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Disabilità mentale e scuola


Cassiopea81

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Apro questa discussione perchè avevo detto che l'avrei fatto e perchè @@penna ci teneva (manari saremo solo noi due a scriverci davvero :prankster: ); in ogni caso è una tematica che mi ha sempre infervorato. Devo però fare alcune premesse per introdurre l'argomento.

 

Premessa 1: la maggiornaza delle mie fonti provengono da una mia amica che è insegnate precaria, e che molto spesso in questi anni ha avuto incarichi come insegnante di sostegno.

 

Premessa 2:l'insegnante di sostegno dovrebbe essere nata come figura atta ad aiutare quei bambini che hanno un leggero ritardo mentale, o problemi vari di apprendimento che senza un aiuto, faticherebbero a stare al pari della classe con i programmi ( Marcolino correggimi se sbaglio).

 

Premessa 3:secondo il mio punto di vista, l'errata abitudine di mandare qualsiasi bambino a scuola, anche con ritardo gravissimo, non è solo frutto di una assenza di servizi che in Italia è cronica, ma di una pessima discultura genitoriale che rifiuta in un certo modo la disabilità, e vede il mandare il figlio a scuola come una parvenza di normalità.

 

Ora, fatte queste premesse, io sono totalmente in disaccordo con questa cultura di mandare a scuola, affibbiati ad insegnanti di sostegno totalmente impreparati (e ci mancherebbe, devono fare gli insegnanti, non i badanti o gli infermieri o i riabilitatori psichatrici) i bambini con disabilità psichica gravissima (che spesso si combina con una fisica che aggrava le cose). La mia amica ha avuto bambini autistici violenti, che a 10-12 anni erano più alti e forti di lei e non riusciva a contenerli durante i loro accessi d'ira, e 2 bambini che erano stati vittima di una gravissima sofferenza fetale e quindi erano totalmente fermi sulla sedia a rotelle, incapaci di sorreggere persino il capo, uno dei due con disfagia, l'altro con la peg da fare funzionare al pasto del mezzogiorno, cosa che doveva fare l'insegnate (cosa da pazzi). Oltre a prendersi la pesante responsabilità di alimentare un bambino che poteva soffocarsi ad ogni boccone, e far funzionare una apparecchiatura medica per l'alimentazione artificiale, passava le sue giornate ad inventarsi i modi più svariati per stimolare a livello tattile, visivo ed uditivo questi bambini che pochissimo interagivano con il mondo circostante. Lasciando perdere le questioni legate alle strutture eventualmente capaci di accogliere questi bambini, che senso ha, razionalmente, tutto questo? Anche in caso di disabilità meno gravi (vedi bambino Down), che cosa ci fanno questi bambini a scuola? Non voglio sentire il solito discorso sull'integrazione dei disabili perchè nei casi da me citati non hanno alcun senso. Questi bambini non sono integrati, non sono minimamente considerati dai compagni, e non è colpa della società che non glielo insegna, è fisiologico, a sei o sette o 10 anni gli fai al massimo una carezza poi corri a giocare fuori con i tuoi amici. Punto secondo, se anche i bambini della classe fossero i più carini possibile, questi bambini hanno bisogno di relazionarsi tra loro, e non è un discorso razzista e classista, hanno bisogno di creare una comunità loro, altrimenti vivono come isolati per tutta la vita. Infine, come ho accennato già da qualche parte, la discultura genitoriale sta nel fatto che diventa più importante che, a 14 anni, abbiamo al massimo imparato l'alfabeto (fa tanto bambino normale!!) piuttosto che tutto quello che può essere realmente necessario per la loro vita futura e per una reale integrazione. I bambini con disabilità psichica importante non devono imparare a macchinetta (come mi è capitato di vedere) due o tre parole in tutta la loro infanzia, devono imparare ad essere continenti, ad alimentarsi senza aiuto, ad interagire correttamente, a vestirsi, e per chi ne è in grado, maneggiare piccole quantità di denaro, prendere i mezzi pubblici...questi bambini non hanno assolutamente necessità della scuola, ma di istituti dove possano raggiungere la massima autonomia necessaria anche senza sapere leggere bene o scrivere bene o sapere a memoria le tabelline, anche perchè il massimo recupero si ottiene nell'infanzia, e già a partire dall'adolescenza è tutto un calando. Sperando di non essere fraintesa, voi cosa ne pensate?

