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Brani letterari amati


Isher

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Desiderio di diventare un indiano

 

 

Se si potesse essere un indiano, subito pronto, sul cavallo in corsa, obliquo nell'aria, continamente fremendo sul suolo fremente, sino a lasciare gli speroni, perché non ci sono speroni, sino a gettare le redini, perché non ci sono redini e appena si vede la terra di fronte a sé, come una landa rasata, già senza collo né testa di cavallo.

 

Franz Kafka

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  • 2 weeks later...
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Top Posters In This Topic

  • conrad65

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  • Azthok

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Questa poesia è falsamente attribuita (su internet) a Borges. Al link tutte le spiegazioni necessarie. La pubblico perché anche se non è di Borges resta molto bella. E anche perché la storia della falsa attribuzione è molto istruttiva e divertente.

 

 

 

 

Istanti

 

Se potessi vivere di nuovo la mia vita.

Nella prossima cercherei di commettere più errori.

Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.

Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,

di fatto prenderei ben poche cose sul serio.

Sarei meno igenico.

 

Correrei più rischi,

farei più viaggi,

contemplerei più tramonti,

salirei più montagne,

nuoterei in più fiumi.

 

Andrei in più luoghi dove mai sono stato,

mangerei più gelati e meno fave,

avrei più problemi reali, e meno problemi immaginari.

 

Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto

della loro vita sensati e con profitto;

certo che mi sono preso qualche momento di allegria.

 

Ma se potessi tornare indietro, cercherei

di avere soltanto momenti buoni.

Chè, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,

di momenti: non perdere l'adesso.

 

Io ero uno di quelli che mai

andavano da nessuna parte senza un termometro,

una borsa dell'acqua calda,

un ombrello e un paracadute;

se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.

 

Se potessi tornare a vivere

comincerei ad andare scalzo all'inizio

della primavera

e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.

 

Farei più giri in calesse,

guarderei più albe,

e giocherei con più bambini,

se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo.

Edited by Isher
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non conoscevo il testo ma l'idea è stata ripresa da Franco Battiato all'inizio de "L'animale"

 

Vivere non è difficile

potendo poi rinascere

cambierei molte cose

un po' di leggerezza e di stupidità.

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  • 3 weeks later...

Had I not seen the Sun

I could have borne the shade

But Light a newer Wilderness

My Wilderness has made -

 

Emily Dickinson, n. 1233

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privateuniverse

Beh, non posso che replicare con questa.

 

I'm Nobody! Who are you?

Are you - Nobody - too?

Then there's a pair of us!

Don't tell! they'd banish us - you know!

 

How dreary - to be - Somebody!

How public - like a Frog -

To tell your name - the livelong June -

To an admiring Bog!

 

 

Io non sono Nessuno! Tu chi sei?

Anche tu - sei - nessuno?

Bene allora saremo in due!

Ma non dirlo a nessuno

Ci caccerebbero - e tu lo sai!

 

Che orrore - essere - Qualcuno!

Che volgarità - come una Rana -

che ripete il suo nome - tutto il mese di giugno -

a un pantano che la sta ad ammirare!

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Non ho capito se è un topic per la prosa o la poesia, in ogni caso vi presento un pezzetto di

"The Raven" di Edgar Allan Poe. Dietro uno stile scorrevole ed incalzante, nell'apparizione

di un tetro corvo profetico, io vedo solo un uomo fragile e malinconico che ricordando la propria

amata ingigantisce le proprie paure.

 

[...]

Ah, distinctly I remember it was in the bleak December,

And each separate dying ember wrought its ghost upon the floor.

Eagerly I wished the morrow; - vainly I had sought to borrow

From my books surcease of sorrow - sorrow for the lost Lenore -

For the rare and radiant maiden whom the angels named Lenore -

Nameless here for evermore.

 

And the silken sad uncertain rustling of each purple curtain

Thrilled me - filled me with fantastic terrors never felt before;

So that now, to still the beating of my heart, I stood repeating

`'Tis some visitor entreating entrance at my chamber door -

Some late visitor entreating entrance at my chamber door; -

This it is, and nothing more,'

 

Presently my soul grew stronger; hesitating then no longer,

`Sir,' said I, `or Madam, truly your forgiveness I implore;

But the fact is I was napping, and so gently you came rapping,

And so faintly you came tapping, tapping at my chamber door,

That I scarce was sure I heard you' - here I opened wide the door; -

Darkness there, and nothing more.

 

Deep into that darkness peering, long I stood there wondering, fearing,

Doubting, dreaming dreams no mortal ever dared to dream before;

But the silence was unbroken, and the darkness gave no token,

And the only word there spoken was the whispered word, `Lenore!'

This I whispered, and an echo murmured back the word, `Lenore!'

Merely this and nothing more.

 

Back into the chamber turning, all my soul within me burning,

Soon again I heard a tapping somewhat louder than before.

`Surely,' said I, `surely that is something at my window lattice;

Let me see then, what thereat is, and this mystery explore -

Let my heart be still a moment and this mystery explore; -

'Tis the wind and nothing more!'

 

Open here I flung the shutter, when, with many a flirt and flutter,

In there stepped a stately raven of the saintly days of yore.

Not the least obeisance made he; not a minute stopped or stayed he;

But, with mien of lord or lady, perched above my chamber door -

Perched upon a bust of Pallas just above my chamber door -

Perched, and sat, and nothing more.

