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Ipotesi per una lingua artificiale


Almadel

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Leggendo qua e la mi ha incuriosito la questione del Kēlen che eviterebbe l'uso dei verbi sostituendoli con qauttro tipologie di relazionali. Non mi è ancora chiaro però come riesce ad esprimere concetti un po' più elaborati del "The cat is on the table".

Gli ho dato un'occhiata, ma a me sembra un inganno. Ha semplicemente trasformato tutti i verbi e gli aggettivi in nomi.

Non riesco a capire che differenza ci dovrebbe essere tra il Kēlen e qualsiasi altra lingua che non tratti i verbi come categoria grammaticale separata.

 

Anche l'esperanto allora è senza verbi. Non fa altro che prendere i radicali e aggiungerci un suffisso, proprio come il Kēlen prende un "nome" (ma non c'è molta differenza con i radicali, visto che i nomi comprendono significati che in italiano considereremmo aggettivi e verbi) e aggiungerci un relazionale.

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Icoldibarin

La novità credo che stia nei pattern che usa per formare le frasi, ovvero in base a dove è collocato l'aggettivo la frase cambia completamente significato riprendendo in misura molto maggiore quanto accade in altre lingue.

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Icoldibarin

Ieri durante le ore di complementi di analisi (Per i professori di analisi leggasi: forse rendere le lezioni quantomeno stimolanti sarebbe buona cosa) mi è venuto in mente questo sistema di scrittura in abbozzo.

In pratica si tratta di avere quattro+1 simboli elementari, che per semplicità e velocità di scrittura ho identificato in

⚫ -  X  ~

più lo spazio vuoto,

che compongono caratteri composti da una disposizione con ripetizione dei cinque oggetti in quattro posti. I simboli elementari sono disposti ai lati di un ipotetico quadrato contenente il carattere e si leggono nell'ordine a noi noto (alto a sx, alto a dx, basso a sx, basso a dx).

Ogni carattere dovrebbe rappresentare una sillaba o un suono ben determinato prodotto dall'apparato vocalico similmente in come dovrebbe avvenire con gli ideogrammi cinesi. Potrebbe servire per trascrivere una lingua già esistente oppure una nuova lingua ad hoc.

Avrebbe forse dei vantaggi come la corrispondenza esatta tra suono e carattere, la scioltezza di scrittura a mano rispetto alla consueta grafia latina (da verificare), ed una rapida scrittura al calcolatore poiché servirebbero solamente cinque tasti (virtuali o non) per immettere un testo. Sarebbe quindi necessario l'uso di una sola mano per altro evitando lo spostamento fra le lettere perché ogni tasto sarebbe sotto il dito corrispondente.

 

Fra i difetti il primo che mi viene in mente è come potrebbe essere difficoltoso riconoscere tutti i caratteri immediatamente anche se utilizziamo un sottoinsieme dei 525 disponibili. Dato che però la soglia di alfabetizzazione in Cina si raggiunge con la conoscenza di almeno 2000 ideogrammi impararne un quarto sembra fattibile.

 

Ho pensato di dare un unica limitazione alle disposizioni, ovvero non è possibile creare caratteri con due o più spazi vuoti consecutivi poiché se così fosse sarebbe possibile la costruzione di caratteri con simboli visibili tutti a sx o tutti a dx rendendo ambigua la presenza di uno spazio soprattutto in caso di parole con molte sillabe.

Inoltre al computer è possibile comporre uno spazio fra le parole semplicemente premendo due volte il carattere spazio vuoto.

 

Questa piccola limitazione porta il numero di caratteri generabili a:

(5^4) - (5^2)*4= 525 [se non ho cannato i calcoli]

 

Che ad occhio e croce mi sembrano un numero sufficiente ma aspetto un parere dai linguisti del forum.

Nell'immagine allegata c'è un disegno forse molto più chiaro delle parole.

 

vx2fll.png

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Mi sembra un sistema più adatto a un computer che a un essere umano. :)):

 

Assomiglia come il concetto al Braille. Il che mi fa dire, ma 5 simboli son davvero necessari?

Il Braille poi ha due lunghezze di spazi diverse: uno più breve tra i caratteri e uno più lungo tra le parole. È una cosa da fare anche nel tuo alfabeto, altrimenti per leggere una parola devi necessariamente partire dall'inizio (sennò non capisci dove finisce un carattere e dove ne inizia un altro).

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Icoldibarin

Per le macchine il numero di simboli che ben bilancia la complessità necessaria a farle funzionare è il numero di nepero, circa 2,71 (non chiedermi come sia stato dimostrato). Sfortunatamente è un po' difficile ragionare in basi non intere, per di più irrazionali, però stanno provando con 3, che è una migliore approssimazione rispetto alle 2 attuali :)

 

Tornando agli umani o a degli ipotetici alieni, da quello che ho capito il braille utilizza codici a sei cifre e due simboli, 64 caratteri generabili, che mi sembrano un po' pochi per un alfabeto "sillabico", potrebbero anche essere più lenti da disporre e scrivere.

