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Anna degli Spiriti - L'Autunno delle Rose


Silverselfer

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Siccome ho bisogno di scrivere anche quando non ho la serenità mentale di farlo, ho deciso di buttar giù un'altra avventura di quella che oramai si profila come una vera e propria "saga". Infatti, scherzando e spaventandoci, Anna degli Spiriti è giunta al suo terzo racconto lungo.

 

Ovviamente neanche io so ancora quale spaventoso mistero sta per affrontare, tuttavia si porta dietro una piccola eredità dai racconti passati, specie dall'ultimo, quando incontra Cenerino, il misterioso gattino nero, di cui ho voglia di spiegare meglio la sua natura extramondana. 

 

Per chi non conoscesse le altre due avventure, inserisco i link de' Il ricordo nel pendolo e La borsa nera - 

 

http://www.gay-forum.it/forum/index.php/topic/17286-il-ricordo-nel-pendolo/

 

http://www.gay-forum.it/forum/index.php/topic/17566-la-borsa-nera/

 

Alla fine della prima avventura, Nightwisher mi regalò questa immagine di Anna, da allora penso a questo racconto come ad una storia illustrata ... Quindi, se magari mi capiterà in giro di trovare un'immagine che mi ricorderà le atmosfere cupe del racconto, le posterò e sarebbe bellissimo se contribuiste anche voi. 

 

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NB: Il titolo "L'autunno delle rose" insolitamente più bello dei miei titolacci tirati via per disperazione, è dovuto al contributo di Purospirito.

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Anna degli Spiriti

 

L'Autunno delle Rose

 

 

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Capitolo primo

 

 

***

 

 

Il passo lesto di Anna scricchiolava sui fili d'erba che la brina gelata del mattino rendeva luccicanti, trasformando quel campo di periferia in un prato di cristalli. Con il cappello di lana cacciato fin sopra gli occhi, chiusa nel cappottino liso, il suo corpicino intirizzito dal freddo esalava una scia di fumetti, che il vento disperdeva tra le dorature autunnali delle foglie morte.

 

Le grosse chiavi tenute in un anello di ferro appeso alla cintola, scandivano rumoreggiando l’incedere di quel cammino. Giunta davanti ad un cancello storto da una granata degli alleati durante la guerra, Anna vi cacciava la grossa chiave arrugginita nella toppa e non senza fatica, aiutandosi con entrambi le mani, ne faceva girare l’ingranaggio. Tolto il paletto infilato direttamente nella terra, ne apriva le ante cigolanti sui gangheri arrugginiti.

 

           -          Ma guarda chi si rivede!

 

Disse meravigliata, riconoscendo subito il modo vezzoso con cui Cenerino arricciava la coda. Il gattino nero incontrato nella casa degli specchi, era uno spirito indipendente come tutti i felini, ma lui in modo particolare, era solito sparire e ricomparire quando gli pareva, e lo faceva anche quando si trovavano soli in una stanza con la porta e la finestra sprangate. Anna non riusciva proprio a capire dove si andava a nascondere, lo cercava inutilmente ogni volta, fin quando capì che non poteva trattenerlo o pretendere che trovasse sempre piacevole la sua compagnia.

 

-          Immagino che ora vorrai anche che ti sfami, vero?

 

La mamma le aveva trovato un nuovo lavoro, ma stavolta a servizio presso la canonica di un curato, la cui chiesuola sorgeva ai bordi della periferia cittadina. Di soldi non ne vedeva ma in compenso poteva mangiare il cibo della dispensa del prete, così in casa c’era una bocca in meno da nutrire.

La ragazzina si alzava all’alba per andare a preparare la colazione del curato. Era per fare prima che attraversava il campo incolto sotto la collinetta, le cui fronde boscose celavano il cimitero dove sorgeva la graziosa chiesuola della Santissima Luce Perpetua. Anna camminava lungo il muro un po’ diroccato del camposanto, fino a raggiungere il cancello di ferro che un tempo doveva essere stato proprio carino, con tutti quei ghirigori ora arrugginiti e le punte a forma di lancia ora tutte spuntate.

 

-          Almeno non miagolare … che poi chi lo sta a sentire Don Peppino.

 

Don Peppino era il curato di quella chiesuola poco più grande del resto delle cappelle del camposanto. Vi diceva messa solo per le vedove che andavano a piangere i poveri mariti morti in guerra, fin quando anch’esse calavano nella fossa. Allora Don Peppino infilava la tonaca viola e celebrava il funerale con dell’ottimo barolo che metteva in conto ai parenti della defunta. Sì, quello del vino era il solo peccato in cui incedeva. Era stato proprio a causa di questa sua debolezza che lo avevano spedito a dir messa in quel posto dimenticato da Dio.

 

-          Dannata ragazzina! Tu e il tuo gatto della malora mi farete morire di polmonite.

 

Diceva Don Peppino appena Anna entrava nella canonica e una folata di aria mattutina molestava il suo sonno etilico. La ragazzina non ci faceva più caso a quel suo continuo rimbrottare, che si sarebbe chetato solo dopo il terzo bicchiere di vino.

 

-          Ma se sono qui già da una mezz’ora e il suo vino cotto sta già sul fuoco …

 

Si sbrigava a dirgli ogni volta, sicura che un attimo dopo sarebbe tornato a ronfare. Quella mattina, però, Cenerino sembrava proprio avere gli spiriti in corpo, miagolava e saltava da un mobile all’altro.

 

-          Ti sei forse messo in testa di farmi cacciare dal parroco?

 

Anna cercò di lusingarlo con una lisca di pesce puzzolente, ma proprio non c’era verso di farlo calmare, allora puntò i piedi e brandendo la scopa lo cacciò via dalla canonica. Erano troppe le faccende che doveva sbrigare per star dietro ai capricci del suo gatto. Innanzi tutto c’era da mettere sul fuoco il vino del curato e serviglielo con una fetta di polenta biscottata. Don Peppino mangiava come un passerotto, era alto e magro come una pertica, con la schiena curva e la testa che, a furia di ciondolare ubriaca, gli era rimasta pencolante sul petto, tanto che per guardare gli astanti, era costretto a fissarli di sghimbescio, dando sempre l’impressione di odiarli profondamente.

 

Come ogni mattina, dopo aver sistemato il vassoio della colazione sul comodino di Don Peppino, Anna si recò nella piccola chiesetta attraverso una porticina che era poco più di una feritoia. Essa dava dietro l’abside, su cui troneggiava una pietà intagliata nella ceppa di un'enorme guercia. Le forme che l’artigiano le aveva dato, ripercorrevano le curve naturali di quel legno ritorto, cresciuto sotto la terra, e davano alla Madonna che sosteneva il corpo morto del frutto del suo seno, una strana espressione allegra.

Anna si sbrigò a mettere le particole di pane azzimo nel calice delle ostie, poi rimboccò l’ampolla del vino sempre smezzata, quindi le rimaneva solo d'accendere il cero sul candelaio per dare l’opportunità alle vedove, in visita ai mariti defunti, di accendere una candela per la loro luce perpetua. Attenta a non far scapocchiare il fiammifero sprecandone uno di troppo, si prese uno spavento quando vide Cenerino spuntare da chissà dove e saltargli addosso.

 

-          Si può sapere cosa ti ha preso stamattina?

 

Lo sgridò Anna mentre raccoglieva gli zolfanelli caduti in terra. "Miao" le rispose il gatto, con il pelo ritto sulla schiena ritorta in maniera minacciosa. La ragazzina si guardò attorno per capire cosa lo stesse spaventando tanto, ma la chiesa era deserta, anche se quel silenzio improvvisamente fece correre un brivido lungo la schiena anche a lei. Fece un bel sospiro e spazientita sbatté il piede in terra per scacciare quel "gattaccio dal malaugurio", come lo chiamava sempre Don Peppino.

 

Anna si era impegnata tanto per dimenticare gli spettri in cui si era imbattuta in passato. Se non ci fosse stato Cenerino a ricordarglielo, avrebbe creduto come tutti gli altri che i fantasmi non esistono.

Prese dunque un altro fiammifero e lo grattò con forza contro la scatola, decisa a scacciar via quelle fantasticherie da bambina. Fu allora che la capocchia di zolfo del cerino scintillò come un fuoco d'artificio. Anna lo tenne per qualche istante, meravigliata da quel piccolo prodigio d'insolita bellezza. Fu quando la fontanella di stelline stava per esaurirsi, che la ragazzina si rese conto che, con quello che costavano, non poteva sprecare anche quel secondo zolfanello. Avvicinò dunque la capocchia ardente allo stoppino del cero, quando si vide di nuovo Cenerino sbucare dal buio e sbuffarle contro una smorfia indiavolata.

 

Che spavento! Anna, nel ritrarsi, perse l'equilibrio e lasciò cadere il cerino sul pavimento, ma prima che toccasse terra, questo fece una tale fiammata che il fuoco parve spandersi fin su per la navata. La ragazzina si coprì il volto con le mani e per lo spavento il suo cuoricino parve fermarsi. Tuttavia, quel drappo di fiamme infernali si attorcigliò subito in un gorgo d'aria, che lo risucchiò giù per il piccolo pertugio a forma di croce posto sulla pesate pietra dell'ossario ai piedi dell'abside.

 

Solo quando quell'assordante crepitio, che pareva uno sciame di fameliche locuste, si placò, Anna dischiuse gli occhi e allargò le dita delle mani per sbirciarci attraverso. Era stata solo una brutta suggestione, si disse. Tutta colpa di quel dannato gatto, glielo diceva anche sua madre di liberarsi di quel messaggero del demonio. Già, ma ora chissà dov'era finito?

 

Quella mattina Anna decise di non accendere il cero sul candelaio e si sbrigò ad aprire il portoncino della chiesuola per farvi entrare la benefica luce del giorno. Sospinte dal vento, una bella manciata di foglie corsero rotolando dentro la chiesa, distogliendo subito Anna dallo spavento appena preso. Si sbrigò a prendere scopa e paletta, decisa a catturarle tutte. Ma quelle pazzerelle si divertivano a cavalcare il vento, sfuggendole di volta in volta, giocando a nascondino tra i banchi degli inginocchiatoi. Ne stava rincorrendo una particolarmente birichina, quando la vide cacciarsi giù per il piccolo pertugio a forma di croce. Questa non fece in tempo neanche a scivolarci attraverso, che una fiammata la ridusse immediatamente in un fumetto di cui non rimase neanche la cenere.

 

Era veramente troppo difficile riuscire ancora a credere che non stesse accadendo qualcosa di strano. Anna cacciò istintivamente la mano nella tasca del giacchetto per brandire quel piccolo rosario compagno di tante spaventose avventure. Senza neanche pensarci, lo avvolse al dorso della mano. Appuntandosi un grano di legno sulla punta del pollice, trovò il coraggio di avvicinarsi alla botola dell'ossario. Passo dopo passo, iniziò a recitare gli Ave Gloria tanto rapidamente da farsi venire il fiatone. Si fermò sul ciglio dell'interstizio della pietra che richiudeva l'ossario. Vide come una luminescenza infuocata colorare di rosso il buio del pertugio a forma di croce.

 

Anna pensò di recitare una preghiera per le anime del purgatorio. Fu allora che quella luce si fece più intensa tanto da trasparire anche attraverso l'interstizio tra la pietra e il pavimento. Fino a quando giunse all'ultimo verso della preghiera: "Dona loro la luce perpetua ...", allora un boato rintonò per tutta la navata. La ragazzina corse via spaventata fin a fuori la chiesa, al centro della piccola piazzetta da dove si diramava il dedalo di vialetti che si perdevano tra le tombe.

 

Che cosa stava accadendo? Anna strinse i pugni attorno al suo rosario e portandoselo al petto pregò affinché non ci fosse nulla oltre il turchese di quel cielo mattutino. 

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  • 2 weeks later...

Capitolo secondo

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Sono strani quei giorni in cui il tempo sussurra agli occhi ricordi indesiderati che fuggono lo sguardo come ombre nella luce.

 

Il cielo turchese di quella mattina così gelidamente fulgida si adombrò presto di un drappo di nembi temporaleschi. Rimbrottava quel livore che veniva giù in una soffice coltre brumosa, la quale rimaneva a mezz'aria tra i vialetti del cimitero, immergendo l'aria in una strana opalescenza grigiastra.

 

Anna doveva spazzare e lucidare il ricordo sulle lapidi di quei defunti più fortunati che avevano parenti abbastanza ricchi da poter pagare al curato un bicchiere di vin santo. Di tanto in tanto, si voltava veloce per acchiappare una macchiolina scura che pareva sfuggirle sempre dall'angolo degli occhi.

 

-  Cenerino tanto lo so che sei tu ...

 

Stufa, la ragazzina chiamò il gattino nero; sicura che fosse quello a correre tra le tombe per spaventarla ulteriormente, dopo quanto le aveva combinato la mattina nella chiesa. Fu allora che quelle brume grigiastre si dipanarono e il camposanto deserto le apparve illuminato da una luce diversa da quella gialla del sole, da cui le ombre cercano riparo. I marmi bianchi, i cipressi odorosi e ogni altra cosa rilucevano del proprio colore senza che questo producesse ombra alcuna. Gli uccellini o le api che approfittavano sempre di quella fioritura fuori stagione tra le tombe, parevano essere scomparsi o almeno se ne rimanevano muti in quell'estatico silenzio in cui sembrava essere caduto il cimitero.

 

-          Ce ... Cenerino ... vieni fuori o niente pappa stasera ...

 

Anna incrociò il piccolo rosario che aveva lasciato avvolto intorno al polso e tentò di nuovo di chiamare Cenerino. Già da tempo sospettava che l'incontro con quel micetto nella casa degli specchi non fosse stato un caso. Suo nonno un tempo le aveva raccontato che i gatti sono i guardiani del limbo, dove gli spiriti erranti dei morti cercano di tornare nel mondo dei vivi. Lei si ricordava chiaramente di quello che col tempo aveva creduto solo un brutto sogno, ma che in cuor suo sapeva essere stato reale, di quando si perse nel limbo e a riportarla indietro fu proprio un enorme gattone dal pelo buio come la coltre più scura. Il pensiero che quell'animale mistico potesse essere proprio il micetto che poi l'aveva seguita nel mondo, l'aveva sfiorata spesso e proprio per gratitudine che continuava a sopportare quel suo caratterino dispotico.

 

-          Cenerino, adesso basta ... vieni fuori.

 

Ora, però, si era spazientita e non avrebbe permesso a quel diavoletto di trascinarla in qualche brutta storia di spettri. Chiamò di nuovo il gatto, cercando d'imprimere alla voce un tono perentorio. Dunque aveva ragione, perché si trattava proprio di Cenerino che si nascondeva tra le tombe. Vide sbucare i suoi puntuti orecchi da dietro una lapide, ma poi si accorse che la sua coda si stava arricciando tra un mazzo di gerbere coloratissime e ancora vide la sua sagoma scura camminare in cima al tetto della chiesa! Ovunque si voltasse spuntavano Cenerini. L'intero camposanto pareva essere invaso da gattini neri identici al suo.

 

Anna si stropicciò gli occhi credendo di avere le trabecole, ma ogni volta che tornava a guardare il cimitero immerso in quella strana luminescenza, i gattini sembravano moltiplicarsi come una miriade di puntini neri, tanto che alla fine parevano fare le fusa tra loro. Unendosi le macchioline di buio ricomposero le normali ombre del mondo, finendo per spegnere quella strana luce.

 

-          Ahia!

Gridò la piccola quando Don Peppino le tirò una treccia. Ma insomma, si poteva sapere che cosa le era preso quel giorno? Le domandò il curato, lamentandosi dell'insolita svagatezza che prima le aveva fatto dimenticare di accendere il cero sul candelaio della luce perpetua e poi era scomparsa tra le tombe per il resto del giorno.

 

-          ... e sbrigati che sono quasi le cinque ...

 

Le cinque? Solo in quel momento Anna si accorse che il cielo era all'imbrunire e i lumini del cimitero tra non molto avrebbero preso a brillare come tante gemme colorate. Prima di allora però c'era da celebrare la messa del rosario, che più di qualche volta il curato decideva di non celebrare perché non c'èra nessuno tra cui far passare il cestino dell'obolo.

 

-          ... e non ti scordare il velo in testa ...

 

Don Peppino si lamentava sempre perché la curia gli aveva negato un chierichetto e doveva arrangiarsi come poteva, ma da che mondo e mondo non si era mai visto che una femmina salisse su un altare a celebrare messa. Le femmine al massimo possono fare le perpetue, si lamentava ogni volta, quando alla fine della funzione aveva sempre qualcosa da rimproverare ad Anna, nonostante la ragazzina facesse sempre tutto con estrema cura, anche perché quello era il momento della giornata più bello per lei.

-          Stupida ragazzina, ma si può sapere dove hai la testa oggi?

