietta non sapevano capacitarsi di quelle insane idee che gli erano state messe in testa. D’altro canto erano dei perdenti e non lo avrebbero mai potuto capire, così gli spiegò Valerio quando gli offrì di andare a vivere con lui. Quello era un passo importante, anche perché lo sapeva che i suoi sarebbero stati contrari, tanto più che era al verde e cercò di dirlo anche a Valerio, ma lui non volle sentire scuse. Sì, c’era una soluzione e c’era da scommettere che era proprio a quella che Valerio alludeva quando disse “volere è potere”. C’erano i soldi ammucchiati nel libretto di risparmi che gli aprirono i nonni al momento della nascita e poi tutti i regali dei parenti dalla catenina d’oro del battezzo all’orologio della Cresima. No, i suoi genitori non gli avrebbero perdonato un gesto del genere … ma loro non potevano capire!

Era dunque vero che bisognava combattere per i propri sogni, anche se Marco non avrebbe mai pensato che i suoi nemici sarebbero stati le persone cui teneva di più al mondo. Tuttavia, Valerio aveva ragione perché quando si trasferì da lui, gli sembrò veramente di rinascere a nuova vita. Ora aveva di nuovo un futuro, benché non sapesse ancora quale. Quella sera andò a letto con lo spavento nel cuore, però era anche felice perché la mattina dopo si sarebbe svegliato con la speranza di avere un giorno migliore e poco importava se non sarebbe stato così, l’importate era oggi, adesso come diceva Valerio e non vedeva l’ora di mettersi alla prova perché lui valeva, cazzo!

La libertà dei soldi

Il proprietario dell’appartamento era DJ Edo, uno che portava in faccia la sua condizione di sfigato. Edoardo non aveva avuto bisogno di abbandonare la casa famigliare per realizzare i propri sogni, in quanto i genitori erano proprietari della discoteca in cui lavorava e quell’appartamento glielo avevano lasciato in eredità i defunti nonni e siccome era una pippa come DJ, avrebbe fatto praticamente la fame se non avesse avuto l’introito economico da affittacamere. Una situazione che Marco non ebbe subito chiara e pensò che tutti gli stessero facendo un favore, quindi trovò giusto sdebitarsi sborsando tutti i suoi denari per dormire su di uno scomodo divano. Le cose invece stavano diversamente perché Valerio era rimasto indietro di qualche pigione e DJ Edo lo stava per mettere alla porta, quando la provvidenza gli mandò Marco con i suoi preziosi risparmi.

L’indipendenza è legata a quella economica, senza la quale la libertà ne rimarrebbe pregiudicata. Marco ne ebbe una chiara rappresentazione quando Valerio, dopo la seconda settimana trascorsa senza lavoro, gli consigliò di tornare al cantiere. Marco si sentì tradito perché credeva implicita nella proposta di andare a vivere da Valerio anche il fatto che lo introducesse nel suo mondo. A lui ci pensò DJ Edo che pur di non perdere la pigione, gli procurò un posto come butta fuori nella cooperativa di bodyguard nella discoteca di famiglia. Il boss di quell’agenzia lo accolse con toni da motivatore aziendale promettendogli una carriera brillante e favolosi guadagni. Marco si accorse presto che le cose non stavano così, infatti, nessuno dei suoi nuovi colleghi era ricco e tutti avevano un altro lavoro ufficiale con cui campare. Tuttavia, quella era la famigerata vita notturna che per convenzione è divertimento, quindi aveva compiuto un passo avanti verso i suoi sogni.

Lo inorgogliva parecchio avere indosso la maglietta con sopra scritto Staff e ce la metteva tutta per essere impeccabile, però quei quattro soldi che riusciva a guadagnare finivano prima di entrare in tasca. Lo disse a DJ Edo quando alla fine del mese gli dette solo la metà della pigione, quello gli disse sul grugno di pippare di meno o, per quanto lo riguardava, poteva andare a dormire sotto i ponti. Il Boss lo aveva preso a ben volere e gli concesse un piccolo anticipo sulla paga, promettendogli qualche servizio extra per guadagnare di più. Quel lavoro lo tagliava fuori dai ritmi quotidiani e non riusciva più a frequentare gli amici del muretto. Questo fu desolante quanto abbandonare l’affetto dei propri famigliari. L’ultimo colpo alle sue speranze lo ebbe da Giovanna la tettona che si fidanzò ufficialmente con il suo acerrimo rivale di sempre: Fabio bocca para! Quel coglione si era diplomato e sarebbe diventato avvocato come il padre ...

Dopo che le aveva dato della puttana, Giovanna lo accusò di essere uno scapestrato. Questa era la percezione che aveva di lui e solo perché viveva in centro e lavorava nei locali notturni. La verità era ben diversa, però Marco era troppo orgoglioso per ammetterlo. Confidò il suo sconforto a Valerio e questo gli disse che oramai il colpo di cannone era stato sparato ed era costretto ad andare all’arrembaggio del successo. Gli passò dunque il biglietto da visita di un tizio che cercava tipi di bell’aspetto. Bisognava fare la gavetta, disse Valerio e anche se non aveva specificato al fine di cosa, Marco aveva fantasticato lo stesso di apparire in televisione, facendo mordere le mani a quella stronza di Giovanna. Il tizio con cui parlò non stava certo facendo il casting per un programma televisivo. Si trattava invece di un servizio catering specializzato per eventi speciali, tipo feste di diciottesimo o addio al nubilato. Il suo lavoro consisteva nel versare a torso nudo con un papillon al collo dei cocktail già mescolati …

Correre di qua, correre di là con il telefonino che squilla in continuazione, dormire quando si può, lavorare senza tregua, non avere il tempo nemmeno di mandare giù un boccone seduto, era questo il successo? Marco pensava proprio di sì perché da semplice cameriere era stato promosso ragazzo che esce in perizoma dalla torta. Gli piaceva come quelle allupate lo acclamavano e palpeggiavano anche e, spesso, qualcuna di loro gli lasciava il suo numero scritto sulla banconota che gli infilava nello slippino. L’unica nota dolente rimanevano i soldi che non bastavano mai. Marco aveva anche allargato il suo business con un’agenzia di ragazzi immagine, ma per quello ci volevano vestiti alla moda che, come per qualsiasi professionista, diventarono i suoi strumenti di lavoro. Divenne indispensabile anche andare tutte le settimane in un centro estetico per la depilazione e la doccia solare, per non parlare del dentista perché il sorriso era importante quanto un bel culo. La palestra divenne invece la sua seconda casa, dove Valerio gli consigliò di aumentare la massa muscolare e per quella ci vollero oltre che degli integratori, anche un paio di cicli di steroidi, tutta roba che costava ulteriore lavoro.

Marco aveva imparato che il successo sta nel credito che ti riconoscono gli altri e per ottenerlo bisognava ostentare il lusso. Gli bastava guardare Valerio che, nonostante lavorasse poco e stesse sempre in bolletta, aveva solo carte di credito nel suo portafogli Louis Vuitton da cinquecento euro! Valerio era appena tornato da un weekend a Ibiza, quando Marco glielo chiese con il cuore in mano “Voglio diventare come te”.  Erano trascorsi più di un paio d’anni da quando non sentiva più la famiglia e proprio in quei giorni la sorella gli aveva telefonato invitandolo al suo matrimonio. Si sentiva il magone in gola mentre confidava al suo mentore di sentirsi un fallito e questo perché voleva dimostrare a tutti di avercela fatta, quando invece riusciva a malapena a sbarcare il lunario.

Il suo amico gli disse di non buttarsi giù perché la famigerata botta di culo era arrivata! Valerio partiva per Los Angeles a lavorare per un’importante agenzia di modelli. La gioia dell’amico gli parve uno scaracchio in faccia e Marco si vergognò dell’invidia che in quel momento stava provando. Valerio gli avrebbe lasciato i suoi contatti e per questo avrebbe dovuto essergli grato, ma ora si sentiva lo sguardo severo dei genitori addosso, per non parlare di quello dei parenti che non aspettavano altro di giudicarlo male. “I soldi risolvono tutto” gli rispose Valerio e quelli gli avrebbero baciato il culo quando glieli avrebbe fatti annusare … ma quali soldi? Valerio sorrise dianzi all’ingenuità del discepolo, facendogli poi notare l’artificio retorico che aveva appena usato con la parola “annusare”.

