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[Cinema LGBT] Una Piccola Impresa Meridionale


Sampei

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SPOILER ALERT ---> parlo del film in maniera approfondita, non proseguire se lo si vuol vedere.

***

Don Costantino ha 50 anni e un problema: dopo una vita intera dedicata al sacerdozio, prima in un convento toscano poi a Roma, si è innamorato di una donna. Nonostante la relazione non funzioni e venga presto lasciato, sente di aver tradito i suoi voti, e dunque vi rinuncia, spretandosi.

Non avendo più prospettive, non gli resta che tornare al suo paesino natale, sulle coste aride e desolate al confine fra una Basilicata e una Puglia del tutto immaginarie.

A casa però la situazione è tesa: mamma Stella, l'anziana madre, austera vedova ossessionata dal giudizio del paese, è tormentata dall'onta. Rosamaria, la sorella minore di Costantino, ha tradito il novello marito, scatenando lo scandalo, e pare che sia fuggita in Cina. Il colpo di grazia le arriva con la confessione del figlio, che, lungi dall'essere l'ultimo conforto a cui aggrapparsi per salvare il decoro della famiglia, addirittura si è spretato.

A Costantino non resta che andare a vivere nel vecchio e sgangherato faro in disuso poco fuori dal paese, di proprietà della famiglia, dove la madre lo confina affinché nessuno sappia di lui. 

Progressivamente, nuove anime in pena si aggiungono a lui trovando rifugio al faro: Magnolia, la sorella di Valbona, donna delle pulizie di famiglia, che decide di restare per un certo periodo per godersi la "pensione" dopo aver messo da parte i soldi del suo lavoro di prostituta; Arturo, l'ormai ex cognato di Costantino, perseguitato dalla fama di "cornuto" che ormai le dicerie di paese hanno diffuso a suo carico, e amareggiato dalle incomprensioni col padre, freddo e scostante, che cerca in posto in cui avere un po' di pace; la strana famiglia circense di Raffaele e "Jennifer", con la figlia Mela, che si è riadattata a fare riparazioni nell'edilizia.  Infine la stessa Mamma Stella, ormai incapace di sopportare gli sguardi malevoli del paese, si autoreclude al faro.

Alla fine il grande scandalo è svelato nella sua interezza: Rosamaria non solo non è fuggita in Cina, ma si è accampata sulla spiaggia sotto il faro, dove vive con la sua amante, che è Valbona.

Al faro ci sarebbe grande spazio per i litigi e le recriminazioni: Valbona che biasima la sorella per il suo lavoro di escort, Costantino che non ha modo di pagare le ristrutturazioni del tetto, Mamma Stella sopraffatta dallo scandalo dei due figli degeneri, Valbona e Rosamaria che si amano ma non hanno idea di come sbarcare il lunario, Arturo che ha abbandonato il lavoro in preda allo sconforto.

Invece una nuova emergenza unisce tutti: Mela non frequenta più la scuola da tempo, e sarà portata via dagli assistenti sociali se non riuscirà a passare l'esame di quinta elementare. I personaggi decidono così di reinventarsi, e, fra baratti e arrangiamenti, non solo salvano la bambina dalla bocciatura ma collaborano anche alla ristrutturazione del faro per poterlo convertire in albergo. Il film si conclude con il matrimonio di Rosamaria e Valbona, celebrato dallo stesso Costantino.

***

E' un film "piccolo" che però ha attirato la mia attenzione proprio per il modo in cui nella sua umiltà riesce a toccare argomenti "grandi". Il faro è un rifugio di peccatori, uomini e donne che si autoespellono da una società intransigente e minacciosa per "ristrutturare" se stessi e avere un momento di respiro per pensare. I registi dipingono un Sud (come dicono loro stessi) non vero ma "verosimile", in cui il matriarcato la fa da padrone, in cui non c'è spazio per la novità, e dove la "divergenza" dai percorsi di vita standardizzati è una catastrofe ai limiti dell'inconcepibile. E' un meridione (o forse un'intera Italia) rurale, polveroso, in cui l'attualità del cambiamento contemporaneo arriva sfocata, come un sottofondo incompatibile ed estraneo, come il ronzio lontano di una mosca che disturba la quiete della macchia mediterranea riarsa dal Sole.

Ma ruralità non significa campagna né legame con la natura, più che altro si traduce nelle dimensioni del tempo, che si fanno piccolissime, ad indicare una lentezza primitiva, inamovibile, quasi incorporata nelle crepe dei muri e nelle rughe delle persone.

