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Referendum del 17 aprile 2016: un tentativo di lettura giuridica


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Sul Referendum di domani 17 aprile 2016, voglio provare a dare l'unica lettura che purtroppo non mi pare sia stata più di tanto considerata finora, forse perché è di una noia mortale e nessuno la potrebbe gestire in maniera sensazionalistica. O forse perché sono argomenti che pochi hanno gli strumenti per cogliere, poiché si collocano ben al di sotto degli approcci semplificati ed idealizzati che infervorano l'una o l'altra opinione. Eppure temo sia l'UNICO tipo di lettura da non dimenticare MAI quando si tratta di metter mano a leggi ed atti equiparati: una lettura noiosamente ed esasperatamente GIURIDICA.

 

Il quesito è il seguente:

 

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

 

Il comma 17 del decreto legislativo 152 del 2006 stabiliva, prima di essere modificato, che:
"Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonchè di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9.
Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale.
Per la baia storica del Golfo di Taranto di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, il divieto relativo agli idrocarburi liquidi è stabilito entro le cinque miglia dalla linea di costa.
Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo.
Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data".

 

Dal 2006 esiste dunque un divieto di attività di ricerca ed estrattive nei pressi delle aree costiere protette.

 

Il comma 239 dell'unico articolo della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Finanziaria 2016), così recita:
"239. All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il secondo e il terzo periodo sono sostituiti dai seguenti:
«Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale»".

La legge del 2015 introduce un divieto più ampio che tocca tutte le aree costiere anche non protette e il limite esterno di quelle protette.

Si lascia la possibilità ai pozzi già in funzione di proseguire l'attività fino a... qui sta il punto.

 

Se si elimina la locuzione "per la durata di vita utile del giacimento", le concessioni (entro le 12 miglia) preesistenti verranno a scadenza come previsto nei relativi decreti autorizzativi, senza possibilità di richiesta di rinnovo, indipendentemente dalla vita utile del giacimento sfruttato. Il suo sfruttamento non potrà dunque essere spalmato su un periodo maggiore rispetto a quanto indicato nella concessione. La produzione dovrà essere concentrata nel restante periodo di concessione.

 

L'art. 29 della legge 613/1967 fissa in 30 anni il periodo di concessione per l'estrazione, con diritto di proroga.

 

La tassazione delle attività estrattive (L. 21/07/67 n.613; D.Lgs. 25/11/96 n.625; L. 23/08/04 n.239; L. 23/07/09 n.99) è basata in parte sulle royalties, ovvero il pagamento di un corrispettivo allo stato per lo sfruttamento di un bene naturale di sua proprietà (ex articolo 826 del codice civile). Per le estrazioni offshore tali royalties sono al 7% per il metano e al 4% per il petrolio, e si calcolano sul valore di vendita delle quantità prodotte annualmente.

 

Esiste però un limite di esenzione: le leggi sopracitate stabiliscono che se la produzione annua non supera le 50.000 tonnellate di petrolio o gli 80 milioni di metri cubi standard di metano, le royalties non si applicano.

 

Laddove la concessione non potrà più essere prorogabile, la compagnia petrolifera dovrà concentrare la produttività dell'impianto nel tempo rimanente. Aumenta quindi la produttività annuale, e di conseguenza rischia di non essere mantenuta sotto soglia per beneficiare dell'esenzione.

 

In definitiva è a questo che si riduce il quesito del referendum:

Volete voi evitare che la Legge Finanziaria del 2016 consenta una agevolazione fiscale de facto in favore di quelle compagnie estrattive che hanno ancora pozzi costieri, permettendo loro di scansare il divieto ancora per un numero imprecisato di anni e di beneficiare quindi della possibilità di proroga oltre i canonici 30 anni?

Questo è ciò che io nella mia pochezza e limitatezza posso estrapolare dalla pura e semplice lettura degli atti normativi che fanno da quadro alla consultazione referendaria.

 

Le ulteriori contropartite che possono spingere le autorità istituzionali a sminuire la questione deridendola o addirittura consigliando l'astensione non le conosco.

Ma se c'è una cosa che trovo positiva, nella sua ahimé limitatezza, è che l'intromissione di nuove voci (seppur flebilissime) e di un dialogo pubblico (seppur convulso) nel cementato triangolo "Istituzione Pubblica - Compagnia petrolifera - gestione del Territorio" abboa destato così tanto scompiglio. Votate.

 

 

Testi normativi di riferimento:
http://www.altalex.com/…/codice-dell-ambiente-parte-ii-valu…
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls…
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/…/1994/08/08/094G0354/sg
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/…/1991/01/16/091G0014/sg
http://www.gazzettaufficiale.it/…/caricaDettagl…/originario…
http://unmig.mise.gov.it/unmig/info/domande.asp#royalties
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/09099l.htm

Ma è parziale e fuorviante parlare solo di royalties.