Valerio si rivelò di nuovo un buon amico e gli disse che avrebbe pensato a tutto lui, a cominciare da un regalo di nozze col botto. Il suo mentore prese a cuore la faccenda e il giorno dopo gli comunicò che aveva prenotato per gli sposi una luna di miele ai Caraibi mentre in chiesa, sua sorella ci sarebbe andata a bordo di una limosine extralarge. Stava esagerando e Marco non capiva con quali soldi avrebbero pagato tutto, però non lo fermò perché desiderava troppo fare bella figura. Valerio lo tranquillizzava ogni volta dicendo che doveva solo fare come gli diceva lui e fu così che iniziò la sua carriera di striptease professionista. Esibirsi su un palco era più facile di uscire fuori da una torta, ma il confine invisibile creato dalle luci non gli impedì di notare che spesso si esibiva per un pubblico di soli uomini. Il lavoro è lavoro, gli rispose Valerio e Marco convenne che il pubblico maschile era molto più generoso di quello femminile.

Quando Valerio gli fece aprire un profilo da professionista su una piattaforma on line, Marco si scelse il nome d’arte “Mr Universo”. La sua foto col perizoma a stelle e strisce fece il giro del mondo incassando migliaia di cuoricini! E sì, gli piaceva esibirsi ed era anche bravo, non gli dava neanche fastidio la pillolina blu prima di salire sul palco perché c’era sempre occasione dopo lo spettacolo di farsi ammainare la bandiera. Marco aveva dunque raggiunto il successo? Beh, era ancora in bolletta e non si spiegava come avrebbe pagato le spese pazze di Valerio e temeva che quel colpo di teatro potesse rivelarsi una gran figura di merda ...

Fiori d’Arancio

Cameriere in papillon, pacco dono dentro le torte di compleanno, ragazzo immagine alle inaugurazioni e tornò persino a fare il bodyguard quando si ritrovava una serata scoperta, Marco lavorò sodo per tutti e tre i mesi prima della fatidica data del matrimonio, senza però riuscire a mettere da parte neanche un centesimo. Valerio continuava a rassicurarlo pur non condividendo con lui il segreto di come avrebbe pagato la Limosine e tutto il resto. Giunse poi al mattino del fatidico giorno e rimase addormentato. Che caspita di tradizione era quella di sposarsi alle undici del mattino? Era colpa dell’acqua fredda nella cabina doccia con le pareti di plexiglass in cui si era esibito, se ora si sentiva qualche linea di febbre, lo disse a Valerio quando si presentò a casa in tight, incazzato di trovarlo ancora sporco di brillantini dello schiuma party.

La verità era che si sentiva un perdente perché aveva paura di affrontare gli sguardi di tutta Torre Angela. Una striscia di coca ha senso se deve infonderti una botta di sicurezza, lo disse Valerio quando gliene acchitò una sullo specchietto per la barba. Marco si sentì subito meglio e si lavò via di dosso le incertezze con una doccia fredda, la quale però non fu sufficiente ad ammosciargli il pacco per via delle pilloline blu ingurgitate per lo spettacolo. Valerio aveva affittato un Porche Cayenne con due ballerine carioca come accompagnatrici che parevano delle battone. Arrivarono insieme alla sposa sul sagrato della moderna chiesa di San Simone e Giuda, tanto moderna da non avere un sagrato e somigliare a una cazzo di tenda yurta mongola. “Guardi ancora quella merda di Discovery Channel” Lo rimproverò Valerio, irritato dal suo mood negativo. C’era il sole, troppo sole! Marco non se lo ricordava così accecante, tanto che gli ci volle un po’ per mettere a fuoco i volti di quella massa scura in improbabili vestiti da cerimonia comprati ai grandi magazzini.

Tutto il malumore di Marco si dissipò quando sentì la voce della sorella mentre gli correva incontro sfuggendo alle lamentele del fotografo. Lo avvolse in un abbraccio di tulle e organza, ubriacandolo di profumo di confetti. Ti voglio bene, gli disse mentre Marco si preoccupava di non farla strofinare contro la sua inopportuna erezione. Ora doveva affrontare i genitori che se ne restavano impalati davanti alla chiesa. Valerio colse il suo impaccio e spingendolo per un gomito, inscenò l’irrefrenabile impellenza di essere presentato a Peppino il pizzicagnolo. Poi si spacciò per il suo agente, declamando sperticati complimenti per quel talentuoso ragazzo. Marco neanche lo stava a sentire e aspettava solo un cenno, anche solo un piccolo segno per gettarsi tra le braccia di papà e mamma. Questo non avvenne perché non era più il ragazzino scappato di casa, suo padre gli afferrò vigorosamente la mano e poi lo annunciò orgogliosamente agli ospiti. Nessuno si ricordava più del ragazzino piantagrane, davanti a loro si era materializzata l’immagine stessa del successo.

Sua zia Luigina si diceva certa di averlo visto partecipare al programma televisivo “Oggi Sposi” e in fondo perché smentirla? Marco era diventato tale e quale a quei vitelloni in cerca dell’amore. Valerio se lo guardava compiaciuto di quanto era riuscito a fare. Aveva forgiato quel piccolo borgataro a sua immagine e somiglianza! Il suo ego era così ebbro che al pari di Michelangelo dinanzi al Mosè, si ritrovò innamorato della sua creatura. Marco da parte sua era orgoglioso d’imitarne le gesta e da quel momento in poi si sarebbe interamente sottomesso al suo volere. Non ci fu bisogno che i due si dicessero nulla, era tutto implicito in ogni gesto dispensato fraternamente dal mentore all’ubbidente discepolo. Trascorsero quel giorno di festa completamente parchi della gloria riscossa dagli ospiti che, al pari della coppia di sposi, gli chiedevano un selfie da condividere sui social.

Gay for Pay

Quella sera erano andati via con ancora tanta voglia di festeggiare. Per il vero, sarebbero potuti rimanere a fare bisboccia con tarallucci e vino nella festa danzante che Peppino aveva organizzato alla fraschetta del Compare Gigio, ma Valerio liquidò l’invito per degli impegni inderogabili. Scorrazzarono un po’ per la città tanto per sfoggiare il Porche Cayenne, felici d’intrattenersi con le due ragazze che si dimostravano ben disposte alle loro attenzioni. Poi, allo scoccare della mezzanotte, la lussuosa carrozza di Cenerentola si trasformò di nuovo in zucca e Valerio la riconsegnò all’agenzia di noleggio. La Limousine bianca usata per il matrimonio di sua sorella era parcheggiata davanti all’ufficio che aveva ancora le luci accese. Valerio andò direttamente dal capo mentre Marco e le ragazze discutevano nel salottino extra lusso sul come proseguire la serata, ovvero in qualche locale o direttamente tra le lenzuola.

Dall’ufficio, con Valerio, venne fuori lo stesso tipo distinto che per tutto il giorno aveva guidato la Limosine e che salutò con un cenno della mano Marco. Si chiamava Aurelio ma durante la festa disse a Marco che lui poteva chiamarlo semplicemente Elio. Peppino il pizzicagnolo non era uno che si faceva guardare in mano e quel giorno lo aveva invitato al banchetto, ma certo non immaginava che fosse lui il dispensatore di tutta la fortuna elargita da suo figlio. Valerio non sorrideva quando chiamò Marco in disparte. Non gli spiegò neanche come stava la faccenda, gli chiese semplicemente se aveva in tasca diecimila euro perché tanto costava il viaggio di nozze di sua sorella, l’affitto delle due auto, fino al nolo dei tight che indossavano in quel momento. Marco non capiva; cioè, Valerio lo aveva sempre saputo che non aveva tutti quei soldi …

Il suo mentore non aveva proprio voglia di dare spiegazioni e gli ricordò tutte le volte che gli aveva chiesto d’insegnargli il segreto di come vivere alla grande. Marco però ancora non riusciva a capire che cosa gli stesse chiedendo perché solo facendo una rapina, si sarebbe potuto procurare tutti quei soldi. “Svegliati!” Lo esortò Valerio dandogli un buffetto sulla guancia. Gli chiese quante ragazze lo seguivano sul suo profilo di Mr Universo, ma obiettivamente Marco non le aveva mai contate. Valerio si disse certo che erano meno della metà dei ragazzi e poi lo costrinse ad ammettere che durante le serate nei locali gay faceva il triplo delle mance che non durante i party per sole donne. Marco lanciò un’occhiata verso il ricco proprietario di quel posto che parlava con le brasiliane tenendo le mani in tasca. Forse ora aveva capito. Elio era uno di quelli che si sbatteva l’uccello sul suo profilo e Valerio gli aveva venduto la possibilità di toccare con mano i suoi sogni.

