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La terza via dell'economia


Nemesi

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Quello di cui parli è l'"eurocomunismo" che fu un progetto ambizioso ma completamente fallimentare,

 

 

 

L'eurocomunismo al massimo era un'associazione di partiti comunisti che indicavano la terza via, ma non era certo la terza via.

 

 

 

La "terza via" è stata poi rielaborata completamente negli anni '90 quando appunto come diceva qualcuno prima c'erano al governo i vari Prodi, Blair, Schroeder, Gonzales, ecc... e teorizzava una via di mezzo tra la socialdemocrazia ed il liberismo,

 

Sì l'aristotelica "via di mezzo": la virtù come medio tra due vizi che sono gli estremi....

Solo che non si è mai capito in cosa consistesse la medietà!

Edited by Mario1944
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privateuniverse
P.s./ Comunque a me non sembra che il sistema capitalista sia questo mostro affamatore(con tutti i benefici sulle analisi future, ma con certezza su quelle del passato): http://www.economist.com/news/leaders/21578665-nearly-1-billion-people-have-been-taken-out-extreme-poverty-20-years-world-should-aim

 

Frollo, se la tua fonte è l'Economist, un settimanale di estrema destra dal punto di vista economico tanto è dogmatica la sua fiducia nel libero mercato, non c'è da meravigliarsi che le tue tesi siano quelle che sono.

 

Circa quanto detto da @Hinzelmann: sostanzialmente ci hai preso, ma in realtà la divisione fondamentale è tra quegli economisti, e quelle scuole economiche, che credono che il capitalismo sia un sistema che, lasciato a sé stesso, tende all'equilibrio, e coloro che ritengono, invece, che il capitalismo sia un sistema intrinsecamente instabile.

A questo secondo filone appartengono economisti come Ricardo, Malthus, Marx, Keynes, Sraffa e i loro discepoli.

 

@Mario1944 mette molta carne al fuoco. Per certi versi, in realtà, le differenze di opinione tra noi due sono solo questione di accenti: per esempio, mi sembra che entrambi riteniamo che la povertà di molte società tradizionali non sia uno stato desiderabile e che una qualche forma di ripensamento del modo in cui funziona il nostro sistema economico sia necessaria. La differenza tra noi due risiede nel fatto che, mentre io mi sono convinto che certi fenomeni siano connaturati al capitalismo, e non semplici storture da correggere, tu ritieni che il capitalismo contenga in sé dei meccanismi autoregolatori.

 

Non sono in grado di affrontare una discussione sistematica sui pro e contro del capitalismo. Certe obiezioni non mi sembrano dirimenti: è chiaro che le guerre esistevano anche prima, non è il capitalismo che ha inventato l'avidità umana; il problema è che il capitalismo la erge a sistema; e non bisogna neanche credere che le società precapitalistiche o, semplicemente, non capitalistiche, avessero tutte lo stesso approccio ai rapporti umani e sociali o la stessa tendenza a erigere la ricerca del profitto personale, costi quel che costi, a regola aurea del comportamento umano. Allo stesso modo, ci sono numerosi esempi di società precapitalistiche, o non capitalistiche, che hanno avuto la stessa tendenza alla distruzione delle risorse naturali che sta mostrando il capitalismo; ancora una volta, però, la differenza ha a che fare con la scala della distruzione e con l'ideologia sottostante.Sono differenze non solo quantitative; o, comunque, la differenza quantitativa è tale da costituire anche una differenza qualitativa.

 

Gli esempi che sono stati fatti di distruzione delle risorse nell'ambito dei sistemi economici collettivistici del blocco comunista sovietico, come quello del Lago d'Aral, sono giustissimi. Ma cosa dire, per esempio, del concetto di "obsolescenza programmata", ampiamente praticato e applicato nell'ambito del nostro sistema economico? A cosa serve, quali interessi serve, e quali conseguenze ha? La realtà del funzionamento del capitalismo è molto diversa da come viene descritta.

 

Il punto cruciale nella valutazione del capitalismo come meccanismo efficiente di allocazione delle risorse è l'esistenza di quelli che, nel linguaggio economico, sono detti "fallimenti del mercato" e, in particolare, la presenza di esternalità. L'esternalità negativa più macroscopica è il riscaldamento globale, un fenomeno che, per la maggioranza degli scienziati, è un prodotto dell'attività umana e che è direttamente imputabile al modo in cui è organizzata l'attività economica, una modalità che discende direttamente dal capitalismo ad economia di mercato, e che finirà per distruggere l'ambiente nel quale viviamo e noi stessi, ma di diseconomie esterne, grandi e piccole, ce ne sono anche altre.

 

Circa il fatto che il capitalismo affami le persone e la sua natura sia oppressiva e repressiva in troppe circostanze, credo che se si sviluppa la conoscenza della storia di società come quelle africane, latinoamericane e asiatiche si acquisisce una prospettiva diversa. Quando, tanto per fare un esempio, gli Stati Uniti e i paesi occidentali appoggiarono colpi di stato che deposero governi come quelli di Mossadeq in Iran o di Sukarno in Indonesia, in quest'ultimo caso con il corollario del massacro di qualche milione di persone, lo fecero per proteggere la libertà contro la minaccia comunista (che, sia chiaro, era una minaccia reale per la libertà delle persone) o per proteggere altri interessi? Quando, in anni recenti, gli Stati Uniti hanno appoggiato il golpe bianco che ha portato alla destituzione, in Honduras, del presidente Zelaya, che comunista non è di sicuro, l'hanno fatto per proteggere quali libertà, e di chi? E bada che, in quest'ultimo caso, a governare negli Stati Uniti c'era Obama, con la Clinton ministro degli esteri.

 

Allora, io dico: dobbiamo rassegnarci allo stato di cose esistente, credere che le cose debbano andare per forza così, o comunque non possano andare diversamente, o dobbiamo cercare un'alternativa? Io penso che un'alternativa debba essere cercata e costruita, anche se non so prefigurare le caratteristiche di questa ipotetica alternativa.

 

La mia convinzione personale è che la nostra società stia diventando sempre più autoritaria, dal punto di vista sia economico sia politico, e che il capitalismo ci porterà alla rovina in senso non solo economico, ma strettamente biologico.

Edited by privateuniverse
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L'eurocomunismo al massimo era un'associazione di partiti comunisti che indicavano la terza via, ma non era certo la terza via.

 

Sì l'aristotelica "via di mezzo": la virtù come medio tra due vizi che sono gli estremi....

Solo che non si è mai capito in cosa consistesse la medietà!

 

Si ma la differenza di base è abissale : i partiti comunisti occidentali degli anni '70 (l'eurocomunismo nasce nel 1976) erano forze pressochè marginali, in alcuni casi extraparlamentari e come ho scritto prima alcuni esistevano più che altro per i fondi dell'Urss, non si trattava assolutamente di movimenti di massa.

I partiti socialdemocratici degli anni '90 erano partiti di governo, oltretutto in una fase molto complicata, con la fine dei due blocchi, l'integrazione europea, ecc... che poi purtroppo la third way del PSE sia stata un flop è un altro discorso.

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Icoldibarin

 

 


P.s./ Comunque a me non sembra che il sistema capitalista sia questo mostro affamatore(con tutti i benefici sulle analisi future, ma con certezza su quelle del passato)

Anche se ripeto, non credo sia stato sbagliato in toto il precorso intrapreso dalla civiltà occidentale in questi due secoli e mezzo, io ritengo che il capitalismo abbia già affamato nel presente molte persone, probabilmente più di quante ha fatto uscire dalla povertà, per lo meno come deve essere intesa la povertà.

Qui una precisazione è doverosa, povertà vuol dire scarsa disponibilità di denaro e poche spese?

Dal collegamento che hai inserito sembra di sì ed io ritengo che sia una definizione poco utile e fuorviante. Anzi il fatto che molte persone abbiano aumentato il loro reddito potrebbe essere in certi casi una notizia negativa, può voler dire che hanno perso parte della loro indipendenza nel soddisfacimento dei loro bisogni.

Senza voler scomodare ancora una volta le già citate "società primitive" che probabilmente se ne fanno poco di accumulare o spendere dollari quando possono prodorsi la maggior parte di quanto abbisognano in modo autonomo ti segnalo un esempio interessante.

Una famiglia nel villaggio di Sieben Linden vive mediamente con una cifra intorno ai 600€ mensili e per lo stato tedesco è considerata povera, tuttavia (almeno a quanto dicono loro stessi) pare non manchi nulla, quello che fa la differenza è che molti servizi sono stati collettivizzati, si è cercato di limitare lo spreco e di guadagnare una fetta di indipendenza.

