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"Anime intrecciate" - Mia fanfic basata su "L'ospite"


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Capitolo I

Il primo giorno di università

 

 

Aprii gli occhi lentamente, quel giorno. La tiepida luce del mattino mi carezzava il viso, scaldandomi dalla frescura della passata notte.
Mi voltai pian piano verso il comodino e constatai che erano le sette. Che giorno è? pensai tra me e me, ancora frastornata. Poi però fu tutto più chiaro, più lucido: era il 15 ottobre! Cavolo, è il mio primo giorno di università! Mi stiracchiai ben bene e scivolai fuori dalle lenzuola ancora fini ma che mi tenevano a sufficienza. Una volta infilate le pantofole uscii dalla mia camera per recarmi a quella a fianco, dove sentivo distintamente provenire rumori di stoviglie.
In effetti ad attendermi in cucina c'erano tazze fumanti di té e ciotole ricolme di frutta, posizionate su una bella tavola imbandita.
Erano già tutti seduti, che conversavano amorevolmente, intenti ad aspettarmi per iniziare la colazione. Colei che chiamavo madre, una donna esile, dai lunghi boccoli biondi e dagli occhi color smeraldo, stava ridendo per un racconto che colui che chiamavo padre, un uomo sulle cinquantina, occhi scuri e capelli neri, stava simpaticamente esponendo.
Presi posto vicino ad un ragazzo, della stessa età che aveva il mio corpo. Aveva corti capelli neri, occhi del medesimo colore e una carnaggione pallida. I suoi lineamenti erano morbidi, tondeggianti ma non era affatto grasso, anzi: faceva molta palestra. Avvertii un peso sullo stomaco, passeggero, che mi fece provare una sensazione di disagio. In effetti quel ragazzo aveva le mie stesse fattezze, a parte il fatto che io portavo i capelli lunghi, in una sorta di caschetto. Gemelli, così si diceva.

 

<< Come va, Serenità? Sei emozionata per il primo giorno di università? >> mi chiese Canto dell'alba, "mia madre".

 

Annuii, pensosa. In effetti era vero, ero preoccupata per il mio debutto nel mondo accademico. Non tanto per il fatto in sé per sé ovviamente. Il problema consisteva nel fatto che era la prima volta da quanto ero giunta sulla Terra che dovevo relazionarmi con gli esseri umani. Deglutii al sol pensiero. Fiamma ardente, "mio padre" se ne accorse e mi sorrise benevolo.

 

<< Suvvia Serenità, non essere tesa. Noi tutti ci siamo passate e ti assicuro che non è poi così terribile >>.

 

Una pausa e poi continuò, questa volta affievolendo il suo sorriso.

 

<< L'importante è non dare corda. Devi tenerti a debita distanza ma al tempo stesso apparire il più disinvolta possibile >>.

 

Misi in bocca un acino d'uva e lo masticai forse il più del dovuto. Avevo lo sguardo basso, pensieroso. Sarei stata all'altezza della situazione? Sarei riuscita a mescolarmi tra gli umani? Umani... solo il pensiero di quella parola mi faceva rabbrividire: esseri violenti, pericolosi, praticamente l'inverso di noi Anime. Per puro caso scoprimmo l'esistenza della Terra... e che scoperta. Nell'universo infinito trovammo un oggetto strano, una sorta di sonda, al cui interno vi era un disco d'oro con su incise delle indicazioni astronomiche e dei modelli anatomici. Capimmo fin da subito l'entità di quella scoperta e quando venimmo a verificare, cinque anni orsono, scoprimmo una forma di vita intelligente evoluta, che viveva su un pianeta ricco di varietà e di potenzialità. Nonostante tutta questa bellezza, di forme e di stimoli, constatammo quanto il genere umano fosse incline alla violenza e alla distruzione, una cosa davvero inammissibile. Barbari, ecco cos'erano, esseri spregevoli che avvelenavano sé stessi, gli altri e l'ambiente circostante. Non battemmo ciglio nel voler appropriarci di quel tesoro che era la Terra e di portare pace e serinità in ogni suo angolo. Per il momento eravamo poche migliaia sparse in tutto il mondo. Giungemmo da altri pianeti, abbandonando gli ospiti ormai morenti per installarci nei corpi umani. Intere famiglie furono convertite, così non avrebbe dato nell'occhio il nostro riunirci per discutere sul da farsi.

 

<< Mi raccomando, non usare il tuo nome, Serenità. Usa quello del tuo ospite >> mi ricordò Acque cristalline, "mio fratello".