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Ciao Cassiopea, ti parlo da insegnante di matematica che è abilitato anche all'insegnamento del sostegno. Dal punto di vista normativo il docente di sostegno dovrebbe occuparsi solo della parte didattica e non della parte assistenziale, che dovrebbe essere lasciata a personale specializzato. Come dici anche tu, per mancanza di fondi purtroppo queste figure non ci sono, o sono presenti per pochissime ore, lasciando i ragazzi con gravi disabilità sotto la reponsabilità del docente di sostegno o del collaboratore scolastico, se disponibile.

Il docente di sostegno deve e dico deve favorire e sviluppare l'autonomia sempre tenendo conto delle capacità e potenzialità del ragazzo. Non ha senso insegnare a memoria tabelline o parole, ma favorire lo sviluppo di abilità che rendano l'alunno quanto più autonomo possibile. Per fare questo, però, occorre l'aiuto di medici, psicologi, genitori, colleghi curricoloari e, dispiace dirlo, non sempre tutte queste figure sono disponibili.

Per quanto riguarda il rapporto con gli altri alunni, lo ritengo positivo, almeno dalle esperienze che sto avendo. La classe, tuttavia, andrebbe sempre "preparata" mediante interventi con psicologi perchè non sempre gli alunni disabili sono accettati in classe, purtroppo.

Secondo me la soluzione ideale per questi ragazzi sarebbe trascorrere metà del tempo a scuola e l'altra metà in centri specializzati con personale medico e psicologi. E le due realtà, scuola ed istituto specializzato, dovrebbero comunicare tra loro.

 

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Sera a tutti... io sinceramente sono rimasto ALLIBITO da quanto scritto da Cassiopea; io sono un assistente educatore, lavoro a stretto contatto con insegnanti di sostegno, che, nella maggior parte dei casi sono INCOMPETENTI ( molti insegnanti, pur di lavorare, giustamente, accettano di fare da sostegno, seppure non abbiano una specializzazione e qua la "colpa" non è dell'insegnante che accetta ma delle varie leggi che ci sono).

Quest'anno io seguo tre bambini diversi tra loro: uno con problemi di linguaggio ( è giusto che vada a scuola ), una bambina con problemi relazionali ma molto intelligente ( e che ci farebbe a casa???) e.... un bambino sulla sedia a rotelle ( ma per fortuna che viene a scuola!!!). Lasciamo perdere i primi due casi, mi soffermerei sul terzo: perchè viene a scuola? ma perchè viene stimolato... cioè, hai presente tenerlo tutto il giorno in un centro diurno specializzato? In quello (purtroppo) ci andrà quando avrà finito il suo percorso scolastico. Il fatto poi che i compagni di classe non lo guardino, non è del tutto vero, nel senso che ci sono compagni che come dici te lo salutano, ci giocano 2 minuti ma poi corrono a giocare; ma ce ne sono altri che sono molti affezionati a lui, si avvicinano, gli parlano, lo aiutano e mi aiutano.. ovvio che chi sceglie di fare l'insegnante di sostegno o l'assistente educatore lo fa con il cuore e perchè dotati di una spiccata sensibilità..

 

Concludo rispondendo alle tue premesse:

 

Premessa 1: gli insegnanti precari che pur di lavorare accettano di fare da sostegno sono i peggiori con cui abbia lavorato perchè purtroppo si vede che sono dei pesci fuori d'acqua.. conosco anche insegnanti che prima di accettare supplenze giustamente si informano sui problemi del bambino, in quanto spaventati da chi gli potrebbe capitare.

