Jump to content

Il sospiro del Drago (Coloro che ascoltano ..) - Romanzo Fantasy


Silverselfer

Recommended Posts

Silverselfer

Doveva accadere prima o poi perché sono sempre stato affascinato dal mondo fantasy. Affascinato e non appassionato, nel senso che ho sempre amato le storie di Tolkien, anche se non ho mai terminato di leggere "Il signore degli Anelli". Tuttavia, ho amato nomi meno noti come Andre Norton, alla anagrafe Alice Mary Norton, che si cambiò il nome perché all'epoca il fantasy era parecchio maschilista. Ma lei non è una purista e in realtà si dedicò molto anche alla fantascienza, ma a me piace proprio quando fa delle contaminazioni, tipo nel terzo volume dei "maghi di Estcarp". 

 

Ma insomma, complice la relazione con un appassionato di D&D, ho assorbito il mondo dei Dungeons. Di cui mi sono meravigliato di quanta minuzia ci sia nella descrizione delle razze e dei mondi in generale. 

 

Per farla breve, dopo aver guardato una dopo l'altra le serie già trasmesse del "Trono di Spade", mi è venuto di getto abbozzare il canovaccio di un mondo fantasy. Ora lo sto riordinando e prima di cominciare con la vera e propria storia, passo a raccontare le origini da cui scaturisce tutto.

 

Avrei tanto voluto disegnare una mappa, fondamentale per un romanzo fantasy, ma proprio non sono riuscito a realizzarne una decente. Anzi, se qualcuno sapesse farlo ...

 

Io sono mediterraneo e quindi spero di dare al medioevo cui m'ispiro, un sapore diverso da quello tipico degli autori fantasy anglosassoni. 

 

Infine, vorrei dedicarlo a una certa persona ... ora basta che le prefazioni sono ammorbanti. 

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

                            tumblr_mp7jwids3m1s1l65to1_400.jpg

 

 

Coloro che ascoltano

Il sospiro del Drago

 

 

 

 

 

***

 

 

La Leggenda

 

 

 

Capitolo primo

 

 

Dormund il cavaliere dei giganti

 

 

 

 

Jhiaddah ustals miu add Dormund, pest moleg utta frost ... eddalai ... eddalai ... Jhiaddah relog pest.

 

Nell'era del fuoco il mondo era incendiato dal sangue caldo della terra, che veniva su dalle viscere eruttando in fontane di lava. In quei rivoli ardenti, in cui anche la pietra sfaldava, giunsero dai meandri del mistero delle uova che si schiusero, donando al cielo quanto fin a quel momento era appartenuto al fondo. Creature dall'aspetto mostruoso si librarono in volo spiegando ali di pipistrello, facendo piovere fiamme sulle città della civiltà dei giganti.

 

... muah! Add mo addah. Dormund cost moleg giabbah ... Fiu Jhiaddah ustalas utta frost ...

 

I giganti dettero a quelle creature il nome di draghi e li combatterono con spade forgiate nelle stesse fucine da cui erano scaturiti i loro nemici. A cavallo di maestosi sauri, lanciarono alte le picche e non ebbero pietà delle creature figlie del fuoco. Le battaglie si moltiplicarono quanto almeno le vittorie della stirpe dei giganti. La fiamma soffiata dai draghi incendiava il coraggio di quanti si lanciavano in difesa del proprio castello. Le teste di drago finirono a ornare le mura delle sontuose città, mentre gli amanuensi trascrivevano le gesta degli impavidi cavalieri.

 

Abbattere un drago divenne tra i giganti l'onore più grande cui potessero aspirare. Le uova che prima si cercavano per sottrarle al fuoco che le avrebbe fatte schiudere, vennero di nuovo scaldate affinché baldi cavalieri se ne servissero in particolari giostre, al termine delle quali tutti allungavano il proprio calice al gozzo squartato del drago per suggerne l'ardore nel sangue.

 

Miu adali ... miu Jhiaddah ... estalah fiu moleg add lami uttah.

 

I giganti non compresero che quelle creature erano più di quanto potessero vedere con i soli occhi. Esse erano gli eoni di un'entità che si espandeva attraverso il sangue asperso dei draghi. Ogni anima che ne sorbiva l'essenza, acquisiva la coscienza di sé, iniziando così il proprio cammino per il paradiso. Ogni radice che suggeva quella ninfa, ne faceva fiorire virtù e maledizioni. Per quanti, invece, esercitassero già un libero arbitrio, il sangue del drago ne avvelenava la genitura. Fu così che, ignara, la civiltà dei giganti entrò in declino.

 

Moss add mott, fast Jhi miu codalai ... miu edalai ... kedrum stu add postul; notram esh add solimmah pest.

 

La scienza, incapace d'interrogarsi su dei perché che fuggivano l'antico ordine della natura, imparò a trarre beneficio dalle conseguenze che ne scaturirono. Gli speziali ricavarono medicamenti dalle nuove erbe capaci di allontanare la morte, prolungando la stirpe dei giganti ormai incapace di sopravvivere in altro modo. Il bisogno di preservare se stessi, fece sì che l'arte degli speziali dominò tutte le altre.

La società dei giganti mutò profondamente. Essa perse quei tratti ardimentosi tipici di una società giovane, acquisendo le virtù della saggezza dovuta al protrarsi della vita terrena.

 

Fish miullah add potra suck at fiù most ... at miù pest. Jhiaddah reblast gram at notrom edalai.

 

Il mondo antico si addormentò per più di un secolo, tanto che gli amanuensi cominciarono a pensare un nuovo nome da dare a quell'epoca, in cui il fuoco nelle viscere della terra pareva essersi spento. La civiltà dei giganti si arroccò nelle sue città, mentre nel mondo un suo gene aveva in qualche modo corrotto se stesso, dando origine a una nuova razza bastarda chiamata Humana. Il bisogno li spinse ad addestrare gli humani per farne dei servitori.

 

Est mui fast, godrum miu add leilah. Poshia sik estalah moleg putlashai uttah.

 

Ma l'era del fuoco non si era ancora conclusa. La terra prese a rabbrividire a quanto stava per accadere. Vulcani spuntarono fuori dalle acque del mare e dal loro fuoco sorsero nuove isole, mentre il suolo s'increspava formando picchi che parevano sfiorare il cielo. In seguito dei terrificanti cataclismi, una dopo l'altra le gloriose città dei giganti diruparono. I draghi ripresero a dominare i cieli e i giganti che non avevano più l'ardore di combatterli, ripararono sulle montagne.

 

Ou shi ... Ou thi ... Oi add moleg gianis fiu godrum! Dormund miu adalai ...

 

Mordena della famiglia dei Gottardi fu rapita da un drago mentre era andata a raccogliere bacche. Quando ormai anche i suoi famigliari avevano smesso di piangerla, lei si ripresentò gravida all'accampamento itinerante. Mordena disse che il drago che l'aveva rapita si era ferito lottando con un altro della sua specie e lei lo curò. Giorno dopo giorno, si accorse che insieme alla salute del drago, le cresceva nel grembo anche la sua gratitudine. Fu lo stesso drago che la prese delicatamente in groppa per riportarla tra la sua gente. Il bambino che nacque era Dormund, il predestinato.

 

Salimen poshia add fahed ... notrem blosdrum miu falesh ... Astamira koda putram-desh at gianis.

 

Il bambino cresceva in modo smisurato e a pochi anni già raggiunse la considerevole altezza di tredici spanne. Quando era ancora un giovincello, afferrò un drago in volo e ne staccò via la testa con un sol gesto. Fu grazie a Dormund se la sua gente smise di fuggire e edificò la città di Astamira. Tuttavia il ragazzo era troppo irrequieto affinché restasse allungo in quel luogo, dove il più giovane aveva qualche centinaio d'anni sulle spalle.  Accecato dalla voglia di avventura ed ebbro della propria prestanza fisica, partì a caccia di draghi che oramai lo temevano fuggendo al suo arrivo. Fu quando oramai se ne vedevano assai pochi che dal ventre della terra venne al mondo Jhiaddah.

 

Ustala  etalai at frost notrem godrum cut ... Jhiaddah est godrum hat ... Jhiaddah est Motta fiu Jhiaddah ...

 

La terra tremò per tre giorni e quattro notti, quando il picco più alto delle montagne esplose oscurando il sole. La coltre buia della notte avvolse ogni cosa, mentre la montagna, divenuta un ventre squarciato, perdeva il suo sangue lavico in rivoli che ardevano fino giù nelle valli. Durante il travaglio, il vagito di Jhiaddah faceva rabbrividire il mondo. Al decimo giorno il drago serpente abbandonò il vulcano, spiegando il suo lungo corpo per miglia e miglia, fino a tuffarsi nel mare e poi tornare indietro.

 

Hasha husta dom uttah, godrum suma anah "Motta Jhi" add erami frost ... eddalai posha add Jhiaddah.

 

Il fuoco di Jhiaddah incendiò il mondo, ma nel suo alito non c'era la morte. Ogni fiammata inceneriva il presente per generare ancora futuro. Per i giganti che vivevano in un presente imperituro, non c'era speranza di sopravvivere a quelle fiamme. Gli speziali non riconoscevano più le proprietà delle piante che morivano e rinascevano sempre diverse, tanto che la caducità dei loro corpi prese a galoppare.

 

Oi rah et mui add raheimi. Fahllah pest midra comm husta dom Misapea ... inalahize fedrum spek ...

 

Le catacombe scavate nei dintorni di Astamira sarebbero diventate presto la tomba dell'antica civiltà dei giganti, se Dormund non fosse tornato a difendere la propria razza. La leggenda narra che il prode cavaliere fosse divenuto così alto e possente da non poterne scorgerne il capo per quanti lo guardassero dal basso.

Giunse ad Astamira in groppa a Misapea, un sauro alato dalla criniera fiammeggiante e la pelle squamata dura come una corazza, gli zoccoli anteriori avevano artigli e i due posteriori erano dotati di speroni avvelenati.

 

Ustash add ustash podraim bogra pet us Dormund "Ip Ah Rash" ... emnalai pest.

 

Le genti abbandonarono le catacombe per giungere ad Astamira e sincerarsi che il predestinato era tornato a liberare il suo popolo. Grandi furono i festeggiamenti, durante i quali le campane suonarono in spregio alla paura che le aveva legate. Le grandi casate fecero dono al cavaliere delle loro armi più gloriose e misero al suo servizio l'arte dei propri speziali, tutto al fine di ricacciare nella terra l'ira della madre dei draghi.

 

Astamira add sum et uttah podram est ... Ip Ah Rash bogra gianis uttah analai godrum motta Jhi pest ...

 

Dormund a cavallo di Misapea mozzò più di cento teste di drago, giunti sulla città attratti dal suono delle campane e quando Jhiaddah spiegò il suo corpo da serpente alato, il cavaliere dei giganti inforcò la picca più lunga e le corse incontro. Il fuoco di drago non poteva ledere il predestinato perché il suo sangue proveniva dalla stessa fiamma. La picca di Dormund accecò la madre dei draghi, così Misapea uncinò con gli speroni il suo dorso, permettendo a Dormund di saltarle in groppa. "Eleocedra" la più gloriosa di tutte le spade della stirpe dei giganti, si conficcò ancora e ancora nel collo di Jhiaddah, nel vano tentativo di strapparne via il capo, ma la madre dei draghi non poteva morire in quanto genitrice della morte stessa.

 

Bogra gianis  uz posha Elocedra at shi oi thai enalai ... Jhiaddah podram has, mui est motta add uttah pest ...

 

Il sangue di Jhiaddah fu sparso su tutte le terre conosciute, che incendiarono nel suo fuoco procreatore. Quando Dormun scavò con Eleocedra nelle carni del drago, fino a violarne il petto ... Jhiaddah s'infilzò con i propri artigli, strappandosi il cuore. Lo stringeva in pugno insieme al bardo cavaliere che non esitò un solo attimo a infilzarlo più volte. La glaciale lama di Eleocedra aprì un varco nella rocca della vita, la cui brace iniziò ad affievolirsi.

 

... mott est fiù Jhi post edalai ...

 

Il corpo di Jhiaddah precipitò al suolo pietrificando e dal suo ultimo anelito, freddo com'è la morte, gelò il proprio cuore tra gli artigli. La sinuosa catena montuosa dei monti Apalagi altro non sarebbe che il corpo inerme, ma mai morto, dell'antica madre dei draghi, il cui suo sonno agitato farebbe sussultare ancora le montagne. A nord est della catena montuosa si ergono i tre picchi più alti, chiamati appunto gli artigli del drago (Jhiaddgrow), mentre il grande ghiacciaio che per diverse miglia scende verso valle, la tradizione vuole che sia il cuore ghiacciato di Jhiaddah. Dalla ferita inferta da Eleocedra sgorga la sorgente dell'omonimo fiume, che dopo le imponenti cascate di Normenia, si getta nel grande lago di Mordena, da cui proseguirà poi fino al mare, portando con sé la prosperità delle sue acque navigabili. 