 

Io annuii, cominciando a sorseggiare il té caldo. Mi sentii coccolata da quel fluido così ristorante. Già, il mio nome da umano... qual'era? Ah sì, Federico. Con la coda dell'occhio, passai in rassegna ogni commensale.
Canto si faceva chiamare Marta ed era la segretaria di un ambulatorio privato. Fiamma invece si chiamava Enrico e ufficialmente era il titolare di un bar in centro. In realtà era un Guaritore, un'Anima che si occupava di innestare le sorelle nel corpo umano e di monitorare la loro salute. Non era un caso che Canto e Fiamma erano assieme: la prima faceva sgattaiolare la seconda nello studio medico ogni qualvolta che bisognava fare un innesto. In questo modo Fiamma aveva a disposizione tutto il materiale necessario per la piccola operazione. Acque, invece, era Antonio e lavorava nel bar come cameriere. Neppure quel piccolo dettaglio era stato lasciato al caso: era un Cercatore, ovvero colei che si occupava di catturare corpi per l'innesto. Un compito molto delicato, poiché richedeva tempo, agilità e furbizia. Una mansione del genere era impossibile da svolgere mentre si era alle prese con la scuola o con un lavoro vero. Ecco perché aveva un posto vicino al "padre". Non era altro che un pretesto per risultare ufficialmente un lavoratore senza però dover dare conto ad un capo pretenzioso.
Sorso dopo sorso, mandai giù tutta la bevanda, sospirando poi dal piacere. Ricordai ancora una volta e con un certo disgusto, il perché avevamo scelto di non adottare in toto i nomi umani. Di solito, infatti, le anime pioniere ( così si definivano i primi arrivi sul pianeta ) sceglievano di chiamarsi col nome dei propri ospiti, per facilitare le cose. Noi no, volevamo essere ben distinte da quelli che c'erano prima di noi. Umani tremendi, ne condividevamo i ricordi ricolmi di bruttura, posseduti dall'odio e dalla discriminazione. Erano rozzi, miseri, razzisti nei confronti di chi non era della stessa etnia e territorio. Ricordo con vergogna le scorribande di Federico ed Antonio, specialmente quelle all'esterno dei centri commerciali: rapine a danno di neri, pestaggi... Erano delle belve! Del resto Marta ed Enrico se ne fregavano altamente del comportamento dei figli, pensando solo ai soldi e ai loro interessi. Quei ricordi erano intrisi di dolore e rabbia e come sempre facevo quando li rievocavo, li scacciai in tutta fretta. Importava il presente, importava che questi corpi avevano trovato noi. Che immenso atto di compassione il nostro: ci eravamo appropriati del corpo di questi grezzi esseri per farli diventare migliori.
Sorrisi, il primo sorriso della giornata.

 

Una volta finita la colazione mi alzai e mi preparai. Mentre mi radevo, in bagno, fissai i miei scuri occhi, le cui pupille si sarebbero confuse con le iridi se non fosse per due piccoli spettri chiari che le attorniavano. Il segno delle Anime. Sospirai, mordendomi le labbra: i passanti non se ne sarebbero mai accorti, di quegli occhi non proprio umani... ma chi mi stava vicino? Chi mi avrebbe fissato? Non volevo pensarci! Sarei stata la prima e l'unica Anima a farsi scoprire. No, non poteva davvero accadere! Perché proprio a me poi? Ritornò quella sensazione, quel peso sullo stomaco che pochi minuti prima avevo già provato... Non dovevo farmi prendere dall'ansia, da quello strano sentimento umano. Le sorelle confidavano in me, non ho nulla da temere. Era sufficiente che mi attenessi alle disposizioni: comportarmi con disinvoltura e tenermi alla larga dagli umani. Dovevo essere anonima e discreta nel cercare altre Anime. Altre Anime? Seriamente? Ne eravamo ancora poche, come potevo sperare di trovarne altre nella mia stessa università? Probabilmente, ero la prima universitaria in tutta Italia...