 

Riguardo agli spazi fra caratteri in realtà ci sono già, ma potrebbe essere lasciata libertà alle varie ortografie, come avviene coi caratteri che stiamo usando ora. Se pensi alla scrittura corsiva essa presenta già un continuo fra caratteri. Un minima separazione renderebbe sicuramente più leggibile il testo.

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  • 3 months later...
Icoldibarin

Resucito la discussione!

 

Stavo guardando il sistema minimal di numerazione del Toki Pona (che più che una lingua è uno yoga per il linguaggio come lo definiscono gli stessi autori)

In pratica le cifre si compongono semplicemente per somma di poche quantità (il cui insieme deve poter ammettere un algoritmo goloso per la composizione di una cifra arbitraria).

Pensavo di introdurci altri "tagli" comodi e un moltiplicatore delle migliaia. In questo modo avremmo (I nomi sono calcati dal Toki Pona per pigrizia ma sarebbero ovviamente da adattare alla grammatica):

 

0 nulo

1 wan

2 tu

5 luka

10 biluka

20 ku

50 neka

100 bineka

200 su

500 toka

'moltiplicatore per 1000' bar

 

In questo modo si possono formare i numeri semplicemente:

 

4 tu tu

 

7 luka tu

 

16 biluka luka wan

 

30 ku biluka

 

42 ku ku tu

 

101 bineka wan

 

628 toka bineka ku luka tu wan

 

1492 wan bar su su neka ku ku tu

 

200'000 su bar

 

9'000'000 luka tu tu bar bar

 

Sembra divertente :P:

 

~

 

Questione a priori/a posteriori:

 

Vantaggi del 'A priori':

 

- Si possono tenere pochi suoni e semplici.

- La grammatica può essere progettata più liberamente.

- Non si privilegia nessuno (in fatto di lessico).

 

Vantaggi del 'A posteriori':

 

- L'apprendimento del lessico non parte da zero, ognuno ha dei punti di "aggancio" con la propria lingua e quelle conosciute.

- Si predilige il "un poco a tutti" piuttosto che il "niente a nessuno", ovviamente se il lessico non viene calcato solo dalle lingue più potenti. Si permette di salvere almeno una piccola parte delle famiglie linguistiche in estinzione.

 

In particolare per quest'ultimo punto mi sento di preferire la scelta a posteriori, mi sembra culturalmente più ricca e la lingua darebbe un maggior senso di fratellanza.

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Icoldibarin

Mi è venuta un idea.

Abbiamo discusso dell'accusativo e dei problemi che causa a chi non ha nella propria lingua questo caso distinto.

Ma anche il rigido ordine dell'inglese non mi sembra l'ideale, può confondere peggio dell'accusativo un parlante che non abbia una lingua SVO.

In rete ci sono dei simpatici filmati di studenti giapponesi che tentano di dire "The hand is in a cheese" intendendo che un formaggio è nella mano.

Ulteriormente una certa libertà nella composizione della frase è molto ultile, sia per dare enfasi ad una parte piuttosto che all'altra, sia perché permette di aggiungere informazioni opzionali quando ci vengono in mente.

Una soluzione che mi è parsa promettente potrebbe essere radicale (per le nostre latitudini): buttare via SOGGETTO e OGGETTO di una frase.

Pensiamo invece ad una lingua ergativa come il tibetano che invece distingue tra PAZIENTE ed AGENTE, cioè tra chi riceve l'azione e il suo agente.

Questa distinzione mi appare molto più logica della nostra tradizionale accusativa.

Uno dei requisiti che ha chiesto @@Loup-garou e che mi sento di condividere è la possibilità di esprimere la maggior parte delle informazioni in modo facoltativo. Un sistema ergativo con il verbo ad inizio frase, unica parte non facoltativa della frase, e un ordine abbastanza libero tra PAZIENTE ed AGENTE introdotti da marcatori sembra prestarsi bene a questa richiesta. La lingua sarà facoltativamente VPA o VAP.

 

In questo esempio i marcatori sono 'su' per il paziente e 'da' per l'agente. I modificatori di verbi pazienti ed agenti possono essere collocati liberamente all'interno del "proprio gruppo", verbale, dell'agente e del paziente.

Maria lava dei/i panni.

Lava ora su panni da Maria => il focus è sui panni
Ora lava su panni da Maria => il focus è sui panni e sul fatto che sono lavati ora
Lava ora da Maria su panni => il focus è maria che lava


Maria lava i/dei panni, che ha sporcato ieri.

Lava ora su panni, sporca ieri da lei, da Maria.


Il fiore è rosso

Rosseggia su fiore


Il fiore è la cosa che ho visto.

È la cosa, vedo prima da io, su fiore.


Giovanni spara un proiettile a Marco

Spara su proiettile al Marco da Giovanni.


Due ragazze passeggiano nel bosco.