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

... cioè? Le frasi in gigantese non le hai trovate abbastanza originali?   :scratchhead:

 

Si tratta di un'espediente "cinematografico" come una sorta di voce narrante, anche se incomprensibile, serve a creare un suono, colore ... come la cornice di un quadro che non si è tenuti a guardare, ma valorizza la tela che si espone. 

 

No, non è gigantese ... quella dei giganti è una società evoluta, dotta ... basti ascoltare la musicalità delle vocali in nomi come "Eleocedra". Questo linguaggio è mono o bisillabico, direi quasi gutturale ... espressioni come Mhua! Add mua addah ... sono quasi onomatopeiche, cioè, esprimono quanto scatenano nell'ascoltarne il suono. Tuttavia, gli intercalari come . eddalai ... eddalai o l'esistenza di suffissi come "drum o leg", lascia pensare a una successiva evoluzione culturale dovuta al contatto con una società più progredita ...

 

Tutti indizi che mi piace pensare che dicano di sé con dei suoni che non sono stati certo messi lì a caso. Per il resto non voglio dire di più, si scoprirà dopo a quale popolo appartiene la lingua della voce narrante. Tanto da ora in poi diverrà solo un appunto introduttivo ai capitoli della leggenda. 

 

Ma ora basta! Non bisogna darmi spago sui lavori del dietro le quinte dei miei scritti ... XD.

 

CMQ - Grazie eh! Ora torno a scrivere  :mail:

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Secondo

 

 

La Rivolta degli Humani

 

 

 

 

 

Usthash add Astamira godrum fed gianis pek at edalai ... oi shi ... oi thi ... Muah! Add mo addah, Humani relog posha miu add melodia grom at fehell soliman pest ...

 

 

Astamira fu abbandonata e i superstiti della gloriosa stirpe dei giganti ridiscesero dalle inospitali montagne per tornare nei loro antichi regni. Grande fu lo sgomento delle genti humane che li credeva oramai remote leggende da cantare nei lupanari.

Gli araldi delle famiglie nobili sfilarono in parata, portati dai sauri più imponenti in paramenti di seta. Le dame indossavano vesti pregiate e gioielli preziosi, mentre gli uomini sfoggiavano le antiche corazze che avevano sfidato i draghi. Tutti a seguito di Dormund che incuteva rispetto e timore a cavallo di Misapea. Grande fu la delusione nel non ritrovare l'antico mondo che oramai esisteva solo nella loro vetusta memoria. Le gloriose città di un tempo erano ridotte a ruderi inospitali, mentre i contadi sovrabbondavano di quei loro rozzi e rissosi cugini. Lo sconforto di non capire il nuovo mondo sorto dalle fiamme di Jhiaddah, finì per gravare su degli spiriti già molto provati dal peso di una lunghissima vita.

 

Gli humani ignoravano le loro origini e ne temevano le manifestazioni chiamandole "magia". La superstizione e il bisogno li spingevano a estirpare o uccidere quanto li spaventava. L'arte degli speziali fu presto vista di cattivo occhio dai loro sacerdoti, servi del culto della cipolla e della patata.

Quando gli amanuensi redissero l'editto in cui si proibiva di estirpare le già rare piante nella cui linfa ancora scorreva l'essenza dei draghi, ci fu una rivolta in tutte le contee e furono assaltate le rovine dei palazzi in cui avevano riparato le famiglie dei giganti. Iniziò una caccia spiritata alle pergamene che custodivano l'antico sapere degli speziali. I borgomastri organizzarono un esercito per liberare gli humani dalla tirannide dei giganti, mentre i santi postulanti predicavano quanto gli adepti del Dio Drago tramavano per far risorgere dalle proprie ceneri la malefica bestia.

 

Molti giganti furono catturati e la particolare ferocia con cui fu sterminata la casata dei Bonardi, le cui membra furono date in pasto ai cani, suscitò un profondo sconforto che spinse i giganti a riparate a nord, sulle montagne pre-apalge, dove sorgevano le rovine di Normenia, di cui le imponenti mura erano pressoché intatte.

 

Fu organizzato un drappello di vegliardi cavalieri che a seguito di Dormund si prepararono all'estrema difesa di Normenia. Gli humani si erano riuniti nella lega dei borgomastri e avevano raccolto un'orda di qualche migliaio di anime. Le quali prima di giungere a Normenia seminarono il terrore tra le loro stesse genti.

 

Normenia fu cinta in assedio e si narra che il loro generale Rolando d'Aronne fece mozzare la testa a tutti i giganti catturati, per poi caricarle una a una su un trabucco che aveva fatto acchitare personalmente per ottenere una gittata infallibile. Le teste caddero tutte entro le mura e seminarono l'orrore. Quei volti stravolti dalla morte che per secoli avevano avuto accanto, gettarono i giganti nell'afflizione di un destino inevitabile. Essi avevano affrontato fieramente dei draghi, eppure nulla era al confronto della sadica e vorace efferatezza della razza humana.

 

Dormund ordinò al drappello di cavalieri d'infilare la cotta di maglia e seguirlo per sterminare quell'infida genitura. Una mossa assai avventata, poiché Rolando d'Aronne aveva sperato proprio in quell'azzardo per attirarli in una trappola. Appena i cavalieri si lanciarono sul campo di battaglia, gli humani scoprirono le balliste armate di dardi dalla punta fatta con quel metallo che gli stessi giganti avevano insegnato loro a forgiare nelle fucine laviche. Le corazze furono divelte e i corpi dei cavalieri disarcionati dalla potenza dei dardi.

 

Le punte di metallo non scalfirono la pelle dura di Misapea, che spiegò le sue ali alzandosi in volo, portando in salvo Dormund. Tuttavia, lo scaltro Rolando d'Aronne aveva considerato anche questo gesto e ordinò di scatenare un assalto alle mura della città, sicuro che l'attacco avrebbe costretto Dormund a ripiegare in difesa di Normenia. Nel frattempo furono recuperati i corpi morenti dei cavalieri trafitti dai dardi per issarli su delle croci, poi fu suonato il corno e l'orda ripiegò nelle retrovie.

 

I corpi dei cavalieri erano straziati dai corvi, che per sfamarsi ne cavavano avidi le viscere. Tutti i giganti salirono sulle mura per assistere impotenti a tale ingiuria contro la vita. La nobiltà d'animo di Dormund non poté assistere inerme a tale affronto e si lanciò di  nuovo sul campo di battaglia.

Dormund scese da Misapea e sradicò quelle croci, degni simboli della viltà humana. Sciolse chi era nato orgogliosamente libero perché lo fosse anche dinanzi alla fine. Maledì quei suoi nemici che se ne rimanevano impassibili dinanzi a tanta pena, come bestie ignare della mattanza di cui erano artefici.  

Dormund stava tornando presso Misapea per cavare Eleocedra dal fodero della cavalcatura e donare ai cavalieri un'onorevole morte, quando Rolando d'Aronne alzò il braccio sinistro in cenno ai suoi, che armarono i trabucchi acchitati proprio per colpire il punto dove erano state issate le croci dei cavalieri morenti.

 

Una pioggia di otri di fuoco greco piovve dal cielo sul cavaliere dei giganti, che fu immediatamente avvolto dalle fiamme.

Si trattava di un fuoco diverso da quello che scorreva nelle vene di Dormund. Esso possedeva l'ardore dei draghi, da cui scaturiva la scintilla rigenerante della vita, mentre il fuoco degli humani era stato creato per dilaniarla in una sterile fine.

 

Dalle alte mura di Normenia, tutti assistettero all'ingloriosa fine del loro campione. Sua madre Mordena corse dunque sulla torre di ponente, la più alta e prospiciente la vasta depressione su cui si affacciava la rocca della città. Chiamò a sé Misapea e andò con essa a recuperare la carne della sua carne. Le zampe uncinate del sauro incendiarono insieme al corpo di chi l'aveva guidato in tante gloriose battaglie, ma non lo lasciarono cadere fino a quando Mordena non lo guidò nelle acque del fiume Eleocedra, a monte della cascata che si lanciava a strapiombo dal muro di roccia che delineava il confine nord della depressione sottostante.

 

Tuttavia, quelle acque che sgorgavano dalla ferita che Dormund stesso aveva inferto al cuore di Jhiaddah, non soffocarono il fuoco che continuò a dilaniare le carni del cavaliere. Mordena impazzì dal dolore mentre assisteva impotente allo scempio che quelle fiamme stavano compiendo sul corpo del figlio; dunque afferrò l'elsa di Eleocedra e la sguainò dal fodero della cavalcatura di Misapea. Alzandola al cielo, invocò il perdono di Jhiaddah, maledicendo quella lama che nel filo dritto aveva difeso il suo popolo, ma nel rovescio aveva leso l'amore che arde e per questo brucia se stesso generando sempre una nuova aurora.

Mordena volse la punta di Eleocedra al petto del figlio e gli donò la grazia che la giustizia ci rende per i nostri sbagli.

 

Il sangue sgorgò vivido dal cuore di Dormund e macchiò di rosso le acque che gelarono in un brivido di stupore. Come un nervo, quel fiume vibrò fino al cuore di Jhiaddah, che diede un colpo facendo tremare il mondo e poi si sciolse in un pianto che ingrossò il fiume. Un'onda irresistibile giunse raddoppiando e triplicando se stessa in quella corsa piena di desolante afflizione. Travolse ogni cosa gettandosi giù dall'alta rupe e non si fermò mai più.

 

Mordena ne fu portata via e rimase sepolta nelle acque con Eleocedra che stringeva in pugno. La depressione che dominava la rocca di Normenia si empì del dolore di chi piange i propri figli caduti in battaglie ingiuste.

 

Il vasto lago che si formò sotto le imponenti cascate di Normenia, prese il nome di "Lago di Mordena". Le storie dei pescatori narrano delle anime dannate dell'esercito di Rolando d'Aronne, che di tanto in tanto si aggrappano alle loro reti. C'è addirittura chi dice di averne vedute alcune sotto il pelo dell'acqua chiedere venia per essere messe in salvo; ma la tradizione vuole che nessuno debba tendere loro la mano, se non possiede il cuore scevro da ogni ingiustizia, altrimenti egli stesso sarebbe tratto nel lago, rimanendone prigioniero per l'eternità.

 

Mordena che giace sotto le acque a vegliare la tomba del figlio, divenne un simbolo di giustizia e sacrificio. Si narra che chiunque sia puro di spirito e si bagni nelle acque del lago chiedendole aiuto per punire quanti si siano macchiati di un delitto, ella gli farà dono di Eleocedra per riportare equità sulla bilancia della giustizia.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Terzo

 

 

Il popolo degli Apalagi

 

 

 

Durante la battaglia di Normenia caddero i giganti più valorosi. Le genti rimasero entro le mura della città per diversi giorni a piangere la sventura di essere ancora vivi. Nessuno trovava in sé la voglia di rimettersi in piedi e soprattutto infondere negli altri l'entusiasmo di una qualsiasi scelta. Eppure una decisione doveva essere presa.

 

Oramai c'era penuria di ogni vettovaglia, quando la gilda degli speziali si riunì per discutere i provvedimenti necessari alla sopravvivenza dell'antica stirpe dei giganti. Fu steso un editto in cui s'invitava tutti a lasciare Normenia prima che gli humani la cingessero di nuovo in assedio. Gli speziali proposero di tornare nel luogo che aveva dato loro riparo negli ultimi secoli: Astamira.

 

La decisione della gilda parve a tutti molto sensata e quella fu solo la prima di tante altre scelte che essa prese in nome del bene comune. Ai cavalli furono tolti i paramenti da combattimento e montato il giogo per trainare i carri. La carovana si diresse a nord est, verso i tre picchi degli artigli del drago.

Ripercorrendo a ritroso la via dell'esilio, quelle impervie terre li accolsero con i ricordi legati a quanti avevano perso la vita nel grande ritorno agli antichi regni. Miglio dopo miglio, salì nel cuore di tutti la convinzione che quelle montagne erano la loro unica casa.

 

L'esperienza del grande ritorno era durata cento anni, una breve parentesi nella lunga memoria dei giganti, tuttavia era molto tempo per il resto del mondo. La carovana giunse ai piedi della rocca di Astamira sul far della sera e fu grande lo stupore nel vedervi dei fuochi accesi. Sulle prime temettero che gli humani li avessero in qualche modo preceduti e cinto in assedio le mura della città, ma poi la ragione gli ricordò che quella che avevano percorso era la sola strada per giungere ad Astamira.  

 

Dopo che i giganti avevano abbandonato la città, un altro popolo approfittò del riparo che fornivano le sue mura; si trattava del popolo degli Apalagi. I giganti non dettero mai loro un nome specifico e per il vero neanche il popolo degli Apalagi sentì mai il bisogno di darsene uno. Erano degli strani pastori che dicevano di appartenere al loro al gregge di cervicapre, che ogni clan seguiva in giro per le valli tra le montagne. Essi erano dunque nomadi e non usavano costruire null'altro che una tenda da montare e smontare il più rapidamente possibile.

