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Adrian


messermanny

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Piccola premessa:

 

Testo buttato di getto, contiene un linguaggio colorito, ergo, se cercate metafore e virtuosismi letterari non fa per voi. In compenso è brevissimo! *_*

 

Adrian

Di Messermanny

 

 

Adrian è un uomo, nel corpo e nella mente.

Per questo odia le bambole, simbolo ultimo dell’infanzia al femminile, ed è anche stereotipato visto che prova come un senso di disgusto quando ne tiene una in mano. Personalmente crede che avrebbe fatto bene a dare fuoco a tutte quelle della sorella a tempo debito, e che come tutti ha lasciato correre quella possibilità davanti ai suoi occhi, insomma dice lui che non ha preso il treno.

Perché i treni fischiano, come il Pirandello scriveva, sono mezzi che ti fanno andare oltre un confine o tornare all’interno di esso, i treni sono la metafora – ma non sono – dello spostamento su lunga distanza. Perciò a lui faceva anche ridere il fatto che una carrozza degli anni ’50 potesse trasportarlo oltre il labile confine della sua “visione delle cose”.

Adrian è una persona, in tutto quel che fa, è umano.

Per questo odia i test di laboratorio su animali, soprattutto su quelli che poi si dovranno mangiare, o che potrebbero finire inscatolati in un supermercato. Già odia le bambole, figurarsi un maiale col rossetto, e poi perché sperimentare su un animale un prodotto non per animali. Se gli esser umani volessero un rossetto, che lo sperimentassero su di loro, ed amen.

Amava crocifiggere il senso comune, mettere in croce la visione di tutti per far emergere la sua, il suo vedere il bicchiere mezzo vuoto. Adrian è pessimista.

Ma anche perché non poté altrimenti, quella volta che i ladri gli entrarono in casa lui era a letto, li udì, ma che poteva farci. Urlò, o almeno, ci provò. Ma che poteva fare d’altro, quelli entrarono e presero tutto, persino nella camera da letto quando se lo trovarono davanti che provava ad urlare, contorcendosi dallo sforzo, risero di lui. E quando se ne andarono lui al contrario pianse, per ore, ricordava solo quello, pianse per ore intere senza smettere, urlare non ci riusciva e piangere gli faceva male all’addome. In quell’istante morì come in tanti altri. Adrian era un fenice.

Una vecchiaia suonata, come una scarpa rotta ed una puzza di merda che acre arrivava al naso, la sua vita era stata pertanto questa e all’alba di quest’anno tendeva a rivalutarla aggiungendoci un malsano color vomito da qualche parte. Ne aveva passate di cotte e di crude, pertanto aveva visto ed immaginato, sperato, sognato, sentito, assaporato, mangiato, digiunato ed una serie infinita di roba che gli veniva in mente. Ogni volta era risorto, ogni volta andato avanti come un panzer dritto alla meta, col cannone puntato come di regola e pronto a far fuoco. Era una macchina da guerra che ora non serviva a niente, inutile in un mondo che in guerra non c’è poi più di tanto. O meglio sì, è in guerra e lo è sempre, solo che manco la noti e le uniche notizie che hai sono quelle del telegiornale mentre davanti a te c’è la tua manciata di riso cotto.

Adrian è pertanto un panzer che va a riso, e quindi spara a zero su tutto e tutti dopo che ha visto sparare a zero su tutti e tutto, è ripetitivo nel suo essere, è una macchina. Si alza e si veste, fa tutto con movimenti ripetuti nello spazio e nel tempo, anche quando sua figlia gli disse che non ci avrebbe avuto più nulla a che fare, o quando sua moglie morì di cancro nel suo letto, si prese con calma il suo caffè la mattina. Adrian amava il caffè come un vero uomo, e come tale il suo gusto amaro gli entrava nel sangue convivendo con un’ulcera che lo sfiancava. È tutto questo, un senso interdetto alla maggior parte di noi, è come un fascio di luce in un mondo d’ombra o forse di più, è come un Dio che non viene compreso perché troppo rude, o troppo veritiero. Come se Gesù Cristo avesse detto che avrebbe messo al rogo le puttane, Adrian non è Gesù, ma in fondo fosse per lui metterebbe al rogo un sacco di gente.

