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Il Pentecostalismo


Rotwang

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L'Espresso

 

"Succederà, stasera, succederà, signore, c’è grande attesa, stasera, il miracolo per te, signore, lode a te, spirito di Dio, Gesù, signore". La sala è una cantilena sovrastata a stento dalla musica. C’è chi cammina, chi aspetta, chi piange. Uomini in polo e bermuda militari, piangono. Donne con le mèches, piangono. Famiglie rom, piangono. Bianchi, neri, indiani. Alzano le mani, pregano e ripetono: il miracolo accadrà. Come ogni volta. Ci saranno almeno 600 persone sedute e in prima fila, solenne, pure il senatore Domenico Scilipoti.

 

Dopo ore di lodi il pastore chiama i malati sul palco, impone le mani, loro cadono a terra. Il primo dice: «Sono appena guarito dal cancro», una donna da un’artrite. Applausi fragorosi. Altre preghiere, quindi la benedizione delle buste: chi vi metterà 120 euro ne riceverà da Gesù 10 volte tanti. Si alzano per donare in più di cento. È il giorno di San Gennaro. Ma al Teatro Palapartenope di Napoli il miracolo non è per il sangue del santo, bensì per lo spirito servito dal pastore americano Benny Hinn, invitato in Campania da una chiesa locale. Chiesa cristiana pentecostale.

 

I pentecostali sono oggi nel mondo 644 milioni. Si tratta della religione in maggiore, tumultuosa, crescita dopo l’Islam, con masse ormai consolidate in Brasile, America Latina, Africa e Asia. Il “Pew Reseach Center” stima che in una generazione supereranno il miliardo. Sono il cristianesimo del futuro, dicono gli esperti. Anche in Italia, sottotraccia, raramente raccontati dai media, crescono. E adesso contano, secondo gli studi, oltre 600 mila fedeli, di cui 300 mila italiani, gli altri immigrati. Divisi al loro interno da posizioni spesso inconciliabili, i cristiani pentecostali e carismatici sono accomunati da alcuni elementi.

 

Primo: rifiutano la struttura cattolica; il rapporto con il trascendente è personale; le comunità gemmano di continuo nuove chiese, nuovi pastori. Secondo: la Bibbia «non erra mai», è l’unico testo, il solo fondamento, e va considerata per intero, dal Levitico agli Atti. Terzo: i doni dello Spirito Santo funzionano ancora. Per cui lo Spirito può scendere, far parlare le persone “in lingue”, curarle e liberarle dal demonio (che esiste, è concreto, gli esorcismi frequenti).

 

Dalle convention miliardarie alle messe in periferia di alcuni pastori-eroi, il pentecostalesimo si presenta così come una fede che sa tenere strette le persone, che forma leader, fa cantare, divertire e commuoversi, una fede che promette di guarire, liberare dai debiti e dal malocchio, oltre che di benedire, secondo alcuni, anche la prosperità economica. È la religione del momento, insomma, un’oasi dalla crisi di prospettive. «Una risposta al bisogno di senso e di identità che unisce benestanti e emarginati perché offre soluzioni olistiche», spiega Paolo Naso, professore a La Sapienza: «Una fede che soddisfa bisogni, dà certezze, afferma valori perentori». È individualista e collettiva al tempo stesso: uno vale uno, ma in molti è meglio. «È nata all’inizio del Novecento negli Stati Uniti per il desiderio di molti cristiani di mettere le mani, personalmente, dentro il sacro», aggiunge Enzo Pace, sociologo dell’Università di Padova.

 

Alla base del successo pentecostale, poi, c’è l’intrinseca solidità economica delle chiese. Tutti i fedeli versano infatti una decima, ovvero il 10 per cento dello stipendio. «È scritto nella Bibbia», ripetono. Bastano così 200 fedeli che guadagnano 1.500 euro al mese per avere una rendita da 30 mila euro da destinare ad altari, missioni, orologi al pastore o nuove sedi. L’espansione continua. Dio non solo non è morto, ma trascina nuove greggi.

 

Milano. Priscilla ha trent’anni, gli occhi verdi, siciliana, fa la commessa in centro. «Da “fuori sede” facevo la vita delle mie coetanee: la sera andavo alle Colonne, bevevo, fumavo, finivo a letto con gente di cui non mi importava molto». Poi, l’incontro con Gesù. Ora è fidanzata con un rapper che ha tatuato sul braccio un verso del Vangelo. Entrambi trascorrono il sabato sera al “ministero Sabaoth”, un maxi-auditorium da 900 posti, attrezzature da grande cinema, aperto dalla pastore Roselen Faccio.