 

Erano genti assai schive e i cavalieri erano entrati in contatto con loro per via delle strade che essi avevano tracciato per spostarsi a cavallo, le quali presto furono usate anche dal popolo degli Apalagi. Nessuno però sentì mai il bisogno di rivolgergli una parola, neanche quando durante una battuta di caccia si abbattevano gli esemplari più imponenti delle loro cervicapre. I versi gutturali con cui si esprimevano non parevano certo essere un vero linguaggio. Era, infatti, pensiero comune che essi appartenessero a qualche famiglia animale evolutasi a seguito dell'aspersione del sangue di drago.

 

Del resto il loro aspetto non lasciava certo sperare che ci fosse più della vergogna di coprirsi con delle pelli. Essi erano di corporatura così minuta da non superare in altezza un maschio di cervocapra. Portavano in testa una zazzera fitta e nera come la pece, mentre la carnagione era rossa come la terra. La stranezza maggiore stava nelle sopracciglia, che invece di essere di pelo come nelle genti evolute, erano composte di una serie di escrescenze carnose molto scure. Esse per il vero donavano una certa grazia a quel volto dal naso camuso e le labbra sottili.

 

La carovana dei giganti giunse indisturbata alla porta sud della città, i cui argani a contrappeso erano ancora ben oliati e fecero aprire senza alcuno sforzo le pesanti paratie di metallo. I giganti si rallegrarono nel sincerarsi che la rocca era rimasta inviolata per tutto quel tempo. Ognuno ritrovò la propria dimora esattamente come l'aveva lasciata cent'anni prima. Questo riportò il sorriso sul volto delle donne che di riflesso fece sentire a casa anche gli uomini. Rimaneva da scoprire chi fossero le genti che si erano accampate dinanzi alle mura della porta nord della città.

Fu deciso di mandare in avanscoperta un drappello di cavalieri per capire quali intenzioni avessero.

 

Nel  momento in cui la porta nord iniziò ad aprirsi, si seminò un certo clamore tra quelle genti e i cavalieri sguainarono preventivamente le spade. Ben presto però si avvidero che non c'era alcun intento belligerante in quelle urla e fuggifuggi generale. Bensì giunsero con una certa pompa, chi doveva essere un insigne rappresentate della loro società. Essi porsero ai cavalieri con reverenziale deferenza alcuni oggetti come fossero delle sacre reliquie. Si trattava di frecce o altre cose evidentemente abbandonate negli accampamenti dei giganti durante le spedizioni in giro per le montagne. Suscitò una certa ilarità tra i cavalieri il pensiero di quello sbadato che aveva perduto persino un faldale di cuoio inguinale.

 

Era chiaro che quelle genti avevano sempre guardato con ammirazione gli imponenti cavalieri che abitavano la rocca di Astamira. La loro presenza li rassicurava e quando li videro partire, si sentirono orfani della loro protezione. Specie perché i cavalieri cacciavano i Grigioni, che erano una specie di orso molto aggressivo, che non faceva distinzione dal predare un cervocapra o il suo pastore.

Discesero dunque lungo la strada scavata nel crinale di roccia che conduceva alla spianata dinanzi la porta nord di Astamira, e vi edificarono il loro primo accampamento permanente. Questo divenne presto un punto di riferimento per tutte quelle genti che vagavano per le montagne, dando loro la coscienza di essere un popolo. Vi sorse un mercato del baratto che favorì anche gli scambi culturali tra i vari clan. La società cittadina si affrancò dalla pastorizia nomade, distinguendosi nel nuovo culto dei cavalieri scomparsi oltre la porta nord di Astamira, che si frapponeva tra le terre montane degli artigli del drago e il resto del mondo delle pianure.

 

Ai giganti fu subito chiaro quanto era accaduto e decisero di partecipare ai festeggiamenti, che quelle genti si sentirono di dare in loro onore. Fu con stupore che assistettero alle arti circensi in cui quel popolo sembrava eccellere in maniera stupefacente. Avevano doti di equilibrismo eccezionale, saltavano come acrobati e in particolare stupiva la forza con cui riuscivano a sollevare pesi anche due volte più grandi di loro!

 

Trovare quel giovane popolo ad accoglierli, fu un vero toccasana per il morale dei giganti. Tuttavia, nella loro lunga permanenza nel mondo avevano già visto l'evolversi della civiltà humana, fino al giorno in cui ne furono cacciati. Decisero, dunque, che sarebbe stato proibito insegnare a quelle genti oltre il necessario per esserne serviti. Inoltre fu concesso loro di rimanere nella spianata dinanzi la porta nord, ma solo a un numero ristretto sarebbe stato permesso di vivere all'interno delle mura della città.

 

I giganti si preoccuparono di quanto il popolo degli Apalagi potesse imparare dalla loro civiltà, ma in realtà non sapevano ancora quanto essi avrebbero scoperto attingendo all'inconsapevole scienza di quel giovane popolo.  

Gli speziali, che erano sempre alla ricerca di un melange in grado di contrastare meglio il deperimento dei loro corpi, studiarono affondo le abitudini alimentari degli apalagi, perché non si spiegavano da dove potessero attingere l'energia necessaria per sviluppare la loro sorprendente forza fisica. In principio pensarono che essa provenisse in qualche modo dalle cervicapre; infatti, non era la prima volta che degli erbivori, cibandosi di piante in cui scorreva linfa dragonesca, trasmettevano ai loro predatori virtù particolari. Del resto la cervocapra era una razza che aveva subito una trasformazione dalla sua condizione naturale primitiva. Tuttavia, i giganti se ne cibavano regolarmente anch'essi, senza trarne particolari benefici oltre al buon sapore che la loro carne dava all'arrosto con le patate.

 

Il segreto della forza degli apalagi era, invece, contenuto nella tipica focaccia alla base della loro dieta alimentare. La farina con cui la impastavano era ricavata da un lichene chiamato "Jimpoa" che nella loro lingua significava: scaglia di drago.  Da esso proveniva la tipica colorazione rossiccia di quel pane, molto simile al colore dell'incarnato degli apalagi. La focaccia stessa tingeva i polpastrelli di rosso quando si spezzava, tanto era intrisa del pigmento dello jimpoa.

 

Col trascorrere dei decenni, tra i giganti si diffuse il culto apalagio di Jhiaddah: il drago che morde la sua coda. Il drago serpente partoriva e rimangiava continuamente il mondo, fino a quando sopraggiunse il cavaliere dal sauro fiammeggiante che spezzò con la sua spada il cerchio di Jhiaddah. In quel momento il drago serpente spiegò il suo corpo che pietrificò. Secondo la tradizione orale degli apalagi, tutto ciò che cresceva su quelle montagne o la roccia stessa di cui erano fatte, non era altro che la carne e il sangue di Jhiaddah.

 

La visone divina degli apalagi indusse i giganti ad accettare il proprio ruolo di semidei, il cui destino era legato a quello dei draghi. In particolare furono gli speziali a sentirsi chiamati a un ruolo superiore, poiché erano sempre stati dei profondi ammiratori delle virtù infuse dal sangue di drago. Quella che fino a quel giorno era stata una scienza pura, prese a prestito la filosofia degli sciamani apalagi, elevandosi così a vero e proprio culto.

Gli speziali iniziarono a compiere lunghi viaggi tra le montagne a seguito degli sciamani apalagi, da cui impararono ad ascoltare il sospiro del drago attraverso l'assunzione dello jimpoa.

 

Mui add enalai ... Jhiaddah est gudrum fiu pest ...

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Quarto

 

 

Jhimba

L'arte della somministrazione del sangue di drago

 

 

 

Jhiaddmott (Bocca del drago) era il nome della città apalagia che si sviluppò su l'intera spianata dinanzi la porta nord di Astamira. Fu redatta un'anagrafe per i residenti che contava quasi mille abitanti stanziali, ma più del doppio erano coloro che vi transitavano ogni giorno. Una situazione che costrinse i giganti a mettere un numero chiuso all'ingresso della città e a spostarne l'affollato mercato fuori la doganella, posta all'imbocco della via scavata sul crinale della montagna che conduceva alla rocca.

 

Il numero di apalagi ammesso a vivere all'interno della rocca di Astamira cresceva in proporzione al male di vivere che lentamente prese gli animi della piccola società dei giganti. Essi provenivano dalla gloriosa era del fuoco e durante tutto il loro esilio montano, avevano vissuto nel mito del grande ritorno allo splendore dei regni antichi. Quando vi fecero ritorno, fu grande la disillusione per non avervi ritrovato il mito di un ricordo giovanile. L'affronto della successiva cacciata da parte degli humani, un tempo loro servi, inflisse loro l'umiliazione di non poter più onorare il passato  dell'orgogliosa stirpe dei giganti.

 

La gilda degli speziali che oramai governava Astamira, decise che il culto dei cavalieri che vigeva nella città di Jhiaddmott, dovesse essere retto da venti sacerdotesse Draghe, scelte tra i nati all'interno delle mura. Queste bambine furono prese ancora in tenera età e cresciute come fossero figlie della stirpe dei giganti. Fu insegnato loro ogni tipo di arte, compresa quella della guerra, ma non per trasmetterla al loro popolo, piuttosto per consentire di governare le necessità sia di Jhiaddmott, sia di Astamira stessa, poiché gli speziali erano sempre più assorbiti dal culto di Jhiaddah e lo studio delle virtù dello jimpoa.

 

Era noto che lo jimpoa era tossico per i giganti, fin da quando morsero la prima focaccia apalagia che provocò loro un forte sanguinamento alle gengive. Gli apalagi probabilmente dovevano la loro coscienza di anime proprio a quel lichene, per questo ne erano intrisi e quindi immuni alle proprietà venefiche. Tuttavia, gli speziali appresero dagli sciamani apalagi delle tecniche di somministrazione che usavano per aumentare le loro percezioni, attraverso le quali iniziarono ad assumere il lichene. In particolare scoprirono che la qualità gialla dello jimpoa attenuava la tossicità di quella rossa.

 

Gli sciamani usavano salire su un'altura e ascoltare il sospiro del drago che dava loro capacità divinatorie. Gli speziali rimasero incantati da quel sussurro nel vento e alcuni di loro si ritirarono sulle montagne, dove trovarono la morte. Lo jimpoa rosso anche se mitigato dalla specie gialla, rimaneva tossico e aveva sui giganti effetti nefasti.

Tipica era la lacrimazione rossa che segnava le gote in modo indelebile. Peggiore però era l'effetto che provocava lo jimpoa man mano che aumentava la sua quantità nel sangue. Esso distruggeva i vasi sanguigni causando una cancrena che nonostante imputridisse la carne, misteriosamente non conduceva alla morte. Furono trovati degli speziali oramai cadaveri che continuavano a conservare la coscienza di sé. Per mettere fine alla loro pena, dovettero spaccarne il cranio e disperderne le cervella.

 

Nonostante l'accertata pericolosità dello jimpoa, gli speziali non smisero mai di studiarlo perché non potevano fare a meno di quello stato di grazia che sapeva indurre. La farina di jimpoa era proibita all'interno delle mura di Astamira, ma in ogni casa c'era la cuccuma dove si mischiava al lichene giallo. La modica quantità permetteva di controllarne gli effetti nefasti e alleviava il dolore che affliggeva degli spiriti privi dell'entusiasmo di vivere. Tuttavia, la prolungata somministrazione arrivava comunque a segnare le gote della tipica lacrimazione rossa. A quel punto era necessaria una disintossicazione attraverso la purificazione del sangue mediante salassi e applicazione di sanguisughe.

 

Alle donne era particolarmente sconsigliato assumere lo jimpoa perché causava emorragie anche se preso in piccole quantità, ma erano proprio loro che ne sortivano gli effetti allucinatori più stupefacenti. Fece scalpore il caso della dama Marionne degli Oderici che riusciva a vedere il futuro in maniera così lucida, tanto da poter pronunciare le parole di chi le stava dinanzi, prima che egli stesso avesse il tempo di dirle. Un dono che le sconvolse la mente al punto da gettarsi dalle mura a strapiombo sull'abisso della rocca, convinta com'era di essersi vista volare come un drago ... ma quella si rivelò la sua unica divinazione sbagliata.

 

Col tempo gli speziali riuscirono a comprendere meglio l'origine degli effetti nefasti del lichene rosso, iniziando ad accompagnarne la somministrazione con trattamenti preventivi di altri tipi di piante dalla linfa dragonesca. Si appurò dunque una tecnica di somministrazione che giungeva all'assunzione del sangue di drago o Jhimba in lingua apalagia. Per il vero lo Jhimba era solo una leggenda e mai nessuno sciamano era riuscito a estrarlo dal lichene rosso. Si pensava che potesse trasformare lo spirito in drago, acquisendone tutte le virtù mistiche. Il melange messo a punto dagli speziali fu in grado di fare persino di più.