 

La tassazione sulle attività di estrazione e quindi i ricavi per lo stato sono molto più alti e contenuti in voci differenti di tassazione:

 

Un analisi qui:

http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/royalties/nomisma_tassazione_idrocarburi.pdf

 

Per stabilire il prelievo fiscale totale sulle attività di estrazione e produzione di idrocarburi, alla royalty va aggiunta la tassazione sui redditi delle società, IRES, con aliquota al 27,5%, l’imposta regionale sulle attività produttive, IRAP, al 3,9%, e la Robin tax, l’addizionale IRES introdotta nel 2008, aumentata nel 2009 e soprattutto nell’agosto 2011, al 10,5%1 ; complessivamente la tassazione dell’Italia sulle attività petrolifere è in media pari al 63,9% (figura seguente). Inoltre, tenendo conto dell’addizionale IRES del 4% introdotta con la l. 7/2009, il prelievo complessivo può salire fino al 68%. 
Eppure temo sia l'UNICO tipo di lettura da non dimenticare MAI quando si tratta di metter mano a leggi ed atti equiparati: una lettura noiosamente ed esasperatamente GIURIDICA.

 

Più che una lettura giuridica, è una lettura fiscale!

Comunque quello che in Italia non ci manca sono proprio le imposte dirette ed indirette, ritte ed oblique, evidenti e dissimulate, dichiarate e surrettizie, nominate ed innominate, adeguanti e sperequanti.... 

Se fosse solo per non aumentarle a qualche categoria di contribuenti, qualunque fosse la categoria, sarebbe da votare contro l'aumento!

 

D'altronde gli argomenti dei promotori della consultazione sono principalmente contro i pericoli d'inquinamento marino, quindi si dovrebbe esaminare solo se tali pericoli siano reali e quanto siano maggiori rispetto ai pericoli d'inquinamento che sosterremmo sostituendo, perché è inevitabile sostituirle, queste fonti d'energia con altre.

 

In attesa del fantastico mondo delle energie perfettamente pulite, perpetuamente rinnovabili e rigorosamente non inquinanti (ammesso che possa mai esistere un tale mondo), eviterei azioni tanto più clamorosamente reboanti quanto meno sostanzialmente efficaci.

Edited by Mario1944

Di primo acchito, mi sento di condividere le impressioni di Sbuffo e di Mario, ma sono un profano del settore fiscale, per cui non me la sento di andare oltre.

 

Tra l'altro l'aspetto fiscale, sicuramente importante, non è oggetto del quesito, né potrebbe esserlo, visto che l'art. 75 della Costituzione esclude espressamente le leggi tributarie dalle consultazioni referendarie.

 

Meglio dunque limitarsi al quesito in sé, senza addentrarsi in ricerche malcerte sui possibili effetti indiretti del referendum.

Ma in effetti l'intento delle Regioni promotrici, almeno quello dichiarato, sembra essere quello presunto ecologico, non quello fiscale.

Certo che leggere tra i promotori il nome della Campania, terra famosa per i disastri da illeciti ambientali allegramente trascurati dai politici locali, quando pur essi stessi non sono stati conniventi, lascia perplessi.

Mi sembra come quel Comune dalle mie parti che ha fatto rigorose ordinanze per la pulizia pubblica contro i proprietari di cani che non raccolgono le "deiezioni" dei propri animali portati a spasso in luoghi pubblici, giardini per cani compresi!, ma che in compenso lascia da anni (anni!) le strade comunali piene di pericolosissime buche, molte delle quali del diametro di un metro e della profondità di 30 centimetri.

Che poi nei mari della Campania (e della Puglia) non sono neppure presenti, le piattaforme estrattive. Almeno stando a questa mappa:

 

http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/03/24/news/referendum-trivelle-10-cose-da-sapere-per-votare-informati-1.255743

 

In ogni caso anche questo referendum si avvia ad essere una truffa per gli elettori, uso l'avverbio "anche" perché a mia memoria tutti i referendum svoltisi in Italia sono stati caricati di significati del tutto impropri e incontrollati. Ricordo da ultimo il referendum sulla c.d. "privatizzazione dell'acqua", che non aveva ad oggetto la proprietà del bene, ma i limiti al modello organizzativo c.d. "in house", limiti che la normativa domestica aveva inasprito rispetto alla normativa comunitaria: io votai Sì proprio perché ritenevo eccessivi quei maggiori limiti e solo per quello, ma non certo perché fossi contrario alla partecipazione dei privati alla gestione delle risorse idriche, aspetto questo che esulava del tutto dal quesito referendario. E invece adesso mi ritrovo arruolato tra i fautori dell'ortodossia statalista di cui i vari SEL, M5S, Lega Nord ecc. si stanno intestando la custodia nei recenti confronti parlamentari.

