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Vogliamo essere veramente felici?


Isher

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Vi prego, non datemi una risposta volontaristica: sì! tutti vogliono essere felici! io voglio essere felice!

E non datemi una risposta scettica: no, la felicità non esiste.

E non ditemi: la felicità sta nelle piccole cose.

 

Vi propongo in particolare tre interrogativi:

 

È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

 

Qual è il motore più profondo delle nostre appagazioni?

 

Se vi interessa sapere le mie risposte, io credo che la felicità non stia affatto nelle piccole cose, ma in grandi cose.

Cose tanto grandi che non si riesce a capire e sapere che cosa esattamente siano.

Parlo delle cose che effettivamente procurano il senso di vivere la vita, la pienezza, e anche la grandezza

(che comprende l'assurdo) della vita,

non delle cose di cui noi potremmo dire - astrattamente - che sono importanti, essenziali, il centro della vita,

o la fonte (supposta) della felicità.

 

Credo che queste cose si possano provare in due - perché si crede che l'altro le provi - e che si possano

provarle da soli: che sia un piacere, un'illuminazione, un'esaltazione, un'emozione. Credo che se uno non prova

queste emozioni, ha sprecato la parte più rilevante della vita, al di là del fatto che sia o non sia felice.

 

Esiste anche una rinuncia alla felicità, che può essere in due direzioni: al di sotto di essa, perché non si riesce

a volerla, a concepirla, e a fabbricarla; e al di sopra di essa, perché si è scoperto qualcosa che non è esattamente

felicità ma è comunque ciò che di più grande possiamo provare.

 

Potrei continuare, ma mi fermo qui, e lascio in sospeso la risposta al terzo interrogativo.

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È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

 

Sì. Ma cos'è la felicità?

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

 

No. Quando sembra di sì, è per qualcosa che in realtà ci rende più felici/appagati.

 

Qual è il motore più profondo del nostro appagamento?

 

Non sono sicura di aver capito la domanda. Se intendi cosa spinge a cercare la felicità, direi alcuni istinti-base, come quello di sopravvivenza, di riproduzione, eccetera.

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AndrejMolov89

Io non ho scelto la felicità. L'ho fatto in favore della sicurezza e della mia pigrizia. Se la provassi non saprei riconoscerla. Quindi, non so se la voglio, perché per avere una direzione bisogna che sapere dove andare.

Credo che si possa trovare nel mio senso di autoefficacia, oppure banalmente fuori da me stesso. Il problema è che fuori non trovo stimoli.

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io credo che no, non vogliamo essere felici perchè essere felici significa DETERMINARE attivamente la propria felicità.

Voglio dire che per esserre felici ci vuole impegno e già questo richiede fatica.

 

Poi io penso che le persone tendano a rinunciare alla felicità per paura e perchè in un certo senso noi abbiamo bisogno di soffrire.

 

Una volta ho letto su un libro che noi non cerchiamo mai relazioni in cui star bene ma al contrario (inconsciamente) cerchiamo la sofferenza nelle relazioni.

 

idem per la felicità.

 

comunque io non credo che la felicità stia nelle piccole cose ma neanche nelle grandi cose e sopreattutto non sta nell'accontrentarsi.

per me si è felici quando si riesce ad essere se stessi, a seguire la propria natura, le proprie inclinazioni e a condividere se stessi e ciò che si è con gli altri. Altrimenti si vive a metà.

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Qual è il motore più profondo del nostro appagamento?

 

Non sono sicura di aver capito la domanda. Se intendi cosa spinge a cercare la felicità,

direi alcuni istinti-base, come quello di sopravvivenza, di riproduzione, eccetera.

 

No: tengo distinto «appagamento» da felicità.

È il concetto che designa quanto c'è di più segreto in noi, nell'ambito di ciò che procura

qualcosa, ovviamente, di positivo e da noi valorizzato.

 

 

non vogliamo essere felici perchè essere felici significa DETERMINARE attivamente la propria felicità.

Voglio dire che per essere felici ci vuole impegno e già questo richiede fatica.

 

Po in un certo senso noi abbiamo bisogno di soffrire.