 

«Ho iniziato a predicare da piccola, in Brasile. Ero considerata un bambino prodigio», racconta lei il giorno dopo dal camerino, dopo aver cantato lodi e spiegato testi per tre ore accompagnata da una rock band: «Ho fondato in Italia il movimento 25 anni fa. Oggi abbiamo 57 chiese». «Lei è la Martin Lutero del 21esimo secolo», dice Diana, una fedele, entusiasta. «Noi non dobbiamo dare la nostra opinione. Noi abbiamo bisogno di una generazione convinta», urla dal palco pastore Punto, un grafico di 33 anni che predica ai giovani e ha creato con la moglie “Purex”, una corrente che insiste per la verginità fino al matrimonio. «Cosa leggo, oltre alla Bibbia? Libri di leadership», dice. Sabaoth è la chiesa pentecostale che ha trascinato Ornella Vanoni, «abbiamo calciatori, imprenditori, manager, ma anche senza tetto, e ho convertito un capo ’ndrangheta, che ora sta con noi», dice la predicatrice: «Altri vip? Sono passati di qui Albano e Mara Venier».

 

Roselen Faccio si è impegnata anche in politica: in passato ha sostenuto la candidatura di Letizia Moratti sindaco, invitando al voto dal pulpito. «È una donna di preghiera. Oggi seguo Magdi Cristiano Allam», aggiunge. Il giovane pastore Punto ha idee diverse: «Mi ritrovo in molte battaglie dei 5 Stelle, ma fonderei un partito nuovo». Con i giovani organizza missioni di evangelizzazione ogni estate: si paga 800 euro per andare un mese in tour a portare la parola di Cristo.«Il nostro obiettivo è cambiare la storia religiosa d’Italia», dice. Fare proseliti è uno dei cardini dei movimenti pentecostali. Portare il verbo, intercettare adepti, è ritenuto un mandato fondamentale. Remo Blasio ha un’agenzia immobiliare a Porta Romana. «Ero una persona aggressiva, ora sono un agnello», racconta. Dopo la conversione ha fondato “Rem - rete evangelica in missione”: tre pullman comprati per offrire messaggi dalla Bibbia, con la scusa di un caffè.

 

Napoli. La chiesa di cui è pastore Davide Di Iorio porta la messa fuori, in piazza. Per due ore i passanti ascoltano il coro, le donne con la gonna al ginocchio, gli uomini in cravatta, mentre il predicatore prega con le mani sul volto dei fedeli. Di Iorio è la guida dell’Assemblea di Dio di via Fra Gregorio Carafa, un tempio maestoso, ristrutturato da poco. Le “Assemblee di Dio” (Adi) sono una delle realtà pentecostali più antiche del paese. Hanno 1.180 sedi, un accordo con lo Stato per l’otto per mille, una storia che risale ai primi emigrati italiani che dagli Stati Uniti portavano al rientro il rito dello Spirito.

 

Per l’intervista, Di Iorio si presenta con Alessandro Iovino, pentecostale da generazioni, segretario particolare del senatore anti-unioni civili Lucio Malan, una tesi di laurea introdotta da Giulio Andreotti, vari titoli pubblicati fra cui un libro-intervista a Licio Gelli in cui gli chiede: «Quale pensa sia stato il merito più grande della P2?», e lui risponde: «Grazie a noi i comunisti non sono arrivati al potere». Le Adi sono una realtà consolidata, e conservatrice. Le donne a messa indossano il velo. «Hanno libertà di parola e di testimonianza», spiega Di Iorio, ma il pastore può essere solo uomo, qui. Silvio Romano è un bel ragazzo. Si è convertito con l’Adi pochi anni fa, e da allora, insiste, «la mia vita è cambiata. Ho trovato lavoro. Sono stato lontano dai giri sbagliati». Racconta del padre, arrestato per traffico di stupefacenti, ora pentecostale anche lui, in carcere.

 

Tutti ci tengono a testimoniare il miracolo, sempre. Un miracolo individuale, personale: il modo proprio con cui Gesù li ha salvati. «Non avevo soldi, pregavo. Chiamano dall’Inps: un Tfr non ritirato da 3mila euro»; «Sono ancora pieno di debiti, ma non ho più ansia: so che grazie a Cristo riuscirò». Fino alle guarigioni, le cui memorie sono onnipresenti: «Mi avevano diagnosticato il cancro. Ho pregato. Quando sono tornata non c’era più niente», «La notte ho sentito la mano di Cristo. Il giorno dopo il tumore era scomparso. I medici non ci credevano».

 

È grazie a una guarigione di questo tipo e al proselitismo fra colleghi di Jacqueline, cassiera a un supermercato di Monza, che Angela è qui: quartiere Isola, Milano, “Prima chiesa unita pentecostale internazionale” della città. Il pastore è siciliano, i fedeli italiani e peruviani. Dal pulpito, chiede a chi vuole di esprimere un bisogno per la preghiera. Una donna sudamericana allora racconta del figlio, che ha rubato una macchina la sera prima, un’altra parla di malattia. C’è chi ricorda i carcerati, chi un’amica depressa. Castel Volturno, Caserta: sulla via Domitiana si susseguono decine di sedi pentecostali. Nigeriani, ghanesi. La domenica si riuniscono in chiesa. Nel pomeriggio festeggiano il compleanno di un bambino. Milano, periferia Nord: in una sola palazzina di tre piani, ci sono cinque chiese pentecostali, una per porta. La domenica mattina alzano lodi. Una pastora ecuadoregna porta l’anziana signora di cui è badante. Rimane seduta in prima fila.