Ancora, senza andare a vedere queste situazioni alle nostre latitudini ancora isolate, basta ragionare sulle zone che fino a qualche decennio fa avevano un rapporto col capitalismo ancora marginale. Si pensi alle nostre montagne e all'economia che vi si praticava (probabilmente è difficile pensarlo, ma se non avete vicino nessuno che ha vissuto in quegl'anni in quei luoghi potete fare riferimento alle memorie scritte, se ne trovano diverse in biblioteca), date interazioni limitate con i centri abitati a fondo valle il bisogno di moneta era assai basso. Sia ben chiaro, vivere in quei luoghi e in quegli anni non era certamente facile, era una vita molto faticosa e difficile, ma difficilmente ci si trovava a fare i conti con la fame, la povertà estrema e le situazioni di degrado tipiche delle nostre metropoli.

E prima che qualcuno ci tenti: no, non sto proponendo di tornare a vivere come si faceva in Val Gerola settant'anni fa, intendo solo mostrare che la disponibilità economica non è automaticamente sinonimo di benessere e la carenza di malessere.

 

 


tu hai parlato di disputa teologica è come già ti dissi tempo addietro la teoria della decrescita, non essendo supportata dai dati od analisi storiche, si configura al pari di una religione, nel senso che ci si può credere, ma la sua bontà non è dimostrabile.

Gli informatici hanno un bellissimo strumento che in gergo si chiama "recinto della sabbia", è un ambiente giocattolo dove si possono mettere a girare le applicazioni per testarne il corretto funzionamento senza che possano produrre danni.

Sfortunatamente in economia un tale equivalente non c'è per cui bisogna basarsi su quanto abbiamo in mano ora e fare delle ipotesi, che saranno da aggiustare man mano, sul futuro.

Mi spiace dirtelo, ma se c'è una religione è quella che postula che in una brocca d'acqua da un litro ne possano essere versati 5, 10, 100 senza che essa trabocchi, un postulato che, per quanto mi risulta, rimanendo postulato, non è mai stato dimostrato (E oltre a ciò mi pare che sia anche poco credibile).

Mi pare che nessuno in questa discussione abbia asserito di essere illuminato, di conoscere "La Via", il progetto di decrescita è un progetto in costruzione, se deve essere aggiustato (e sicuramente dovrà) sarà aggiustato proprio perché rifugge un approccio dogmatico o un approccio teorico basato eccessivamente su una modellazione delle società, che dato l'enorme numero di variabili (gli individui) non può essere preciso.

 

Invito innanzitutto i partecipanti alla discussione a prendere atto che decrescita non è l'analogo di recessione (cioè la situazione odierna di decrescita economica restando nella società consumistica) e osservare la discussione delle obiezioni canoniche che vengono di solito sollevate.

Vista l'ora tardi non mi sembra il caso di argomentarvele una ad una, ho trovato una breve pagina che ne riassume alcune, di cui consiglio la lettura.

Non è certo come leggere un libro dedicato ma almeno si riesce ad inquadrare quello di cui si sta discutendo.

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Non ho alcuna simpatia né per il capitalismo

né per il cosiddetto "socialismo reale";

che si differenzia dal primo solo perché

sostituisce gli imprenditori coi burocrati.

 

Per me le fabbriche devono essere degli operai,

i campi dei contadini e i supermercati delle cassiere.

 

Vale il paragone con le case.

Non è giusto che l'inquilino paghi un affitto

e la proprietà rimanga al padrone di casa;

dopo un certo numero di rate 

l'inquilino deve diventare il nuovo proprietario.

 

E vale il paragone con lo Stato.

Come è stupido affidare uno Stato a un monarca

che poi lo farà ereditare a suo figlio (che potrebbe essere un idiota);

così è ridicolo che una fabbrica venga ereditata.

Diciamo che la democrazia parlamentare sta alla monarchia

come il cooperativismo sta al capitalismo.

 

Inoltre nessuno lavora volentieri

quando non guadagna direttamente dal proprio lavoro;

sia che lavori per un imprenditore che per uno Stato.

 

Senza contare che il cooperativismo

limiterebbe di molto la finanziarizzazione dell'economia,

ridurrebbe drasticamente l'importazione di manodopera straniera

e renderebbe impensabile la delocalizzazione.

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privateuniverse

Si ma la differenza di base è abissale : i partiti comunisti occidentali degli anni '70 (l'eurocomunismo nasce nel 1976) erano forze pressochè marginali, in alcuni casi extraparlamentari e come ho scritto prima alcuni esistevano più che altro per i fondi dell'Urss, non si trattava assolutamente di movimenti di massa.

 

Certo che c'è una grande differenza fra l'eurocomunismo e la terza via socialdemocratica degli anni Novanta. La differenza fondamentale è che l'eurocomunismo era un tentativo di mettere a punto un progetto di fuoriuscita dal capitalismo senza per questo replicare i difetti fondamentali del comunismo sovietico, che sopprimeva le libertà fondamentali. Invece, la "Terza Via" rinuncia a qualsiasi prospettiva alternativa al capitalismo e, di fatto, finisce per realizzare politiche assai poco diverse, nella sostanza, da quelle della destra; in altri termini, l'esperienza dimostra che Blair o Schröder sono stati dei pallidi conservatori. A seppellire la Terza Via credo sia stata soprattutto la decisione di Blair di fare lo sgherro di George W. Bush ai tempi dell'invasione dell'Iraq, per non parlare della decisione di Schröder di finire la sua carriera da consulente della Gazprom e, in ultima analisi, della crisi scoppiata nel 2008, che ha spazzato via certi pseudoriformismi. Da questo punto di vista sono stati molto più alternativi i partiti socialdemocratici dei paesi dell'Europa settentrionale, che hanno realizzato programmi di riforme talmente profondi e protratti nel tempo da rendere quelle dei paesi scandinavi le economie più vicine a un ipotetico modello socialista.

 

Però, scusa se te lo dico, ma non vedo proprio come faccia tu a dire che i partiti "eurocomunisti" fossero partiti privi di radicamento sociale. Avendo avuto un precoce interesse per la politica io gli anni Settanta me li ricordo bene, anche se ero un bambino. Alle elezioni del 1976 il PCI ottenne il 34,4 per cento, meno di quattro punti percentuali in meno della DC, e aveva oltre un milione e seicentomila iscritti, oltre a una presenza cospicua nei sindacati e, in generale, nella società. Tutto se ne può dire, tranne che non fosse un partito di massa. Idem per il PCF che, prima dell'ascesa elettorale del PCI, negli anni Cinquanta era il più forte partito comunista dell'Europa occidentale e che, ancora negli anni Settanta, otteneva stabilmente oltre il venti per cento dei voti, rimanendo il principale partito della sinistra in Francia fino a quando, nel 1978, Mitterrand riuscì a spodestarlo. Il PCE era molto più piccolo, il più piccolo dei tre, ed era anche il più critico dell'Unione Sovietica. Sostanzialmente eurocomunisti erano anche i partiti comunisti di Finlandia e Svezia, la cui consistenza elettorale era comunque significativa.

 

Di sicuro erano partiti di massa.

Edited by privateuniverse
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Frollo, se la tua fonte è l'Economist, un settimanale di estrema destra dal punto di vista economico tanto è dogmatica la sua fiducia nel libero mercato, non c'è da meravigliarsi che le tue tesi siano quelle che sono.

Se vabbeh, qua viene quasi da chiedersi se tu l’Economist ed i suoi editorialisti li abbia mai letti, inoltre esso è uno delle principali e più autorevoli testate, se non la più autorevole, di carattere economico-finanziario, che basa la bontà delle sue analisi e del suo nome sul fatto di lavoare con metodologia scientifica e con dati certificati. Per quanto anche io trovi dilettevole leggere Il Metallurgico non conterei mai sull’oggettività dei suoi scritti.

 

 

 

 

in realtà la divisione fondamentale è tra quegli economisti, e quelle scuole economiche, che credono che il capitalismo sia un sistema che, lasciato a sé stesso, tende all'equilibrio, e coloro che ritengono, invece, che il capitalismo sia un sistema intrinsecamente instabile.

Anche qua parlare attraverso dati di fatto non sarebbe male; le divisioni sono molto più complesse di quelle che allegramente vengono qui sintetizzate, e variano da filone di studio a filone di studio, e francamente è curioso vedere il nome di Ricardo affiancato a quello di Malthus dopo una simile premessa, proprio a dimostrazione del fatto che riassumere le scuole economiche, che come inevitabile spesso sono anche qualcosa di più, in due filoni è irrealizzabile.