 

Premessa 2:l'insegnante di sostegno in teoria aiuta tutta la classe, poi ovvio che in certi casi deve per forza stare a stretto contatto con il bambino disabile.. molte volte succede che l'insegnante in questione tenda a volere a tutti i costi di lavorare anche con gli altri bambini, trascurando il bambino stesso.

 

Premessa 3: secondo il tuo ragionamento bisognerebbe lasciare a casa anche quei bambini/ragazzi che voglia di studiare non ne hanno, sono dei bulli e vanno a scuola solamente per scaldare la sedie, tanto vanno a scuola a fare? Se non imparano niente? E ti dirò, impariamo più noi dai bambini disabili che loro da noi..

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Ho parlato di gravi disabilità psichica, al livello da non essere in grado di imparare nemmeno a leggere e scrivere, e il che cosa ci vanno a fare a scuola era inteso nel loro interesse, perchè mentre rimangono li a non-imparare,vengono privati della possibilità di apprendere necessità per loro fondamentali, che sono quelle dell'autonomia di vita quotidiana. Il mio è un intervento serio, per favore leggete bene prima di intervenire.

Per natura detesto i falsi moralismi, motivo per cui sono stata molto attaccata su un vecchio post sul terremoto, non mi servono i commenti alla Candy Candy del tipo impariamo molto di più da loro che da altri, io con pazienti psichiatrici, disabili ed anziani lavoro tutti i giorni e li tutelo la dove non vengono tutelati da famiglia e società. Questo buonismo a tutti i costi è proprio quello che danneggia in primis determinati bambini che vengono totalmente deprivati dell'opportunità di anche una sola minima autonomia, laddove questo obiettivo può essere raggiunto solo da personale altamente specializzato e qualificato (psicologi, fisioterapiasti, fisiatri, psichiatri dell'età evolutiva, educatori specializzati nel campo della disabilità). Non siamo tuttologi, l'insegnante fa l'insegnate ed è giusto che faccia l'insegnate.

 

PS: in altro post si parlava di istituti francesi, molto all'avanguardia, in cui i bambini Down imparano l'autonomia e oltre questo, seguivano programmi scolastici altamente personalizzati e creati per loro da una equipe multidisciplinare. In quel contesto diversi utenti del forum hanno lodato queste iniziative sempre assenti in Italia, ma vedo che basta rovesciare la prospettiva di 180 gradi e porre la questione in un'ottica rovesciata per creare una bagarre da pensiero unico e unilaterale violato.

Edited by Cassiopea81
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Un bambino sulla sedia a rotelle, che NON parla, non sa andare in bagno da solo, va imboccato e che non imparerà MAI nè a leggere nè a scrivere nè a camminare lo reputo grave. Infatti ho citato il suo caso, tralasciando gli altri due bambini con cui lavoro.

Parli di PEG, ho colleghi che hanno imparato ad usarla, una volta che impari il gioco è fatto eh... come lo fanno i genitori, lo possono fare anche coloro che stanno a stretto contatto con il bambino disabile quasi tutto il giorno..

Ma chi ti dice che non imparano niente questi bambini? Ovvio, non posso pretendere che impari a leggere o a scrivere, non ce la farà mai.. ma rispetto allo scorso anno ha fatto progressi sotto altri aspetti. E il mio non era un falso moralismo, assolutamente. Non ti servono commenti alla Candy Candy? Ma non ho capito cosa vuoi ottenere allora con questo tuo post.. ognuno penso che risponda in base al suo vissuto o esperienza personale.

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Si ma tenerone a scuola si va per imparare proprio a leggere e scrivere!!! Per questo non reputo che questo sia il posto più adatto! Non scherziamo questi bambini hanno bisogno di ben altro che quello che può offrire la scuola pubblica a loro!!! E' ovvio che in caso di ritardi minori, i bambini traggano giovamento sia dall'ambiente scolastico che dalla concomitante partecipazione a programmi specializzati.