 

Tutto ciò non è una truffa ai danni degli elettori?

Il punto di vista fiscale è l'unica lettura che mi pare razionale per il semplice fatto che è l'unica cosa che cambia togliendo quel pezzo di frase dalla norma che si voleva modificare.

 

Quello che dice Sbuffo lo avevo già considerato in partenza (d'altra parte, con grande originalità, cita una ricerca che io stesso ho utilizzato e messo nelle mie fonti per fare questo discorso... ma vabé) e la sua osservazione ha ben poco senso perché è ovvio che un blocco di potere "non eccessivamente soverchiante" come quello delle compagnie petrolifere italiane non ha una capacità di pressione sugli organi politici sufficiente per andare ad incidere sul prelievo fiscale di base (per dire si dimostrano mille volte più potenti la Chiesa che non paga le imposte immobiliari o Amazon che non paga le imposte sugli utili) e quindi deve giocarsela sul piano dell'imposizione addizionale.

 

Quello che maggiormente mi convince è l'idea che si sia trattato di una prova di forza fra lo Stato e le regioni sull'ottenimento delle royalties (che si spartiscono secondo un complicato sistema di percentuali) solo che mentre lo Stato può essere più facilmente manovrato da poteri esterni (si veda lo scandalo della Guidi) ciò è meno facile per le regioni (non perché non siano corrotte anch'esse, ma solo perché non hanno poteri di creazione di norme fiscali di rilievo).

 

Ciò che dice Finrod a maggior ragione avvalora la mia tesi: essendo la norma fiscale intoccabile per via referendaria, si va a toccare un pezzetto dell'intricatissimo reticolato di norme "antecedenti" che creano il presupposto per l'imposizione fiscale.

 

 

Quello che maggiormente mi convince è l'idea che si sia trattato di una prova di forza fra lo Stato e le regioni sull'ottenimento delle royalties

 

Senza dubbio è stata una prova di forza tra Stato e Regioni, infatti è stato proposto da alcune Regioni, ed il pretesto era ecologico e forse in parte anche la causa reale, benché suppongo più fondata sull' "opinio vulgaris", che su indagini scientifiche rigorose sia in ordine agli effetti attuali sia in ordine agli effetti temuti delle postazioni:

intendo dire che, a prescindere dall'inquinamento realmente prodotto e da quello probabilmente rischiato, è possibile che le Regioni abbiano pensato che pubblicitariamente sia a fini turistici sia a fini elettorali interni un mare "senza trivelle"  fosse più spendibile di uno "con trivelle".

 

Mi sembra invece improbabile il fine di "accaparramento" delle royalties a danno dello Stato, essendo palese che, chiusa la produzione, chiusa la fonte di tributi e contributi per tutti, quali che ne siano le ripartizioni centrali o locali.

 

 

Inoltre, stando al tuo assunto:

 

 

 

Esiste però un limite di esenzione: le leggi sopracitate stabiliscono che se la produzione annua non supera le 50.000 tonnellate di petrolio o gli 80 milioni di metri cubi standard di metano, le royalties non si applicano. Laddove la concessione non potrà più essere prorogabile, la compagnia petrolifera dovrà concentrare la produttività dell'impianto nel tempo rimanente. Aumenta quindi la produttività annuale, e di conseguenza rischia di non essere mantenuta sotto soglia per beneficiare dell'esenzione.

 

il mancato rinnovo delle concessioni dovrebbe allora essere promosso piuttosto dallo Stato, che dalle Regioni, proprio perché si presume che le compagnie aumenterebbero la produttività annuale e quindi perderebbero l'esenzione dalle royalties dovute allo Stato.

 

In ogni caso, tanto più in un momento di sovrabbondanza di produzione di petrolio mondiale con conseguente calo dei prezzi, è tutto da dimostrare che le compagnie estrarrebbero di più solo in previsione d'una futura cessazione anticipata delle concessioni:

intanto infatti avrebbero costi certi maggiori per l'esenzione perduta che s'aggiungerebbero ai minori ricavi per diminuzione dei prezzi del prodotto.

No le royalties non sono dovute solamente allo Stato e basta, ma sono ripartite in base ad un complicato sistema di percentuali fra Stato, Regioni ed Enti Locali, e da quello che ho letto negli studi comparati fra Italia Norvegia e Regno Unito siamo l'unico paese in Europa in cui le percentuali di royalties destinate a regioni ed enti locali è superiore rispetto alle percentuali di royalties destinate allo Stato.

 

"Estrarre di più in previsione dell'impossibilità di rinnovo della concessione" è ovviamente un comportamento che le compagnie possono ma non devono obbligatoriamente assumere: però dopo che hai investito svariate centinaia di milioni di euro nella costruzione di un impianto estrattivo parametrando l'investimento sulla vita utile del giacimento (e quindi sulla quantità di combustibile fossile estraibile) come fai a rientrare se non, come minimo, svuotando il più in fretta possibile il giacimento?

