Jump to content

La Borsa Nera


Silverselfer

Recommended Posts

Silverselfer

Dopo la riuscita avventura de'"Il ricordo nel pendolo" ho deciso di scriverne una seconda di "Anna degli spiriti" dal titolo "La borsa nera". Troveremo di nuovo Anna alle prese con delle anime in pena per qualche sciagura legata al difficile periodo della guerra nazifascista.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

La Borsa Nera

La grande città si rivelò un mondo ben oltre ogni fantasia di Anna. Prima di allora non aveva mai visto palazzi così alti, con portoni che sembravano costruiti per dei giganti. Le strade erano tutte lastricate e l’erba poteva crescere solo nei giardini pubblici. Per il vero, quei tram scampanellanti le facevano un po’ paura e sentiva la mancanza del buio. In città Anna pativa il peso di dover sempre essere esposta agli sguardi altrui, che erano come tanti lumicini; i quali la seguivano fin nel suo misterioso giardino segreto, dove trovava riparo da un mondo a volte troppo crudele con lei.

 

 

Il nonno trovò lavoro al mattatoio, squartava bestie e spaccava ossa con la mannaia dalla mattina alla sera, riuscendo così a pagare l’affitto di un piccolo appartamento; dove la nonna trascorreva le giornate a sognare gli elettrodomestici. Beppe realizzò il sogno di diventare meccanico, lavorando come apprendista in un’officina. Gino fu messo nell’istituto del Cottolengo di Monte Verde, dove il mondo parve dimenticarsi di lui, e lui lentamente si dimenticò del mondo. Quando la nonna partorì la piccola Flo, le spese di casa si fecero troppo onerose e anche Anna dovette trovare il modo di badare a se stessa.

 

 

La mattina, prima di andarsene, Anna fece il bagnetto alla piccola Flo. Senza lesinare il borotalco, la vestì con tutta la cura che poteva darle, curandosi che non si riflettesse mai nello specchio perché essi, rubando l’anima agli infanti, li conducono alla morte prematuramente. Il cuore di Anna si strinse nel dolore quando ripose la sorellina nella piccola culla, certa che non l’avrebbe rivista per molto tempo. Le segnò una croce sulla fronte per scacciare i brutti sogni e la salutò con una piccola lacrima.

 

Anna prese poi un tozzo di pane dalla dispensa e lo mise tra le sue poche cose, di cui fece un fagottino, quindi s’incamminò da sola verso una nuova vita.

 

 

La ragazzina camminava con lo sguardo mesto, mentre i suoi passi la conducevano verso il borgo ebraico, dove abitava la signora Schreclich. Quando le mancava poco per arrivare, fece un incontro assai singolare. Stava attraversando un arco buio presso la corte de’ Cenci, quando vide una piccola mendicante. Era seduta in un angolo e batteva ossessivamente una gavetta in terra. La piccola non sembrava un’accattona, indossava abiti puliti e un bel mastro di raso tra i capelli, era chiaro che aveva una mamma premurosa che si curava di lei, eppure era magra da far spavento. La bambina, infatti, chiedeva cibo e non monete. Aveva fame e il suo strazio era chiuso in uno sguardo disperato, allo stremo delle forze. Anna non poté rimanere sorda alla sua richiesta di aiuto e trasse via il tozzo di pane dal fagottino di panni, glielo offrì insieme a un sorriso. Il suo sguardo dorato spaventò Anna, che affrettò il passo per uscire dal tunnel buio che fendeva quel palazzo secolare. Prima di tornare alla luce, si sentì tirare da un lembo del giacchetto. Si voltò ed era la ragazzina che le porgeva una lettera. Bastò il tempo per leggere a chi era destinata la missiva, per far scomparire la piccola mendicante. Curiosamente, sul retro di quella busta c’era scritto in bella grafia “Ad Anna”. Certo non poteva essere lei quell’Anna cui era stata destinata la lettera, quindi decise di riporla nella tasca del giacchetto, per restituirla alla bambina quando certamente l’avrebbe incrociata di nuovo per il borgo.

 

 

La signora Schreclich abitava in un appartamento molto lussuoso, con i marmi in terra e imponenti specchi su tutte le pareti. Anna si sentì piccina tra tutti quei ghirigori dorati, mentre la cuoca “Itka” le faceva strada tra quegli specchi che si riflettevano uno dentro l’altro, formando corridoi infiniti, in cui diventava difficile capire da che parte si stava andando. Anna trovò le stanze di servizio molto più rassicuranti, nella loro umile praticità. Itka era una donna segaligna, con occhi di bue e le labbra sottili strette in una perenne espressione di disappunto. Sembrava antipatica, ma sotto quella maschera gretta, nascondeva un cuore tenero. Chiese ad Anna se aveva fame perché le era avanzato del galer, che altrimenti sarebbe finito in pasto a quel sacco di pulci del gatto. Anna accettò volentieri, qualunque cosa fosse quella roba. Itka stava prendendo un piatto quando parve sentirsi male. Si tenne la testa e poi, quasi a voler far tacere delle voci che l’angustiavano, colpì forte il pugno sul tavolo. Anna ebbe un sobbalzo. Si udirono poi delle voci esclamare il loro spavento. Itka allora disse ad Anna che quella grassona della padrona la stava aspettando. La prese bruscamente per mano e la condusse fin davanti alla porta in fondo al corridoio. Poi bussò e di nuovo si udì qualche gridolino di spavento.

 

 

Quando entrò nello studio, Anna si stupì nel vedere che lì dentro non c’era nessun altro oltre quella che suppose fosse la signora Schreclich, che era come assorta tra pensieri profondissimi. Sulle prime Anna temette che stesse addirittura dormendo, perché le tende alle finestre erano state tirate e nella stanza era buio. C’era solo una candela accesa al centro del tavolo tondo dove era seduta la signora.

 

Anna chiese un paio di volte se disturbava, ma quella donna continuava a tenere il palmo delle mani sul tavolo e lo sguardo fisso su un registro rosso che aveva davanti. D’improvviso le sgranò gli occhi addosso. Quelle pupille imputridivano insieme a delle cateratte giallognole disgustose. Anna strinse il suo rosario nel palmo della mano, per riuscire a trovare il coraggio di non fuggire via. Quella vecchia le chiese furiosamente chi fosse per presentarsi in quella casa senza essere invitata. Anna comprese che la poveretta doveva essere un po’ tocca, certo si doveva trattare di qualche anziana parente della padrona di casa. Allora Anna si presentò, chiarendo che era stata la signora Schreclich che aveva chiesto una ragazza per occuparsi del bucato. La matta allora chiese conferma alla sedia vuota accanto a lei.

 

Anna per poco non si prendeva un accidenti, quando si vide comparire d’improvviso il faccione della signora Schreclich che la osservava incuriosita. La signora Schreclich era bassa e tonda, con una testa che sembrava stesse per scoppiare. Le braccia non riuscivano ad allinearsi al corpo e rimanevano in aria come fossero delle ali di pinguino. Tali e quali le gambe corte, su cui si muoveva beccheggiano di qua e di là. Sull’occhio destro e all’angolo della narice sinistra, campeggiavano due enormi porri. Anna cercava di non fissarla, mentre lei la esaminava come fosse una gallina al mercato. Le disse infastidita di tenere in tasca il suo Jeschu, Anna non capì che si riferiva al rosario e questo la indispettì ancora di più e le diede della stupida “schaw-wesschicksel”; allora intervenne ancora la matta che declamò perentoria «Se non ottempererai ai tuoi compiti anche solo una volta, dovrai lasciare questa dimora per sempre”. Anna annuì con una piccola riverenza e scappò via.

 

 

Appena fuori da quello studiolo, Anna si segnò la croce e a occhi chiusi tirò un gran sospiro. In quello stesso istante comparve un ragazzino tutto vestito di velluto nero, manco fossero in gennaio. Anna ebbe un soprassalto che lo divertì parecchio. «Sei dunque tu la gattina che mi ruba il pasto» disse sornione. Anna abbozzò una riverenza, pensando che si trattasse del signorino Schreclich. Il suo gesto parve divertire ancora di più quel piccolo sfacciato. «Aspettami per cena» le disse, quando Anna spazientita dalla sua insolenza, decise di ignorarlo.

