Jump to content

Entra in vigore la legge Levi sugli sconti sui libri


coeranos

Recommended Posts

è vero tutto quello che dici: ma ciò non toglie che uno Stato democratico, attraverso i mezzi legislativi di cui dispone, possa e debba porsi come obiettivo il pluralismo delle idee e delle voci

sugli editori non sarei così drastico: il grande editore ragiona con le logiche della grande industria, ma il medio e piccolo editore, pur dovendo necessariamente perseguire una politica attenta ai costi e tendente all'utile, spesso è animato più da ragioni ideali che di portafoglio (in editoria non si guadagna molto, e spesso la soddisfazione a fine anno è quella di essere riusciti a sopravvivere, aver pagato uno stipendio per tutti i collaboratori e aver portato i conti in pareggio)

gli editori continueranno ovviamente a cercare il best seller, ma ciò non toglie che lo Stato debba ragionare in termini di spazi di reale concorrenza e di mercato aperto, creando per tutti gli editori gli equi presupposti per affermarsi sul mercato senza che qualcuno, forte delle sue dimensioni o della stretta integrazione verticale tra parte editoriale e parte distributiva, sia in grado di imporre un'oggettiva situazione di dumping

poi che i libri costino troppo è vero, ma è anche vero che internet ci ha abituato a una facilità e gratuità di accesso al testo scritto (mediamente di scadente qualità, ma questo è ancora un altro problema), per cui si perde la percezione di quanto costi pubblicare un buon testo in termini di cura della parte meramente editoriale e grafica, eccellenza della traduzione, presenza di apparati critici degni di questo nome, controllo e citazione delle fonti, etc.

è per questo che un ebook non potrà mai costare "niente" come molti pretenderebbero: l'ebook evita il costo di stampa, che comunque al di sopra di una certa tiratura non è una voce di costo preponderante, e dovrebbe limitare i costi di distribuzione e annullare quelli di stoccaggio (il famigerato capitale immobilizzato a magazzino, che spesso per un editore rappresenta l'utile di un anno su cui deve anche pagare le tasse), ma lascia invariati gli altri costi redazionali, di traduzione, etc.

Link to comment
Share on other sites

ShinkuNoshonen

scusa l'ignoranza mi spieghi cosa si intende con Dumping?

 

Ti dirò, sul fatto dello stato democratico mi trovi in accordo con te, il problema grave è che noi siamo in uno stato Oligarchico (o Plutocratico dipende da dove lo guardi, scusa L'OT) e quindi l'editoria è l'ultimo dei problemi... cioè per le librerie gestire i piccoli editori è un costo-a volte- poco sostenibile, soprattutto causato da chi li distribuisce... i "colossi" dell'editoria stanno facendosi la guerra a suon di titoli e acquisizioni come mai negli anni scorsi, e il libro non è più considerato un "mezzo per veicolare il sapere" ma un prodotto di consumo. basta vedere i costi su e-bay (per portare un esempio) delle varie edizioni di Harry Potter... oppure scoprire che i libri più venduti sono quello di Vasco Rossi, Ibrahimovic (o come si scrive) Paolo Fox o Marco Simoncelli. Basta vedere come i "clienti" corrono nelle librerie a fare i cambi perchè il libro ricevuto a Natale non piace... veramente il libro ha "perso la sua magia" negli anni, anche a causa nostra certo, ma soprattutto per colpa del fattore economico che gira attorno...

 

(mi scuso per il periodo contorto)

 

La legge Levi che vorrebbe tutelare le librerie, in realtà danneggia le piccole realtà ma continua a favorire la grande distribuzione... perchè il problema è nel modo in cui viene gestito il libro come "bene di consumo"... allo stato i libri iniziano a interessare solo quando parlano male della politica (es Metastasi di Chiarelettere)

quindi fino a che gli editori e chi li vende pagano le tasse allo stato va bene così...