 

Then this ebony bird beguiling my sad fancy into smiling,

By the grave and stern decorum of the countenance it wore,

`Though thy crest be shorn and shaven, thou,' I said, `art sure no craven.

Ghastly grim and ancient raven wandering from the nightly shore -

Tell me what thy lordly name is on the Night's Plutonian shore!'

Quoth the raven, `Nevermore.'

[...]

 

 

Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre,

e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.

Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre

dai miei libri un sollievo al dolore - al dolore per la mia perduta Eleonora,

e che nessuno chiamerà in terra - mai più.

 

E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea,

facendomi trasalire - mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima,

sicchè, in quell'istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo:

« È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza.

« Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza;

è questo soltanto, e nulla più ».

 

Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo:

« Signore - dissi - o Signora, veramente io imploro il vostro perdono;

« ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente,

« e voi sì lievemente bussaste - bussaste alla porta della mia camera,

« che io ero poco sicuro d'avervi udito ». E a questo punto, aprii intieramente la porta.

Vi era solo la tenebra, e nulla più.

 

Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito

sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare;

ma il silenzio rimase intatto, e l'oscurità non diede nessun segno di vita;

e l'unica parola detta colà fu la sussurrata parola «Eleonora!»

Soltanto questo, e nulla più.

 

Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme;

ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.

« Certamente - dissi - certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra ».

Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.

È certo il vento, e nulla più.

 

Quindi io spalancai l'imposta; e con molta civetteria, agitando le ali,

si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d'altri tempi;

egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante

ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera,

s'appollaiò, e s'installò - e nulla più.

 

Allora, quest'uccello d'ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere,

con la grave e severa dignità del suo aspetto:

« Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso - io dissi - tu non sei certo un vile,

« orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte

« dimmi qual'è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte! »

Disse il corvo: « Mai più »

Edited by dreamer_
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"... Non vogliate negar l'esperienza

di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza"

 

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120)

Adoro questi versi....

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  • 4 weeks later...

La bellezza di un capello fuori posto in un coiffeur d'alta classe

 

Ha un'autobomba. Inserisce la chiave nel blocchetto e la gira. La macchina esplode.

Esce, apre il cofano e controlla. Chiude il cofano e torna dentro. Gira la chiave. La macchina esplode.

Esce e sbatte la portiera, disgustato. Prende a calci la ruota. Si toglia la giacca e scivola sotto il telaio. Tossisce. Riscivola fuori e e si pulisce la camicia macchiata di grasso. Si rimette la giacca. Entra. Gira la chiave. La macchina esplode in un fuoco d'artificio di lamiere, disintegrando finestre per interi isolati.

Esce e bestemmia. Chiama un carro attrezzi. Rimorchiano la macchina fino a una stazione della Exxon. Il meccanico entra e gira la chiave. La macchina esplode, distruggendo la pompa di benzina. L'insegna rossoblu della Exxon scoppia come un palloncino.

Il meccanico esce.

"Ha un'autobomba" dice.

L'altro sgrana gli occhi.

"Questo lo so già" risponde.

 

(da "Mio cugino, il mio gastroenterologo" di Mark Leyner)

Edited by conrad65
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San Martino- Giosuè Carducci

 

 

La nebbia a gl'irti colli

Piovigginando sale,

E sotto il maestrale

Urla e biancheggia il mar;

 

Ma per le vie del borgo

Dal ribollir de' tini

Va l'aspro odor de i vini

L'anime a rallegrar.

 

Gira su' ceppi accesi

Lo spiedo scoppiettando:

Sta il cacciator fischiando

Su l'uscio a rimirar

 

Tra le rossastre nubi

Stormi d'uccelli neri,

Com'esuli pensieri,

Nel vespero migrar

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  • 2 weeks later...

DIARIO SEGRETO DI FRODO BAGGINS

Giorno 1: Mi sento molto meglio, dopo un bel pisolino a casa di Elrond. E poi, Sam mi ha fatto un favoloso bagno con la schiuma ed un grandioso massaggio alla schiena. Oh, l'amore platonico e fraterno e' stupendo. Non son del tutto sicuro del perche' insistesse a succhiarmi gli alluci,ma credo che abbia a che fare con la medicina elfica. ---

Giorno 3: Ho acconsentito a portare l'Anello a Mordor. Pensandoci a posteriori pessima mossa, probabilmente. ---

Giorno 4: Aragorn e Boromir han litigato su chi dovesse portarmi a spalla sul Caradhras. Aragorn ha infilato Boromir in un cumulo di neve. Boromir ha morso Aragorn sull'orecchio. L'anello deve influenzarli piu' seriamente di quanto credessi. ---

Giorno 6: Svegliandomi mi son trovato Aragorn sopra, che giocherellava coi bottoni della mia giacca. Dev'esser tentato dall'Anello. Maledetto il suo richiamo di Sirena. Bah, tanto Sam lo uccidera' se solo tenta qualcosa. ---

Giorno 10: Oggi Legolas ha cominciato a darmi colpetti sull'interno coscia col suo arco. Sono rimasto allibito. Non credevo che anche lui bramasse l'Anello. Dev'essere davvero un oggetto dal potere terribile. ---