Passeggia nel bosco su due ragazze. => Due ragazze passeggiano (in che modo?) nel bosco.
Passeggia su due ragazze nel bosco. => Due ragazze, che sono nel bosco, passeggiano.


Quello che è fuggito ha sparato.

Spara prima da quello, fugge. => Non è specificato se la fuga avviene prima mentre o dopo lo sparo, si rimanda al senso del discorso.


Quello che era fuggito ha sparato.

Spara prima da quello, fugge prima. => La fuga è avvenuta prima dello sparo.


Quello che mentre fuggiva ha sparato.

Spara prima da quello, fugge mentre. => Lo sparo è avvenuto durante la fuga.


Quello che in seguito fuggirà ha sparato.

Spara prima da quello, fugge dopo. => La fuga avviene dopo lo sparo

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Secondo me non c'è una scelta più logica tra lingua accusativa e lingua ergativa. Diciamo che il vantaggio della lingua accusativa è che le principali lingue internazionali sono accusative, e quindi la lingua appare meno esotica.

 

Personalmente, il mio sistema preferito per le lingue artificiali non è né l'accusativo né l'ergativo, ma un sistema misto che è un mix tra i due e che è usato da certe lingue (ma non mi ricordo più quali).

 

In tutti e tre i sistemi, esistono due casi (che per semplicità chiamerò "caso diretto" e "caso indiretto").

Sempre in tutti e tre i sistemi, si usa il caso diretto per l'agente di un verbo transitivo e il caso indiretto per l'oggetto di un verbo intransitivo.

 

La differenza tra i tre sistemi sta nel come trattano il soggetto di un verbo intransitivo.

Le lingue accusative (come l'italiano) usano il caso diretto. Le lingue ergative usano il caso indiretto.

 

Nel sistema misto invece, il soggetto di un verbo intransitivo può essere espresso sia nel caso diretto sia nel caso indiretto. La differenza sta nel fatto che il soggetto "agisca" o "subisca" l'azione.

 

 

Per chiarire, facciamo un esempio pratico. In questa ipotetica lingua artificiale, abbiamo il seguente vocabolario:

me = pronome di prima persona

fala = verbo che significa "cadere"

a = preposizione che introduce il caso diretto

u = preposizione che introduce il caso indiretto

 

La frase u me fala si tradurrebbe in italiano "io cado". Il soggetto è in caso indiretto, il che vuol dire che io non ho deciso di cadere, ma ho subito l'azione. Cado, è una cosa che mi succede, non che ho deciso.

La frase a me fala invece si tradurrebbe in italiano "io mi butto". Il soggetto è in caso diretto, il che vuol dire che l'azione di "cadere" io l'ho decisa. Cado non per forza maggiore o perché qualcuno mi spinge, ma perché io ho deciso di buttarmi per terra.

 

 

Quali sono i vantaggi di questo sistema misto? Prevalentemente due:

1) Riduzione del vocabolario. Come si vede, è bastato un solo verbo per tradurre due verbi italiani: buttare e cadere.

2) Semplicazione della distinzione verbo transitivo-intransitivo. Non è più necessario imparare a memoria quando un verbo è transitivo e quando intransitivo, perché la distinzione è "logica". Basta conoscere il significato del verbo, dopodiché controllare nel caso concreto se il soggetto subisce l'azione o la compie. Anzi, la stessa distinzione tra verbo transitivo e intransitivo viene meno, perché un "verbo intransitivo" può essere tranquillamente usato transitivamente. Ad esempio, per dire "Io butto Andrea (giù dal balcone)" basterà dire a me fala u Andrea (o le stesse parole in un altro ordine).

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Icoldibarin

Sembra molto interessante anche questo sistema, anche se ho un dubbio.

Come distinguiamo nella frase a me fala che tu hai tradotto con "io mi butto" mentre io la tradurrei come "io butto <qualcosa che non specifico>"?

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Beh, quella è una questione che non c'entrava con l'argomento di cui discutevo. XD

 

Nell'esempio che ho fatto, si avrebbe una costruzione simile alla parlata sicialiana (Io scendo vs Io scendo il cane). Niente di strano in ciò.

Ovviamente non è l'unica opzione possibile. Si potrebbe anche usare una costruzione riflessiva (Io mi butto) oppure una costruzione "transitivizzante" (Io faccio cadere [qualcosa]).

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Icoldibarin

Quindi in assenza di caso indiretto vorresti far ricadere in automatico l'azione su chi ha la volontà di compiere?

 

Potremmo fare così:

 

A me fala => Io mi butto

A me fala u => Io butto qualcosa

U me fala => Io cado

U me fala a => Qualcosa mi fa cadere

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Quindi in assenza di caso indiretto vorresti far ricadere in automatico l'azione su chi ha la volontà di compiere?

No, no, credo che ti sia sfuggito un passo fondamentale. Occhio a distinguere le questioni.

 

Nel mio esempio, il verbo fala non ha come significato "buttare", ma "cadere".