 

 

Itka la aspettava in cucina con una gavetta militare, dove aveva messo il galer. Le disse di stare attenta alle parole di quella vecchia matta mentre alla signora ci avrebbe pensato lei. Poi la guidò in quella che sarebbe stata la sua stanza. Salirono per delle scale di servizio fino al sottotetto, dove c’erano le vasche per il bucato. Itka le spiegò che per nessuna ragione avrebbe mai dovuto lasciare quel posto. La camera di Anna era piccola ma accogliente, con un armadio, dove poteva appendere il suo abito della domenica, un lettino con un soffice materasso di piume, una piccola stufetta di ghisa per l’inverno e un’incantevole finestrella ad abbaino che dava sui tetti di Roma.

 

Itka le mostrò un’enorme cesta piena di biancheria da stirare e inamidare, disse che quello sarebbe stato il suo unico compito, consigliandole di svolgerlo sempre perché quelle della matta non erano semplici minacce. Le indicò dov’era riposto il carbone e il pesante ferro per stirare. Prima di andare via, però, le tirò una treccia, e lamentandosi per il suo aspetto gracilino, osservò che avrebbe certo dovuto aiutarla almeno per lavare le lenzuola.

 

 

Anna trascorse il resto della mattinata a inamidare stirando salviette e biancheria piena di pizzi. Quando giunse l’ora di pranzo, la fame le fece tornare in mente la gavetta che le aveva preparato Itka. Era proprio curiosa di scoprire di cosa era fatto quel galer. Prese dunque il bicchiere che aveva trovato sul piccolo tavolino sotto la finestra ad abbaino, lo riempì d’acqua fresca dalla fontana delle vasche per il bucato, e poi si accomodò davanti al suo pasto. Nel momento stesso che aprì la gavetta, si presentò alla finestra un bel gattino nero come la notte. Le miagolò da dietro il vetro, Anna sorrise al pensiero del fiuto di quel furbetto. Allora prese la gavetta e arrampicandosi sul tavolo, s’infilò nell’abbaino e aprì la finestra. Si parò davanti ai suoi occhi un paesaggio bellissimo. Sui tetti fatti di coppi, fiorivano qui e là bellissimi fiori di campo, tra cui volavano farfalle e api ronzanti indaffarate a raccogliere nettare. Divise quel gustoso agnello in gelatina con il micio, e con lui schiacciò poi una tipica pennichella romana.

 

 

A ridestarla fu Itka che le ordinò di rientrare subito. Le tirò di nuovo una treccia domandandole se era diventata oltre che matta anche “nebech” (sorda), perché la stava chiamando da un pezzo e ormai temeva che non la potesse più sentire. Si raccomandò di non avvicinarsi nemmeno alle finestre, perché non la doveva vedere nessuno, e meno che mai affacciarsi perché se usciva, di certo lei non avrebbe più potuto riaprirgli al porta di casa. Poi, un po’ rammaricata dalla severità con cui aveva espresso le sue apprensioni, le chiese se aveva almeno finito il suo lavoro. Anna le mostrò orgogliosa il cesto di biancheria e almeno per quello, Itka non ebbe nulla da eccepire. Tirandole via la cesta dalle mani, le disse che ormai poteva anche restarsene a dormire, ma di guardarsi bene da lasciar entrare quel sacco di pulci del gatto «Che non lo sai che i gatti rubano il fiato quando dormi?» la redarguì.

 

 

Anna sapeva bene quello che si diceva a proposito dei gatti, ma non voleva restare sola e permise al gattino nero di rimanere con lei. Quando Anna si coricò, iniziando a recitare le preghiere, il micio sgattaiolò via dalla finestra lasciata socchiusa. Anna lo salutò sottovoce, ignara che il felino, saltando sul tavolo, aveva fatto cadere la lettera della piccola accattona, che era scivolata sotto l’armadio.

 

 

Fine primo episodio

 

 

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

 

Ep.02

Anna riposò benissimo nel suo nuovo letto. La mattina giunse con un raggio di sole che dalla finestra fendeva in due la penombra della stanza. In quel soffio di luce si agitavano tanti granelli di polvere, come fossero minuscole fate che giocavano a rincorrersi. Poi si accorse che quelle fate avevano persino delle ali, erano proprio ali di farfalla! Anna sialzò seduta sul letto, non poteva credere ai suoi occhi. Intorno a sé volava una nuvola di bellissime farfalle dalle ali bianche. Che bello che era! Mai ne aveva viste tante tutte insieme, ma da dove giungevano mai? Si chiedeva Anna,visto che in città i fiori sbocciano solo nei vasi. Poi si ricordò del prato che aveva visto il giorno prima sui tetti, fuori la sua finestrella ad abbaino.Si arrampicò dunque sul tavolo per andare ad aprirla, ma con sua enorme sorpresa la trovò chiusa con una piccola catenella avvolta alla maniglia, tenuta insieme con un piccolo lucchetto. Chi si era introdotto nella sua stanza mentre dormiva per incatenare la finestra?

 

Le povere farfalline cercavano inutilmente di uscire, cozzando contro quei vetri diventati degli specchi incantati, in cui quelle animelle erano rimaste intrappolate.

Anna non poteva certo starsene con le mani in mano. Uscì dalla stanzetta, ricordandosi dei lucernai sopra i lavatoi. Qui vi trovò la lunga asta di ferro che serviva ad alzarne i vetri. Spostò l’asse da stiro e ci salì sopra, quindi riuscì ad aprire una fessura, e le farfalle iniziarono lentamente a trovare la via d’uscita.

 

Ne erano davvero tante e continuavano ancora ad arrivare.Giungevano dalle scale di servizio. Anna le seguì facendo a ritroso il loro percorso, giungendo così fin nella cucina. Qui erano state accatastate delle ceste piene d’ogni ben di Dio: pane, pasta, sale, riso, zucchero, caffè. Ce n’era per sfamare un esercito. Ebbene, tutta quella roba imputridiva a vista d’occhio, diventando cibo per tanti di quei vermi, che oramai traboccavano dai bordi delle ceste. Da quel ribollire strisciante, si formavano a vista d’occhio delle crisalidi, da cui sbocciavano quelle meravigliose farfalline.

 

«Ahia» Itka si presentò all’improvviso come il suo solitoe le tirò indispettita la treccia. «Allora? In quale lingua devo parlare per farmi capire da te?» le disse. Insomma, l’aveva avvertita che non si doveva farsi vedere giù da basso. Anna proprio non capiva tutta quella premura per confinarla in quel sottotetto. Si scusò lo stesso e le spiegò che erano state tutte quelle farfalle a incuriosirla.

 

D’un tratto irruppero nella cucina altri due domestici, trascinavano un’altra cesta piena di cibo, in cui andavano formandosi a sproposito una montagna di vermi, che a sua volta iniziavano a diventare crisalidi e quindi altre meravigliose farfalline spiccavano il volo. Dopo i domestici sopraggiunse anche la signora Schreclich. Era furiosa e non si capiva bene se stesse ridendo o piangendo, tanto l’isteria le stava mischiando i sentimenti. Trattò male i due domestici e infine, cadde sulle sue corpose ginocchia, invocando preghiere con il tono delle imprecazioni.

 

Itka per tutto il tempo era rimasta cinicamente al suoposto, badando che il suo galer venisse anche quel giorno bello saporito. Anna, al contrario, non riusciva a rimanere insensibile dinanzi a quella tragedia. Allora tirò un lembo del grembiule della cuoca e le chiese cosa stesse succedendo.

Itka si asciugò le mani nel canovaccio e avvicinandosi alla signora Schreclich, senza che lei apparentemente se ne avvedesse, le rispose che il cibo appartiene alla fame e trova da solo il modo di volarsene via da chi ne ha bisogno. Poi guardò di traverso anche Anna e le ordinò di prendere il cesto della biancheria sporca e lavarla. Prima di andarsene, però, forse pentita di essere stata troppo brusca con lei, prese la radiolina a transistor che stava sulla mensola della credenza, e gliela mise nel cesto, dicendole che tanto a lei quell'affare faceva venire solo il mal di testa.