Giorno 11: Gandalf mi ha mostrato gli strani trucchetti che sa fare. Pare che i puntuti cappelli dei Maghi non siano li' solo per bello. Mi chiedo se l'anello non stia influenzando anche lui, o se semplicemente non sia un tipo un po' peculiare. ---

Giorno 24 : Finalmente sono riposato. Nelle Miniere era così scuro che Aragorn non riusciva a trovarmi per darmi pizzicotti, come ha fatto sempre ultimamente. Whew. Gandalf e' caduto nell'ombra. E' stato un peccato veder svanire il suo cappello a punta. ---

Giorno 27 : Lothlorien e' cosi' graziosa. Ed anche Galadriel. Le ho offerto l'Unico Anello, ma lei lo ha rifiutato dicendo "No, e' ben altro ch'io desidero da te, Frodo Baggins" e cercando di far scivolare i piedi nei miei pantaloni. Le ho regalato il mio paio di pantaloni di riserva, visto che le piacevano tanto. Dev'esserci una sorta di penuria di braghe a Lothlorien. ---

Giorno 30 : Navigato tutto il giorno in barca. Che stancata. Merry e Pipino si son offerti di farmi un massaggio di gruppo. E' bello avere amici tanto premurosi. Sono contento che l'Anello non li tenti. Sebbene peraltro non avessi bisogno di esser massaggiato con insistenza sulla schiena ed in altre parti del corpo. Pipino si ricorda che siamo cugini, sicuro? Sicuro? ---

Giorno 33 : Boromir ha cercato di prendere l'Anello. Non ne sono certo, ma mi e' sembrato che volesse anche coccolarmi. E' una cosa snervante, quel tipo e' cosi' enorme. ---

Giorno 36 : Tutti mi stanno attaccati. Non lo sopporto piu'. Via, verso Mordor. E' venuto anche Sam. Bella cosa, cosi' potro' farmi fare altri di quei fraterni e platonici massaggi in cui e' tanto bravo. Mi spiace lasciare il resto della Compagnia, soprattutto perche' spesso mi accarezzava l'idea di flirtare con Gimli. Quelle rozze treccione ed il suo elmetto erano talmente sexy. Ah, tanto non gli sarei mai piaciuto, comunque.

Edited by Aizen
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questo topic mi sembra davvero serioso, quindi ho deciso di devasta... no volevo dire, di postare una poesia :uhsi:

 

UNA DONNA NERA

Ho visto una donna nera partorire per strada,

nessuno l'aiutava,

nessuno muoveva un dito...

Ho visto una donna nera partorire per strada,

e stava lì;

e non si muoveva.

Chiedeva aiuto,

ma nessuno faceva nulla.

Ho dovuto chiamare io l'ambulanza, fosse per loro

l'avrebbero lasciata lì tutta una notte

e magari il giorno dopo

e quell'altro ancora...

Mò lo devo scrive pure in africano:

<PASSO CARRABILE>.

 

C. Guzzanti

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questo topic mi sembra davvero serioso, quindi ho deciso di devasta... no volevo dire, di postare una poesia

ti consiglio di leggere il brano postato sopra al tuo allora LoL
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l'ho letto, molto carino :)

ne approfitto per postare un'altra poesia senza incorrere nelle ire da doppio post

 

UN AMORE URBANO

No, non biasimarti

se ora vado con lei; non è per i tuoi errori.

Tu non hai colpe,

nessuno ha colpa di essere soo ciò che d'è!

Non chiedermi se lei è più bella di te,

mi credi così superficiale?

Ciò che lei può darmi è qualcosa di più della bellezza.

Non piangere adesso.

Non chiedermi se lei è più giovane di te,

mi credi così cinico?

Ciò che lei può darmi è qualcosa di più

di un fatuo sentimento.

Non piangere.

adesso lei è qui fuori che mi aspetta

... su una Volvo colla targa dispari!!

 

C. Guzzanti

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  • 2 weeks later...

IO SONO IL MALE

Io sono l'angelo della morte...

tornato dall'inferno

alla luce dei vivi

dove il sangue tiepido delle membra innocenti

attira come miele la mia gola assetata...

Io sono l'angelo del male

disceso a baloccarsi coi mortali,

il mio stomaco aperto alle vostri carni bianche

attende impaziente il suo macabro pasto

Io sono l'angelo della morte...

di chi è il Renault 5 in seconda fila?

 

Corrado Guzzanti

 

PS fermatemi prima che le posto tutte :awk:

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  • 3 weeks later...

Vorrei mettere tutta la scena, ma mi limiterò al tratto che mi piace veramente di più:

 

ERMIA. Gran sorgente di mali è la disuguaglianza nell'amare.

 

LISANDRO. Una diversità di anni...

 

ERMIA. Peggio ancora che l'autunno sia unito alla primavera.

 

LISANDRO. Ora una scelta forzata dalle cieche brame d'amici imprudenti...

 

ERMIA. Infernal cosa scegliere l'oggetto dei propri amori cogli occhi altrui.

 

LISANDRO. O se si trova dolcezza nella scelta, la guerra, la morte o i mali vengono ad annullarla; la felicità dell'amore passa come un suono, scompare come un'ombra, non dura che l'istante di un sogno, svanisce come il lampo in una notte tenebrosa, che in un volger d'occhi rischiara il cielo e la terra; e prima che alcuno abbia avuto il tempo di dire, mirate! le tenebre l'hanno inghiottito: tanto tutto ciò che è splendido e glorioso cade rapidamente nel desolante caos!