 

Mi vestii. Jeans e maglietta, in stile sportivo. Rigirandomi nello specchio della mia camera mi sentii un po' più sicura di me: adesso potevo affrontare il mondo, ero in perfetta tenuta umana.
Mi recai nell'ingresso, dove scoprii che mi stavano aspettando le altre. Erano tutte sorridenti, con un'espressione rassicurante sui volti. Era la mia prima vera uscita: nata solo un mese prima, avevo passato il più del tempo in casa e il rimanente dal Consolatore. La mia esperienza del mondo umano si fermava ai soli spostamenti in macchina da un'abitazione all'altra. Fino a quel momento, avevo visto il mondo degli umani esclusivamente attraverso il vetro di un finestrino.
Mi abbracciarono e mi diedero l'imbocca al lupo. Mi infilai la giacca e presi la tracolla. All'interno qualche quaderno e alcune penne. Il minimo indispensabile. Adocchiai la porta e mi avvicinai. Avevo il cuore in gola, stavo per compiere il mio primo grande passo. Presi il pomello dorato e lo girai. La porta s'aprii e la luce indiretta del sole mi avvolse.
Benvenuto nel mondo, sembrava augurarmi.

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  • 3 weeks later...

Capitolo 2

Incontri

 

 

 

Fuori l'aria era così... calda. Il sole inondava ogni cosa, rendendola luminosa e scintillante. Sole, un astro così importante e fondamentale eppure gli esseri umani non potevano ammirarlo senza farsi del male agli occhi... Il palazzo in cui abitavo si affacciava su una delle strade principali di Napoli: era larga, trafficata e piena di vita. Non vi era nulla che potesse spaesarmi di più...
Dopo alcuni minuti di cammino mi ritrovai in una piazza enorme, con al centro una statua raffigurante un antico uomo di cultura. Gettai solo uno sguardo al monumento, ero frastornata dagli sciami di umani che migravano scompostamente verso ogni dove. Dove stavano andando? I giovani sicuramente in ciò che chiamavano "scuola", gli adulti negli "uffici". Vite frenetiche, sguardi torvi... a cosa serviva tutto ciò? Notai con un certo sgomento che nessuno di quegli esseri faceva caso alla bellezza insita nella leggera atmosfera mattutina, a quei giochi di luce su palazzi e costruzioni che sembravano fossero stati eseguiti da un abile pittore. Erano come imbrigliati nelle loro questioni quotidiane, imprigionati nei loro affanni...

Sorpassai la piazza, procedendo per il dritto marciapiede. Il mio cuore batteva a mille: non poteva essere vero, ero lì, in mezzo a loro! Quello era un giorno che avevo aspettato da tanto e lo avevo anche temuto, sotto certi aspetti. Mantenni gli occhi bassi, per evitare che le mie iridi fossero notate da qualcuno. Quando mi lasciai la piazza alle spalle la strada divenne più popolosa. Cominciai ad urtare la gente che mi veniva contro con le spalle, provando un certo disagio. Credo che arrossii. La piazza, oltre ad essere ornamentale, aveva la funzione di sfoltire la folla, di diluirla nell'ambiente. Sperai con tutta me stessa che quel tratto di strada fosse breve e senza rendermene conto alzai il passo. Mi sentivo in balia di un fiume umano, impetuoso, vigorosamente turbolento. Quanti odori, quanti colori... Ed infine eccomi allo svincolo che dovevo imboccare! Conduceva ad una strada molto più piccola ma anche meno popolosa. Questa arrivava dritta alla mia università, per fortuna. In quel momento ringraziai di essere nel corpo di un umano che abitava a pochi passi dall'ateneo. Non appena svoltai l'angolo l'atmosfera cambiò repentinamente: in quel luogo il sole non arrivava con la stessa intensità dell'altro ambiente e l'età media dei passanti si era notevolmente abbassata. Gli sciami erano divenuti magri gruppetti di umani ridanciani e chiassosi. Mi fermai per un attimo, innervosita: tutta quella espansività mi metteva un certo disagio. E se qualcuno si fosse avvicinato? L'istinto mi consigliò di voltarmi e di correre a casa a gambe levate ma non ubbidii, ovviamente. Era una cosa stupida, illogica! Sospirai e mi feci forza stringendo i pugni. Mi mantenni al limitare della via, costeggiando i palazzetti, per non destare sospetti. Cercavo di non fissare nessuno, anche se mi risultava difficile dati i movimenti che quegli esseri compivano con le braccia e con le mani, tutti intenti a far divertire le loro comitive. Sperai sinceramente che l'ambiente universitario fosse diverso. Ben presto giunsi in una piazza circolare e poco meno ampia dell'altra. Al suo centro vi era una sorta di alta colonna recitata. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse... ma in fondo mi piaceva. Mi affrettai senza ritegno verso il prosieguo della strada, sul lato opposto della piazza. Notai che molti umani, specialmente quelli più giovani del mio corpo, presero strade diverse oppure si fermarono in loco. Mi immisi nel continuo della strada e notai subito la graziosità delle botteghe che la contornavano. Sapevo che non dovevo fermarmi, che dovevo far presto per non presentarmi in ritardo il primo giorno di università ma non resistetti: arrestai il mio incedere e cominciai ad osservare la bellissima quanto golosa vetrina di una cioccolateria. Cioccolato... ricordo quando Canto dell'alba me ne porse un pezzo, nei miei primi giorni di vita umana. Fu una sorpresa sensoriale assaggiarlo, con l'olfatto e con il gusto...