 

Fare il bucato nelle enormi vasche del sottotetto spaventava un po’ Anna. Quell’acqua limpida, ma dal fondo scuro, rifletteva perfettamente il soffitto di travi, nascondendo alla vista la profondità, rendendola abissale .Anna iniziò ad insaponare la biancheria e a grattarla sulla tavola di marmo, poi la torceva e sbatteva di nuovo. Una gran fatica alleviata da quella piccola radiolina che intonava musiche swing. Stava ormai risciacquando e nell'aria volava solo qualche farfallina ancora in cerca del lucernaio; quando la radiolina iniziò a gracchiare e poi a fare strani rumori d’interferenza sulla stazione che stava ascoltando. Anna prese a muovere lentamente la rotellina delle frequenze, a un certo punto udì una voce sottile molto disturbata, sembrava una bambina che piangeva, ma forse era solo la sua immaginazione. Tuttavia, cercò di sintonizzare meglio per avere la certezza che si stava sbagliando. Da prima la bambina pareva chiamare la mamma in un pianto dirotto, poi intonò una filastrocca nella lingua dei giudei, infine sentì chiaramente la bambina chiamarla per nome “Anna, dillo a mamma che sono qui che l’aspetto”. Lo disse una volta sola, prima di ricominciare a cantare quella filastrocca.

 

Si doveva certo trattare di una trasmissione in onde corte, di quelle che giungono dall'altro lato del mondo. La filastrocca le piaceva e si mise anche lei a canticchiarla. Iniziò dunque a stendere il bucato. Mentre era con lo sguardo per aria a badare di appendere bene le mollette sui panni, vide il gattino nero stiracchiarsi per passare attraverso la fessura aperta nel lucernario. «Micio,micio …» lo chiamò. Il gatto scese agilmente tra le travature del soffitto e con un balzo le fu accanto. Si fece carezzare arricciando la coda, ma poi corse via verso la cameretta. Anna sorrise, dicendo a quel furbetto che prima di pranzare doveva appendere il bucato; ma il gattino non sentiva ragione, miagolava e non la smetteva più. Decise di andare a dargli almeno un acconto sul pasto, ma appena entrò in camera, vide ancora quel ragazzino insolente col vestitino di velluto, mentre si aggiustava il cravattino davanti allo specchio del suo armadio. Anna sospettò subito che fosse stato lui a incatenare la sua finestra.

 

Prima che Anna potesse fargli le sue rimostranze, lui le dette della scema «Vuoi forse che torni quella veccia pazza ad angustiarci con le sue cantilene?». Il ragazzino si arrabbiava con lei perché stava ascoltando la radiolina. A suo avviso quel volume era troppo alto e giù da basso stava mandando fuori di testa la signora Schreclich.

 

Anna non avrebbe voluto dar soddisfazione a quell'antipatico, ma se le cose stavano davvero così, non poteva certo rischiare di perdere il posto per una così futile impuntatura.

 

Dopo aver spento la radiolina, tornò in camera e per fortuna quel ragazzino così arrogante non c’era più. Allora prese la gavetta del pranzo e ne fece una porzione anche per il gatto, che si mise a mangiare goloso facendole fusa.

 

 

 

Fine secondo episodio

Link to comment
Share on other sites

  • 2 weeks later...
Silverselfer

Ep.03

 

Il bucato delicato doveva andare in ammollo più allungo perché non poteva essere stropicciato sulla tavola di marmo. Itka sgridò Anna. Andandosene si domandò cosa la spingesse a prendersela tanto per una ragazzina così stupida. Volle indietro anche la radiolina che pareva, per il vero, essere il reale motivo del suo cruccio. Anna si sentiva in colpa per aver ascoltato quella filastrocca a volume troppo alto.

Erano trascorsi appena tre giorni e le mancava la suafamiglia. Nemmeno le preghiere del suo rosario riuscivano a darle conforto.Disperata si gettò sul letto in un pianto dirotto.

 

Durante quei momenti di più completa disperazione, il mattino parve farsi sera. Il sole fuori dalla finestra si spense e si udì un incedere strascicato giungere su per le scale di servizio. Passo dopo passo, vide il capo bianco della vecchia pazza materializzarsi nel grigiore del sottotetto. Era con una bambina che la guidava tenendola pir mano. Solo quando varcò la soglia della sua cameretta, Anna si avvide che si trattava della piccola accattona della lettera misteriosa.

 

La piccola le alzò contro l’indice della manina e la vecchia voltò il capo verso di lei. I suoi occhi dalla pupilla imputridita, al buio parevano accendersi come fossero delle fessure, cui era possibile sbirciare ancora la luce del giorno. «Perché piangi?», le chiese perentoria. Anna non voleva certo mettersi a raccontare i fatti propri a quella vegliarda. «Piccola impudente che angusti chi ti sfama rubando ciò che dovresti guadagnarti.Rispondi, dove hai nascosto le vivande della dispensa? Ti ordino di rispondermi».Anna non sapeva di cosa stesse parlando ma non voleva passare per una profittatrice scansafatiche. «Io lavoro sodo, la biancheria è lavata, stirata e inamidata» rispose Anna. «Zitta, sei solo una ladra». Piccata dall’insolenza di quella vecchia cariatide, la ragazzina scese dal letto e le urlò «Io non ho mai rubato nulla».La sua voce divenne uno strepito denso di grida ingiuriose, come se attraverso la sua bocca avessero trovato sfogo tante altre vittime innocenti. La vecchia indietreggiò spaventata «Portami via, via …», supplicò la bambina che prima di condurre fuori la vegliarda, implorò Anna con quel suo sguardo sconsolato.

 

Anna era stanca di rimanere confinata in quel sottotetto, mentre da basso accadevano cose per cui la calunniavano. Seguì in punta di piedi la vecchia con la bambina. Discesero la scala di servizio e attraversarono la cucina, quando si trovarono sul lungo corridoio dagli specchi argentati, la vecchia scomparve. Eppure era ancora lì, perché la piccola accattona le teneva ancora la mano. Giunsero davanti la porta della dispensa.La grossa chiave nella toppa della porta di ghisa iniziò a ruotare da sola, mettendo in modo tutta una serie d’ingranaggi, poi si aprì pesantemente sui cardini. La bambina entrò e la porta si richiuse di nuovo. «Santo cielo!» si disse Anna. Quella bambina era certo prigioniera del fantasma malefico della vecchia pazza.

 

«Ahia!» Itka l’aveva di nuovo pizzicata allontanarsi dal sottotetto. «Itka c’è una bambina tenuta prigioniera lì dentro» esclamò disperata, chiedendole di usare una di quelle chiavi che portava nel passa partu attaccato alla cintola. Itka si fece scura in volto e poi menò una sberla sulla guancia della povera Anna. «Sei una bugiarda» le disse. Anna era stufa di sentirsi coprire d’improperi «L’ho vista, l’ha chiusa dentro la vecchia pazza».Itka allora cambiò di nuovo espressione e sul suo volto comparve una smorfia rabbiosa «Adesso sta esagerando», si disse tra sé, mentre si teneva una tempia con la mano, quasi a trattenere una fitta dolorosissima.

 

Itka fece un dietrofront marziale e prese una falcata decisa verso la porta in fondo al corridoio, quella dello studio della signora Schreclich. I suoi passi erano pesanti e parevano quelli di un intero drappello di soldati che marciavano all’unisono. Le chiavi del grosso anello di ferro, in cui erano appese le chiavi delle serrature di tutta casa, rumoreggiavano a tempo sull’ampio grembiale della cuoca. Giunta davanti alla porta, senza bussare, la spalancò con una spinta poderosa. Si udirono ancora quelle voci spaventate di persone invisibili. Anna corse a sbirciare oltre il battente dell’uscio. La vecchia era seduta davanti al piccolo tavolo tondo, come l’aveva vista la prima volta. Itka menò un gran colpo con il palmo della mano sul tavolinetto, che sobbalzò. La vecchia sgranò ancora di più quei suoi disgustosi occhi, esclamando alla signora Schreclich «E’ qui …». La signora Schreclich scattò in piedi e completamente orba, sembrava non riuscire a vedere Itka che era davanti a lei «Brutta ladra, mi vuoi rovinare?». Itka non le rispose, ma d’improvviso quella matta della vecchia, prese a imitare una voce d’oltretomba, con cui non spaventava nessuno. «Tuuu mi haiii rubatooo moltoo di piùùù». La signora Schreclich, per niente intimorita, corse a prendere uno specchio lungo da camera che teneva accanto allo scrittoio. Beccheggiando sulle gambe grassocce, lo sospinse davanti alla vecchia e tirò via il drappo che lo copriva. «Eccoti, finalmente rivedo il tuo brutto muso».