Procurargli una marchetta da diecimila euro non era stato certo facile, lo rimproverò Valerio perché lo vedeva ancora incerto sul da farsi. Marco si sentiva un ingrato e se anche aveva sempre saputo che parecchi maschi lo desideravano sessualmente, non gli era mai balenata l’idea di andarci a letto anche solo per denaro. Guardava Elio e ora s’immaginava che quelle mani in tasca le tenesse per ravanarsi pensando a lui. Ci doveva andare per forza, disse ancora Valerio perché tutti quei soldi Elio li aveva spesi per farsi la novità sulla piazza. Elio era un brav’uomo, continuò a dire, un pezzo di pane, sottolineò ancora ed era un mago a fare le pompe. Quello che non sapeva Marco era che Valerio aveva messo in conto al viaggio di nozze della sorella anche il suo biglietto aereo intercontinentale per Los Angeles e piuttosto a calci, ma lo avrebbe costretto a fare quella marchetta.

Con una pillolina blu non avrebbe avuto problemi a fottere anche una pecora, continuò a insistere Valerio. Poi se ne mise una sulla lingua e costrinse Marco in un angolo per sputargliela in bocca, limonando. “Hai visto che non è così difficile?” Gli disse e mentre la testa di Marco aveva smesso di pensare, Valerio gli strinse il pacco in una mano; ghignò perché evidentemente quel suo bacio appassionato non gli era dispiaciuto. Poi chiamò le ragazze e passando loro un braccio sulle spalle, tornò un’ultima volta verso Marco, ricordandogli di farsi pagare un taxi prima di andar via o sarebbe dovuto tornare a casa con l’autobus notturno. Certo che Marco avrebbe anche potuto prendere la via della porta e tornarsene a casa, ma come avrebbe guardato negli occhi suo padre che lo credeva un tipo di successo? Voleva invece continuare a essere Mr Universo e magari un giorno volare anche lui a Los Angeles … Sì, Valerio aveva avuto ragione anche quella volta. Elio gli fece strada e la porta di quell'ufficio per lui non si riaprì mai più.  

 

 

 

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  • 2 months later...
Silverselfer

 

 

Spoiler

Questa volta ho una giustificazione più che valida per il ritardo con cui posto ... il 23 marzo è morta Mimì ... sono stanco di piangere e tanto ... lasciamo stare.

Anche questo racconto è molto vecchio, almeno per quanto riguarda la data di nascita perché è stato rimaneggiato parecchie volte. Il lavoro che sto facendo consiste nel cercare di ritrovare lo spirito originario con cui l'ho scrissi.

Questo racconto nasce dall'infatuazione che ebbi per i racconti di Virginia Woolf e nella fattispecie per Mrs Dalloway in Bond Street. La ricerca sul flusso di pensiero o di coscienza qual si voglia, cambiò il mio modo di scrivere e forse anche di concepire la realtà. Un percorso lungo un paio di decenni che però, iniziò proprio con questi racconti; nei quali ancora si sente che tengo il piede in due staffe ma, forse, Il Canto della Merla segna proprio uno spartiacque.

In questo racconto sono presenti dei versi ... beh, confesso che da "pischello" ne scrissi parecchi, però non mi sono mai piaciuti. Fin dalle scuole primarie che mi soprannominavano il poeta e per un po' ci ho creduto ... più di un po', visto che nel basso mesozoico riuscii pure a trovare un editore disposto a pubblicare una mia raccolta di versi <--- un'esperienza tremenda! L'editore, seppure siciliano, pubblicava soprattutto per gli oriundi italiani di New York, forse per questo che l'edizione italiana era illeggibile ... nel senso che c'era un refuso ogni tre parole! Bah, per non parlare del titolo, di cui però ero l'unico responsabile ... sono un disastro per i titoli ... non lo cito per pudore ... basti pensare che quanti lo acquistarono, probabilmente lo scambiarono per un libercolo di filastrocche per bambini ... mi viene da arrossire ancora oggi! 

Basta ... voglio riuscire a rivedere questi racconti al più presto ...  

                                                IL CANTO DELLA MERLA

 

 

“E’ il canto che infiora

 beccando il nocciuolo che scolora

 all'imbrunire vi giunge l’ora

 per la merla aurora

 che nella sera innamora

 per il suo ultimo canto

 che nella notte imporpora”

 

________________________________________________________________________________

                                                                                                                                                             

 Ma quand’è che metterai la testa a posto Ebe!    

Pazienza per quando eri ancora una ragazzina è speravi di diventare una poetessa … che senso ha scarabocchiare versi che non leggerà mai nessuno? Tutta colpa di questo vecchio diario di poesie. Mamma lo aveva nascosto e averlo ritrovato nella casa di campagna … è strano. Mamma mi sgridava perché temeva che queste malinconie mi avrebbero condotta alla follia. Invece, eccomi ancora qua, alle sette e trenta di lunedì mattina alla fermata della metropolitana … ed ho ricominciato a comporre versi alla mia veneranda età! Come possono degli stupidi versi sgrammaticati condurti alla follia? Secondo mamma, avrei dovuto pensare solo a trovare un buon marito con cui metter su famiglia … l’ho fatto e non sono diventata pazza.

Uffa che noia! Questo treno è troppo affollato … aspetto il prossimo che tanto oggi  il capoufficio è fuori sede … ed ho con me l’unico quaderno superstite dalla spietata caccia di mamma. Potrei trascrivere le poesie sul mio profilo Facebook … perché? Forse perché, dopo una lunga vita familiare, questi versi sono la sola cosa di personale che mi sia rimasta? Che male c’è a condividerli con gli amici? Voglio vedere se anche loro mi daranno della pazza.

Uffa che noia! E’ arrivata l’altra metropolitana, questa mi tocca prenderla altrimenti striscerò il badge in ritardo.

Uffa che noia! Manco a dirlo per scherzo che a qualcuno di questi stronzi non pesi il culo per cedere il posto a sedere a una signora. Per fortuna che il grassone si è avvicinato alla porta, almeno così potrò reggermi alla sbarra verticale. A nessuno dei maledetti che progettano questi treni del cazzo viene in mente che non tutti possono tenersi alle sbarre orizzontali in alto. Secondo loro dovrei appendermi al manico di uno di questi sozzoni … maledetti!

Furio Camillo.

Uffa che noia! Sono vent’anni che prendo la stessa metropolitana e dopo tanto tempo, mi sembra di conoscere questa gente come se fossimo nella piazzetta di un paesino. Lui è il tipo che arriva di corsa sulla banchina, indossa dei mocassini anche in inverno, porterà almeno cinquanta di piede! Ecco che salgono le due studentesse civettuole, hanno sempre i capelli morbidi e setosi. Lei, invece, è la signora con i fermagli floreali nei capelli, deve salire nei pressi del capolinea perché la vedo sempre seduta sul seggiolino al lato della porta, quello che ti permette di poggiare un braccio sulla sbarra di contenimento. Sta mattina non c’è il matto, il tizio che parla da solo, fa dei discorsi con un amico immaginario … per chi vive in città è facile perdere il controllo della propria ragione, basta iniziare a guardare le cose da un angolazione diversa, un attimo di disorientamento sulla direzione su cui camminano tutti e perdi il treno.

Capita anche a me alla fine di una giornata, dopo ottanta - novanta minuti trascorsi nei corridoi della metropolitana, su treni, autobus e sottopassaggi sempre affollati, incespicando nell’incertezza di chi rallenta, mentre piove nel giorno in cui hai tolto l’ombrello dalla borsa … capita anche a me di avere la voglia d’impazzire. Dopo ore di strofinii coatti, si accumula sulla pelle dell’elettricità statica che ci rende particolarmente irritabili, poco a poco sempre più insofferenti, fiere parche della propria rabbia, che ci trasforma tutti in una mandria di individui in fuga.

Re di Roma.

Uffa che noia! La prossima è la mia, è meglio che mi accosti alle porte. Accidenti agli zaini degli studenti … dovrebbero toglierseli dalle spalle quando entrano in metropolitana, ingombranti come sono finiscono per dare fastidio a tutti … stronzetti maleducati!