 

 

 

Il punto cruciale nella valutazione del capitalismo come meccanismo efficiente di allocazione delle risorse è l'esistenza di quelli che, nel linguaggio economico, sono detti "fallimenti del mercato" e, in particolare, la presenza di esternalità. L'esternalità negativa più macroscopica è il riscaldamento globale, un fenomeno che, per la maggioranza degli scienziati, è un prodotto dell'attività umana e che è direttamente imputabile al modo in cui è organizzata l'attività economica, una modalità che discende direttamente dal capitalismo ad economia di mercato, e che finirà per distruggere l'ambiente nel quale viviamo e noi stessi, ma di diseconomie esterne, grandi e piccole, ce ne sono anche altre.

Mi spiace contraddirti ma anche qui dici cose inesatte. La comunità scientifica è quasi unanimemente concorde che sia in atto un riscaldamento globale, anche se i dati raccolti nell’ultimo decennio rivelano che è molto più graduale e fisiologico di quanto era stato predetto, ma molto divisa su quanto sia l’impatto antropico sul fenomeno, e quanto sia dovuto ad altre cause, come ad esempio il ciclo solare o il rilascio di anidride carbonica dall’idrosfera(oceani in particolare). Peraltro il clima di suo non è immutabile, così come è abbastanza curioso considerare l’uomo e la sua sfera d’azione al di fuori del mondo; l’uomo non è l’unica specie che sfrutta massicciamente l’ambiente che lo circonda. Faccio poi notare come i maggiori danni ambientali di cui si ha memoria siano stati creati da programmi di economia pianificata più che ad attività privata, e come sia stato altrettanto fallimentare l’intervento statale per creare “uno sviluppo più sostenibile”, dal protocollo di Kyoto, a casi più nostrani come gli incentivi al solare(fatalità proprio ieri c’era un articolo carino sul corriere).

Sul tema poi del riscaldamento globale si fa eccessiva disinformazione, presentandolo come il pericolo maggiore, quando in realtà nel medio periodo un aumento delle temperatura potrebbe anche essere vantaggioso, e sul lungo periodo si parla di effetti negativi per l’1,5% del PIL mondiale.

 

 

 

La mia convinzione personale è che la nostra società stia diventando sempre più autoritaria, dal punto di vista sia economico sia politico, e che il capitalismo ci porterà alla rovina in senso non solo economico, ma strettamente biologico.

Tralasciando il fatto che parli di capitalismo indicando altri fenomeni, tu per diminuire la forza dell’autorità centrali, che sono le vere minacce alla libertà sia economica che politica, adombri ricette che per funzionare abbiano necessariamente bisogno di dosi massicce di programmazione economica, e quindi di maggior potere centrale?

 

 

Anche se ripeto, non credo sia stato sbagliato in toto il precorso intrapreso dalla civiltà occidentale in questi due secoli e mezzo, io ritengo che il capitalismo abbia già affamato nel presente molte persone, probabilmente più di quante ha fatto uscire dalla povertà, per lo meno come deve essere intesa la povertà.

Qui sbagli, i problemi di malnutrizione sono in diminuzione in ogni continente, e nei paesi in via di sviluppo, come Cina o paesi arabi, si ha avuto dal ’90 ad oggi un dimezzamento del loro indice della fame.

Sul sito del Cesvi dovresti trovare i report annuali sull’indice globale della fame.

Inoltre anche sul fronte del controllo delle malattie e l’aumento della vita media i risultati sono positivi, e analizzando le serie storiche si noterà che una fattore chiave che ha contribuito a sconfiggere molte malattie mortali tropicali ed aumentare la vita media di molte zone del pianeta è stato un particolarissimo prodotto del capitalismo, cioè l’imperialismo europeo, con notevoli differenza da impero ad impero.

 

 

Anzi il fatto che molte persone abbiano aumentato il loro reddito potrebbe essere in certi casi una notizia negativa, può voler dire che hanno perso parte della loro indipendenza nel soddisfacimento dei loro bisogni.

Qui si parla di esigenze primarie, cioè un dieta più ricca e migliore, comprare vestiti, medicine, ecc…, certamente non la playstation, dove comunque la POSSIBILITA’ di farlo esiste rappresenta un fatto positivo.

 

 

 

 

Una famiglia nel villaggio di Sieben Linden vive mediamente con una cifra intorno ai 600€ mensili e per lo stato tedesco è considerata povera, tuttavia (almeno a quanto dicono loro stessi) pare non manchi nulla, quello che fa la differenza è che molti servizi sono stati collettivizzati, si è cercato di limitare lo spreco e di guadagnare una fetta di indipendenza.

Ero a conoscenza di questa famiglia, così come l’esempio di un’altra famiglia francese che viveva con cinque euro al giorno. Io non sono contrario che costoro vivano in questa maniera, sono contrario che si voglia estendere il loro modello ad altri. Il problema di sistemi simili è che possono autogestirsi ma non producono miglioramenti, in una società simile sarebbe impossibile pensare ricerche per migliorare anche solamente la produzione agricola, o l’efficacia della scienza medica, insomma si dovrebbe accettare un diminuzione del nostro benessere se applicato su vasta scala, mentre costoro hanno la fortuna di vivere con rete di sicurezza(banalmente se un anno ci fosse una gelata potrebbero ricorrere ai supermercati, se il figlio di ammalasse di potrebbero ricorrere alla medicina moderna, e ai farmaci creati dalle case farmaceutiche).

In merito all’esempio delle valli montane è falso ciò che dici, infatti solamente ai tempi del regno d’Italia il problema della malnutrizione in zone isolate era un problema grave, non solamente per un fattore meramente calorico ma proprio per poca varietà nella dieta, e non è un caso se le aspettative di vita erano minori rispetto ai centri abitati non isolati.

A tal proposito sarebbe utile studiare il declino che subì l’impero cinese quando di chiuse su stesso dopo la morte dell’imperatore Yongle, e di come la produzione agricola cinese venne superata da quella europea, e ci come questa trappola erose progressivamente il benessere della popolazione. Alla fine mentre nella brutta europa nell’ottocento la dieta era migliorata sotto il profilo calorico e di varietà, nella Cina la dieta era ancora al 90% composta da riso…insomma non proprio benessere.

 

 

 

Mi spiace dirtelo, ma se c'è una religione è quella che postula che in una brocca d'acqua da un litro ne possano essere versati 5, 10, 100 senza che essa trabocchi, un postulato che, per quanto mi risulta, rimanendo postulato, non è mai stato dimostrato

In base a cosa dici che la brocca possa contenere un litro? Tenendo l’esempio della brocca la società del consumi, il miglioramento della scienza e della tecnica, la competizione, la proprietà, ecc…, hanno in un certo senso dimostrato che la brocca potesse contenere più acqua di quel che si pensava(od hanno fatto brocche più grandi), così come la trappola malthusiana venne smetita grazie al migliramento delle capacità produttive. Io non nego che in un universo finito, se così fosse il nostro, possa sussistere un limite, che a tempo infinito, che con tutti i miglioramenti possa verificarsi invalicabile, o che esista un limite minore oltre il quale quell’insieme di caratteristiche proprie del capitalismo(parlo della base non dell’attuale forma, che già è in mutamento) possa spingersi, dico solo che nessuno l’ha dimostrato, e non ha neppure falsificato una crescita potenzialmente continua, e che quindi crederlo è un atto fideistico. Se succederà ne prenderemo atto.

La decrescita, ai miei tempi del liceo, mi affascinava e come già ti dissi lessi Latouche, però il sistema su cui si basa è intrinsecamente recessivo, e peggioratore almeno del benessere materiale, se non altro perché se applicato porterebbe ad una fortissima contrazione del commercio.

Ad ogni modo tutti possono sperimentare ciò che vogliono, come le comuni hippie spagnole, semplicemente se si propone in modello si deve essere in grado di argomentarlo con dei dati, delle serie storiche, od almeno un percorso logico accettabile e la teoria decrescista manca di questo. 

 

P.s./ La diminuzione delle ore di lavoro e l'aumento del tempo libero è stato generato grazie all'aumento di efficienza che il sistema della competizione cerca, quindi non serviva Latouche, ma semplicemente studiarsi il salto fatto due secoli fa quando si passò alla società dei consumi, ciò quando di capì che i produttori erano anche consumatori preziosi.

 

P.s./Mi scuso per gli errori ma non ho voglia di rileggere ;-)

Edited by Loup-garou
Corretti quote
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Caro Frollo, è un grave errore presupporre che i propri interlocutori la pensino diversamente da noi perché ne sanno meno di noi, perché a volte è proprio il contrario: la pensano diversamente da noi perché ne sanno di più.

 

Non sto dicendo che questo sia necessariamente il mio caso in questa discussione ma, in generale, devi sempre ricordare che, in un forum, non si sa mai chi si ha davanti. Io potrei anche essere Olivier Blanchard in incognito, per quanto ne sai.

 

Detto questo, veniamo ai punti che sollevi (ho aggiunto dei numeri perché non riesco a capire come "spezzare" il tuo chilometrico intervento); sarò sintetico e ometterò di controbattere le tue obiezioni a @Icoldibarin.