 

«Per gli immigrati, la chiesa diventa un pezzo di patria fuori dalla patria», spiega il sociologo Paolo Naso. Un’àncora di senso e identità, anche qui, contro la mancata integrazione. Ma anche il rischio, al contrario, di continuare a stare separati tra fratelli. Pastore Vladimir è un uomo serio. È scappato dal Salvador, 15 anni fa, per le minacce ricevute da una gang. In Italia combatte le piaghe che affliggono i suoi connazionali: alcolismo, degrado, criminalità. Ha salvato diversi giovani dalle bande dei latinos. E aperto la chiesa, la “Parola viva”, in una ex discoteca dove era stato accoltellato un peruviano, in una via dello spaccio di Milano.

 

«Nel mio paese ero un funzionario di sicurezza d’alto livello, qui lavoro in un’impresa di pulizie, come molti di noi», racconta: «Lavoro, sì. Sono contrario ai pastori per professione. A quelli che lucrano sulle decime. Che si approfittano dei fedeli. Noi usiamo i fondi per le iniziative comuni». È l’unico che dà dettagli sui conti. Il mercoledì sera sono in una sessantina. Dopo la cerimonia, mangiano tutti insieme. «Spesso facciamo la veglia, fino al mattino». Anche la domenica uniti. «Dovete dedicare il vostro tempo al signore», invita, poi aggiunge: «Cantando: noi siamo un popolo allegro».

 

Non lontano, alla “Comunità cristiana dello Spirito Santo”, il clima è diverso. In mezz’ora il pastore, brasiliano, chiede le offerte due volte. In cambio, i presenti prendono una rosa da portare a casa come voto. «Non parliamo ai giornali», frena alla fine della predica. Il suo aiutante si avvicina, «Louis, vieni qui». «La prima volta che mi hanno chiesto soldi, mi sono allontanato. Certo, non mi obbligavano, ma era una induzione quasi forzata. Come con lo svenire: anch’io mi ero fatto suggestionare, e cadevo». Gianluigi ha 29 anni, è laureato in architettura, vive in provincia di Salerno. Con la moglie gestisce un B&B: «Sono io il capo della famiglia. Quando l’uomo non ha più un suo ruolo, comincia a diventare donna», sentenzia. Anche lui è «rinato pentecostale», anche lui «è stato cambiato». Si è allontanato però dalla prima congregazione: «Il “parlare in lingue”? lì lo facevano a comando», racconta. Ora studia la Bibbia, frequenta un’altra chiesa, «e ogni volta a tavola ringraziamo per il cibo tenendoci per mano».

 

Razionalità, fede, morale, confusione. Carmine Napolitano è presidente della “Facoltà Pentecostale”, in Campania, oltre che pastore di una piccola comunità. Ha uno sguardo triste. «Bisogna evitare di sfruttare la debolezza psicologica di chi è malato», dice, parlando delle guarigioni imposte con le mani: «Non dobbiamo vendere illusioni». A spiegarlo, agli altri. Sull’interpretazione rigida della Bibbia, poi, ricorda: «Dare troppa enfasi a “quello che è scritto” a volte è facile, diventa una delega della responsabilità». Certo, funziona: «Il pentecostalesimo è l’ala marciante della cristianità», riconosce. 

 

È sera, a Scampia. La chiesa dipinta di fresco. Come altrove, nessuna immagine: è iconoclastia. Non ci sono madonne, o affreschi, non ci sono aureole o santi. Il pastore ha i capelli bianchi. L’aiutante una cicatrice sul volto. Una ragazza coi capelli rossi, le sopracciglia disegnate, inizia a piangere durante la funzione. Piangono quasi tutti. Cantano, e piangono. Alla fine si avvicina una donna: «Sai, picchiavo i miei genitori», dice: «A una mia amica hanno ammazzato il figlio, ma ha perdonato l’assassino. Perché anche lui si è convertito».

Edited by Rotwang
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È il giorno di San Gennaro. Ma al Teatro Palapartenope di Napoli il miracolo non è per il sangue del santo, bensì per lo spirito servito dal pastore americano Benny Hinn

Io, ovviamente, ho letto Benny Hill - ed è partita subito la musichetta...

 

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no vabbè, apro il link e sto a ridere come un matto in ufficio quando TUTTI mi passano davanti

->si forma il capannello a vedercelo..

 

lo sai che non puoi citarmi i SACRI MontyPyton senza preavviso???

accidenti a te!!!

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