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Bidimensionale


DoubleJeu

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Chissà come sei. Riesco ancora ad indugiare in questi pensieri mentre i minuti scorrono. É che i minuti passano veloci. Quasi sempre scivolano tra le ore. Così. Come onde che si infrangono sulle attese. Quasi sempre.

 

Si perché quando non hai qualcosa da fare, i minuti si fanno giganti. Spaventano come i sogni da bambino. Ti appaiono scuri. Fanno un suono che rimbomba tutto intorno e fa paura. Ora rincorro questi istanti cercando di capovolgerli nella mente. È l'immagine di te che provo a figurarmi. So come sei. All'incirca. So come sei a due dimensioni. Ho visto le foto che mi hai mandato, più o meno esplicite. Hai un viso deciso. Quello di una persona che ha successo,

nella vita.

 

Provo a sovrapporre quel poco che so di te al tuo volto abbronzato. Gli occhiali neri non nascondono ma enfatizzano il tuo brio. Ti immagino sulla tua auto potente. Corri qua e là, tra clienti e capitali europee. E poi torni a casa da tua moglie. Non so com'è, ma mi hai scritto che è bionda ed algida. No. Non è questo il termine che hai utilizzato. Algida è un termine un po' desueto e tu non lo sei di certo. Tu sei alla moda. Pronto e veloce e rombante. Nulla ti blocca. Neanche tua moglie, bella d'una bellezza che si proietta intorno come un'ombra. Neanche i tuoi figli, che stanno crescendo. Quest'anno sono scappati da casa. Per studiare, ovviamente, ma sono scappati.

 

Mi domando. Ti andrò bene? Anche tu mi hai visto. Ti ho mandato le mie foto. Anzi, quelle sono state le prime che hai visto. Il mio profilo le ostentava in prima pagina. Dietro, tutto il resto. Quindi sai come sono e pressappoco quello che voglio. Ho detto tutto. Ho pensato: "è inutile nascondere o mentire. Vediamo quello che accade, adesso".

 

Non sei il primo che incontro, in questo modo. Altri sono passati. Ho visto tanti volti. Ho cercato parole. Il suono caldo e tridimensionale delle parole. Discorsi. Una continuità che da lungo tempo mi manca. Sono come un asintoto che si avvicina al proprio zero. Ma mai lo raggiunge. Non lo nascondo, non te l'ho nascosto. È successo tutto. Questi uomini li ho incontrati in alberghi e in automobili e in ristoranti. In centri commerciali, in palestre. Con uno ci siamo incontrati in un aeroporto di confine. Aspettava una coincidenza senza riuscire ad aspettare. Due ore d'aereo per fare sesso chiusi in un bagno della zona arrivi. Ho provato tutto. Ho esplorato di tutto. Ho deciso di non negarmi nulla. Ho sempre pensato che se avessi tentennato, qualcosa - quel qualcosa - mi sarebbe sfuggito. Forse per sempre.

 

Entri dalla porta del ristorante. Sei bello. Non solo per il tuo volto radioso e sicuro. Ma per quella matura consapevolezza dei gesti che ti fa lievitare sopra tutto. Se mi metto ad ascoltare i pensieri che penso, adesso, non posso che riflettere sul fatto che tutto sia già deciso. E che il dolore, come sempre, sarà inevitabile. Che dovrei alzarmi ed andarmene via e tentare di vivere normalmente. E invece rimango qua, con l'incanto che illumina il mio volto che osserva il tuo.

 

-Ciao-, mi dici.

Rimango un secondo in silenzio. Attendo che la tua voce si depositi nella coscienza. Che aspetti uno squillo cristallino che mi svegli dalla mia trance?

Poi rispondo: -ciao-.

-È bello vederti-.

Accompagni queste parole con dolcezza. Sei tranquillo e sereno.

-Si. Anche per me-.

 

Ti sei seduto. Abbiamo ordinato. Anzi hai ordinato. Di certo sai come condurre i giochi. Sai trattare. Non vuoi perdere l'appiglio. Preferisci rimanere in una posizione predominante. Non mi vuoi concedere nessun vantaggio. Che pregevole accoppiamento tra vino e cibo. Hai buon gusto. Lo alleni da sempre. Mi tratti come una ragazzina, giovane ed impaurita. Abbassi la voce quel tanto da conferirle il tono più virile che sai. Probabilmente ritieni che questo mi impressioni. E non sbagli. Mi eccita da morire.

 

L'unica cosa che vorrei capire è il tuo vero essere. Come ti ho detto, tanti ne ho visti. Tanti ne ho conosciuti. Non mi faccio illusioni. Dal modo in cui mi presento, su quel sito di incontri, non si può che concludere questo. Ho preferito la sincerità. Sono come mi vedi e cerco quello che dico. Anche se può sembrare strano. Anzi, forse proprio perché può sembrare strano. Ecco, dicevo, quello che vorrei capire è se anche tu sei come gli altri. Non ricordo gli stessi istanti di quei momenti diversi che ho vissuto con altri. Non riesco a focalizzare se anche quei minuti, tra un'ora e l'altra, sono stati un'attesa ansiosa. Il cuore che palpita sempre più forte. Scandisce i respiri che si rincorrono l'un l'altro sino a che non resta un gridare oscenamente. Solo che dopo non c'è più nulla.