Quel giorno Anna sbagliò ad abbottonare l'abito talare del parroco e quando si ritrovo con i bottoni spaiati, Don Peppino perse proprio la pazienza. Quella sera era proprio agitato perché alla funzione era presente l'intera famiglia Buratti che, per la commemorazione della loro compianta madre, avevano pagato con cinque soldi una messa a suffragio di tutti i defunti. Senza contare che in cucina c'era anche un bel cappone da spennare proveniente dal loro pollaio. E sì, i Buratti erano veramente timorati di Dio e non meritavano certo di essere trattati in quel modo.

 

-          Il velo! Quante volte te lo devo ripetere? Vuoi forse entrare nella casa del Signore come una meretrice?

 

Tutta quell'agitazione del parroco certo non aiutava la povera ragazzina, che si menò un pugnetto in testa prima di correre di nuovo in sacrestia per prendere il bel velo di pizzo bianco con cui coprirsi i capelli. Quando uscì di nuovo dalla piccola porticina che dava sull'abside, Anna ebbe un soprassalto nel vedere la chiesa gremita di gente. I banchi erano tutti occupati e c'erano persone in piedi contro tutte le pareti della cappella. Certo che la famiglia Buratti era veramente numerosa.

 

La funzione continuò come il solito, con il parroco che faceva tuonare la voce contro i peccatori che non gli portavano l'obolo la domenica, e soprattutto sulla carità di Dio che ci dispensava sciagure e dolore per il nostro bene. Giunse dunque il momento di portare il canestrello delle offerte tra i fedeli. Le mani iniziarono a protrarsi verso Anna; era così grande la premura di quell'offerta, che le braccia si allungavano molto tempo prima che la ragazzina giungesse. Era gente povera e s'intuiva subito che indossavano l'abito buono, quello riservato a celebrare l'incontro con il Signore. Anna era quasi commossa nel vedere cadere quelle monete dalle loro mani ossute, e ancora di più quando vedeva che quei due soldi scivolano via da dei pugni di fanciulli.

 

Forse era per gli occhi pieni di lacrime che, giunta al banco dei famigliari stretti della defunta, questi la guardarono allo stesso modo con cui si guarda un folle. Lo stesso curato le rimbrottò un accidenti, quando tornò sull'abside. Rimproverandola di essersi attardata troppo nelle sue stramberie, le ordinò di seguirlo per sostenere il piattino di metallo nel momento di dare la comunione ai suoi cari fedeli. Fu allora che Anna si sentì veramente male nel vedere quello spilorcio del curato a fare economia persino sulle ostie, dispensandole solo ai famigliari più stretti della vedova Buratti.

 

-          Ahia!

 

Don Peppino le tirò la treccia non appena i Buratti si congedarono. Le aveva forse dato di volta il cervello? La rimproverò, sbattendole sul muso il cestino delle offerte colmo di foglie secche. Anna cercò di spiegare che quando lo aveva riposto, in quel cestino c'erano tanti soldi come mai ne avevano raccolti in una sola funzione. La sua sincerità, invece, insospettì il curato che finì per credere che la ragazzina stava tentando di occultare i suoi denari. Ma come poteva pensarla capace di un'infamia così grande! Lo implorò Anna, continuando a raccontare di quelle persone che le tendevano la mano quasi a litigarsi il cestino. Don Peppino era proprio stanco di quella cafoncella che la sfortuna, non parca di averlo trascinato a dir messa in un camposanto dimenticato da Dio, le aveva procurato una perpetua scema e visionaria.

 

-          Spenna il cappone e fammi un sugo con le frattaglie che stasera non te ne vai se non vedo il mio piatto di pasta sul tavolo ...

 

Le ordinò Don Peppino, sicuro che con i bifolchi bisogna parlare solo la lingua dei padroni. Intanto lui si era già scolato tutto il vino sacro sull'altare e si accingeva a coricarsi con la radio accesa accanto al letto. Anna mise a scaldare l'acqua e c'infilò il cappone dentro per la testa, così che quelle zampe intirizzite dalla morte, rimasero per aria a far bella mostra delle scaglie gialle di cui erano ricoperte. Gettò qualche ciocco di legna in più nella stufa, nella speranza che l'acqua si scaldasse prima, permettendole di prendere l'ultimo tram che l'avrebbe ricondotta a casa. Mentre aspettava che l'acqua bollisse, Anna ne approfittò per andare a chiudere la chiesa.

 

L'eco affrettato dei suoi passi corse via su per la navata e rimbalzando di volta in volta, i passi appena trascorsi si sovrapposero a quelli che stava per compiere, formando un'allegra danza che continuò ancora per qualche secondo dopo che Anna si era fermata davanti al candelaio della luce perpetua. Fu in quel momento che Anna si rese conto di dover anche spegnere il cero della luce perpetua. Si avvicinò con il cuore in gola, ricordando improvvisamente tutte le cose strane di cui era stata testimone fin dal mattino. Giunta davanti al candelaio, si voltò di scatto verso il pertugio a forma di croce della pietra posta sull'ossario ai piedi dell'abside. L'oscurità della cappella era quasi totale e non riuscì a distinguere nulla ... meno male, si disse. Prese un gran respiro e soffiò sul cero, ma decise di portare con sé la candela che i famigliari della compianta vedova Buratti avevano acceso.

 

Prima di lasciare la chiesa, si segnò la croce dinanzi alla pietà ricavata dalla ceppa di guercia, che le parve sorridere meno allegramente del solito. Distolse lo sguardo e s'infilò di nuovo per la feritoia nel muro che conduceva nella sacrestia. Fu proprio mentre tornava nella canonica che intravide l'ombra di Cenerino scindersi da quella del muro e camminare verso di lei. Ma sì, in fondo volva bene a quel gattaccio nero. Alzò la candela per distinguerlo meglio, ma proprio allora si accorse che accanto a Cenerino procedeva un altro gattino tale e quale al suo, arricciavano persino la coda nello stesso modo vezzoso.

 

E no, non poteva essere diventata matta! Vattene via gattaccio del malaugurio, gli strillò e come se non bastasse, gli gettò contro la candela, la cui fiammella era stata accesa dallo stoppino del cero della luce perpetua. Questa divampò in un'improvvisa fiammata, in cui i due Cenerino si dissolsero in una miriade scintille che svolazzarono come impazzite, scomparendo una dopo l'altra nel buio in cui rimase immersa Anna.

 

La ragazzina corse tentoni verso la canonica e mise il paletto alla porta. L'acqua intanto aveva preso a bollire e la puzza di piume bagnate del cappone appestava la cucina, mentre il ronfare stentato del curato risaliva su per il piccolo corridoio che conduceva alla sua camera. Anna chiuse per qualche secondo gli occhi cercando di convincersi che solo quello era il mondo reale.  

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  • 3 weeks later...

Capitolo Terzo

 

 

 

 

 

***

 

 

 

La mannaia calò inesorabile sul collo del cappone cui Anna aveva già strappato le penne. La ragazzina ci mise così tanta forza che la testa razzolò giù dal tavolo. Stava per raccoglierla quando improvvisamente si aprì il becco come per esalare un sofferto respiro senza però riuscirci. Ad Anna si era gelato il sangue ma doveva comunque sbarazzarsi della testa del cappone. Nel momento che la stava per prendere con la paletta, quella fece partire un sonoro chicchirichì. E no che non poteva essere diventata matta perché anche Don Peppino si precipitò in cucina a vedere cosa stesse succedendo.

 

-   Stupida ragazzina, credi forse di poter prendermi per il naso? Quello è un cappone e al più potrebbe fare coccodè ...

 

Le disse sarcasticamente quando Anna cercò di spiegargli l’incredibile fatto. Il curato era convinto che a fare chicchirichì fosse stata lei che, per vendicarsi della severità con cui l’aveva trattata, ora cercava di combinargli uno scherzo da prete. Anna fissò ancora per un po' la testa del cappone ma, accidenti a lui, non diede più alcun segno di vita. Rassegnata a quelle stranezze, decise che la miglior cosa da fare era affrettarsi per non perdere l'ultimo tram per la città.

 

Aprì la carcassa e selezionò le viscere da sbollentare mentre una conserva di pomodoro sfrigolava nel soffritto d'aglio e cipolla. Mise il resto del cappone in una salsa di aceto e rosmarino per arrostirlo il giorno dopo e finalmente gettò gli spaghetti nell'acqua salata. Sistemò il vassoio con la pasta asciutta al ragù di frattaglie sul comodino del curato, quando egli già ubriaco ronfava e, molto probabilmente, avrebbe ritrovato il frutto del suo lavoro intatto la mattina dopo.

 

Anna infilò il cappottino grigio, avvolse la sciarpa nera intorno alla testa e con il pollice puntato su un grano di legno del rosario, si avventurò nella buia sera autunnale. Attraversò rapidamente il vialetto che conduceva al cancello, attenta a non guardare oltre i propri passi. Aveva già inserito la grossa chiave nella serratura, quando una folata di vento corse via per i vialetti tra le tombe giungendo fino a lei. Carezzandole il volto, le sussurrò all'orecchio una voce che pareva intonare una filastrocca. Possibile che si trattasse proprio di lei!

Dopo i fatti strani che le erano capitati quel giorno, riconoscere quella la voce di bambina le parve un buon presagio; allora la chiamò a bassa voce, sperando che dal mondo dei fantasmi potesse in qualche modo ascoltarla.

 

-   Sei la figlia di Itka? Io sono Anna la lavanderina ... ti ricordi di me?

 

Ma certo che si doveva ricordare di lei. In fondo le aveva permesso di riposare in pace con la madre. Tornò sui suoi passi e iniziò a percorrere i vialetti del cimitero, con le punte dei cipressi che indicavano il cielo come enormi dita. Anna era in cerca di conferme per non credere di esser diventata matta come sosteneva il curato. Chiamava quella bambina a testimoniare che i suoi ricordi non erano stati fantasie.  

 

-   Figlia di Itka mi senti? Palesati per l'amor di Dio!

 

Andava sussurrando disperata la ragazzina, aspettandosi da un momento all'altro di vedere la piccola bambina dal volto smunto e le vesti di accattona, venir fuori dall'ombra lunare di qualche lapide. Dubitando ormai anche di aver ascoltato quella voce, tirò fuori l'orologio da taschino che il padre le aveva dato proprio per non perdere l'ultimo tram per la città, quindi decise che non era accaduto nulla. Richiuse il cancello del camposanto e imboccò la scorciatoia che passava per la piccola macchia che circondava il cimitero della Santissima Luce Perpetua.

 

Il vento pareva rincorrerla furtivamente, frusciando tra le fratte del sottobosco come fosse un animale selvatico. Iniziò a recitare delle ave gloria per tenere imbrigliati i pensieri che altrimenti la paura avrebbe malignamente ispirato, ma quel brivido continuava a inseguirla, sfiorandole la collottola del cappottino.

Se solo ci fosse stato Cenerino con lei ... quel pensiero la sorprese come se si accorgesse per la prima volta che, quell'antipatico di gattaccio nero, l'era sempre stato accanto nei momenti in cui il limbo dei morti sembrava volesse raggiungerla. Oh, ma che stupida che era stata a non capirlo! Certo che stavano così le cose, era stato il suo gatto a tenere a bada i fantasmi. Lo diceva anche suo padre che i gatti sono i guardiani dei morti. Che stupida! Per tutto il giorno Cenerino aveva cercato di proteggerla e lei lo aveva scacciato.

 

-   Cenerino! Cenerino dove sei?

 

La flebile voce di Anna veniva dispersa da quel vento che oramai le soffiava tutto intorno sempre più vorticosamente.  Il vortice gelido strappava le foglie ancora verdi sui rami degli alberi, mischiandole con quelle morte sollevate dal marciume del sottobosco. Disperata, la ragazzina raccolse le mani al petto e con le labbra sulla croce del suo rosario, si raccolse in un momento di profonda rassegnazione, affidandosi alla volontà del Signore. La pace che la raggiunse nello spirito tracimò fuori dal suo corpo, riportando la quiete anche negli elementi sconvolti da qualche risacca di dolore incommensurabile.

 

Anna schiuse gli occhi al cielo e vide la luna piena al centro di quel cielo nero fissarla come la pupilla di un occhio vitreo. Fuggì quello sguardo cacciando il suo nelle ombre della macchia, decisa a raggiungere il più velocemente possibile la radura in fondo alla collina.

Percorreva a passo lesto il sentiero che in quel punto era inghiottito tra le fronde di altissimi rovi, tra cui Anna non guardava mai perché una colonia di Vedove Nere vi tesseva fitte ragnatele, quando la luce della luna iniziò a baluginare tra quelle bave di ragno, trasformandole in fili di seta dal colore cangiante della madreperla. Le trame delle ragnatele finivano in imbuti bui, dove le zampe minacciose degli aracnidi sporgevano come le falangi di mani demoniache.

 

Tra le fronde più scure del roveto, l’opalescenza lunare riluceva nella trama delle ragnatele, formando merletti e ricamando soffici drappi che parevano cadere sulle esili forme di una minuscola bambinetta con le gambe raccolte al petto. Anna stropicciò gli occhi e si stupì nel riconoscervi la fisionomia della figlia di Itka. Avrebbe voluto rivolgerle i suoi perché, ma quel riverbero di luna pareva così fragile che Anna temeva si dissolvesse al primo alito di un suo pensiero.

 

Il volto della bambina non era come se lo ricordava: smunto o sofferente. Era altresì candito come le sue vesti e immobile in un'espressione di estatica serenità. Solo nei suoi occhi permaneva l’ombra di un patimento che poteva ancora renderla partecipe delle vicissitudini del mondo.

D'improvviso quelle falangi oscure presero a pizzicare le miriadi di fili di seta che vibrarono come le corde di un'arpa. Fu allora che una leggera brezza prese di nuovo a soffiare tra quelle bave di ragno, rapendone le note suonate e combinandole in sillabe; queste divennero sussurri negli orecchi di Anna. Le Vedove Nere le parlavano ognuna per sé, ma si univano in coro quando il senso di una rima le sconvolgeva particolarmente.

 

 

 

- Notte fonda, luna piena

- Infiamma il fato truce

- Vola pazza la falena

- Innamorata della luce

 

Coro - La vita langue

 

- L'eco della tenebra è rapace

- La vita che l'aurora dispera

- Di greve vendetta è capace

- E canta il gallo facendo sera

 

Coro - L'amore è sangue

 

- Graffia il dito della sposa

- A vergar foglio stilla il goccio

- Insozzando di rosso la rosa

- Tradito, è l'amore in boccio

 

Coro - Il petalo punge

 

- Senza fiori il biancospino

- Irto di aculei rimane lo stelo

- Cui un avverso destino

- Rapì i petali dal bianco velo

 

Coro - L'autunno delle rose giunge

 

- La passione fiorisce sulle spine

- Conta i grani del rosario

- Spezza il cerchio senza fine

- Sta lontana dall’ossario

 

 

* Le rime del dialogo delle Vedove Nere sono state scritte a quattro mani con PuroSpirito.

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  • 3 weeks later...

Capitolo Quarto

 

 

 

***

 

 

 

Anna aveva trascorso l'intera notte con un grosso e orribile ragno nero appeso sul letto in cui dormiva con la sorellina, che le aveva continuato a sussurrare negli orecchi quelle orribili rime ascoltate davanti al roveto delle vedove nere. Così la mattina seguente non se la sentì di passare per la scorciatoia che attraversava il boschetto. Era solo una sua suggestione, si ripeteva affrettando il passo, ma si ritrovò a far tardi lo stesso e quando giunse al cancello del cimitero, si sorprese di trovarlo già aperto.

Era davvero così tardi? Si domandò la ragazzina, tirando via dalla tasca l'orologio a cipolla del padre. In effetti, erano le otto suonate! Colpa di Fresia, la sorellina, che aveva deciso di farla nel pannolino appena cambiato. Anna trovava comunque strano che Don Peppino si fosse tirato giù dal letto senza aver bevuto prima il suo caffè. Quando poi fu a metà del vialetto, non poté davvero credere ai suoi occhi. La porta della chiesuola era già stata spalancata! Era talmente incredibile che fosse stato il curato ad aprirla, che la ragazzina pensò subito a qualche anima dannata proveniente dall'ossario.

 

Anna si segnò rapidamente la croce con la mano destra, mentre infilò la sinistra nella tasca per stringere il rosario. Le tremavano le ginocchia mentre si costringeva a camminare in avanti. Avrebbe voluto sbirciare oltre la soglia della chiesa, ma all'ultimo i piedi le scapparono via, fuggendo verso la canonica.

Presa dall'abitudine di dover aprire sempre lei anche quell'uscio, infilò la chiave nel pertugio della serratura, ma a quel punto i gangheri cigolarono sui perni della porta che lentamente si aprì. Da dentro casa si udivano solo i tic tac dell'orologio a molla, che erano inghiottiti dal silenzio sepolcrale come sassi gettati in uno stagno.

Basta con tutte quelle paturnie. Don Peppino era sicuramente sveglio e certamente, non vedendola arrivare, aveva aperto lui anche la chiesa e il cancello del camposanto; quindi avrebbe fatto meglio a preoccuparsi per la ramanzina che certamente le avrebbe propinato.