Link to comment
Share on other sites

il dumping è vendere sottocosto

era quello che faceva Amazon Italia quando è partita vendendo al 40% di sconto, praticamente perdendo soldi su ogni libro, con il chiaro intento di far fuori librerie fisiche e librerie online

oggi fortunatamente non lo può più fare

 

io sono moderatamente ottimista sulla legge Levi: non è il meglio che si potesse fare ed al solito è un compromesso, ma credo che qualche risultato nel medio termine lo porterà a casa, inclusa (mi auguro) una maggiore aderenza dei prezzi di copertina alle cifre "post sconto" cui eravamo abituati

non basterà la legge Levi a salvare i piccoli editori e le piccole librerie: ma potrebbe aiutare a dare spessore a strategie intelligenti

oggi avere una vetrina è il punto d'inizio per vendere libri: ma per sopravvivere occorre conoscere il mestiere e inventarsi qualcosa, essere punto di aggregazione di una specifica domanda specializzandosi e realizzando eventi

Link to comment
Share on other sites

Si può fare un ragionamento plausibile basato sul binomio stato democratico = pluralismo editoriale,

ed è il ragionamento fatto da Conrad.

 

Ma si possono fare anche altri ragionamenti, con un costo ideologico e volontaristico minore. Ad

esempio, in nome della cultura (e qui siamo in sede propria, perché parlare di cultura è coessenziale

a un discorso sull'editoria e sui libri), è compito di uno stato qualunque - tirannico, assolutistico,

totalitario o autoritario - garantire la disponibilità del suo patrimonio culturale ai lettori non dirò di

quello Stato, ma parlanti quella tal lingua.

 

Pochi sanno che in Italia non sono disponibili, in libro, le opere complete di Petrarca, uno dei giganti,

peraltro, della letteratura italiana. Uno studioso che voglia studiare Petrarca, o uno studente che lo

voglia leggere per intero, o in misura significativa, non possono farlo se non andando in Biblioteca -

e non in una biblioteca qualunque. Una simile cosa è inimmaginabile in Francia, ad esempio, dove tutta

la grande e anche media letteratura francese è non solo disponibile in libro, ma in tascabili economici.

 

Allora il problema non è se uno stato sia democratico - ma se sia una Nazione, degna di questo nome,

insomma un Paese serio. L'Italia lo è? Non lo è.

 

C'è anche da ricordare che l'Italia è in misura significativa basata sul finanziamento per l'appunto

statale all'editoria: ma l'Italia non chiede niente in cambio; non chiede, ad esempio, che siano stampati

i classici e anche collane complete dei grandi testi della storia della letteratura, della filosofia, del pensiero

scientifico, della letteratura artistica italiani. Germania, Francia, UK hanno le loro grandi case editrice nazionali

diffuse in tutto il mondo che garantiscono la riproduzione del patrimonio letterario anglofono, francofono,

germanofono. In Italia, mille case e casette, pagate con i cofinanziamenti nazionali delle università, editori cioè

che non sono editori, ma tipografi (pagati, intendo), ma nemmeno una collezione nazionale delle Università italiane.

Il fascismo fece l'Accademia d'Italia. Dobbiamo aspettare uno stato autoritario per avere qualcosa di simile alle

Belles Lettres francesi? Altro che stato democratico...

 

Ultima postilla: Amazon Italia ha fatto lo sconto del 40% per un breve periodo ben delimitato, allo scopo di farsi

conoscere e di lanciarsi. Beato chi ne ha goduto!

Link to comment
Share on other sites

in Italia il finanziamento dell'editoria è (era?) rivolto soprattutto ai quotidiani di partito; vero che esiste un finanziamento "occulto" tramite l'aliquota IVA forfettaria agevolata al 4%

il problema di ogni editore è che alcuni libri per definizione "non vendono" ma devono essere nel catalogo perché danno valore al discorso editoriale complessivo

questo vuol dire sostanzialmente che devono essere previste delle forme di sussidio incrociato

in Francia ad esempio il sistema capillare di biblioteche pubbliche garantisce che qualsiasi cosa sia pubblicata in lingua francese, per il solo fatto di essere pubblicata, venderà almeno 1500 - 2000 copie: pertanto in Francia il "caso Petrarca" non potrebbe accadere