Uffa che noia! Il vento che c’è in questa dannata stazione finisce sempre per scompigliarmi i capelli. Il caldo  qui sotto è troppo forte anche se gradevole, quando si esce su per le scale il freddo sferza la pelle violentemente, è solo per questo che porto con me lo scialle. Questi primi freddi di stagione, poi, sono molto pericolosi per la salute. Vedrai che fin da stanotte apriranno i sottopassaggi delle metro per dar riparo ai barboni ... quegli sozzoni portano microbi e batteri.

Mi piace molto l’ultima campagna pubblicitaria dell’Emporio Armani, nessun ombra di sessismo, i manifesti in bianco e nero sono eleganti, le ragazze che ritraggono sono così belle, ma anche normali, non c’è molta differenza con quei giovani là che si stanno abbracciando. La biondina con il caschetto biondo mi capita di vederla spesso, me la ricordo praticamente che andava con il grembiule alle scuole elementari, ed ora eccola là, a sbaciucchiarsi con il suo ragazzino .. che zoccoletta!

Il tempo passa mia cara Ebe. Uffa che noia! Ecco il marciapiede minato, gli stronzi di cane si sprecano, ma dico, se proprio non la si vuole raccogliere, almeno gliela si faccia fare ai bordi del marciapiede … o a ridosso delle piante! Li prenderei tutti questi balordi e ce li strofinerei sopra con il naso, come fanno con le loro care bestioline quando gliela mollano sul tappeto buono di casa!

Guarda che bel vestito, è anche ad un buon prezzo! Devo ricordarmene a fine mese. Questo negozietto mi piace molto, ha sempre delle vetrine molto ben messe, anche se il nome è terribile, mio Dio, come si può chiamare una boutique “Biribò”! Comunque, devo dire, sempre meglio dei “non solo tabacco, non solo vino, non solo qualcos’altro”, e poi, sempre meglio di quel negozio di scarpe sull’Appia Nuova “Aio Oio e scarponcino” … dove andremo a finire!

Uffa che noia! Ecco un’altra ragazza Rom che chiede l’elemosina con il piccolo attaccato al seno. Pigliati questi spiccioli e togliti dalla mia vista. Ma cosa avrà mai da benedirmi! Io la considero una scellerata, le faccio l’elemosina solo per non farmi inseguire dal suo ricordo per tutto il giorno … e per quanto mi intenerisca quel suo frugoletto, so già che fra qualche anno me lo ritroverò in metropolitana a cercare di scippar …

- Buongiorno Peppino, sempre indaffarato, non è che puoi mettermi via il solito che lo vengo a prendere dopo ... fosse vero amico mio, fosse vero!

Simpatico il pizzicagnolo, lui appartiene alla vecchia guardia, quando il negoziante era ancora un amico di famiglia. Ha sempre un po’ di tempo per tutti … gente così bisogna ringraziare Dio d’avercela mandata.

-          Buongiorno Carmine.

Uffa che noia! Devo aver lasciato il porta tessere nell’altra borsa. Inutile stare a maledirsi, dovrò chiedere di nuovo a Carmine il favore di segnalarmi a penna.

-          Scusami Carmine, è che sono stata fuori questo fine settimana e ho dimenticato il porta tessere nell’altra borsa, potresti segnalarmi tu? Sei un angelo!

Sandra dell’ufficio contabilità mi ha detto che Carmine ha chiesto il conteggio dei suoi contributi previdenziali, eppure non mi sembra così vecchio da poter andare in pensione, dovrò informarmi se c’è di nuovo qualche scivolo in vista, chissà, magari ci potrei rientrare anch’io, sta volta non sarei così stupida da rinunciarci.

Uffa che noia! Accidenti a questi ascensori, spendono tanti di quei quattrini per queste e quelle norme di sicurezza e poi non cambiano degli scassatissimi ascensori del cazzo!

-          Buongiorno Marina ... sì, questi ascensori sono lentissimi ... cara hai proprio ragione, se ci mettessimo a conteggiare il tempo che perdiamo ad aspettarli, ci accorgeremmo di perdere delle ore.

Uffa che noia! Compagnia peggiore non potevo incontrarne.

-          Piero mi ha detto che hai trascorso quattro giorni sulla neve ... ah! Non sei più andata! Che peccato ... avevi mal di testa … ti capisco cara, anch’io ho sempre di queste emicranie improvvise.

Lo sanno tutti che non è andata in montagna perché si è di uovo fatta sbattere dal dottor La Rocca, che non appena ha la famiglia fuori, se la carica nella casa al mare. Che puttanaccia! Io non capisco perché certe donne debbano farsi prendere in girò così dagli uomini. Lo sanno tutti che il Dottor La Rocca non si separerà mai dall’eredità della moglie.

-          Scusami tesoro, mi stavi dicendo? Ah, sì! E’ vero,  è stato il mio compleanno ... no assolutamente niente di speciale, ci siamo solo riuniti con tutta la famiglia nel casale di campagna, una festicciola di poco conto ... Sì, mia figlia Mimì è sposata ... figurati che tra un po’ mi farà diventare nonna! Sì, figurati che ancora mi devo abituare all’idea ... no, Carlo non è sposato ... no, nemmeno fidanzato.

Un pacco di cazzi tuoi, no? Troietta, ficcanaso … come se non lo sapesse che Carletto mi sta facendo penare con le sue scorribande. Quel benedetto ragazzo non ne vuole sapere di mettere la testa a posto … ma io non lo voglio costringere. Praticamente non ci si può più parlare che subito ti aggredisce … è fatto così!  Nessuno sperava che sarebbe venuto in campagna per il mio compleanno … invece c’era! Che litigate per quei suoi assurdi capelli arancioni! Ma è fatto così … vorrei avere un briciolo del suo coraggio di essere ciò che è … io amo mio figlio, brutta zoccola!

-          No cara, ho già promesso a Piero che andrò a fare colazione con lui, mi dispiace ... ciao, ciao.

Finalmente me ne sono liberata, di queste rovina famiglie non bisogna fidarsi, sono sempre pronte a pugnalarti alle spalle per il loro meschino tornaconto. Solo perché il buon Dio le ha volute graziare di un culetto a mandolino si sentono in diritto di fregarti?

Uffa che noia! Eccola qua la porta della mia stanza, con la paperina no-smoke che ha appeso Piero da quando anche lui ha smesso di fumare.

-          Oh! Signora Lucia, ma lo sa che è una vera fortuna che stia ancora qui. Proprio ieri mi è finito l’evidenziatore sotto lo cassettiera. Non ci crederà, ma non ho avuto il coraggio di prenderlo per la sporcizia che ci si è annidata! Se per favore, quando ci spazzerà di nuovo, potesse riprendermi l’evidenziatore, le sarei davvero molto grata ... davvero, pensi un po’... certo, buongiorno, buongiorno.

Tutte così queste donne delle pulizie, vengono solo per svuotare i cestini, poi cominciano a fare caffè e se ne infischiano del loro lavoro … e poi ti danno anche queste rispostine!

Ma ecco il mio vero nuovo amico, il PC, e pensare che prima di prendere la patente europea, lo detestavo, invece, ora è il mio giocattolo preferito. Dov’è finito il diario? Ahm, eccoti qua … devo stare attenta a che Piero non  sbirci, altrimenti mi prenderà in giro per il resto dei miei …

-          Buongiorno Piero. Passata bene la notte? … Sei sempre il solito spaccone ... certo che ci vengo, dammi il tempo di prendere il portafogli.

Piero ha trentacinque anni, ma di cervello ne ha ancora venti. Ogni mattina racconta di fare sesso con una donna diversa … chissà se è vero.

-          Sì, sono stata in campagna ... stupido, pensi sempre a quello!

No, il sesso per mio marito è sempre stato un dovere coniugale.

-          Ma vuoi smetterla! Certo che no ... con tutte le cose che avevo da fare, figurati.

Io e Filiberto non abbiamo “scopato” come dice Piero, e non è vero che è stato per le troppe faccende, non lo facciamo più ormai da non so quanto tempo, ma la cosa peggiore è che non mi manca … probabilmente è solo per l’età.

-          Sei proprio un porco!

Piero è innamorato del seno di Marina, ogni volta che lo vede non può fare a meno di commentarlo con qualche oscenità.

-          Due cappucci e due corni, uno semplice ed uno con la crema, grazie Marco.

Uffa che noia! La ressa al bancone non la sopporto.