 

Lo Jhimba assunto ogni giorno allontanava la fame e donava virtù stupefacenti diverse per ognuno. Per tutti però segnava l'inizio di una via senza ritorno perché privarsene avrebbe significato uno strazio insopportabile, cui si poteva metter fine solo strappandosi il cuore dal petto e mangiarlo, aspettando di morire solo dopo averlo digerito. Un gesto che compirono in molti quando si avvidero delle mutazioni che avvenivano mentre il sangue di drago lentamente riempiva ogni meandro del corpo: Pelle squamata, deformazioni ossee, escrescenze cartilaginee, lingua incapace di sillabare e soprattutto dita uncinate inabili a qualsiasi attività.

 

Quando il loro aspetto divenne così mostruoso da suscitare paura e sgomento in chiunque se ne imbattesse, fu riunita la prima gilda in cui gli speziali per comunicare usarono le bocche delle sacerdotesse draghe. Da qui nacque l'equivoco di chi pensò che fosse un colpo di mano delle sacerdotesse, che ordinavano l'esilio da Astamira di tutti i giganti che avessero continuato a somministrarsi lo jimpoa. Appena gli speziali lasciarono la rocca, i giganti promulgarono un nuovo editto, in cui s'invalidava ogni decisione di una gilda composta di mostri e tantomeno si sarebbe ubbidito a un'autorità apalagia come quella delle sacerdotesse draghe.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Quinto

 

 

Ekatosh

La caduta degli Dei

 

 

Furono scelte delle femmine per farle diventare sacerdotesse del culto dei cavalieri che vigeva in Jhiaddmott, perché si temeva che degli uomini avessero potuto approfittare del sapere di cui sarebbero venuti a conoscenza. L'Otra-Jhimma era il nome dell'assemblea in cui si riunivano le draghe e vi prendevano tutte le decisioni che occorrevano all'amministrazione cittadina. Questa era un'istituzione che avrebbe dovuto occuparsi solo di Jhiaddmott ma, di fatto, Astamira oramai dipendeva dalla città esterna.

 

Le draghe, senza aver bisogno di porre mano alla spada, compirono una lenta rivoluzione che affrancò dalla servitù la popolazione apalagia che viveva all'interno delle mura. Lo fecero attraverso l'acquisizione di sempre maggiori competenze che venivano svolte con mirabile perizia. In particolare istituirono la scuola per amanuensi apalagi. Essa avrebbe dovuto solo formare degli scriba in grado di trascrivere gli atti dei giganti, ma in realtà vi istruirono una nuova casta di dotti apalagi che, prima di tutto, scrissero la storia e la cultura del proprio popolo. Inoltre, le draghe iniziarono a registrare gli atti dell'Otra-Jhimma in lingua madre, che presto soppiantò quella dei giganti in tutte le trascrizioni anche ufficiali.

 

Le sacerdotesse rimasero sempre fedeli al culto dei cavalieri, al punto da relegarli in un olimpo dove non si dovevano più occupare di nulla, tantomeno di governare. La società dei giganti non poteva neanche più essere considerata tale. Essi vivevano nella sacra rocca di Astamira, assolvendo il loro ruolo di Dei in comparsate pubbliche nella città esterna di Jhiaddmott.

 

Le draghe promossero il culto dei cavalieri al punto che da ogni remoto angolo dello Jhiaddgrow giungevano in città percorrendo la via santa di Akamosh (sentiero del serpente), la strada scavata nel crinale di roccia a strapiombo sull'abisso che conduceva ad Astamira. Tutti i giorni, quando il sole tramontava dietro lo Jhiaddkronn (unghia del drago) lo sperone di roccia su cui sorgeva la rocca, la porta nord conosciuta nelle scritture sacre con il nome di Mbushura (porta del paradiso), si apriva e uno o più cavalieri in armatura percorrevano le strade cittadine tra il giubilo della folla. Rare erano le apparizioni delle dame, ma forse per questo erano le più ambite da guardare, con i loro sfarzosi abiti di stoffe pregiate e ricoperte di gioielli che abbagliavano nel loro baluginio. Col tempo il popolo apalagio chiamò i cavalieri "Jhiaddin", draghi piangenti, per via dei segni che la somministrazione dello jimpoa lasciava sulle loro gote.

 

I figli degli apalagi nati all'interno delle mura formarono la casta di amministratori e burocrati cui le draghe affidavano i compiti esecutivi, come la riscossione dei dazi sul commercio nel mercato di Akapross. Esso sorgeva a monte della via santa di Akamosh, intorno a quella che un tempo era stata la doganella d'ingresso ad Astamira, istituita dai giganti proprio a seguito del sovraffollamento della città. Tutte le vie tracciate dai cavalieri (Aka) partivano da Akapross e quindi da ogni parte dello Jhiaddgrow s'incontrasse una aka, bastava percorrerla in discesa per giungere al mercato di Akapross, il cui nome significava propriamente "arrivo di ogni sentiero". In questo luogo ci si poteva incontrare ogni genere di persona, dal pellegrino in visita alla città santa, al truffatore in cerca di ricchezze da sgraffignare.

 

Sfruttando l'imponenza dei cavalieri giganti, le draghe non ebbero mai bisogno di ricorrere alla spada per riscuotere i tributi che chiedevano a quanti arrivavano nel distretto di Jhiaddmott. La loro assennatezza ispirava la fiducia del popolo, tanto che i clan sparsi per le montagne usavano venire in città per far redigere contratti, cui poi potevano appellarsi per chiedere giustizia nei tribunali dove venivano depositati.

Le draghe con la loro pacata lungimiranza avevano fondato un regno senza alcun spargimento di sangue.

 

Quando la gilda degli speziali parlò per bocca delle draghe, ci fu l'equivoco di credere che quello fosse l'ultimo passo con cui l'Otra-Jhimma avrebbe governato anche sui giganti. Un colpo di mano che non aveva ragione d'essere, poiché le draghe già disponevano di tutto il potere decisionale che serviva per gestire ogni attività. Quello dei giganti fu innanzi tutto uno scatto d'orgoglio e rifiutare il divieto imposto dalle draghe di assumere lo jimpoa era solo un pretesto. Infatti, nell'editto pronunciato in nome degli speziali, si faceva riferimento allo Jhimba, cioè al sangue di drago; il quale, senza conoscere la tecnica di somministrazione, li avrebbe condotti alla dannazione.

 

Gli speziali furono portati fuori dalle mura nottetempo, in carri chiusi e senza che nessuno li potesse guardare. Chiunque avrebbe visto il loro aspetto mostruoso, li avrebbe creduti dei demoni, minando il mito dei bellissimi cavalieri dalle armature lucenti. Il resto dei giganti, però, ci vide solo un modo per sbarazzarsi di loro dopo averne usurpato il potere.

Alle draghe gli speziali proibirono di rivelare dove si trovavano gli eremi che scelsero per ascoltare il sospiro del drago. L'indefesso senso del dovere con cui si erano sempre contraddistinte nel governare in nome di quelli che consideravano degli Dei, non vacillò neanche quando i giganti le incriminarono di alto tradimento e furono condannate alla decapitazione in pubblica piazza.

 

L'esecuzione avvenne all'interno delle mura a cospetto di tutta la popolazione apalagia che viveva nella rocca. Prima che fossero passate per le armi, le fu chiesto per l'ultima volta di rivelare dove avessero portato gli speziali, ma le teste caddero mute una dopo l'altra.

La nuova gilda istituita dai giganti che deliberò la condanna a morte, si vide poi costretta a eleggere una nuova Otra-Jhimma perché non potevano sopravvivere senza la manovalanza apalagia che gestiva i laboratori degli speziali scomparsi.

 

Le nuove draghe non avevano vincoli di fedeltà alla passata gilda degli speziali e ubbidì quando fu chiesto loro di consegnare il particolare melange chiamato "Jhimba". Nell'ubbidienza non c'era alcun desiderio di vendetta, quanto piuttosto il timore di subire anche loro l'ira degli Dei. Trascorsero appena due lune dopo la consegna del melange di jimpoa che gli speziali si erano preoccupati di proibire ai loro fratelli, quando tutte le dame iniziarono a perdere sangue da ogni orifizio del corpo. La follia annebbiò la ragione delle poverette in preda a tremende allucinazioni. Sopraggiunse anche la nefasta cancrena che imputridiva le carni senza dare la morte.

Fu allora che le draghe consegnarono le pergamene su cui gli speziali avevano descritto il trattamento per riuscire a slegare l'anima dalla sua carcassa terrena. Purtroppo erano decenni che gli speziali non usavano più la lingua antica per dettare ai loro scriba apalagi, mentre i giganti comuni non si erano mai preoccupati d'imparare la lingua dei loro servi. Quindi i mariti delle dame avrebbero dovuto fidarsi di quanto gli dicevano che ci fosse scritto su quelle pergamene, cioè che non esisteva nessuna cura, bensì c'era spiegato come metter fine all'agonia mediante lo spargimento delle cervella.

 

Nessuno ebbe il coraggio di compiere un gesto che era ritenuto un assassinio. Vegliarono i corpi morti delle dame odorando il puzzo delle loro interiora che covavano i vermi della decomposizione, tappandosi le orecchie per non udire il rantolo di quell'anima che pativa senza riuscire a staccarsi dalle proprie ossa. Tutto questo mentre gli uomini lacrimavano copiosamente sangue e non potevano più smettere di somministrarsi il sangue di drago. La follia trovò una ragione nel dolore e la gilda dei giganti deliberò un'accusa di tradimento verso l'intera popolazione apalagia che viveva entro le mura. Se non avessero fornito l'antipodo per quello stesso veleno con cui avevano certamente ucciso anche gli speziali, avrebbero tagliato la testa a tutti.

I giganti non potevano dare seguito alle loro minacce perché dipendevano totalmente dal lavoro degli apalagi. L'impotenza dinanzi agli strazi che l'astinenza da quel veleno provocava, fomentava il sospetto verso quegli infidi servi.

 

L'odore di morte oramai appestava la rocca, quando si aprì la Mbushura per l'usale incontro con i pellegrini. Il drappello di cavalieri era tra la folla, quando Ermanno dei Magni Federici, sposo di Madonna Lucrezia Astolfi, che da due lune stava imputridendo nel loro talamo nuziale, sfoderò la spada e fece una sortita tra la gente acclamante. I suoi compagni lo seguirono compiendo una carneficina. Il sangue accecò di rabbia i giganti che anche nella rocca sguainarono la spada e iniziarono a dare la caccia ai servi apalagi. La mattanza durò tutta la notte e al mattino, chi aveva potuto era fuggito da Jhiaddmott.

I giganti rimasero soli nella rocca con i laboratori di spezie deserti. Cercarono inutilmente di darsi la morte a vicenda, ma oramai il loro cuore era intriso di sangue di drago e non sapevano come farlo fermare.

 

Nel frattempo la partita di Jhimba che gli speziali attendevano dalle draghe non giunse e questi, ben conoscendo le pene che andavano incontro se non assumevano il sangue di drago, tornarono ad Astamira al sorgere della dodicesima luna dalla loro partenza. Vi trovarono morte e desolazione e quando soccorsero i loro fratelli, questi gli raccontarono di una rivolta dei servi apalagi che per il vero non c'era mai stata.

 

Gli speziali ebbero la pena di dare la morte alle loro sorelle e a insegnare come morire ai fratelli che vanamente avevano tentato di togliersi la vita. Poi tornarono con i volti velati ad Akapross, dove avevano riparato i superstiti della mattanza dei cavalieri. Riportarono le draghe nella rocca e queste riorganizzarono il lavoro di modo che i laboratori di spezia ripartissero. Tuttavia, tra i giganti e gli apalagi non si ristabilì mai più la fiducia di un tempo.

 Ekatosh "la caduta degli Dei", fu chiamata così l'enciclica con cui le Draghe proibirono il culto dei cavalieri in tutto lo Jhiaddgrow, ristabilendo le antiche liturgie della grande madre Jhiaddah.  Gli speziali non poterono che accettare la loro scelta, in quanto non avevano più mani abili per estrarre da soli il sangue di drago; tuttavia possedevano la prestanza e il terribile aspetto per imporre con la forza la loro volontà. Riuniti in un'ultima gilda, gli speziali stabilirono le nuove regole che avrebbero portato la razza humana all'interno dello Jhiaddgrow.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Sesto

 

Fahall-Jhiaddmiu

La poppata del draghetto

 

 

 

La civiltà dei giganti era già morta durante la battaglia di Normenia, quando si era infranto il sogno di tornare in un mondo che non esisteva più da secoli. Gli speziali avevano compreso che i loro fratelli avevano perso interesse nella vita, qualcosa che non gli potevano infondere attraverso nessun tipo di melange. Essi invece trovarono nuovi stimoli nello studio delle proprietà dello jimpoa, attraverso il quale intravidero la possibilità di migrare verso livelli di esistenza superiore.

 

Per quanto fosse stato grande il dolore di averli visti morire in quel tragico modo, gli speziali avevano già deciso di abbandonare i fratelli al loro destino quando lasciarono definitivamente Astamira. Se solo essi avessero messo da parte l'orgoglio e continuato a recitare il ruolo degli Dei, le draghe avrebbero potuto bene occuparsi di tutti loro. Invece, ora che la drammaticità degli eventi le aveva fatte emancipare, ripudiando il culto dei cavalieri, gli speziali non potevano certo lasciargli il potere di ricattarli attraverso la produzione dello Jhimba. 