 

Itka la fissò dritta negli occhi rimanendo in silenzio. «Ladra» le urlò contro la signora Schreclich «Sei licenziata, lascia immediatamente questa casa». Itka taceva imperturbabile, mentre la vecchia si torceva le manie poi disse indicando Anna «C’è anche la piccola lavanderina». «Ladre tutte edue» allora precisò la signora «Siete licenziate, dovete lasciare subito questa casa». Anna, al contrario di Itka, non era disposta a farsi calunniare ingiustamente «Noi non abbiamo rubato nulla, è il cibo che se n’è volato via da chi ne aveva bisogno». Anna parlava di nuovo con quella strana eco che duplicava la sua voce in un eco di mille sospiri. Si videro dunque le altre sedie intorno al tavolo scostarsi improvvisamente, una si rovesciò a terra;contemporaneamente si udirono ancora le voci spaventate. «Taaaciii inferaleee creaaatuuuraaa» disse la vecchia matta. Itka guardò severamente Anna, facendole cenno di tacere. Poi si accostò alla signora Schreclich e le sussurrò qualcosa nell'orecchio, al che questa sbiancò al punto da svenire dallo spavento.

 

Itka allora girò sui tacchi e lasciò lo studiolo dalle finestre oscurate dai pesanti tendaggi. Tirò una treccia ad Anna e le disse diseguirla senza aprire bocca, ma come poteva non domandarsi cosa aveva sussurrato alla signora per spaventarla tanto? «Non sono affari che ti riguardano e se proprio ci tieni a farti cacciar via, continua a scorrazzare pure per casa ma resta alla larga dalla dispensa».

 

Quel giorno Itka non le dette neanche un po’ del galer che aveva preparato, e Anna dovette inzuppare all’acqua un tozzo di pane ammuffito. Provò a darne un pezzetto anche al gattino nero, ma questo scrollò la testa inorridito.

 

Anna mise ad ardere un po’ di carbone da mettere nel ferro da stiro, poi andò a raccogliere il bucato steso il giorno avanti, quando si alzò il ponentino, il venticello romano che arriva dal mare. La ragazzina chiuse gli occhi per ascoltare meglio la storia che quel sospiro le sussurrava ogni volta negli orecchi. Il vento però quel giorno rimase muto, fu allora che si ricordò delle finestre chiuse. Riaprì gli occhi e vide i panni stesi rimanere immobili, eppure il vento montava sempre di più. Tra quelle folate violente le sembrava distinguere qualcuno che la chiamava; ma! Le pareva proprio la voce di Beppe.Anna chiamò il fratello con tutto il fiato che aveva in gola, purtroppo però il suono delle sue grida si disperdevano, rapite dal vento, al punto che la stessa Anna non riusciva ad udire la sua stessa voce.

 

Disperata discese giù da basso. Il vento proveniva proprio dalle scale e man mano che si avvicinava al piano di sotto, si faceva più forte. Finalmente conquistò lo stipite della porta della cucina, e riuscì faticosamente a sporgere la testa sul lungo corridoio, dove tutti gli specchisi erano offuscati come se riflettessero un turbine di nubi temporalesche. Vide Itka in piedi davanti al portone di casa e la fortissima corrente d’aria arrivava proprio da lì, anche se pareva non piegare neanche un lembo del suo lungo grembiale, del resto anche i tendaggi di casa rimanevano piombati al pavimento, mentre Anna si doveva tenere con entrambi le mani all’infisso di legno per non volare via.

 

Anna distinse chiaramente sulla porta la figura del fratello Beppe, stava discutendo con Itka e ogni volta che pronunciava il suo nome, questo era amplificato dal vento. Anna urlava fortissimo, cercava di farsi udire dal fratello, ma non ci fu niente da fare. Quando Itka richiuse laporta di casa, il vento si chetò e gli specchi tornarono a brillare.

 

 

Fine terzo episodio

Link to comment
Share on other sites

  • 2 weeks later...
Silverselfer

Ep.04

 

«Itka, perché hai mandato via mio fratello?» aveva chiesto in lacrime Anna, quando Itka rientrò con il suo passo marziale nella cucina. «Ti ha dato forse di volta il cervello?» le aveva risposto, sostenendo che quello alla porta fosse il maniscalco, cui la signora Schreclich aveva prestato soldi a usura. Seppure non avesse visto bene il viso di suo fratello, aveva ben riconosciuto la sua voce. Itka si era spazientita presto dell’insistenza della ragazzina e senza curarsi troppo delle buone maniere, la rispedì nel sottotetto.

 

Era da qualche attimo con i gomiti appoggiati sul letto e le mani giunte in un’implorazione disperata, quando si ricordò delle parole di suo padre “aiutati che il ciel t’aiuta”. Anna scattò in piedi, non voleva rimanere un attimo di più in quella casa, dove si sentiva prigioniera. Salì veloce sul tavolino e s’infilò nel vano della finestra ad abbaino, decisa a forzare il lucchetto che ne bloccava la maniglia. Il chiavistello però non volle saperne di cedere alla sua volontà, che a sua volta si sciolse in lacrime di desolazione.

 

«Oh, bella! Non pensavo ti mancasse tanto andar per tetti» disse quel mascalzone insolente col suo solito completino di velluto nero e ilcravattino in tinta, che usava comparire sempre nei momenti meno opportuni. «Non prendermi in giro» gli rispose Anna indispettita in un modo tale, che quell’altro se la rise ancora di più. «Sei proprio una streghetta irascibile».Basta! Anna non era più disposta a farsi insultare ancora, meno che mai da quel damerino viziato; «Sarai tu uno … uno streghetto», gli rispose furiosa. Il damerino si aggiustò il cravattino davanti allo specchio, per niente sfiorato da quello che nemmeno considerava un insulto. «L’idea di scappare dal tetto non sarebbe malvagia, ma senza la tua scopa non andresti certo lontano».

Anna non aveva intenzione di stare a sentire un attimo dipiù quell’impudente e glielo disse dritto sul muso «Smettila!», ma quello sembrava divertirsi troppo a vederle arricciare il naso. «Dovresti, invece,darmi ascolto» gli disse quello. A sentir lui poteva aiutarla a capire cosa stesse succedendo. Anna aveva il sospetto che dietro alle sue parole ci fosse qualche beffa. «Tua madre e tua nonna mi odiano», gli confessò sconsolata. Il ragazzino si spanciò in una grassa risata ad ascoltare quella confidenza; allora Anna davvero non ne poté più della sua insolenza e gli tirò dietro il cuscino del letto e il bicchiere e poi si tolse persino uno scarpone per usarlo in quel tiro a bersaglio. Il ragazzino zampettava agile come un felino. «Mi arrendo a patto che tu mi dia ascolto» alla fine capitolò lui. «Non mi fiderei mai di qualcuno nato in questa casa, perché sotto un albero di fico non ci spunta mai una quercia» gli disse Anna. «Di mia madre non so niente, sennonché se la spassò tuttala vita su un prezioso tappeto persiano. Di mia nonna, semmai ne abbia avuta una, certo non somiglierebbe a quella vecchia megera» rispose il ragazzino «Se non vuoi credere alle mie parole, allora leggi la lettera che ti ha scritto la bambina». Ma certo! La lettera della piccola accattona, come aveva fatto a non pensarci prima?

 

Anna si mise subito a cercarla, ma sembrava sparita nel nulla. Quando dallo specchio si accorse che il furbastro stava cercando di scomparire di nuovo; «Ahia!» esclamò quello, perché Anna lo aveva trattenuto per la coda della giacchetta di velluto nero «Ti ha dato di volta il cervello?»,le disse inviperito. «Dove hai nascosto la mia lettera?». Anna temeva che fosse stato proprio lui a sottrargliela prima di dirle di cercarla. «Streghetta, tu non sai che scherzi con il fuoco» la ammonì l’impertinente, prima di indicargli un angolino sopra l’armadio. Anna non fece in tempo a volgere il capo di nuovo verso di lui, che questi si era volatilizzato nel nulla.

 

Anna si arrampicò sul tavolo per sbirciare sopra l’armadio, ma figurarsi se quel bugiardo le aveva detto la verità. Sulle prime si sentì scoraggiata da tanta cattiveria, ma poi si rese conto che poteva fare anche senza quella lettera, perché sapeva dove tenevano prigioniera quella povera bambina.

 

Trascorse tutto il giorno in attesa della sera, quando sarebbe scesa giù da basso per raggiungere la porta di ferro della dispensa.Aspettò che la casa fosse immersa nel silenzio notturno, prima di avventurarsi nella sua pericolosa spedizione. Accese una fiammella tremula sulla candela di sego e s’incamminò. Quando arrivò in fondo alle scale, si stupì nel trovare Itka ancora lì, davanti alla stufa a cucinare il suo saporito galer.