 

ERMIA. Se i veri amanti son sempre stati attraversati, ed è legge stabilita dal Destino, apprendete dunque a subirla con pazienza, poiché è una sciagura ordinarie e così Inevitabile, come i pensieri, i sogni, i sospiri, i desideri e le lagrime sono inseparabili da un cuore tocco di mal d'amore.

 

Sogno di una notte di mezza estate - William Shakespeare

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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

 

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, Eugenio Montale

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" Seguimi, lettore! Sia recisa la lingua infame al mentitore che ha negato l'esistenza di un amore autentico, fedele ed eterno sulla terra!"

 

 

Il maestro e Margherita, Michail Bulgakov

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Un giorno io ho perso una parola/sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta/ Non amo i dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non aveva voci/ Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta./ Io le mie poesie le ho buttate/ non avevo fogli su cui scriverle./ Poi mi si sono avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio/ qualcuno mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato./ Pensavo che per loro non c’erano semafori, castelli e strade./ Questo posto sgangherato come il mio cervello che ha trovato solitudini./ Poi è venuto un santo che aveva qualcosa da dare/ un santo che non aveva le catene,non era un malfattore,/ l’unica cosa che avevo avuto in questi anni./ L’avrei seguito/ finché un giorno non sapevo più innamorarmi./ È venuto un santo che mi ha illuminato come una stella./ Un santo mi ha risposto: perché non ti ami? È nata la mia indolenza./ Non vedo più gente che mi picchia e non vedo più i manicomi./ Sono morta nell’indolenza.

 

Alda Merini

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  • 2 weeks later...
privateuniverse

«Già» disse Wüllersdorf quando ebbe ripiegato il foglio, «è superiore a noi.»

 

«Trovo anch’io. »

 

«E questo è il motivo per cui tutto il resto le sembra così discutibile. »

 

«Ha ragione. È molto che ci penso e queste semplici parole con la loro accusa voluta, o forse ancora involontaria, sono tornate a sconvolgermi. Sono anni che mi tormento e vorrei che questa storia finisse, niente mi piace più; quanto più vengo investito di onori, tanto più sento che non hanno valore. La mia vita è rovinata e così tra me e me ho anche pensato che dovrei rinunciare a tutte queste ambizioni e vanità e potrei impiegare la pedanteria, che è la mia caratteristica dominante, per fare il sovrintendente alla morale. Ce ne sono stati. Dunque, se funzionasse, potrei diventare una di quelle figure tristemente famose com’è stato per esempio il dotto Wichern nel Rauhes Haus di Amburgo, quell’uomo dei miracoli che divora i delinquenti con lo sguardo e la devozione…»

 

«Uhm, non c’è niente da dire, potrebbe funzionare. »

 

«No, è impossibile. Anche questo è impossibile. Per me tutte le strade sono chiuse. Come posso conquistare l’anima di un assassino? Per farlo bisogna essere personalmente integri. E quando non lo siamo più e abbiamo anche noi qualcosa sulla coscienza, dobbiamo almeno recitare la parte del penitente pazzo davanti ai confratelli che vogliamo convertire e saper dimostrare una gigantesca compunzione. »

 

Wüllersdorf annuì.

 

«…Ecco, vede, lei annuisce. Ma io non posso più farlo. Non posso portare il cilicio e neppure fare il derviscio o il fachiro che danza fino alla morte accusando se stesso. E perciò, visto che è impossibile, ne ho escogitata una migliore: me ne andrò da qui, via, lontano, tra uomini neri come la pece che non sanno nulla di cultura e di onore. Gente felice. Perché è proprio questo, proprio questo ciarpame il colpevole di tutto. Per passione, che in fondo potrebbe ancora andare, non si fanno queste cose. Soltanto per delle idee…idee!...E qualcuno poi crolla, e allora crolliamo anche noi. Ma in modo peggiore. »

 

«Macché, Innstetten, sono stati d’animo, capricci. Finire in mezzo all’Africa, ma cosa vuol dire? Va bene per un sottufficiale pieno di debiti. Ma un uomo come lei! Vuol presiedere con un fez rosso in testa una riunione di africani o stringere un patto di sangue con un genero di re Mtesa [imperatore dell’Uganda dell’epoca che favorì le esplorazioni di Stanley e altri]? Oppure vuole andarsene alla cieca lungo il Congo con in testa un casco coloniale con sei buchi sopra e ritrovarsi poi nel Camerun o giù di lì? Impossibile! »

 

«Impossibile? Perché? E se è impossibile, cos’altro posso fare? »

 

«Semplicemente rimanere qui e praticare la rassegnazione. E chi non è avvilito? Chi non dice ogni giorno: “È proprio una storia discutibile”? Lei non sa che ho anch’io il mio fardello da sopportare, non proprio come il suo ma nemmeno molto più leggero. È una sciocchezza quest’idea di andarsene in giro per la foresta vergine o passare la notte in un termitaio; se a qualcuno piace, faccia pure, ma non è cosa per noi. Stare sulla breccia e resistere fin quando si cade, è questa la soluzione migliore. Ma prima ricavare tutto quanto è possibile dalle cose piccole e infime e avere un occhio attento alle viole che sbocciano o al monumento della regina Luisa pieno di fiori o alle bambine che che saltano la corda con le polacchine ai piedi. Oppure andare a Potsdam ed entrare nella Friedenskirche, dove riposa l’imperatore Federico e dove soltanto ora stanno cominciando a costruirgli un sepolcro. E quando sarà lì, pensi alla vita che è toccata a lui, e se nemmeno allora si sarà dato pace vorrà dire che per lei non c’è niente da fare.»