 

Gli speziali dovevano trovare dei nuovi servi cui affidare il proprio destino. Avevano bisogno di persone in grado di comprendere la grandezza di quanto stavano compiendo. Il solo modo di farlo sarebbe stato coinvolgerli nella loro missione, iniziando anch'essi all'arte della somministrazione del sangue di drago, vincolandoli così alla produzione dello Jhimba.

Gli apalagi si erano rivelati per costituzione fisica refrattaria, immuni a tutte le virtù infuse dallo Jhimba, quindi dovevano volgere il loro sguardo altrove.

 

Ben ponderando la questione, gli humani erano dei candidati perfetti. Essi derivavano dalla corruzione di alcuni geni della razza dei giganti, quindi era assai probabile che possedessero le caratteristiche necessarie per trarre benefici dall'assunzione dello Jhimba. Indubbiamente, però, dai giganti avevano ereditato anche la scarsa propensione alla sottomissione, quindi avrebbero dovuto prenderli ancora infanti e educarli, imbevendoli di una teosofia in grado di creare delle cataratte interiori capaci d'imbrigliare la loro volontà.

 

A questo scopo, interpolando molti passi delle antiche liturgie apalage di Jhiaddah, dettarono ai loro scriba una nuova teologia talmente ben ricalcata tra le righe di quelle originali, che le stesse draghe finirono per accettarla. Le vecchie e molteplici liturgie che circolavano tra i vari clan tra le valli dello Jhiaddgrow, furono definite apocrife e per lo più figlie di culti pagani tramandati oralmente. La sola versione dell'antica liturgia riconosciuta diventò quella trascritta dagli amanuensi apalagi oltre la sacra porta di Mbushura.

 

Il fulcro della teologia degli speziali si basava sul nuovo testamento, lascito degli eoni di Jhiaddah, cioè se stessi. Essi erano i soli in grado di ascoltare il sospiro della montagna poiché l'anelito di Jhiaddah entrava nel loro fiato attraverso l'assunzione dello Jhimba, facendoli consustanziali del drago. Gli sciamani che avevano ispirato le antiche liturgie furono onorati come profeti di un avvento, realizzatosi con il sopraggiungere della nuova stirpe di draghi.

 

L'Otra-Jhimma, pur non riconoscendo il culto dei nuovi draghi, acconsentiva all'apparentamento e per mere ragioni di stato accettò di formare i monaci Jhiaddin che ne avrebbero servito il culto. In cambio dei loro servigi, le draghe chiesero la rocca di Astamira con tutti i tesori che conteneva. La rocca prese il nome della sua porta nord "Mbushura". Con quest'ultimo atto si cancellava definitivamente la stirpe dei giganti da Jhiaddmott.

 

Furono inviati dei messi nei lupanari delle pianure a spargere la voce dell'esistenza di un luogo dove acquistavano neonati a peso d'oro, affinché degli umani senza scrupoli ne iniziassero a rapire ancora nella culla per condurli fino alla rocca di Mbushura. Presto lungo la via che conduceva alla porta sud, si formò un lungo codazzo della peggior risma della progenie humana. I mercanti di bambini erano ammessi all'interno della rocca uno per volta e solo se l'infante sopravviveva al Fahall-Jhiaddmiu (poppata del draghetto), sarebbero stati pagati. Altrimenti veniva loro restituito il corpicino esanime privo di cervella, disperse per liberare la sua anima dalla carcassa terrena.

 

Le draghe non avevano dimestichezza con le genti humane e condussero quegli affari così delicati con l'incontestabile autorità che le era conferita in tutte le terre dello Jhiaddgrow. Ai mercanti veniva fatto firmare una pergamena redatta nella lingua degli antichi giganti, di modo che potessero comprendere il rischio che correva l'infante che stavano per vendere. Quei mercanti, però, a malapena sapevano vergare il proprio nome e meno che mai comprendevano la lingua arcaica dei giganti. Quando il più delle volte gli veniva restituito il bambino esanime perché potessero piangerlo in una degna sepoltura, i mercanti avevano reazioni scomposte e maledicevano quelle streghe infingarde che non onoravano la compravendita con l'oro promesso. L'astio di chi si vedeva rifiutare il pagamento c'era sempre, anche là dove avevano portato una femmina ben sapendo che si pagavano solo infanti maschi. Rapidamente si diffuse la diceria che le draghe fossero delle maliarde che si cibavano delle cervella dei neonati, quindi dovevano farsi pagare prima di consegnarglieli.

 

La storia di queste fameliche streghe che vivevano nella loro imponente rocca sulle pendici degli Artigli del Drago, si diffuse per tutte le pianure fino al mare. Si appiccò il fuoco alle pire per giustiziare quanti si macchiavano di complicità con le streghe rapendo bambini. La superstizione finì per attribuire alle maliarde ogni sorta di sciagura che poteva capitare a un neonato.

Accadde poi che l'amatissima duchessa Elena morisse nel travaglio di dare alla luce l'erede che avrebbe salvato la successione al ducato di Palendrina. Ne furono incolpate le fameliche streghe che avrebbero maledetto quella santa donna perché in sogno si era rifiutata di dare loro il proprio pargolo. Fu così che il duca Astolfo armò una spedizione per porre in assedio Jhiaddmott.  

 

La rocca dell'anticha Astamira non poteva in alcun modo essere posta in assedio dalla porta sud. Gli umani si erano accampati sulla stretta via scavata nella roccia, senza riuscire neanche a montare un trabucco o a fare una carica d'ariete contro la pesante porta della rocca; mentre la città continuava la sua vita che dipendeva interamente dalla via a nord.  Tuttavia, ostruendo la via per le pianure, impedivano l'approvvigionamento d'infanti. Le draghe richiamarono dunque gli speziali per sbrigare quell'incresciosa situazione. Gli spaventosi caviglieri giganti giunsero a Jhiaddmott con l'intenzione di rendere finalmente la pariglia a quella razza impudente che li aveva umiliati nella battaglia di Normenia. I poteri cui lo Jhimba li aveva dotati erano molteplici, i quali per alcuni di loro contemplavano delle vere ali di drago con cui volarono sull'accampamento degli humani. L'abisso su chi correva la via per la rocca, ingoiò buona parte di quel parapiglia che si scatenò. Gli altezzosi araldi degli humani non si fecero più vedere sotto le mura di Mbushura.

 

Fu solo per la lungimiranza delle draghe che si decise di non pagare più la più infida gentaglia humana per strappare gli infanti dal seno materno. Altresì, l'Otra-Jhimma deliberò che una abbastanza nutrita comunità di humani potesse vivere all'interno delle mura della Mbushura, servita e riverita come degni eredi della civiltà dei giganti, a patto che i propri parti potessero essere sottoposti al Fahall-Jhiaddmiu. Purtroppo, anche così, la convivenza con i facinorosi humani si rivelò impossibile. Essi non onorarono il patto di consegnare le proprie geniture e si rivoltarono, fuggendo nella città esterna. Dove a seguito della copula cui erano continuamente dediti, non solo si riprodussero tra loro, ma si accoppiarono anche con la popolazione apalagia; dando origine a un sangue meticcio chiamato in modo dispregiativo "Kitthin" - capre piangenti.

 

Infine, le draghe riuscirono a trovare un buon modo con cui trattare con gli humani. Presero delle donne humane e si fecero pagare dai loro maschi che ne volevano provare il fascino proibito stregonesco, infuso loro con gli additivi delle spezie. Un metodo che garantì finalmente la più variegata genia della stipe humana; infatti, da tutti i regni delle pianure giunsero i maschi richiamati dal fascino della perdizione; mentre le donne, ricoperte del ruolo di vestali del culto dei nuovi draghi, se non accettavano di sottoporre alla poppata del draghetto il proprio nascituro, lasciavano Mbushura per tornarsene a fare le puttane nella città esterna.

 

La Fahall-Jhiaddmiu consisteva nel far cadere tre gocce di jimpoa in altrettante poppate. Se l'infante sopravviveva alla somministrazione del lichene rosso, c'erano buone possibilità che esso poteva compiere l'intero percorso che lo avrebbe portato a divenire un monaco Jhiaddin. Un segno evidente era il pianto del draghetto che lasciava già in quella tenera età l'inequivocabile segno sulle gote appartenuto alla stirpe dei giganti.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Settimo

 

Jhiaddgrow

Le montagne sacre degli Artigli Del Drago

 

 

 

 

La gloriosa stirpe dei giganti mutò radicalmente la vita all'interno dello Jhiaddgrow. Prima del loro arrivo, l'inaccessibile comprensorio delle tre vette degli Artigli del Drago era stato abitato esclusivamente dal popolo degli apalagi. Persino i draghi a suo tempo disdegnavano quelle terre ghiacciate per buona parte dell'anno e fu solo per questo motivo che i giganti vi ripararono.

 

Per giungervi, essi scavarono una via su quella parete di roccia a strapiombo sul nulla che separava l'altopiano dello Jhiaddgrow con il resto delle montagne apalage. La via s'inerpicava per cinquecento piedi intorno alle colonne di basalto che formavano il muro di pietra. A circa quattrocento piedi, i giganti si trovarono su un pianoro formato da un grosso sperone di roccia. La leggenda narra che rimasero talmente affascinati dalla vista che si apriva su tutte le terre dei loro regni, che decisero di edificarvi l'imponente rocca di Astamira.

 

La porta sud di Astamira fu posta proprio sul finire della strada che risaliva dal basso, mentre quella nord dava sul pianoro, alla fine del quale ripartiva la strada scavata a serpentina che risaliva i restanti cento piedi scarsi per accedere allo Jhiaddgrow. Nessun abitante delle pianure prima dei giganti aveva messo piede in quel mondo di valli scoscese ricoperte di boschi, sovrastate dal grande ghiacciaio che discendeva a est verso la catena montuosa bassa, mentre le tre irte vette degli Artigli del Drago sembravano voler scalare il cielo.

 

I giganti tracciarono le strade che come le arterie di un corpo, presero a far circolare la vita tra quelle impervie montagne. I clan dei pastori apalagi smisero di seguire i sentieri delle cervicapre, preferendo le più comode e agevoli Aka percorse dai drappelli maestosi dei giganti. I cavalieri nelle loro armature scintillanti divennero degli Dei agli occhi di quelle genti che erano vissute isolate fino a quel momento. Ne osservarono da lontano le gagliarde gesta mentre abbattevano qualche grigione e quando cacciavano le loro cervicapre, lo consideravano un onore.

 

Il giorno in cui i pastori apalagi li videro scomparire dietro la porta di Astamira, gli sciamani ebbero la visione della sciagura cui i loro Dei stavano andando in contro; fu per questo che discesero la Akashura e insediarono il loro primo accampamento permanente davanti la porta della Mbushura, dove la via del serpente era sbarrata dalla porta per il paradiso. Intorno alle invocazioni per il ritorno dei cavalieri, si formò la città di Jhiaddmott.

 

I giganti, cacciati via dai loro regni, fecero ritorno ad Astamira cento anni dopo. Trovarono quel popolo pronto a compiere il passo per divenire una vera civiltà. Quelli che avevano sempre ritenuto delle semi bestie, avevano per il vero alle spalle un'antica memoria, testimone del misticismo che scorreva tra quelle valli intrise di sangue di drago. Essi stessi erano pregni di una misteriosa essenza ricavata dal lichene rosso dello jimpoa, che li aveva fatti evolvere dallo stato animale, donando loro notevoli capacità fisiche e di apprendimento.

Il popolo apalagio trasse il massimo dagli insegnamenti di quelli che riteneva discendere dal cavaliere che spezzò il cerchio del grande drago serpente.

 

Gli speziali rimasero sempre più ammaliati dai culti panteistici dei loro servi, che contemplavano una natura capace di cose straordinarie. V'intuirono la via che li avrebbe portati a un livello di esistenza superiore. D'altro canto si rendevano conto che la propria civiltà stava vivendo il proprio crepuscolo e se fossero rimasti con i loro fratelli, li avrebbero seguiti presto nella tomba.

Scelsero dunque d'istruire una piccola comunità di donne apalage che viveva all'interno della rocca, per farle diventare delle custodi della millenaria civiltà dei giganti. Preferirono delle donne perché ritenute per loro natura più propense alla sottomissione; altresì, le draghe tracciarono una nuova via per la conquista del potere, fatta di lavoro e senso del dovere.

 

Jhiaddmott sotto la loro amministrazione divenne una città capace di fornire servizi, per disporre dei quali giungevano da tutto lo Jhiaddgrow. Attraverso la scuola degli amanuensi decifrarono la grammatica della propria lingua, con cui iniziarono a scrivere la memoria del proprio passato, che si preoccuparono poi di divulgare. Le draghe fondarono il proprio regno non imponendolo dall'alto, bensì edificandolo sulla coscienza collettiva di riconoscersi come un popolo.