 

Anna fece un gran sospiro e varcò la soglia della canonica. Tirò via in fretta il cappotto, il cappellino e la sciarpa, ma quando si sfilò i guanti dalle dita mozze, sfregandosi le mani per il freddo che ogni mattina c'era in casa ... si accorse che invece c'era proprio un bel calduccio. Guardò allora la stufa a legna e non solo era accesa, ma a giudicare da come scaldava, lo era anche da molto.

 

-   Don Peppino!

 

Chiamò la ragazzina con la voce rotta dallo spavento; ma il curato non rispondeva e allora Anna lo chiamò di nuovo e ancora, quasi urlando disperata ... quando vide finalmente la sua lunga ombra dinoccolata profilarsi sull'uscio di camera sua.

 

-   Che hai da urlare tanto?

 

Il curato indossava ancora la vestaglia da notte e non poteva essere uscito da casa in pantofole ...

 

-   Che c'è, ora scansi pure la fatica di portarmi una tazza di caffè a letto?

 

Il caffè! La ragazzina scattò immediatamente e prima ancora di scusarsi per l'imperdonabile negligenza, era corsa a prendere la caffettiera ... ma non c'era sullo scaffale, dove l'aveva riposta. In quello stesso istante sentì gorgogliare il caffè, mentre usciva dalla macchinetta della moca che già bolliva sulla stufa a legna ...

 

-   Ahia!

 

Stufo delle sue stranezze, il curato le tirò una treccia, intimandole di andarci sveglia a lavorare, oppure un giorno o l'altro si sarebbe trovato una vera perpetua.

E diamine! Non poteva essere diventata matta sul serio. Quella macchinetta del caffè non l'aveva preparata e tantomeno messa a bollire sulla stufa ... e la stufa? Quella l'aveva indubbiamente trovata già accesa.

 

-   ... ma io sono arrivata solo ora e allora chi ha acceso la stufa?

-   Deve esser stato Cenerino, chi altri se no?

 

Cenerino! Ora sì che temeva di esser diventata matta. Il suo gatto avrebbe acceso la stufa? Magari era stato lui ad aprire anche la chiesuola e il cancello del camposanto?  

-   Ti sei forse scimunita del tutto? Cenerino è l'orfanello che mi hai mandato ieri sera a elemosinare un tetto per la notte.

 

Che cosa avrebbe fatto lei? La sera avanti Anna non aveva incontrato nessun orfanello che dormiva all'aggiaccio fuori dal cimitero e tantomeno avrebbe pensato di mandarlo a svegliare il curato, ben sapendo che si sarebbe preso un coccolone a sentire bussare alla porta della canonica a quell'ora buia.

-   Ho avuto pietà di quel faccino d'angelo ed ho deciso di prenderlo in casa.

-   Non sono stata io a mandarlo qui.

-   Piccola egoista, temi forse di dover dividere il tuo piatto di pasta con lui? Nel cimitero c'è bisogno di un becchino per i lavori pesanti e poi non si è mai visto un prete che serve messa con la perpetua. Se non sei stata tu, sarà stata la divina provvidenza a mandarmi un chierichetto.

 

Probabile che fosse stato il bisogno a spingere quell'orfanello a bussare alla porta del curato, si disse Anna, decidendo di non insistere ulteriormente per ristabilire la verità. A quel punto era curiosa d'incontrare quel ragazzino che si chiamava come il suo gatto.

Appena sentiva il curato chiamarlo, correva a sbirciare da dietro un angolo ma Cenerino sembrava uno spettro, scompariva prima che riuscisse a posare lo sguardo su di lui. A pranzo, però, si sarebbe dovuto sedere con loro, pensò la ragazzina mentre tirava via il cappone dal forno e si accingeva ad apparecchiare.

 

Anna aveva ancora la teglia in mano quando, voltandosi, ebbe un soprassalto trovandosi davanti ad una tavola già imbandita di tutto punto. L'orfanello se ne stava lì, in piedi davanti a lei, bramando l'arrosto con uno sguardo così affamato che già lo pregustava leccandosi le labbra.  

La ragazzina non si spiegava come avesse potuto preparare la tavola in un batter d'occhio, ma si stupì ancora di più quando pensò di dover chiamare Don Peppino e l'orfanello corse via, tornando un attimo dopo trascinandosi dietro per una mano il curato.

 

Appena Don Peppino finì di recitare la preghiera di ringraziamento per il lauto pasto che anche quel giorno il Signore elargiva loro, l'orfanello si avventò con le mani sul suo coscio di pollo e non alzò lo sguardo fin quando non lo spolpò fino all'ossicino.

Il curato, divertito da quell'appetito che tanto gli ricordava una giovinezza ormai lontana, gli allungò anche il suo piatto, affrettandosi ad affogare quel piacevole ricordo in un altro bicchiere di vino, poi se ne tornò a sonnecchiare davanti alle sue letture.

 

Anna aveva osservato per tutto il tempo quel ragazzino dalla zazzera biondiccia tutta arruffata. Nonostante l'aspetto stropicciato, le sembrava di vedere in quei suoi lineamenti del viso aggraziati, nell'incarnato esile e la carnagione pallida, un qualcosa di nobile, ben lungi dall'aspetto dei ragazzini di strada che era abituata ad incontrare. Soprattutto, la ragazzina non si spiegava perché le pareva di aver già incontrato quegli occhi di un nero d'oblio.

 

-   Come ti chiami?

 

Gli domandò Anna mentre iniziava a sparecchiare. L'orfanello se ne rimase muto al suo posto anche quando la ragazzina svelò la piccola bugia di quando si era presentato alla porta del curato a nome suo.  Il ragazzino strinse la testa tra le spalle, chiudendosi ancora di più in quel silenzio che iniziava a indispettire Anna. Insomma, si sarebbe potuto scusare per averla messa in imbarazzo col curato.

 

-   Almeno è vero che ti chiami Cenerino?

 

Beh, non c'era da stupirsi se avesse mentito anche sul suo nome, del resto quale madre sana di mente avrebbe chiamato il proprio bambino con quel nome curioso anche per un gatto.

 

-   Infatti, un nome così stupido potrebbe venire in mente solo a una streghetta.

 

Disse l'orfanello guardandola di sottecchi, rispondendo direttamente al pensiero che si celava dietro a quella domanda maliziosa. Anna rimase di sasso non tanto per la rispostaccia, quanto per il tono di quella voce che le dava della "streghetta". Eppure ... se non fosse stato per l'aspetto trasandato ... Ma no! Ora che lo guardava meglio, sì. Quegli abiti d'accattone che indossava erano di velluto ... proprio di velluto nero!

 

-   Io vado a finire spazzare le foglie prima che sorga la luna.

 

Disse con amara rassegnazione l'orfanello, prima che Anna riuscisse a pronunciare una parola dallo smarrimento in cui era finita. Possibile che si trattasse dello stesso damerino dal vestito di velluto nero che aveva incontrato nella casa degli specchi? Quello che aveva creduto essere il figlio della padrona di casa, ma non era così. Solo in quel momento Anna si stava domandando chi fosse e quale ruolo avesse avuto in quella terribile esperienza. Che fosse anche lui un fantasma? Eppure era lì tra i vivi, lo aveva visto mangiare il suo arrosto e anche Don Peppino gli parlava come se fosse in carne ed ossa. E se, invece, come successe l'altra volta che Itka la tirò dentro gli specchi, ora stesse guardando il mondo dall'aldilà e considerava vivi dei morti mentre credeva degli spettri le persone reali? Sì, era proprio così. Per questo la sera prima aveva visto il fantasma della figlia di Itka tra le ragnatele delle vedove nere, che anche questa volta cercasse di svelarle l'incantesimo in cui era finita? Ma no! Certo che no, perché la sera tornava a casa e incontrava la sua famiglia e quelli non potevano mica essere morti ... almeno così sperava. Sempre che non le avesse dato di volta il cervello, perché questa eventualità sicuramente rimaneva la risposta più ragionevole alla follia di quei ragionamenti.

 

Una folata di vento improvvisa spalancò la porta della canonica, portando con sé un fumo denso che strozzava l'aria in gola. Anna fu così distolta dal labirinto di pensieri in cui si era perduta e una volta sull'uscio, stropicciandosi gli occhi che il fumo faceva lacrimare, vide l'orfanello che bruciava le foglie che aveva meticolosamente raccolto tra i vialetti del camposanto. Le rincorreva quando queste parevano fuggire l'inevitabile fine e senza pietà le gettava nelle fiamme crepitanti. Le foglie ardevano sollevate verso il cielo da quel calore infernale, per poi ricadere in fiocchi di cenere nera.

Fu allora che Anna ebbe una strana visione. Tra i lucciconi in cui annegava lo sguardo accecato dal fumo, quella fuliggine volteggiante trasportata dal vento si tinse di rosso, come fossero tanti petali di rosa.  

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  • 1 month later...
Silverselfer

Capitolo quinto

 

 

***

 

L’ombra spettrale di una donna aleggia tra i vialetti di pietra del camposanto. Una luna che tramonta ne sfuma i malinconici contorni, mentre scivola giù per il viale che conduce al cancello di ferro.

Passi silenti strascicano un destino ormai concluso in tempi remoti. Sul limite del mondo giunge quell'alito di morte, che ardito valica per qualche metro il confine dell'oltretomba. Come una gelida brezza, traccia un sentiero tra le foglie secche, che pure un tempo furono germogli sbocciati a primavera. La lunga veste fruscia insanguinando l'autunno con petali rossi, desiderio di un abito che langue per la promessa tradita dalla sposa.

 

Un desolante autunno di mesti auspici corruccia lo sguardo di colei che allungo ha aspettato un messaggero. D'improvviso un vortice di vento solleva un nugolo di foglie in cui disperde la sua ombra spettrale. Vola via in un brivido che percorre il cimitero, correndo su per i rami degli alberi strappandone ancora foglie, celebrando l’invidia della morte. Corre tra le aiuole che intirizziscono appassendo ogni boccio, affinché non offenda la corolla cadente di quel fiore nel suo sepolcrale vasetto.

 

Quell'emozione strappata al suo cuore terreno, continua a cadere come una foglia rapita dalla brezza autunnale. Ora sfiora la gradinata della chiesuola della Santissima Luce Perpetua, infrangendosi contro il portone, tra i cui interstizi fischia il suo lamento, nel vano tentativo di raggiungere e divenire un afflato in chi solo potrebbe trattenere quell'anelito d'amore perduto. Colui che continua a negargli il suo assenso e la respinge infiammando il pertugio dell’ossario, divenuto fucina di un rancore imperituro.

 

Scrocca l’ingranaggio rivoltato dalla chiave, in un eco che sconquassa il riposo dei morti. Ridesta quel secondino, rincantucciato nella sua brandina nella sacrestia, che lesto rizza le orecchie feline, prontamente tese ad ascoltare i flebili sussurri del limbo di cui è impietosa sentinella.

Anna ha appena aperto il cancello di ferro e si è fermata un attimo a guardare quel luogo che conosce bene. Seppure intuisca esserci qualcosa che lascia impercettibili tracce di sé, può coglierne solo la paura che le ispira. Mentre risale il viale in direzione della chiesuola, rabbrividisce quando la brezza fredda dell’autunno s’insinua in una piega della sciarpa, sussurrandole il brivido che c'è nell'ultimo respiro di un moribondo.

 

Giunta davanti alla canonica, attraverso la porta sente i rumori di un giorno già in tumulto. Non fa in tempo ad aprire che Cenerino le caracolla contro con un secchio pieno di brulicanti scolopendre. “Ah” si spaventa la ragazzina, rabbrividendo alla vista di quella massa inestricabile di zampette.

Cenerino non ha alcuna parola di conforto per lei e la lascia sulla soglia della canonica con le mani sugli occhi. Quando il ragazzino è di ritorno, dopo aver rivoltato il secchio chissà dove, Anna cerca inutilmente d’interrogarlo su quanto sta accadendo, ma quello non le rivolge nemmeno uno sguardo e continua nella sua corsa apprensiva.

Anna lo rincorre fino alla porticina che introduce nell'abside della chiesa. I suoi passi si bloccano violentemente sulle punte dei piedi perché il pavimento pullula di scolopendre. Il rumore metallico prodotto da tutte quelle zampette avviluppate in grappoli, accarezza stridendo le sue orecchie …

 

-          Cenerino!

 

Urlò disperata cercando di attirare l’attenzione del ragazzino troppo preso a raccogliere manciate d’insetti da gettare nel secchio, mentre questi gli si arrampicavano su per le braccia nel vano tentativo di sfuggirgli e altri parevano volerlo inghiottire cercando di salirgli su per quei piedi che li scalciavano.

 

-          Cenerino!

 

Urlò di nuovo Anna. Solo allora il ragazzino le prestò attenzione, intimandole il silenzio o con le sue stupide grida avrebbe svegliato il parroco. Le corse incontro e, affidandole il secchio pieno di quelle orripilanti scolopendre, ordinò di andarle a gettare nella fossa che aveva scavato dietro la chiesa. Anna obbedì e, cercando di tenere il secchio il più possibile lontano da sé, corse a rivoltarlo nella profonda fossa che, in chissà quale modo, Cenerino era riuscito a scavare così profonda, da non esserne visibile il fondo.

 

-   ... ma tu zitta proprio non ci sai stare!

 

Le disse Cenerino quando, rientrata nella chiesa, Anna non seppe trattenere un urlo, accorgendosi di essere finita nel mezzo di quel disgustoso grumo d'insetti, che tentava di arrampicarsi su per le sue gambette scoperte.

Quanti secchi mai sarebbero serviti per portare via tutti quegli orripilanti vermi? Si domandò Cenerino, dalla fronte imperlata di sudore ...

 

           -  Ma si può sapere che diamine state combinando?

 

Anna stava proprio urlando forte e non riusciva a smettere di zampettare freneticamente nel tentativo di non far arrampicare quelle bestiacce. Tanto era lo spavento che la ragazzina nemmeno si accorse del sopraggiungere di Don Peppino e quando questi le tirò la treccia per farla fermare ... lei strillò ancora di più.

 

            - La prego parroco, ci confessi e ci dia l'assoluzione ...

 

Implorò Cenerino, lasciandosi cadere sulle ginocchia, tra quegli animaletti che presero subito a insinuarsi tra i suoi abiti.

 

            -  ... vi ha forse morso la tarantola a tutti e due? Vi confesserò dopo il mio caffè ...

 

Cenerino scongiurò ancora il perdono dei suoi peccati con le mani giunte sopra la testa, mentre Anna oramai aveva completamente perso il senno dallo spavento. Il curato lagnandosi ancora per la cattiva sorte che continuava a perseguitarlo mandandogli incontro solo degli scimuniti, recitò le frasi di rito e impartì loro la benedizione.

 

Mentre il parroco tracciava nell'aria il segno della croce, le scolopendre trasparivano e presto di loro rimase solo il rumore metallico delle zampette, che sciamò in un eco sempre più lontano. Anna stava ancora saltellando, quando Cenerino la costrinse a riaprire gli occhi, solo allora si accorse di essere in salvo.

 

            - Questa qui, più che una benedizione avrebbe bisogno di un esorcismo ...

 

Commentò Don Peppino, intimando di muoversi ad andare a preparargli il caffè. Ma come! Il curato non si era accorto di nulla? Non aveva visto quell'abominio nella sua chiesa? Pareva proprio di no perché ciabattò come nulla forse verso la porticina della sacrestia, lagnandosi per il suo caffè non ancora servito.

 

            -  Ma cosa sta succedendo?

 

Anna prese per le spalle Cenerino e decisa a capire cosa stesse accadendo, gli intimò di darle una spiegazione. Il ragazzino le rispose a muso duro di piantarla di fare l'isterica e che non c'era nulla di strano e poi doveva lascialo stare perché aveva da lavorare.

Certo che non poteva finire così, stavolta no! Anna non era una visionaria se anche Cenerino aveva assistito a quella terribile scena. Insomma, Cenerino non solo era stato con lei, ma per tutto il tempo aveva sempre saputo cosa fare, fino a chiedere la benedizione dall'ignaro parroco per disperdere l'orda di scolopendre.

 

              -  ... se era tutto normale, allora perché Don Peppino non si è accorto di nulla? Ma mi ascolti? Tu devi rispondermi ...

 

Cenerino era proprio spazientito dall'insistenza di Anna, che aveva continuato a tampinarlo fino a fuori la chiesa. Pareva proprio non volerle dare alcuna spiegazione, fino a quando Anna lo pretese con un ordine.

 

             -  ... chi ha solo gli occhi per guardare o degli orecchi per ascoltare, non si accorgerà mai di quanto si può toccare con le     mani o sentire il  fetore con un naso ...

 

Per quanto Anna potesse capire quella spiegazione, non riusciva ancora a comprendere perché loro si erano accorti di ogni cosa. Beh, qualche dubbio che Cenerino fosse un demonietto scappato dall'inferno, Anna iniziava a sospettarlo; anzi, ne ebbe quasi la certezza, quando non vide più quella profondissima fossa servita per gettarvi le scolopendre. Nello stesso luogo ci cresceva l'erba e non una zolla di terra sembrava essere stata mai scavata da quel terreno sodo.