 

 

1: ma felicità e fatica non sono in contraddizione tra loro. Lo sarebbero piacere e fatica.

2: mio Dio, quanto sei cattolica, o biblica!

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1: ma felicità e fatica non sono in contraddizione tra loro. Lo sarebbero piacere e fatica.

 

Temo che il topic si incarterà presto per divergenze semantiche.

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È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

 

No, secondo me quello che gli esseri umani ricercano è uno scopo. Che sia questo l'essere felici o l'essere ricchi o l'essere famosi è un altro discorso. Dal raggiungimento di quel preciso scopo (e c'è chi lo sa e chi non lo sa) deriva la felicità.

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

 

Sì, ma non credo sia una cosa facile da fare, almeno non sul lungo termine. L'assenza di felicità vuol dire il mancato raggiungimento dello scopo che ci si pone, consciamente o inconsciamente. Non credo sia possibile mantenere alta la bandiera della rinuncia consapevole della felicità.

 

Qual è il motore più profondo delle nostre appagazioni?

 

 

Non saprei come risponderti, quindi questa domanda la salto comodamente. :P

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Gli umani non cercano la felicità semplicemente evitano tutto quello che li può rendere infelici anche se questo vuol dire farsi del male. La felicità è quindi il riempimento di tutte le lacune che ci rendono infelici siano esse: mancanza di affetto, mancanza di divertimento, mancanza di pace, mancanza di approvazione, mancanza di rispetto verso sé etc etc. Gli uomini non rinunciano MAI alla felicità, pensano semplicemente che in quel momento la cosa che più li renderà appagati e infelici è un atto che visto dall'esterno o con il senno di poi li rende infelici.

Il motore primo non esiste, perché le mancanze all'interno degli uomini variano soggettivamente. Tuttavia possiamo definire delle grandi azioni o rapporti con sé o gli altri che appagano particolarmente e quindi sopperiscono a delle lacune molto comuni o molto profonde, rendendo le altre trascurabili. {famiglia- raggiungimento di una posizione sociale - stabili e appaganti rapporti amicali e amorosi etc etc}

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La Felicità è la perfetta sensazione del Presente.

 

Non si può essere felici ricordando il passato:

quella della Memoria è una felicità artificiale.

Né si può essere felici pensando al futuro,

perché il destino è sempre la morte.

 

Le persone felici hanno dimenticato il Tempo.

Possibilità preclusa praticamente a tutti;

tutti hanno infatti speranze o paure, rimorsi o nostalgie.

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Ora rischio di sembrare scemo, ma penso che non possa esistere un concetto generico di felicità.

Ognuno di noi definisce la felicità in modo diverso.

Ad esempio (pronti alla cazzata) io mi sono sentito veramente felice, da lacrime agli occhi proprio,anzi, un cazzo agli occhi, mi solcavano le guance, quando ho visto la mia gatta partorire.

Vi giuro, non ho mai provato niente del genere

Ho visto una creatura generare la vita, e mi si è aperto il cuore.

In quel momento, mi sono sentito davvero felice, nonostante non fosse "nulla" per o a favore del sottoscritto.

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Gli esseri umani non ricercano la felicità, che è una costruzione filosofica di un insieme di sentimenti e sensazioni che variano da ente ad ente, più che altro cercano un equilibrio che sia il più possibile costante e dia un certo grado di serenità e per l’appunto di appagamento mentale.

 

Il motore della ricerca dell’appagamento è secondo me dettato da due fattori:

-il desiderio: si desidera quello che non si può avere e non si è soddisfatti finchè non lo si ha ottenuto;

-l’ego: tanto più si fa qualcosa di “moralmente/socialmente elevato”, tanto più lo status di soddisfazione cresce perché è determinato dal giudizio positivo degli altri.

Se l’appagamento non si raggiunge ecco che scatta la famosa “ricerca della felicità”.

 

Secondo me la felicità si prova essenzialmente da soli, perché è uno stato mentale che cambia da persona a persona, l’idea di provarla in due fa sempre parte del desiderio: desideriamo “possedere” una persona che provi le nostre stesse sensazioni.