Lo sviluppo della civiltà apalagia soggiogò la sempre più opaca società dei giganti. La rocca di Astamira divenne un'appendice della città esterna, da cui dipendeva in tutte le sue necessità. I cavalieri si erano ridotti a dei figuranti al servizio del culto retto dalle sacerdotesse draghe. Una condizione destinata a collidere con l'orgogliosa autonomia dei giganti.

 

Gli speziali nel frattempo raggiunsero il loro scopo ultimando la tecnica della somministrazione di un potentissimo melange di jimpoa, cui dettero il nome del mitico Jhimba, il sangue di drago narrato nelle leggende sciamaniche.

Tutto questo quando i loro fratelli alleviavano con il lichene rosso lo sconforto di non trovare più nella vita alcun entusiasmo. Essi non avrebbero compreso il senso di quel percorso che gli speziali avevano intrapreso. Erano solo in grado di inorridire dinanzi alle mutazioni che esteriormente li iniziavano a deturpare. Decisero dunque di proseguire da soli il loro cammino, abbandonando definitivamente Astamira.

 

Gli speziali che lentamente perdevano la forma umana, non erano più nelle condizioni di fabbricare il melange da cui dipendevano. Istruirono dunque le draghe affinché gestissero i loro laboratori di spezie. Esse si rivelarono affidabili e devote verso quelli che sinceramente servivano come Dei. Quando gli speziali abbandonarono Astamira, lasciarono a loro il governo di ogni affare, sicuri che si sarebbero prese cura delle loro necessità come quelle dei fratelli che gli affidavano.

Una serie di fraintendimenti ispirati dall'orgoglio di non sottomettersi alle decisioni di chi consideravano delle serve, scatenò la reazione dei giganti che ristabilirono il loro dominio virile facendo saltare la testa alle draghe.

 

Gli speziali andandosene avevano affidato i propri fratelli alle sacerdotesse perché essi non possedevano più la serenità mentale per gestire qualcosa di più del proprio dolore di vivere. Riconquistata la piena autonomia, infatti, si preoccuparono solo di poter avere quel melange che, in quanto proibito, prometteva di essere la risposta alla loro misteriosa inquietudine dello spirito. Mischiarono inutilmente nelle cuccume lo Jhimba al lichene giallo, che usavano normalmente per mitigare gli effetti nefasti dello jimpoa, ignorando che quel melange era troppo potente per essere assunto senza averne appreso prima la complessa tecnica di somministrazione.

 

Il sangue di drago introdotto nei loro corpi svelò presto i suoi effetti più nefasti. Le donne manifestarono immediatamente le tipiche emorragie che dava il lichene rosso, incorrendo nella cancrena che imputridiva la carne lasciandone l'anima appesa in un'eterna agonia. Gli uomini, invece, per natura più tolleranti già al lichene rosso, sopravvivevano allo Jhimba subendone altri tipi di strazi fisici.

L'incapacità di gestire quella situazione drammatica nutrì il sospetto che gli apalagi gli stessero negando la cura per salvarsi da quel veleno. Il bisogno di reagire li condusse al gesto folle di sguainare la spada contro ogni apalagio che gli si parasse dinanzi.

Quando si ritrovarono soli nella rocca, provarono inutilmente a cavarsi via la vita, ma per mettere fine alle loro pene, dovettero aspettare gli speziali che tornarono dai loro eremi preoccupati di non vedersi recapitare dalle draghe lo Jhimba pattuito.

 

La gloriosa stirpe dei giganti oramai sopravviveva solo in quelli che si definirono "I nuovi draghi". Essi però non potevano più sperare che il popolo degli apalagi li continuasse a servire come degli Dei benefattori. Dopo la scriteriata mattanza condotta dai loro fratelli, gli speziali si dovettero sedere da pari a pari con le draghe per stabilire nuove regole di convivenza.

Le sacerdotesse ottennero che gli speziali non interferissero in alcun modo con gli affari del popolo apalagio. In cambio accettarono di formare i nuovi adepti di quel credo che gli speziali sapientemente crearono per assicurarsi lo Jhimba necessario per il loro cammino di ascesi.

 

Degli infanti di razza humana sarebbero dovuti essere cresciuti per divenire monaci Jhiaddin. Questo portò inevitabilmente gli apalagi a entrare in contatto con quella turbolenta genia. Le draghe non sapevano che per gli humani una regola esisteva fin quando non veniva meno il bisogno di rispettarla. Fu così che essi violarono i patti e s'introdussero nello Jhiaddgrow, portando seco oltre ai propri geni, che dettero vita a un sangue meticcio, l'individualismo capace di ogni crimine pur di affermare la propria volontà.

 

L'economia apalagia si teneva in piedi con il baratto, il quale contemplava anche lo scambio di un servizio per avere merci. Il concetto di arricchimento consisteva quindi nella capacità di rendere servizi agli altri.  

Gli affari avvenivano davanti a uno scriba che stabiliva la misura in cui andava compiuto lo scambio. Le misure, come quella che stabiliva che una libra di formaggio equivaleva a una libra di carne, erano stabilite dai burocrati che vivevano all'interno della Mbushura.

Il lavoro perse la sua centralità nell'economia apalagia, quando questa entrò in contatto con gli humani che usavano condurre i propri affari in moneta. Gli humani portarono con sé anche la discrezionalità della compravendita, la quale spingeva a dare un valore aggiunto agli oggetti attraverso il desiderio di possederli. La moneta unita al desiderio rese qualsiasi cosa commerciabile.

La ricchezza determinata dall'accumulo di moneta svincolava dal lavoro, favorendo mestieri come quello del ladro e del truffatore. Arti queste che assumevano le più svariate sfumature, a volte anche legittimate se coinvolgevano quanti erano chiamati a stabilire le regole.

La civiltà del popolo apalagio non contemplò mai la punizione coercitiva per un misfatto, perché gli sfuggiva la logica del male compiuto per interesse personale. L'individuo era concepito come parte di un insieme, procurare un danno alla comunità era già di per sé una punizione anche per chi lo commetteva.

Nello Jhiaddgrow non si edificarono mai prigioni o montarono patiboli; chi era pericoloso veniva ostracizzato. Questa pratica con gli humani Kitthin risultò inutile, in quanto il loro individualismo li rendeva soli anche quando vivevano in comunità; anzi, spesso sceglievano essi stessi di vivere da banditi.

 

La geografia dello Jhiaddgrow lo preservò dal diventare una provincia degli humani delle pianure. Gli humani continuarono a temere le draghe che ritenevano pericolose maliarde, d'altro canto esse capirono presto che la paura era un presupposto fondamentale per ottenere il loro rispetto.

Gli apalagi impararono dai Kitthin a diffidare degli humani e gli proibirono di risalire l'Akashura. La loro presenza era tollerata solo a Jhiaddmott, ma per accedervi dovevano comunque aspettare che si aprisse la porta sud della Mbushura.  

 

Tuttavia, l'importanza che acquisirono i monaci Jhiaddin legò a doppio filo i due popoli. I nuovi draghi vivevano nei loro eremi tra le montagne e oramai si manifestavano a pochi eletti, ma i loro monaci fondarono monasteri e circolavano liberamente per tutto lo Jhiaddgrow. Alcuni di essi sceglievano di tornare nelle pianure per mettere le loro arti a servizio dei nobili, ma la necessità di assumere lo Jhimba non gli permetteva di rimanere lontani troppo allungo dallo Jhiaddgrow. La società dei monaci continuò sempre a mischiare i propri interessi con quelli degli humani, coinvolgendo di riflesso anche il popolo apalagio.

 

Gli effetti dello Jhimba non portarono solo i nuovi draghi e i loro monaci Jhiaddin, ma la scuola di formazione gestita dalle draghe partorì anche un'altra figura che a sua volta modificò radicalmente la vita all'interno dello Jhiaddgrow ... esse erano chiamate Hakamott.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Ottavo

 

Hakamott

La coda della serpe

 

 

 

Jhiaddah est motta fiu Jhiaddah. Ustalas shura mott graham add shura faes ... eddalai ... etalai ... hat estalai, grodrum est posha haka add jhiaddmott.

 

Secondo la liturgia apalagia, l'equilibrio dell'universo era rappresentato dal grande drago serpente Jhiaddah che mangia e partorisce continuamente se stesso.  Era così che il mondo scorreva via nel corpo della serpe, attraverso un passato e un presente, fin quando non sarebbe tornato in bocca a Jhiaddah.

Per le draghe, dunque, ogni affare era da sistemare di modo che avesse sempre una bocca per mangiare la sua coda.  Giacché accettarono di formare quei potenti monaci Jhiaddin al servizio dei nuovi draghi, la loro preoccupazione fu come riequilibrare le parti nello Jhiaddgrow, dando al loro popolo una figura capace di preservarlo da un nuovo asservimento.  

Un monaco usava il proprio potere dominandolo. Esso era dunque assimilabile a una bocca che morde. Dovevano dunque evitare che due bocche finissero per digrignarsi i denti contro. Il loro mistico avrebbe dovuto rappresentare la coda del serpente.

 

Lo sguardo delle sacerdotesse si posò sulle bambine humane che erano escluse dalla Fahall-Jhiaddmiu. Allungarono i tempi di assuefazione dell'infante sostituendo lo Jhimba con del semplice jimpoa, ma le emorragie debilitavano troppo le povere creature che non vedevano mai sorgere l'alba del sesto anno di vita.

Fu sotto la guida della reverenda draga Lamiush che ebbero l'intuizione di usare una meticcia Kitthin. Il sangue apalagio refrattario allo Jhimba avrebbe potuto fornire alle bambine la difesa che mancava alle altre femmine humane.

 

La draga Lamiush non si sbagliava e le infante meticcie superarono la prova della Fahall-Jhiaddmiu studiata appositamente per loro. Fu così che misero appunto la tecnica di somministrazione del latte di draga, studiata per far diventare quelle bambine la coda del serpente.

Essa non si basava su una somministrazione diretta dello Jhimba,  bensì la tecnica fu riadattata facilmente per essere metabolizzata dalle cervicapre. Questi animali erano allevati con una cura meticolosa, fino al giorno in cui si mischiava il sangue dei montoni con il latte delle giovenche, di modo da farne un formaggio rosso chiamato kittah.

Le bambine erano nutrite con il kittah che le empiva di un surrogato di Jhimba, facendo diventare esse stesse come quelle cervicapre che ne mangiavano per essere mangiate.

 

Le bambine trascorrevano i primi dieci anni di vita nell'askalot, il palazzo dove vivevano gli Jhimiuh, i draghetti destinati a diventare Jhiaddin, di modo che conservassero nei ricordi una radice comune del loro destino. Tuttavia, era impartita loro una diversa educazione.  Esse erano iniziate ai principi dottrinali della devozione a Jhiaddah, in quanto ne sarebbero divenute le vestali per tutto lo Jhiaddgrow.

La diffidenza nella genia Kitthin faceva sì che alle bambine fosse trasmessa solo l'arte necessaria per assolvere il loro scopo. Le era insegnata la tecnica di somministrazione del sangue di drago per le cervicapre e come produrre una caciotta di kittah, di cui erano assuefatte e non potevano farne a meno per sopravvivere. 

Le bambine dovevano soprattutto imparare la ricetta della kopa, di cui erano esse stesse l'ingrediente principale.  La kopa era il nome della tradizionale focaccia realizzata con la farina di jimpoa, cui era sostituito l'usuale latte di cervocapra con quello delle Hakamott.

 

Le ragazzine lasciavano l'askalot appena raggiungevano la maturità sessuale. Da quel momento entravano nella rigida clausura del chiostro dell'Hat. Lì avrebbero aspettato di essere vendute al campione di un clan che giungeva a proposito in Jhiaddmott. In questa fase di attesa era necessario preservare l'illibatezza delle ragazzine.

 

La struttura sociale in clan degli apalagi era dovuta a degli specifici ceppi genetici, riconoscibili dalle diverse tonalità di ocra della pelle. Gli apalagi potevano figliare solo con appartenenti al proprio branco. Le unioni tra genie apalage diverse davano alla luce una razza sterile destinata a infoltire la casta sciamanica che era senza clan.

Gli apalagi erano ovipari e le femmine erano feconde solo in primavera. Esse deponevano un solo uovo, che si schiudeva dopo nove lune. La cova e il successivo svezzamento del nascituro erano a carico dell'intero clan. L'accoppiamento prescindeva legami individuali e raramente una femmina figliava due volte con lo stesso maschio. La mannshuriana era una fiera in cui i maschi si contendevano lo sguardo delle femmine, non era raro che un campione ingravidasse decine di femmine in una sola notte.

 

Una fanciulla dell'Hat diveniva una Hakamott quando il campione di una mannshuriana la portava nella tenda più grande del suo accampamento, la quale ospitava altre Hakamott, dove a termine di una solenne cerimonia rituale avrebbe infranto il suo imene.

La produttività delle Hakamott era assai scarsa e per di più molto limitata nel tempo. Per questo ogni clan doveva assicurarsi un buon numero di giovenche Hakamott. Esse si univano sessualmente solo ai maschi più forti, generando un latte con cui impastare della kota capace di donare a tutti la forza dei loro campioni. Se una Hakamott avesse preso in sé un seme diverso da quello del clan di appartenenza, il suo latte sarebbe divenuto un veleno capace di uccidere le uova apalage; per questo era molto stretta la sorveglianza intorno alla tenda delle Hakamott.

