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La morte a Venezia


Fergus

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19 minutes ago, freedog said:

in caso @Mario1944 non sarebbe l'unico a considerare Leopardi un etero sfigato cronico.

Che sia stato eteroclito o no, mi pare alquanto irrilevante:

fu eccelso poeta oltre che notevole filologo e questo basti.

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14 minutes ago, Hinzelmann said:

Stai facendo un gran minestrone tra Gran tour, turismo omosessuale in Italia e collegi inglesi ?

son tre aspetti della stessa mentalità:

finchè i rampolli eran giovini spensierati e scavezzacollo, andava bene tutto; poi però arrivava il momento in cui dovevan mette la testa a posto, trovarsi una mogliettina, possibilmente con una buona dote, e pensà al futuro. Della famiglia e del casato.

Poi ovvio, nessuno impediva loro di ripensare con nostalgia all'amichetto del liceo (o al pittoresco caruso che lo dava per un piatto di pasta) con cui hanno.. esplorato il corpo umano molto apporofnditamente.

tout se tient, mon cher...

22 minutes ago, Fergus said:

Ragassuoli, me lo consigliate il film? ?

mah.. probabilmente lo troveresti lento.

è molto manierista, nelle luci -un sabbiato abbastanza cupo e freddo-, nei costumi, nella scenografia, nella colonna sonora (tanto Mahler).

L'ambientazione belle èpoque è perfetta, per carità, Bogarde sa trasmettere bene le inquietudini di  Aschenbach, la Mangano è strepitosa come madre del ragazzino, il ragazzino stesso (il nome non me lo ricordo) sembra quasi un angelo della morte.

Visconti s'è però preso una licenza "poetica" interessante [non credo di spoilerare chissà cosa]: ad Aschenbach appena morto cola sulle guance la tintura dei capelli

Edited by freedog
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1 hour ago, Fergus said:

me lo consigliate il film? ?

Ma certo che sì. Tutti i film di Visconti, peraltro. Dirk Bogard è fantastico, e in una parte difficilissima. Meravigliosa Silvana Mangano nel ruolo quasi senza parole della madre.  Colonna musicale toccante e di altissimo livello. Filologia, ambientazione, ogni particolare da vedere e rivedere.

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1 hour ago, freedog said:

finchè i rampolli eran giovini spensierati e scavezzacollo, andava bene tutto;

Tutto fino ad un certo punto:

la sodomia non era tollerata, al più poteva essere ignorata.

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Guardate qua di cosa mi tocca andare in cerca per capirci qualcosa.

Echi, miti classici e simbologia ne “La morte a Venezia”

La morte a Venezia (1912) è l’opera di Thomas Mann più ricca di echi classici in quanto la passione omoerotica del Professor Aschenbachaffonda le sue radici in un substrato cosmico, anteriore al concetto cristiano di peccato, che Platone ha espresso nel Convivio e nel Fedro.

Nel capitolo III il protagonista non appena si accorge dell’assenza di Tadzio, lo paragona ad un piccolo Feace e recita tra sé un verso dell’Odissea: “Continuo cangiar d’ornamenti  e bagni tiepidi e sonno…” Il capitolo IV si apre con un esordio epico: “E si sentiva come trasportato nel suolo esilio, ai confini della terra”. Nel suo delirio Aschenbach, per scacciare l’immagine di un torbido e peccaminoso eros, identifica se stesso con Socrate e Tadzio con il giovane interlocutore del filosofo, Fedro, quando ormai Socrate è vicino alla morte e rivolge ad un Fedro immaginario un discorso dove il concetto platonico non riesce a giustificare il senso di colpa sofferto dalla coscienza lacerata da un desiderio proibito.

Mann, durante gli anni della genesi del romanzo, si era documentato scrupolosamente al punto che quando nel capitolo III, un ragazzo di nome Jascio bacia Tadzio, Aschenbach lo indica tra sé e sé con il nome di Critobulo, storico bizantino che si sottomise a Maometto II. Tale riferimento risulta incomprensibile se si ignora la fonte, i Memorabili di Senofonte dove si cita l’episodio di Critobulo che aveva baciato il figlio di Alcibiade. Dice Senofonte: “Ma ti do un consiglio Senofonte: quando vedi un bello fuggi a tutta corsa; e a te Critobulo, consiglio di star lontano per un anno: nel frattempo potreste forse guarire dalla ferita”. Ed ecco le parole di Mann: “Quanto a te, Critobulo”, pensò sorridendo, “ascolta il mio consiglio, va’ in viaggio per un anno. Ché meno di tanto non ti occorre per risanare”.