 

Anna spense il moccolo e s’infilò sotto il grosso cesto della biancheria. Accoccolata là dentro, iniziò a gattonare, trascinandosi il grosso cesto di vimini come fosse il guscio di una tartaruga. Quando ancora non era nemmeno a metà strada, Itka, inaspettatamente, tirò via il suo manicaretto dal fuoco. Lo mise assieme al resto che aveva cucinato per tutto il giorno,iniziando a farne tante porzioni più piccole.

Approfittando del momento in cui la cuoca stava girata dispalle a tagliare la carne, Anna abbandonò il cesto e zampettò in punta dipiedi fuori dalla cucina.

 

Il corridoio nonostante fosse buio, era bagnato da una luce argentea che pareva venir fuori dai numerosi specchi, come se questi si affacciassero su una luminosa notte di luna piena.

Anna si ritrovò a metà di un percorso, in cui da una parte aveva la porta di ferro della dispensa con la bambina prigioniera, dall’altrail portone di casa dietro di cui c’era la sua famiglia. Le piangeva il cuore in quell’agonia, ma alla fine prevalse l’egoismo e corse verso la porta di casa.Tirò via il paletto e girò la serratura, ogni scatto era un tonfo al cuore.Quando aprì, però, fu praticamente travolta da un orda di straccioni, i quali avevano la pelle attaccata alle ossa e gli occhi fuori dalle orbite. Sconvolta da quell’orrore, Anna stava per scappare, quando si vide Itka uscire dalla cucina, che dava il benvenuto a tutti, invitandoli a sedere nel salone.

Itka non sembrava arrabbiata con lei, anzi, le chiese di aiutarla a servire il galer a quei poveri disgraziati, ricordandole di riporreil cesto della biancheria al suo posto. Dunque l’aveva vista!

 

Una donna che non faceva che piangere e carezzare la testa di quello scheletro del figlioletto, cercava di dire qualcosa, ma come tuttigli altri, sembrava aver perso il dono della parola. Itka chiamò Anna, e le chiese cosa volesse la donna. La povera ragazzina guardò Itka stralunata, come diamine avrebbe mai potuto capire quella poveretta? Lo stava per domandare, quando appena aprì la bocca, ne uscì di nuovo quel gran baccano di anime in pena. Si avvide poi che si trattava delle voci di tutti i presenti a quel convitto di fortuna. Itka allora, spazientita, le fece cenno di guardare solo la donna, al che si udì distintamente la sua supplica.

Quello che teneva in seno non era il figlio, chiedeva proprio se i suoi genitori fossero già passati da quelle parti. Itka le concesse uno sguardo contrito per poi rientrare nellasua solita maschera di cinismo. Le rispose che loro erano i primi ad arrivare, ricordando che quel bambino condivideva un triste destino comune a tutti gli altri rapiti quella triste notte del 1943. Itka carezzò il volto scarnificato del povero fanciullo e si lasciò andare al ricordo della figlia, la quale non poteva nemmeno sperare di tornare a casa. Poi si allontanò bruscamente.

 

Anna la seguì fino in cucina, dove puntò i pugni sul tavolo e pretese che si facesse il massimo per ritrovare la mamma e il papà di quel bambino. «Ogni volta che aprirai quella porta, ascolterai altre storie come questa. A seguito di quel terribile sedici ottobre, tutti i bambini furonostrappati all’abbraccio dei propri genitori. Sta a te dar loro la possibilitàdi tornare a casa propria».No, non le bastava, Anna voleva sapere di più «Chi li ha portati via?». Itka faceva altre porzioni di galer senza risponderle. «Chi ha rapito tua figlia?» continuò Anna «Nessuno» le rispose Itka stizzita dalla sua ostinazione «Mia figlia è sempre rimasta qui». Ma come? Anna non capiva «Miafiglia è morta e non potrà mai più tornare, e ora fila via, prima che perda davvero la pazienza».

 

Itka tornò nel salone con un altro vassoio pieno di porzionidi gustoso galer, mentre Anna salì nella sua stanzetta nella mansarda. Aveva molto su cui riflettere. I fatti eccezionali cui aveva assistito contenevanocerto la verità su quanto le stava accadendo.

Link to comment
Share on other sites

Silverselfer

Questo sarà l'ultimo episodio per ora. Sono troppo preso a scrivere l'altro racconto nella sezione "racconti erotici" (Le confessioni di un Satiro). Un progetto che mi coinvolge particolarmente e da cui mi è difficile staccare la spina iper realista per tornare nella dimensione onirica/horror di Anna.

Prometto a quanti stavano seguendo le avventure di Anna che terminerò questa storia, magari in autunno.

Link to comment
Share on other sites

  • 2 months later...

Ogni promessa e debito e allora eccomi qua a terminare questa seconda avventura di Anna degli spiriti (come passa il tempo!). Naturalmente è stato un piacere ritrovare questa dimensione spiritesca. Faccio il punto della storia per rinfrescare la memoria:

 

La famiglia di Anna si è trasferita da una zia in città. Qui la situazione economica della famiglia costringe Anna ad accettare un lavoro come lavanderina presso una ricca ebrea. Nella casa viene accolta dalla misteriosa cuoca "Itka" che nasconde intenti malevoli verso la padrona di casa. Incontra anche un damerino in nero che si diverte a prenderla in giro. C'è poi una vecchia pazza ed altre inquietanti figure, ma soprattutto sta per scoprire la verità su una piccola accattona che fin dal principio ha sempre cercato di metterla in guardia ....

 

Anna degli spiriti

_______________________________________________________________________________________

La Borsa Nera Ep.V

 

 

Quando Anna si svegliò, il mattino già faceva brillare il sole attraverso la piccola finestrella ad abbaino. La ragazzina si stropicciò gli occhi e stette un po’ prima di riuscire a capire se i fatti accaduti nottetempo fossero ricordi o solo dei brutti sogni.

Vide sul tavolino una tazza di latte ancora fumante con del pane inzuppato dentro. Il piccolo stomaco brontolò affamato e Anna mangiò avidamente quella succosa colazione. Solo dopo si chiese che cosa avesse fatto per meritarsi quel delizioso premio. Certo a portarglielo era stata Itka perché fuori dalla stanza c’era anche il solito cesto della biancheria da lavare.

 

Anna si rimboccò le maniche e mise in ammollo i panni sporchi. Di buona lena iniziò a prendere ogni capo e insaponarlo, poi strizzarlo e sbatterlo sulla pietra del lavatoio. Quando iniziò a risciacquarlo, lo inzuppò nella grande vasca una o due volte al massimo, alla terza sentì strattonarlo sul fondo. Anna lo trattenne strenuamente, ma c’era sicuramente qualcosa di molto pesante che ci si era appeso. Era ancora quella ragazzina! La vedeva lì dentro quell’acqua che il fondo scuro rendeva uno specchio, tenersi a un lembo dello straccetto bianco. “Bambina … resisti” La esortava Anna incapace, però, di tirarla fuori dallo specchio d’acqua. Poi le vide quei suoi grandi occhi imploranti, piangere lacrime come bollicine d’aria, quindi la manina si aprì come in un ultimo sconsolato saluto e la sagoma della bambina iniziò a perdersi nel limbo. “Bambina … Bambina …” La chiamava disperata Anna che piangeva a dirotto.

 

Basta! Si disse. Doveva trovare il modo di arginare tutto il dolore che c’era in quella casa, altrimenti avrebbe finito per ingoiare anche lei. Anna si convinse che quella bambina in realtà aveva sempre cercato di aiutarla, fin dal giorno in cui la incontrò la prima volta sotto l’arco buio, prima di giungere in quella dannata casa. Sicuramente in quella lettera che le aveva dato, c’erano le risposte che avrebbero dato un significato a tutti quei fatti straordinari.

 

Corse dunque in camera e iniziò a rovistare dappertutto, ma della lettera nessuna traccia. Fu quando disperata si abbandonò in un pianto dirotto, che vide far capolino da dentro l’armadio, quell’impertinente del damerino in velluto nero. “Sei stato tu” Lo accusò furibonda Anna. Era stato certamente lui a sottrarle la lettera, lo stesso giorno in cui le svelò la sua importanza. “Sei forse un demonio che si diverte ad angustiarmi?” Gli chiese disperata, ma sul volto del damerino non c’era il solito sorrisetto beffardo; al contrario, aveva negli occhi uno sguardo commosso, cui Anna si appellò affinché le svelasse dove teneva la preziosa lettera. “Io non te lo posso dire” Le chiese scusa perché si era sbagliato sul suo conto, ma le spiegò anche che non gli era permesso aiutarla. Il suo compito era solo quello di badare che nessuno disturbasse il sonno dei morti e attentasse all’esistenza dei vivi. La implorò di non chiedergli altro, ma le tenne una mano per darle conforto e prima di scomparire di nuovo nel buio dell’armadio, le disse con lo sguardo furbetto “Le cose che cadono hanno il brutto vizio di scivolare sotto i mobili”.