 

Anna rimuginava i ricordi mentre preparava la macchinetta della moca. Cenerino era sicuramente lo stesso ragazzino incontrato nella casa degli specchi. Lentamente si accorse di dettagli che all'epoca le erano sfuggiti; specie di quando quel damerino vestito di velluto nero, le rivelò dov'era finita la lettera scrittole dalla figlia di Itka. Ma certo che era così! Era stato quel piccolo intrigante a nasconderla per chissà quale scopo maligno. Ora come allora, le stava nascondendo la verità.

 

Il giorno si protrasse tra le solite incombenze; ma Anna non riusciva più a smettere di domandarsi se quel ragazzino fosse davvero un demonio. Lo tenne costantemente sottocchio, cercando di cogliere degli indizi che tradissero la sua natura. Fu solo dopo il tentativo di avvelenarlo, mettendo dell'acqua santa nella caraffa servita a pranzo,che  ebbe un'idea geniale.

 

Così si mise subito all'opera per organizzare la trappola che avrebbe finalmente smascherato quel demonio di Cenerino ...

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  • 2 months later...
Silverselfer

Mi dispiace per i fedelissimi di Anna, ma con il caldo non riesco a scriverla questa storia. Mi era già accaduto con l'altro episodio, non so perché ... Ma prometto di riprenderlo in autunno, anche con maggiore attenzione e dedizione ... ho riletto questi capitoli e mi rendo conto che non sono all'altezza di quelli degli altri due episodi. Ma qualcosa mi dice che tra qualche tempo ritroverò la mestizia necessaria per descrivere queste scene catto-gotiche da neorealismo ... XD

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  • 4 months later...

Eccoci qua ... fuori pioviggina, il tiepido autunno romano ricorda malinconico le calure estive e io ricomincio a scrivere la storia di Anna degli Spiriti. Sembra ieri il 21 Giugno ... eppure quante cose sono cambiate! Storie che finiscono eccetera ... Bando alle ciance che ogni promessa e debito e io ho giù pronto il nuovo capitolo.

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Capitolo Sesto

 

 

 

 

***

 

 

 

Anna oramai era certa di ricordare bene e in passato quel ragazzino dal vestitino di velluto nero le era comparso solo riflesso in qualche specchio. Di conseguenza, ora che la sua forma terrena era divenuta umana, quella del gatto doveva essere passata dall'altra parte ...

Allo stesso modo come Itka aveva tratto lei nel limbo, Anna intendeva far riflettere contemporaneamente Cenerino in due specchi, così che dal riverbero di uno di essi avrebbe potuto sbirciare la sua reale forma corporea.

Si prestava perfettamente al suo scopo il trittico di specchi nella sacrestia, davanti cui Don Peppino era solito mettersi durante la vestizione talare. Rimaneva solo da trovare il modo di attirarvi lo sfuggente Cenerino.

 

-   Cenerino per favore aiutami a piegare questa tonaca ...

 

Lo chiamò ad alta voce Anna perché tanto era inutile provare a cercarlo, ma al solito quello le rispondeva solo all'ora di pranzo.

 

-   Insomma! Vieni subito qui ad aiutarmi ...

 

Gli ordinò perentoria Anna e se lo ritrovò dietro così d'improvviso da farle venire uno spavento.

 

-   Tu non puoi darmi ordini, chiaro?

 

Le disse Cenerino con sguardo truce.

 

-   Io sono la perpetua e tu solo un beccamorto, quindi posso darteli eccome.

 

Anna non aveva certo desiderio di comandarlo a bacchetta, ma quel dannato ragazzino trovava sempre il modo giusto per indispettirla.

 

-   Sono anche il chierichetto che conterà certo più di una semplice governante.

 

Basta, si disse Anna tra sé, non poteva lasciarsi trascinare nell'ennesimo battibecco con quell'insolente.

 

-   Se sei il chierichetto, allora spetterebbe a te piegare la tonaca del prete e dovresti ringraziarmi se ti aiuto, invece di lamentarti continuamente.

 

Anna prese la tonaca e si mise al centro dei tre grandi specchi.

 

-   Avanti! Vieni qua e prendi l'altro capo della tonaca ... è possibile che debba insegnarti tutto?

 

Cenerino la guardò con sospetto e misurò bene i passi per rimanere fuori da quella che riconobbe subito come una pericolosa posizione per lui. Anna gli gettò un lembo della tonaca e non appena la afferrò istintivamente, la ragazzina lo trasse a sé con tutte le sue forze.

Un riverbero di luce ribalzò tra i due specchi contrapposti, catturando l'immagine nel mezzo e lasciando sbigottita Anna per l'effetto che tutto questo produsse.

 

-   Stupida streghetta hai visto cos'hai combinato?

 

Anna non si aspettava certo di combinare quel guaio! Cenerino era scomparso nel suo riflesso e le stava parlando dall'altro lato dello specchio. In mezzo al trittico c'era rimasto il suo gattaccio nero in compagnia di una graziosa micetta bianca.

Anna si sentì comunque soddisfatta per aver ricacciato quel demonietto da dove era venuto. Fu solo quando si chinò per carezzare le due bestioline, che pure lei si accorse di essere finita nello specchio opposto a quello dov'era intrappolato Cenerino.

 

-   Don Peppino aiuto ... aiutatemi vi prego!

 

Anna urlava disperata implorando l'aiuto del curato, mentre cercava inutilmente di spingere quella parete invisibile che la separava dal mondo. Cenerino corse attraverso l'anta del trittico che li separava per zittirla con una mano sulla bocca. Anna era terrorizzata dalla paura di perdersi di nuovo nel limbo e si tenne stretta al ragazzino dal vestitino di velluto nero.

 

-   Suvvia scemetta, vuoi che io non sappia orizzontarmi a casa mia?

 

La tranquillizzò Cenerino:

 

-   Non devi aver paura del buio. Guardati attorno e abbi la pazienza di far abituare i tuoi occhi alla luce delle stelle.

 

Dal buio lentamente si levò un lieve baluginio, come se da un cielo stellato cadesse una fresca pioggerellina di coriandoli luminosi. "Ma dove siamo?" si domandò Anna; quello non era certo il limbo che la inghiottì tanto tempo prima. Il ragazzino dal vestito di velluto nero sorrise del suo incanto e le spiegò quanto poco importasse il luogo e quanto, invece, avere degli occhi capaci di meravigliarsi.

 

-   Ma chi sei tu?

 

Anna domandò a quel gattino nero che l'aveva seguita nel mondo.

 

-   Voi mondani siete della stessa materia delle stelle, preferite il carbone che arde e vivete nella luce che vi consuma. Gli spiriti come me non hanno una fiamma da cui scaturire, vivono nell'estasi di quell'attimo in cui si riflettono nel mondo, come in questo momento in cui ci irradiamo in una caleidoscopica brina.  Noi siamo l'arcobaleno trattenuto dal tuo sguardo, pronto a scomparire nell'incanto di un battito di ciglia.

 

Anna non comprese quelle parole che pure le parvero intense e intimamente sentite, tanto che le procurarono un moto d'imbarazzo. Volse lo sguardo verso il mondo oltre lo specchio, dove la micetta bianca stava facendo le fusa al gattaccio nero.

 

-   Quella è la forma mondana del tuo corpo privo di spirito ...  null'altro che il grumo di un istinto nato da una serie di cause ed effetto.

 

L'idea che la sua forma terrena priva della sua anima sarebbe stata quella graziosa gattina, un poco lusingò Anna che aveva sempre pensato di essere brutta come le ripeteva la madre: "Così brutta che nessuno sano di mente avrebbe mai  maritato".

 

-   Sei stupita vero? Beh, anch'io pensavo che la tua forma terrena sarebbe stata quella di una ranocchietta.

 

Cosa?! E dire che Anna aveva creduto di sbagliarsi sul conto di quel piccolo farabutto.

 

-   Sei solo un antipatico e poi non ti stupire se rimarrai un randeggio per sempre.

 

Gli disse sul grugno Anna, allontanandolo da lei con una spinta, nel vano tentativo di strappargli quel suo sorrisetto canzonatorio.

 

-   Non sono forse i rospi, i miglior amici delle streghette come te?

 

Come aveva potuto solo sospettare che quello fosse un angelo!

 

-   Fammi tornare indietro subito, monachitto porta sfortuna che non sei altro.

 

I gattini oltre lo specchio avevano preso ad azzuffarsi e rincorrersi, mettendo in subbuglio la sacrestia.

 

-   E perché dovrei risolvere un problema che hai creato tu, strega!

-   Perché te lo ordino... brutto gattaccio del malaugurio.

-   Non siamo più nel mondo e qui non puoi più darmi ordini, chiaro?

-   E allora vattene e lasciami in pace, invece di starmi sempre dietro.

 

In quel momento sopraggiunse Don Peppino che brandendo uno scopettone, mise fine al pandemonio creato da quelle due bestiacce. "Via!" gli urlava dietro "Sciò" scacciando quei lubrici gatti in estro amoroso.

 

Cenerino prese svelto per una mano Anna e la trascinò di corsa dietro di sé. "Svelta!" le disse perentorio, guidandola nel buio verso quella che sembrava una finestra. Quella era per il vero lo specchio che stava appeso in corridoio e il ragazzino ci spinse contro Anna, dandole appena il tempo di lanciargli un accidenti "Cretino!". Il ragazzino dal vestito di velluto nero schioccò la lingua alla micetta bianca che volse lo sguardo verso lo specchio, prendendo così nel suo sguardo quello della ragazzina che caracollava fuori in un bagliore luminoso.

 

-   Ahia!

 

Gli era forse dato di volta il cervello a Don Peppino che la picchiava con lo scopettone? "Pussa via animelle del demonio, scio!" Disse al gattaccio nero che gli si era avventato contro per permettere alla micetta, rimasta intrappolata in un angolo del corridoio, di prendere la via della porta.

Sfuggita all'improvvisa follia del curato, Anna si ritrovò in cima al tetto di una tomba senza capire come ci potesse essere finita. "Miao" fece il gattaccio nero, quando le si avvicinò facendole le fusa.

 

-   Che c'è, non riconosci più il tuo gatto?

 

Era senza dubbio il suo gatto, ma la spaventò lo stesso tanto era diventato grosso.  Piuttosto, aveva ancora voglia di prenderla in giro quel lazzarone che le parlava nascosto chissà dove? "Mao" e poi ancora "Maaao" faceva la gattina ogni volta che Anna voleva dire qualcosa.

 

-   Sciocchina, se mi vuoi parlare sarà meglio che tu non lo faccia in gattese, perché io di certo non lo capisco.

 

"Maaao" fece ancora furibonda la gattina bianca, cui un brivido rizzò il pelo sulla groppa e un solletico sulla punta delle dita fece spuntare affilatissime unghie.

 

-   Scemetta, bada a non dimenticare chi sei o rimarrai una gatta bisbetica per il resto dei tuoi giorni.

 

Solo allora Anna comprese dove si trovava, ma come c'era finita negli occhi di quella micetta bianca? Santi numi! Quella sì che era una stregoneria e poteva ben essere la prova che Cenerino fosse un demonio.

 

-   Ma quale demonio dei miei stivali! Lo sai che ti dico? E' meglio che non impari a parlare con la voce del pensiero, almeno così mi risparmierò le castronerie che vai dicendo.

 

"Maaaaaao"

 

-   Sta zitta e vienimi appresso che ti porto a scoprire quello che tanto ti premeva sapere.

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  • 1 month later...

Capitolo Settimo

 

 

 

Wow, che salto! La gattina bianca correva dietro a Cenerino con un'agilità che sorprendeva Anna. I due felini scivolavano tra i vialetti, correndo in bilico sui marmi delle tombe e balzando sopra i muretti ... tutto in un baleno che li condusse sopra la lapide della vedova Buratti.

 

-   Ma cosa stai facendo!

 

Cenerino approfittando della terra rimossa sulla tomba ancora fresca di badile, aveva frettolosamente scavato con le zampine una buchetta per far la pipì.

 

-   Beh, non hai mai visto un gatto far pipì?

 

Certo che sì ... ma lui non era un gatto ... o sì? Povera Anna non ci stava capendo più nulla! Temeva ormai di trovarsi in un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.

 

-   ... e se quella che tu chiami vita reale non fosse altro che il sogno fantastico di questa gattina?

 

Le disse Cenerino per il solo gusto di confonderla ancora di più. "FFFUUU" Soffiò la gattina bianca prima di arricciargli la coda in faccia, intenzionata ad andarsene in qualunque altro posto, le bastava che fosse stato lontano da quel gattaccio dispettoso.

 

-   Allora non vuoi scoprire il segreto della sposa fantasma?

 

Era forse per la sua forma terrena che Anna trovava impossibile resistere alla curiosità? Forse sì, perché le zampine feline si bloccarono all'istante quando udirono le parole: "Il segreto della sposa". Quella locuzione risuonò appetitosa come un succulento bocconcino di tonno.

 

-   Quale sposa fantasma?

 

Cenerino balzò sulla lapide e si accovacciò sulle zampette, lasciando cadere la coda in basso, mentre vezzosa solleticava l'immagine della vedova Buratti ritratta della foto ovale dell'epigrafe.

 

-   Dunque ti è tornata la parlantina ...

 

Anna era davvero stufa dei giochetti di quel gattaccio, ma era anche sicura che Cenerino era in qualche modo coinvolto anche in quella storia di fantasmi. Senza voler dargli la soddisfazione di abboccare alla sua esca, si avvicinò al vasetto di coccio davanti alla lapide e annusò la rosa rossa che da quando era deceduta la vedova non era mai mancata sulla sua tomba.

 

-   Ti sei mai chiesta perché quella rosa continua a perdere petali senza mai appassire?

 

In quell'istante giunse una gelida folata di vento che disperse il letto di petali che si formava continuamente tutto intorno al vasetto. Anna li vide alzarsi in aria e poi formare un vortice prima di avvizzire e ricadere, mischiandosi tra le altre foglie che l'autunno strappava dai rami degli alberi.

 

-   Adesso hai capito perché era importante bruciare le foglie?

 

Era dunque questo il motivo per cui Cenerino si dava tanto da fare per ramazzare le foglie dai vialetti del cimitero? Ma come poteva una sola rosa avere tanti petali da ricoprire il cimitero di foglie secche?

 

-   Sciocchina ... i petali rossi di questa rosa scivolano via dalle gote che soffrono il graffio di un solco salato. Quelle che infiammano sono rosse anch'esse, ma del colore dell'astio e del rancore che acceca, avvelenando anche la più giusta delle ragioni.

 

Se non voleva dirglielo, poteva ben starsene zitto, invece di propinarle quegli incomprensibili ghirigori. Senza chiedergli una spiegazione più chiara, la gattina si sedette davanti alla lapide di marmo con due begli angeli scolpiti in bassorilievo. La foto della vedova Buratti la ritraeva con un uno di quei suoi affascinanti cappelli ed era bella come se la ricordava.  A guardare quello sguardo altero su una postura ben eretta ... ad Anna sembrò di ascoltare la madre che al solito la rimproverava di camminare come una vecchia zitella.

 

Se ne stava lì, ripensando alle rime che le vedove nere le avevano suonato sulle loro ragnatele; quando giunse al verso: "Conta i grani del rosario". I numeri della data del decesso della Signora Buratti rimasero distinti dal contesto: cinque settembre del cinquantanove ... Cinque e nove e ancora cinquantanove, proprio quanti erano i grani del rosario! Ma sì, perché la messa commemorativa c'era proprio stata per il trigesimo dalla sua scomparsa.

 

-   Che cosa ti sta passando per quella testolina?

 

Le chiese Cenerino, ma lei non aveva alcuna intenzione di farsi ancora prendere in giro da quell'impudente e non gli confidò la sua intuizione. Certa di aver scoperto da sola chi era la sposa fantasma, continuò a ignorare il gattaccio nero, fino a quando questo non si rizzò sulla schiena e sbuffò fissando un angolo tra due tombe. La gattina si spaventò e d'istinto ne seguì lo sguardo atterrito. C'era una figura alta che si nascondeva in quell'angolino buio. Pareva aspettare che un'ombra oscurasse il cielo per venirne via.

 

Il suo vestito lungo e il cappellino non lasciavano spazi a dubbio alcuno, si trattava proprio di lei. La signora Buratti era nascosta proprio in quell'oscurità, immobile che stringeva qualcosa in mano. Iniziò a muoversi su dei passi impercettibili, quasi ad allungarsi su un'ombra che man mano si spostava tra gli interstizi del selciato come fosse stata qualcosa di liquido. D'improvviso sembrò scindersi dalla macchia scura tra le due tombe per congiungersi alla sagoma proiettata da un cipresso a far da ponte nella luce verso di loro.  

Il cielo si velò di sera e una luce d'argento illuminò il suo abito nuziale, mentre avanzava strappando rose bianche dal bouquet da sposa. Ne prendeva in pugno una a una e con sdegno le gettava a terra, facendole esplodere in un seccume che inondava i vialetti di foglie secche. Cenerino sbuffò di nuovo e quando la sposa fantasma fu abbastanza vicina ...