Tadzio, contemplato da Aschenbach ha “una testa da Eros, dalla lucentezza dorata del marmo pario” ma non resta statico nella fantasia dell’innamorato che lo tramuta in una creatura mitica che in un’età favolosa ha anticipato i suoi gesti. Ad un certo punto egli prende la figura del giovane e ne fa un modello di un’idea letteraria: quando Tadzio gioca con la palla, si immedesima in Giacinto colpito a morte dal lancio di un disco; quando Tadzio gli sorride, rivive in Narciso che si specchia nella fonte; e mentre Aschenbach di fronte al mare china il capo sul petto e muore, gli sembra che da lontano il ragazzo gli accenni di seguirlo tramutato in Ermes, il dio che conduceva le anime nel regno dei morti. Il racconto, dunque, si snoda solo dalla visuale di chi idealizza l’amato e insegue le inquietudini di un’anima sovraeccitata, tutta rinchiusa nel suo mondo interiore, incapace di uno sguardo disincantato sulla realtà circostante.

Per quanto riguarda il paesaggio, Venezia è percepita da Aschenbachnell’aspetto più cupo di città in decadimento, soffocata da un clima afoso e luogo dove imperversa il colera. I presagi di morte che segnano l’ultimo viaggio del protagonista, non si manifestano solo a Venezia. Lo sconosciuto che incontrato a Monaco davanti al cimitero, ha tratti comuni con il finto giovanotto del battello e con il gondoliere, tutti e tre sono messaggeri dell’ignoto e la loro funzione si preannuncia evidente dal loro fisico: i denti sporgenti fino alle gengive, il loro biancore, che alludono alla mandibola corrosa di un teschio; senza contare l’affinità della gondola nera con la bara sottolineata da Mann. Durante il tragitto sulla barca Aschenbach pensa che quell’uomo sospetto potrebbe anche spedirlo direttamente nell’Oltretomba; il gondoliere non aspetta il compenso perché esercita il suo mestiere abusivamente, in questo modo la figura di Caronte si sdoppia nella sua.

Elementi mitici e simbolici dunque si alternano nel contesto de La morte a Venezia, si richiamano l’uno all’altro e accompagnano la vittima fino all’epilogo; alla vicenda borghese la narrativa di Mann è sempre rimasta fedele sia nei romanzi di vasto respiro come I Buddenbrook, La montagna incantata, il Dottor Faust, che nei romanzi brevi, da La morte a Venezia che accoglie in sé i motivi più importanti della sua problematica giovanile, fino a L’inganno, ultima opera di Mann che, nonostante il parere contrario dell’autore, ha in comune con la vicenda di Aschenbach il tema della simbiosi tra amore e morte.


http://www.900letterario.it/focus-letteratura/simbologia-la-morte-a-venezia/

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A parte l'evidente bisticcio su Critobulo, di cui prima si dice che è uno storico bizantino e poi un personaggio dei Memorabili di Senofonte, tutto ciò è carino, e forse inutile. Non c'è bisogno di queste informazioni per capire e sentire il film, ad eccezione di alcune, che fissano l'attenzione su alcuni simboli: il gondoliere-Caronte, l'incontro con lo sconosciuto,  il gesto di Tadzio alla fine. Ma se devi vedere il film, immergiti nel flusso, e tante cose le noterai da solo, anche se non saprai subito dire che cosa 'significano', e magari ci arriverai tu a capirle. Va bene, ora i principali simboli li sai. Ce n'è qualcun altro.

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2 minutes ago, Isher said:

A parte l'evidente bisticcio su Critobulo, di cui prima si dice che è uno storico bizantino e poi un personaggio dei Memorabili di Senofonte, tutto ciò è carino, e forse inutile. Non c'è bisogno di queste informazioni per capire e sentire il film, ad eccezione di alcune, che fissano l'attenzione su alcuni simboli: il gondoliere-Caronte, l'incontro con lo sconosciuto,  il gesto di Tadzio alla fine. Ma se devi vedere il film, immergiti nel flusso, e tante cose le noterai da solo, anche se non saprai subito dire che cosa 'significano', e magari ci arriverai tu a capirle. Va bene, ora i principali simboli li sai. Ce n'è qualcun altro.

In realtà Isher mi riferivo alle difficoltà trovate nel leggere il libro, che sto cercando di superare almeno in parte grazie a voi, e a qualche articolo come quello che ho inserito.

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59 minutes ago, Fergus said:

Guardate qua di cosa mi tocca andare in cerca per capirci qualcosa.

Echi, miti classici e simbologia ne “La morte a Venezia”

La morte a Venezia (1912) è l’opera di Thomas Mann più ricca di echi classici in quanto la passione omoerotica del Professor Aschenbachaffonda le sue radici in un substrato cosmico, anteriore al concetto cristiano di peccato, che Platone ha espresso nel Convivio e nel Fedro.