A me fala quindi significa letteralmente "Io cado (volontariamente)", che in italiano è meglio reso con "Io mi butto".

 

Se il verbo fala significasse invece "buttare", avrei:

U me fala = Io sono buttato giù (possibilmente anche con il significato di "Io cado").

A me fala = Io butto giù (qualcosa).

 

 

Ma questo non c'entra con la grammatica, in entrambi i casi sto usando le stesse regole grammaticali.

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Icoldibarin

Hai ragione, in effetti l'italiano mi aveva tratto in inganno, così si può stabilire bene su chi ricade l'azione.

Però a questo punto abbiamo bisogno dei due verbi buttare e cadere (se fala=buttare allora è difficile rendere il significato di "Mi butto" mentre se fala=cadere è difficile rendere il significato di "Io butto"), se usassimo invece il sistema che proposi nel post precedente potremmo usare un solo verbo.

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Però a questo punto abbiamo bisogno dei due verbi buttare e cadere (se fala=buttare allora è difficile rendere il significato di "Mi butto" mentre se fala=cadere è difficile rendere il significato di "Io butto"),

No, è quello che stavo dicendo prima.

 

Se teniamo solo il verbo cadere, al posto di buttare possiamo usare una costruzione equivalente a far cadere. Che è quello che ho fatto nel mio esempio.

 

Se invece teniamo solo il verbo buttare, il significato di cadere è ottenibile usando una costruzione passiva (Io sono buttato [perché sono spinto o per forza maggiore]) e il significato di buttarsi è ottenibile con una costruzione riflessiva (come in italiano, buttarsi).

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Icoldibarin

Ma buttarsi è solo la contrazione di buttare sé stesso.

 

O aggiungiamo anche un caso riflessivo che mi sembra scomodo, oppure dobbiamo usare costruzioni strambe come a me fala u me dove io possiedo la volontà di agire e nello stesso tempo la subisco.

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Icoldibarin, non riesci mai a liberarti dal pensare in italiano. :P:

Prima bisogna decidere cosa fare, dopo come farlo.

 

"Riflessivo" vuol dire solo che agente e oggetto sono gli stessi. Come si ottiene il riflessivo varia da lingua a lingua.

- Si può semplicemente ripetere sia il soggetto sia l'oggetto. Non c'è niente di strambo in a me fala u me, è la stessa costruzione che abbiamo anche in italiano (io mi lavo).

- Si può avere dei pronomi riflessivi per ciascuna persona, come in inglese (myself, yourself, himself...). In italiano esiste un pronome riflessivo per la 3ª persona (se/si), ma non per la 1ª e la 2ª.

- Si può usare un unico pronome riflessivo per tutte le persone (io si lavo, tu si lavi, egli si lava...), come si fa in altre lingue.

- Si può usare una forma riflessiva del verbo, tramite prefisso o simili (io silavo, tu silavi, egli silava...).

 

Ma questo non c'entra con la scelta tra lingua accusativa o ergativa.

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  • 4 months later...

Ultimamimenti ho fatto un po' di esperimenti linguistici ed ho osservato alcune cose:

 

Per quanto sia bello teoreticamente e stilisticamente cercare di mantenere molte informazioni opzionali e solo poche obbligatorie nella composizione di un periodo è estremamente complicato bilanciare questo aspetto con l'espressività, la sufficiente concisione, la scarsità di possibili morfemi e la praticità di utilizzo.

 

Per qualche motivo il mio cervello (e credo non solo il mio) non sembra apprezzare tutta questa libertà in fatto di composizione.

Ho fatto delle prove generando in ipotetiche lingue parolacce e insulti vari, ho scelto questa categoria perché richiede una certa espressività e concisione.

 

Tenendo conto che per il soggetto/oggetto/agente/paziente la mia precedente idea era di mantenere facoltative le informazioni come genere e numero, mentre prevederei la divisione in tre generi (maschile/femminile/bigenere + ovviamente il neutro) e tre numeri (singolare/duale/plurale)

 

Mentre per la parte verbale avremo come facoltative le informazioni come tempo/numero/aspetto ma mi piacerebbe tenere obbligatorie modo/diatesi/persona[1°-2°-3°, forse anche 4° che in molte lingue occidentali non esiste).

 

Purtroppo non sono riuscito a combinare in modo sufficientemente regolare qualcosa di godibile, che suonasse bene e che fosse riconoscibile.

Forse è dovuto alla mia limitatezza, tuttavia dopo questi esperimenti ho capito il perché di alcune scelte che sono state fatte sull'esperanto. Il che mi fa pensare e sospettare che non ci sia tanta possibilità di miglioramento.

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Tenendo conto che per il soggetto/oggetto/agente/paziente la mia precedente idea era di mantenere facoltative le informazioni come genere e numero, mentre prevederei la divisione in tre generi (maschile/femminile/bigenere + ovviamente il neutro) e tre numeri (singolare/duale/plurale)

Non ho ben capito, stai dicendo che vuoi creare una lingua dove sono presenti generi e numeri ma sono facoltativi?