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Da me esistono anche scuole potenziate per bambini molto gravi... sta di fatto che io per ora lavoro alla materna, quindi non vedo di questi problemi... ovvio che il bambino che non parla e non scrive, in una primaria è un po' come un pesce fuori d'acqua.. e noi educatori ci dobbiamo inventare un sacco di cose da fare per passare il tempo.. ci sono poi autistici che passano il tempo fuori dalla classe.. però in questi casi particolari dovresti parlarne con le famiglie, che li vogliono a tutti i costi mandare a scuola.. e a volte esigono di sapere che lavoro hanno fatto.. a questo punto ti posso dire che bisognerebbe analizzare caso per caso.

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Per esempio, io ti riporto l'esperienza di un ragazzino che vive di fronte a casa mia. Avrà circa 15 anni, quando aveva 8 mesi circa è stato mandato all'asilo nido e li le insegnanti hanno capito subito che qualcosa non andava. L'hanno comunicato ai genitori che hanno preso malissimo la notizia, si sono infuriati, hanno fatto il diavolo a 4 e hanno protratto il loro stato di negazione per mesi,se non anni. Nel frattempo il bambino cresceva e la discrepanza con gli altri bambini era sempre più evidente; quando le insegnati hanno provato a riparlare ai genitori questi hanno tolto il bambino dall'asilo e lo hanno tenuto a casa (a casa!!!) fino all'età scolare. In seguito l'hanno mandato ad una elementare di paese. Arrivando al dunque: a 16 anni,non sa parlare, urla solo, ha diversi problemi ad interagire con le persone, a volte ha accessi di ira, cammina perfettamente ma gli viene fatto tutto,in casa. Ora, la disabilità motoria è minima, e io nulla mi toglie dalla testa che un ragazzino del genere, anche senza mai imparare a parlare, seguito in un luogo apposito avrebbe imparato a fare le sue piccole cose quotidiane da se. L'egoismo dei genitori in questo caso ha creato danni irreparabili, e io non riesco ad accettare una cosa del genere.

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Eh, Cassiopea... sai con quanti genitori come i tuoi vicini si trovano ad avere a che fare le maestre? A volte accettano la situazione, altre volte fanno orecchie da mercanti.. anch'io conosco casi di bambini che se fossero stati seguiti da subito non si troverebbero in certe situazioni..

 

Direi di sì Yken, è proprio così! :-)

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@ io personalmente non ho esperienza diretta con i pargoletti o simili ..ma seguo privatamente altri ragazzi e ragazze ( si lo so è incomparabile a quanto fai tu o i docenti regolari) ma li vedo li presi singolarmente molto fragili, con fili e matasse da sbrogliare .. sento che mancano fili conduttori ... estendendo il dilemma al caso generale mi viene da dire che ai ragazzi manca qualcuno che possa guidarli 'spiritualmente' oltre che nozionisticamente... ma la domanda successiva è come cambiare un sistema tanto vecchio e tanto considerato efficace?.... Perchè se è vero che nn tutti hanno problemi di comprensione e apprendimento..l'integrazione scolastica è il primo microcosmo in cui una persona cresce e si inserisce.

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È indispensabile sia l'integrazione scolastica che l'essere seguiti da personale altamente specializzato secondo me. C'è da dire che negli ultimi anni purtroppo sono stati fatti numerosi tagli, sia con i docenti di sostegno che con il personale specializzato.

È verissimo quello che dice Tenerone. In alcune province, soprattutto quelle del nord dove si insegna più facilmente, esauriti gli elenchi del personale docente specializzato ed abilitato all'insegnamento del sostegno, si attinge da elenchi di docenti non abilitati che spesso sono impreparati (ma nin è colpa loro, è di chi non li forma).