Nel capitolo III il protagonista non appena si accorge dell’assenza di Tadzio, lo paragona ad un piccolo Feace e recita tra sé un verso dell’Odissea: “Continuo cangiar d’ornamenti  e bagni tiepidi e sonno…” Il capitolo IV si apre con un esordio epico: “E si sentiva come trasportato nel suolo esilio, ai confini della terra”. Nel suo delirio Aschenbach, per scacciare l’immagine di un torbido e peccaminoso eros, identifica se stesso con Socrate e Tadzio con il giovane interlocutore del filosofo, Fedro, quando ormai Socrate è vicino alla morte e rivolge ad un Fedro immaginario un discorso dove il concetto platonico non riesce a giustificare il senso di colpa sofferto dalla coscienza lacerata da un desiderio proibito.

Mann, durante gli anni della genesi del romanzo, si era documentato scrupolosamente al punto che quando nel capitolo III, un ragazzo di nome Jascio bacia Tadzio, Aschenbach lo indica tra sé e sé con il nome di Critobulo, storico bizantino che si sottomise a Maometto II. Tale riferimento risulta incomprensibile se si ignora la fonte, i Memorabili di Senofonte dove si cita l’episodio di Critobulo che aveva baciato il figlio di Alcibiade. Dice Senofonte: “Ma ti do un consiglio Senofonte: quando vedi un bello fuggi a tutta corsa; e a te Critobulo, consiglio di star lontano per un anno: nel frattempo potreste forse guarire dalla ferita”. Ed ecco le parole di Mann: “Quanto a te, Critobulo”, pensò sorridendo, “ascolta il mio consiglio, va’ in viaggio per un anno. Ché meno di tanto non ti occorre per risanare”.

Tadzio, contemplato da Aschenbach ha “una testa da Eros, dalla lucentezza dorata del marmo pario” ma non resta statico nella fantasia dell’innamorato che lo tramuta in una creatura mitica che in un’età favolosa ha anticipato i suoi gesti. Ad un certo punto egli prende la figura del giovane e ne fa un modello di un’idea letteraria: quando Tadzio gioca con la palla, si immedesima in Giacinto colpito a morte dal lancio di un disco; quando Tadzio gli sorride, rivive in Narciso che si specchia nella fonte; e mentre Aschenbach di fronte al mare china il capo sul petto e muore, gli sembra che da lontano il ragazzo gli accenni di seguirlo tramutato in Ermes, il dio che conduceva le anime nel regno dei morti. Il racconto, dunque, si snoda solo dalla visuale di chi idealizza l’amato e insegue le inquietudini di un’anima sovraeccitata, tutta rinchiusa nel suo mondo interiore, incapace di uno sguardo disincantato sulla realtà circostante.

Per quanto riguarda il paesaggio, Venezia è percepita da Aschenbachnell’aspetto più cupo di città in decadimento, soffocata da un clima afoso e luogo dove imperversa il colera. I presagi di morte che segnano l’ultimo viaggio del protagonista, non si manifestano solo a Venezia. Lo sconosciuto che incontrato a Monaco davanti al cimitero, ha tratti comuni con il finto giovanotto del battello e con il gondoliere, tutti e tre sono messaggeri dell’ignoto e la loro funzione si preannuncia evidente dal loro fisico: i denti sporgenti fino alle gengive, il loro biancore, che alludono alla mandibola corrosa di un teschio; senza contare l’affinità della gondola nera con la bara sottolineata da Mann. Durante il tragitto sulla barca Aschenbach pensa che quell’uomo sospetto potrebbe anche spedirlo direttamente nell’Oltretomba; il gondoliere non aspetta il compenso perché esercita il suo mestiere abusivamente, in questo modo la figura di Caronte si sdoppia nella sua.

Elementi mitici e simbolici dunque si alternano nel contesto de La morte a Venezia, si richiamano l’uno all’altro e accompagnano la vittima fino all’epilogo; alla vicenda borghese la narrativa di Mann è sempre rimasta fedele sia nei romanzi di vasto respiro come I Buddenbrook, La montagna incantata, il Dottor Faust, che nei romanzi brevi, da La morte a Venezia che accoglie in sé i motivi più importanti della sua problematica giovanile, fino a L’inganno, ultima opera di Mann che, nonostante il parere contrario dell’autore, ha in comune con la vicenda di Aschenbach il tema della simbiosi tra amore e morte.


http://www.900letterario.it/focus-letteratura/simbologia-la-morte-a-venezia/

sinceramente mi sembra un inutile sfoggio di erudizione, abbastanza contraddittorio peraltro (come giustamente nota @Isher )

Edited by freedog
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