Personalmente lo troverei piuttosto inutile. Se in una lingua il genere e il numero non sono obbligatori, fanno prima a non esserci del tutto.

 

È sufficiente usare degli aggettivi che significhino "maschio", "femmina", "bigenere", "uno", "due", ecc.

 

Purtroppo non sono riuscito a combinare in modo sufficientemente regolare qualcosa di godibile, che suonasse bene e che fosse riconoscibile.

Devi decidere che cosa stai creando. Se vuoi ottenere una lingua neutrale-universale di facile apprendimento, la "godibilità" non è un criterio. Non stai creando una lingua a scopo artistico, l'importante è che sia funzionale.

Riconoscibile può essere già più un criterio valido, ma molto poco importante per quello che mi riguarda. Se devi creare una lingua regionale (come l'Interlingua) allora ha un senso che il vocabolario e la grammatica siano riconoscibili, ma se l'obiettivo è creare una lingua da adottarsi in tutto il mondo, un vocabolario a priori va altrettanto bene e anzi può essere considerato più neutrale.

 

 

Detto questo, non ho concretamente capito quali problemi hai avuto con la "troppa libertà". XD

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Loup-garou[/color]' timestamp='1354123107' post='627060']

Non ho ben capito, stai dicendo che vuoi creare una lingua dove sono presenti generi e numeri ma sono facoltativi?

Esatto, in effetti come giustamente sottolinei tu, mi era venuto in mente che probabilmente non è un idea molto fattibile.

La mia idea originaria e di creare delle radici indicanti il sesso che potessero essere fuse alla parola desiderata come prefisso, per il numero invece pensavo a dei suffissi, sempre facoltativi e più lunghi di quelli dell'esperanto.

 

Ho considerato anche l'idea di lasciarli solo come parole a se stanti, ma è ugualmente un'ipotesi che non mi convince del tutto, tende a rendere il periodo troppo lungo.

 

La terza idea, che mi sembra la più sensata consiste nel creare un prefisso opzionale che fletta per genere e numero, quindi 3x3=9 prefissi.

 

Loup-garou[/color]' timestamp='1354123107' post='627060']

Devi decidere che cosa stai creando. Se vuoi ottenere una lingua neutrale-universale di facile apprendimento, la "godibilità" non è un criterio. Non stai creando una lingua a scopo artistico, l'importante è che sia funzionale.

Riconoscibile può essere già più un criterio valido, ma molto poco importante per quello che mi riguarda.

 

La godibilità deve essere un criterio, anche in una lingua universale, deve essere piacevole esprimersi in tale lingua, altrimenti non funzionerà.

Sul riconoscibile mi sono espresso in modo impreciso, intendo dire che che le informazioni grammaticali devono essere facilmente decodificate dal cervello, per questo pensavo a coniugazioni per i verbi a seconda delle persone. I tempi verbali in esperanto richiedono molta pratica per essere riconosciuti prontamente nel parlato, probabilmente hanno un suono troppo simile: vokis vokas vokos sembrano ad un orecchio inesperto tre verbi allo stesso tempo, meglio qualcosa come vokedda, voka, vokussa.

 

Troppa libertà implica trovare dei meccanismi per decodificare la frase che sono sì intuitivi a livello teorico, ma troppo lenti a livello pratico.

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Ho considerato anche l'idea di lasciarli solo come parole a se stanti, ma è ugualmente un'ipotesi che non mi convince del tutto, tende a rendere il periodo troppo lungo.

Se ti preoccupi del periodo troppo lungo, vuol dire che non li stai considerando veramente opzionali. XD

Non c'è ragione di preoccuparsi del periodo troppo lungo. Se diventa troppo lungo e la specificazione non è fondamentale, è sufficiente omettere tale parola. Se invece la specificazione è importante, allora non importa che il periodo sia lungo. Anzi tanto meglio, vuol dire che la parola non rischia di "perdersi" nel parlato.

 

La terza idea, che mi sembra la più sensata consiste nel creare un prefisso opzionale che fletta per genere e numero, quindi 3x3=9 prefissi.

Flessione per genere e numero? Il male! XD

 

La godibilità deve essere un criterio, anche in una lingua universale, deve essere piacevole esprimersi in tale lingua, altrimenti non funzionerà.

La godibilità non è un criterio, primo perché non è utile al fine che ci si prefigge, secondo e soprattutto perché è una qualità soggettiva.

 

Sul riconoscibile mi sono espresso in modo impreciso, intendo dire che che le informazioni grammaticali devono essere facilmente decodificate dal cervello, per questo pensavo a coniugazioni per i verbi a seconda delle persone. I tempi verbali in esperanto richiedono molta pratica per essere riconosciuti prontamente nel parlato, probabilmente hanno un suono troppo simile: vokis vokas vokos sembrano ad un orecchio inesperto tre verbi allo stesso tempo, meglio qualcosa come vokedda, voka, vokussa.