 

 

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Se vabbeh, qua viene quasi da chiedersi se tu l’Economist ed i suoi editorialisti li abbia mai letti, inoltre esso è uno delle principali e più autorevoli testate, se non la più autorevole, di carattere economico-finanziario, che basa la bontà delle sue analisi e del suo nome sul fatto di lavoare con metodologia scientifica e con dati certificati. Per quanto anche io trovi dilettevole leggere Il Metallurgico non conterei mai sull’oggettività dei suoi scritti.

 

 

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Anche qua parlare attraverso dati di fatto non sarebbe male; le divisioni sono molto più complesse di quelle che allegramente vengono qui sintetizzate, e variano da filone di studio a filone di studio, e francamente è curioso vedere il nome di Ricardo affiancato a quello di Malthus dopo una simile premessa, proprio a dimostrazione del fatto che riassumere le scuole economiche, che come inevitabile spesso sono anche qualcosa di più, in due filoni è irrealizzabile.

 

 

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Mi spiace contraddirti ma anche qui dici cose inesatte. La comunità scientifica è quasi unanimemente concorde che sia in atto un riscaldamento globale, anche se i dati raccolti nell’ultimo decennio rivelano che è molto più graduale e fisiologico di quanto era stato predetto, ma molto divisa su quanto sia l’impatto antropico sul fenomeno, e quanto sia dovuto ad altre cause, come ad esempio il ciclo solare o il rilascio di anidride carbonica dall’idrosfera(oceani in particolare). Peraltro il clima di suo non è immutabile, così come è abbastanza curioso considerare l’uomo e la sua sfera d’azione al di fuori del mondo; l’uomo non è l’unica specie che sfrutta massicciamente l’ambiente che lo circonda. Faccio poi notare come i maggiori danni ambientali di cui si ha memoria siano stati creati da programmi di economia pianificata più che ad attività privata, e come sia stato altrettanto fallimentare l’intervento statale per creare “uno sviluppo più sostenibile”, dal protocollo di Kyoto, a casi più nostrani come gli incentivi al solare(fatalità proprio ieri c’era un articolo carino sul corriere).

Sul tema poi del riscaldamento globale si fa eccessiva disinformazione, presentandolo come il pericolo maggiore, quando in realtà nel medio periodo un aumento delle temperatura potrebbe anche essere vantaggioso, e sul lungo periodo si parla di effetti negativi per l’1,5% del PIL mondiale.

 

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Tralasciando il fatto che parli di capitalismo indicando altri fenomeni, tu per diminuire la forza dell’autorità centrali, che sono le vere minacce alla libertà sia economica che politica, adombri ricette che per funzionare abbiano necessariamente bisogno di dosi massicce di programmazione economica, e quindi di maggior potere centrale?

 

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Vedi Frollo, se ci conoscessimo di persona ti inviterei a casa mia. Nella mia piccola libreria potresti consultare, se ti va, le tre annate dell'Economist (dal 1990 al 1993) che feci rilegare alla fine degli anni Novanta, poco dopo aver iniziato a lavorare. Credo di averne ancora almeno altre due o tre in qualche scatolone. Sai, quand'ero studente (di economia, laureato con lode e invito della commissione a perseguire la carriera di economista, ma questo di per sé non garantisce che non dica stupidaggini) e avevo più o meno la tua età, io all'Economist ero abbonato, e lo sono stato per diversi anni. Del resto, avevo avuto modo di apprezzarlo perché lo leggevo già da alcuni anni prima di diventare abbonato: si trovava nella biblioteca dell'università. Ricordo ancora con quanta eccitazione ne comprai una copia in edicola per la prima volta, in edicola, in Gran Bretagna: era l'agosto 1988 e la copertina era sulla morte, in un incidente aereo, del generale Zia ul-Haq, che all'epoca era l'uomo forte del Pakistan (titolo di quel numero: Lost Lynch-pin). Anche dopo aver disdetto l'abbonamento l'ho comprato diverse volte.

Certo, ora non ho bisogno di abbonarmi all'Economist per leggerlo: c'è internet (che, quand'ero ragazzo non esisteva) e posso leggere le edizioni online.

L'edizione online dell'Economist la leggo quasi tutti i giorni, sicuramente almeno una volta alla settimana. Potrei anche provartelo (ma dovrei dirti il mio nome e cognome).

 

Quindi, credo di sapere quel che dico quando affermo che, da un punto di vista della visione del mondo, si tratta di un settimanale di destra radicale. Ovvio, non è né il Daily Telegraph né il Wall Street Journal, e neanche Il Giornale o Panorama, ci mancherebbe altro; ospita anche opinioni eterodosse, si sforza di non tacere i punti di vista avversi e articola le posizioni che prende, anche se non sfugge a un certo semplicismo d'impronta tipicamente anglosassone. Non è mica un giornale fascista.

Il problema è che è un settimanale che crede nell'esistenza dell'homo oeconomicus e che lo prende come paradigma per le sue valutazioni, ed è questo che lo rende un giornale di destra radicale. Di fronte a qualsiasi problema, la soluzione che propone è, generalmente, quella di lasciare libero gioco alle forze del mercato.

E' una visione dell'uomo e del sistema economico molto parziale, riduttiva, spesso falsa e fuorviante per comprendere la realtà. Anche perché, leggengo l'Economist, certe cose (per esempio, che negli Stati Uniti, che quel giornale considera l'economia più efficiente del pianeta, l'iscrizione ai sindacati non è libera) non le verrai mai a sapere.

 

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Ovviamente, io non ho mai scritto che Ricardo e Malthus dicono la stessa cosa; non avrei mai potuto affermare una fesseria simile. Ho detto che, pur nella diversità delle scuole di pensiero, le posizioni fondamentali, nell'ambito della moderna teoria economica occidentale, così come si sono evolute a partire dal Settecento, sono riconducibili a due filoni fondamentali, quelli che ho descritto io. Da questo punto di vista, Matlhus e Ricardo erano dalla stessa parte, perché nessuno dei due credeva che il libero mercato, lasciato a sé stesso, sarebbe stato un sistema economico stabile e avrebbe realizzato la piena occupazione dei fattori produttivi (e, anche per questo motivo, Marx teneva Ricardo in grande considerazione). Ricardo e Malthus, da questo punto di vista, erano le due eccezioni tra gli economisti classici.

Vuoi che ti citi delle fonti? Beh, L'Espresso credo abbia appena ultimato la pubblicazione dei dvd sull'economia. Credo che, oltre a essere dimostrabile (non in questa sede, ovviamente), la questione sia affrontata in almeno uno fra il quarto e il sesto dvd della serie, a cura, rispettivamente, di Giorgio Lunghini e di Alessandro Roncaglia, due arcinoti economisti italiani e professori universitari (erano delle autorità in materia già quando io ero studente), entrambi di orientamento progressista in politica e keynesiano, credo, in economia (Roncaglia sicuramente sì, di Lunghini sono meno sicuro).

 

3

Il tuo terzo punto, mi spiace dirlo, è pieno di sciocchezze. Tu prima affermi che c'è consenso sul riscaldamento globale, poi, di fatto, neghi che ci sia. E' ovvio che non ci sarebbero grossi problemi se si trattasse di un fenomeno naturale, più o meno ciclico, e che la diatriba verta sulle dimensioni del fenomeno e sulle sue cause; e il punto è proprio che l'opinione prevalente, e sempre più accreditata (nel senso che ci sono sempre meno dubbi in proposito) verte sui seguenti punti: 1) il riscaldamento globale è in atto; 2) sta procedendo più rapidamente di quanto si immaginasse; 3) le sue cause sono, in larga misura, antropiche, visto che si riscontra a partire dal Settecento. A quanto mi risulta, ormai c'è un ampio e crescente consenso nella comunità scientifica su questi dati di fatto. Ovviamente, troverai sempre qualche ricerca, generalmente finanziata da gruppi tipo le industrie petrolifere, che sosterrà il contrario, ma non mi pare sufficiente per contestare i punti che ho sollevato.

L'osservazione sulla possibile crescita dell'1,5 per cento del PIL mondiale, poi, è francamente ridicola, per tali e tanti motivi che neanche mi spreco a spiegarli (ci vorrebbe un post apposito).

 

4

Che siano le "autorità centrali" la principale minaccia alla libertà economica e politica è una posizione ideologica; una posizione ideologica di destra, ovviamente, perché per autorità centrali tu intendi le autorità pubbliche, a cominciare dallo stato.