in Germania la legge sul prezzo unico dei libri è così rigida, che gli utili che gli editori ricavano dai libri popolari (venduti a prezzo pieno) sono più che in grado di compensare le perdite sui libri "difficili"

il punto è che l'editoria non può essere un mercato come gli altri: se lo fosse, una volta che qualcuno per assurdo togliesse Dante dai programmi scolastici, in Italia Dante andrebbe immediatamente fuori catalogo

occorre studiare dei meccanismi per garantire la diffusione e disponibilità dell'intero patrimonio culturale, diffusione e disponibilità che non è redditizia: qui si innestano i discorsi su come rendere redditizia tale disponibilità, tramite ad esempio la digitalizzazione dei libri

anche su questo stiamo correndo dei pericoli (vedi Google Books e i relativi rischi di sfruttamento monopolistico dei contenuti delle opere fuori diritti per i motori di ricerca)

Link to comment
Share on other sites

Conrad, il caso Petrarca è uno dei tanti, dei tantissimi, che potrei citarti.

E oltre al finanziamento dei quotidiani di partito, bisogna consoderare il finanziamento fatto dalle

Università a tutte le case cosiddette accademiche, tra le quali molte note e prestigiose, i cui libri

vengono praticamente pagati tramite i fondi di ricerca assegnati ai professori universitari.

 

In Italia c'è troppo Stato, ma, ed è questo il punto, niente Stato in un altro senso.

 

Intendo dire che se si creasse un analogo delle Belles Lettres francesi, retta in tutto o in parte dal sostegno statale e delle Università, che pubblicasse tutto ciò che ora è pubblicato in mille rivoli, e secondo piani editoriali decisi al 50% dalle università e per l'altro 50% da una Commissione di saggi, preferibilmente stranieri, e con esclusione assoluta degli studiosi italiani che da 3 anni non pubblicano, avremmo una produzione libraria in grado di provvedere al fabbisogno nazionale (studenti, laureandi, dottorandi, ricercatori), ciò che ora non è, e anche capace di portare all'estero le nostre opere migliori (mentre case editrici anche illustri, di taglio accademico, hanno addirittura difficoltà a uscire dalla città in cui stampano).

Link to comment
Share on other sites

Conrad, il caso Petrarca è uno dei tanti, dei tantissimi, che potrei citarti.

E oltre al finanziamento dei quotidiani di partito, bisogna consoderare il finanziamento fatto dalle

Università a tutte le case cosiddette accademiche, tra le quali molte note e prestigiose, i cui libri

vengono praticamente pagati tramite i fondi di ricerca assegnati ai professori universitari.

 

 

è così come dici: conosco alcune case editrici che si sono specializzate a lavorare soltanto nella nicchia universitaria e vivono agevolmente, dato che la tiratura è comprata prima ancora di essere stampata

il problema di fondo, che mi sembra anche tu consideri tale, è che l'importanza "culturale" (aggettivo abusato ma ci siamo capiti) di molte opere prescinde del tutto dalla loro effettiva commerciabilità

quando il mercato non è in grado di far sopravvivere qualcosa, ma allo stesso tempo esistono esigenze di altra natura per cui questo qualcosa deve comunque sopravvivere, è inevitabile un approccio che definirei "dirigista", ovvero creare delle organizzazioni in grado di scegliere e finanziare le opere da pubblicare sulla base di criteri trasparenti, per quanto possibile

parliamo sempre di una forma di controllo del mercato, e di fondo, per tornare in topic, la legge Levi E' una limitazione della libera concorrenza

si tratta di decidere cosa è meglio: nello schema tedesco (tipo legge Levi) si garantisce al piccolo e medio editore la sopravvivenza e si lascia a lui la decisione su cosa pubblicare, permettendogli in sostanza di crearsi un catalogo in cui esistono dei meccanismi interni non esplicitati di sussidio incrociato

nello schema francese è lo "Stato" o chi per lui (il sistema di biblioteche pubbliche) che si fa carico di garantire la sopravvivenza dell'opera letteraria a prescindere dalla sua effettiva commerciabilità

tra questi due estremi si potebbero individuare molte vie di mezzo, ma quello che è certo è che l'editoria è uno dei classici settori in cui il puro libero mercato, se applicato con rigore, finisce per impoverire l'offerta