Le coniugazione per persona la trovo abbastanza inutile: basta usare i pronomi quando serve.

Il problema dell'esperanto è che tende a usare suoni troppo simili per significati simili o collegati. Se si usa una consonante e una vocale sufficientemente differenti, il problema si risolve.

 

Troppa libertà implica trovare dei meccanismi per decodificare la frase che sono sì intuitivi a livello teorico, ma troppo lenti a livello pratico.

Non ti fidare di questo criterio, perché ciò che tu consideri intuitivo probabilmente non lo è per niente, è solo ciò a cui tu sei abituato.

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Idea vecchia, e già naufragata, basti pensare all'esperanto e all'interlingua, esperimenti divenuti di fatto dei flop colossali.

 

Idea vecchia come è vecchia l'idea di rifuggire la schiavitù e lo schiavismo. Ma un'idea vecchia non è per forza sbagliata. Soprattutto il motivo per cui accusi le lingue ausiliarie internazionali di aver fatto flop è prettamente politico, non certo intrinseco nell'esperanto e nelle altre (poche) lingue che abbiano saputo mantenere una carica culturale elevata e un adeguata neutralità.

 

Ad ogni modo non è questo il topic per discutere della fattibilità dell'adozione di una lingua artificiale. Esistono tanti motivi per cercare di farne una, uno di questi può senz'altro essere la ricerca linguistica ed il divertimento. La tua affermazione mi piacerebbe affrontarla nel topic giusto, anche perché è ultimamente un tema che mi stimola parecchio.

 

Loup-garou[/color]' timestamp='1354135224' post='627114']

Non ti fidare di questo criterio, perché ciò che tu consideri intuitivo probabilmente non lo è per niente, è solo ciò a cui tu sei abituato.

Sto facendo un esercizio di astrazione e di autoanalisi sul modo di parlare, ma inevitabilmente la lingua madre mi influenza. Tuttavia sono convinto che alcune regole possano essere poco attraenti sulla carta e molto nella pratica.

Penso per esempio all'elisione di un ultima vocale se nella parola successiva troviamo un'altra vocale (Gna amello - Gn'amello). Al raddoppio della consonante finale per ottenere dei plurali (clock - clokki). Alla apparente aleatorietà delle suffissassioni dei verbi, basta che rimangano un numero finito e molto contenuto (Moli - Molei - Moleppi). Sono anche interessato alla possibilità di introdurre alcuni verbi irregolari, direi essenzialmente due, essere e avere, perché sono usati assai frequentemente e servono costrutti che debbono essere molto diretti (Li estas belega - Li es belega | Li estis belega - Li esis belega | li estos belega - li os belega).

 

Bisogna secondo me mediare tra l'esigenza di restare semplice e con regole apprendibili facilmente e l'esigenza di formare periodi velocemente e istintivamente decodificabili, nonché creare una certa musicalità.

 

Se la giudico con questi criteri l'esperanto è una lingua molto buona, molto più di quando mi appariva dopo le prime settimane di studio e di questi esperimenti. Ma il nostro gioco e la nostra sfida è creare qualcosa di diverso, che tenti di rimediare ad alcuni suoi difetti e che abbia un proprio carattere.

Per fare ciò io e te abbiamo due idee abbastanza diverse, perciò i confronti sono molto interessanti.

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Credo che sia sottinteso che questa discussione è più che altro un esercizio ludico per gente dalla mente malata. :lol:

 

Penso per esempio all'elisione di un ultima vocale se nella parola successiva troviamo un'altra vocale (Gna amello - Gn'amello).

Ma questa non ha bisogno di essere una regola. È naturale che poi nel parlato si formino delle tendenze alla semplificazione, ma non c'è bisogno di trasformarle in regole. Soprattutto tenendo presente che una lingua universale dovrebbe essere parlata da persone dal background linguistico differente, quindi idealmente dovrebbe avere poche regole sulla pronuncia chiare e poi lasciare che ogni parlante parli la lingua con il proprio accento.

 

Per esempio, sulla scia del discorso che si faceva tempo fa, la lingua a cui sto lavorando quando mi gira ha solo 9 consonanti. Questo significa che ad esempio la lettera p ufficialmente si legge [p], ma se si vuole può anche essere pronunciata [ b ]. Perché tanto la lettera b non esiste, quindi anche se dico [baba], la parola non può essere che papa.

Questa è una caratteristica utile per una lingua universale, perché non tutte le lingue distinguono tra [p] e [ b ].

 

Ma non c'è bisogno che io mi metta lì a scrivere la regola che la p si pronuncia [p] ad inizio di parola, ma tende a pronunciarsi [ b ] all'interno della parola. Visto che [p] e [ b ] comunque sono lo stesso suono, lascio che queste differenze si sviluppino eventualmente nel parlato.

 

Al raddoppio della consonante finale per ottenere dei plurali (clock - clokki).