 

Anna controllò subito sotto il tavolo, s’infilò sotto il letto e poi, finalmente, sbirciò sotto l’armadio. La lettera se ne stava lì, nell’angolo più distante. La ragazzina tese per intero il braccio sotto il mobile, quando le parve di vedere una manina tendersi verso di lei, la afferrò e trasse a sé la preziosa missiva.

Anna aveva il cuore che batteva forte, quando stava strappando il lembo della busta, temendo chissà cosa ne uscisse. C’era solo un foglietto di carta scritto con una calligrafia approssimata. C’era scritto:

 

Cara Anna

 

Ora che salirai in casa incontrerai mia madre. Lei è una persona buona che il rancore ha reso cieca. Dovrai guardarti dalla sua rabbia. Ti vuole rendere partecipe della sua vendetta. Lei crede che la pace sia nella rivalsa e non nel perdono. Ti prego convincila tu che l’amore sopravvive alle pene del corpo. Dille che finché non abbandonerà i suoi propositi, il guardiano dei morti c’impedirà di riabbracciarci.

Anna sta attenta a non camminare sui suoi stessi passi, altrimenti ti condurrà nel riflesso del mondo. Tu in questo mondo sai ascoltare la voce dei morti, ma se finirai chiusa nello specchio, attraverso la tua voce anche il resto dei vivi riuscirà ad ascoltare le anime in pena. L’urlo dello spirito errante riempirebbe di terrore l’orecchio che diventerebbe folle di spavento.

Se i miei consigli non ti giungeranno in tempo, saremo ormai tutti nei guai. Tu cerca la via di fuga dallo specchio, essa è contenuta nel riflesso del tuo riflesso. Quando ti guarderai negli occhi non esitare e muovi un passo in avanti, affinché ti ricongiunga a esso nel mondo dei vivi. Sbrigati perché non c’è tempo. Se la vendetta giungerà a compimento, il guardiano dei morti condannerà mia madre al limbo eterno, infrangendo ogni specchio della casa. A quel punto io non potrò più riabbracciare l’amore di chi mi ha amato più di ogni cosa, e tu rimarresti a vagare nel limbo senza più rivedere i tuoi cari.

 

Heni

 

Mentre lo sguardo di Anna scorreva quella calligrafia incerta, essa scompariva e la carta stessa alla fine si dissolse in un soffio di polvere. “… Heni” Anna aveva pronunciato ad alta voce fino all’ultima parola che svelava il nome di quella bambina triste.

Immediatamente dopo sentì sopraggiungere il passo marziale di Itka sull’impiantito del sottotetto. “Heni … Heni …” Chiamava disperata. Irruppe nella cameretta di Anna con gli occhi sgomenti e le mani giunte al petto, nello strenuo tentativo di trattenere un’emozione troppo grande. “Ho sentito la sua voce … Heni … Heni … Piccola strega, dove nascondi mia figlia?”.

 

Itka aggredì la povera Anna che non riusciva a farsi ascoltare perché non c’è peggior sordo di chi non vuole intendere; così rimase in silenzio a guardare quella donna, in cui il dolore aveva prosciugato ogni lacrima. Capì in quel momento come il rancore potesse deformare l’affetto in qualcosa di morboso. Itka se ne andò, ma oramai aveva perso quel briciolo di fiducia che si era guadagnata aiutandola a dare da mangiare a disperati.

 

Anna ripercorse con un ragionamento tutte le parole che aveva letto nella missiva. La madre della bambina era certamente Itka, quindi era dal suo proposito di vendetta che doveva guardarsi. Ripensò al giorno in cui arrivò in quella casa e al fatale errore che commise seguendola. Camminando sui suoi passi finì intrappolata nel riflesso degli specchi del corridoio. Ora i vivi non erano più in grado di vederla, ma attraverso la sua bocca riuscivano ad ascoltare la voce dei morti. Itka voleva dunque usare questa sua capacità per vendicarsi sugli aguzzini responsabili della morte della figlia. Anna pensò che Itka non fosse certa della fine di Heni, altrimenti quella mattina non l’avrebbe cercata nella sua cameretta, come una qualsiasi bambina in carne ed ossa.

 

Nella confusione creata dai riflessi che creano le immagini negli specchi, Anna non era più sicura di distinguere la realtà. Itka le pareva viva, ma come esserne certa se anche lei viveva negli specchi? C’era finita intrappolata? Spinta in qualche modo dagli stessi assassini della figlia? Come faceva ad aprire la porta di casa rimanendo chiusa in uno specchio? E quei diseredati che parevano morti che camminavano, da dove arrivavano e soprattutto: erano ancora vivi? Ultima tra tutte le domande che si affollavano nella testolina di Anna, riguardava chi fosse il guardiano dei morti. Possibile che si trattasse di quel damerino insolente? Chi avrebbe affidato un compito così gravoso a un ragazzino?

 

Anna scacciò via quel nugolo di quesiti cui non avrebbe saputo dare una risposta. Decise che per prima cosa doveva capire chi erano i vivi e chi i morti.

Link to comment
Share on other sites

  • 2 weeks later...
Silverselfer

ep. 06

 

 

 

La sera stessa Anna incrociò il suo rosario al dorso della mano sinistra e scese giù da basso, intenzionata a indagare su tutti gli indizi possibili. Trovò al solito Itka che cucinava ancora altro galer. Allora si concentrò per guardare la realtà non nel suo insieme, ma come un complesso di minuscoli dettagli. Fu così che si accorse di qualcosa che avrebbe dovuto notare fin da subito: la stufa a legna era spenta! Allora come faceva la cuoca a preparare il suo saporito galer? La risposta poteva essere solo una: Itka era un fantasma e quel succoso galer che anche lei aveva assaggiato, era solo un’illusione. Itka cucinava continuamente perché in qualche modo quel gesto rientrava nel suo disegno di vendetta, lo stesso che al momento della morte la trattenne nel mondo.

 

“Va ad aprire, gli ospiti hanno già bussato alla porta” Le ordinò Itka quando si accorse che la ragazzina la stava osservando con gli occhi atterriti dalla consapevolezza di essere dinanzi ad uno spettro. “Visto che vai di là, porta questo vassoio in sala da pranzo” Anna si appuntò un grano del rosario sulla punta del pollice e uscì dalla cucina con la paura che le faceva recitare a campanella tutte le ave gloria.

 

Santo cielo! Il salone era ancora pieno di quei poveri disperati di pelle e ossa, con gli occhi di fuori e i denti che sporgevano come la dentatura del vecchio mulo con cui Anna era arrivata in città. Quelli battevano i denti come nacchere per alleviare i morsi della fame. Quando videro il vassoio, allungarono le braccia ossute e tatuate con dei numeri, strinsero poi fiaccamente le porzioni di galer tra le dita dalle nocche gonfie come cipolle. Neanche tutto il galer del mondo avrebbe potuto sfamare quei poveri disgraziati. Si trattava certamente di spettri e per sincerarsene Anna socchiuse le labbra e provò a far uscire un lieve alito. Il suono che ne venne fuori era il rifiato di quelle anime in pena. Un suono che avrebbe fatto gelare il sangue a qualsiasi vivente.

 

Itka sopraggiunse asciugandosi le mani in una salvietta, ammonì Anna zittendola col dito davanti la bocca e poi le indicò il portone di casa. Doveva andarlo ad aprire per far entrare gli altri ospiti.

Quello del portone era un vero rompicapo. Anna si ricordava chiaramente che quando bussò alla porta di quella casa, fu Itka ad aprirle e l’aveva vista parlare anche col fratello su quello stesso uscio, ma come faceva uno spettro intrappolato negli specchi ad aprire il portone?

 

Anna percorse il corridoio pieno di specchi su ogni parete, che riflettevano se stessi formando altri corridoi infiniti. Quando si trovò davanti al portone, le venne il dubbio di trovarsi dinanzi ad un altro specchio. Gli ospiti bussarono di nuovo, distogliendo Anna dal suo sragionare. La ragazzina si grattò il capo e segnandosi la croce implorò il Signore di darle la forza di non svenire dinanzi ad un’altra scena come quella della notte prima.