Giá è difficile insegnare sul sostegno dopo aver seguito un corso abilitante (tuttti i giorni 14-20 nel mio caso per un anno) ed esami di pedagogiaa specialie, psicologia, neuropsichiatria infantile perchè ogni alunno è un caso a sè, figuriamoci senza un'adeguata preparazione.

 

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Si ma tenerone a scuola si va per imparare proprio a leggere e scrivere!!!

 

Questa affermazione è pericolosa perchè le vecchie scuole speciali

erano scuole dove ti mettevano a giocare coi cubetti di legno...cioè

si sceglievano obiettivi limitati per tutti i ragazzi che avessero dei deficit.

La scuola speciale degli studenti col deficit, era la scuola dei deficienti

ed era una scuola dove al contrario chi avrebbe potuto migliorare non

poteva migliorare perchè veniva ghettizzato.

 

Oggi l'obiettivo è giustamente l'integrazione, il punto è che in Italia

ci si è arrivati per primi ma in modo ideologico e soprattutto senza risorse.

 

La differenza è fra chi sostiene che l'integrazione è un Fine e chi sostiene che

sia un fine ed un mezzo ( e quindi nasca dal rapporto tra disabili e normodotati

che devono stare insieme ) in questo senso moltissimi paesi europei hanno

trasformato le vecchie scuole speciali in centri di formazione del personale di

sostegno che poi opereranno presso la scuola pubblica, valutando insieme ai

genitori gli obiettivi e la opzione fra Classe Ordinaria e Classe Speciale ( in

genere collocata sempre in una scuola pubblica per evitare l'effetto ghetto )

 

L'Italia quindi culturalmente ha vinto, solo che altrove ci si è arrivati costruendo

dei servizi pubblici in modo progressivo, in Italia si è affermato il principio senza

costruire un sistema

 

E' ovvio che per un genitore accettare il fatto che il proprio figlio non raggiungerà

mai certi obiettivi, è un grande dolore...nei paesi più ricchi e avanzati si prospetta

quindi la possibilità del passaggio da una classe ad un'altra, cioè non si dice ai

genitori che si devono rassegnare, ma che gli obiettivi devono essere realistici

 

Esiste quindi la possibilità che da una classe speciale si passi ad una classe normale

con un insegnante che accompagna il ragazzo. E' giusto dare anche ai genitori una

speranza...o comunque fargli vivere una dinamica, perchè saranno dei genitori migliori

per il proprio figlio

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Hizelmann sai bene che quello che ho scritto non ha intenzione ghettizzante, sono perfettamente daccordo con te su quello che scrivi, l'integrazione deve venire sui due piani, il problema è che manca, appunto il personale e le strutture di comunicazione tra scuola, insegnanti, e personale specializzato. Io stessa essendo nel sociale, vedo che tutto è scollegato (parlo dal punto di vista medico infermieristico): il territorio ha le sua figure che parlano solo tra di loro, l'ospedale anche, il privato anche, ci sono miriadi di strutture esistenti, pubbliche, ed è realmente impossibile che esse dialoghino tra loro. Ogni giorno servono fatiche titaniche perchè l'anziano x seguito nel posto y, se ha un problema che non compete il posto y dove è seguito, possa essere seguito altrove con continuità e integrazione...mille telefonate a destra e a manca e tutti che si rimpallano il problema e "io non c'entro nulla non ha telefonato nel posto giusto". I discorsi ideologici purtroppo si possono fare dove le cose funzionano, ora hanno tagliato persino sugli insegnanti di sostegno, per questo penso che la scuola pubblica per certi ragazzi sia solo dannosa, in un'altra organizzazione sociale ovviamente il discorso sarà diverso. Non so se mi sono spiegata (sono un po' di fretta).