 

Adrian era diverso, era cambiato tempo fa, era un altro. Da ragazzo era sensibile, portato all’empatia com’era portato all’amore disinteressato, era un vero Dio, di quelli con le palle. E dopotutto sperava persino nella pace del mondo.

Per questo piangeva le notti, ogni tanto, da solo come sempre. Perché non si riconosceva più, non parlava e manco poteva, però i suoi occhi lo tradivano. Lui aveva visto tutto, e troppo, era morto quasi definitivamente e la lingua che non possedeva era un ricordo. Erano gli anni degli ariani, erano i suoi anni, erano i suoi sentimenti, erano le sue storie portate vie come si toglie un coltello dalle mani di un bambino piccolo. Era morto lì il suo cuore, rinato dopo, trasformato in pietra.

Non serviva a niente essere sensibile se ciò portava al dolore, meglio non lasciarsi trasportare come si dovrebbe fare, meglio essere impassibili alle richieste d’aiuto di un compagno e altrettanto fermi quando questo viene fucilato davanti ai tuoi occhi. E alla fine meglio non essere empatici, che ad immaginare quel che prova una persona che muore ci si fa solo danni, e viene il voltastomaco.

 

Adrian è alla banchina della metro.

Ottantasette anni passati a morire dentro e a percorrere una vita senza viverla, non era mai vissuto, era solo esistito. Era alla banchina della metro, come lei, condivideva il destino. Andare e correre finché non ci si rompe, ed i medici avevano riparato lui come i meccanici il treno. Andare dritti come un panzer fino alla meta, carrarmato di bulloni e di emozioni. Un minuto ed i due avrebbero condiviso la fine, un minuto e sarebbe redento. Sentì la puzza di merda che acre arrivava al naso, la sua vita era stata pertanto quella e all’alba di questa giornata aveva ormai aggiunto tutti i decori color vomito.

 

Il cuore gli batté ancora, il treno.

 

 

Il treno aveva fischiato.

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Silverselfer

Adrian è un uomo, nel corpo e nella mente.

Per questo odia le bambole, simbolo ultimo dell’infanzia al femminile, ed è anche stereotipato visto che prova come un senso di disgusto quando ne tiene una in mano.

 

Adrian è una persona, in tutto quel che fa, è umano.

Per questo odia i test di laboratorio su animali, soprattutto su quelli che poi si dovranno mangiare, o che potrebbero finire inscatolati in un supermercato. Già odia le bambole, figurarsi un maiale col rossetto,

 

Amava crocifiggere il senso comune, mettere in croce la visione di tutti per far emergere la sua, il suo vedere il bicchiere mezzo vuoto. Adrian è pessimista.

 

urlare non ci riusciva e piangere gli faceva male all’addome. In quell’istante morì come in tanti altri. Adrian era un fenice.

 

Una vecchiaia suonata, come una scarpa rotta ed una puzza di merda che acre arrivava al naso, la sua vita era stata pertanto questa e all’alba di quest’anno tendeva a rivalutarla aggiungendoci un malsano color vomito da qualche parte.

 

Ogni volta era risorto, ogni volta andato avanti come un panzer dritto alla meta, col cannone puntato come di regola e pronto a far fuoco. Era una macchina da guerra che ora non serviva a niente, inutile in un mondo che in guerra non c’è poi più di tanto.

 

Adrian è pertanto un panzer che va a riso, e quindi spara a zero su tutto e tutti dopo che ha visto sparare a zero su tutti e tutto, è ripetitivo nel suo essere, è una macchina. Si alza e si veste, fa tutto con movimenti ripetuti nello spazio e nel tempo,

 

Adrian amava il caffè come un vero uomo, e come tale il suo gusto amaro gli entrava nel sangue convivendo con un’ulcera che lo sfiancava.