Sono poi convinto che l’uomo difficilmente riesce a rinunciare alla ricerca della felicità, se lo fa o è perché ha trovato qualcosa di esterno che gli da lo stesso benessere o qualcosa di più (religione, filosofia, denaro…), oppure perché sceglie di essere inadeguato all’interno di una società che richiede degli inquadramenti precisi.

Per farla breve, siamo noi gli artefici del nostro benessere.

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penso che non possa esistere un concetto generico di felicità.

Ognuno di noi definisce la felicità in modo diverso.

 

Ma è ovvio che «felicità è un termine che si dice in molti sensi».

Ognuno riporrà la felicità in qualcosa di diverso.

Non si tratta quindi di darne una definizione univoca

quanto al suo contenuto.

 

Si può darne solo una definizione formale:

la felicità è lo stato di massimo benessere, o il

Sommo Bene (come lo chiamavano gli Antichi e non solo loro),

o lo stato massimamente desiderabile:

uno stato x che avrà un riempimento diverso per ciascuno.

 

Ma ognuno riconoscerà quale è la felicità per sé, se la prova.

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Si, lo vogliamo. Però credo, personalmente, che lo sbaglio consista nel credere la felicità come una condizione stabile. Ecco, il solo parlare di felicità come una stabilità dell'animo, mi fa credere che non stiamo parlando della stessa cosa.

Mi spiego, la vita è un susseguirsi di eventi, come una ruota che gira sempre, e sei felice quando in un certo senso sei "superiore" agli eventi, che va tutto talmente bene e ben oliato che te puoi tranquillamente estranierti e quandare il tutto come dalla prospettiva di una terza persona, e sorridere perché vedi che tutto gira anche senza di te, che in quei minuti potresti anche andarti a fare un caffè che tutto continuerà a girare in modo perfetto e ben oliato.

E' veramente questo che io cerco?

Si, vorrei poter vivere tutta la mia vita consapevole del fatto che quando voglio posso "mentalmente" andarmi a prendere un caffé e lasciare che tutto scorra per i fatti suoi, sapendo che tutto scorre per il verso giusto. Sono felice quando sto al mare e tira una brezza leggera, senza troppa gente che rompe, e magari il mare è anche leggermente mosso. Felice perché so che posso estraniarmi per un po' dal contensto che tanto il mare e la brezza continueranno così anche se non ci sono io a concentrarmi. Però non puoi vivere così, avendo mille cose a cui pensare, e pure un barbone pensa che se non mangia muore, e deve trovarsi quantomeno del cibo. Perciò la felicità la cerca, delle volte sono stato felice, ma poi lo squillo di un cellulare mi riportava alla realtà, perciò dico che - sempre secondo me - la felicità non è niente di stabile.

Rinunciare alla felicità, per come la vedo io, lo faccio anche ora che scrivo qui, ma lo farei anche se ora fossi contento. La felicità non è contentezza, se sto con un ragazzo sono contento, contentissimo, ma forse non felice. E' una sensazione diversa, difficile da spiegare, è pienezza, è energia e piena considerazione per quel che si è senza fronzoli. Un nulla in un mondo di nulla.

Essere appagati, idem, comprende l'esser felici ma non solo.

Sono appagato quando compro un cd, momentaneamente, sono contento di ciò. Mi soddisfa, ecco. Stare con un ragazzo e starci bene pure. Mio fratello che gioca con me anche. Allenarmi in palestra, mangiare un gelato, bere qualcosa di fresco mentre fuori ci sono 40 gradi. Ecco, queste sono tutte cose che mi appagano.

Il motore cos'è, forse un desiderio misto alla sensazione di contentezza per averlo realizzato. Forse è solo il sentirsi stanchi e sfatti dopo, per certe cose come la palestra ad esempio, ti appaga e ti rilassa.

Forse è proprio la sensazione di dire che si, per te, hai fatto una cosa buona e giusta e che gli altri se la prendessero pure in quel posto, a te quel cd che hai comprato piace. Forse è solo il senso del possesso che ci appaga. Tante e troppe robe che non c'è un unico motore. O almeno non saprei dirti, a me sembra che non ci sia una ragione per la quale uno si sente appagato, semplicemente quando fai un qualcosa che ti piace, o compri qualcosa che ti piace, o crei qualcosa che ti va, o senti, o vedi, o realizzi. Sei appagato.

