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Fiocco di neve


Fra93

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Voglio postarvi un racconto che ho scritto qualche tempo fa per un concorso letterario. Mi dissero di pubblicarlo, poichè meritava. Ora lo faccio leggere a voi, ditemi che ne pensate ;)

 

 

Fiocco di neve

 

Fiocchi di neve di un candido bianco, mai visto prima, danzano nel cielo della mia città fino a terminare il loro ballo sul ghiacciato asfalto della strada. Tutti i giardini ormai hanno perso il verde che li distingue dal gelido grigio del cemento. Dalla finestra della mia camera osservo questo magnifico spettacolo, lo fotografo con la mente, non lo voglio dimenticare. Quei cristalli nati da scure nuvole diventano per me simbolo d’innocente speranza, di un nuovo coraggio. La mia mente viaggia al tepore del calorifero, come fosse un cavallo di vapore bianco, lo scudiero di un principe azzurro mai arrivato. Improvvisamente mia madre mi distoglie dai miei pensieri – è arrivato papà- .

Non vedo papà da ormai un mese, da quando era partito per Londra. Forse è tornato per me, forse prova pena per suo figlio. Ormai sono abituato alla commiserazione. È quasi comico pensare che la pietà sia il passo successivo alla derisione. Insulti, barzellette e slogan ti piovono addosso quando non sei come la società ti vorrebbe. Gli uomini impugnano forconi d’ingiustizia, le donne sputano sentenze, come il cobra sputa veleno contro la sua preda, i ragazzi si sentono minacciati nel più profondo dell’essere e le ragazze provano odio per i loro rivali. I bambini non devono sapere dell’esistenza dei diversi, potrebbero deviarli, è giusto lasciarli per ore davanti alla tv, quello è il loro posto. Anziani che ci ricordano di giorno in giorno la storia che li ha scolpiti, la tradizione che li ha formati. Ovviamente se queste usanze sono comode ai più, e totalmente ostili ai meno, è doveroso difenderle, con ogni mezzo. Purtroppo non si può accontentare tutti- dice il signore intervistato al tg. Sono troppi, ci invaderanno- dice la nonna, mentre accompagna il nipotino all’asilo. La mediocrità ormai invade tutti gli ambienti. Un buco nero che risucchia a sé ogni luce, ogni volontà di integrazione. Una pistola data in mano ad un bambino, i cui proiettili feriscono più che cannonate allo stomaco. Milioni di uomini esaltati dalla loro banalità assillante, spaventati da un uomo nero inesistente, da una strega di un fumetto americano. La pochezza che ci assale è tangibile, toccabile, penetrabile. La attraversiamo come fosse una cascata di parole, pochi sopravvivono. Il peso del continuo scorrere è più che mai vivo. Un flusso interminato di una potenza terrificante. Io non mi tiro indietro, non lo farò mai. Vado e affronto mio padre da uomo a uomo.

Passo dopo passo raggiungo la porta della mia stanza. Osservo la maniglia e traggo un respiro profondo, questa è la mia sfida. La abbasso, esco in corridoio. Sento le voci dei miei genitori, mia mamma piange, mio padre la consola. Che scena patetica. È tutto inutile, non ha senso quello che stanno facendo. Perché le lacrime? Perché l’amarezza? Perché parole di conforto? Cosa crea tanto dispiacere in casa mia? Domande mi assalgono e non mi danno tregua. Una risposta l’ho, ma sarebbe illogica. Sarebbe frutto della stupidità e del pregiudizio. Mi avvicino ancora alla cucina, l’ansia mi assale.

Loro sono in piedi di fronte a me. Mia madre rossa in viso non mi guarda negli occhi. Il volto di mio padre è lacerato dal dolore, tuttavia non può tradire l’immagine che la sua famigli si è fatta di lui. Momenti infiniti di silenzio intercorrono in quella stanza. Non ci entrerò più per un po’. Ho deciso, comincio io: “ come mai qui?”. Domanda retorica, sapevamo tutti e tre benissimo il motivo che aveva spinto mio padre a tornare nella casa che tanto lo costringeva. Storse la bocca e sentenziò – fuori di qui, io odio i diversi. Mia mamma singhiozzava sempre più forte, fino a urlare straziata il mio nome.