 

“Piccola Anna, che lieta sorpresa incontrarti di nuovo” Sulla porta stavolta non c’era la masnada di disperati che si aspettava, ma si stupì nel rivedere la famiglia fantasma che aveva lasciato nel casale di campagna. I gemellini erano lì davanti a lei, con i loro stracci e le cicatrici sanguinanti. C’era anche il padre con la faccia divelta dalla pistolettata del capitano della gestapo, ma fu la signora alta e distinta, con la capigliatura elaborata e le vene dei polsi tagliate, che la riconobbe e con modi molto garbati le rivolse la parola.

Anna non fece in tempo a rispondere che sopraggiunse Itka facendo una riverenza. “Madame sono lieta abbiate fatto anche voi ritorno” Disse alla signora dalla capigliatura molto elaborata e poi fece strada a tutti loro verso la sala da pranzo.

 

Anna rimase ancora qualche istante sulla porta di casa e quando fu sicura che Itka non poteva più vederla, sporse la testa fuori. Oltre la soglia sembrava esserci solo un limbo talmente oscuro che le parve di diventar cieca. Trasse subito indietro il capo e ripresasi dallo spavento, guardò ancora fuori, ma stavolta si avvide che sul lato sinistro del pianerottolo, dove ci sarebbe dovuto essere il portone, c’era uno specchio che la rifletteva e Anna si ricordava chiaramente che era dal portone sulla sinistra che le aprì Itka. Solo una delle due porte era vera e Itka poteva aprire unicamente quella riflessa nello specchio. Fu così che quel giorno, seguendo i passi della madre di Heni, finì per attraversare lo specchio. E quando l’aveva vista parlare con suo fratello, in realtà quello aveva suonato al portone reale, prima che Itka lo chiamò dal riflesso nello specchio e quando la servitù aprì anche quello vero, si creò quella stranissima corrente d’aria tra i due mondi.

 

Dopo aver portato l’ultimo vassoio di galer in sala da pranzo, senza che riuscisse a sfamare quei poveri derelitti, Anna continuò la sua missione segreta. Doveva scoprire se la signora Schreclich fosse realmente viva. La sua camera era sul lato sinistro del corridoio. Anna socchiuse la porta e sbirciò dentro la stanza. Riuscì a vedere solo porzioni minime di una realtà riflessa sugli scampoli degli specchi, rimasti scoperti dalle lenzuola con cui erano stati schermati.

Anna pensò di spiare attraverso una di quelle fessure, allora spinse coraggiosamente un piede oltre la soglia della porta, cercando con la punta la solidità del pavimento. Le sembrò di aver trovato una certa consistenza, ma non era così. Le pareva come quando da piccola il papà la sollevava in piedi sul palmo delle sue mani fortissime. Provava la stessa sensazione di vertigine, ma era anche divertente! Quando giunse ad una delle fessure e ci si afferrò, le sue dita ci affondarono dentro e da quel foro venne fuori una corrente d’aria fortissima che la risucchiava lontano, nel buio.

 

Dal principio Anna strinse i denti perché aveva capito che in qualche modo aveva creato un varco tra i due mondi, ma seppure capisse che l’unica soluzione era di lasciare la presa sulla fessura, era anche consapevole che quel vento l’avrebbe dispersa in chissà quale remota parte del limbo, da dove probabilmente non avrebbe fatto più ritorno.

“Aiutooo” Alla fine gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Signora Schreclich per l’amor di Dio mi aiuti …”. Il respiro affannato della signora si bloccò prima di destarla con una piccola apnea. Questa si guardò attorno controllando che gli specchi fossero ancora coperti, ma la voce di Anna era diversa dai soliti rumori che facevano gli spettri. Era nitida e pareva proprio appartenere ancora ad una persona viva. Non le fu difficile capire da quale scampolo di specchio arrivasse e quando vide le sue manine, che sanguinanti ghermivano lo spicchio di specchio, stette per svenire dallo spavento.

“Heni ti prego non angustiarmi ancora” supplicava la signora “Io non lo sapevo che eri nella dispensa … come avrei potuto saperlo … è di tua madre la colpa, solo sua … lei ti ha chiuso a chiave … come potevo sapere … come?”. La signora Schreclich dopo le suppliche, prese la spazzola per i capelli e colpì inorridita quelle nocche che la stavano terrorizzando, ricacciandole nello specchio.

 

In quel momento Anna cadde disopra e disotto, a dritta e a manca. Le parve di cadere così velocemente che l’anima rimaneva un passo indietro a quel suo corpicino spaurito.

Dopo qualche tempo che continuava a precipitare in nessun posto, la paura iniziò a scemare trasformandosi in sconsolata tristezza.

 

Il buio la rendeva completamente ceca e capiva di avere ancora mani e piedi, solamente se muoveva le dita. Provò a raccogliere le ginocchia al petto e le parve di fermarsi, poi distese le gambe per il verso in cui pensava di mettersi in piedi, e ritrovò quella sensazione che aveva sentito quando attraversò la soglia della porta della camera della Signora Schreclich: una consistenza instabile che la sosteneva da sotto i piedi. Solo che aveva probabilmente sbagliato il verso cui stendere le gambe, e si ritrovava capovolta, con le trecce che penzolavano nel vuoto. Eppure non aveva fastidio alla testa, così decise di non rischiare di ricominciare a cadere, e iniziò a camminare con le mani nelle tasche per tenere il vestitino stretto sulle gambe, verso una direzione qualsiasi, snocciolando preghiere sul suo rosario, affinché il buon Dio la aiutasse a ritrovare l’uscio da cui era entrata.

Link to comment
Share on other sites

  • 2 weeks later...

ep.07

 

 

 

Che fosse una stella quella che si accese d’improvviso in quel buio pesto? Certo diede ad Anna una speranza cui aggrapparsi. Ringraziò il signore per aver ascoltato le sue preghiere e a testa in giù cercò di affrettare quel suo passo traballante.

Mentre si avvicinava al piccolo lumino, questo si squadrava sempre di più e ben presto non somigliò più a una stellina. La strada fu più breve di quanto sembrasse e ben presto Anna si trovò dinanzi a una grande casa delle bambole, come non ne aveva mai viste prima neanche nei negozi di giocattoli per bambini ricchi. Era stata costruita fedele nei più piccoli dettagli e si accendevano anche le luci! Però non erano quelle che la facevano brillare tanto. Quella era un altro genere di luce, sembrava più uno spiraglio di sole che giungeva da chissà dove, forse dal paradiso!

 

Anna non resistette alla tentazione di protendere una mano verso una di quelle stanze. In che diavoleria era finita? Si domandò subito dopo essere stata risucchiata come in un imbuto dentro quel balocco del demonio. Era davvero una situazione stranissima, galleggiava per aria come uno di quei palloncini che aveva visto alla festa del Santo Patrono del suo paesello. Così non solo era ancora capovolta, ma si ritrovava a camminare sul soffitto.

Guardare il mondo da quell’angolazione decisamente originale, non le fece riconoscere subito dove si trovava. Quella era proprio la casa degli specchi. Dunque era riuscita a tornarci, ma a questo punto Anna temeva di doverci restare per sempre sotto forma di spettro.

 

Qualcuno bussò alla porta, Anna d’istinto si nascose dietro al lampadario di cristallo, tenendo su le trecce che pendevano come due lampadine spente.

Entrarono dei signori, Anna notò che uno di quelli portava quegli strani strofinacci con le frange che i giudei usano mettersi sulle spalle, probabilmente per ripararsi dai dolori cervicali. Itka li guidò fin davanti all’ufficio della Signora Schreclich, poi disse loro di attendere.

Itka non era grigia come se la ricordava, qui aveva le gote rosa e quando camminava, i suoi passi non rimbombavano, facendo sobbalzare le chiavi che pendevano dalla cintola del grembiale, come fossero catene del purgatorio.

 

Anna doveva capire cosa stava succedendo, se voleva riuscire a trovare il modo di tornare in carne ed ossa, quindi abbandonò il suo improbabile nascondiglio. Nel farlo rimase impigliata a una delle tante gocce di cristallo, e tutto il lampadario iniziò a tintinnare. Quelli da basso alzarono subito lo sguardo al soffitto e Anna si aspettava che urlassero dallo spavento, invece parevano non vederla. Uno di loro si avvicinò per guardare meglio e quando giunse Itka le chiese se avessero i fantasmi in casa.