L'uomo cerca un senso nella vita, ma le cose di per se non per forza lo hanno, la vita poi ha l'unico scopo di portarti alla fine, perciò quoto Almadel nel dire che ne il passato ne il futuro sono fonti di felicità.

 

Scusate il sermone, la messa è finita, andate in pace. :-P

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Io porto la mia opinione, che è del tutto soggettiva.

 

È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

- Secondo me, l'uomo cerca ciclicamente il momento di serenità, ma una felicità duratura finirebbe per l'annoiarlo. E' nella natura umana, a mio avviso, ricercare costantemente nuove emozioni, intraprendere nuove vicende che comportano l'arrivo di nuove sensazioni, emozioni e pensieri. La felicità la si trova nelle piccole cose, non sempre e per forza nelle grandi. L'essere umano è appagato quando le emozioni arrivano, costantemente, e lo fanno sentire "vivo".

La felicità pertanto non è un concetto stabile, ma molto dinamico e che ciclicamente l'uomo deve modificare per mantenere sempre un grado di 'brio' nella propria vita.

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

- No, secondo me l'uomo non rinuncierebbe mai al proprio benessere, che come ho spiegato nella prima domanda, si ottiene dal giusto connubio tra brio e serenità.

 

Qual è il motore più profondo delle nostre appagazioni?

- E' la voglia di novità, di tuffarsi in esperienze nuove, che fanno crescere, cambiare e maturare.

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1: ma felicità e fatica non sono in contraddizione tra loro. Lo sarebbero piacere e fatica.

2: mio Dio, quanto sei cattolica, o biblica!

 

io cattolica o biblica??? :gha: ma dove??

 

secondo me per essere felici l'impegno ci vuole, scusa... se per me essere felice significa raggiungere un obiettivo, io per quell'obiettivo mi devo sforzare!

 

- No, secondo me l'uomo non rinuncierebbe mai al proprio benessere

 

e invece ci rinuncia eccome, fidati, altrimenti tanta gente non getterebbe via la priopria vita pur sapendo che ci sarebbero altre strade.

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e invece ci rinuncia eccome, fidati, altrimenti tanta gente non getterebbe via la priopria vita pur sapendo che ci sarebbero altre strade.

 

La gente segue ciò che vuole. E per estensione, che gli crea in quel momento la soddisfazione. Il benessere è relativo, mica tutti lo intendono come lo intendi te.

 

 

 

 

 

 

non si citano i messaggi precedenti. Modifica e poi cancellami.

Edited by oldboy
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io credo che no, non vogliamo essere felici perchè essere felici significa DETERMINARE attivamente la propria felicità.

Voglio dire che per esserre felici ci vuole impegno e già questo richiede fatica.

 

Poi io penso che le persone tendano a rinunciare alla felicità per paura e perchè in un certo senso noi abbiamo bisogno di soffrire.

 

 

 

1: ma felicità e fatica non sono in contraddizione tra loro. Lo sarebbero piacere e fatica.

2: mio Dio, quanto sei cattolica, o biblica!

 

 

io cattolica o biblica??? :gha: ma dove??

 

secondo me per essere felici l'impegno ci vuole, scusa... se per me essere felice significa raggiungere un obiettivo, io per quell'obiettivo mi devo sforzare!

 

Divine, credo che tu non abbia capito il significato dei miei numeri, 1 e 2: 1 si riferiva alla tua prima affermazione da me citata,

2 alla seconda.

 

Cominciamo da quest'ultima: tu dici che in un certo senso noi abbiamo bisogno di soffrire. Ecco, fatta salva la

nota scherzosa della mia risposta, che mi sembrava evidente, questo è molto cattolico, o almeno molto biblico.