 

-   Seguimi e non fare domande...

 

Cenerino urlò nei pensieri di Anna, prima di iniziare a correre verso il fantasma. Era forse impazzito del tutto? Doveva seguirlo, non c'era altro modo di scoprire cosa avesse intenzione di fare ... e con scatto felino sorpresero il fantasma, gettandosi dentro lo scuro della sua figura, disperdendone subitaneamente lo spettro.

 

Anna si ritrovò in un mondo, dove i colori sfumavano in un grigiore intenso e il cielo bagnava ogni cosa di un'opalescenza lunare. La ragazzina si guardò attorno per cercare di riconoscere quello strano luogo, solo allora si accorse di essere rimasta sola. Si spaventò molto e cercando di chiamare Cenerino, dalla sua bocca usciva solo il miagolio disperato di una micetta.

Si avventurò così tra quelle rovine di un mondo antico, dove si aggiravano tanti altri gattini poco più grandi di un tenero batuffolo di pelo. Ora che le sue zampine si erano accorciate al punto da renderla incapace persino di correre, faticò non poco ad arrampicarsi su per certi blocchi di pietra squadrati, che ammucchiandosi qua e là in quella buca dov'era finita, risalivano fino al piano stradale.

 

Quando giunse abbastanza in alto, Anna riconobbe il Portico di Ottavia nel Borgo Ebraico. Avendo già avuto modo d'intrecciare il suo presente con i trascorsi travagliati di quella comunità, la ragazzina comprese di essere sulla strada giusta per comprendere il mistero della sposa fantasma.

Se solo non fosse stata così impacciata nel camminare su quelle zampine! I suoi passi incerti erano sempre sul punto d'inciampare su se stessi e se non avesse avuto la minuscola coda bianca a tenere la barra dritta del suo equilibrio, sarebbe di certo caduta sbattendo di volta in volta il musetto in terra.

 

Scarpe ... scarpe di ogni foggia e fattura presero a evitarla solo all'ultimo momento, tanto che Anna si sbrigò a togliersi da quel marciapiede per trovar riparo tra le ruote di un'automobile parcheggiata, ma questa mise in moto e una nuvola di fumo puzzolente le sporcò il candito pelo. Ma dove caspita era finito Cenerino?

 

-   Si può sapere dove ti eri cacciata?

 

Dove si era cacciato lui, piuttosto! Lei che aveva dovuto scalare montagne di rovine archeologiche, che aveva schivato suole pronte a schiacciarla e che ora si ritrovava sporca come un cencio per il fumo di scarico di quell'antipatica di un'automobile ... quante cose avrebbe voluto dire, ma di bocca le uscì fuori solo un altro "FFFUUU".

 

-   Adesso calmati! Sei solo stata sfortunata, succede quando si salta alla cieca in un ricordo.

 

Cenerino era ringiovanito parecchio anche lui e ora era poco più grosso di un pezzetto di carbone ma, al contrario di lei, si muoveva senza alcun problema. Le girò attorno facendole una carezza con un fianco e per divertirla operò una piccola magia, facendosi comparire in testa un cilindro da gran signore; quindi le parlò di quello strano mondo dov'erano finiti.

 

-   I fantasmi sono fatti di un triste ricordo che non riesce ad essere dimenticato.

 

Erano saltati dentro il corpo evanescente dello spettro della Vedova Buratti, finendo così nel ricordo che la tratteneva nel mondo. Cenerino le spiegò che era il modo migliore per riuscire a indagare su quanto era accaduto, ma Anna rimase ancora perplessa da quella situazione che le continuava ad apparire come una pericolosa stregoneria ... e soprattutto perché era diventata una micetta che a malapena si teneva dritta sulle proprie zampette?

 

-   I ricordi sono fatti della stessa materia dei sogni e non ci posso fare niente se la Signora Buratti pensava ai gatti solo come teneri batuffoli di pelo.

 

E il suo cilindro? Certo quello non poteva averglielo fatto comparire in testa la Signora Buratti. Trucchi del mestiere, le rispose con una punta d'orgoglio Cenerino. Anna non fece in tempo a chiedergli di quale mestiere stava parlando, perché il micetto piegò teneramente la testolina su un lato e illanguidì lo sguardo, tanto che lei stessa ebbe una stretta al cuore a vederselo così tenero con quel cappellino in testa, che l'avrebbe certo preso in braccio, se solo avesse avuto ancora delle braccia per tenercelo.

 

-   Povero micetto!

 

Cenerino non era a lei che aveva fatto gli occhi dolci, ma alla bella donna che si era appena avvicinata alle sue spalle. Questa lo raccolse e prese subito a carezzarlo, divertita com'era da quel suo vezzoso cappellino. La gattina bianca col pelo tutto sporco, la signora non la vide nemmeno, tanto che per poco non la pestava con le sue deliziose scarpe di vernice. Povera Anna! Come se questo non bastasse, cappottò dentro una pozzanghera che la ridusse a un cencio bagnato.

 

Senza indugio, la micetta oramai dello stesso colore del selciato sporco su cui si arrabattava in una corsa scavezzacollo, si mise di buona lena sui passi di quella che pareva proprio essere la Vedova Buratti da giovane ... e ma appena gli avrebbe messo le zampine addosso, l'avrebbe certo fatta scontare a quel farabutto di Cenerino!

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  • 1 month later...

Capitolo Ottavo

 

 

Che corsa pazza quella della micetta bianca! "Non devo perderli di vista" Si diceva Anna mentre le sue zampette infilavano dei passi sempre più lesti. La ragazzina temeva che la sposa fantasma sparisse dietro il primo angolo di strada, e senza Cenerino, lei non avrebbe più saputo come uscire dal ricordo della vedova Buratti. "Corri!" Si ripeteva mentre "UH!" schivava un paio di piedi e "OHP!" evitava una pozzanghera saltando di qua e di là, ora in bilico su per un muretto, ora infilando scorciatoie scavezzacollo.

 

Anna era finalmente tornata a muoversi svelta come quando correva tra i vialetti del suo cimitero. Certo che le zampine erano ancora corte e più di qualche volta capottava, invece di svoltare repentinamente come avrebbe voluto fare; tuttavia, la volontà di non perdere di vista quei due era riuscita a farle dimenticare le condizioni in cui la mettevano le fantasie della vedova, sfuggendone così i condizionamenti.

 

"Sbrigati" Sentiva ripeterle la voce di Cenerino, che da sopra una spalla della signora non la perdeva un attimo di vista. "Puoi farcela" La incitava, ma parlava bene lui che viaggiava comodo senza dover tenere conto di tutta quella realtà che si acciottolava per la strada come una piccola slavina. "AH!" Per poco una camionetta militare non la investiva. "Farabutti!" Avrebbe voluto urlargli dietro Anna. "Ohi ... Ohi" Esclamò tra sé, quando la camionetta  frenò, fermandosi di traverso sbarrandole il passaggio. Che in quel posto anche le persone potessero ascoltare la voce del pensiero?

 

"Via ... via ... via!" Si disse mentre cercava di non slittare sul selciato, appena vide il giovanotto in divisa saltare giù dalla camionetta e correrle incontro, ma in meno che non si dica sentì le dita di quella mano possente sollevarla per il collo, neutralizzando così ogni sua volontà di resistenza. "FFUUU" gli fece mostrando i denti da micetta che certo non potevano spaventare. "FFUUU" fece di nuovo affinché quel giovane uomo le rendesse la libertà prima che il destino la dimenticasse nel ricordo della sposa fantasma.

 

"Buona che non voglio farti del male" Cercava di tranquillizzarla il soldato, ma diceva bene lui che era un essere umano e certo nessuno avrebbe potuto pensare di prenderlo e portarselo a casa senza il suo consenso. Ei, ma cosa stava facendo? Ma come si permetteva! Quello la prese di nuovo per il collo e le sollevò la codina per vedere di che sesso era e poi esclamò "Dovevo capirlo da come sei bisbetica che sei una femminuccia". Oh, bella! Che cosa voleva intendere quel mascalzone? Per fortuna che con tutto quel pelo non si poteva certo vedere il rossore che le aveva infiammato la faccina; poi si tirò tra le zampe la coda, rincantucciandosi nel calduccio della giubba, dove il militare la ripose mentre tornava alla camionetta.

 

Quello mise in moto e riprese la sua corsa per le viuzze del borgo. Quando oramai Anna disperava di poter ritrovare Cenerino, ecco che il soldato inchiodò di nuovo l'automobile e la micetta dovette tenersi tirando fuori le unghie per non scivolare in fondo alla giubba. "Ahia" Esclamò quello quando sentì i piccoli artigli fin sulla pelle del petto. "Che cosa nascondi lì dentro?" Anna dal buio in cui era stata riposta, le parve di udire proprio la voce di ... quindi la mano virile del soldato le strinse di nuovo il collo, tirandola via dalla giubba e mostrandola proprio a lei: la sposa fantasma.

 

Quel soldato stava inseguendo anche lui la vedova Buratti e figurarsi lo stupore di Anna quando si accorse della fortuna che aveva avuto incontrandolo. "FFUUU" Le scappò un versaccio, ma non era rivolto alla bella signora, bensì a quell'infingardo felino che come nulla se ne stava accoccolato sul suo braccio. "Non farci caso ... è una femmina" Disse il soldato e allora la bella donna giustamente gli chiese cosa intendesse con quell'affermazione ... ma poi ne risero insieme. "Appena l'ho vista ho pensato a te ed ecco che ti ho incontrato ... è il destino!" Maschi, si disse Anna, bugiardi impenitenti, altro che! Non solo l'aveva rapita, ma ora la stava anche usando come pretesto per attaccar bottone con la bella signorina.

 

"Lui è il suo promesso sposo" Le spiegò Cenerino attraverso la voce del pensiero. "Possibile che non sai riconoscere lo sguardo di due innamorati?" Continuò a canzonarla il gattaccio nero. Beh, lei però sapeva riconoscere gli occhi furbi di un mascalzone come lui. "FFUUU" Ma se solo riusciva a mettergli gli artigli addosso! "No, Berto, no ... ho paura che lo aggredisca" Disse la vedova Buratti "Lo vedi che è una randagia mentre il mio batuffolo è tanto docile". Certo, come no? "FFUUU". Berto rimase deluso che quel suo regalo non fosse poi così gradito "Ma no, amore mio ... i nostri due gattini sono un segno del destino che porteremo nella nostra casa dopo quel matrimonio che il destino ci avversa". Sul volto del bel giovane sbocciò un sorriso insieme al loro pensiero insieme. "Mimì ti prometto che riuscirò ad addomesticare questo diavoletto ... farei qualsiasi cosa per te".

 

Anna quasi si commosse dinanzi alla promessa d'amore di quel soldato fascista. "Se riuscirà ad addomesticarti meriterà un premio" Commentò Cenerino mentre Mimì avvicinava le sue labbra alla guancia del suo amato, lasciandovi uno scandaloso bacino prima di fuggire per la via che la conduceva al negozio dei genitori.

 

La vedova Buratti da signorina la chiamavano tutti semplicemente Mimì. Lei era sempre stata una ragazza piena d'iniziativa e nonostante fosse assai graziosa, aveva rifiutato ogni proposta di matrimonio per realizzare il suo sogno d'indipendenza diventando una maestra.

 

-   E' possibile che dopo tutti i soldi che ho buttato via per farti studiare, tu non capisca la situazione in cui ci troviamo?

 

Suo padre aveva ereditato una bottega di sartoria in Via dei Giubbonari e la madre aveva trascorso la vita a tirar via i punti d'imbastitura dalle giacche per amore della figlia. Per questo motivo i genitori di Mimì non capivano quel suo sogno di emancipazione, invece di pensare a mettere su famiglia come tutte le belle ragazze come lei.

 

-   Figlia mia ascolta tuo padre ... lui è un uomo e ne sa certo più di noi.

 

Quel giorno in negozio era passato il commendator Buratti che offrì loro una possibile soluzione ai rischi che correvano, dopo che la promulgazione del Manifesto della Razza aveva introdotto le discriminazioni sociali per i cittadini di confessione ebraica.

 

-   Padre e proprio voi madre mia che siete donna, come potete non capire le ragioni del mio cuore!

 

Fu proprio il divieto ai matrimoni misti che impedì a Berto e Mimì di unirsi in matrimonio. Tuttavia, il loro amore era troppo grande per soccombere dinanzi ad un mero impedimento burocratico, così si erano scambiati la solenne promessa di aspettare il giorno in cui il Duce si sarebbe sicuramente accorto dell'ingiusta legge.

 

-   L'amore rende egoista il cuore di ogni femmina del matroneo...

 

Il bisogno di difendere la purezza della cultura italica, costrinse il regime fascista all'allontanamento sia dei maestri e sia degli alunni semiti dalle scuole del regno. Fu così che Mimì aveva iniziato a insegnare per i bambini ebrei nella scuola che un comitato di padri di famiglia organizzò nel borgo ebraico della capitale.

 

-   Figlia mia, puoi anche non ascoltare quel caprone di tuo padre, ma abbi la buona creanza di non ignorare la realtà che t'impedisce di farti maritare al tuo bel soldatino.

 

Berto era stato il garzone del fornaio, dove i genitori di Mimì ancora adolescente la mandavano ad acquistare il pane fresco. La loro storia fu dal principio un ricamo romantico intrecciato tra le disavventure di un destino che pareva avversare quel sogno d'amore. Fin quando sopraggiunse l'infame editto che spogliò Mimì del suo bell'abito da sposa alla vigilia delle nozze.

 

-   Queste leggi razziali sono una follia imposta al fascismo dall'alleato tedesco e certo, il Duce troverà il modo di aggirarle.

 

Mimì credeva in quel fascismo che si presentava come terza via tra il capitalismo borghese e il socialismo bolscevico; con questo spirito aveva sempre insegnato ai suoi alunni la propaganda che ne faceva dei piccoli servitori della patria.

Berto sapeva bene che, fin quando sarebbe rimasto un garzone di famiglia assai modesta, non avrebbe potuto ambire all'erede di un ebreo benestante. Però Mimì era diversa da tutte le altre ragazze e credeva in quella politica che teneva conto del valore di un uomo e non dava importanza alla sua discendenza, che altresì rendeva il maschio un mellifluo aristocratico. La decisione di arruolarsi nell'esercito fu la soluzione a tutti quegli impedimenti sociali che ostacolavano la loro unione e fu accolta con gioia dall'amata, che gli giurò amore eterno anche nel caso avesse valorosamente perso la vita in battaglia.

 

-   Il Duce l'ha trovato il modo! Testarda di una femmina che non sei altro. E' proprio quello che il commendatore è venuto a spiegarci ...

 

La legge 1024 del 1939 conferì al ministro degli interni la possibilità di dichiarare non appartenente alla religione ebraica anche chi lo fosse secondo gli atti dello stato civile. Al fine di ricevere il bollo statale sulla propria appartenenza alla razza ariana, era fondamentale avere prima l'approvazione della Commissione e il commendatore aveva aderenze nelle alte sfere del partito. Egli aveva sempre avuto un debole per quella maestrina e avrebbe fatto carte false pur di conquistarne il cuore.

 

-   Voi non potete chiedermi d'infrangere una solenne promessa.

 

Il commendatore era un prezioso cliente della bottega di sartoria e già si era speso molto per Mimì, senza mai riceverne quella gratitudine che sperava. Ora che gli sciagurati eventi avevano precipitato la comunità ebraica nell'ignominia, il commendatore di nuovo tendeva la mano per aiutarla, ma in un modo che l'avrebbe legata a lui indissolubilmente. Infatti, egli si propose di prenderla in moglie procurandole dei documenti che ne avrebbero attestata l'integra appartenenza alla razza italiana, mentre ai suoi genitori avrebbe reso lo status di ebrei arianizzati.

 

-   Figlia mia ... quella promessa che romperai non ci toglierà nulla, mentre di questi tempi potremmo finire in disgrazia senza l'aiuto del commendatore.

 

La soluzione offerta dal commendatore non pretendeva solo la mano di Mimì, bensì egli aveva chiesto in cambio del nulla osta della commissione, i nomi di certi ebrei bolscevichi che segretamente appoggiavano i banditi partigiani. Il povero sarto si era asciugato la fronte imperlata dalla vergogna prima di scrivere su un foglio i cognomi di amici e persino parenti, che per il vero non era neanche certo fossero quelli giusti. "In fondo se la sono cercata" si disse tra sé, oramai stanco di svegliarsi ogni mattina col timore che gli sequestrassero la bottega appartenuta alla sua onesta famiglia da tre generazioni.

 

-   Dà retta a mamma tua! Col commendatore sarai una gran signora mentre quel garzone con una divisa addosso è probabile che ti renderà vedova prima ancora delle nozze e tu, figlia mia, hai superato ormai da un pezzo l'età del matrimonio ... ma ci tieni tanto a rimaner zitella?