Non ho ben capito dove sta il raddoppio della consonante nell'esempio che hai fatto. XD

Comunque mi sembra una cattiva idea includere le doppie in una lingua universale, perché pochissime lingue hanno le consonanti doppie.

 

Sono anche interessato alla possibilità di introdurre alcuni verbi irregolari, direi essenzialmente due, essere e avere, perché sono usati assai frequentemente e servono costrutti che debbono essere molto diretti

Fermo restando che se le forme irregolari sono poche non pongono grossi problemi, a che pro averle? Se vuoi che la coniugazione di un tal verbo sia breve, basta dargli una radice breve.

Invece di es, esis, os, non puoi semplicemente dire che la radice del verbo essere è s- e che quindi la coniugazione è sa, si, so? È breve lo stesso.

 

(Tra l'altro, già che dici che i verbi essere e avere saranno tanto importanti mi fa sospettare che la tua lingua sia molto europea. XD)

 

Bisogna secondo me mediare tra l'esigenza di restare semplice e con regole apprendibili facilmente e l'esigenza di formare periodi velocemente e istintivamente decodificabili, nonché creare una certa musicalità.

Fermo restando che quello della musicalità per me è un criterio superfluo in una lingua universale, per me qualsiasi lingua dalla fonetica semplice è già musicale. La musicalità per molti è data da un'abbondanza di vocali e da una scarsità di gruppi consonantici. Qualsiasi lingua dotata di una struttura sillabica semplice, rientra automaticamente in questa categoria.

 

Per quanto riguarda la veloce formazione di periodi e l'istintualità della codificazione, ripeto che secondo me ti stai ingannando. È ovvio che più una lingua avrà una grammatica simile a quella della tua lingua madre più ti sembrerà di riuscire a formare i periodi in modo più veloce e di codificarla in modo più istintivo.

Ma questa non è una qualità assoluta della lingua. È semplicemente dovuta alla somiglianza con la tua.

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[quote name=Loup-garou' timestamp='1354292476' post='627632]
Per esempio, sulla scia del discorso che si faceva tempo fa, la lingua a cui sto lavorando quando mi gira ha solo 9 consonanti. Questo significa che ad esempio la lettera p ufficialmente si legge [p], ma se si vuole può anche essere pronunciata [ b ]. Perché tanto la lettera b non esiste, quindi anche se dico [baba], la parola non può essere che papa.
Questa è una caratteristica utile per una lingua universale, perché non tutte le lingue distinguono tra [p] e [ b ].

Vuoi dirci di più di questo progetto? Siamo curiosi :P

[quote name=Loup-garou' timestamp='1354292476' post='627632]
Tra l'altro, già che dici che i verbi essere e avere saranno tanto importanti mi fa sospettare che la tua lingua sia molto europea. XD

Sì, hai ragione, sono intenzionato a creare una lingua con un forte componente europea per due motivi, il primo è che è cambiato l'indirizzo di questa  mia lingua che è divenuta una lingua artistica, in cui scrivere qualcosa; il secondo è che conosco solo lingue europee e faccio molta fatica ad uscire da questo confine (anche se mi piacerebbe) e ad esprimere tutte le necessarie sfumatura con grammatiche così forestiere.

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  • 6 months later...
Icoldibarin

Ohibò, mi permetto di riesumare codesto vecchio topic in primis per perché ho appena dato l'ennesimo esame di matematica e debbo liberare la testa, in secondo perché ho trovato questo ottimo kit di costruzione linguaggi con qualche spunto che avevo già ricavato personalmente e dai preziosi consigli di Loup.

Terzo, durante questo tempo sto tentando di rimediare al mio eurocentrismo per cui ho comprato il "dizionario enciclopedico delle lingue del mondo" che usa un approccio molto giornalistico per descrivere i meccanismi peculiari di una gran varietà di lingue.

 

Prendendo spunto dalle lingue "naturali" ho trovato due candidati buoni come spunto per la semplicità di una lingua:

  • La prima lingua è il Bahasa Indonesia, cioè semplicemente lingua indonesiana, ed in effetti non è una lingua del tutto "naturale" essendo una forma leggermente standardizzata di alcuni dialetti della Malesia. È interessante notare che in bahasa indonesia non esiste l'articolo; esistono poche eccezioni; i verbi sono tutti regolari; non ci sono tempi verbali e coniugazioni; gli affissi sono sempre permessi per ogni parola.
  • La seconda è il Quechua, citato anche come esempio nel kit di costruzione. Alcune caratteristiche interessanti, oltre alla generale regolarità e all'opzionalità dei plurali, sono l'utilizzo di particelle per segnalare il focus della frase (penso che una simile soluzione potrebbe tranquillamente eliminare la diatesi passiva) e la schema di generazione delle parole molto semplice: ( C ) V ( C )
Che ne pensate?