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Purtroppo i tagli degli ultimi anni hanno colpito e stanno colpendo le categorie più deboli. Ci sono genitori che per ottenere un aumento del numero di ore di sostegno per i loro figli hanno dovuto procedere per vie legali facendo ricorso al TAR (e, ovviamente, spendendo anche un bel po' di denaro).

A volte anche le scuole non sono dotate del materiale didattico che gli alunni in difficoltà dovrebbero usare. Una mia collega di sostegno quest'anno ha acquistato dei testi specializzati per svolgere la sua attività didattica (i testi dell'attività didattica speciale non vengono forniti gratuitamente dalle case editrici)spendendo quasi 200 euro, che per un precario non sono certo una somma da trascurare e non tutti i docenti purtroppo possono affrontare una spesa del genere, visto i magri stipendi.

I problemi, purtroppo, sono molti e spesso legati alle poche risorse messe a disposizione per gli alunni, docenti e personale specializzato.

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Anche la mia amica cerca sempre nelle biblioteche e tra l'usato materiale didattico tra il più disparato, visto che manca completamente a scuola...

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  • 2 weeks later...
AndrejMolov89

Il problema non è tanto l'integrazione, ma i genitori teste di cazzo che non riconosco la peculiarità del figlio e vogliono che sia uguale agli altri. Una professoressa del liceo artistico del mio paese ha rifiutato uno studente con gravi disabilità per svariate ragioni, la prima è che non era professionalmente competente a trattare con un simile caso, la seconda è che non potendo avere un insegnante di sostegno, non poteva perdere la classe per stare dietro al ragazzo.

I genitori l'hanno accusata di non aver cuore, di essere una persona incivile e che discrimina le persone con problemi, lei di tutta risposta ha preparato un compito d'italiano e l'ha messo davanti alla figlia che era presente a quel colloquio. Come sfida...

Allora, la questione non è tanto l'integrarsi, è considerare questi bambini egualmente abili agli altri, nonostante i problemi. Gli insegnanti di sostegno, le strutture specializzate per quanto possono cercano di riempire la depressione di capacità rispetto alle persone senza disabilità, ma non fanno certo miracoli e soprattutto bisogna sempre essere consapevoli che alcuni casi sono un po' irrecuperabili...

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Innanzitutto la scuola per un bambino autistico è fondamentale perché un domani il bambino sarà parte di una società (a prescindere dalle interazioni)

e anche perché in qualche modo può essere d'aiuto, perché il bambino non è cieco, non è sordo, non è stupido.

Secondo questo ragionamento allora tutti coloro che sono portatori di un qualsiasi handicap psichico andrebbero messi in un istituto. Una discalculia,

una dislessia, che voglio dire, "che ci fanno a scuola"?

Io non vedo sinceramente l'errore nell'iscrivere questi bambini in strutture pubbliche, dove vengono in contatto con bambini non autistici.

I genitori devono essere consapevoli che esistono delle leggi che tutelano le persone con disabilità psichiche all'interno delle scuole e che è un loro

diritto quello di ribellarsi se queste leggi non vengono rispettate.

Penso che sia fondamentale la riabilitazione, e i centri di riabilitazione esistono e l'efficacia è diversa per i vari tipi di autismo, per la gravità del disturbo

e l'andamento.

Le colpe vanno sia agli insegnanti che non comprendono la malattia del bambino perché non c'é un'adeguata formazione (e questo è grave),

e secondariamente anche ai genitori perché talvolta non valutano le possibilità concrete e hanno aspettative idealistiche.

 

Ovviamente è inutile pensare di imbottire di farmaci un bambino e rintontirlo per non farlo agitare, ha più senso una terapia farmacologica e un intervento educazionale riabilitativo. Che è extrascolastico.

Se l'alternativa è quella di inserirli in un micromondo in cui sono tutti malati e "interagiscono" solo con persone malate e personale sanitario,

oh mio dio, ma si torna indietro di cinquant'anni.

I bambini autistici, così come qualsiasi altra persona malata o meno, hanno bisogno di vivere nel mondo.