-          Buongiorno caro.. non c’è male grazie, ed il bambino? … ma almeno quando sono piccoli te li puoi godere ... non temere che crescendo sarà anche peggio ... Sì, in campagna ... Filiberto sta bene, stanno bene tutti ... Ci vediamo Franco, ciao.

Simpatico Franco, si è sposato da poco ed ha il suo bel da fare con la prima paternità. Uffa che noia! Ma dove sarà finito Piero? Eccolo là che sta attaccando bottone con la centralinista, sarà sicuramente attratto dal suo “culone” gigantesco!

-          Ti ho visto sai, mi hai mollato per la centralinista ... zitto porco! Qualcuno potrebbe sentirti ... però hai ragione, ha un culo gigantesco!

Piero è un incosciente, accanto a noi c’è Roberta e Tamara, quelle due non aspettano altro per fare chiacchiere e finiranno per credere chissà cosa, è così che Piero si caccia sempre in mezzo alle celie delle pettegole.

-          No, non ho scopato ... e perché dovrei mentirti su di una cosa del genere? Tu prosegui che io devo fare un salto al bancomat ... no, ho detto che ci vado da sola.

Quando ci si mette, Piero sa essere proprio inopportuno. Ci credo che poi gli altri raccontano  tutte quelle cose antipatiche sul suo conto.

-    Salve Giuseppe, ciao Rosa ... ci sei anche tu Lauretta! … Ah, ah! Cara mia di soldi non ce ne sono mai abbastanza.

Uffa che noia! Tocca a me finalmente.

Facchinetti Ebe, 55 584, parola d’accesso “F I G A”. Ecco fatto.

–        Ci vediamo ragazzi … a dopo Luisa, Franco. Ah! Ci sei anche tu Mimmo, come mai in ritardo? Niente di grave spero ... meno male. Ti saluto caro, ci vediamo più tardi.

Mimmo non me la racconta giusta, sta sicuramente tramando qualcosa, non ho mai conosciuto persona più intrigante! Se fossi un uomo lo prenderei a pugni … coglione!

Ma … chi è che sta urlando in questo modo? ... mi sembrano proprio. Fammi sbrigare che mi sembrano ... che sia proprio nella mia stanza?

-          Ehi! Voi due, ma siete impazziti! Vi ho sentito fin dal piano di sotto! Veronica come puoi chiedermi di restarne fuori? Siete entrambi miei amici. Ma cos’è successo? Piero? Veronica non può essere impazzita tutta in una volta, che le hai fatto? Ma dove vai? Veronica, aspetta … Io le vado dietro ma tu vattene, prenditi un giorno di permesso e sparisci, mi hai capita?

Ma dove sarà finita adesso? Veronica è una brava ragazza, però è sempre stata prevenuta verso Piero. La verità è che a lei da fastidio che lui ci provi con tutte.

-          Scusatemi. Mimmo, hai visto passare Veronica? Sì, ha litigato di nuovo con Piero, spero che non faccia stupidaggini ... No, Tamara, no, non so il motivo ... l’hai vista? In quale bagno? Grazie a tutti, ma ora vediamo di non dare troppo nell’occhio, fatemi il favore, tornatevene nelle vostre stanze … no, no, davvero posso sbrigarmela da sola, ci vediamo dopo.

Uffa che noia! Quando c’è da ficcare il naso trovi sempre tutti pronti a collaborare.

-          Eccoti qua, finalmente ti ho trovata. Ma si può sapere che ti è successo, cos’è stata tutta quella scenata? Oh, non piangere adesso, vieni qua ed abbracciami … dai, così ... lasciati andare ... Scusami, ti ho stretta troppo? Scusami. Ora asciugati le lacrime e raccontami cos’è successo di così terribile questa volta. Ti ha palpeggiata? No? Scusami amica mia, ma se uno lo fa, lo fa, oppure non lo ha fatto ... ti ha sfiorato il seno? Tutto qua? No? Ti ha detto che gli sarebbe piaciuto baciarlo? Amica mia, tu hai un bel seno ed anche a me piacerebbe molto baciarlo, ma non per questo ora ti metterai ad urlare come una matta, immagino... ma si che è la stessa cosa ... quante volte ti ho detto che Piero è tutto fumo e niente arrosto ... no, non è vero che io lo difendo sempre, sei tu che non capisci … tu sei una tale bella ragazza che è difficile non farti la corte, tutto qua ... no, che non andrai da nessuna parte. Ma dico, lo vuoi rovinare a quel ragazzo? Per molestie potrebbe rischiare anche una denuncia ... ma non è sufficiente dire che ti infastidisce! Scusami sai, ma credi forse che tu non infastidisca con queste minigonne … che ti si vedono pure le mutande! Certo che si vedono, oggi addirittura porti un perizoma nero, ti basta? Se tu sei libera d’indossare quello che ti pare, allora io sono libera di dire quello che voglio sulle tue mutande. Scusa ... ascoltami ... la verità è che siamo tutti scossi ... facciamo una bella cosa ... ora te ne vai a casa, io parlo con il direttore del personale e ti faccio trasferire, d’accordo? Non è vero che preferisco lui a te!Cara, scusami ma hai detto tu che vuoi cambiare stanza ... ascoltami e non ricominciare piangere ... mi vuoi ascoltare? Vedo di mandarti nella segreteria del dottor La Rocca, d’accordo così .. d’accordo? Adesso va, va.

Che puttana! Vanno in giro che sembrano delle mignotte e poi si lamentano se un poveraccio ci prova. Visto però! Appena gli ho nominato il dottor La Rocca, subito le è stato bene. La mia amicizia, la mia amicizia, ma appena le ho nominato Tommy, la mia amicizia  è andata a farsi benedire. Le donne sono tutte uguali. Sono sicura che da lui si farebbe pure sbattere, fanno tutte le preziose queste zoccolette e poi ... sotto, sotto la danno via al miglior offerente.

Finalmente sola! Posso dedicarmi alle mie poesie senza preoccuparmi di altro. Eccoli qua: i miei sogni, le speranze della giovinezza, i desideri che ti avvelenano la vita. Fin quando non capisci cosa sono le cose veramente importanti … la famiglia, per esempio. Cosa sarei adesso se non avessi mio marito e i miei figli?

Un bacio al sapore di fragola

dal sentire di femmina

l’ho sorbito come fa col miele

una golosa orsa che le api stermina.

Che conquista! Che bottino!

Mai piacere più grande mi fu concesso

nell’irrompere nel suo fortino.

Quale gusto, e che visino!

Per sempre da oggi schiavo

le renderà il mio destino.

Santo cielo, Simonetta! Come ho fatto a dimenticarmi di lei? Quel bacio galeotto e poi i furtivi incontri a Villa Ada. Accidenti, quanti ricordi in pochi versi! Che sciocca a credere reale quel presente senza futuro. Ora capisco perché mamma nascose questo stupido diario di poesie …

 

Sbagliare è la sorgente del mio sentire?

Io l’amo!

Perché il mondo non vuole udire? 

Ebe non farti venire strane idee in testa ... anche se ...

-          Pronto? Sì, ufficio contabilità ... no, il Dottor La Rocca oggi è fuorisede … se riprova domani, lo trova sicuramente in ufficio … ma si figuri, nessun disturbo … la faccio richiamare io. Buona giornata a lei.  

Uffa che noia! Il solito rompiscatole che non ha niente da fare e si attacca al telefono …

Camminando su della sabbia rovente

Intrappolata in una clessidra

scivolava il mio piede incidendo effimere memorie

 Basta cretinate, Ebe! Ecco fatto … via … il posto giusto per queste follie è il trita carte.  Aveva ragione mamma, stavo perdendo il lume della ragione … ma che vado pensando alla mia età! Abbandonare tutti, e per cosa … che follia! Basta così …

Uffa che noia!

 

 

 

Edited by Silverselfer
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  • 2 months later...
Silverselfer
Spoiler

Questo racconto risale più o meno all'alto mesozoico ... cioè quando ero ancora preso dalla ricerca di uno stile che rappresentasse meglio la realtà, senza minimamente sapere in cosa consistesse la coscienza di sé e quanto la proiezione di questa nel mondo ne condizionasse la percezione <--- ero un pupo!

In particolare, qui mi ero innamorato dei film a soggettiva tipo J.J. Abrams e per imitare quelle sceneggiature, smanettavo con la consecutio temporum ... infatti, ci ho dovuto dare dentro di analisi logica per alleggerire certi arzigogoli che appesantivano la lettura. La cosa strana è che ne è venuto fuori un raccontino (corto la metà dell'originale) dal forte sapore di commedia all'italiana, il che mi ha ricordato quanto in realtà ho sempre adorato i film di Monicelli (altro che J.J. Abrams). 