Le persone parlano, l’avrei dovuto sapere. L’avrei dovuto prevedere. Uno sguardo equivale ad un giudizio, spesso espresso a voce. I giudizi corrono sulle labbra di tutti, giungono a chi non dovrebbero giungere. Tuttavia la passione in quel fatidico momento era superiore a qualsiasi timore. Il mio affetto superava l’odio nei nostri confronti. La mia bocca sfiorò la sua, le nostre mani erano unite, come non dovessimo mai lasciarci. Il mio cuore batteva più che mai. Mi sforzo di capire perché non vada bene quel sentimento, ci penso e ci ripenso. Cerco risposte ovunque: nella politica, negli amici, in Dio. Sono assetato di verità, sono assetato della verità. Non la trovo.

Guardo per un’ultima volta il mio letto, ricordo le emozioni trascorse sotto quel tetto. La valigia è pesante, fatico a trascinarla fino all’entrata. Non c’è nessuno a salutarmi, né mia mamma, né mio padre, né il mio cane. L’hanno rinchiuso nella gabbia appositamente costruita. Mi chiedo dove andrò. Non ho un posto dove stare, non ho nessuno dal quale andare. Indosso la giacca ed esco. Lascio la valigia in casa, non mi serve. Rimango immobile per qualche minuto a contemplare la mia vita che mi sfugge dalla mani. Il freddo mi penetra le ossa, sfonda il mio corpo e distrugge tutto ciò che trova. Produce un rumore assordante, devo tapparmi le orecchie per non sentire. I miei piedi distruggono l’eleganza che la natura ha creato in due giorni: dalla perfezione alla deformità. Dal ‘che bravo ragazzo’ al ‘ è contro natura’. Continuo ad avanzare imperterrito con le mani sulle orecchie. Gli occhi mi si bagnano di nostalgia, le lacrime del ricordo mi percorrono le guance. Un’altra vita, ecco cosa desidero. Un’altra vita ,ecco cosa ricerco.

I fiocchi interrompono il loro lavoro, le nuvole si allontanano. I raggi del sole mi inondano, non ho più freddo, non ho più paura.

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Silverselfer

ghiacciato asfalto della strada

 

In prosa è più giusto dire "l'asfalto della strada ghiacciato". Ovviamente in italiano non è un errore, ma i poeti sono sempre dei pessimi prosatori ... troppo enfatici. Voltaire del resto lo diceva che la poesia è un'arte superiore. La prosa parla in modo semplice e ti consiglio di mettere in pratica quello che Simenon insegnava, cioè che nella prosa bisogna sempre dire le cose con una parola in meno e mai in più. Nonostante io preferisca i narratori anglosassoni, Simenon forse, da latino, ci ha detto qualcosa a cui si è costretto per prima lui. Le onde di Virginia Wolf, quello secondo me è il massimo estremo che la prosa si possa permettere sconfinando della poesia.

 

In ogni modo il racconto è bellino, immagino che nel mondo esterno la tematica gay tiri molto, ma qui, se ti vai a leggere i coming out nella sezione apposita, ne leggerai di storie vere anche molto più commoventi e coinvolgenti. Sia chiaro che non critico l'evento in sé, magari si tratta di vita vissuta, non lo so, io mi riferisco al prodotto letterario su cui ci devi sicuramente lavorare ancora sopra.

 

Spero che posterai ancora altri racconti ... io li leggerò volentieri.

 

Buona vita mon choeur ;)

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Si tranquillo non è basato su un preciso coming out, non è vita reale. Non credo che potrei riuscire a descrivere con convinzione le emozioni di un preciso ragazzo. Ho voluto estremizzare l'esperienza che è di molti (infatti non ho mai detto che parla di un ragazzo gay, l'hai intuito tu :D ), l'ho generalizzata, in modo che sfiorasse il reale. Tu mi hai dato conferma del mio esperimento ahah :) Grazie del prezioso commento! Ps lo so, sono molto noioso nel narrare, purtroppo è un po' la mia croce :o

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Silverselfer

... ho scritto enfatico ..... non noioso. E poi sarebbe meglio scrivere "l'asfalto ghiacciato della strada" o "La strada dall'asfalto ghiacciato" o "il ghiaccio dell'asfalto stradale" o "il ghiaccio asfaltato della strada" ... beh, magari l'ultima è opinabile. Ma insomma, non fare che per aver avuto la sfiga di non essere commentato dal solito "ma è bellissimo", ora non posterai più nulla ...

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