 

Ha molto più senso educare le scuole che ancora oggi non sanno quali sono i disturbi neuropsichiatrici infantili e dell'età evolutiva, e che invece

dovrebbero conoscerli e adeguarsi alle condizioni di salute dei loro allievi. Non sanno come fronteggiarli, come comportarsi di fronte a un bambino

che non sa leggere, che non sa scrivere, che non sa fare i conti, perché pensano che debbano fornire un'educazione solo a chi nell'immediato può interagire con loro e comprendere.

Ed educare anche i genitori a non pensare che i figli siano completamente fuori uso, ma che hanno margini di miglioramento specie nell'infanzia.

E' vero che molti genitori sono i primi a svalutare i propri figli e da questa svalutazione e dal disorientamento che hanno per comprendere come procedere

con l'educazione dei propri figli, sfociano in vari eccessi.

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QuintoEmendamento

Ritengo il punto di vista di @@Cassiopea81 assolutamente lucido e condivisibile.

So quanto può risultare impopolare e a rischio parlare di "classi speciali" di integrazione fantasma, di scuola inadeguata per chi è diverso.

Impopolare ma realistico, perchè questo è, signori miei.

Se poi vogliamo continuare a prenderci in giro perchè fa tendenza dire che i bambini sono tutti uguali e l'integrazione è un diritto, facciamolo pure; questo non renderà migliore la nostra società e,soprattutto, non la renderà alla portata di tutti.

 

Vorrei provare a farvi vedere il problema dal punto di vista degli altri bambini.

Quelli considerati "normali" e che spesso vivono l'integrazione di altri bambini diversamente abili come una vera e propria violenza quotidiana.

Perchè la disabilità purtroppo non è sempre la stessa, non sempre è fatta da bambini docili, inermi, teneri nel loro handicap, strazianti nella loro semplice rinuncia a quel che per gli altri è gioco, felicità, gioia.

Esiste un mondo di disabilità "violenta" che, in nome dell'abusata integrazione, viene messa in contatto con ambienti dove altrimenti ci sarebbe serenità.

Voi mettereste mai vostro figlio - perchè questo dovrete chiedervi - in un luogo dove ogni giorno proiettano immagini violente?

Percarità! Il più ignorante dei moderni pedagogisti urlerebbe allo scandalo.

E allora...in nome di cosa i figli degli altri devono quotidianamente essere bombardati da compartamenti violenti da parte di un loro compagno (quando ovviamente non ne sono ripetutamente oggetto).

Come può una madre o un padre stare sereno sapendo che il figlio è costantemente a rischio di perdere un occhio perchè il compagno gli lancia contro un paio di forbici, piuttosto che una sedia, piuttosto che altro?

Perchè questo spesso accade: una situazione reiterata di violenza, urla, autolesionismo, violenza contro altri compagni.

E poco può una scuola mal strutturata come la nostra in termini di impiego di personale insegnante e di ausilio per arginare un problema del genere quando lo si ha in classe.

 

Allora mi chiedo: quale integrazione?

E ancora mi chiedo: come crescerà, quante opportunità verranno negate a un bambino che viene quotidianamente sottoposto ad uno stress emotivo così intenso?

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Condivido molti di questi interventi; l'analisi di Hinzelmann riassume bene il problema.

 

Una persona con disabilità intellettiva grave ha due tipi di bisogni:

- quello di migliorare il più possibile le proprie autonomie, come sottolineava @Cassiopea81

- quello di imparare comunque a "vivere nel mondo" insieme agli altri, come dice @ ,

a cui aggiungerei il bisogno del... "mondo" di imparare a vivere coi disabili intellettivi.

 

Considerare solo una di queste due dimensioni porta a due opposti eccessi:

nel primo caso l'istituzionalizzazione totale, in età scolare e anche dopo;

nel secondo, buttarli in una scuola qualsiasi senza prevedere percorsi sufficientemente differenziati.