Sicuramente, all'epoca mi avrebbe fatto schifo un racconto scritto così ... e forse avrei dovuto lasciarlo com'era ... in ogni modo ... per ora smetto questa opera di revisione ... mi dispiace non mantenere la promessa fatta a Mimì, però è troppo noioso rivedere sta roba stravecchia e a me scrivere serve per sopravvivere ... ci ho messo troppo a rileggere queste due paginette ... che poi ho accuratamente evitato per quasi tre mesi e per farlo non ho potuto scrivere ... almeno davanti al foglio bianco voglio essere lasciato libero ...

Magari più in là ripescherò qualche altro vecchio racconto ... ora voglio dedicarmi a qualcosa che mi porti via con la testa  ... magari torno nel mondo fantastico dei draghi ... alla larga dalla letteratura di entropia che dall'estate scorsa mi attanaglia le meningi ...  non a caso si chiama ---> lo strano caso di Marc Caltagirone ... che però avrebbe il suo perché per spiegare anche il momento di transizione che stiamo vivendo tutti a causa della pandemia ... bah, meglio evadere nel mondo altro ...  

Manque un Detail

 

Gobba a ponente, luna crescente; gobba a levante, luna calante. In cielo la falce lunare brilla su due puntini luminosi.

 

-          Quello più grosso è Giove mentre l’altro è Marte, il pianeta rosso.

 

 Sono le uniche due stelle che riescono a emergere nel cielo notturno della città.

 

-          Sono solo dei pianeti … anche se Giove è una stella mancata …

 

Dettagli per spiriti romantici di una notte che volge in una nuova alba.

 

-          Appena inizierà a schiarire il cielo, sorgerà anche Venere: la stella del mattino.

 

Le prime ore dell’alba sono le più fredde perché si alzano le brume su quelle che a Roma vengono chiamate marane, cioè degli avvallamenti in cui ristagna l’acqua fin dai tempi di Romolo e Remo. L’Esposizione Universale di Roma, quella mai celebrata per via della seconda guerra mondiale, si sarebbe dovuta celebrare su un pianoro circondato dagli acquitrini che, dopo la guerra, si coprirono di asfalto, ricongiungendo il quartiere “EUR” alla città attraverso le borgate popolari come la Garbatella. Nome che la tradizione popolare vuole essere attribuito a una bella prostituta che esercitava la professione in una delle tante baracche post belliche del neorealismo romano.

 

-          A Funny e azzittate ‘n attimo. A me se stanno a gonfia’ l’ossa co’ tutta st’umidità!

 

Forse è per tradizione se la notte delle strade dell’EUR s’illumina tutt’oggi di lucciole … cioè le prostitute, definite così per gli abiti variopinti e i falò che usano accendere sui bordi delle strade.

 

-          Aho, prima parli e parli e poi muta come ‘n pesce? Tu me pari matta, colla testa sempre tra le nuvole …

 

Nel silenzio mattutino si perdono gli ultimi echi della bolgia al mercato rionale del sesso.

 

-          Almeno prima me stavi a racconta’ quelle stronzate sulle stelle, ma adesso te sei ammutolita e annamo, che er gatto te se magnato la lingua?

 

Lungo le strade, i falò vengono lasciati consumare nelle loro braci sintetiche mentre dal fondo delle spaziose strade di periferia compaiono lussuose berline di seconda mano, verso cui si dirigono a grappoli di due o tre paia per volta, tanti tacchi a spillo che svogliatamente avanzano storcendo su se stessi.

 

-          Aho, mo t’arriva ‘na borsettata ‘n testa se nun me risponni …

 

Una macchina di bontemponi si aggira per le strade semideserte, cercando quello che la notte non è riuscita ancora a dispensargli.

 

-          Ma che sei impazzita!

-          Tieh … nun t’abbasta? Te n’è do ‘n altra se non me dici a che stai a pensà.

-          Ma niente, m’immaginavo la televisione … tipo un documentario …

-          E di’ ‘n po’, ce intervistavano pure?

-          Ma che ne so’ …

-          Come che ne sai? Allora che te stai a ‘magina’a fa della televisione?

-          Ma No, immaginavo roba seria, tipo Quark mica Pomeriggio Cinque …

-          Tu sei inutile pure quanno te stai a sogna’, ecco la verità … intanto Mimì Tirabusciò c’ha inculato er posto e noi stamo a fa la muffa dentro a sta buca …

 

Più sono giovani e più lo spregio per la vita sembra essere grande, il freno a mano dell’auto si tira dopo aver lanciato la macchina a folle velocità, questo solo per carambolare fino al bordo del marciapiede e spaventare così quella poveraccia di Lolly, che li manda a farsi benedire.

 

-          Ma l’hai visto a sto stronzo cagato dal buco sbagliato!

 

I clienti giovani sono i più squattrinati e arrivano al mattino perché partono le offerte speciali di chi decide di rimanere sul marciapiede per alzare qualche soldo in più. Lolly lo sa, come sa che questi atteggiamenti spavaldi vanno presi come una forma di corteggiamento. Così, subito dopo avergli lanciato dei sonori accidenti, Lolly tira fuori i seni dal toppino e intona uno stornello mentre, in bilico su delle zeppe trampolate, riattizza il fuoco con qualche busta d'immondizia presa nel bidone della spazzatura poco distante.

 

Passa ‘n fraticello, tutto acconcio e ‘n sacco bello

Passa ‘na moretta co’ l’occhio sveijo, gli chiede l’ora intonando sto stornello

 

-          Lolly! Così puzzeremo come due cagne rognose …

 

La por’anima senza colpa rimase come ‘n allocco , ma poi j’arispose

“Se sta tunica de pezza fosse bronzo, sentiresti dello batacchio lo rintocco”

 

-          Aho, ragazzì! Non so’ io che ciò la farfallina fredda da tutta la notte …

-          Almeno io la farfallina ce l’ho!

-          Ma ringrazia Dio che non c’ho dato un taglio pure io …

 

Amore caro, amore bello, vie’ a assaggia’ sto rosicarello”

 

-          Lolly, dai! Andiamocene … è stata una nottataccia … è colpa della crisi economica.

-          Ah bella, qua stamo a batte e la bottega chiude solo quanno se accavallano le cosce.

 

“E’ iniziata l’offerta paghi uno e prendi due, annamo su!”

 

-          Smettila Lolly! Mica siamo du’ africane, cazzo!

-          Ah Richetto, ma che te credi? Mo che c’hai la patata voi fa’ la santa? Ai tempi mia non c’avevamo mica sti grilli pe’ la testa. Proprio nun la capisco sta moda de tagliassero … Aho, dico io, se me piaceva la fica mica diventassi frocio, o No?

-          Si chiama transforia di genere, ignorante …

-          Sentitela alla principessa de sto cazzo; Aho, io so’ trans e me ne vanto anzi che no!

 

“Io piaccio perché mi piaccio, vero amore belli … e annamo che ve porto in paradiso”

 

-          E’ l’invidia che ti fa parlare. Io ho dei clienti fissi, ma che ne sai? Mica vado con tutti …

-          E certo, come er poliziotto che fai paga’ una volta si e due no perché te rimbambisce de stronzate …

 

“Vola vola passerotto bello, ma ‘ndo cazzo voli senza la passera de’ sto stornello?”

 

-          Io me ne vado, capito?

-          E vaffanculo!

 

Volano schiaffi e tirate di capelli, sempre attente però a che le unghie non si sciupino nella colluttazione. Lo spettacolo richiama l’attenzione dei nuovi abitanti del giorno: il signor Zanussi che torna dal suo ultimo giro di sorveglianza per l’agenzia di security e Franco, il ragazzo che guida il camion frigorifero dei latticini da appena una settimana, passa anche Angela con una fretta indiavolata perché deve portare la bambina dalla madre prima di andare a lavorare; tutti pronti a dimenticare quel flash di una vita estranea. Infine, si sente strillare una sirena che desta un’abitudine sempre vigile nelle due contendenti e, istintivamente, si lanciano nel sentiero ben noto tra le sterpaglie, quello che conduce al sicuro tra le lamiere di un cantiere edilizio sequestrato.