 

Si osservò nel tempo che il seme delle gestazioni rendeva di qualità diverse il latte di draga da mescere alla kopa. Esso era capace d'infondere al clan particolari capacità a volte veramente straordinarie.  

Tramite le Hakamott era anche possibile trasferire agli apalagi dei poteri che erano appartenuti fino a quel momento solo ai monaci Jhiaddin.  Un aspetto questo che preoccupò molto le draghe che temevano la corruzione delle virtù della genia apalagia. Esse vararono un'enciclica che proibiva ai clan di far unire carnalmente le proprie Hakamott con maschi provenienti dall'askalot.

 

Un monaco Jhiaddin era pregno di sangue di drago e il suo seme perdeva la capacità di fecondare una femmina. Tuttavia, non tutti i fuoriusciti dall'askalot divenivano monaci. La maggior parte di essi non riusciva a portare a termine la tecnica di somministrazione del sangue di drago; cioè riuscire a vivere esclusivamente di Jhimba. I maschi che avevano interrotto abbastanza presto l'assuefazione al melange mistico, conservavano la capacità di fecondare una femmina. Erano questi che versando il proprio seme odoroso di spezia nel grembo di una Hakamott, ne rendevano il latte capace di trasferire agli apalagi dei poteri a loro sconosciuti fino a quel momento.

 

Un apalagio era per sua natura fedele alle regole del clan, una predisposizione che mancava a tutti i Kitthin, che conservavano nei propri geni il desiderio individualista proprio della razza humana. Le draghe non riuscirono mai a soffocare il sogno di felicità che albergava in ognuna di quelle ragazzine della Hat.

Il loro destino non era diverso da quello che accettavano le draghe, che fin dalla culla erano cresciute per ricoprire il ruolo di sacerdotesse, ma al loro contrario le Hakamott si sentivano usurpate del proprio diritto all'autodeterminazione. Poco importava se la loro tenda era la più importante dell'intero accampamento, se erano servite, riverite e rispettate come dirette emanazioni delle draghe, per loro natura bramavano la sola felicità che le avrebbe appagate, cioè il libero arbitrio.

 

Molte Hakamott col tempo imparavano ad amare il clan come fosse la propria famiglia. Erano le più giovani e particolarmente avvenenti che sentivano di poter afferrare quanto le era stato proibito. Unirsi carnalmente con quei monaci mancati detti Pashari, diveniva per loro la possibilità di smarcarsi da un destino che le avrebbe viste relegate per sempre nella loro comoda tenda. Altresì potevano ambire a crescere nei loro poteri, poiché il seme di quelle gestazioni lasciava nei loro corpi tracce stupefacenti di Jhimba.  

 

L'elemento che spingeva anche le Hakamott più anziane e devote alla loro missione a comprendere il desiderio di libertà delle più giovani, stava nel dolore che ognuna di esse provava ogni volta che doveva sopprimere il frutto dei loro seni. Gli asgrat erano i nati dalle loro continue gravidanze, essi erano lo sterco della coda della serpe.  Quei bambini Kitthin nascevano per lo più deformi a causa dello Jhimba che le Hakamott assorbivano tramite il kittah, ma per il vero una parte di essi, seppure mostruosi, sarebbero stati in grado di sopravvivere. Quella regola sacramentale spesso veniva disattesa e lo Jhiaddgrow iniziò a popolarsi d'inquietanti creature antropomorfe.

 

Lorna era il mitico nome della Hakamott che riuscì a portare a termine la gestazione di un Pashari che si era nutrito esclusivamente di Jhimba per tredici lune consecutive. La leggenda narra che partorì un asgrat bellissimo di pura forma humana. Lorna, invece, divenne una potente strega combattente con la capacità di far crescere la propria coda a dismisura. Questa era per il vero una particolarità che sopraggiungeva a diverse Hakamott dopo aver trattenuto in sé parecchio seme apalagio. Forse derivava dal recondito lascito dell'origine bestiale di quella razza, sta di fatto che alcune Hakamott sapevano muovere i capelli come fossero code di serpe. Si narra che Lorna avesse una treccia capace di avvolgere e stritolare persino un cavallo!

 

Lorna abbandonò il clan cui era stata venduta con il suo asgrat e trovarono rifugio tra i banditi Kitthin, che ancora oggi onorano il mito ribelle della strega a cavallo del suo famelico grigione.

Tra le Hakamott, invece, quel nome blasfemo cova in silenzio un desiderio che sistematicamente spinge qualcuna di loro a seguirne le orme.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Capitolo Nono

 

 

Epilogo della leggenda

 

 

 

L'antica e gloriosa stirpe dei giganti, che aveva dominato il mondo durante tutta l'era del fuoco, mescolò il suo sangue con i suoi acerrimi nemici draghi fino a diventare un tutt'uno con essi.

I nuovi draghi nascosti nei loro eremi sparsi nello Jhiaddgrow sono assurti a un livello di esistenza superiore, nutrendosi esclusivamente del melange mistico di jimpoa prodotto dai monaci Jhiaddin.

 

I monaci Jhiaddin vivono in piccoli monasteri abbarbicati tra gli scoscesi calanchi degli Artigli del Drago. Tre sono i monasteri più importanti: quello di Jhiaddachi (Occhio del drago) è posto sull'omonima montagna al centro degli altri due artigli. Esso è sito al di sopra delle nubi e domina il mondo.

Il monastero di Jhiaddong (Orecchio del drago) è posto sull'omonima montagna a sinistra dell'artiglio Jhiaddachi. Essa è la più bassa delle tre vette, ma è fatta di pareti a picco su canyon in cui sprofonda la vista e ogni eco vi rimane intrappolato per sempre.

Il terzo monastero è il più antico e sorge sull'altopiano dell'Ustalagi, un deserto di roccia rossastra freddo e inospitale nei pressi della vetta della montagna Jhiaddkronn (Sospiro del drago).

 

I monaci Jhiaddin sono humani e continuano a mischiarsi negli affari della propria razza. Sono in particolare i Pashari che spesso rifiutano il loro ruolo di subalternità per tornare a vivere nelle pianure.

Gli Jhimiuh che lasciano l'askalot diventano dei Pashari, cioè "raccoglitori", quando si recano presso il monastero dove saranno consacrati a un determinato Drago. Questo comporterà l'iniziazione a una tecnica di somministrazione del sangue di drago diversa da quella arcaica, che era stata insegnata loro dalle Draghe. Rimarrà un raccoglitore fin quando non riuscirà a nutrirsi esclusivamente di Jhimba. Sono pochissimi quelli che ci arrivano, ma solo loro potranno fregiarsi del titolo di monaco Jhiaddin.

 

Tuttavia, un Pashari che è capace di nutrirsi del melange mistico per oltre tredici lune consecutive, si sarà assuefatto alla spezia e ne continuerà la somministrazione alternando dei periodi di disintossicazione per preservarsi dagli effetti nefasti dello Jhimba. Essi avranno comunque il titolo di monaco ed eserciteranno quei poteri considerati "tosh": vili, che il melange mistico dona. I cinque sensi di un monaco Pashari sono molto sviluppati e la loro forza fisica è straordinaria.  

In seguito della ribellione delle Hakamott, fu stretto un patto d'alleanza tra i monaci Jhiaddin e le Draghe, in cui si stabilisce che i monasteri s'impegnano a far istruire dagli humani la guardia armata della Mbushura. Questa è formata proprio da monaci Pashari che giurano fedeltà alle sacerdotesse apalage, le quali ne disporranno per contrastare i banditi Kitthin che infestano lo Jhiaddgrow.

 

Un Pashari che non arriva alle tredici lune di somministrazione di Jhimba non ha titolo per essere chiamato monaco. Egli rimarrà un semplice raccoglitore di jimpoa e smetterà la somministrazione del sangue di drago. Buona parte degli Jhimiuh rimane un semplice raccoglitore, di cui i monasteri non possono sobbarcarsi il mantenimento. Molti di essi tornano a Jhiaddmott, dove usano la scienza acquisita nella manipolazione delle piante dragonesche per esercitare l'arte di guaritori. Tra gli humani possono vantare anche una maggiore forza fisica e non è raro vederli diventare abili guerrieri delle pianure.

 

I Pashari sono molto stimati tra gli humani, i quali gli concedono sovente anche d'impalmare dame di rango, suggellando sempre di più i legami con i monaci dello Jhiaddgrow.

Gli humani non amano gli apalagi che considerano una stirpe immonda, ma questi non ne hanno mai fatto un cruccio e gli mostrano spezzanti la lingua biforcuta che tanto li fa inorridire.

L'incrocio del sangue humano e apalagio non è un caso che sia avvenuto in un uovo. Un maschio apalagio difficilmente giace con una femmina fuori dal proprio clan, specie poi se questa ha disgusto di lui. La stessa cosa non si potrebbe dire dei maschi humani, cui poco importò del consenso delle femmine apalage, che ingravidarono senza tener conto di cosa sarebbe potuto nascere.

 

Un Kitthin ha la pelle ocra e lucida degli apalagi ed è poco più alto di loro, ma non possiede la lingua biforcuta ed è mammifero. Queste particolarità spinsero le draghe a considerarli dei fuori casta, come lo erano quanti nascevano dall'unione fra individui di clan diversi. La differenza però era che quelli rimanevano sterili mentre i Kitthin continuarono a riprodursi. Gli apalagi presto si avvidero che i Kitthin dagli humani avevano ereditato anche il carattere ribelle e non riuscirono mai a farli integrare nella loro società mite e votata alla vita di gruppo.

I Kitthin hanno in spregio le radici apalage e nelle loro bande è deriso chi è nato da un uovo. Essi amano considerarsi una razza come quella degli humani che discende dai giganti. Molti di loro preferiscono vivere da banditi piuttosto di obbedire a delle regole in cui non si riconoscono. Questo loro ostentato orgoglio gli procurò il sarcasmo apalagio che li definì "capre piangenti".

 

Quando la reverenda draga Lamiush scelse un'infante Kitthin per farne una Hakamott, i timori erano proprio che queste ragazze si sarebbero comportare esattamente come tutti i loro consanguinei. Per questo le riservarono la stessa rigida educazione che gli speziali avevano studiato per i bambini humani, facendone delle sacerdotesse del culto di Jhiaddah.

Le Draghe non considerarono che le Kitthin, anche se nate da un uovo, nutrivano in sé le stesse aspirazioni delle femmine humane.

Una ragazzina era condotta nella Hat proprio nel momento in cui iniziava a provare i primi affetti amorosi per qualche particolare Jhimiuh. Invece, da quel momento le era imposto un destino da femmina apalagia che apparteneva al suo clan. Le sarebbe stato per sempre proibito provare il desiderio di essere amata da un solo maschio e tenere con sé i propri figli.

 

Vivere in una tenda a portare avanti gravidanze non volute per poi sgozzare i propri figli, sarebbe stata una condizione insostenibile per qualunque femmina humana e lo fu anche per le Kitthin. Le Hakamott vivono la loro condizione come una sventura e questo non può essere compreso dalla logica apalagia, per cui esiste solo un tipo d'amore uguale per tutte le uova e l'unico bene da perseguire è quello del clan. Questo fraintendimento non si è mai risolto e le Hakamott si sono sempre sentite in diritto di disubbidire a quei vincoli "disumani".

 

Quando una Hakamott accoglie in grembo il seme da un individuo della propria specie, non rischia di avvelenare le uova del clan cui appartiene, ma il suo latte viene ricondotto alla sua natura diventando inutile. Se un clan non ne può più dei capricci di una Hakamott, spesso la denuncia per "adulterio", portando il suo inutile latte come prova. La Mbushura non ci va troppo per il sottile e preferisce ostracizzarle per evitare ogni loro scontato desiderio di vendetta.

 

Prima dell'avvento di Lorna per una Hakamott essere bandita significava una morte orribile perché non poteva sopravvivere lontano dalle cervicapre sacre. Da quando, invece, Lorna condusse la ribellione delle Hakamott, molte di esse vivono tra i banditi Kitthin allevando cervicapre secondo il rito sacramentale. Tuttavia, la lungimiranza delle Draghe nel non averle mai istruite sulla tecnica della somministrazione del latte di draga, non ha mai reso possibile alle ribelli di formare altre Hakamott. Per questo i Kitthin sono costretti a rapirle dagli accampamenti apalagi. Motivo per cui la tenda delle Hakamott è sempre sorvegliata e loro sono costrette a vivere da recluse.

Alcune Hakamott che volevano unirsi ai banditi Kitthin, iniziarono ad auto accusarsi di adulterio. Da allora queste donne sono condotte alla Mbushura, dove il loro latte è messo alla prova e solo nel caso se ne riscontrasse il deperimento, si procederebbe al bando. Dopo la ribellione delle Hakamott, però, per loro si usa aprire la porta sud della Mbushura per cacciarle definitivamente via dallo Jhiaddgrow.