Link to comment
Share on other sites

Non sono d'accordo con la conclusione: non è il libero mercato che finisce per impoverire, ma l'oggettiva ignoranza e

crapulonità di un popolo. A Parigi in ogni strada ci sono tre ristoranti e due librerie; nel metro tutti leggono, foss'anche

un poliziesco. A prate questo, troverei più esatta la tua formulazione se tu dicessi (come io dico) che il libero mercato

deve essere accompagnato da un intervento statale - ma allora veramente statale! cioè nelle mani dello Stato! - per

mantenere edito e tradotto (buona parte della letteratura italiana è in latino) almeno il patrimonio letterario nazionale,

per non parlare dei classici della letteratura greca, latina, delle letterature europee (e stiamo parlando di letteratura:

lo stesso vale ovviamente per le grandi branche del sapere - e di tutto quanto è richiesto da chi studi, dal Liceo al Dottorato. L'Italia non garantisce questo fabbisogno: per niente.

Link to comment
Share on other sites

la legge Levi limita la libera concorrenza, non la abroga, e agisce in senso correttivo lasciando a una pluralità di attori (i piccoli e medi editori) la possibilità di accedere al mercato ad armi pari, a prescindere dalle dimensioni, e poter così formare un catalogo esprimendo la propria vocazione editoriale

è un tipo di intervento che non mira ad agire in prima persona sulla lista di ciò che deve assolutamente essere pubblicato, ma mira a mantenere vitale un ecosistema di piccoli e medi editori che renda possibile l'espressione del pluralismo delle idee

questo non è detto risolva la "questione Petrarca" che citavi, ma certo diminuirebbe la probabilità che casi simili si verifichino

non vedo la contraddizione tra la legge Levi e un eventuale impegno dello Stato in prima persona, con un mandato chiaro e trasparente per rendere disponibili i testi della letteratura classica nazionale

permettimi però di essere scettico sulla concreta possibilità che questo intervento si possa realizzare in Italia

Link to comment
Share on other sites

No, non la risolve, e non diminuisce neppure la probabilità che casi simili (sono tanti, per la verità, sono anzi la norma) continuino ad essere la norma. In ogni caso è certo che non ci sarebbe contraddizione, ma solo integrazione, tra legge Levi e impegno dello Stato o di un'Accademia sorretta finanziariamente in tuttto o in parte dallo Stato.

 

Tu sei scettico sulla possibilità che questo secondo intervento si possa realizzare in Italia: figurati quanto lo

sono io! Ti voglio solo far capire che quando dico che la nostra produzione editoriale nel campo umanistico (un campo amplissimo, dato che comprende Lettere, Filosofia, storia, storia dell'arte e della musica, scienze umane, per non parlare di tutta la letteratura classica) è insufficiente, voglio proprio dire che noi non abbiamo i necessari libri da mettere in mano agli studenti universitari, ai dottorandi. Questa è la situazione, situazione che sarebbe inconcepibile in altri Paesi europei. E da noi non si ristampa niente. I libri degli anni 90 sono raramente reperibili, quelli degli anni 80 del tutto scomparsi; non parliamo di quello che viene prima. In Francia si ristampano continuamente i grandi libri, che servono per la preparazione dei professori, degli studenti universitari, dei dottorandi: il loro obiettivo è di coprire con autori di lingua francese, che tutti possano leggere, il fabbisogno nazionale.

 

Ovvio che questi libri si vendano, e a iosa, e si ristampino continuamente, e che le case editrici ne traggano guadagno.

Link to comment
Share on other sites

Non ho una idea chiara in materia, certamente la Legge Levi non è incompatibile con

forme di intervento statale, perchè mi pare sia una legge che regola il mercato.

E quindi bisognerebbe conoscere questo settore di mercato, la crisi delle piccole

librerie rispetto alle catene è sotto gli occhi di tutti, ma questa crisi è solo l'ultimo

anello della catena ( la distribuzione del prodotto ) rispetto alle case editrici di cui poco

so.