 

-          Ma che so’ i pompieri?

-          A me sembra un’ambulanza.

-          A te la neuro te servirebbe, m’hai strappato il toppino animalier, scema!

 

Funny si arrampica su di un bidone e sbircia la strada da sopra i bandoni di lamiera.

 

-          Sia pompieri che ambulanza!

 

Lolly è troppo presa a rimettersi in ordine per ascoltare l’amica.

 

-          Guarda qua, madonnina bella! M’hai rovinato pure la parrucca de Brigitte Bardot …

-          Sccc … piantala di far rumore …

-          Oddio, me sembro Amy Whinehouse che s’è svegliata ‘mbriaca sotto ‘n ponte!

-          Ci vuoi far scoprire?

-          Io urlo, capito?

-          Lolly!

-          Lolly un cazzo, ‘n occhio della testa m’è costato ‘sto gatto morto …

-          Quei ragazzi di prima hanno cappottato e la macchina stava per incendiarsi!

-          E ‘sti cazzi!

-          Lolly!

-          Me sa che a te invece de tagliatte le palle, t’hano fottuto er cervello …

-          Adesso basta, hai capito?

-          Fanny, io vado a prende qualche uccelletto e ricordate che senza de me, tu mori de fame, ce semo capite, sì?

 

Funny non risponde alla minaccia dell’amica. Preferisce tenere gli occhi fissi sul movimento che si è creato in fondo alla strada. Senza neanche  accorgersene, si è ritrovata a scivolare lungo il perimetro del cantiere per raggiungere il luogo dell’incidente.

 

Benvenute a Pomeriggio Cinque … Ci andiamo a fare un caffeuccio?

 

L’ultimo tratto è però troppo accidentato per i suoi tacchi a spillo.

 

Facciamo presto perché dopo la pubblicità la vostra amica D’Urso vi darà in esclusiva la diretta dal luogo dell’incidente!

 

Funny cerca di rassettarsi il trucco perché spera che tra non molto arrivi qualche troupe televisiva che potrebbe intervistarla come testimone oculare.

 

Ed ecco a voi la nostra inviata super speciale Funny!

 

Funny ha sempre desiderato entrare nel mondo dello spettacolo e nelle sue fantasticherie ha già partecipato a tutte le edizioni del Grande Fratello, immaginandosi in ogni sorta di scandalo per arrivare alla ribalta delle cronache.

 

Ed ora dalla vostra Barbarella c’è Ken … ops, volevo dire Barbie … mio Dio, qualcuno mi spieghi cos’è successo, ma che dico? Lo domanderemo proprio a lui, Rodrigo Alves, colui che si è sottoposto a ben 50 operazioni di chirurgia estetica!

 

Sulla strada sono rimasti solo gli operai della stradale. No, neanche questa volta Funny è riuscita a catturare l’obiettivo di una telecamera. Vorrebbe mettersi a piangere e si sente improvvisamente addosso la stanchezza della nottata. Si è seduta sopra ad un bidone per massaggiarsi una caviglia gonfia, quando la lamiera della recinzione si divarica sotto la spinta disarticolata di un giovane ragazzo. Funny lo crede un tossico o chissà quale altro tipo di maniaco da top fifthy di American Psycho e sta per scappare, quando quello caracolla rovinosamente in terra …

 

-          Ti senti male?

 

Gli chiede mantenendo una certa distanza di sicurezza, ma il ragazzo pare non accorgersi di lei. Lo sente solo mugugnare qualcosa mentre si tiene le braccia strette al petto come se stesse congelando. Certo che se fosse un delinquente, la potrebbe derubare come l’è già accaduto e dopo l’avrebbe anche picchiata e ricoperta d’insulti. Tuttavia, Funny non è un essere razionale e sente che quel ragazzo ha bisogno di lei.

 

Ed ecco a voi Funny, un’eroina dei nostri tempi …

 

Gli si accoccola accanto e, cautamente, prende la sua testa in grembo. Aveva una ferita al sopracciglio che gli imbrattava di sangue il bel viso. Sente l’istinto di carezzargli la fronte, ma lui in uno scatto nervoso le afferra la mano. La stringe così forte che … sembrava quasi si stesse tenendo ad una fune sospesa nel vuoto!E’ in quel momento che i loro sguardi s’incontrano per la prima volta. Funny viene trafitta da due stiletti di smeraldo, tanto che il suo cuore pietrifica all’istante dal dolore e quando le due lame l’abbandonano, tornando a volgere lo sguardo altrove, Funny si scopre irrimediabilmente sanguinante d’amore per lui.

 

-          Riesci a camminare?

 

Gli dice con quel filo di fiato che era riuscita a cavarsi fuori dal petto …  non le risponde ed è forse meglio così … Funny crede proprio di aver trovato quel momento che potrebbe durare per sempre … non le servirebbe altro.

 

-          Aspetta, non ti muovere.

 

Funny è presa dal panico quando avverte la sua volontà di alzarsi … di abbandonarla! Corre dunque ad aprire lo zainetto e frugando tra fazzolettini profumati, preservativi e lubrificanti, tira via un barattoletto di salviettine detergenti e con quelle prova a ripulirgli il volto. Lui appare sorpreso e fugge le cure …

 

-          Come posso aiutarti?

 

Lo implorò Funny con il cuore spezzato dalla sua indifferenza.

 

-          Ma chi sei … che cazzo vuoi da me?

 

Il ragazzo è in un evidente stato confusionale e porca miseria, Funny sente un dannato bisogno di aiutarlo.

 

-          Eri nell’auto che si è capottata?

 

Funny si accoccola di nuovo accanto a lui e titubante, allunga una mano sul suo capo.

 

-          Perché … cazzo!

 

Lui non si sottrae alla carezza e quando inizia a piagnucolare le sue disgrazie, a lei si scioglie il cuore in melassa.

 

-          Già è molto che tu non ti sia fatto male …

 

Tenta di dirgli Funny, ma quel tentativo di consolarlo lo fa ripiegare sull’egoismo del proprio dolore.

 

-          Posso fare qualcosa per te?

 

Avrebbe fatto di tutto pur di alleviare le sue sofferenze.

 

-          Ma che sei una puttana?

 

Ed ora perché le aveva detto quella cosa? Lo aveva forse offeso? Funny ritrae la mano e se la porta pudicamente al petto, quasi a coprire il cuore che si era avventatamente svelato.

 

-          Hai una macchina?

 

Beh, la vecchia Diane Citroen è di Lolly, però l’ingombrante portachiavi lo porta lei nello suo zainetto perché non ci sta nelle striminzite pochette glitterate dell’amica.

 

-          L’ho parcheggiata davanti alla metro.

 

Lo sapeva che si stava per cacciare nei guai, ma quella mattina Paolo Fox le aveva detto: “I gemelli avranno una grande opportunità, basta avere il coraggio di coglierla”.

 

-          Me aiuti?

 

E c’era da domandarlo? Quell’angelo dagli occhi verdi somigliava pari, pari a Riccardino, il ragazzino che alle medie se lo faceva ciucciare in cambio dei soldi della merenda.

 

-          Tu a ‘ndo abiti?

 

Funny intraprese il sentiero che conduceva alla metro attraverso il parco. Era la strada più lunga, ma anche la più sicura per non essere vista da Lolly.

 

-          D’avero, pure io so’ del Pigneto!

 

Si chiamava Bebo, vezzeggiativo di Fabio. A Fanny fece venire in mente il nome di qualche calciatore sudamericano …

 

Racconta a Barbarella tua cos’è c’è di vero sui cinguettii social a proposito della tua love story con il super milionario calciatore

 

-          E che c’hai la macchina senza la patente?

 

Funny non aveva la patente perché non le piaceva guidare e poi quello stupido esame alla motorizzazione non era mai riuscita a superarlo.

 

-          Te posso fa’ una domanda … cioè, se non voi risponne, pace … giusto così …

 

Voleva sapere se era una Trans?

 

-          Aho, non fa quella faccia incazzata … non te lo domanno, ok?

 

Sarebbe servito a qualcosa? Tanto Bebo lo pensava lo stesso come lo avrebbero continuato a pensare tutti. La cura agli ormoni, il silicone per le tette e neanche esserselo tagliato … per qualunque maschio sarebbe rimasta una trans … era tutta colpa del maledetto pomo di Adamo … e poi doveva farsi limare anche le corde vocali … certo che aveva bisogno di soldi e Lolly aveva ragione perché doveva prostituirsi … non c’era altro modo di procurarsene così tanti …

 

-          Te posso almeno chiede come te chiami?