 

«D’accordo. Ma l’anno è lungo e ogni singolo giorno…E poi la sera. »

 

«La sera è sempre il problema più facile. C’è Sardanapalo oppure Coppelia con la Dell’Era [due famosi balletti e una

famosa ballerina dell’epoca] e quando sono finiti c’è Siechen [una birreria]. Non è affatto da disprezzare. Tre boccali aiutano sempre a darsi pace. Ce ne sono molti, molti altri nella nostra stessa situazione, e uno al quale le cose erano andate davvero storte una volta mi ha detto: “Mi creda, Wüllersdorf, senza ‘puntelli’ non si va avanti”. Quello che me l’ha detto era un costruttore edile e doveva ben saperlo. E la frase era giusta. Non passa giorno che non mi ricordi i “puntelli”. »

 

Dopo essersi sfogato, Wüllersdorf prese cappello e bastone. E Innstetten, che alle parole dell’amico doveva essersi ricordato delle sue precedenti considerazioni sulla «piccola felicità», annuì, approvando in parte, e sorrise tra sé.

 

«E dove va adesso, Wüllersdorf? È ancora troppo presto per il ministero. »

 

«Oggi mi prendo una giornata libera. Prima una passeggiata di un’ora lungo il canale, fino alla chiusa di Charlottenburg e ritorno. E poi una visitina da Huth [rinomata enoteca], nella Potsdamerstraße, salirò la scaletta di legno con molta attenzione. Sotto c’è un negozio di fiori. »

 

«E la rende felice? Le basta? »

 

«Non voglio dire che basti. Ma aiuta un po’. Ci trovo diversi ospiti fissi, gente cui piace farsi un bicchiere mattutino e di cui saggiamente tacerò il nome. Uno poi parlerà del duca di Ratibor, l’altro del principe vescovo Kopp e il terzo addirittura di Bismarck. Qualcosa resta sempre. Per tre quarti sono storie che non tornano, ma purché siano spiritose non si sta tanto a discutere e si ascolta con gratitudine. »

 

E così dicendo se ne andò.

 

Theodor Fontane, "Effi Briest"; traduzione di Silvia Bortoli.

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  • 2 weeks later...

O capitano! Mio capitano!

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,

la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,

vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,

occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;

ma o cuore! Cuore! Cuore!

O gocce rosse di sangue,

là sul ponte dove giace il Capitano,

caduto, gelido, morto.

O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;

risorgo – per te è issata la bandiera – per te squillano le trombe,

per te fiori e ghirlande ornate di nastri – per te le coste affollate,

te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;

ecco Capitano! O amato padre!

Questo braccio sotto il tuo capo!

E' solo un sogno che sul ponte

sei caduto, gelido, morto.

Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,

non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,

la nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,

la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;

esultate coste, suonate campane!

Mentre io con funebre passo

Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,

caduto, gelido, morto.

 

Walt Whitman

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Acqua chiusa

 

Quando al colmo della festa, meravigliosamente ubriachi, ci sentiamo prossimi al dominio del mondo, può accadere che per bisogno abbandoniamo il salone del Grand Hotel (o del castello in riva al mare) e di soppiatto ci si ritiri nella cosiddetta toilette. Senza timore entriamo per liberarci; e che pericolo potrebbe esserci mai nel quieto rifugio? Ma qui non splendori di donne e di crisopazi, non musica né danze né risa (tutto questo essendo rimasto di là dalla porta a vitrages, stranamente lontano). Bensì solitudine e pace come in un tempio abbandonato. Un'incerta eco di suoni arriva attraverso i muri, flebile richiamo. Ma dagli specchi ci guarda un volto insieme vecchissimo e nuovo che conosciamo, ahimè, troppo bene; mai però ci era apparso così pallido, sarcastico e complessivamente desolato. E dal silenzio profondo, sopra la pallida eco del tango, il mormorio dell'acqua, scivolante giù dai grandi orinatoi di maiolica, a tradimento ci parla con accento umile e amico, bonariamente ricordandoci le miserie dell'uomo e le speranze perdute. Talora anche un tubo, chissà dove, gorgoglia, ed accenna in termini vaghi al domani quale sarà. Ci sfugge il dominio del mondo e, rimestando sempre la voce degli orinatoi entro i pensieri nostri amari, scuotiamo il capo allo scopo di vedere l'altro, quella faccia ebete, nello specchio, farci cenno di no.