 

Adrian non è Gesù, ma in fondo fosse per lui metterebbe al rogo un sacco di gente.

 

Adrian era diverso, era cambiato tempo fa, era un altro. Da ragazzo era sensibile, portato all’empatia com’era portato all’amore disinteressato, era un vero Dio, di quelli con le palle.

 

Per questo piangeva le notti, ogni tanto, da solo come sempre. Perché non si riconosceva più, non parlava e manco poteva, però i suoi occhi lo tradivano. Lui aveva visto tutto, e troppo, era morto quasi definitivamente e la lingua che non possedeva era un ricordo.

 

Erano gli anni degli ariani, erano i suoi anni, erano i suoi sentimenti, erano le sue storie portate vie come si toglie un coltello dalle mani di un bambino piccolo. Era morto lì il suo cuore, rinato dopo, trasformato in pietra.

Non serviva a niente essere sensibile se ciò portava al dolore, meglio non lasciarsi trasportare come si dovrebbe fare, meglio essere impassibili alle richieste d’aiuto di un compagno e altrettanto fermi quando questo viene fucilato davanti ai tuoi occhi. E alla fine meglio non essere empatici, che ad immaginare quel che prova una persona che muore ci si fa solo danni, e viene il voltastomaco.

 

Adrian è alla banchina della metro.

Ottantasette anni passati a morire dentro e a percorrere una vita senza viverla, non era mai vissuto, era solo esistito.

 

Il cuore gli batté ancora, il treno.

 

 

Il treno aveva fischiato.

 

 

Ho sfrondato le digressioni un po' ridondanti per far emergere il ritratto di Adrian. Un profilo molto interessante. Quello di un anziano che ha perso il contatto con il presente. Curvo sotto il peso di una vita formata quando un uomo doveva avere le palle e non ammetteva debolezze. Quelle debolezze che patisce insieme all'ulcera ogni volta che beve il caffè come deve fare un vero uomo. Le lacrime che gli inaridiscono gli occhi lo uccidono ogni volta, costringendolo a rinascere, a rinascere ogni volta con un centimetro di cuore in meno.

 

Mi piace questo ritratto, lo trovo molto veritiero. Mi piace anche il modo in cui ne parli, senza fargli sconti. Il tono melodrammatico e sconsolato, molto colorato a tinte fosche, ne fanno un perdente di fascino.

 

Per dire, preferisco Adrian a quel ottuagenario che in questi giorni a Milano ha deciso di morire tra coca e puttane nell'albergo più costoso della città. Ma sarà che io ho un debole per le figure maledette ...

 

Bello, mi è piaciuto ... unico appunto, la struttura del capoverso e la progressione logica del discorso; se questi due aspetti fossero stati curati meglio, avrebbero valorizzato la tua capacità di creare immagini metaforiche brillanti. Ne cito solo due: Il panzer sempre puntato su una guerra che non c'è più e il delizioso maiale con il rossetto :yes:

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messermanny

Bé, sì Silver, non hai tutti i torti.

In realtà la piccola testolina di manny è contorta nel pensare, e si nota molto negli scritti buttati giù di getto; con la musica nelle orecchie e le lettere che scorrono.

 

La mia idea era proprio quella di creare una figura "maledetta", in effetti Adrian è un uomo che ne ha viste, ha quel carico di pessimismo e non nego d'aver pensato a "Maus" nel rileggere poi il raccontino.

Un aspetto che volevo fosse evidente era quello che "più vai avanti con gli anni, più diventi burbero, più sei rompi scatole" e di conseguenza più sei un carrarmato puntato verso il nulla.

 

Il maiale col rossetto è una chicca ;-)

 

Accetto con piacere i consigli *_*

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