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Dell'amor greco in versi ed in prosa.


Anakreon

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O giovine formoso, 

tue membra sognar fiorenti d'audaci

 

palpiti ancor m'è crudo, 

ché sempre impervio sei pel mio desio, 

 

remoto alla mia speme

e pur mirarti è dolce a cor gentile.

 

 

Anakreon fece nel seicentonovantesimo anno olimpico.

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ma dalle scopiazzature dantesche non mi sembra molto originale...e mi sembra più una poesia da professore invaghito di un alunno che un'opera di quel gran farfallone di anacreonte

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Visitatore, sii ben venuto:

ascolta un'ammonizione e leggi una dichiarazione.

 

 

Ammonizione:

 

Se Tu sia d'età minore, se ai Tuoi Numi esecrabile ovvero al Tuo Genio aborrendo sia l'amore greco; che Tu non proceda oltre, anzi, che altrove senza indugio Tu disceda, Ti prego.  

 

 

Dichiarazione.

 

Quali che siano  i verbi e le locuzioni  che la licenza del verso mi conceda,  in nessun caso, in nessun modo,  a maschi impuberi o minori d'età s'intendano riferiti gli affetti d'amore. 

 

 

Anacreonte.

 

Chi sia stato Anacreonte, Visitatore, forse vuoi sapere.

 

Teo, città degli Ioni d’Asia, ne fu la patria, ove fiorì, ora sono più che duemila e cinquecent’anni.

 

Profugo per l’invasione dei Persi, visse ospite di quei principi che munifici accoglievano i sacerdoti delle Muse.

 

La fama ancora, per l'oscurità dei secoli, illustra il nome di colui, il quale cantò i bei giovani e la letizia dei convivii, quando Dioniso riempie i calici del suo purpureo nettare ed infiamma i petti a concupire il fiore della gioventù;   non gli atomi nudi e freddi che corrono per lo spazio infinito, ma il calore d'un corpo vivente, d'un efebo che la primavera della vita adorna di beltà e di virtù, per la voluttà dei nostri sensi e per il godimento del nostro cuore.

 

Lungi fossero le negre Chere, che accompagnano l’armi e gli ardori bellicosi:

per la lira d’Anakreon, diletti e voluttà e godimenti.

 

Ma cantò anche o, meglio, pianse, l'insorgente vecchiaia, che gli corrompeva il corpo e lo spingeva prossimo ad Acheronte; allora spregiato dai giovinetti amati, quando il desiderio d'amore si faceva più intenso, ma troppo spesso insaziato.

 

 

Il nome d'Anakreon.

 

Perché, forse Ti domandi Visitatore, il nome ho eletto d'Anacreonte, grecamente Anakreon, per accedere a questi fori ?:
per ciò, che adolescente lessi un carme del cigno di Teo, il quale modulava il suo desiderio della beltà, per sé ardua, d'un giovinetto, Cleobulo.

Reliquia fragile di tempi remoti, ma ancor fremente d'affetti virili;
lume fioco, quasi estinto fra le tenebre dei secoli, ma ancor fervente d'ardori sublimi.

Innanzi, d'alcun altro poeta o scrittore antico o nuovo, non avevo mai letto pari tributo alla beltà e gioventù maschili:
Anacreonte rappresentava efficacemente quell'affezione, che, dalla mia prima pubertà, m'accendeva, con insolenza, il cuore.

Riporto il carme, che, debbo confessarlo ?, mandai a memoria:

O pai parthenion blepon,
dízemai se, sy d’ou koeis,
ouk eidos hoti tes emes
psykhes heniokeueis.

O giovine di virgineo aspetto,
io pur chiedo te, ma tu non m’ascolti,
né di quest’alma sai,
che tieni stretto il freno.

Dovendo usare d’un nome, affinché potessi accedere a questo e ad altri siti dedicati all’amore della beltà dei giovani maschi, mi parve conveniente eleggere, tra i molti possibili, quello d' Anakreon.


Anakreon.

 

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  • 4 weeks later...

Diva Parthenope, felice, e quanto !,


tu che nutri d’amabil gioventude 


il puro fiore d’Hermes: fa' che crude


non gli fian le preci d’un core affranto !.


 


Impetra, ninfa, ch’ei fero non spregi,


della provetta età d’antico amante,


l’ardore, il desiare, le pene sante,


amaro e dolce frutto de’ suoi pregi.


 


Aulente giglio d’Hermes, stammi accanto,


sì ch'io rimiri di tua grazia i fregi,


all'onesta virtù splendido manto.


 


 


Anakreon fece nel seicentonovantesimo anno olimpico.


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  • 3 weeks later...

Ora trascorri sul fiore dell’onde,


o fuggente bellissimo Delfino,


ora t’immergi nell’acque profonde


violando impavido il seno marino


in fino a’ suoi tesori;


 


ora scintilli nel raggio fulgente


del Sole, ora t’avvolge la Luna


di tenue candore: sempre ridente,


in te la grazia e la beltà s’aduna


quali gemini onori.