Troppo tardi per sottrarci e tornare intatti di là. Con che cinismo l'amico in frac così simile a noi, ci fissa dal vetro. La Pia è già smarrita tra le braccia del conte, Annalisa ha già detto di no e la giovane sconosciuta dalla bocca provocante ha evidentemente già stretto un patto con l'affascinante Pietruccio, inutile tornare di là. E in quanto a bere, non parliamone neanche, perché è tanto se ci reggiamo ancora in piedi. Che triste scherzo, tutto questo è successo per essere capitati qua dentro. Dove la magica felicità per cui poco fa si volava invincibili sopra le turbe? Continua a scuotere il capo stupidamente quel pallido ed equivoco tipo della nostra identica statura, di là, nello specchio, a rammentarci la rapidità della vita (non si è neanche usciti di casa per andare alla festa e già il cielo schiarisce, escono i camioncini dei lattai, l'orchestra ripone negli astucci flauti e violini e ci si domanda come mai).

Prudenza, vogliamo dire, anche con le toilettes dei grandi alberghi, le loro luci sibilline, quel silenzio, quella gelida serenità, gli specchi, la sediziosa voce dell'acqua, simile agli scoli misteriosi delle montagne negli anni andati, la quale parla troppo vivamente grondando dai lucidi colonnati di maiolica (in tanto severo abbandono!). Diffidate dei vitrages smerigliati con lo stemma in trasparenza per cui si accede alle latrine, Dio, pazientissimo, giorno e notte ci insegue, dove meno si pensa ci attende all’agguato, non ha bisogno di croce o di altari, anche nei vestiboli di marmo sterilizzato che non si possono nominare egli viene a tentarci proponendoci la salvezza dell’anima.

 

Dino Buzzati

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privateuniverse

- Mi sono veramente spaventato oggi nella cappella di Eloisa, - disse Archilochos, - quando all’improvviso riconobbi la verità.

- E' sembrato anche a me, infatti, - confermò il Presidente.

- Quando la vidi seduto in chiesa, - confessò Archilochos, - con tutte le sue decorazioni, mi venne all’improvviso in mente che lei era venuto alle nozze solo perché lei con Cloe…

- Mi stimava molto? - chiese il vecchio.

- Lei era un modello di vita per me. La consideravo un accanito nemico dell’alcol, - notò timidamente Archilochos.

- È stata la stampa a mettermi in questo impiccio, - brontolò il Presidente della Repubblica, - e perché il governo conduce una campagna contro l’alcol, mi fotografano sempre con un bicchiere di latte in mano.

- Si dice anche…che anche moralmente lei sia assai rigido.

- È solo un’idea delle società femminili. Lei è astemio?

- E anche vegetariano.

- E ora mangia pollo e beve champagne?

- Non ho più nessun ideale.

- Mi dispiace.

- Sono tutti degli ipocriti.

- Anche Cloe?

- Lei sa esattamente chi è Cloe.

- La verità, - notò il Presidente della Repubblica, posando da una parte un osso di pollo rosicchiato e scostando un po’ il candelabro, - la verità è sempre fastidiosa, quando si scopre, e non solo in questioni di donne, ma per tutti e specialmente poi per quanto riguarda lo stato: anch’io qualche volta vorrei precipitarmi di corsa fuori dal mio palazzo, che anche da un punto di vista strettamente architettonico trovo orribile, come ha fatto lei nella cappella di Eloisa, ma non ho il coraggio e mi arrampico di nascosto su per il muro. Non voglio difendere nessuno, - continuò, - e meno che meno me stesso, è un campo questo di cui è difficile parlare convenientemente, e seppure, solo di nascosto, di notte, a quattr’occhi, perché ogni volta che se ne parla si tirano in ballo punti di vista e principi morali che non hanno niente a che fare e perché è così difficile distinguere le virtù, le passioni e i difetti degli uomini che è facile sorga l’odio e il disprezzo là dove dovrebbe esserci l’amore e la venerazione. Perciò le voglio dire solo una cosa, caro e buon amico: se c’è un uomo che io invidio, questo è lei e se c’è un uomo per cui temo, questo è pure lei. Dovevo dividere Cloe con molti altri, - disse dopo un po’, sdraiato sulla poltrona stile Biedermeier e informando Archilochos quasi con tenerezza, - era la regina di un regno oscuro ed elementare. Era una cortigiana. La più famosa della città. Non voglio mascherare la verità e sono troppo vecchio per farlo. Le sono grato di avermi dato il suo amore e non c’è persona cui io ripensi con maggior gratitudine. Poi ci ha abbandonato tutti ed è venuta da lei, sicché quel giorno che per lei era un giorno di gioia per noi era il giorno dell’addio e della riconoscenza.

 

[…]

 

- Per quanto riguarda lei, carissimo ed egregio amico, - continuò il Presidente dopo un po’, a voce bassa, accenendosi un piccolo sigaro biondo che il cameriere gli aveva porto (anche Archilochos fumava), - capisco perfettamente l’impeto dei suoi sentimenti. Chi nella sua situazione non si sentirebbe offeso! Ma sono proprio questi sentimenti così naturali che bisogna combattere, perché sono proprio loro che spingono ai più grandi eccessi! Non la posso aiutare, - chi lo potrebbe! -, io posso solo sperare che lei possa dimenticare un fatto che nessuno può negare, ma che diventa di poco conto e insignificante solo se lei avrà la forza di credere all’amore che le offre Cloe: il miracolo, avvenuto fra voi due, è possibile e credibile solo attraverso l’amore e al difuori di quest’amore diventa una farsa. Lei sta camminando su un ponte stretto, sopra pericolosi abissi, come i maomettani su una spada quando entrano nel loro paradiso, almeno così ho letto una volta. Ma prenda ancora un po’ di pollo, - disse invitando il suo attentatore impacciato, - è davvero eccellente ed è sempre una consolazione.