 

Funny si sente mancare il fiato … se si nascondesse dietro a una delle sue maschere immaginifiche, finirebbe come tutte le altre volte a costruire castelli in aria …

 

-          Erica è proprio un bel nome …

 

Beh, quella era almeno una mezza verità … ci sarebbe stato tempo per spiegargli perché l’avevano battezzata “Enrico”.

 

-          Io abito  verso Via Acqua Brulicante, dalla parte de’ Tor Pignattara.

 

Il tragitto era durato troppo poco ed entrambi avevano ancora voglia di stare insieme. Intanto il sole si era alzato dall’orizzonte e il giorno rumoreggiava dall’altra parte dei finestrini.

 

-          Vuoi salire per darti una rinfrescata?

 

Era stata troppo audace a proporgli di salire? Ma certo che non si sarebbe fatta sbattere così su due piedi! Magari solo un bacio, ma solo se lui si sarebbe proposto … assolutamente niente di più.

 

-          Non c’avevo coraggio de chiedetelo …

 

No, non se ne parlava di calarsi le brache a quello che non poteva neanche definirsi un primo appuntamento … e che cazzo!

 

-          … che se torno a casa conciato così, mi padre me fa er terzo grado …

 

Funny decide di preparargli la colazione mentre lui è in bagno … aveva sentito lo scroscio della doccia e poi Bebo l’aveva chiamata per sapere dove teneva lo shampoo … cioè, non sarebbe mica entrata se non fosse stato lui a chiamarla … la porta era aperta e la tendina del box era così dannatamente trasparente … No, i cereali non bastano … ci vuole una breakfast con tanto di bacon!

 

-          Cioè … ma te sei proprio matta!

 

Esclama Bebo, quando vede la tavola apparecchiata con la tovaglietta di pizzo sangallo, il miele riscaldato nel vasetto di cristallo e i toast ancora fumanti col bacon … oddio, forse Funny ha esagerato come il suo solito? Ma è colpa di Bebo che ci ha messo un’eternità per uscire dal bagno, così lei ha avuto anche il tempo d’indossare il kimono di seta e acconciare i capelli con gli spilloni da ghenscia di Lolly … che se glieli avessi visti in testa, come minimo li avrebbe usati per farci il voodoo sul suo stesso corpo!

 

-          Ammazza, se sei brava a cucina’, aoh!

 

Sì, lo sapeva di essere una cuoca degna di vincere tutte le prove del cuoco del mondo ... del resto aveva partecipato anche al casting di Master Chef!

 

-          D’avero! Allora sei stata alla televisione?

 

No, quella volta le preferirono una buzzicona che non sapeva manco fare un rigatone con l’ingoio …

 

-          Tu invitame a magna’ che ce penso io a ditte quanno sei brava … e pure bella.

 

Oddio … ma quanto poteva essere rozzo sto Bebo! Mangiava come un animale e parlava peggio di un borgataro … un vero maschio alfa!

 

-          Te non mangi?

 

Una vera lady spizzica come un fringuello …

 

-          Aho, ma che meni?

 

E che credeva? Le aveva appena poggiato una mano sulla coscia!

 

-          … n’altro po’ me rivolti la faccia, cazzo!

 

Oh, No! Ci aveva messo troppo impeto in quello schiaffo … una ragazza non deve picchiare così forte.

 

-          Avessi messo su tutta sta manfrina se non te piacessi?

 

E lui che se ne stava a torso nudo, allora? Non avrebbe potuto coprire quel suo petto villoso e quella pancia con quell’adorabile ombelico che continuava ad ammiccare ad ogni sospiro …

 

-          Pure tu me piaci …

 

Sì, lo aveva detto … vaffanculo il bon ton e via il kimono di seta … l’impronta della sua mano ancora se la sentiva stretta nella carne e ne voleva ancora …

 

-          Aho, ma che sei assatanata?

 

Impossibile recitare ancora la parte della verginella davanti a tanta grazia di Dio.

 

-          Mamma mia, ma che sei?

 

Una troia … la sua troia.

 

-          Aho, ma me fai fa qualcosa pure a me?

 

Dopo … ora doveva solo farsi cavalcare.

 

-          Non c’entra …

 

Che delusione! Aveva ragione Lolly, la sua fica era solo uno scroto rivoltato male e l’uccellone di Bebo non ci stava dentro …

 

-          Pe’ er bambinello dell’ara cieli … ma che è?

 

Il culo … la sola passera con cui era nata e che funzionava meglio di qualsiasi fica artificiale.

 

-          Sei ‘na Dea!

 

Le disse, quando ancora ansimavano all’unisono e lei non voleva abbandonare la morsa del suo abbraccio.  

 

-          A’do’ stai, brutta sciacquetta … nun ce posso crede che mai lasciato in mezzo alla strada!

 

La voce isterica di Lolly esplose come lo scrocchio di un tuono nel cielo terso.

 

-          Non ti muovere … resta fermo.

 

Funny conosce bene la sua amica e lo sa che prima di entrare in cucina, andrà a lavarsi via il trasudo della notte che porta sulla pelle.

 

-          A ‘nvedi sta puttanaccia!

 

Ma quel giorno non andò così.

 

-          Zoccola, questo chi sarebbe?

 

Chiede Lolly, mentre la sua rabbia si tramutò istantaneamente in feroce invidia.

 

-          A brutto transone, abbassa la cresta quanno parli della mi’ donna, ce semo capiti?

 

Le parole di Bebo caddero come meteoriti, polverizzando ogni altro suono … Funny rimase stordita dal boato di silenzio mentre a Lolly si spezzò il fiato in gola, lasciando sgorgare un amareggiato pianto dirotto … sconfitta, corse via a cercar riparo in bagno … dove però non trovò salvezza perché le cose di Bebo le si pararono dinanzi come una condanna senza appello … allora urla e strepiti l’accompagnarono fin dietro la porta di camera sua.

 

-          Da quann’è che hai deciso de annattene?

 

Questo chiese a Funny, quando finalmente accettò di farla entrare in camera.

 

-          M’hai pugnalato alle spalle … dopo tutto quello che ho fatto pe’ te!

 

Lolly pensava che Funny avesse conosciuto Bebo da chissà quanto tempo prima e solo per lui che si era operata e quel mattino aveva tentato di andarsene rubandogli anche l’auto.  

 

-          Nun me merito de esse trattata così … stronza!

 

Funny le vuole bene ed ora deve starla a sentire perché era accaduto tutto così all’improvviso.

 

-          Allora non la sa ancora!

 

Intuisce Lolly con il volto illuminato da una feroce perfidia prima di correre in salotto, dove si scontra letteralmente con Bebo.

 

-          Diglielo o lo faccio io …

 

Minaccia dopo essersi strappata la parrucca dalla testa.

 

-          Amo’ … che me devi di’?

 

Bebo la chiama amore e resta a guardarla spaventato con quei suoi occhi verdi, ben sapendo cosa non voleva sentirsi dire.

 

-          Se l’è tagliato, ma è come me … semo trans uguali.

 

Funny non ha la forza di ammettere una colpa che non ritiene tale e se Bebo l’ama veramente non si comporterà come tutti gli altri … invece le volta le spalle e se ne va.

 

-          Hai visto? So’ tutti uguali … te scopano solo se te incontrano su ‘n marciapiede.

 

Non era vero … loro non si erano conosciuti così.

 

-          Che scema che sei … magari speravi che te portasse a casa sua, che te facesse fa la principessa e tu a lavaglie le mutande pe’ tutta la vita … scema!

 

Si erano amati … per quel poco che era durato … si erano amati.

 

-          Ma ‘n do vai?

 

Funny ha capito che se rimane con Lolly, presto o tardi diventerà cinica come lei.

 

-          E certo … mo che te credi che vai a lavorà alla televisione?

 

No, erano stati quei falsi desideri ad averle avvelenato la vita.

 

-          E allora se po’ sape’ che voi fa?

 

Una casa … un lavoretto … un corso di ricostruzione unghie … la sciampista … qualsiasi cosa.

 

-          Tanto è da me che torni!

 

No, almeno fin quando avrebbe avuto la speranza d’incontrare un altro Bebo … e da lui che stava tornando …

 

-          Aspetta e spera …

 

E in cosa avrebbe potuto sperare restando a battere su un marciapiede?

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