 

Quanto alla prima tua affermazione, alla 1, tu hai sostenuto che noi non vogliamo essere felici perché per esserlo

dovremmo determinare attivamente la nostra felicità: ciò richiederebbe impegno, e quindi fatica. È palese che per

te felicità e fatica stanno in un rapporto antinomico. Io allora ti ho fatto notare che

questo ragionamento avrebbe una logica se al posto di "felicità" ci fosse "piacere", cioè se la felicità fosse

determinata unicamente come piacere. Solo in questo caso si incorrerebbe in un contrasto (piacere vs fatica),

o eventualmente in una incompatibilità.

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Io la vedo molto semplice come cosa e la spiegherò con parole povere.

 

È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

Perchè una persona non dovrebbe ricercare la felicità?

Credo come Eledh che la felicità sia il raggiungimento di scopi e obiettivi.

Ovviamente credo anche che poche persone riescano ad essere felici da sole, quindi chi trova anche l'amore e belle amicizie può ritenersi felicemente soddisfatto.

Tutti hanno i propri scopi e desideri, chi li raggiunge è felice..

detta così sembra facile.

 

Sul personale posso dire di essere felice perchè ho raggiunto i miei obiettivi, sono felicemente fidanzato e sono in salute.

Poi...come possono non dare importanza alle piccole cose? E' vero, considero sicuramente i progetti più grandi in primis, sui quali potermi poi "godermi" tutte quelle piccole cose che riempiono la giornata. Queste contribuiscono a rendere la vita migliore, per chi le sa riconoscere ovviamente.

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

Si può rinunciare alla felicità per aiutare qualcuno a te molto vicino. E credo che se una persona riesce a farlo, alla fine vuol dire che ha le forze per farlo e che probabilmente ne trae soddisfazione e gratificazione, sentendosi così bene con se stesso.

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spero di aver inquadrato bene la discussione

 

È veramente la felicità ciò che gli esseri umani ricercano?

Si

Anch'io credo che per essere felici si deve arrivare a conquistare un grande traguardo.

Alternanza tra forte disagio e forti emozioni in cui prevale l'ultima --> senso di liberazione e di vittoria

Poi ci sono i compromessi, il "chi si accontenta gode" il "tanto l'uva è acerba"

Credo che i fattori che concorrono a delineare la felicità sono: ricchezza e grado socioculturale della famiglia, dall'avere qualcuno vicino che ci ama, dal proprio grado di anticonformismo, dalla forza del carattere.

 

Esiste una rinuncia alla felicità? e se sì, in favore di che?

Si

Per la felicità di un altro, un po' il vecchio discorso del sacrificarsi per il bene di chi amiamo. Ma non è una vera rinuncia perché siamo felici che l'altro lo sia al posto nostro.

Per la rassegnazione a un qualcosa di inevitabile, ineluttabile.

 

Qual è il motore più profondo delle nostre appagazioni?

non l'ho capita

 

personalmente posso dire di non essere felice

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Mah, ci ho pensato un po' su prima di rispondere... perchè mi sembra una domanda malposta. Innanzi tutto, cos'è la felicità, almeno per te?

Quali sono le condizioni per cui tu dici "sono felice"?

Sono stato felice in alcune giornate in cui ho lavorato tantissimo e ho avuto tanti complimenti.

Sono stato felice sentendo una persona dirmi "sei l'amore della mia vita".

Sono stato felice l'unica volta che mio padre mi ha detto "Bravo", quando mi sono laureato.

Sono stato felice in una giornata di sole e vento perchè "sentivo" la trama dell'universo.

Una settimana in montagna, con altri 4 amici, tra sciate e tanti giochi da tavolo, in un momento in cui avevo bisogno di staccare, sono stato felice.

Quando giocare a scacchi per me era importante, beh, in alcune partite il gioco mi rendeva felice.

etc. etc. etc.

 

La felicità è forse quando si è in armonia con il proprio circostante. Quando tutto si lega e tu dici ok.

 

E no, non esiste proprio una "rinuncia della felicità". Esistono scelte, e uno fa la scelta che sente o ritiene sia la più giusta, e qualcosa si perde e qualcosa si guadagna.

In verità io credo di essere una persona felice. E' una cosa di momenti, ma è anche una attitudine di vita.