Se fossi un operaio della FIAT di Pomigliano dubito che considereresti lo stato "la principale minaccia alla [tua] libertà economica e politica"; credo che in questo ruolo ci vedresti bene Marchionne, che vuole pagarti il meno possibile e, se dissenti, ti confina nel reparto di Nola. Se fossi un abitante di Casale Monferrato o di Taranto credo che potresti ben considerare, rispettivamente, l'Eternit o la famiglia Riva gravi attentatori della tua libertà, oltre che della tua vita e della tua salute.

Le minacce alla libertà non provengono necessariamente dallo stato, o solo da esso: provengono dal potere che si esercita senza controllo, non soltanto da parte dello stato, ma anche da parte dei privati (che, spesso, lo esercitano tramite lo stato, come nel caso di regimi autoritari appoggiati dagli imprenditori privati perché promotori degli interessi di questi ultimi). In non pochi casi sono i poteri pubblici a costituire un argine alla tendenza, da parte di chi detiene il potere economico e politico, a conculcare la libertà di chi ha meno potere.

Anche queste cose è difficile che le trovi scritte sull'Economist.

 

Però, se provi a leggere qualcos'altro, e ci ragioni sopra, puoi arrivarci pure tu, anche perché sei un ragazzo intelligente (lo penso davvero).

Edited by privateuniverse
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Icoldibarin

Dato che @privateuniverse ha già saggiamente risposto ad alcune delle tue critiche e dato che in economia ha sicuramente una conoscenza più olistica della mia mi limito a precisare alcune cose.
 

Mi spiace contraddirti ma anche qui dici cose inesatte. La comunità scientifica è quasi unanimemente concorde che sia in atto un riscaldamento globale, anche se i dati raccolti nell’ultimo decennio rivelano che è molto più graduale e fisiologico di quanto era stato predetto, ma molto divisa su quanto sia l’impatto antropico sul fenomeno, e quanto sia dovuto ad altre cause, come ad esempio il ciclo solare o il rilascio di anidride carbonica dall’idrosfera(oceani in particolare). Peraltro il clima di suo non è immutabile, così come è abbastanza curioso considerare l’uomo e la sua sfera d’azione al di fuori del mondo; l’uomo non è l’unica specie che sfrutta massicciamente l’ambiente che lo circonda. Faccio poi notare come i maggiori danni ambientali di cui si ha memoria siano stati creati da programmi di economia pianificata più che ad attività privata, e come sia stato altrettanto fallimentare l’intervento statale per creare “uno sviluppo più sostenibile”, dal protocollo di Kyoto, a casi più nostrani come gli incentivi al solare(fatalità proprio ieri c’era un articolo carino sul corriere).

Sul tema poi del riscaldamento globale si fa eccessiva disinformazione, presentandolo come il pericolo maggiore, quando in realtà nel medio periodo un aumento delle temperatura potrebbe anche essere vantaggioso, e sul lungo periodo si parla di effetti negativi per l’1,5% del PIL mondiale.

Vedi Frollo il tuo problema è che prendi troppo sul serio il PIL, sarebbe un buon dio da bestemmiare ogni tanto ed invece lo si tratta come un oracolo da ingrassare :yes:
Ti faccio notare che da circa un mese abbiamo sfondato un'altra soglia psicologica, quella delle 400 parti per milione di CO2 nell'atmosfera ed è una soglia considerabile poiché la precedente di 350ppm, considerata il limite per contenere l'aumento di temperatura media terrestre entro un paio di gradi è stata superata nel 1986.
Ma le emissioni di co2 non sono l'unico problema, ogni anno la giornata in cui si entra in debito ecologico si anticipa sempre più, nel 2012 è stata il 22 agosto.
Forse a differenza di privateuniverse ritengo che la tua ipotesi sul pil non sia del tutto erronea, dopotutto ogni grado di temperatura medio si traduce in una perdita di resa di circa il 10% del coltivato e considerando che le misure per affrontare i danni provocati dal cambiamento climatico costeranno molto di più di quelle per limitarlo, nella mia ingenuità, ritengo abbastanza probabile che il PIL aumenti. Questo non vuol dire che sia un bene.

Il PIL tratta tutte le transazioni come positive, cosicché entrano a farne parte, ad esempio, i danni provocati dai crimini (riciclaggio di denaro), dall'inquinamento, dalle catastrofi naturali. In questo modo il PIL non fa distinzione tra le attività che contribuiscono al benessere e quelle che lo diminuiscono: persino morire, con i servizi connessi ai funerali, fa crescere il PIL.

Se vuoi puoi basarti sulle sporadiche ricerche citate da privateuniverse e fare finta che il problema non esista o che nel peggiore dei casi sia sovradimensionato, io penso che sarebbe più onesto farci i conti.
Una delle misure che suole piacere terribilmente ai sostenitori dell'attuale paradigma si sviluppo è teorizzare la diminuzione della popolazione umana tramite misure più o meno coercitive. Magari, come suggeriva William Stanton, il metodo di riduzione dovrebbe "essere darwiniano in tutti i suoi aspetti senza nessuno dei sentimentalismi che hanno cullato la seconda metà del XX secolo nella fitta nebbia del politicamente corretto".
Anche sposando queste ripugnanti politiche non si guadagnerebbe granché sicché il modello per funzionare abbisogna di una crescita esponenziale conseguendo che per renderlo sostenibile occorre una decrescita esponenziale della popolazione umana.

Che sulla terra ci siano 10 milioni o 10 miliardi di abitanti la dinamica del «marcia o crepa» dell'economia di mercato capitalistica riuscirebbe comunque a divorare l'intera biosfera.

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privateuniverse

Forse a differenza di privateuniverse ritengo che la tua ipotesi sul pil non sia del tutto erronea, dopotutto ogni grado di temperatura medio si traduce in una perdita di resa di circa il 10% del coltivato e considerando che le misure per affrontare i danni provocati dal cambiamento climatico costeranno molto di più di quelle per limitarlo, nella mia ingenuità, ritengo abbastanza probabile che il PIL aumenti. Questo non vuol dire che sia un bene.

 

Hai colto uno dei motivi per i quali la considerazione sul PIL era ridicola. Il PIL non misura tutto ciò che ha valore, ma soltanto tutto ciò che ha un prezzo di mercato. Aggiungo che la "L" sta per "lordo", quindi nel PIL non entrano le perdite di valore dello stock di capitale esistente, comprese quelle derivanti dalla distruzione dello stesso stock di capitale; tanto per fare un esempio, se, a causa del cambiamento climatico, s'intensificano gli eventi meteorologici estremi, il PIL potrà anche registrare una crescita per effetto della ricostruzione, ma il Prodotto Interno Netto accuserebbe un calo perché terrebbe conto della distruzione dello stock di beni capitali.

 

Ci sono almeno altre due obiezioni. La prima è che la crescita del PIL può essere temporanea, non sostenibile e preludere a un collasso. Supponiamo che io possieda un bosco e che decida di aumentare il ritmo al quale lo taglio: per un certo periodo il mio reddito (cioè, l'equivalente del PIL) aumenterà ma, a un certo punto, il ritmo del taglio non sarà più sostenibile e il mio reddito non soltanto smetterà di aumentare, ma collasserà di colpo.

 

in secondo luogo, il PIL, come noto, non tiene conto di uno dei "fallimenti del mercato" cui accennavo, e cioè le esternalità negative (o diseconomie esterne). L'altra sera guardavo su RAI 5 un documentario sugli oceani, nel quale si parlava, tra gli altri, del Nastro Trasportatore Oceanico e del fatto che il suo venir meno sia stato la causa di una delle grandi estinzioni di massa delle specie viventi che si sono verificate nella storia del nostro pianeta, quella del Permiano, 265 milioni di anni fa. Supponiamo che, a causa del riscaldamento globale, in un futuro non tanto remoto si verifichi lo stesso fenomeno: come s'incorpora l'aumento di questo rischio nelle stime del PIL?

 

Ci sono altre obiezioni possibili: come si misura, per esempio, il valore della biodiversità? Chi stabilisce se un determinato aumento del PIL sia una cosa che giustifica la perdita di beni intangibili?

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Guarda P.U. non è questione di conoscere o meno con chi si sta parlando, semplicemente se una qualcosa lo considero erroneo, o per di più so’ che lo sia, mi sento in autorità di avanzare una correzione, e non è questione di forum o non forum, perché alla stessa maniera mi sono comportato con Zingales e Boeri in conferenze pubbliche, pur conscio del fatto che loro ne sapessero più di me, e che banalmente per principio di autorità avrebbero potuto asfaltami con una semplice risata. Fortunatamente, almeno all’anagrafe, ho ancora un’età per la quale non mi è richiesto di mostrare di sapere, ma semmai di imparare.