 

Apprendo che in Germania c'è una regolamentazione legale forte sui prezzi dei libri

mentre in Inghilterra il prezzo è assolutamente libero ( non mi stupisce perchè corrisponde

a due approcci ideologici-culturali, contrapposti che ci si aspetta in entrambi i paesi )

 

La legge Levi mi pare sia una soluzione mediana, perchè il prezzo è fissato dagli editori

gli sconti sono limitati, gli stessi editori possono fare però offerte promozionali: mi pare di

capire che sia molto limitata la libertà di iniziativa economica del commerciante a favore

del mantenimento di quella dell'editore. Nel caso di punti vendita aziendali ( Feltrinelli,

Mondadori ) cambia poco, perchè il capitale investito è lo stesso, per il piccolo libraio

cambia poco, perchè credo avrebbe desiderato un prezzo unico che lo proteggesse dalla

concorrenza sul prezzo ( ovviamente se non aderisce alle offerte promozionali perderà clienti )

dei grandi.

 

D'altronde la liberalizzazione dei punti vendita ( tabaccai supermercati etc. ) ha dalla sua

l'esigenza di promuovere la diffusione della lettura popolare ( best sellers etc. ) e gli sconti

favoriscono il consumatore, il chè corrisponde all'indirizzo sul commercio assolutamente

predominante in generale. E rispetto a questa tendenza il piccolo libraio o si iperspecializza

o non sopravviverà ugualmente.

 

Come tutte le soluzioni di compromesso non è che si capisca bene quale possa essere l'esito

perchè c'è una opacità di fondo. Non vorrei che alla fine ne traessero vantaggio solo le catene legate

alle grandi case editrici.

Link to comment
Share on other sites

Apprendo che in Germania c'è una regolamentazione legale forte sui prezzi dei libri

mentre in Inghilterra il prezzo è assolutamente libero ( non mi stupisce perchè corrisponde

a due approcci ideologici-culturali, contrapposti che ci si aspetta in entrambi i paesi )

 

Se posso permettere un'ipotesi, oltre ai diversi approcci che giustamente citi tu, una parte delle motivazioni è a mio parere anche nel fatto che nel mondo anglosassone si traduca pochissimo, al contrario di quanto avviene nel resto d'Europa. Fissare il prezzo dei libri come in Germania secondo me aiuta anche a garantire al traduttore una retribuzione adeguata (e di conseguenza a tenere anche una buona qualità della traduzione, cosa che in Italia si sta riducendo drasticamente).

Link to comment
Share on other sites

La Germania, a suo modo è un paese serio...quindi sicuramente i benefici

andranno a favore anche dei traduttori. Allo stesso modo, per far un esempio

in Germania sono tutelati i collaboratori di studi professionali ( cioè se c'è una

tariffa regolamentata è regolamentata in modo che i benefici non siano dei

privilegi odiosi, come magari in Italia )

 

Certamente è importante sul piano culturale anche favorire le traduzioni

oltre che difendere la cultura nazionale e nei paesi anglofoni che esprimono

la cultura predominante, non sarebbe sbagliato incentivare le traduzioni, visto

che la propria cultura forse si difende da sè.

 

Non sarei così certo che in Italia a un vantaggio per un editore non possa

continuare a corrispondere lo sfruttamento lavorativo del traduttore...

Link to comment
Share on other sites

Una parentesi, visto che ne parlate: i traduttori sono mal pagati dalle case editrici, ma pagati somme

iperboliche dai privati. E i soldi dei privati sono pure soldi in nero. Direi che non si possono lagnare.

Così i Lettori sono la più lesa, la più ingiustamente trascurata delle categorie di insegnanti universitari,

ma guadagnano quello che vogliono con le traduzioni. Chi poi diventa traduttore di una Banca, ad esempio,

ha un'enorme quantità di lavoro e quindi di reddito assicurato.