 

Archilochos era lì seduto, nella luce delle candele, sprofondato nel dolce tepore della stanza. Alle pareti erano appesi in pesanti cornici d’oro uomini di stato ed eroi defunti da tempo che lo guardavano pensosi, distaccati, sublimi, già nell’eternità. Una pace sconosciuta gli era entrata nell’anima, una misteriosa serenità, non dovuta alle parole del Presidente della Repubblica, cosa sono poi le parole, ma a quel suo modo bonario, paterno, gentile.

 

- Lei ha avuto una grazia, - notò ancora il vecchio, - e il motivo di questa grazia può essere duplice e dipende da lei quale esso sia: l’amore, se lei crede a questo amore, o il male, se lei non crede a questo amore. L’amore è un miracolo che è sempre possibile, il male è un fatto che esiste sempre. La giustizia condanna il male, la speranza vuole correggerlo e l’amore non ci bada. Solo l’amore può accogliere la grazia così com’è. Non c’è niente di più difficile, lo so. Il mondo è spaventoso e privo di senso. La speranza che ci sia un senso dietro a questo assurdo, dietro a tutti questi orrori, possono mantenerla solo coloro che nonostante tutto amano.

 

Tacque, e per la prima volta Archilochos poté ripensare a Cloe, senza orrore, senza raccapriccio.

 

Friedrich Dürrenmatt, “Greco cerca greca”

Edited by privateuniverse
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« Così la neve al sol si disigilla,

così al vento ne le foglie levi

si perdea la sentenza di Sibilla. »

(Dante, Paradiso XXXIII, 64-66)

 

 

 

 

« Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis

 

vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent:

Σίbυλλa τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθaνεῖν θέλω. »

 

[...]

Il Gange era basso, e le foglie flosce

Attendevano la pioggia, mentre nuvole nere

S’addensavano in lontananza, sul Himavant.

La giungla s’acquattava, ingobbita nel silenzio.

Allora parlò il tuono

DA

Datta: che cosa abbiamo dato?

Amico mio, sangue che mi scuote il cuore

La terribile audacia d’un momento d’abbandono

Che una vita di prudenza non potrà mai revocare

Per questo, e per questo soltanto, noi siamo esistiti

E non lo si troverà nei necrologi

Né nelle scritte in memoria drappeggiate dal benefico ragno

Né sotto i sigilli rotti dallo smunto notaio

Nelle nostre stanze vuote

DA

Dayadhavam: ho udito la chiave

Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto

Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione

Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione

Solo al calar della notte, eteree voci

Rianimano per un momento un distrutto Coriolano

DA

Damyata: la barca rispose

Gaiamente, alla mano esperta di vela e remo

Il mare era calmo, il tuo cuore avrebbe risposto

Gaiamente, all’invito, battendo obbediente

A mani capaci di controllare

Io sedetti sulla riva

A pescare, con l’arida pianura dietro di me

Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?

London Bridge is falling down falling down falling down

Poi s’ascose nel foco che gli affina

Quando fiam uti chelidon – O rondine rondine

Le prince d’Aquitaine à la tour abolie

Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine

Bè allora vi sistemo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.

Datta. Dayadhavam. Damyata.

Shantih shantih shantih

 

T.S. Eliot, La Terra Desolata

Edited by *Coronis*
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Mi ero ripromesso di non commentare mai i brani postati, ma debbo veramente esprimere entusiasmo per tutte

le ultime inserzioni, senza eccezioni, in particolare quelle di @misterbaby e @privateuniverse,

: Whitman, (tra i migliori suoi poemi), Shakespeare, il brano di Effi Briest che io non posso non

associare a Fassbinder, il post di Coronis, i versi di Montale e della Merini, Dürrenmatt, il motto di Bulgakov, e anche

la poesia di Carducci che mi ha fatto ricordare la mia 5a Elementare :)

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privateuniverse

In attesa del bis di Dürrenmatt, un piccolo bis di Fontane; una frase che mi si è impressa nella mente a lettere di fuoco (il grassetto è mio).

Quante volte mi è successo?

Quante volte sono stato Effi Briest?

E quante volte sono stato Innstetten?

 

 

Era consapevole della propria colpa, anzi, nutriva quel sentimento con una specie di zelo appassionato; ma, pure nella consapevolezza della propria colpa, provava un certo senso di rivolta nei confronti di Innstetten. Ha avuto ragione, si diceva, l'ha avuta, l'ha avuta, eppure alla fine ha avuto torto.

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  • 3 weeks later...

Ma alla fine, tuttavia, Orlando si interruppe. Al pari di ogni giovane poeta, era intento a descrivere la natura e, al fine di definire l'esatta sfumatura di verde, guardò l'oggetto in questione (mostrando in questo più audacia di tanti altri), che era per l'appunto un cespuglio di alloro che cresceva sotto la finestra. Poi, ovviamente, non riuscì più a scrivere. Una cosa è il verde in natura, altra cosa è il verde in letteratura. Si direbbe che fra natura e letteratura regni una naturale antipatia; mettetele insieme e si faranno a pezzi. La sfumatura di verde che Orlando vide in quel momento guastava la sua rima, e spezzava il metro.