Tra l’altro non so’ se sia stata la fretta nel fare il post chilometrico, ecco il motivo per il quale mi sarei tenuto ben lontano dalla discussione, sapendo che infine ci avrei perso tempo che purtroppo in questo periodo latita, oppure il fatto che abbiate letto di fretta, ma alcune cose non sono state capite, ed adesso vedrò di farle più circonstanziate.

1) Parli di giornale di destra radicale, eppure l’Economist nel corso degli anni(nel mio solaio, non avendo io una biblioteca, potresti consultare le edizioni dal 2004 ad oggi…fortunatamente non pagate da me) ha avuto, come normale che sia, oscillazioni importanti nella linea editoriale, sino ad arrivare a copertine stessa in cui dichiarava la sua linea interventista(famosa la nave sott’acqua con la vignetta “Ora possiamo accendere i motori signora Merkel), tessendo le lodi della condotta del governatore King, ed avendo fra i suoi maggiori editorialisti interventisti convinti. Certo agli occhi di un “continentale”(parlo di Europa) il dibattitto anglosassone può sembrare completamente spostato, soprattutto in Italia dove vige una sorta di monocrazia economica, con delle piccole eccezioni, ma l’Economist ha sempre dimostrato pluralità di opinioni, e non una cieca fede nel mercato.

Interpreto come orientamento economico di destra tutte quelle scuole più o meno liberali come Chicago, Austriaca, Friburgo(?), e di sinistra coloro che si rifanno più alla visione keynesiana, anche se mi viene in mente lo scritto di Hayek, se non erro contenuto in la società libera, dove scriveva perché lui non si dicevo conservatore. Ora per quanto io poco condivida una simile divisione non mi pare che l’Economist sia così destrorso, anche se forse il problema di oggi è che abbiamo troppi economisti e pochi filosofi(i migliori economisti sono sempre un po’ dei filosofi).

 

2) Degli economisti classici settecenteschi poco è rimasto, tant’è che il modello del laissez-faire, con la concezione originale, non è stato ripreso dalle scuole liberali successive, ed è per questo che la divisione che fai non trovo sia corretta(alla fine Smith, teorico della mano invisibile, fu il primo, od almeno fra i primi, che pose, in Inghilterra, il problema della povertà e dei salari troppo bassi dei lavoratori, e curiosamente uno dei padri del liberalismo, era all’epoca additato come di “”sinistra””); il dibattito moderno se proprio si volesse incentrare su di un tema è il ruolo dello stato.

 

3) Qua proprio non ci siamo capiti, e visto che è una cosa di cui mi sono interessato parecchio vedrò di essere più chiaro. La comunità scientifica è concorde nel considerare che negli ultimi due secoli si sia assistito ad un aumento delle temperatura, così come ad esempio ci fu una notevole diminuzione della temperatura media globale nel corso del basso medioevo, anche se negli ultimi anni l’aumento registrato è stato di molto inferiore a quello che i modelli previsionali sviluppati avevano previsto, tanto da rimettere in considerazione il ruolo importante che era stato associato al biossido di carbonio nell’aumento. Ciò su cui l’accordo latita, essendoci molteplici posizioni, è quanto “pesi” l’attività antropica sugli aumenti registrati, è qua ho citato due possibili cause su cui si sta dibattendo. Faccio presente che l’IPCC non solo ha visto aprirsi, come è giusto che sia, un dibattito al suo interno, ma che la sua posizione di predominanza sul tema è stata di molto diminuita. Parli poi di industrie petrolifere, quando non mi pare di aver detto che non sia in atto un amento di temperatura, od aver espresso una mia qualsivoglia opinione, mentre sembrano istanze che stanno prendendo sempre più piede.

Sull’osservazione ho scritto esattamente l’opposto di ciò che hai capito(basta leggere). Nel breve-medio periodo un innalzamento della temperatura potrebbe anche rivelarsi vantaggioso, mentre sul lungo periodo gli effetti negativi inizieranno essere prevalenti(verso il 2070); nel modello elaborato all’università di Yale da Nordhaus, che è uno dei più usati si stimano danni dovuti al riscaldamento globale pari a 33mila miliardi di dollari, su un PIL mondiale stimato(per quanto come già detto stime su periodi così lunghi sono un po’azzardate, sia economicamente, ed in minor misura anche climaticamente) 2200mila miliardi di dollari(33/2200*100=1.5%, da qui ciò che ho scritto sopra). Spero di aver fatto chiarezza, citando anche il modello tirato in ballo.

4) Sarà una posizione ideologica, ma maggior pericolo viene da chi ha maggior potere, più il potere è distribuito, più i rischi ed i potenziali danni diminuiscono; inoltre il termine principale indica che appunto ne esistano altri minori, e qua si apre un mondo. Infine la tendenza dello stato di costituire un valido argine a minacce di altro tipo, ragionando nel campo dell’economia, è decrescente quanto più esso è parte di essa, quindi legato da vincoli di interesse. Ed ora voglio concludere in maniera ideologica, che ci sta sempre bene:

La concorrenza del mercato, quando la si lascia funzionare, protegge il consumatore meglio di tutti i meccanismi del governo venuti a sovrapporsi successivamente al mercato.”

M. Friedman

 

 

P.s./ Come già detto non leggo solo l’Economist, ed a parte il metallurgico, che poi leggo veramente dato che lo porta a casa mio padre, nella mio biblioteca, su in solaio, troveresti probabilmente più libri di “sinistra” che di “destra”, così come in casa circola Limes o l’espresso(poi su internet un po’ tutto), non solo per il percorso fatto, ma perché amo sapere che ne pensi la controparte, se non altro per conoscerne le criticità(che è più o meno lo stesso motivo per il quale nelle discussioni del forum mi trovo sempre a fare la minoranza).

P.s.2/ Scusatemi per eventuali errori di battitura, sintassi, ortografia.

P.s.3/ Chiedo scusa ma ai due post successivi risponderò in seguito. Chiedo nuovamente venia…anzi evitate di rispondere a questo post così non accumulo lavoro XD

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Hinzelmann

Già Theodore Roosevelt aveva capito che una funzione dei pubblici poteri

era anche quella di intervenire contro i poteri privati qualora questi avessero

conquistato una posizione talmente dominante da costituire dei monopoli.

Ovviamente nel caso italiano la presenza di Berlusconi ci colloca ad un livello

Mc Kinley...sulla scala evolutiva del liberismo economico, il liberismo in Italia

si applica contro i ceti medi e popolari non certo contro le vere concentrazioni di

potere ( non per colpa solo di Berlusconi...)

 

E devo dire la verità...io ancora aspetto dai liberali una autocritica sulla crisi

del 2006-2008, un Theodore Roosevelt che dica o faccia qualcosa...se non in Italia

almeno all'estero, perchè non si possa ripetere etc. 

 

In mancanza devo ritenere che vi sia in effetti un approccio ideologico, perchè

quando si tratta di bastonare la Grecia Cipro l'Italia la Spagna etc. ci si va giù

duri e con le idee molto chiare.

 

E' vero che fondamentalmente questo è favorito dal fatto che il pubblico

potere che comanda è sostanzialmente la Germania...d'altronde Monti e

Letta ( ed anche Bersani durante la campagna elettorale ) anche in modo

simbolico sono andati a farsi legittimare da Berlino...con l'aggravante però che

Monti e Letta ci credono.

 

La mia opinione su Blair è notoriamente molto negativa....in politica estera

ha fatto disastri e guerre immorali le riforme politiche ( federalismo asimmetrico-devolution etc )

sono state pessime, nel campo dei diritti civili non ha avuto il coraggio di Zapatero

o di Cameron, per quanto riguarda l'economia non ha avuto una idea vera, che fosse

una...fuffa e basta.

 

Ma non solo manca una analisi ed una risposta politica che abbia la capacità

di porsi come effettiva "terza via" io non vedo neanche una risposta politica liberale

degna di questo nome. A mio avviso viviamo in una fase storica di totale afasia politica

una decadenza culturale ed intellettuale per certi versi assimilabile a quella di Bisanzio.

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privateuniverse

Guarda P.U. non è questione di conoscere o meno con chi si sta parlando, semplicemente se una qualcosa lo considero erroneo, o per di più so’ che lo sia, mi sento in autorità di avanzare una correzione, e non è questione di forum o non forum, perché alla stessa maniera mi sono comportato con Zingales e Boeri in conferenze pubbliche, pur conscio del fatto che loro ne sapessero più di me, e che banalmente per principio di autorità avrebbero potuto asfaltami con una semplice risata.

 

Il punto è che tu hai sostenuto che io criticassi l'Economist senza averlo letto. Quindi, sei partito dal presupposto che io, come tuo interlocutore, ne parlassi male perché lo conosco meno di te, mentre è vero il contrario.