 

Edit: voglio dire, uno è felice se si predispone ad accettare la felicità. Se uno è felice di vivere e di "giocarsi la partita", con la merda e il caviale. Non è sempre facile, e sembra anche un po' stupido dire "sono una persona felice", quando poi ti incazzi come una iena o sei preoccupato o soffri o ti deprimi. Il mondo non è facile e almeno io non sono molto bravo a fare le scelte più comode e "migliori". Eppure se ignori il piacere di una giornata di sole, se ignori il piacere di stare con gli amici o di leggere un libro o di sorprenderti quando pensi una canzone e poi passa qualcuno che la fischietta, per dire, allora tutto è più complicato, credo, e allora forse ti perdi "la felicità"...

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Non ho capito perché sarebbe una questione malposta. Non lo spieghi.

È forse perché sei stato felice per ragioni diverse,

che ritieni non si possa parlare di felicità?

Questo dimostra proprio il contrario: ogni volta hai riconosciuto

la felicità in quelle diverse sensazioni. Vedi anche il mio post #12.

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Scusami ma ero mezzo torto dal sonno e mi sono spiegato male. La domanda è mal posta perchè dipende dalla definizione di felicità.

A mio parere non c'è una "ricerca" della felicità, la felicità è uno stato che si innesca quando ci sono le condizioni adatte. Al massimo tu cerchi di fare le scelte migliori per te, secondo i tuoi criteri del momento.

Per fare un esempio super-estremo, il depresso che si taglia le vene e che sente il sangue uscire e la vita e la sua interiore complessità defluire fatalmente prova forse felicità almeno per qualche istante.

Mentre la persona amata ed adorata, piena di soldi con figli che gli vogliono bene, potrebbe non essere lo stesso felice per tante ragioni.

 

Non si "cerca la felicità", si cerca di fare le scelte migliori, il che non significa essere felici, ma solo tentare di passare in una situazione complessiva che si ritiene migliore della precedente.

Quindi non si può "rinunciare alla felicità", ma si possono fare scelte difficili in momenti difficili, che comportano rinunce anche complicate, Il che non preclude la felicità in generale, magari non ti fa essere felice in quel momento.

 

E' che uno deve "predisporsi" alla felicità, il che non significa non essere ambiziosi, o non sognare, o non dover rinunciare a certi sogni, o non soffrire.

E' per questo che si dice che la felicità è "nelle piccole cose", che non significa che le grandi cose non esistono, ma che noi ci accorgiamo di essere felici quando un dato dettaglio entra nella nostra attenzione e in un certo senso fa "click" e tu ti rendi conto di essere felice per il complesso di cose, per l'istante, e quel dettaglio è "la piccola cosa" che ti fa comprendere e apprezzare il disegno generale.

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infatti secondo me il fatto che ognuno di noi dia risposte diverse è che non abbiamno capito cosa si intende per felicità, cioè ognuno la intende diversamente. per me anche un momento di piacere è un momento di felicità e per me la felicità è qualcosa che va (anche, non sempre ovviamente) guadagnata lottando.

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Un filone di pensiero sulla felicità come piacere parte da Epicuro

per arrivare fino a Schopenhauer ( ovvero ad una specie di "dittatura

del desiderio"...volendo ci si potrebbe aggiungere Freud ) ed è un

punto di osservazione pessimistico che direi sia un po' entrato nella

forma mentis di molti "moderni":

 

"Qualsiasi soddisfacimento, o ciò che in genere suol chiamarsi felicità, è propriamente e sostanzialmente sempre negativo, e mai positivo. Non è una sensazione di gioia spontanea, e di per sé entrata in noi, ma sempre bisogna che sia l’appagamento d’un desiderio. Imperocché desiderio, ossia mancanza, è la condizione preliminare d’ogni piacere. Ma con l’appagamento cessa il desiderio, e quindi anche il piacere. Quindi l’appagamento o la gioia non può essere altro se non la liberazione da un dolore, da un bisogno: e con ciò s’intende non solo ogni vero, aperto soffrire, ma anche ogni desiderio, la cui importunità disturbi la nostra calma, e perfino la mortale noia, che a noi rende un peso l’esistenza. Ora, è difficilissimo raggiungere e menare a compimento alcunché: a ogni nostro proposito contrastano difficoltà e fatiche senza fine, e a ogni passo si accumulano gli ostacoli. Quando poi finalmente tutto è superato e raggiunto, nient’altro ci si può guadagnare, se non d’essere liberati da una sofferenza o da un desiderio: quindi ci si trova come prima del loro inizio, e non meglio..."