 

Tornando al tema, credo anch'io che ci sia un abbraccio mortale, in atto, irreversibile e contro il quale

nulla si può fare, perché è l'essenza stessa della contemporaneità: Informazione contro Cultura, e la

prima, che a uno sguardo superficiale si presenta di primo acchito come alleata della seconda, in realtà

la mangia e la sradica. Quindi il piccolo libraio è destinato a scomparire, se non si iperspecializza, o se non offre un servizio di natura comunque particolare. Credere di salvarsi tramite forme di interventi statali o legislativi contrastanti, di freno, è una forma di pensiero teologico. (Che in quanto tale può avere un'enorme popolarità e diffusione, presso i giovani e non solo). (E può anche semmai avere un effetto ritardante, ma niente più).

 

Questo non significa che bisogna innaggiare alla contemporaneità, ma prendere atto del principio

di realtà. L'unica forma di intervento statale che io credo doveroso e necessario è, come ho cercato di

dire, quello che salvi la produzione letteraria, quindi la cultura, nazionale (e con questa parola intendo dire non solo quella che è propria di una nazione, ma anche quella, qualunque essa sia, che nutre una nazione, e che inoltre si esprime in quella data lingua, per esempio l'italiano), perché mi parrebbe che questo sia dovere fondante di uno Stato. Ma come il nostro Stato è quella barca oscena che va di qua e di là come un ubriacone, così questo è rappresentato, sul piano dell'editoria, dal fatto che noi non siamo in grado di provvedere al fabbisogno culturale degli studenti (e non solo) dal dopo-Liceo in poi.

Link to comment
Share on other sites

limitando l'analisi al settore editoriale (i traduttori che lavorano per aziende e banche appartengono spesso a un altro pianeta), la tendenza è quella di affidare a freelance alcune parti "vitali" del progetto editoriale di un libro, come ad esempio la traduzione, l'impaginazione, la grafica, a volte persino la revisione e la correzione delle bozze

i freelance per quanto preparati sono pagati pochissimo, quelli con partita IVA sono perseguitati dagli anticipi IRPEF e dagli studi di settore, i quali, pensati per i grandi evasori, finiscono con l'opprimere i singoli che vengono taglieggiati oltre ogni limite di sopportazione da uno Stato sgangherato, ingiusto e dedito al gangsterismo fiscale in cui è diventata prassi l'inversione dell'onere della prova (una cosa vergognosa)

alla fine, visto che anche i freelance devono mangiare, prendono quante più commesse possibile e lavorano in modo compresso

questo ovviamente si riverbera sulla qualità del libro, con traduzioni approssimative, refusi a non finire, assenza totale di apparati critici e di bibliografia

poi è chiaro che se questo è ciò che propone l'editore, molti sono portati a credere che il suo lavoro è ridondante e tanto meglio il cortocircuito autore-lettore che il web propone come modello puramente ideologico di "editoria libera"

i libri ben fatti, penso ad esempio ai Bollati Boringhieri, non possono costare poco

Boringhieri è uno di quelli che su Amazon non ci va, se ne fotte di quella vetrina perché ha un catalogo eccezionale: non riesco a dargli torto

 

quello che dice Isher sul fatto che non si ristampa nulla è vero, e i libri più rari e introvabili sono a volte proprio quelli degli anni '80 e '90

ovviamente c'è un motivo economico: ristampare meno di 3.000 copie non ha senso, ma ristamparne 3.000 per un libro che vende magari con regolarità 100-200 copie l'anno vuol dire immobilizzare un capitale per un tempo lunghissimo, su cui pago le tasse (per lo Stato rapace il magazzino è come se fosse "utile" da tassare)

l'unica possibilità è o la digitalizzazione, oppure il POD (printing on demand), che pure aumenta non di poco i costi di stampa e per i libri illustrati non è conveniente in alcun modo rispetto all'offset e porterebbe il costo per singola copia a livelli improponibili

 

tornando alla legge Levi, aspetterei prima di pronunciare condanne definitive o assoluzioni, a mio avviso il tentativo legislativo andava fatto

non posso essere a priori d'accordo con Isher che la vede come una forma di pensiero teologico: il mercato deve ancora prenderne le misure e assestarsi

e poi Isher ti faccio notare che quello che tu proponi è una ipotetica soluzione "ex machina", insomma anche il tuo è una forma di pensiero teologico, che, pur con la cautela e lo scetticismo ineludibile, vede una possibile salvezza calare dall'alto sotto forma di intervento statale

Link to comment
Share on other sites

Ti rispondo con una battuta, Conrad: anche ammesso che sia una forma di pensiero teologico, è quella praticata dagli Stati più laici del mondo, anzi, dagli Stati che hanno letteralmente inventato la laicità: UK e Francia.