 

1) Parli di giornale di destra radicale, eppure l’Economist nel corso degli anni(nel mio solaio, non avendo io una biblioteca, potresti consultare le edizioni dal 2004 ad oggi…fortunatamente non pagate da me) ha avuto, come normale che sia, oscillazioni importanti nella linea editoriale, sino ad arrivare a copertine stessa in cui dichiarava la sua linea interventista(famosa la nave sott’acqua con la vignetta “Ora possiamo accendere i motori signora Merkel), tessendo le lodi della condotta del governatore King, ed avendo fra i suoi maggiori editorialisti interventisti convinti. Certo agli occhi di un “continentale”(parlo di Europa) il dibattitto anglosassone può sembrare completamente spostato, soprattutto in Italia dove vige una sorta di monocrazia economica, con delle piccole eccezioni, ma l’Economist ha sempre dimostrato pluralità di opinioni, e non una cieca fede nel mercato.

Interpreto come orientamento economico di destra tutte quelle scuole più o meno liberali come Chicago, Austriaca, Friburgo(?), e di sinistra coloro che si rifanno più alla visione keynesiana, anche se mi viene in mente lo scritto di Hayek, se non erro contenuto in la società libera, dove scriveva perché lui non si dicevo conservatore. Ora per quanto io poco condivida una simile divisione non mi pare che l’Economist sia così destrorso, anche se forse il problema di oggi è che abbiamo troppi economisti e pochi filosofi(i migliori economisti sono sempre un po’ dei filosofi).

 

Frollo, ti ho già spiegato per quale motivo l'Economist è un settimanale di destra radicale, e lo rimane anche quando si pronuncia per Obama, com'è successo nel 2008 e nel 2012. Tu non stai rispondendo alle mie obiezioni.

Devo ammettere di non provare alcun interesse né per von Hayek, né per le sue teorie, né per il fatto che non si dichiarasse "conservatore". Anche il lupo cattivo, se è per questo, faceva finta di essere la nonna di Cappuccetto Rosso.

Sarà un caso che i suoi seguaci siano finiti tutti politicamente a destra, e che le sue teorie abbiano trovato ascolto soprattutto a destra?

 

2) Degli economisti classici settecenteschi poco è rimasto, tant’è che il modello del laissez-faire, con la concezione originale, non è stato ripreso dalle scuole liberali successive, ed è per questo che la divisione che fai non trovo sia corretta(alla fine Smith, teorico della mano invisibile, fu il primo, od almeno fra i primi, che pose, in Inghilterra, il problema della povertà e dei salari troppo bassi dei lavoratori, e curiosamente uno dei padri del liberalismo, era all’epoca additato come di “”sinistra””); il dibattito moderno se proprio si volesse incentrare su di un tema è il ruolo dello stato.

 

Che sia rimasto poco non è del tutto vero; non sono stati dimenticati. In Gran Bretagna, uno dei principali think-tank si chiama "Istituto Adam Smith", la teoria ricardiana della rendita non è mai caduta in disuso, e l'interpretazione di Marx, a mio parere, resta molto ricca di spunti interpretativi utili, soprattutto sulla crisi attuale.

In ogni caso, la mia osservazione era una risposta a una considerazione che ha fatto @Hinzelmann; un'osservazione che tu hai criticato in maniera sconsiderata.

 

3) Qua proprio non ci siamo capiti, e visto che è una cosa di cui mi sono interessato parecchio vedrò di essere più chiaro. La comunità scientifica è concorde nel considerare che negli ultimi due secoli si sia assistito ad un aumento delle temperatura, così come ad esempio ci fu una notevole diminuzione della temperatura media globale nel corso del basso medioevo, anche se negli ultimi anni l’aumento registrato è stato di molto inferiore a quello che i modelli previsionali sviluppati avevano previsto, tanto da rimettere in considerazione il ruolo importante che era stato associato al biossido di carbonio nell’aumento. Ciò su cui l’accordo latita, essendoci molteplici posizioni, è quanto “pesi” l’attività antropica sugli aumenti registrati, è qua ho citato due possibili cause su cui si sta dibattendo. Faccio presente che l’IPCC non solo ha visto aprirsi, come è giusto che sia, un dibattito al suo interno, ma che la sua posizione di predominanza sul tema è stata di molto diminuita. Parli poi di industrie petrolifere, quando non mi pare di aver detto che non sia in atto un amento di temperatura, od aver espresso una mia qualsivoglia opinione, mentre sembrano istanze che stanno prendendo sempre più piede.

Sull’osservazione ho scritto esattamente l’opposto di ciò che hai capito(basta leggere). Nel breve-medio periodo un innalzamento della temperatura potrebbe anche rivelarsi vantaggioso, mentre sul lungo periodo gli effetti negativi inizieranno essere prevalenti(verso il 2070); nel modello elaborato all’università di Yale da Nordhaus, che è uno dei più usati si stimano danni dovuti al riscaldamento globale pari a 33mila miliardi di dollari, su un PIL mondiale stimato(per quanto come già detto stime su periodi così lunghi sono un po’azzardate, sia economicamente, ed in minor misura anche climaticamente) 2200mila miliardi di dollari(33/2200*100=1.5%, da qui ciò che ho scritto sopra). Spero di aver fatto chiarezza, citando anche il modello tirato in ballo.

 

Frollo, sei sicuro che a non aver capito sia io e non tu, piuttosto?

Credi che io abbia bisogno che tu mi spieghi quali sono le tipiche obiezioni che vengono fatte alle teorie sul riscaldamento climatico? Credi che io non sappia che ci sono state fluttuazioni climatiche, che ci sia stata una piccola glaciazione nella seconda metà del Seicento e cose simili? Credi che io non sappia che gli oppositori della teoria del riscaldamento globale causata dalle massicce immissioni di CO2 legata all'uso estensivo di combustibili fossili degli ultimi due secoli sostengono che bisogna controllare, che bisogna verificare, che non è detto che tutto dipenda dall'attività dell'uomo, e così via?

Sono almeno vent'anni che sento queste obiezioni (e spesso le ho lette sull'Economist), che sento parlare di revisione delle teorie precedentemente accettate sul riscaldamento globale o di dibattiti nella comunità scientifica. La mia impressione, invece, è che il consenso su certe posizioni sia sempre maggiore. Di sicuro, vent'anni fa non si prevedeva affatto, tanto per fare un esempio, che lo scioglimento estivo dei ghiacci artici sarebbe arrivato al punto in cui è.

A parte che non credo che questi argomenti siano prevalenti nella comunità scientifica, ma comunque non convincono me.

 

4) Sarà una posizione ideologica, ma maggior pericolo viene da chi ha maggior potere, più il potere è distribuito, più i rischi ed i potenziali danni diminuiscono; inoltre il termine principale indica che appunto ne esistano altri minori, e qua si apre un mondo. Infine la tendenza dello stato di costituire un valido argine a minacce di altro tipo, ragionando nel campo dell’economia, è decrescente quanto più esso è parte di essa, quindi legato da vincoli di interesse. Ed ora voglio concludere in maniera ideologica, che ci sta sempre bene:

La concorrenza del mercato, quando la si lascia funzionare, protegge il consumatore meglio di tutti i meccanismi del governo venuti a sovrapporsi successivamente al mercato.”

M. Friedman

 

Ah beh, se l'ha detto Friedman...

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privateuniverse
E devo dire la verità...io ancora aspetto dai liberali una autocritica sulla crisi

del 2006-2008, un Theodore Roosevelt che dica o faccia qualcosa...se non in Italia

almeno all'estero, perchè non si possa ripetere etc. 

 

[...]

 

Ma non solo manca una analisi ed una risposta politica che abbia la capacità

di porsi come effettiva "terza via" io non vedo neanche una risposta politica liberale

degna di questo nome. A mio avviso viviamo in una fase storica di totale afasia politica

una decadenza culturale ed intellettuale per certi versi assimilabile a quella di Bisanzio.

 

Strauss diceva che i verdi sono come i cocomeri, verdi fuori e rossi dentro.

 

Gratta sotto la superficie del liberale e troverai il conservatore.

 

Lasciamo stare i "liberali" italiani, un'etichetta della quale si è appropriato Berlusconi. Del resto, quando si arrivò al dunque e dovettero scegliere tra la difesa dell'ordinamento politico liberale e la difesa dei propri interessi (cioè l'appoggio a Mussolini), i liberali italiani cosa scelsero? E quando Berlusconi ha spadroneggiato, negli anni tra il 2008 e il 2011, i referenti sociali del liberalismo italiano per chi hanno parteggiato? Per non parlare dei "giornaloni" della borghesia "liberale" italiana, che hanno fiancheggiato Berlusconi.

 

E i liberali tedeschi, quando dovettero scegliere sull'appoggio a Hitler, alla fine cosa scelsero?