 

Mimì, se non avesse avuto la disgrazia di appartenere alla stirpe israelita, avrebbe accettato di buon grado anche quelle leggi razziali, che certo il Duce non aveva introdotto contro i buoni fascisti come lei. Si disse che forse il commendatore aveva ragione sulla legge 1024. Quella era la prova chiesta agli ebrei per smascherare i nemici della patria che si nascondevano tra la sua gente.

 

Altrettanto certamente, però, il commendatore Buratti si stava approfittando della situazione per indurla a sposarlo. Mimì non voleva venire meno alla sua promessa d'amore perché sapeva bene di spezzare il cuore a Berto; tuttavia, quell'infida condizione imposta dal commendatore, trascinava i suoi cari nel suo triste destino che altrimenti avrebbe scelto senza nessun alcun tentennamento.

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  • 3 weeks later...

Capitolo Nono

 

 

 

 

In quel ricordo della sposa fantasma, la pioggia grigia non la smetteva mai di venire giù. Alla micetta bianca, ferma dietro la finestra della caserma dove il soldato l'aveva portata, ogni tanto sfuggiva la zampina a cercare di afferrare una di quelle goccioline malinconiche, mentre scivolavano sul vetro come fossero delle lacrime che avessero smarrito il luogo dove cadere.

 

Fu in quel momento che sopraggiunse Berto. Aveva lo sguardo stravolto da un pianto avvelenato dalla rabbia. Prese a scalciare l'armadietto e poi rivoltò la branda in un gesto dissennato. Anna, spaventata, cercò di sottrarsi a quella furia correndo via, ma quello la inseguì e quando si nascose in un angolino sotto un armadietto, a nulla valse graffiare quella mano che inesorabile si allungò per afferrarla.

 

La micetta aveva gli occhi atterriti dallo spavento mentre Berto la teneva sollevata per il collo. Cosa ne avrebbe fatto? La fissava con uno sguardo in cui il temporale improvvisamente smise di tuonare e si sciolse in un'unica lacrima di pioggia grigia che scivolò giù, dietro il vetro del risentimento che celava ormai la sua anima. La zampina di Anna si mosse da sola in un gesto di compassione, riuscendo così ad afferrarla prima che cadesse definitivamente nell'oblio.

 

Berto sorrise a quel gesto che gli parve una carezza sui polpastrelli morbidi di quella zampina. Il soldato si lasciò scivolare con le spalle contro il muro, fino a sedersi in terra, carezzando quell'anima di Dio che aveva raccolto per strada. "Perché?" Si domandava continuamente "Perché?" ripeteva ancora "Perché?" chiedeva, cercando di zittire la risposta che non voleva ascoltare.

 

Anna fece "miao" nel tentativo di consolare quella sofferenza. La micetta non riusciva a comprendere da dove sgorgasse tanto patetico languore. Fu in quei frangenti che udì tra i suoi pensieri la voce di Cenerino.

 

-   E' triste perché Mimì sta per sposare il commendatore Buratti.

 

Dove si era nascosto quella volta il piccolo farabutto? Felice solo quando riusciva a farle prendere uno spavento.  La micetta si guardò attorno scorgendo in un'ombra lo schiudersi sornione di un paio di occhi gialli.

 

-   Andiamo via, oramai è chiaro quale sia il rimorso che trattiene nel mondo la sposa fantasma.

 

Che cosa poteva aver capito quel piccolo demonio? Si disse tra sé Anna che non voleva abbandonare Berto alla sua disperazione.

 

-   Sciocchina - La canzonò il gattaccio nero - Ti sei forse dimenticata dove ti trovi?

 

Quel soldato in verità era solo un ricordo di Mimì e quanto lei immaginava fosse accaduto attraverso le decine di lettere, in cui lui la flagellava con i suoi implacabili "Perché".

 

-   Berto si è dannato l'anima ...

 

Sentenziò Cenerino dall'ombra in cui si celava, ma Anna non poteva credere che il buon cuore di Berto si potesse essere macchiato di tali delitti per meritarsi l'inferno.

 

-   Smettila con la tua testardaggine, so quello che dico ...

 

Anna non riusciva proprio a lasciare quel brav'uomo al suo destino già segnato. Cenerino la esortava a sbrigarsi o non avrebbe esitato a lasciarla per sempre a vagare tra i ricordi della sposa fantasma. Eppure ci doveva essere un modo per consolare tanta pena!

 

-   Testarda di una gatta, muoviti! - La sollecitò di nuovo Cenerino - Se non vuoi credere a me, ti mostrerò com'è andata la faccenda.

 

Solo in cambio di quella promessa, Anna abbandonò le braccia di Berto e, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo per serbarne meglio il ricordo, fece un balzo nell'ombra scura di Cenerino.

 

Il buio più nero della pece del limbo avvolse Anna che improvvisamente riconobbe se stessa tornando a essere la bambina di sempre. Sui piedi non sentiva più il peso che le permetteva di rimanere in equilibrio e le treccine parevano pendere sempre dalla parte sbagliata ... non che potesse rendersene conto, in quanto non riusciva a guardarsi neanche la punta del naso! 

La solitudine dello smarrimento atterriva la ragazzina che chiamava Cenerino, ma il suono della propria voce moriva nelle corde vocali, là dove non c'era anelito di vita capace di farle vibrare.

 

-   Insomma, la pianti di agitarti tanto?

 

Sentì dirsi la ragazzina da una voce che mai come in quel momento le parve amica; poi vide schiudersi quei grandi occhi felini che consolarono la sua solitudine. Perché si trovavano nel limbo? Certo lei non avrebbe compiuto quel balzo se avesse saputo dove sarebbe finita!

 

-   Credevo di averti già spiegato che l'anima di un fantasma è il riverbero di un ricordo remoto che vaga nel limbo - Iniziò a spiegarle Cenerino mentre la faceva salire sulla sua enorme groppa pelosa fatta di buio - Quando siamo saltati dentro lo spettro della sposa fantasma, siamo finiti nella sua memoria senza vita e ora per venirne via dobbiamo per forza passare di qua.

 

Anna, mentre si teneva saldamente a Cenerino, comprese quanto quel monellaccio le fosse caro. Quella voce nei propri pensieri la custodiva dalla solitudine sconfinata dell'oblio, in cui le parole senza lo scopo di essere ascoltate sarebbero rimaste mute e il silenzio avrebbe così spento la luce nel suo cuore, facendola sopravvivere solo nei pensieri trascorsi, proprio come capitava ai fantasmi che popolavano il limbo.

 

Il desiderio di tornare nel mondo, improvvisamente prese a far rilucere la pelle di Anna; tuttavia non bastava a illuminare gli orizzonti sconfinati del limbo, finendo per rendere ancora più accecante quel buio.

 

-   Smettila di avere fretta di arrivare - La redarguì Cenerino - Altrimenti è possibile che farai venire un coccolone a qualcuno - Commentò sornione il felino - Tanto non stiamo tornato indietro.

 

Non stavano tornando indietro! Dove caspita la conduceva quell'infingardo? E lei che aveva creduto di potersi fidare di lui. Ah, ma se credeva di potersela cavare solo perché in quel luogo non poteva strillargli negli orecchi, si era sbagliato di grosso. Intanto la collera che la indispettiva aveva infervorato la sua aura, quasi a parer una fiamma incandescente.

 

-   Lo vedi adesso quello che accade a un fantasma? - Continuò a parlarle Cenerino nella sua imperturbabile calma - Fin quando un desiderio terrà accesa la brace del fuoco di cui brillano gli esseri umani, essi desidereranno tornare nel mondo, smarrendo così la via che li porterebbe dall'altra parte del limbo.

 

L'incedere ondulatorio del felino prese a cullarla, mentre la voce confortante nel suo pensiero pareva quella di una mamma che la sera racconta una favola al suo bambino, rassicurandolo che in fondo al sonno ci sarà ancora un mattino pieno di avventure ancora da vivere.

Il fervore dell'aura di Anna si attenuò e lei comprese il senso delle raccomandazioni di Cenerino. Se avesse continuato a desiderare, i sentimenti avrebbero arso la brace del proprio spirito e siccome la luce dal limbo usava piovere verso il basso, questa sarebbe finita inevitabilmente nel mondo. Il sole certo avrebbe celato il pallido riverbero di una piccola speranza, tuttavia la luna che è custode del confine sul baratro dell'infinito, ne avrebbe permesso qualche luccichio attraverso il suo specchio argentato. Per questo doveva stare attenta, altrimenti un suo caro si sarebbe preso uno spavento nell'intravedere il suo spettro vagare per qualche attimo tra quei ricordi in cui tanto desiderava tornare.

 

-   Hai capito adesso?

 

"Sì" rispose Anna, meravigliandosi di essere tornata ad ascoltare il suono della propria voce. Cenerino si fermò qualche attimo nel lento incedere, aprendo le sue enormi pupille feline dietro di quella che Anna aveva creduto essere la sua testa. La fissò quasi con invidia per quegli esseri cui il buon Dio concedeva tutto, persino d'imparare a suonare i propri pensieri nell'oblio, in cui nessun presente riusciva a fiorire.

 

-   Stai attenta streghetta - Le disse Cenerino prima di chiudere gli occhi riaprendoli chissà dove - Da queste parti le parole fulminano come gli strali di un padreterno.

 

Anna aveva avvertito l'invidia celata in quell'ultimo sguardo di Cenerino. Qualcosa che non era certo in grado di divenire risentimento, ma solo perché era una prerogativa che non apparteneva alla sua natura troppo orgogliosa.

Cenerino rimase muto allungo, ma oramai la ragazzina non si preoccupava più del tempo. In quel luogo non esisteva nulla che possedesse un passato e quindi l'incedere nel futuro coincideva con quell'impalpabile presente, trascorso sotto i passi ondeggianti dell'oscuro felino.

 

-   Guarda! - Le disse improvvisamente Cenerino - Le vedi?

 

Sul principio parevano tanti petali che cadevano in nessun posto. Man mano che si avvicinava, Anna vi riconobbe la forma di una busta da lettera e dunque capì di cosa si trattava. Erano le missive che Berto inviava a Mimì senza mai riceverne risposta. La ragazzina avrebbe voluto afferrarne una, ma Cenerino le disse che non avrebbe potuto farlo perché non le appartenevano. Quelle costituivano la dannazione che tratteneva nel limbo il povero Berto.

 

-   Non volevi sapere cos'è accaduto al tuo povero soldatino? - Le disse con una punta di sarcasmo il gattaccio nero - Per trovare il suo fantasma ci basterà seguire le lettere ...

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Silverselfer

Capitolo Decimo

 

 

 

 

La via per giungere da Berto non parve diversa da tutte le altre strade che nel limbo portavano ovunque e in nessun posto. Il lento ondeggiare di Cenerino si dissolse sotto la luce di un lampione stradale, quando Anna si ritrovò di nuovo con il peso del corpo che premeva sui piedi. La ragazzina si guardò attorno per trovare quel gattaccio nero, ma egli era tornato a fondersi con il buio di una notte che trasudava malinconia in goccioline leggerissime di pioggia.

 

-   Dove sono?

 

Il cono di luce del lampione lentamente si disperse per il mondo circostante, che parve rischiararsi tra il fracasso di una strada come potevano essercene tante a Roma. La ragazzina cercò con lo sguardo un indizio che le potesse indicare la direzione da prendere e lesse su una targa di marmo il nome della strada "Torquato Tasso - Illustre Poeta". Fu un camioncino scoppiettante che sopraggiunse a tutto gas a metterla sulla via da seguire. Il mezzo inchiodò davanti al numero civico 145 e quando Anna vide l'autista scendere dal furgone, riconobbe anche il suo modo scavezzacollo di guidare: Si trattava proprio di Berto!

 

-   Berto!

 

Innamorata com'era di quell'uomo così pieno di sentimento, Anna lo chiamò d'impulso e quello parve voltarsi veramente nella sua direzione, tanto che la ragazzina arrossì ricordandosi che non avrebbe certo potuto riconoscerla nelle sembianze umane. C'era poco da preoccuparsi perché lo sguardo del soldato l'attraverso un paio di volte senza accorgersi che era a solo due passi da lui.

 

Oramai Anna aveva una certa dimestichezza per quanto le succedeva nel limbo e comprese subito come stavano le cose. Lei non era in qualche reminescenza del passato com'era accaduto con la sposa fantasma. Ora si trovava in un evento accaduto realmente nel passato, proprio allo stesso modo di quando era finita tra i remoti accadimenti dell'appartamento degli specchi. Fece dunque qualche saltello e si stupì di ricadere sui piedi, visto che l'altra volta, invece, ebbe i suoi problemi a galleggiare per aria come un palloncino senza peso. Per sincerarsi di quell'intuizione, Anna fece qualche versaccio al soldato che scaricava dal furgone grosse pentolacce di alluminio e poi gli urlò anche su muso, senza che questo facesse neanche una piega. Le cose dovevano stare proprio così e ora era invisibile come un fantasma.

Nessuno si avvide di lei neanche quando il militare delle SS di guardia salutò il soldato fascista con una gran pacca sulla spalla. Berto si avviò nello stabile spingendo il pesante carrello di vettovaglie e Anna lo seguì cercando di scoprire cosa aveva dannato il suo eroe.

 

-   Foi italliani sempre in ritardo ...

 

Si lamentò il tedesco con un ghigno sardonico sulle labbra.

 

-   Che i lanzichenecchi non ve l'avevano detto che a Roma son tremila anni che c'è sta traffico?

 

Il nazista si mise davanti al carrello per far strada a Berto. Anna li seguiva d'appresso con crescente inquietudine per quel luogo dall'aria sinistra.

 

-   Il fuhrer trasformerà Roma in una seconda Berlino ...

 

Iniziarono ad andare per corridoi poco illuminati, svoltando continuamente in quelli che parevano essere degli appartamenti e certo non una prigione. Anna era sempre più atterrita da quei locali illuminati solo da una lampadina, dove le finestre erano murate e dagli sgabuzzini sprangati provenivano rantoli del purgatorio.

 

-   Sì, come no ... pure Napoleone se lo credeva de facce diventà parigini ...

 

I due militari continuavano a discorrere mentre delle mani tremolanti e martoriate da chissà quali torture, porgevano loro delle gavette sporche. Berto faceva una smorfia ogni volta che ci rivoltava il mestolo dentro con quella sbobba puzzolente di cavolo.

 

-   Stai discendo che i romani fogliono Roosevelt o Stalin!

 

Anna cercò d'istinto il suo rosario per incrociarlo sul dorso della manina, quasi per proteggersi dall'atmosfera lugubre di quei locali. L'aria era pregna del dolore che ci scorreva e il buio sembrava essere stato creato per spegnere ogni barlume di speranza nei detenuti. 

 

-   No, forse non hai capito che per Roma ce passano tutti ... pensa che i Savoia se credevano d'esse diventati papi solo perché erano annati ad abità a casa sua, eppure eccoli qua che so scappati via pure loro.

 

La ragazzina non riusciva più a tenere gli occhi aperti su quell'orribile spettacolo e stava per scappare via, quando dal fondo buio di una scala vide schiudersi i grandi occhi gialli di Cenerino. "Mi hai chiesto tu di vedere" Le disse parlandole ancora con la voce del pensiero.

 

-   I nazisti non scappano ... Via Rasella sarà vendicata con il sangue ... lasceremo questa città solo da morti.

 

Anna proprio non capiva cosa c'era da vedere se non l'abisso di sofferenza di quel luogo, che pure non poteva essere ascritto al povero Berto e al dolore per il suo amore tradito. "Il male nasce sempre con un nome diverso" le spiegò ancora Cenerino "Esso è un seme innaffiato dal dolore e lasciato crescere nell'incuria di chi senza accorgersene lo farà radicare nel proprio spirito".

 

-   Ma perché non ve ne annate a morì ammazzati da n'altra parte?

 

Anna ebbe un soprassalto quando un detenuto sconfitto dalla follia, urlò cercando di darsi la morte colpendo il muro a testate. Il soldato tedesco non esitò un solo attimo a salvarlo da se stesso, colpendolo energicamente con il calcio del fucile che portava a tracolla. Il kapò era visibilmente provato da quanto riusciva a compiere unicamente nella convinzione di non avere altra scelta e per un attimo guardò Berto solo per quella divisa che indossava.

 

-   Popolo italliano traditore ... peggio di ebrei!

 

Lo sguardo assassino di quel giovane militare nazista gelò il sangue alla ragazzina che, temendo il peggio, aveva serrato gli occhi e iniziato a pregare la madonna affinché non succedesse.

 

-   Non me fa ride che vojo ave' rispetto de sti pori stronzi bombaroli che torturate come bestie.

 

Berto, invece, come non era toccato dalla sofferenza dei suoi compatrioti prigionieri, tantomeno si sentì intimidito dal rancore del nazista. Il dolore che covava nel petto era così lacerante da pretendere di essere sempre più grande di quello provato dagli altri.

 

-   Alemanno, forse te non hai capito che se domani da palazzo Venezia ce s'affacciasse baffone, i romani diventerebbero tutti comunisti ...