 

Sulla prevedibilità di tale comportamento diverse persone mi hanno sollevato dubbi ma nessuno è stato in grado di dirmi quale comportamento capitalistico razionale avrebbe potuto costituirne l'alternativa percorribile.

 

 

"Estrarre di più in previsione dell'impossibilità di rinnovo della concessione" è ovviamente un comportamento che le compagnie possono ma non devono obbligatoriamente assumere: però dopo che hai investito svariate centinaia di milioni di euro nella costruzione di un impianto estrattivo parametrando l'investimento sulla vita utile del giacimento (e quindi sulla quantità di combustibile fossile estraibile) come fai a rientrare se non, come minimo, svuotando il più in fretta possibile il giacimento? Sulla prevedibilità di tale comportamento diverse persone mi hanno sollevato dubbi ma nessuno è stato in grado di dirmi quale comportamento capitalistico razionale avrebbe potuto costituirne l'alternativa percorribile.

 

Avendo io stesso un'impresa ti assicuro che spesso bisogna adattarsi alle mutate condizioni del mercato anche a costo di sopportare perdite dipendenti da previsioni sbagliate o comunque smentite dagli eventi:

l'errore che spesso porta al fallimento di solito è proprio quello di perseverare in comportamenti incompatibili con la realtà di mercato.

 

 

 

 

No le royalties non sono dovute solamente allo Stato e basta, ma sono ripartite in base ad un complicato sistema di percentuali fra Stato, Regioni ed Enti Locali,

 

Sia pure, ma comunque anche lo Stato, benché non solo lo Stato, avrebbe avuto interesse a promuovere il referendum (a parte che sarebbe bastata una legge.....) o comunque a non opporsi all'abrogazione per accrescere gli incassi dovuti alla supposta maggior quantità di combustibile estratto dalle compagnie per ammortizzare i costi per un periodo più breve del previsto.

Inoltre la Campania mi pare non abbia trivelle operanti davanti alle sue coste e neppure la Sardegna, la Basilicata e la Liguria, quindi il ragionamento sui maggiori incassi fiscali potrebbe valere per le altre, ma non per queste.

 

Secondo me il problema, come del resto dichiarato dalle Regioni promotrici, è solo di presunto abbellimento ecologico, soprattutto, anche se non forse esclusivamente, ad uso turistico ed elettorale interno.

 

 

anche lo Stato avrebbe avuto interesse
non sono del tutto sicuro che un ente pubblico italiano possa sempre agire razionalmente (per razionalmente intendo "scegliendo l'opzione che permette di incamerare quanto più denaro possibile") per il semplice fatto che la corruzione può spezzare senza troppi problemi il meccanismo di massimizzazione dei profitti. Il fatto che altri enti pubblici siano messi in condizione di ostacolare queste derive è quindi positivo. Dico questo perché lo scandalo della Guidi è bello fresco e testimonia come lo Stato stesso era il principale "sedotto-corrotto" della situazione. Lungi da me dire che a livello regionale sono tutti casti e puri: ma forse un controllo collettivo delle regioni su una scelta statale può effettivamente essere letto in questo modo. Alla fine gli intrecci diventano talmente fitti da far venire il mal di testa.

 

 

non sono del tutto sicuro che un ente pubblico italiano possa sempre agire razionalmente (per razionalmente intendo "scegliendo l'opzione che permette di incamerare quanto più denaro possibile")

 

Ma questa non è necessariamente un'azione razionale, anzi!, non è raro che il pastore tosi troppo la pecora uccidendola, pur volendole solo toglierle il vello.

Comunque nel caso specifico lo Stato si sarebbe comportato da "buon pastore" opponendosi al referendum, se questo, come sospetti tu, fosse stato promosso dalle Regioni per fini fiscali immediati, perché avrebbe preferito un profitto più diffuso, anche se più dilatato nel tempo e forse in complesso minore, ma meno soggetto ai pericoli di "fuga dal coltello che tosando uccide" delle compagnie concessionarie.

 

 

 

 

Lungi da me dire che a livello regionale sono tutti casti e puri: ma forse un controllo collettivo delle regioni su una scelta statale può effettivamente essere letto in questo modo.

 

I controlli incrociati sono sempre opportuni, ma che "purifichino e castighino" per sé stessi è tutto da vedere, anzi, proprio la complessità delle procedure per il moltiplicarsi dei controlli spesso genera corruzione, perché, accrescendosi gli ostacoli amministrativi e dilatandosi i tempi operativi, è grandemente favorita l'azione dei faccendieri che sanno quali ruote ungere e come.

  • 8 months later...

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