Ero intenta ad osservare dei cioccolatini, esposti così squisitamente dietro quella lastra di vetro che mi fecero aumentare notevolmente la salivazione quando...


<< Ahi!!! Che ti prende! >>.


Mi sbilanciai in un lato e quasi caddi in terra. Scossa, sconvolta com'ero, misi a fuoco la scena: accanto a me, molto vicina al mio corpo, una ragazza dai capelli fiammeggianti mi guardava, con i suoi occhi verde acqua. Sembrava alquanto seccata. Capii dopo un paio di secondi che ci eravamo scontrate.


<< Allora, non dici nulla?! >>.


Indietreggiai di qualche passo, impaurita, rischiando di cadere davvero. Era stravolta, tutta scomposta. Mi faceva paura.


<< Sei muto? Che hai? >>.


<< Io... io... sc-scusa >> riuscii a sbiascicare.


La ragazza sembrò calmarsi tutto d'un tranno, assumendo un'espressione accigliata.


<< Beh ma cos'hai? Stai bene? >>.


Sembrava quasi preoccuparsi. Volevo risponderla con tutta me stessa ma le parole non riuscivano a sgusciare fuori dalla mia bocca: ero paralizzata dallo shock! Si protrasse verso di me, lo sguardo inquisitore.


<< Ehi? Come va? >>.


Mi fissava, mi fissava negli occhi! Presa dal panico che potesse intuire qualcosa, mi decisi a parlare.


<< No no, tutto bene-benissimo! >>.


Stupida! Che avevo detto? Almeno mi si scostò. Nonostante fosse visibilmente rincuorata del fatto che le avessi parlato, mi fissava sempre come un inquisitore.


<< Piacere, Marina! >>.


Mi porse la mano destra. Gliela fissai, non riuscendo a decidermi sul da farsi: dovevo stringergliela? Le buone maniere mi suggerivano di sì ma non ne avevo affatto voglia. Un colpetto di tosse da parte sua mi obbligò a farlo.


<< Oh bene... E di grazia, il tuo nome sarebbe? >>.


<< Ser... >>.


Mi morsi violentemente il labbro inferiore. Lei s'accorse di quel gesto disperato. Sembrava essere una tipa sveglia.


<< Federico... >> borbottai.


<< Oh che bel nome! Adesso però potremmo anche staccarci >> e fece cenno col capo verso la nostra stretta.


Cavoli, che goffa, le stavo ancora stringendo la mano! La mollai all'istante, arrossendo vistosamente. Seguirono istanti di imbarazzante silenzio.


<< Beh, dove te ne andavi? >>.


Fu lei a spezzarlo.


<< Andavo in facoltà... >>.


Volevo continuare ciò che avevo iniziato a mormorare ma Marina m'interruppe.


<< Davvero? Anche io! E che corso devi frequentare? >>.


Deglutii.


<< Inglese... >>.


Contro ogni logica o previsione balzò su di me. Istintivamente mi coprii il volto con le mani, nel panico più totale. Poi mi sentii agguantare un polso.


<< Anche io!!! Andiamo allora, che è tardissimo! >>.


E detto ciò mi strattonò e mi trascinò verso l'ateneo, alla fine della lunga stradina.
Certo che quella ragazza era davvero folle! Non mi avevano mai parlato di umani così... esuberanti. Bellicosi, istintivi sì... ma mai esplosivi come quella lì! Non fiatai per tutto il tragitto. Lasciai parlare lei. Mi raccontò senza sputare un secondo della storia dell'università, dei professori ( e di Yann in particolare, quello che stavamo per incontrare ), dei crediti, degli esami... L'ansia non era una prerogativa delle Anime ma in quel momento mi sentii invadere da essa.      
Arrivammo all'ateneo, un edificio storico color rosso porpora. Il grande portone in legno rosso conduceva ad uno spiazzo all'apero in cui erano sistemate delle panchine. C'erano molti studenti intenti a parlottare tra loro, chi consultava i libri in compagnia, chi semplicemente cercava di stemperare l'emozione del primo giorno. Marina non sembrò affatto colpita da tutto ciò, trascinandomi senza batter ciglio verso una porta sul lato destro. Entrammo in un mini ingresso su cui si affacciava l'ascensore e l'uscio di un'aula. Marina poggiò l'orecchio sulla superficie lignea per controllare se la lezione fosse già iniziata. Annuii tra sé e sé e senza mollarmi aprì la porta ed entrò.
Cinquanta umani erano lì a guardarci. Il panico: era la fine, che cosa avevo combinato! Le mie sorelle mi avevano raccomandato più e più volte di rimanere in disparte ed invece io? Ero lì, i primi minuti di università, a farmi scrutare come se fossi su un palcoscenico! Sentii le mie gambe tremare. Avevo il sentore che mi avrebbero abbandonato al più presto.