 

Quindi mi pare ovvio sollevare contro questo punto di osservazione la possibilità della felicità

come sensazione di gioia spontanea, se vogliamo una predisposizione alla pienezza emotiva.

Non si tratterebbe in ogni caso di un progetto razionale, di una felicità come realizzazione della

propria natura ( la qual cosa in effetti potrebbe implicare lo spiegare razionalmente quale sia ed

una risposta univoca )

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secondo me il fatto che ognuno di noi dia risposte diverse è che non abbiamno capito cosa si intende per felicità,

cioè ognuno la intende diversamente. per me anche un momento di piacere è un momento di felicità

 

Non capisco perché voi tutti non dovreste dare risposte diverse. :)

Dovete dare risposte diverse. Questo topic non chiede di dare una definizione

della felicità, cosa che non sarebbe molto interessante, ma tutt'altro.

 

Problema diverso è chi identifica un momento di piacere con la felicità. Forse

c'è anche una categoria di persona che ragiona così, e tu Divine ne sei una rappresentante,

ma i due concetti (piacere e felicità, a fortiori 'momento di piacere' e felicità)

restano diversi: tu stessa li presenti, e non puoi non presentarli, come diversi,

salvo aggiungere che per te si identificano. Ma allora dovresti spiegare perché.

Perché per te un momento di piacere è la stessa cosa che la felicità?

 

Korio (scusa, ma non ho voglia di quotare passaggi), la tua posizione mi sembra alquanto dogmatica.

 

Tu dici che non si ricerca la felicità, ma si ricerca la scelta che corrisponde a sè stessi in quel

momento. Sarà così per te, ma non puoi presentare questa come una norma universale.

Quanto al problema della rinuncia alla felicità (tema secondo me realissimo), lo dissolvi, o lo svicoli,

affermando che "qualcosa si perde e qualcosa si guadagna". A me sembra una posizione

autogiustificazionista. E tautologica: la tautologia risiede nel presupposto che tutto ciò che uno fa,

in quanto lo fa ha la sua propria giustificazione. Così, se uno si reprime fino a 40 anni, ad esempio,

tutto sommato questa era la scelta che a lui corrispondeva, e se qualcosa ha perduto, qualcosa doveva

pur guadagnare (altrimenti non lo avrebbe fatto).

 

Interessante la rapida equazione di Hinzelmann "identificazione di piacere e felicità" = "posizione

pessimistica". È vero, ovviamente. Come è vero che è un'equazione spesso solo apparente, nel senso che il

piacere può (e sottolineo può) convivere benissimo con la disillusione o l'amarezza, e che un

certo frantumare la felicità in mille piccoli piaceri provati, una volta, chissà perché, senza nessuna attesa

o ragionevole capacità di far sì che si ripetano o mettano capo a una tradizione, può celare una totale perdita di

aspettative più ampie.

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Perché per te un momento di piacere è la stessa cosa che la felicità?

 

perchè per me la felicità si basa sul fare e essere ciò che ci piace fare ed essere.

Perciò se io in un determinato momento provo piacere vuol dire che sto facendo qualcosa che è in linea con il mio essere----> felicità!

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Prendiamo il testo della canzone degli Afterhours "Quello che non c'è" :

 

"Ho questa foto di pura gioia. E' di un bambino con la pistola

Che spara dritto di fronte a se A quello che non c'è (...)

La chiave della felicità è la disobbedienza in se a quello che non

c'è .

 

Perciò io maledico il modo in cui sono fatto il mio modo di

morire sano e salvo dove m'attacco.

Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia quello

che non c'è. "

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Korio (scusa, ma non ho voglia di quotare passaggi), la tua posizione mi sembra alquanto dogmatica.