 

Le bande Kitthin sono tutte rivali tra loro e si contendono continuamente il territorio ove condurre le proprie scorribande. Forse per via del comune destino di fuori casta, gli sciamani apalagi si sono spesso uniti a queste comunità restie a ogni forma di ordine prestabilito. Furono loro a insegnargli ad addomesticare e cavalcare ogni tipo di animale in grado di sostenere la loro piccola statura.

Quando Lorna giunse tra loro, impose il suo comando sfidando chiunque ad affrontare la forza della sua portentosa treccia. Allattò la banda di cui assunse il comando e la condusse alla vittoria sui gruppi rivali. Fu questo motivo che spinse le bande contendenti a rapire altre Hakamott dagli accampamenti apalagi.

La rivolta delle Hakamott fu appoggiata dalle bande Kitthin solo per sorbirne il latte. Un elisir quello che dava poteri sempre diversi. Si scatenò quindi una caccia alla Hakamott più potente, ma queste poi iniziavano ad accoppiarsi con i loro compagni di ventura, compromettendo la forza del proprio latte.

 

Si narra che Lorna fu sbranata dal suo asgrat, di cui la leggenda narra fosse di pura forma humana, ma che una voce popolare smentisce, volendolo in realtà una creatura mostruosa con otto zampe e dieci occhi, che non appena crebbe più di qualsiasi creatura dei boschi, non esitò a pasteggiare con la madre, che si ostinava a crederlo capace di esprimere dei sentimenti.

Comunque siano andate le cose, Lorna rivoluzionò la vita delle bande Kitthin, che da allora vivono nel mito della potentissima strega a cavallo del suo famelico grigione.

 

Da quando le bande Kitthin rapiscono Hakamott, hanno bisogno di allevare cervicapre sacre. Nasce quindi l'uso di prendere un covo segreto come base cui far ritorno. Le donne hanno iniziato a partorire, istaurando rapporti esclusivi di reciprocità amorosa con i maschi.

Lo sviluppo della società dei banditi costituisce il più grande problema dello Jhiaddgrow. Le aka sono diventate insicure e in alcuni tratti è preferibile avventurarsi per i sentieri tra i boschi, piuttosto d'imbattersi quasi sicuramente in qualche banda Kitthin.

 

Neanche i monasteri Jhiaddin sono al sicuro dai loro attacchi, tanto che si sono tutti dotati di mura difensive e soprattutto di una guardia armata di monaci Pashari, la cui mansione principale è scortare i raccoglitori mentre vanno per le montagne in cerca di erbe dragonesche.

Le Draghe si videro costrette ad adottare nuove regole per governare su quanti non potevano più essere definiti di schiappa apalagia. Delegarono i cavalieri Pashari humani di far rispettare con la forza questi provvedimenti. Ogni monastero fornisce un congruo numero di questi paladini alla Mbushura, nella quale ormai ne vive un piccolo esercito. Essi giurano fedeltà al governo delle Draghe che ne dispongono per vigilare sulle aka di tutto lo Jhiaddgrow, dove sono stati costruiti dei distaccamenti. Queste guarnigioni sono rette da un prefetto che può deliberare a sua descrizione anche una pena di morte. I prefetti svolgono compiti di polizia anche a Jhiaddmott e in particolar modo ad Akapross, dove la comunità di Kitthin è più numerosa.

 

All'ombra delle tre vette degli "Artigli del Drago" la natura è capace di cose straordinarie. Nei boschi vivono creature che sfidano la più ardita delle fantasie e nel vento è possibile udire il rifiato del drago.

Le genti che popolano questi luoghi hanno occhi impossibili da stupire. Persino la morte non fa paura perché può giungere a liberare da condizioni d'esistenza ben più spaventevoli.

La primavera giunge dopo lunghi inverni e l'estate non è mai abbastanza calda da far sciogliere il gelo dalle ossa intirizzite, eppure in nessun altro luogo i fiori sono più colorati e i raggi del sole carezzano con altrettanta dolcezza.

Questo è lo Jhiaddgrow nato dalle sue leggende che s'intrecciano con una realtà sempre capace di crearne di nuove.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Molto bello, complimenti =)

 

Accetto molto volentieri i complimenti ... grazie! :you:

 

Ecco qui, dunque, la leggenda si è conclusa in nove capitoli invece che i dieci previsti. Questo perché il capitolo dedicato alla formazione del monaco Jhiaddin è cresciuto in modo ipertrofico e non ci stava più nella struttura che mi ero dato. Così ho deciso di farne il primo libro della ovvia trilogia che merita ogni storia fantasy.

 

Mi fa molto piacere che almeno a qualcuno questa parte introduttiva sia piaciuta. Una fase descrittiva del mondo in cui vuoi andare ad ambientare le tue storie è inevitabile ... e le descrizioni si sa che sono noiose. Io ho cercato di mitigarle cucendole con "appunto" la leggenda, cercando di mantenere sempre un ritmo andante, senza mai soffermarmi su dettagli che pure mi avrebbero preso molto ... troppo, lo so. Quindi mi sono dato un max di tre pagine ... ricorrendo spesso a riassumere in un solo paragrafo delle paginate di elucubrazioni mentali alla Tolkien.

 

Siccome non mi riesce di mettere insieme una mappa decente, vi passo la musica che ho immaginato come main theme. Si tratta di Lindsey Starling ... manco sapevo chi fosse, l'ho trovata per caso e questo pezzo è di Skyrim. Mi piacciono una cifra i cori e poi questo video è un fantasy molto accattivante.

 

https://www.youtube.com/watch?v=BSLPH9d-jsI

 

 

Ora però sospenderò per un po' per dedicarmi al romanzo ... quello impicciato che sto cercando di dipanare da una vita. Ma intanto penso anche a questo, ho già del materiale su cui lavorare e tante idee ... scrivere questo tipo di narrativa pura mi rilassa troppo .. quindi penso che vi ricorrerò spesso.

 

Tanto per fare una sorta di Trailer alla "GAMEOFTHRONES" -

 

Il destino porta un infante da un passato particolare tra le braccia di una reverenda Draga ... questa ha in mano l'inquietante biberon della Fahall-Jhiaddmiuh ... Il neonato è chiamato a superare la prima grande prova della sua vita ... Le lacrime del drago solcheranno in modo indelebile le sue tenere gote?

Il giovinetto cresce nel palazzo dell'askalot, dove apprende i segreti che furono degli antichi giganti, ma intorno a lui iniziano ad accadere strani eventi, manifestazioni che evocano forze occulte ... chi è il giovane draghetto e chi teme che riesca ad apprendere le arti segrete dei monaci Jhiaddin?

Arriverà il giorno della Jhiadra, in cui le Draghe salutano gli Jhimiuh che partono per il oro viaggio verso il monastero dove saranno consacrati Pashari. Un viaggio lungo e impervio che attraverserà l'intero Jhiaddgrow ... incontrerà le genti che lo popolano e rischierà in tante avventure ... ma c'è qualcosa che continua a proteggerlo ... cos'è?

Nel monastero concluderà il suo cammino per diventare monaco, ma prima di riuscirvi deve risolvere qualcosa che arriva dal passato della sua famiglia ...

 

Oddio, più di un trailer sembra l'introduzione a una puntata di Voyager ... XD Eppoi ce ne sarebbe per l'intera trilogia ve'! --> ma poi si sa che tutto è in divenire ...

Link to comment
Share on other sites

 ... questa ha in mano l'inquietante biberon della Fahall-Jhiaddmiuh ... 

 

Questa del "biberon inquietante", senza offesa però, è bruttina; o meglio fa venir da ridere un pochino  :P:  =D

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

 

 


Questa del "biberon inquietante", senza offesa però, è bruttina; o meglio fa venir da ridere un pochino   =D

 

:laugh:  ... sì, me ne sono accorto anche quando l'ho scrivevo, per questo ho aggiunto "inquietante" ... ma come si dirà in italiano "biberon? ---> POPPATOIO? -----> La reverenda Draga teneva in mano l'inquietante POPPATOIO <--- bah, già è meglio del termine francese ... e va bene, dai che è solo una piccola sinossi buttata là. Magari nel testo a sto poppatoio gli darò un nome specifico ... 

 

Intanto mi è stato anche fatto notare che il main theme che ho scelto è famosissimo e anche un poco abusato ... almeno per gli esperti di fantasy ... a questo punto accetto volentieri qualche consiglio ---> Vorrei qualcosa di ... dal sapore un po' ... con i cori ecco ...  :hm:  ----> questa potrebbe andare?

 

https://www.youtube.com/watch?v=VtHqnsn-rNA

Link to comment
Share on other sites

:laugh:  ... sì, me ne sono accorto anche quando l'ho scrivevo, per questo ho aggiunto "inquietante" ... ma come si dirà in italiano "biberon? ---> POPPATOIO? -----> La reverenda Draga teneva in mano l'inquietante POPPATOIO <--- bah, già è meglio del termine francese ... e va bene, dai che è solo una piccola sinossi buttata là. Magari nel testo a sto poppatoio gli darò un nome specifico ... 

 

Intanto mi è stato anche fatto notare che il main theme che ho scelto è famosissimo e anche un poco abusato ... almeno per gli esperti di fantasy ... a questo punto accetto volentieri qualche consiglio ---> Vorrei qualcosa di ... dal sapore un po' ... con i cori ecco ...  :hm:  ----> questa potrebbe andare?

 

https://www.youtube.com/watch?v=VtHqnsn-rNA

 

Io darei al biberon un nome proprio e toglierei inquietante, ad esempio puoi dire "costei sorregge  l'XXXX, contenente...".

Il brano che hai scelto mi sembra bello.

 

Un brano epico con i cori, che io conosco, è il "Dies Irae (giorni dell'ira)" di G.Verdi, è molto conosciuto.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Io darei al biberon un nome proprio e toglierei inquietante, ad esempio puoi dire "costei sorregge  l'XXXX, contenente...".

Il brano che hai scelto mi sembra bello.

 

Un brano epico con i cori, che io conosco, è il "Dies Irae (giorni dell'ira)" di G.Verdi, è molto conosciuto.

 

Sì, credo che gli darò un nome a questo poppatoio e risolvo la questione ...

 

Il brano ... il requiem di Verdi lo conosco praticamente a memoria ... ed è questo il problema ... mi va d'immaginare qualcosa di nuovo ... sicuramente non all'altezza di cotanta beltade ... ma anche più contemporaneo ... nel senso che risulterei persino spocchioso ad evocare certi nomi ... anche perché, diciamocelo, mi sentirei anche in imbarazzo ad accostare un nome come quello di Verdi a uno scritto di genere come questo ... non che non sia orgoglioso di scriverlo ... ma ecco ... non ce lo vedo a confronto di una saga fantasy ... 

Link to comment
Share on other sites

  • 1 month later...

Nonostante non si creda, perché nei miei discorsi si tirano fuori "draghi, mostri, puzzole ed affini", il fantasy non è proprio il mio genere. Quindi sto leggendo molto a rilento, ed il mio commento non vale quanto un lettore del genere.
Ma come al solito, ben scritto :D

Mi metterò a paro, al momento sono al terzo capitolo >.<
 

Link to comment
Share on other sites

  • 2 weeks later...

Nonostante non si creda, perché nei miei discorsi si tirano fuori "draghi, mostri, puzzole ed affini", il fantasy non è proprio il mio genere. Quindi sto leggendo molto a rilento, ed il mio commento non vale quanto un lettore del genere.

Ma come al solito, ben scritto :D

 

Mi metterò a paro, al momento sono al terzo capitolo >.<

 

 

No, non lo leggere Manny! E' una prima stesura e rileggendola a freddo mi sono accorto che ci sono errori grossi come una casa. Per esempio ho scritto due leggende diverse per la fondazione della Rocca di Astamira e il nome dello sperone di roccia su cui sorge è lo stesso della terza montagna degli artigli del drago, e nelle due occasioni ha un significato diverso ... 

 

Lo riscriverò e 'fanculo la sintesi che non so manco dove sta di casa, darò più spazio alle leggende come succede nei primi capitoli, ad esempio racconterò quella di Lorna eccetera ... si allungherà un botto, ma come è scritto ora rimane tirato via, specie negli ultimi capitoli. Quindi aspetta, ok?

 

Sul fantasy come genere, anch'io non sono un grande estimatore di questi romanzi. Infatti, ne ho letti assai pochi. Scriverli è molto complicato perché bisogna andare a descrivere tutto un mondo con i suoi paesaggi, popoli, storia ... linguaggi esotici ... bah, riuscire a farlo senza annoiare è una bella impresa. 

 

Bah, vedremo come verrà la seconda stesura ... 

Link to comment
Share on other sites

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Unfortunately, your content contains terms that we do not allow. Please edit your content to remove the highlighted words below.
Reply to this topic...

×   Pasted as rich text.   Paste as plain text instead

  Only 75 emoji are allowed.

×   Your link has been automatically embedded.   Display as a link instead

×   Your previous content has been restored.   Clear editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

×
×
  • Create New...