 

Ti sembrerà strano. Anche perché, via via che la cena procede, ti trovo piacevole. Forse sto attraversando quella soglia curiosa che mi è sempre stata negata. Mi racconti della tua famiglia. E mi dici che hai sbagliato tutto. Se solo potessi tornare indietro cambieresti la tua vita. Un bello schiaffo al futuro che, remoto, è oramai passato. Per farlo rotolare giù. Fin giù dove scorrono quelle acque limpide. Quelle in cui, hai detto, vorresti tornare ad abbeverarti di nuovo. Se l'alcol fosse un po' più concentrato, nel mio sangue, penserei che parli d'amore. Invece, lucidamente, dico che mi piaci. Certo, come già dicevo, non mi illudo. Noi due siamo solo una notte che ci consumerà velocemente.

 

Il fatto è che nella notte non ho mai scorto i profili. Ho visto dei contorni disegnare sagome. E le ho rigirate a non finire, per cercarne dimensioni ed angoli. Ed invece erano sempre figure piatte. Come i muscoli ed i volti e gli organi che scivolavano nella mia casella di posta elettronica sottoforma di bitmap di varia qualità.

 

Ok, ho scoperto il mio gioco. È che mi piaci da morire. Sembri diverso. Non voglio un uomo che mi ami. Voglio un uomo che sappia amare. A me bastano quelle poche ore. Quelle che dividono la luce dalla luce. Una lunga notte di ombre nella quale, però, riuscire a percepire i tuoi contorni. La dimensione cruda del tuo pene. Ed il tuo animo che ne accompagna, con passione, la corsa dentro me. Non voglio toglierti alla tua 'algida' moglie. Mi basta che mentre senti la mia gola che ti ingoia completamente tu sappia sputarmi addosso la tua passione. Vera e genuina.

 

Provo a capirlo dai tuoi sguardi. Ipnotici per tutta la sera. Durante la cena e poi in macchina.

Non hai avuto pazienza. Mi hai baciato lì. Appena usciti dal ristorante. Abbiamo fatto pochi chilometri. Solo per inoltrarci nella campagna. E poi, finalmente, urlarci nel volto.

 

Sai una cosa. Per un attimo ho percepito la dimensione. Poi, ad un tratto s'è sgretolato tutto. È successo dopo che ti sei asciugato il cazzo con il kleenex. Lo hai buttato fuori dal finestrino ed hai acceso la macchina senza dire nulla. Hai guidato sino al parcheggio. Non ho neanche provato a baciarti. E non ti ho detto una parola. Ho visto la tua auto andare via e la tua

immagine perdere lentamente definizione. Fino a che non è rimasto che un punto. Rosso e piatto. Sullo schermo nero del giorno che si prepara a nascere.

 

Ho sbagliato. Ancora una volta, ho pensato. Mentre salgo in auto, mi sorprendo che queste avventure non mi facciano neanche più male. Non sento più dolore. Mi osservo nello specchietto. Stringo il nodo della cravatta. E scompaio anche io. Come un puntino.

 

 

"Tutti gli esseri della Flatlandia, animati o inanimati, qualunque sia

la loro forma, presentano "al nostro occhio" il medesimo, o quasi il

medesimo aspetto, quello cioè di una Linea Retta. Se dunque tutti

hanno lo stesso aspetto, come si farà a distinguere l'uno dall'altro?".

 

Edwin Abbott Abbott - Flatlandia (1881)

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  • 7 months later...

Riflessione interessante ... è difficile esprimere un giudizio "narrativo" senza scivolare nelle considerazioni personali su quanto si racconta (ma non lo farò).

 

Mi piace il modo fluido e indiretto come imbastisci la realtà dell'incontro con la descrizione spesso metaforica del modo in cui i due amanti si sono incontrati. 

Stride un po' lo squallore del rapporto sessuale, nel senso che vai fuori registro nel lessico. La metafora di cui ti avvali nel resto dello scritto a tratti viene meno. Forse volevi usare la forza di termini diretti per sottolineare proprio lo scadere nel mero gesto sessuale ... magari dare la terza dimensione reale all'immagine bidimensionale dell'aspettativa ... però stride troppo ... e poi credo che il bidimensionale dell'immagine formato web come allegoria della clandestinità di un bisessuale, debba essere esplicitata da qualche parte. Io e te lo sappiamo, ma per il resto potrebbe essere fraintesa per omosessualità velata, quando non essere capita per niente. 

 

Le citazioni si usa metterle a cappello del racconto per dar modo al lettore di ritrovarne i riferimenti durante la lettura. Del resto il finale del puntino rosso come su uno schermo è veramente un'immagine molto bella. Interrompere in quel momento darebbe proprio il senso di vuoto che lascia quell'incontro. Una storia interrotta e senza futuro, i cui protagonisti si perdono anche per il lettore. 

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