 

Ma non lo è: perché io non la presento come una salvezza, (nel mio post ho sostanzialmente detto che non c'è, e non deve esserci, "salvezza"), ma come un dovere di uno Stato. Un dovere legato a un dato empirico: provvedere al fabbisogno dello studentato alto.

Link to comment
Share on other sites

beh allora anche la legge sul prezzo unico del libro non può essere accusata di pensiero teologico, visto che ce n'è una anche in Francia...

Link to comment
Share on other sites

Infatti la Francia è una Paese intelligentemente statalista - ma non solo statalista. In Francia si realizzano

le due condizioni che io considererei ideali: da un lato libero mercato, investimento personale degli editori

in autori o intraprese varie, dall'altro una forte presenza unificante (ad es. la «Collana delle Università di Francia»)

per quanto riguarda i classici e la letteratura francese, nonché un aiuto dello Stato (la Caisse nationale

des Lettres) per ogni progetto editoriale che sia considerato serio.

 

In Italia le collane accademiche pubblicate dai vari editori di nicchia anche molto celebri sono pagate dalle università e più precisamente dai professori che riescono ad avere finanziamenti, gestiti comunque dalle università sul piano burocratico e della spesa - questi editori sono quindi dei tipografi; e manca la responsabilità dello stato nell'unificare le mille collane e collanine in una grande collana nazionale, che tra l'altro riuscirebbe a muoversi e a varcare i confini - come accade con la Collection des Universités de France, o gli Oxford Classical Texts, che sono noti e diffusi in tutto il mondo. Spero di avere spiegato il senso del mio discorso.

 

Post scriptum: sia chiaro, Conrad, che io vorrei che le piccole case editrici, o gli editori di nicchia (non i «tipografi», però), continuassero a vivere e ad esistere. Se ci riescono, io ne sono solo felice. Mi sembra però che questo può avvenire, come diceva Hinzelmann, sostanzialmente per chi riesce a specializzarsi o a offrire un servizio insostituibile. Se poi gli Italiani avessero più voglia di leggere, l'aiuto non sarebbe da poco...

Link to comment
Share on other sites

E' molto interessante e utile da leggersi, ma non posso trovarmi d'accordo su quanto dice la Molino in prefazione,

ovvero che il limite del 15% di sconto è altissimo. E a nulla giova fare il paragone con altri Paesi, quali ad esempio la

Francia, dove lo sconto è fissato al 5%. Perché lì i libri costano mediamente molto meno.

Link to comment
Share on other sites

ShinkuNoshonen

ragazzi, non voglio fare l'antipatico o lo scemo di turno, ma stiamo perdendo di vista una cosa importantissima, cioè chi acquista libri.

Dal discorso emerge si tende a scordare chi legge libri solo per diletto, e magari i classici non li compra perchè (guarda un po!) li ha già in casa... che poi ci sarebbe tutta una discussione da fare su cosa è da considerare "classico"... il lettore medio non è lo studente che arriva e ti chiede Kafka (che nei cataloghi non risulta come classico) o Pirandello (nemmeno lui classico)o Verga o Platone... il lettore medio è quello che entra e ti chiede le ultime novità, la nonnina che si è fatta tutta la serie di Sveva Casati, Danielle Steel, N. Sparks o Liala e cerca libri di quel genere, o cerca un thriller nuovo o un libro "leggero"... pretendere che tutti si facciano una cultura di classici è estremo come il fatto che Petrarca non sia disponibile... il problema dell'editoria è che il libro, in quanto bene di lusso ha prezzi alti e il lettore si è abituato a comperare al supermercato (nella catena Iper, a giugno c'era lo sconto del 40%sulle novità...)o nei megastore... la legge Levi frena l'acquisto dei libri "in blocco" perchè uno, per quanto appassionato di lettura, deve purtroppo farsi due conti in tasca e decidere su cosa spendere e su cosa risparmiare... purtroppo il problema alla base è il fattore economico (per quanto volgare possa esserne parlarne)e se le piccole librerie hanno l'acqua alla gola, quelle grandi si reggono in piedi perchè vendono anche altro... il grosso difetto della Legge è che un lettore medio che compra, si trova a dover scegliere dove acquistare e questa è una grossa limitazione...