Il divorzio, l'omosessualità, il sesso, tutte le non-conformità, qualsiasi esse siano, sono un fulmine a ciel sereno, sono un incomprensibile bizzarrìa che giunge all'improvviso dal nulla, che non si comprende né si ha voglia di comprendere, quasi come se si trattasse di un uso straniero, di una moda sospetta e indecente, dell'ennesima stravaganza cittadina che si prende l'ardire di infastidire il dorato isolamento di un mondo sempre uguale a se stesso.

Una società del genere non può essere messa in discussione, mai, in nessun modo e in nessuna forma.

I personaggi lo sanno, e sono essi stessi a ritirarsi, a "farsi fuori" socialmente per non essere strangolati e fagocitati da quella stessa società da cui, tutto sommato, essi stessi sono stati forgiati e di cui portano attivamente mentalità e valori.

Questa società però non offre loro un'alternativa, non offre loro uno strumento per risolvere il conflitto, per capire e capirsi, ed è solo escludendosi dal consesso sociale che potranno reinventarsi, generando una soluzione fuori dagli schemi, perché è solo uscendo fuori dagli schemi che potranno trovare una strada che gli schemi preesistenti mai potrebbero fornire, non contemplando nemmeno la possibilità dell'esistenza di una domanda come la loro.

L'"outsider" qui non è un ribelle né un combattente, è egli stesso permeato delle strutture mentali che la sua società gli offre come prodotti preconfezionati e stabili; ha paura, teme la reazione di una Madre Onnipotente (mamma Stella), che è tanto benevola e accogliente col figlio che aderisce alle Regole quanto spietata e sprezzante con la figlia che le spezza, subisce le angherie di un'opinione comune infantile, cantilenante, abbandonata a se stessa (i bambini che non vanno a scuola e inseguono Arturo dandogli del "cornuto"), cerca l'appoggio empatico di un Padre Morente (Emanuele) che è invece cieco, rifiutante e totalmente assorbito dai vagheggiamenti deliranti di un passato ormai finito, mentre fuma con avidità quell'ultima sigaretta, il vizio lecito che ne decreterà la fine.

Però l'outsider mostra di avere una capacità innata, assolutamente non scontata (e qui fa comodo l'attenuazione del verismo data dal "verosimilismo", forse indispensabile anche per mantenere il tono di commedia ed elidere la drammaticità della scelta), ossia quella dell'estraniarsi, del prendere l'iniziativa di mettere fra parentesi il concetto assodato e assoluto ("tu sei sbagliato e lo sarai per l'eternità perché il tuo peccato è immondabile") per allontanarsene e vedere se esiste un'alternativa praticabile.

Certo, di primo acchitto quell'alternativa è la reclusione in un luogo "alla fine del mondo conosciuto" (il faro), ma anche una stanzetta umida ed incrostata appare preferibile rispetto al dito giudicante del paese, che, peraltro, non è assolutamente dato affrontare.

Eppure questo processo di auto-espulsione alla fine diviene fruttifero, perché all'interno del faro in disuso (simbolo delle rovine di una grandezza culturale ormai lontanissima e illeggibile, ma forse possibile culla e crogiolo di una rinascita, di un riscatto?) i destini traballanti che vi si incrociano acquisiscono, grazie alla forza livellatrice dell'ostracismo che ognuno ha parimenti subito, la capacità di "cambiare occhi" e vedere per la prima volta il Bello dove gli occhi precedenti avevano visto l'Oltraggio.

Ognuno ricostruisce così il suo nuovo ruolo in questa nuova "società utopica" nata sulla roccia inospitale su cui poggia il faro, e, nonostante il dialogo con la vecchia società sia impossibile (gli ospiti che abbandonano indignati il giardino dopo che le spose si baciano) è pur sempre possibile, ammissibile e doverosa la rivisitazione anche dei dogmi più estremi e inviolabili se la loro violazione è in realtà la ragionevole richiesta di riconoscimento di una nuova famiglia (Costantino che riacquisce le vesti di officiante al matrimonio informale fra Rosamaria e Valbona).

Il film si conclude con la gita per mare della comitiva di "peccatores" sulla barca del marinaio - ex cliente di Magnolia, di cui questa ha accettato la proposta di matrimonio. Quest'ultima immagine, che si apre sotto i titoli di coda, mi ha lasciato impietrito e affascinato, e mi dispiace molto non aver trovato praticamente nessuna traccia e nessun commentatore che ne parlasse. la barca si allontana piano nell'azzurro intenso e perfetto del mare, mentre la Signora Stella la osserva silenziosa da lontano. Un quadro palesemente omerico, il dipinto di una imperscrutabile Penelope anziana che ha osservato il cambiamento, forse l'idea di un'Itaca che se si sforza, seppur nella modestia delle sue risorse sassose e arrugginite, potrà essere in grado di accettare le "divergenze" dell'esistenza e così rifondare la gentilezza dell'autoindulgenza.

***

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Edited by Sampei
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