 

Ultimamente sto giochicchiando con qualcosa che per ora ho chiamato semplicemente "la gaia lingua", pensavo di creare un vocabolario derivato da svariate lingue e adattarlo alla fonologia della lingua aggiungendo altre parole autoctone. In particolare mi interessa aggiungere parole da lingue a rischio di estinzione o comunque poco comuni al fine di preservare almeno qualcosa di queste lingue. In parte come fa Lingwa De Planeta anche se dal poco che ho visto, non mi piace molto la sua grammatica.

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il punto debole dell'approccio artificiale (in generale) è che prescinde dall'aspetto simbolico della lingua, ovvero il legame tra il simbolo linguistico (che è anche sonorità) e il significato

viceversa l'aspetto simbolico è quello principale, è la "vita" che sorregge la lingua: il simbolo (in generale, che sia linguistico o artistico come prodotto del "fare") è "vero" solo se esprime la funzione e il significato

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Icoldibarin

Esistono varie teorie sulla convenzionalità dell'associazione tra significante e significato.

La maggior parte dei linguisti asserisce con buona pace che le relazioni siano del tutto o quasi frutto di una convenzione propria di ogni popolo.

Le uniche evidenze fra alcune lingue poco imparentante sembra la ricorrenza di alcune vocali nelle parole che denotano grandi o minute misure o suoni più o meno arrotondati per dare l'idea di forma.

Comunque sia, nelle oltre tremila lingue naturali parlate esistono diverse eccezioni a queste tendenze. (Si pensi per esempio a big e small che secondo questo ragionamento doverebbero assomigliare a bag e smill oppure a cold che in inglese rappresenta l'idea di freddo e nei dialetti lombardi quella opposta di caldo).

 

A prescindere da ciò non si vede o si vede solo in parte la ragione perché queste lingue artificiali dovrebbero prescindere da queste associazioni inconsce.

Ragionare per questi termini su queste lingue è un po' come tornare negli anni trenta e asserire che a rigor di logica il calabrone non può volare, solo che vola eccome...

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rigiro l'argomento: è possibile creare una lingua artificiale, ma è sicuro che, una volta che venga fatta vivere sulla bocca delle persone, si modificherà in una direzione sempre più marcata di adesione ai rapporti con il significato e con il simbolo corrispondente

è proprio la modifica della lingua nel suo essere parlata che la rende "lingua" e non sintassi

e uno può anche inventare la lingua artificiale (ma parlerei di "sintassi artificiale") più efficiente del mondo ma questo non assicura sul fatto che verrà mai parlata da qualcuno, ovvero che diventerà lingua

in sintesi, se una lingua non è simbolica di ciò che significa, non significa nulla

Edited by conrad65
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Icoldibarin

Questa è già una questione più interessante.

Ma ricorda che come disse saggiamente Loup esistono molti motivi per creare una lingua, in primo luogo la glottopoiesi risulta molto divertente per talune persone (probabilmente non del tutto savie come noi!).

In effetti la lingua non si crea nel momento in cui si conclude la grammatica, la sintassi e il dizionario ma può guadagnarsi questo stato solo dopo che viene creato per essa un medium fra le persone che la conoscono e che con essa si esprimono anche secondo regole non preventivate e poco o nulla consce.

La lingua fino alla sua stabilizzazione è una specie di pidgin in attesa della sua creolizzazione e consequenziale concretizzazione come lingua.

 

Tuttavia spesso l'ingenuità ci porta a percepire le lingue artificiali come qualcosa di molto astratto, filosofico e poco materico.

In realtà esse sono molto concrete e non è così raro trovare qualcuno che le parli e le usi con profitto per le finalità che meglio reputa.

Il Bahasa Indonesia, versione regolarizzata dei dialetti malesi, è lingua ufficiale in Indonesia è viene parlata da 135 milioni di persone come lingua ausiliaria e da circa 30 milioni come madrelingua.

L'esperanto dopo la sua iniziazione più di 125 anni fa si è evoluta alla condizione propria di lingua stabile ed oggi è parlata a vari livelli da circa 10 milioni di persone tra cui il sottoscritto (di cui circa un migliaio l'hanno imparata come lingua madre da genitori con diverse madrelingue) e con essa vengono prodotti giornali, letteratura, musica o semplicemente interessanti discussioni.

Una delle due principali varianti del norvegese, il Nynorsk, usato dal 15% della popolazione era in origine una lingua artificiale creata da Ivar Aaser basandosi su alcuni dialetti del posto.

In molte altre lingue esiste una pianificazione minore anche se non assente, perfino nel nostro bell'italiano, trapianto limato del fiorentino letterario del trecento.

Come hai giustamente detto le lingue evolvono se vengono usate, siano pianificate o meno, la creatura si distacca dal suo creatore godendo di vita propria come una sorta di Frankenstein comunicativo  :P: ma forse è anche quello che suscita il desiderio di cimentarsi in questo gioco complicato, strano ma finfine divertente e appagante.

 

Qualcuno vuol giocare con noi? :P:

 

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