<< Su ragazzi, prendete posto >> ci richiamò una voce.


Non ebbi né il tempo né le facoltà mentali per individuarne la fonte. Marina mi strattonò verso il fondo dell'aula, dove scoprii vi erano alcuni posti liberi. Ci accomodammo con una certa fretta, spinti dalla voglia di omologarci al gruppo. Mi sbottonai la giacca e mi sfilai la tracolla. Solo quando mi fui sistemata lo vidi... e ne rimasi folgorata! Yann. Chi o cosa era? Un umano? Un essere ultraterreno? Ma che importanza aveva? I pensieri si sfibrarono nella mia mente. Si dissolsero, al suo cospetto. Ero davanti ad un essere dalla pelle chiara come il manto della luna. I suoi occhi erano azzurri come le acque di un'esotica laguna. I suoi capelli erano fluidi raggi solari che scendevano in una sorta di caschetto, fin quasi a sfiorare le spalle. Era un tipo esile eppure così forte; così onirico eppure così terreno... Portava un completo a quadri color senape che gli conferiva un'aria d'autorevolezza che mal eclissava la sua intima dolcezza. M'accorsi ben presto che l'ambiente circostante, compresi gli studenti e la stessa Marina, erano scomparsi. Eravamo soli, in una dimensione lontanissima...


<< Bene, la lezione è finita >>.


Mi destai violentemente a quelle parole. Mi guardai attorno spaesata, tra i miei compagni che lesti si alzavano e si preparavano ad uscire.


<< Ehi, tutto ok? Cos'hai dopo? >> mi chiese Marina, col suo fare energico.


Mi scossi dall'imbambolamento. Cos'avevo dopo... ah sì!


<< Storia americana, poi ho finito per oggi >>.


Fu quasi di sollievo confermare con la voce che quella giornata scolastica era abbastanza veloce. Lei annuì e mi disse che doveva seguire un altro corso. Che sfortuna, pensai ironicamente. Mi salutò frettolosamente, informandomi che il suo corso era già iniziato e lesta scappò via, facendosi largo tra gli studenti in uscita. Sbarazzatami dell'elemento di disturbo principale, mi voltai ad osservare il professor Yann. Tuffo al cuore, era già andato via.
Storia americana era una materia sicuramente molto interessante ma non ascoltai quasi nulla di ciò che spiegava l'insegnante. Per tutto il tempo non potei far altro che pensare a ciò che era appena capitato. Sì... ma cos'era successo davvero? Ero confusa, davvero confusa... Non sapevo dare un nome a quel fenomeno, non riuscivo a spiegarmelo neppure mettendolo a confronto con le altre mie vite. Mi adombrai e continuai ad interrogarmi sull'accaduto fino alla fine della lezione, per tutto il percorso del ritorno a casa, per tutto il pranzo e per tutto il pomeriggio. A casa compresero che qualcosa non era andata bene ma non potevano immaginare... né io dissi una parola. Attribuirono il mio umore al primo giorno passato tra gli umani.


<< Non preoccuparti, abbiamo tutti reagito così il primo giorno >> cercò di rincuorarmi Fiamma ardente.


Ovviamente non poteva sapere... altrimenti non avrebbe parlato così.

Si fece sera, cenai silenziosa e mi ritirai nel bagno. Mi sporsi sul lavandino e mi diedi una bella sciacquata al viso, cercando di schiarirmi le idee. Erano passate ore ma non ero riuscita a venire a capo della situazione! Mi guardai nello specchio, fissandomi negli occhi. Cosa mi era capitato? Cosa? "Non ti azzardare, io ti ammazzo". Sussultai. Cos'era stato? Una voce, una voce dentro di me... aveva parlato? Cominciai a tremare violentemente ed un fuorioso terrore s'impadronì del mio animo. 

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