 


Godi, stillante di salso liquore,


offendere lieve il canuto flutto;


alto sollevi di spume l’umore,


ratto volando per il ponto tutto,


lieto di nuovi ardori.


 


Del mar, che audace ti carezza e bacia,


oh quanto invidio alla felice sorte,


ond’ei mirarti puote dalla Tracia


in fin che nuoti alle Tirrene porte


tra cerulei splendori.


 


Corri sul pelago cantando il canto


che un dio donò alle tue forme pure;


a te concorre il mio pensier d’accanto


e getta al vento sue moleste cure,


lodando i tuoi decori.


 


Quando nell’aura lucida e serena


saltando inarchi le tue membra alate


di gioventù vibranti in ogni vena,


amabil voce nasce in petto al vate


e porge soavi allori:


 


voce di tenero desio e di speme,


che ancor feconda di poetar mi preme


a pinger tuoi colori.


 


 


Anakreon fece nel terzo anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.

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  • 2 months later...

Rivelazione omerica.

 

 

Carissimo Usignuolo,

 

forse non sai che il luogo in fine del libro primo dell'Odissea, il quale mi riferisti averti molto turbato, fu in età volgare dai censori turpemente mutilato, quando l'amore per i giovinetti suscitava ormai orrore nell'animo dei lettori.

 

In vero un indizio della lezione antica puoi intravedere nel penultimo verso (443), là dove il poeta dice Telemaco coperto d’un vello di pecora, grecamente:

“KEKALUMMENOS (coperto) OIOS  (di pecora)  AOTOI (con un vello)".

 

KEKALUMMENOS  sostituisce l'obliterato PEPHILEMENOS (amato) ed OIOS sostituisce ANDROS (d'un uomo).

 

Restituisco i vocaboli obliterati, così che tu possa leggere l'emistichio antico:

"PEPHILEMENOS ANDROS AOTO (amato dalla virtù d'un uomo)".

 

Preferirei piuttosto tradurre "dalla virtù d'un viro", se “viro” non fosse assai desueto, benché senza dubbio "viro" renderebbe meglio il vocabolo greco ANER, il quale così si distingue da ANTHROPOS come il latino "vir" da "homo".

 

AOTOS è il fiore di qualche cosa, la parte migliore, eletta, eccellente, il vigore, la virtù:

 leggendo quindi OIOS, cioè "della pecora", s'intenderà "coperto coni vello di pecora";  di contro leggendo ANDROS, cioè "dell'uomo", s'intenderà "amato dalla virtù d'un uomo".

 

Ti traduco gli altri versi, che furono abrasi dai censori, ma che ai miei tempi ancora si leggevano, sperando che la tua pudicizia non sia offesa da tanta omerica audacia.

 

 

<<  Euriclea tenendo l'argenteo anello trasse la porta seco e con la correggia il chiavistello distese.

 

Giacque Telemaco, avvinto dal sonno, ed Atena gl'inviò splendidi sogni:

sognò il padre redire alla cara patria, vigoroso ed audace e coll'aiuto del braccio valente del figlio gettare nell'Ade funesto, rapiti dal negro Fato di morte, i pretendenti protervi.

 

Mentre che di questa speme a Telemaco empiva il cuore la dea d'occhi cerulei, Mentore giunse alla porta del talamo, il nobile amico d'Odisseo:

desiderio acerrimo lo pungeva.

 

Levò il chiavistello ed aprì lentamente la porta;   la face che teneva in mano trafisse con un raggio di luce tremola le tenebre della stanza ove Telemaco dormiva.

 

Avido l'uomo mirò lo splendido giovinetto, il quale, sulle coltri di lana disteso, fremeva a causa dei sogni:

nudo il corpo fioriva di maschia beltade, ancor tenera la barba ne ornava il volto e le chiome crespe rifulgevano del color delle viole.

 

Avido l'uomo contemplò l'ampio petto anelante, i ben torniti omeri, i vigorosi lacerti, il muscoloso addome, le lunghe gambe:

in tutte le membra la figlia temibile del Cronide aveva mirabilmente infuso il soave decoro della gioventude.

 

Avido l'uomo scrutò con occhi impudichi i formosi lombi e, coronato di delicata lanugine, il grazioso pube:

a lui s'infiammarono le vene di crudele libidine e gli tremarono le care mani, mentre che temerario concupiva cogliere i dolcissimi frutti d'amore, possedendo intimamente il divino giovinetto.

 

Già pregustava i baci, le carezze, gli amplessi;   già godeva in cuore, prelibando il nettare dei doni d'Afrodite.

 

Soggiacque, in fine, all'impeto della cupidine e giacque accanto all’efebo, saziando il caro desiderio di gioventù e beltade.

 

Accolse ambedue l'ampio letto né Telemaco, nel sonno profondo occupata la mente dai sogni, s'accorse di Mentore audace:

lì egli per tutta la notte, AMATO DALLA VIRTU' D'UN UOMO, meditava in seno quella via che Atena gli aveva indicata.  >>.