 

La soluzione, teoricamente semplice, è quella prospettata da @@Marcolino2 : passare un po' di tempo in centri appositi, per migliorare le proprie autonomie e imparare secondo una didattica personalizzata al meglio, e passare un altro po' di tempo - non per forza in metà uguali - a scuola, con adeguato supporto, sia per vedere come se la cava la persona in un ambiente meno protetto, sia (forse soprattutto?) per far vedere agli altri bambini (...e agli insegnanti) che sì, i freaks esistono, fanno parte del mondo come loro, potrebbero ritrovarseli un giorno come vicini di casa o come figli, per cui è bene che inizino a scoprirne l'esistenza.

 

Questa soluzione è flessibile, permette di adattare il numero di ore scolastiche alle reali possibilità della persona e del contesto, ma naturalmente richiede risorse.

 

La ritengo adatta non solo alle disabilità intellettive, ma anche a quelle sensoriali o di comunicazione - per dire, tra i ciechi è risaputo che "i ciechi di una volta" crescevano istruiti e abili al lavoro, mentre oggi se vogliono imparare il braille o un mestiere adatto a loro devono sciropparsi, oltre alla scuola normale, corsi appositi al pomeriggio.

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È quello che attualmente si fa, la riabilitazione si fa in centri di neuropsichiatria appositi. Solo che non è passata dal SSN.

Per uno degli interventi precedenti: eviterei di confondere l'agitazione psicomotoria, l'iperattivita' e la crisi che ha un bambino autistico quando viene ad esempio toccato (che non c'è sempre). È più probabile che sia autolesionista.

Io di disabilità "violente" ne ho viste volendo fare lo psichiatra, ma ribadisco che a maggior ragione e' ruolo del medico e delle insegnanti conoscere questo aspetto e mantenerlo sotto controllo.

Se no rischiamo di far passare un messaggio brutto e pesantemente discriminante verso dei bambini che ripeto, sono malati.

E non è perbenismo, e' la realtà.

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Considerare solo una di queste due dimensioni porta a due opposti eccessi:

nel primo caso l'istituzionalizzazione totale, in età scolare e anche dopo;

nel secondo, buttarli in una scuola qualsiasi senza prevedere percorsi sufficientemente differenziati.

Non ho mai inteso dire che debba essere necessaria l'istituzionalizzazione totale, ho forse troppo estremizzato il primo punto di vista perchè è quello che più volevo mettere in luce nella discussione. Per il resto @@penna sono perfettamente daccordo con quello che scrivi, anche perchè il bambino disabile, grave o meno, deve essere "vissuto" dai bambini non disabili e da loro conosciuto, perchè imparino a non discriminare un domani.

 

Per la questione bambini violenti, o violenti a tratti, è vero sono una minoranza, ma sono inseriti spesso a scuola. E' vero, è loro diritto vivere nel mondo e tra coetanei, ma è anche vero (e penso qui ai colleghi miei di psichiatria che a volte le prendono dai pazienti) che è un diritto dell'insegnante, dell'assistente sociale, dell'infermiere e di quanti ci hanno a che fare, di non prenderle. Nel caso della mia amica, lei è alta un metro e 50 ed è molto magra, il ragazzino in questione era un undicenne già molto sviluppato e più alto di lei. Lei non riusciva fisicamente a contenerlo, non ne aveva le capacità fisiche, e spesso ha rischiato di farsi male sul serio. In nome di quale diritto altrui, lei deve subire questo? Il diritto altrui non può nemmeno arrivare a ledere il tuo, e per quanto il minorenne abbia diritto a tutta l'integrazione possibile, a tutte le possibilità del mondo, beh, quando sviluppa e diventa un marcantonio di 1.80....volenti e nolenti se è violento per se e per altri, bisogna pensare a soluzioni alternative....(non esistono solo gli autisti violenti, esistono diverse patologie psichiatriche dell'infanzia).

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