 

Berto rovesciò un altro mestolo di minestra in un'altra gavetta e quando il povero cristo che gliela porse lo ringraziò, non si commosse come accadde ad Anna che era rabbrividita udendo stridere quella parola sul nero di una lavagna d'orrori. La ragazzina faceva fatica a riconoscere in quello sguardo disincantato, il soldato passionale che piangeva per il suo amore tradito. 

 

-   Italliani senza spina d'orzale ...

 

-   E che ce voi fa ... noi preferimo la coda alla vaccinara.

 

Il soldato nazista era disarmato dall'indolenza di Berto e certo in quel momento lo stimava meno di quegli Italiani che almeno poteva combattere.

 

-   Romani penzano di ammazzare noi dopo avere combattuto accanto?

 

-   Proprio non v'entra in testa che a noi romani non ce frega niente de sti scemi che ce vorrebbero liberà ... ma da chi? Dai voi nazisti alemanni forse? Per portacce i comunisti Russi o i massoni americani? Ma famme il piacere ...

 

Anna volse lo sguardo in un angolo buio e implorò Cenerino di portarla via da quel posto. "Vuoi forse perderti la parte migliore del discorso?" Le rispose sarcastico il felino perché la ragazzina provava ancora pietà per Berto, che certo aveva indurito il cuore per sopravvivere al dolore inflittogli dall'amata.

 

-   Kappler farà come con ebrei romani ... ricordi?

 

-   E certo che me lo ricordo ... Kappler è un gran signore ma ha fatto solo quello che i papi non se potevano permette per carità cristiana ... e non te sta a crede che per me sti garibaldini mazziniani so' mejo de quei sozzoni cravattari ... figurate che a noi romani c'hanno portato solo che guai fin da quando so entrati a Porta Pia ...

 

-   Se tu non sei italliano non sei un fascista buono e allora perché indossi ancora la divisa?

 

-   Io so io e Mussolini è venuto a Roma solo pe' di' armiamoci e partite, mica scemo, no?

 

-   La bandiera, la patria, l'onore ... i romani non hanno niente!

 

-   Come no! C'avemo er Papa ... siete voi che proprio non lo volete capì che Roosevelt, Hitler o Stalin; Mussolini o quel pipetto del Savoia, tutti quanti un giorno moriranno com'è morto pure il grande Napoleone ... ma de Papi ne so passati tanti quanti ancora ne dovranno venì ... a noi romani ce spaventa solo sta pila vota, la vedi sì?

 

La grossa pentola d'alluminio si era vuotata prima di terminare il giro dei detenuti perché la città pativa progressivamente la fame con l'avvicinarsi del fronte di guerra.

 

-   'Sta pentola vuota me dice che ve ne dovete annà tutti ... c'avete proprio stufato voi alemanni, l'ebrei, i comunisti bombaroli o l'italiani savoiardi e pure Mussolini che parlava tanto, ma ecco che c'ha portato: i bombardamenti americani ...

 

-   Per questo domani mattina tu accompagni noi tedeschi ad ammazzare i tuoi compatrioti comunisti nella cava di pozzolana?

 

-   Io non c'entro niente, la cava sempre là è stata, mica ce lo messa io sull'Ardeatina ... il sottoscritto guiderà solo un furgone ... è il mio mestiere ... è una questione tra voi e sti comunisti che ce vorrebbero trascina' in un'altra guerra, come se questa non glie fosse bastata.

 

I due si allontanarono e quando Anna stava per seguirli, finalmente felice di poter lasciare quel luogo, sentì di nuovo la voce di Cenerino. "L'uscita per te è da questa parte" I suoi grandi occhi gialli si schiusero in fondo al buio di un lungo corridoio. La ragazzina mettendo un passo dietro l'altro, ripercorse quel discorso appena udito e comprese quanto stava per accadere. Quei poveri uomini sarebbero stati prelevati l'indomani mattina e portati a morire in una cava sulla Via Ardeatina. Proprio nei pressi dove sorgeva la chiesetta della Luce Perpetua. Anna conosceva quel campo incolto perché sovente lo attraversava per giungere prima al cimitero a preparare il vin cotto per la colazione di Don Peppino.  

 

La lunga coda scura del gatto avvolse la ragazzina che, oramai, non si stupì più di ritrovarsi nel limbo, cullata dal lento incedere di Cenerino. "Cenerino" Chiese Anna "Dunque Berto si è dannato l'anima per essersi reso complice di quel terribile eccidio?". "Sei forse dura di comprendonio?" Le rispose seccato il felino indisponente. "Berto ha anteposto le proprie sofferenze a quelle degli altri" Anna proprio non lo poteva soffrire quando acquisiva quel tono saccente. Era dunque una colpa soffrire? E se Berto non avesse avuto la sfortuna di essere un autista, questo l'avrebbe affrancato dalla dannazione? "Un uomo che perde la speranza è inevitabilmente destinato a compiere un grave delitto". Lui amava troppo Mimì, era sua la colpa di tutto. "Smettila di fare la giudice delle scelte altrui" Le rispose seccato Cenerino. "Una donna somiglia a un soffione di campo che ha bisogno della speranza per far volare i propri sogni fecondi e Berto, arrendendosi al proprio dolore, ha perso anche l'entusiasmo che sta nell'afflato della vita". Anna non capiva perché il gattaccio si ostinava a non ammettere le responsabilità di quell'antipatica della sposa fantasma "Sei tu che t'intestardisci a voler dare una qualità particolare all'amore romantico". Oh, bella! Voleva forse sostenere che esiste anche un amore senza romanticismo? "Mimì ha accettato il suo destino con il suo carico d'ingiustizia, non è fuggita dinanzi alla vita che l'ha ripagata con l'amore dei suoi figli e il rispetto di chi ha dispensato della propria carità". Anna proprio non riusciva ad accettare quella sentenza che condannava quanti non sapevano rinunciare al proprio amore. "Sciocca, il dolore di Berto è frutto dell'orgoglio perché un amore può anche finire, ma il rancore che lo trasforma in odio è l'artificio maligno del proprio ego infranto".  

 

Finalmente il leggero dondolio dei passi di Cenerino si fermò dinanzi a quelle che sembravano tre feritoie di luce. Le tre feritoie di luce erano per il vero il trittico di specchi nella canonica del curato. Anna riconobbe la mobilia e quando stava a un palmo di naso dal retro degli specchi, si sentì spingere fuori. Un riverbero di luce ribalzò rapido sulle tre superfici trasparenti, collidendo nel mezzo in un bagliore che concretò il corpicino della ragazzina. Anna si voltò rapidamente verso lo specchio centrale per cercare di scorgervi ancora per un momento gli occhi gialli di Cenerino ma, invece, intravide proprio quel ragazzino che ben conosceva, senza però il suo antipatico vestito di velluto nero ... no, sembrava quasi un angelo con la sua pelle di cristallo. Anna cercò vanamente di seguirlo con lo sguardo, mentre quel baluginio nello specchio si dissolveva allontanandosi. Le parve, però, che prima di scomparire definitivamente, Cenerino si voltasse per rivolgerle un ultimo saluto.

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Silverselfer

 

 

Capitolo Undicesimo

 

 

 

 

 

Anna doveva essere stata via per diversi giorni perché in canonica aleggiava un nauseante odore di stantio. Aprì tutte le finestre e il vento che turbinava tra le tombe del piccolo cimitero della Luce Perpetua, irruppe portando con sé un nugolo di foglie secche.

La ragazzina che ormai sapeva cosa fossero quelle piccole messaggere di un amore remoto, cercò di ricacciarle fuori per non provocare il risentimento di nessuno.

 

Anna andò a prendere una scopa per spazzare le foglie rimaste sul pavimento e quando stava percorrendo il piccolo corridoio, in fondo al quale c'era la camera di Don Peppino, sentì il ronzare di un grosso moscone. Seguì con lo sguardo le evoluzioni di quell'inviato di Belzebù mentre volava dritto verso la porta del curato. Anna si domandò dunque dove fosse Don Peppino e iniziò a chiamarlo avvicinandosi all'uscio della sua stanza.

Il ronzio delle mosche si fece più forte fino a diventare assordante. Anna si era fermata dietro lo stipite della porta e non riusciva a trovare il coraggio di guardare dentro la stanza. Chiamò ancora Don Peppino, ma sperava che non le rispondesse …

 

La puzza che aveva sentito fin dal suo ritorno, ora si faceva penetrante e così densa da sembrare ungere l'aria che le nari si rifiutavano di respirare. Anna cacciò il naso tra le mani che giunte intorno al suo rosario, schermavano almeno un po' il nauseante olezzo. La ragazzina compì quel passo che la portò oltre la soglia dell'umana sopportazione e quando schiuse gli occhi sulla penombra in cui era riversa la stanza del curato, chiamò ancora Don Peppino con un filo di voce perché le era sembrato di vederlo respirare sotto le lenzuola.

 

Le mosche le volavano tutte intorno mentre si appiccicavano al volto con la loro piccola proboscide a ventosa, cercando freneticamente di succhiare il succo della sua vita attraverso la pelle. Anna trasse via il lenzuolo di prepotenza e sarebbe di certo svenuta, se si fosse accorta subito che il grumo di vermi, che vi si rivoltava sotto, era la carcassa esanime del povero curato.

La ragazzina corse via trattenendo ancora il respiro e quando balzò fuori dalla canonica, le parve di rivedere la luce dopo essere riemersa dal ventre della terra.

 

Ebbe un sobbalzo quando udì la voce della madre darle della scansa fatiche, mentre la chiamava sulla soglia della canonica.

 

-   Devi darti da fare, se vogliamo sperare che il nuovo curato ti tenga a fare la perpetua.

 

Cosa ci faceva sua madre in grembiale e con le mani sporche di farina?

 

-   Offri le frittelle e mi raccomando sorridi … ma non troppo, siamo pur sempre a un funerale!

 

Appena Anna rimise piede in canonica, si avvide subito che non era più lo stesso giorno di prima. La luce che filtrava dalle finestre era intensa e schiacciava le ombre contro le pareti bianche.

 

-   Una morte santa …

 

Anna accennava un ossequioso inchino ogni volta che gli ospiti prendevano una frittella zuccherata per rifocillarsi dal dolore. C'erano solo le vecchine che Anna era solita veder partecipare a tutti i funerali, come delle zitelle invidiose al solo matrimonio cui potevano ancora aspirare.

 

-   Quant'è bello! Sembra che ride …

 

Il corpo di Don Peppino era stato ricomposto con uno straccio bianco annodato intorno al capo per serrargli la bocca, mentre un drappo d'organza ne velava i dettagli del volto rinsecchito dalla morte. Anna si fermò in un angolino della stanza ad ascoltare le chiacchiere delle vedove, che continuavano a raccontare come si erano svolti i tragici fatti attraverso le stesse parole ripetute di funerale in funerale.

 

-   Era scorbutico a volte, ma in fondo teneva un cuore buono …

 

Don Peppino era morto nel sonno e dopo qualche giorno, la solerte vedova Cabardella si avvide del cattivo odore che proveniva dalla canonica. Tutti pensavano che fosse tornato al suo paese in visita a certi parenti, anche perché neanche la perpetua veniva ad aprire la porta della chiesuola.

 

-   Il nuovo curato è proprio un bell'uomo!

 

Il nuovo curato era basso, grasso e calvo e non era il sostituto di Don Peppino. Stava lì solo per celebrare un funerale sbrigativo per tornarsene nella sua popolosa parrocchia. Quando la cerimonia si concluse e questi rotolò via dal cimitero, la madre di Anna stava quasi per mettersi a piangere, tanto si era impegnata per fargli una buona impressione.

 

Per diversi giorni a seguire Anna si recò ugualmente al cimitero della Luce Perpetua, nonostante che del nuovo parroco non ce ne fosse traccia. Faceva trovare il cancello aperto alle vedove e teneva pulita la canonica come quando era vivo Don Peppino. Tuttavia doveva provvedere da sola al pranzo e la madre la spronava a cercarsi un nuovo lavoro.

 

La ragazzina si sentiva in colpa per quanto era accaduto. Conosceva la pigrizia di Don Peppino che, quando lei si assentava, era capace di rimanere a letto anche per un paio di giorni di fila. Il povero parroco ripeteva ogni mattina che mandava Dio di non avere alcuna ragione di scendere i piedi dal letto. Affogava nel vino quel poco di vita che gli era rimasta, perché non sopportava la grama realtà in cui la divina provvidenza lo aveva dimenticato. Lui che aveva sognato di sacrificare se stesso in nome del Signore, da questi si sentiva tradito perché inutilmente aveva aspettato di esser messo alla prova, fino a morire d'inedia nel proprio giaciglio.

 

Era trascorso diverso tempo e Anna non si recava più al cimitero tutti i giorni perché la madre le aveva trovato un lavoretto di stiratrice presso una lavanderia. Per il vero non avrebbe avuto alcun obbligo ad andarci, ma quei ricordi legati alla sposa fantasma, seppur rarefatti come un sogno naufragato sulla spiaggia di un mattino qualsiasi, ancora la trattenevano per essere risolti.

 

-   Cenerino … micio micio … dove sei?

 

Le vedove del cimitero le davano qualche soldo per tenere aperta la chiesuola, ma non era certo per quello che ci tornava. Sperava di ritrovare il suo gattino nero e lo andava chiamando per i vialetti con qualche appetitosa e puzzolente lisca di pesce.

Le foglie continuavano a cadere copiosamente e Anna le ramazzava curandosi poi di darvi fuoco, fino al giorno che decise di non farlo più; sperando così di rievocare la sposa fantasma a conferma di quanto aveva visto durante quei giorni che nessuno ricordava.

 

-   Ci vorrebbe un nuovo parroco per far rigar dritto quella scansa fatiche della perpetua.

 

Le vedove iniziarono presto a lamentarsi di dover trascinare i passi tra quel letto di foglie, ma della sposa fantasma nessuna traccia.

 

Il vento freddo dell'inverno alle porte spazzava i vialetti, quando Anna si apprestava a richiudere la porta della chiesuola. L'urto del portone sull'imposta rimbombò nella navata come uno dei tuoni che non lasciavano presagire niente di buono per il ritorno a casa della ragazzina.

Anna stava spegnendo una dopo l'altra le candele della luce perpetua, ormai diventate dei mozziconi tutti smoccolati, quando le parve di udire uno scricchiolio. Certo non si trattava di un rumore di quelli che solitamente udiva provenire da chissà dove. Era una sorta di cigolio continuo. Che si fosse trattato di qualche imposta sollecitata dal vento?

 

La ragazzina finì le faccende e prima di uscire dalla chiesuola si segnò la croce davanti alla Madonna di radica dal sorriso folle. Si richiuse dietro la porticina che dall'abside dava nel buio corridoio della sacrestia. Un lampo illuminò per un attimo il mondo e una pioggia intensa prese a battere sulle tegole del tetto. Anna alzò il lume a petrolio per rischiarare il cammino.

 

Preoccupata per il brutto tempo che l'avrebbe accompagnata a casa, Anna si era dimenticata di quello strano cigolio. Stava ferma sull'uscio della canonica con lo scialle in testa e il suo ombrellino con due stecche storte, aspettando che l'acquazzone si placasse almeno un poco, quando il rumore si rianimò più forte di prima. La ragazzina si voltò atterrita verso l'interno dell'appartamento. Corse a riaccendere il lume a petrolio e prese un gran respiro per darsi coraggio.

 

-   Cenerino, sei tu?

 

Poteva certo trattarsi quel gattaccio nero che al solito si divertiva a farle prendere degli spaventi. Anna chiamava timidamente Cenerino mentre si avventurava verso quel cigolare sempre più forte. Passo dopo passo arrivò nel corridoio che conduceva alla camera, che era stata di Don Peppino. Alzò il lume spingendo avanti ai suoi passi le ombre, che si allungarono fino ad ammucchiarsi tutte sull'uscio in fondo al corridoio.

 

-   Cenerino ti prego non spaventarmi.

 

Anna sperò di trovarsi nel limbo, così che da un momento all'altro avrebbe visto schiudersi le grandi iridi gialle di Cenerino, ma non era così. Vanamente tentò di richiamare alla ragione quel gattaccio pestifero, arrivando fin in fondo al corridoio. Aveva dinanzi la stanza da letto ed era fuor di dubbio che il rumore provenisse proprio da lì dentro. Anna alzò il lume sopra la testa allungando un braccio dentro la camera. Il buio sembrava ingoiare la luce facendosi ancora più impenetrabile. La ragazzina per riuscire a scorgere qualcosa, fu costretta a compiere quel passo che posandosi sul pavimento, le punse la pianta del piede, facendole prendere una scossa che corse su per la schiena, elettrizzandole ogni capello in testa.

 

Il rumore proveniva dal letto. C'era una sagoma buia seduta sul ciglio dell'alto materasso di lana. Era curva su stessa e con i piedi penzoloni, lasciava ciondolare le gambe avanti e indietro, come fosse un gioco per bambini, facendo cigolare il letto. Anna era impietrita dallo spavento e non osava pronunciare il nome di cui era certa appartenere quella sagoma.

 

-   Sei arrivata finalmente!

 

Anna che ormai di fantasmi aveva una certa dimestichezza, sapeva di non dover rivolgere loro la parola.