 

Oh, come vorrei essere, qual Mentore, accanto al mio dolcissimo usignuolo !.

 

 

Anakreon fece nel quarto anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.

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  • 2 weeks later...
  • 2 months later...

Priapea.


 


 


Fregava un Trace l'asta molle in vano,


ché nulla in ogni membro avea di nervo. 


A me protende al fin l'inetta mano:


"Divo Prïapo, servo"


balbo mi prega "umile Ti sono:


ch'io possa al men goder di mia virtude,


ché maschio mai di sé non mi fa dono,


se non sia vecchio, rude,


osceno, cano,


di turpe suono."


 


"Son Nume salace, non getto al vento


tanta libidine !." gli dico presto.


"D'amabil volto, di melato accento,


pien di vigore onesto, 


casto giovinetto pronto t'accede."


Con fallaci specchi il furace alletto


pollo di Zeus, a che dall'alta sede


rigetti al vile letto


d'intonso mento


il Ganimede.


 


In quel chi viene ?: di Teo l'usignuolo,


Anacreonte, il Greco illustre vate


e s'accende tosto: "Che miro in volo ?,


che mai di forme alate ?:


splendida gioventù che il Sole arretra, 


de l'amore Olimpio desiato foco !."


Che più ?: in una, pulsare la cetra,


cantar soave per poco


e 'l pollo solo


restar per l'etra.


 


Altro che Orfeo canoro e le sue selve !:


l'arte d'Anacreonte scuote le menti,


turba un giovin petto, muove le belve


ad amorosi intenti. 


Crepi il Bistone infesto,


co' nervi lenti:


io non li desto.


 


Trionfi l'Ellade pura e 'l suo cantore,


coronato di vïole e di rose.


A lui concorrano, vinte d'amore,


maschie beltà radiose 


non ancora dall'evo


fatte spinose.


Quindi mi levo.


 


 


Anakreon fece nel secondo anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.


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  • 1 year later...

Crudel, perché frequenti,

in queste notti solitarie, inquiete,

i sogni miei di desiderio ardenti ?.

 

Crudel, perché tormenti,

con soave rimirar d'impervie mete,

i sensi miei pudibondi e silenti ?.


S'infiammano le vene,

se mi costringe il dio nella sua rete,

e grato angor mi dona e miti pene.


Ma lunga via mi tiene,

ch'io non estingua in te l'amabil sete,

che troppo a vecchio core non conviene.


Delizioso fonte, in fra selve orrenti,

s'io placassi, nel chiaro tuo liquore,

gl'impeti dell'amore !.

 

        

        Anakreon fece nel terzo anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.

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  • 10 months later...

Amore ancor m'avvinto e stretto tiene,


sì che, mirando il mio tesoro intento,


altr'io non veda né m'ascolti accento,


mentre che 'l dio m'infuria per le vene


ed acre e dolce e sevo in me lo sento


che temerario osa.


 


Mordemi 'l desio, bel giovinetto,


del soave cor che ti palpita in seno:


tutto m'infiammi e al foco non ho freno


ché già sperare me l'accende in petto


dei casti sensi tuoi godere appieno;


né mai speme si posa.


 


Verecondo e lieve e candido fiore,


baciar vorria de' tuoi petali il manto,


s'io non temessi non violar l'incanto


che in te l'ardente gioventù e 'l pudore


amabilmente sposa.


 


Pur s'entro mi pungi con spina vera,


quando il pensier di te sognando spazia,


virtute in me rinnova la tua grazia,


si profuma di te questa mia sera,


o purissima rosa.


 


 


Anakreon fece nel terzo anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.

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  • 3 years later...

Non più sospiri,

lieve Zefiro, in cielo ?;

non più turbar desiri

l'ombroso velo,

in che 'l mio mesto cor involvo e celo ?.

 

Che val d'amore

patir l'ardente spina,

se all'ossequio d'onore

l'ingegno inclina ?;

se m'agghiaccia i sensi virtuosa brina ?.

 

E mentre indugio

in tra 'l novo e l'antico,

perscrutando un rifugio

in ogni amico,

fugge ‘l tempo a gioventù inimico.

 

Già m'odo il remo

di quel nocchiero inferno

e inorridisco e temo,

ché ormai discerno,

quanto un giovine aborra 'l nudo inverno.

 

Fors'è vendetta di femmineo Nume,

che, spregiato, m'invidia

gustar d'un efebo le caste piume ?.

 

Anakreon fece nel terzo anno della seicentonovantacinquesima Olimpiade.

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  • 2 weeks later...
  • 5 weeks later...

Any, caro, hai fatto bene ad aggiornare la foto nel profilo anche se c'è il pericolo che non attrarrai proprio i giovinetti (c'è @marce84 che cerca disperatamente un amante ma non so se gli vada bene greco) ma prima di tutto devi scendere dal Parnaso... IoI

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