 

Tu dici che non si ricerca la felicità, ma si ricerca la scelta che corrisponde a sè stessi in quel

momento. Sarà così per te, ma non puoi presentare questa come una norma universale.

Quanto al problema della rinuncia alla felicità (tema secondo me realissimo), lo dissolvi, o lo svicoli,

affermando che "qualcosa si perde e qualcosa si guadagna". A me sembra una posizione

autogiustificazionista. E tautologica: la tautologia risiede nel presupposto che tutto ciò che uno fa,

in quanto lo fa ha la sua propria giustificazione. Così, se uno si reprime fino a 40 anni, ad esempio,

tutto sommato questa era la scelta che a lui corrispondeva, e se qualcosa ha perduto, qualcosa doveva

pur guadagnare (altrimenti non lo avrebbe fatto).

 

 

Innanzi tutto è ben specificato "a mio parere" quindi non è una norma assoluta. Io parlo per me. E, francamente, questa ostilità per il mio punto di vista mi sembra fuori luogo, però mi tengo la cosa e punto.

Solo due precisazioni: la mia non mi sembra una posizione dogmatica (ovvero una verità data e confezionata senza una logica). Dire che in una scelta cerchi di fare la migliore considerando tutti gli aspetti che ritieni soggettivamente rilevanti, mi sembra abbastanza ovvio. Anche nel fare una scelta di sacrificio tu scegli una cosa che ti sembra "meglio" nel complesso, e se fai una scelta di automortificazione, è qualcosa che ti sembra meglio nel complesso del tuo stato mentale, etc etc. Credo che una persona sana di mente agisce così, e una persona non sana di mente agisce così lo stesso chiaramente sulla base degli elementi di valutazione eventualmente distorti dalla sua non sanità. Però se per te non è così, mi sta benissimo.

Riguardo alla rinuncia della felicità, evidentemente non hai capito o non hai compreso il mio punto di vista. Una scelta è una scelta, ed io che a 39 anni (non 40 ma penso uguale) ho deciso di accettare il mio lato gay e non prima, l'ho fatto perchè c'erano aspetti che io ritenevo convenienti per me fino a quel punto per fare una scelta di questo tipo.

Posso assicurarti che sono stato felice prima di autodichiararmi gay/bisex, e sono felice ora. Ho avuto bellissimi momenti con ragazze e bellissimi momenti con ragazzi.

E tra parentesi, chiedo rispetto per le scelte personali perchè da fuori tutto è semplice.. giudicare perchè uno ha fatto delle scelte è una cosa complessa e con il senno di poi si fa presto a dire "ah dovevo fare questo o non dovevo fare quest'altro".

La felicità è nel contesto complessivo, non nella singola scelta. Non è dire "sono gay" che mi rende felice. E' il momento che vivo la mattina abbracciato a letto con il mio ragazzo che è "felice".

Detto questo e chiariti alcuni punti che forse richiedevano una precisazione, pace e bene. Scusa se ho risposto al tuo topic in modo a te non gradito. Scusa se ti ho ulteriormente appesantito con questa risposta. Prometto che oltre questo piccolo chiarimento non mi sentirai più.

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Prometto che oltre questo piccolo chiarimento non mi sentirai più.

 

Madonna, come sei suscettibile!

 

In ogni caso, hai letto nel mio post delle implicazioni e dei giudizi che non c'erano.

Né hai risposto al mio topic in modo a me non gradito: non è questione

di gradimento, è questione di criticare delle affermazioni da te fatte: qualcosa di

ovvio in un forum, no?

 

La tua posizione continua a sembrarmi autogiustificazionista, ma non applicata

alla tua biografia personale, della quale so ben poco e sulla quale non mi

permetterei di intervenire, bensì in generale, come norma discendente da un determinato

punto di vista. Comunque, beato te che sei stato sempre felice e soddisfatto di te in tutte

le diverse fasi della tua vita :)

 

 

 

 

 

perchè per me la felicità si basa sul fare e essere ciò che ci piace fare ed essere.

Perciò se io in un determinato momento provo piacere vuol dire che sto facendo qualcosa che è in linea con il mio essere----> felicità!

 

Capito, grazie :)

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