 

Dopo tutte le loro chiacchiere, con chi sono finiti a governare i Liberaldemocratici britannici? Con i conservatori. Hanno seguito le orme dei loro omologhi tedeschi, che negli anni Settanta governavano con i socialdemocratici e che ora sono più a destra della CDU (cosa che, peraltro, è successa anche in Danimarca, dove il Partito Liberale è più a destra dei conservatori, e in altri paesi nordici come la Svizzera, il Belgio e i Paesi Bassi, dove i partiti liberali sono, in materia di politiche economiche e sociali, assai più a destra dei partiti conservatori e cristiano-democratici).

 

Aspettarsi un'autocritica dai "liberali", in senso lato, per la crisi attuale, è come aspettarsi una confessione da un criminale.

 

In cosa dovrebbe consistere l'"autocritica": nel riconoscimento che l'attuale crisi è il risultato anche del "tecnocraticismo a spizzico" che ha costituito l'asse ideologico portante del liberalismo "democratico" negli ultimi decenni?

Edited by privateuniverse
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  • 2 months later...

@Mario1944 mette molta carne al fuoco.

 

Veramente avevo cercato di toglierne evitando di comprendere nel ragionamento il contenimento d'uno sviluppo che pare difficilmente sostenibile dal nostro pianeta e limitandomi alla fantomatica terza via tra comunismo collettivista e capitalismo.

 

 

 

Per certi versi, in realtà, le differenze di opinione tra noi due sono solo questione di accenti: per esempio, mi sembra che entrambi riteniamo che la povertà di molte società tradizionali non sia uno stato desiderabile

 

Ma sai, "stato desiderabile" è un concetto un pò vago come del resto quello di "povertà":

d'altronde penso che chiunque possa concordare che altra cosa è la povertà di chi muore di fame e altra la povertà di chi non può permettersi un tenore di vita pari a quello medio d'una certa epoca in un certo luogo.

Personalmente ho il sospetto che qualunque società umana nei prossimi secoli se non millenni (ammesso che la nostra specie arrivi a sopravvivere per tanto) implicherà sempre qualcuno che stia meglio e qualcuno che stia peggio, se non altro per la varietà delle risposte individuali agli stimoli iniziali quando anche questi stimoli siano resi uguali per tutti (cosa comunque improbabile......)

In fondo credo che il dovere della società sia quello di evitare gravi cadute degli associati verso il basso o, quando si verificano, porvi rimedio, non credo invece che il dovere sia quello di livellare tutti su una medietà peraltro difficile da stabilire concordemente oppure di comprimere o addirittura impedire vertiginose salite verso l'alto.

 

 

 

tu ritieni che il capitalismo contenga in sé dei meccanismi autoregolatori.

 

No, guarda, ti sbagli di grosso:  per me nessuna invenzione umana ha proprietà intrinsecamente taumaturgiche!

Il capitalismo ha i sui difetti che debbono essere corretti a mano a mano che si palesino e (se possibile) anche prima che si palesino.

La differenza tra capitalismo e comunismo collettivista a mio giudizio è che (a prescindere dai fini conclamati) il capitalismo bene o male ha permesso un benessere diffuso senza confliggere irrimediabilmente con le libertà umane civili e politiche che sono oggi (a torto od a ragione) ritenute fondamentali, anzi, spesso stimolandole (vedi Cina).

Il comunismo collettivista ha invece offerto un malessere (econonomico, ma non solo) ampiamente diffuso, per di più congiunto con una compressione totale di quelle libertà (come del resto aveva promesso non essendo tali libertà di suo interesse primario).

 

 

 

Allora, io dico: dobbiamo rassegnarci allo stato di cose esistente, credere che le cose debbano andare per forza così, o comunque non possano andare diversamente, o dobbiamo cercare un'alternativa? Io penso che un'alternativa debba essere cercata e costruita, anche se non so prefigurare le caratteristiche di questa ipotetica alternativa.

 

Ma puoi ricercare tutte le alternative che vuoi..... i problemi sono:

 

1° che le forme di organizzazione sociale costruite a tavolino non mi sembra abbiano mai avuto esiti felici in sede applicativa, indipendentemente dalle buone intenzioni degli inventori e degli applicatori,

 

2° che comunque questa ipotetica alternativa rimane sempre fumosa e indefinita tanto più che dovrebbe essere valida per popolazioni con culture, condizioni politiche, sociali ed economiche molto diverse:  quello che potrebbe andare bene a noi italiani probabilmente non andrebbe bene ai cinesi o ai congolesi ecc.

 

 

 

 

La mia convinzione personale è che la nostra società stia diventando sempre più autoritaria, dal punto di vista sia economico sia politico, e che il capitalismo ci porterà alla rovina in senso non solo economico, ma strettamente biologico.

 

Non so bene che significhi "rovina biologica da capitalismo"....  però non mi sembra che la nostra società (almeno in Italia) divenga sempre più autoritaria!

Al contrario mi sembra che il nostro problema (italiano) sia proprio quello di una mancanza sempre maggiore d'un'autorità credibile, "autorevole" e capace d'esercitare efficacemente i propri poteri direttivi.

Siamo all'anarchia dei poteri impeditivi: tutti possono impedire che chi ha nominalmente l'autorità la possa efficacemente esercitare!

Certo che in queste condizioni i più deboli soccombono più facilmente, ma non per colpa del capitalismo, perché sarebbe lo stesso anche in uno stato di comunismo collettivista e forse anche in qualsiasi altro stato aggregativo sociale, eccetto (almeno in teoria) lo stato favoleggiato dagli anarchici!..... ma appunto si tratta solo di uno stato delle favole.

Edited by Mario1944
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Proprio oggi mi è capitato sottomano un video documentario molto ben Fatto della famosa rete francotedesca Arte, sfortunatamente i signori di youtube hanno reso indisponibile quello in Italiano mentre quello in spagnolo è ancora visibile (e anche se non avete mai fatto spagnolo come il sottoscritto si capaisce abbastanza bene). Consiglio a tutti la visione, soprattutto a coloro che ancora, senza ascoltare le osservazioni altrui, continuano ancora a sostenere che il capitalismo ha portato libertà e democrazia (dove e come non si sa).

 

"La Historia Secreta de la Obsolescencia Programada" (2011)

http://www.youtube.com/watch?v=q97DdVViqLg

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Consiglio a tutti la visione, soprattutto a coloro che ancora, senza ascoltare le osservazioni altrui, continuano ancora a sostenere che il capitalismo ha portato libertà e democrazia (dove e come non si sa).

 

Se ti riferisci a quanto io ho scritto sopra:

"La differenza tra capitalismo e comunismo collettivista a mio giudizio è che (a prescindere dai fini conclamati) il capitalismo bene o male ha permesso un benessere diffuso senza confliggere irrimediabilmente con le libertà umane civili e politiche che sono oggi (a torto od a ragione) ritenute fondamentali, anzi, spesso stimolandole (vedi Cina)."

 

ti faccio notare che altro è osservare che il capitalismo ha 

"permesso un benessere diffuso senza confliggere irrimediabilmente con le libertà umane civili e politiche"

come ho scritto io,

 

altro è osservare che il capitalismo

"ha portato libertà e democrazia"

come mi attribuisci tu.

 

Tanto più che la mia osservazione è stata fatta in un ambito ben preciso, cioè nel paragone tra le condizioni di vita dei popoli in società di capitalismo e quelle in società di comunismo collettivista!

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Dato che hai risposto poco dopo il mio messaggio deduco che non hai avuto modo dal documentario di scorgere come aver "permesso un benessere diffuso senza confliggere irrimediabilmente con le libertà umane civili e politiche" non è una dote propria del capitalismo e del consumismo, in particolare per quanto riguarda l'aggettivo "diffuso".

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privateuniverse

Conosco il documentario di ARTE, lo vidi proprio su quella televisione qualche tempo fa (quando ancora non era passata al digitale :().

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Infatti il link non mi si apre e per altro non conosco lo spagnolo.....

 

 

 


come aver "permesso un benessere diffuso senza confliggere irrimediabilmente con le libertà umane civili e politiche" non è una dote propria del capitalismo e del consumismo, in particolare per quanto riguarda l'aggettivo "diffuso".

 

Continui a confondere la proprietà essenziale di un fenomeno con gli accidenti (in senso filosofico....) che accompagnano quel fenomeno in un certo contesto spazio-temporale.

 

Ripeto poi (a proposito del "benessere diffuso")  che il paragone vale tra comunismo collettivista quale si è manifestato soprattutto in Europa nell'ultimo secolo ed il capitalismo:

non mi pare che in Italia 50 anni fà si stesse mediamente peggio che in Russia o in Polonia ecc e soprattutto che stessero peggio quegli stessi proletari per cui il comunismo collettivista fu costruito, a prescindere poi dalla compressione di libertà civili anche minime.

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