 

V. Woolf, Orlando

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QuintoEmendamento

la fasciò di parole in rima, di verbi lunghi e strani che si baciavano con aggettivi caldi come braccia di madre. La circondò di strofe, onde che pareva scendessero dall’alto e cadessero sul corpo disteso della Rosa come fa il mare quando gioca; e poi petali di viole, tante parole di viola che la coprirono con il loro profumo fino a pungerle il naso.

[...]

Ma poi vide una lacrima scivolare dagli occhi della Rosa che pareva assopita, distesa sul prato tra le urla sconciate. Volse ancora lo sguardo, l'Annina, e vide suo padre giù in basso, che si era fermato e adesso, alzata la testa, la puntava in silenzio.

E fu in quell'istante, in quel preciso momento, che comprese l'abisso totale non tra due mondi, ma tra le persone. Le cose son cose, hanno una vita loro, hanno forme, pensieri, hanno età e persino un colore. Siamo noi a dividere, a costruire barriere, ad alzare, abbassare, a dire chi è buono e cosa invece è peggiore.

Annina capì la distanza tra la madre e l'Ulisse. La sentì forte, batterle il petto. Una botta improvvisa, una crepa sul cuore.

La ferita bruciante di un dolore perfetto.

( da "Il dolore perfetto" - Ugo Riccarelli)

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  • 3 months later...
Ladymoondust

  /.../  Though nothing can bring back the hour

of splendour in the grass, of glory in the flower

we will grieve not, rather find

Strenght in what remains behind

in the primal symphathy

Which having been must ever be

In the soothing thought that spring

of human suffering /.../

 

Intimation of immortality from Recollections of early childhood di Wordsworth <3

Edited by Ladymoondust
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  • 1 year later...

Davanti alla legge

          Davanti alla legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla legge. Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire. L'uomo dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. «Può darsi,» dice il guardiano, «ma adesso no.» Poiché la porta di ingresso alla legge è aperta come sempre e il guardiano si scosta un po', l'uomo si china per dare, dalla porta, un'occhiata nell'interno.

     Il guardiano, vedendolo, si mette a ridere, poi dice: «Se ti attira tanto, prova a entrare ad onta del mio divieto. Ma bada: io sono potente. E sono solo l'ultimo dei guardiani. All'ingresso di ogni sala stanno dei guardiani, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo riesce insopportabile anche a me.»

     L'uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, nel suo pensiero, dovrebbe esser sempre accessibile a tutti; ma ora, osservando più attentamente il guardiano chiuso nella sua pelliccia, il suo gran naso a becco, la lunga e sottile barba nera all'uso tartaro decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta.

     Giorni e anni rimane seduto lì. Diverse volte tenta di esser lasciato entrare, e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano sovente lo sottopone a brevi interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande fatte con distacco, alla maniera dei gran signori, e alla fine conclude sempre dicendogli che non può consentirgli l'ingresso. L'uomo, che si è messo in viaggio ben equipaggiato, dà fondo ad ogni suo avere, per quanto prezioso possa essere, pur di corrompere il guardiano, e questi accetta bensì ogni cosa, pero gli dice: «Lo accetto solo perché tu non creda di aver trascurato qualcosa.»

     Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi incessantemente; dimentica che ve ne sono degli altri, quel primo gli appare l'unico ostacolo al suo accesso alla legge. Impreca alla propria sfortuna, nei primi anni senza riguardi e a voce alta, poi, man mano che invecchia, limitandosi a borbottare tra sé. Rimbambisce, e poiché, studiando per tanti anni il guardiano, ha individuato anche una pulce nel collo della sua pelliccia, prega anche la pulce di intercedere presso il guardiano perché cambi idea.

     Alla fine gli s'affievolisce il lume degli occhi, e non sa se è perché tutto gli si fa buio intorno, o se siano i suoi occhi a tradirlo. Ma ora, nella tenebra, avverte un bagliore che scaturisce inestinguibile dalla porta della legge. Non gli rimane più molto da vivere.

     Prima della morte tutte le nozioni raccolte in quel lungo tempo gli si concentrano nel capo in una domanda che non ha mai posta al guardiano; e gli fa cenno, poiché la rigidità che vince il suo corpo non gli permette più di alzarsi. Il guardiano deve abbassarsi grandemente fino a lui, dato che la differenza delle stature si è modificata a svantaggio dell'uomo. «Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei proprio insaziabile.»

«Tutti si sforzano di arrivare alla legge,» dice l'uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all'infuori di me, ha chiesto di entrare?»

     Il guardiano si accorge che l'uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l'ingresso. E adesso vado e la chiudo.»

Franz Kafka

 

 

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  • 1 month later...

Compiacimento malvagio
Fate bene a insuperbirvi, o giovanotti. Noi siamo ormai vecchi, da buttar via. Il mondo è già vostro e voi intendete disporne a piacimento, avete tutte le ragioni. Dai nostri funerali rincaserete con un appetito formidabile, pieni di vitalità e di progetti. Alla sera, coricandovi, sentirete un doloretto a destra dello stomaco, per ora una cosa da nulla.

Dino Buzzati

 

Inviti superflui
         Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
         Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d'essere stanca; solo questo e nient'altro.
         Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
         Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
         Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
         Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

Dino Buzzati

Edited by conrad65
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