 

-   Che c'è? Quel tuo gatto del malaugurio non ti avrà mangiato la lingua!

 

La ragazzina continuava a rimanere immobile, quasi sperando di diventare invisibile.

 

-   Dove sono le mie pantofole? Lo sai che non posso scendere dal letto senza pantofole.

Don Peppino si era addormentato con il pensiero di Anna che dovesse arrivare per servirgli la colazione, cui avrebbe chiesto dove fossero finite le sue dannate pantofole. Poi morì senza avvedersi dell'accaduto, lasciando dietro di sé quello spettro che credeva di essere ancora in vita.

 

-   Che fai lì impalata? Sbrigati Bifolca!

 

Il fantasma di Don Peppino aveva peggiorato il suo brutto carattere e cominciò a ripetere tutti gli improperi che evidentemente aveva ripetuto tra sé mentre l'aveva aspettata per giorni.

La ragazzina quando vide quel volto sformarsi in espressioni terrificanti, con gli occhi di fuori e la voce d'oltretomba che rimbombava da ogni angolo della stanza, corse via spaventata.

 

-   Dove credi di scappare? Mangia pane a tradimento.

 

Anna stava quasi per raggiungere la porta d'uscita della canonica, quando questa le si sprangò davanti scaricando in un attimo tutte le mandate della serratura. La stufa a legna avvampò in una fiammata che per poco non incendiava tutta la cucina e Anna cercò rifugio sotto il lavello.

 

-   Chiudi quella maledetta porta, vuoi farmi morire di raffreddore?

 

La ragazzina teneva stretto il rosario sulla bocca e pregava più in fretta che poteva, ma la paura le faceva dimenticare le parole delle preghiere e oramai implorava solamente la Madonna che la salvasse dall'ira di quel demonio.

 

-   Accendi la stufa, sto schiattando dal freddo!

 

Presa dal terrore come un topino in trappola, la ragazzina gattonò fino alla porta della sacrestia cercando rifugio il più lontano possibile dalla canonica, ma quel corridoio buio che s'illuminava a sprazzi con i tuoni del temporale, era altrettanto spaventoso quanto lo spettro che la rincorreva con i suoi improperi.

 

-   Se ti acchiappo, ti strappo quelle tue stupide trecce!

 

Procedendo tastoni, Anna riuscì a trovare la via per arrivare alla porticina che dava nell'abside della chiesuola. Quando fu dentro e frappose tra lei e il fantasma di Don Peppino un'altra paratia, finalmente sembrò in salvo. I suoi passi riecheggiarono tra le volte della navata mentre la attraversò per raggiungere il portone, ma anche questo non volle saperne di aprirsi! Fu allora che si voltò di scatto, convinta di essere stata sfiorata da qualcosa alle sue spalle.

 

Davanti a sé aveva l'ossario dalle cui fessure s'irradiava una luce rossa fiammeggiante. La ragazzina non aveva scampo e doveva affrontare quelle anime del purgatorio che reclamavano attenzione. Con il suo piccolo rosario stretto al petto, trovò il coraggio di camminare fin davanti alla grande finestra a mosaico che sovrastava l'abside. S'inginocchiò e rivolse lo sguardo verso quei colori del vetro che ritraevano la grandezza del Signore. Pregò, ma stavolta non per la sua salvezza, bensì per quelle anime in pena che non trovavano pace nel risposo eterno.

 

-   Sciocchina, non impari mai tu?

 

Cenerino! Anna schiuse gli occhi e vide la luce del mattino sorgere dietro i vetri, illuminando una figura alata concretata nella sua pura evanescenza. Possibile che quell'angelo le stesse parlando con la voce di Cenerino? Si stropicciò gli occhi per sincerarsi di non essere completamente impazzita, ma quando tornò a guardarlo era ancora lì.

 

-   Gli spettri si nutrono del tuo spavento e non è scappando che li farai scomparire.

 

La povera ragazzina avrebbe voluto essere più forte ma quel suo cuoricino proprio non poteva reggere il peso gravoso che il Signore aveva deciso di metterle sulle spalle. Anna si sciolse in un pianto dirotto e disperò per la prima volta nella sua breve e sfortunata vita, che quel suo piccolo rosario potesse ancora infonderle il coraggio necessario per andare avanti.

 

-   Dovresti riporre più fiducia nel tuo angelo custode.

 

La mano di Cenerino le sfiorò la gota con un'impalpabile carezza, da cui raccolse le lacrime che gocciolarono in alcuni cristalli. L'angelo li aggiunse con due decine di grani al piccolo rosario di Anna. La ragazzina iniziò quindi a contare i nuovi misteri, mentre pregava le ombre dei morti senza nome, iniziarono a emergere dall'ossario e popolarono la navata della piccola chiesuola. La misericordia delle Ave Gloria li battezzava uno a uno, aprendo loro le porte del riposo eterno.

 

Scomparvero lentamente, man mano che i grani scorrevano nella manina di Anna; fino a quando rimase l'ultimo spettro. Un uomo alto dallo sguardo accigliato che destò Anna dalle sue preghiere ... 

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  • 3 weeks later...
Silverselfer

Capitolo Dodicesimo

 

 

 

 

Anna era inginocchiata sul primo gradino dell'abside e teneva il capo chino sulle proprie preghiere, non si avvide dell'ombra più scura del buio che si levava dietro di sé, fin quando questa non schiuse gli occhi e una luce fiammeggiante incendiò di nuovo l'ossario.  

Alla ragazzina parve di risentire l'odore di quando, tanto tempo prima, si era sposta sul bordo di una vecchia cisterna per tirar su un secchiello d'acqua marcia. Quel ficcante odore di putrefazione strisciò fino alle sue ginocchia, facendola rabbrividire dallo spavento.

Si voltò lentamente e man mano che il suo sguardo illuminava la sagoma scura, questa prendeva forma nei dettagli che la memoria della ragazzina sapeva ridarle. Il fantasma stesso si stupì a riconoscere le proprie mani, con cui poi si toccò il volto nel vano tentativo di cercarne una qualche consistenza terrena.

 

-   Berto!

 

Esclamò la ragazzina, felice che la misericordia di Dio lo aveva in qualche modo risparmiato dalle fiamme dell'inferno. Teneva in punta al pollice l'ultimo grano del suo nuovo rosario e con maggior impeto di prima stava per licenziarne le dovute preghiere sapendo che erano proprio per lui, quando egli protese una mano nel gesto di fermarla. Non voleva dunque essere assolto dai suoi peccati?

 

-   Non ho colpe da farmi perdonare.

 

Il suo orgoglio lo condannava ancora a soffrire per quella ferita che non poteva rimarginare senza il perdono. Anna avrebbe tanto voluto trovare le parole giuste per spiegargli qual era il peccato che lo aveva condotto alla perdizione, ma quel fantasma non aveva più orecchi per ascoltare e il fuoco che lo dannava non era una punizione divina, bensì una libera scelta cui egli stesso si appuntava al petto.

 

-   Io sono nel giusto!

 

Disse il dannato facendo scintillare gli occhi e nello stesso istante avvamparono tutte le candele nella chiesuola, sciogliendo la cera che pietrificò subitaneamente. Un lampo squarciò la tenebra e le lacrime di quella notte presero a scrosciare contro i vetri delle finestre mentre il vento bussava furiosamente su ogni porta.

 

-   Taci laida cagna! E' la mia verità che ti condanna alla giusta pena.

 

Quale veleno aveva potuto mutare l'amore di Berto in un odio così rabbioso? Si domandava Anna atterrita da quel demonio che dannava se stesso pur di sostituirsi a Dio. Nessun'attenuante avrebbe potuto reclamare venia dinanzi all'intransigenza di una giustizia che teneva conto unicamente della sofferenza per il tradimento patito. Eppure in quel cuore che tanto aveva saputo amare, ci doveva ancora essere almeno una stilla di misericordia che lo avrebbe potuto salvare! Si disse Anna che d'istinto corse verso il portone della chiesa e con tutte le sue forze cercò vanamente di aprirlo.

 

-   Perdonala!

 

Lo supplicò Anna, contravvenendo alla regola che proibisce di rivolgere la parola ad uno spirito dannato. "Ahia!" Chi le aveva tirato una treccia?  "Tu proprio non imparerai mai". Si sentì dire attraverso la voce del pensiero con cui sapeva parlarle solo Cenerino. Il ragazzino si era materializzato con il suo solito vestitino di velluto nero nell'ombra delle statue dei SS. Pietro e Paolo. "Ricordi quando sei finita nell'inganno di Itka?". Eccome se sé lo ricordava!

 

-   Giustizia sia resa a quanti strappano a morsi il cuore di chi li ha amati. Che cosa frenerebbe più la mano dell'assassino se bombaroli e cravattari …

 

"Lo vedi che hai combinato?". Le disse ancora Cenerino mentre la invitò a dargli una mano ad aprire il portone della chiesuola. "Almeno prima dovevamo solo spazzare le foglie con cui malediva tutti con i suoi inutili perché, ora se non lo fermiamo, ci toccherà ascoltare questi deliri per l'eternità!". Dunque che aveva in mente di fare? "Conosci quel detto che tra moglie e marito non bisogna mettere il dito?". Cioè? "Li faremo scornare tra di loro".

 

Il portone cigolò pesantemente sui cardini scoprendo lentamente la sposa fantasma che vi si celava dietro. La figura altera di Mimì prese a muoversi in direzione dell'amore che la condannava, mentre avvizziva di passo in passo del tempo trascorso dal giorno in cui avrebbe dovuto percorrere quello stesso sentiero per coronare un sogno nuziale.

La bocca della sposa a fatica si schiuse nel tentativo di chiedere perdono. La sua voce ormai priva di fiato non poteva più pronunciare quanto non aveva saputo dire in vita. Nel tentativo di parlare, il fantasma dilaniava quel poco di viscere che ancora le rimaneva appiccato alle ossa, producendo un gorgoglio di sangue marcio che sversava dalle labbra mute.  Il candore dell'abito da sposa, sozzo della propria colpa, appesantiva lo strascico che lasciava dietro di sé un tappeto rosso di bave sanguinolente. Rapidamente Mimì sfioriva nella vedova Buratti, fino a quando il peso del peccato non fermò l'avanzare di quella marcia nuziale macabra.

 

-   No!

 

Esclamò Anna, cercando in qualche modo di fermare quanto stava accadendo. Cenerino le fece cenno di rimanere in silenzio affinché qui peccatori adempissero il proprio desiderio di perdizione.

La sposa fantasma cadde sulle ginocchia e unì le mani in segno di misericordia, fu allora che nell'animo di Berto parve farsi strada un barlume d'amore che avrebbe potuto salvarlo. Egli fece qualche passo verso di lei, fino a giungervi abbastanza vicino da poterla sfiorare. Mimì alzò il volto cercando con la sua cecità la ragione della propria condanna.

 

Dalle fessure dell'ossario presero a brulicare le mille zampe di uno sciame di scolopendre affamate. Zampillavano fuori da ogni interstizio del pavimento, aggrovigliandosi tra loro fino a formare grumi di carne immonda che rotolavano moltiplicando se stessi.

Cenerino saltò sopra il piedistallo dei santi e protese la mano verso Anna, che ci si aggrappò mettendosi al sicuro da quelle orribili bestiacce. Insieme videro le scolopendre assalire la sposa fantasma, entrandole in ogni orifizio e sbucandone dalle viscere avvizzite dalla morte. Non ci volle molto che ne facessero scempio, fin quando le membra caddero su se stesse scomparendo in quell'intenso brulicare.

 

Lo spettro di Berto rimase per tutto il tempo irto sul suo orgoglio a rimirare quella vendetta che appagava finalmente l'agognato desiderio di giustizia. Parco del proprio ego dannato, voltò definitivamente le spalle al mondo, tornandosene nell'antro che avrebbe conservato il suo dolore per il resto dell'eternità.

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Silverselfer

Epilogo

 

 

Tutte le ombre brulicanti seguirono il proprio ispiratore, tornandosene con lui nell'ossario in un gorgo di raccapriccio.

 

-   E' tutto finito.

 

Disse Cenerino alla povera ragazzina che tremava ancora dallo spavento, prima di saltare giù dal piedistallo e aprendole le braccia per accogliere il suo balzo. Fu allora che Anna strinse per la prima volta a sé la consistenza di quel ragazzino. Per tutto quel tempo lo aveva visto in tante forme diverse, fino a crederlo uno dei tanti spettri che aveva avuto la sfortuna d'incontrare. Eppure in quel momento e per quei pochi attimi che seguirono, fu certa di palparne la solidità delle carni, tanto da sentirsene turbata al punto da respingerne il voluttuoso calore.

 

-   Ti senti bene?

 

Le domandò ancora Cenerino, stupendosi perché per la prima volta Anna gli aveva chiuso le porte dei propri pensieri. La ragazzina dissimulò l'imbarazzo che le avvampava le gote con piccoli gesti vezzosi. La manina corse a tirare dietro l'orecchio quella ciocca di capelli che proprio non voleva saperne di rimanere legata nella sua treccina, mentre con l'altra cercò vanamente di sistemare lo straccetto liso che indossava da troppo tempo.

 

-   Ha smesso di piovere … sarà meglio che t'incammini verso casa.

 

Anna rispose con un cenno del capo al suo misterioso amico, quando giunti fuori dalla chiesuola, si ritrovarono a guardare il cielo e lui le suggerì di mettersi sulla via del ritorno. La ragazzina avrebbe voluto guardare ancora Cenerino, ma uno strano pudore le aveva impedito di farlo almeno un'ultima volta prima di salutarsi. Era ormai giunta a metà del vialetto che portava al cancello, quando i suoi piedi disubbidirono alla moralità suggerita dalla buona creanza e corsero indietro ubbidendo all'istinto del cuore.

 

-   Ci rivedremo?

 

Domandò in affanno, Cenerino tacque per qualche istante e poi le propose di accompagnarla fino alla fermata del tram.

 

I due ragazzini camminarono allungo senza parlare. Anna era stranamente felice di ascoltare i passi concreti di lui che facevano scricchiolare i rametti secchi sul sentiero del boschetto. Quando raggiunsero la strada e non udì più quel rassicurante suono, ebbe di nuovo paura di vivere un momento che non avrebbe potuto condividere con nessun altro.

 

-   Perché Berto ha ucciso Mimì?

 

Chiese Anna, quasi certa che quella domanda non avrebbe trovato risposta.

-  

-Sciocchina non si può uccidere un morto.

 

La ragazzina sorrise della propria ingenuità, ma non era certo per quello se il suo cuore stava gioendo. Anna non stava sognando e quello accanto a lei non era un'immaginazione se le parlava ancora.

 

-   Lei lo amava al punto da volerlo seguire giù nell'ossario …

 

Cenerino avrebbe potuto raccontarle le cose più tristi del mondo. Ad Anna bastava che non smettesse di parlare.

 

-   Siamo arrivati.

 

Chissà quanto avevano camminato in quella notte gelida, eppure alla ragazzina parve solo un attimo arrivare alla fermata del tram.

 

-   Dove andrai?

 

Gli chiese Anna non potendo più credere che fosse il suo gatto. Ora quella le appariva solo come una fantasia della bambina che non era più.

 

-   Sta arrivando il tram.

 

Le rispose Cenerino dopo aver fatto spallucce. Il tram scampanellò più volte mentre arrivava e poi aprì le porte sbuffando come un grosso animale metallico. La luce elettrica al suo interno concretava una realtà in cui Cenerino non l'avrebbe potuta seguire.

 

-   Dimmi come ti chiami.

 

Lo implorò Anna, trattenendo la sofferenza di quel distacco che si stava per sciogliere nei suoi occhi. Almeno con un nome lo avrebbe potuto salvare da tutti quegli altri ricordi impossibili da raccontare, destinati a confondersi e poi disperdersi tra le fantasie della fanciullezza.

 

-   Qualsiasi nome mi darai sarà quello giusto.

 

Anna era ferma sullo scalino del tram quando la porta a soffietto si frappose per sempre al passato. Il tempo riprese subito a camminare sulle sue rotaie e la ragazzina corse all'ultimo finestrino posteriore del tram, ma la luce elettrica al suo interno schermò di buio il vetro, riflettendo un giovane volto di ragazza e a nulla valse cercavi di guardare attraverso la sagoma scura di Cenerino.

 

Il ragazzino rimase fermo a guardare la luce elettrica del tram che rapidamente si andava ad aggiungere al cielo stellato della città. Lui che non aveva mai avuto necessità di un nome prima d'incontrare Anna, provava per la prima volta invidia per i figli di Eva che di quel bisogno potevano far virtù scrivendoli uno accanto all'altro.

 

Le ultime foglie dell'autunno stavano cadendo dai rami già sopiti nel loro letargo invernale. Cenerino si fece solleticare le labbra pronunciando il nome ridicolo che le aveva dato Anna, lasciando il suono disperdersi insieme alle sue lettere che, come foglie nel vento, turbinarono in piccolo vortice sulla propria mano e poi avvamparono nella luce di un'estemporanea fiammata. 

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