 

poi scusate l'ignoranza ma mi spiegate in parole povere il discorso sull'iva che non l'ho compreso...

Link to comment
Share on other sites

citavo l'IVA solo per dire che i libri hanno l'aliquota ridotta (4%) e che questo costituisce una sorta di aiuto di Stato all'editoria

ma il discorso IVA esula da questa discussione, è un tecnicismo fiscale (diciamo così) e possiamo anche fare a meno di parlarne, cambia poco

 

le legge Levi frena l'acquisto dei libri ai livelli di prezzo cui siamo abituati, che incorporano uno sconto (che poi è quello che si praticava nelle librerie): i prezzi di copertina sono gonfiati per tenerne conto

adesso che c'è il prezzo unico, i prezzi dovrebbero diminuire (altrimenti è chiaro che gli editori rischiano il calo consistente dei volumi) o comunque non incrementarsi per i prossimi anni in modo da recuperare lentamente il divario tra prezzo equo e prezzo "gonfiato"

 

dal punto di vista dell'acquirente di libri, il punto chiave della legge Levi è il concetto di sussidio incrociato

in pratica con il prezzo fisso chi compra solo "best seller" si trova a pagare un contributo (il mancato sconto), una specie di "tassa", per permettere ad altri libri "meno redditizi" di essere pubblicati, quindi al lettore più colto o con interessi più variegati di poter trovare questi libri in libreria

questo è sommamente ingiusto ma è quanto avviene in ogni forma di gestione amministrata dei prezzi, in cui viene regolata la legge della domanda e dell'offerta

 

il punto di vista di Isher è che il prezzo unico non serve a pubblicare opere di qualità, o a rendere disponibili i "classici" in libreria

il mio punto di vista è che, agevolando la vita al piccolo editore, il prezzo unico permette potenzialmente a più editori di sopravvivere e quindi di trovare un proprio spazio editoriale, ivi inclusa la nicchia dei classici qualora non adeguatamente coperta da altri editori

Link to comment
Share on other sites

ShinkuNoshonen

Ok adesso è più chiaro, scusa ma avevo capito tutt'altro... comunque una piccola notazione te la devo fare (sorry) l'Iva 4% nelle librerie l'hanno alcune cartine stradali, i mappamondi e alcuni calendari. I libri in Italia sono a Iva 0% (assolta) per questo li puoi comprare anche senza scontrino, per esempio nelle edicole...

Link to comment
Share on other sites

in sintesi i libri sono a IVA assolta dall'editore ma l'aliquota applicata è del 4%

figurati se lo Stato italiano lascia una categorai merceologica senza IVA... ;)

l'IVA assolta è possibile data l'esistenza di un prezzo di copertina

come ulteriore agevolazione l'editore non paga l'IVA su tutta la tiratura ma su una percentuale forfettaria per tenere in debito conto le rese

l'IVA assolta permette al libraio di non essere obbligato ad emettere scontrino fiscale

Link to comment
Share on other sites

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Unfortunately, your content contains terms that we do not allow. Please edit your content to remove the highlighted words below.
Reply to this topic...

×   Pasted as rich text.   Paste as plain text instead

  Only 75 emoji are allowed.

×   Your link has been automatically embedded.   Display as a link instead

×   Your previous content has been restored.   Clear editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

×
×
  • Create New...