 

Anna era dunque diventata definitivamente uno spettro? Strinse il suo rosario e si disse che il buon Dio non poteva certo permettere che un vivo diventasse un fantasma prima di morire. Certamente serbava per lei una missione, al compimento della quale le avrebbe ridato la possibilità di respirare l’aria buona del mondo. E quale altra missione poteva avere se non quella di aiutare Heni a riabbracciare la mamma? Per farlo avrebbe dovuto scoprire cosa tramava Itka e soprattutto il motivo del rancore che nutriva verso la Signora Schreclich.

 

Anna cercò di raggiungere la delegazione di uomini con la kippah in testa, che Itka stava per far accomodare nell’ufficio della Signora Schreclich. Doveva fare in fretta se non voleva rimanere chiusa fuori. Cercò uno slancio nella corsa, ma la leggerezza del proprio corpo fece perdere aderenza al suo passo e scivolò sul soffitto. I suoi piedi erano diventati come piume, e agitarli con maggior vigore non serviva che a farli volteggiare dove pareva loro.

 

Anna era disperata, ma poi si rese conto che, dopo tanto trambusto, le sue trecce erano tornate a pendere nel verso giusto. Peccato però che continuasse a galleggiare in aria come un palloncino e si ritrovava con la schiena contro il soffitto. Tutto quel movimento le aveva fatto venire un bell’affanno … dunque non era ancora uno spettro se respirava ancora. Già, respirare è una cosa da vivi e notò che inspirando il proprio corpo si appesantiva, così iniziava ad affondare verso il pavimento.

 

Ecco dunque la strategia di Anna per riuscire a muoversi in quella strana condizione: prendeva un gran respiro gonfiando le guancie e appena scendeva un po’, agitava velocemente le mani e i piedi come se stesse nuotando; però Anna non aveva mai nuotato e lo faceva come lo aveva sempre visto fare agli animali dell’aia. Provò prima lo stile paperella, accoccolandosi sulle gambette e agitandole velocemente, ma a dire il vero con scarso successo, nonostante agitò anche i gomiti come fossero delle ali. Provò anche ad imitare la grande carpa che il compare Totò aveva messo nel fontanile del suo podere, sgranò gli occhi e mosse le mani come piccole pinne, ma gliene mancava sempre una sul sederino per muoversi come un pesce. Alla fine trovò la soluzione ricordando come nuotava D’Artagnan, il cane pastore della Sora Maria che si gettava in acqua tirando fuori il collo e muovendo veloce le quattro zampe. Finalmente aveva scoperto come si nuotava. Purtroppo a quel punto Itka aveva richiuso la porta da un pezzo.

 

Anna provò anche ad attraversare la parete, aveva sentito dire che i fantasmi possono farlo, ma lei ci rimediò solo una gran botta al naso. Riflettendo in fretta sul da farsi, si ricordò di essere in una grande casa delle bambole, quindi doveva solo trovare il modo di uscire e rientrare dentro la stanza che la interessava. Agitò velocemente le zampette e scivolò via da una finestra della sala da pranzo. Appena fuori si sentì di nuovo tirare via nel limbo, ma oramai aveva imparato come resistere alla corrente, e stringendo i denti, nuotò ancora più forte per tornare dentro alla casa delle bambole.

Uh, che fatica era, essere uno spettro! Si disse la ragazzina; ma era comunque riuscita a rientrare nell’ufficio della Signora Schreclich, giusto in tempo per ascoltare l’ultimo scampolo della conversazione.

 

- … come può dire di non avere neanche un’oncia d’oro, se è da quando è iniziata la guerra che tutta la comunità gliene ha dato in cambio di un tozzo di pane?
- Un tozzo di pane? Carne di manzo e caffè, zucchero e farina bianca, altro che tozzo di pane.
- Ragioni Signora Schreclich, a cosa le servirà quell’oro quando avranno deportato anche lei nei campi di lavoro?
- Ma la smetta con queste paranoie da rabbino.
- Quali paranoie se il ventiquattro di questo mese i nazisti vorranno da noi ben cinquanta chili d’oro! Se ne mancherà anche solo un grammo, ci deporteranno tutti, anche a lei sa?
- Beh, veramente parlano solo di duecento ebrei …
- Signora Schreclich!
- Ora mi ha stancato, ma me lo dice perché dovrei preoccuparmi di chi non mi rivolge il saluto e maledice l’aria che respiro?

 

 

La conversazione era molto accesa. Quegli uomini erano andati dalla Signora Schreclich per chiederle di donare il suo oro alla comunità. I nazisti gli avevano chiesto cinquanta chili d’oro per scampare alla deportazione. La Signora Schreclich fu irremovibile e dopo aver messo alla porta il rabbino, aspettò che Itka tornasse per sfogarsi con lei.

 

- Itka, metti l’oro al sicuro nella dispensa e tienila sempre chiusa a doppia mandata. Quei farabutti sarebbero capaci d’intrufolarsi di notte per rubare il mio oro.
- Ma chi le ha detto che i preti ci presteranno l’oro mancante?
- Dopo la bibbia, i papisti ormai ci rubano pure il mestiere. Da retta, mia cara, quelli hanno imparato come si spunta un interesse maggiore a prestare i soldi a usura. Stanno solo aspettando per alzare la posta.
- E se qualcuno fosse disposto a pagare affinché il Papa ci lasci deportare tutti?
- Ei, non ti ci mettere anche tu adesso. Ricordati che Roma è stata proclamata città aperta … e poi non credere che sia così sprovveduta da fidarmi dei discendenti di Saulo. C’è un amico alla prefettura che mi telefonerebbe per farsi riempire le tasche di soldi e farmi riparare in qualche sacrestia della città.
- E noi?
- Che domande? Certo che porterei con me anche te e tua figlia.
- Intendevo tutti gli altri del borgo, sarebbero deportati tutti.
- Ora non chiamare la malasorte che si sa come quella la nomini, arriva subito; anzi, va a prendere Pola perché voglio farmi levare il malocchio che quel rabbino mi ha certo tirato.

 

 

 

La Signora Schreclich tirò fuori da un cassetto segreto del mobile della libreria, un pesante cofanetto d’argento e lo consegnò a Itka.

Anna, ormai padrona del suo stile di nuoto, seguì svelta Itka che appena fuori dallo studio, incontrò Heni che giocava a campana con i marmittoni del corridoio, intonando quella filastrocca che Anna aveva già ascoltato durante la strana interferenza alla radio.

 

Dopo aver richiuso a doppia mandata la pesante e massiccia porta di ferro della dispensa, Itka mise il cappotto e prima di uscire salutò la figlia con un tenero abbraccio, raccomandandole di fare la brava perché andava a prendere la sua cara zietta Pola.

Link to comment
Share on other sites

ep.08

 

In quello strano mondo, il tempo era come una folata di vento che invisibile carezza un campo di grano. Fu questa l’impressione che ebbe Anna, quando si appisolò in un angolo del soffitto del corridoio. Durante quel breve sonno, le parve di sentire il vento. Solo dopo si accorse che era la vita che rumoreggiava sotto di lei a creare quel fruscio di spine di grano. Si stropicciò gli occhi, una anche due volte, prima di riuscire distinguere un’immagine, che immediatamente congelò tutte le altre che formavano quell’istante.

 

L’immagine che la tirò di nuovo tra le pieghe di quella strana realtà, era assai poco rassicurante. Si trattava di Pola, la zietta di Heni, che Itka era andata a prendere per far togliere il malocchio alla Signora Schreclich. Ora, invece, era lì nel corridoio che sembrava guardare proprio nella sua direzione - “Chi sei?”.

 

Anna riconobbe subito la vecchia pazza che l’aveva perseguitata fin dal primo giorno che era giunta nella casa degli specchi, anche se ora era molto più giovane. Era già cieca e sbarrando gli inutili occhi, agitando le pupille marce, la cercava tastoni: “Lo so che ci sei”.

 

Anna non era sicura che l’avesse con lei, quella probabilmente non era solo cieca fin dalla nascita, ma anche un po’ tocca. “Che cosa hai da dirmi piccina” Oddio, come faceva a sapere che era una ragazzina? Che forse gli spettri che respirano sono visibili ai ciechi? Anna non si fidava di lei e prendendo una grande boccata d’aria, cominciò a nuotare con il suo stile D’Artagnan, per raggiungere un luogo più sicuro. Pola se ne stava ferma in mezzo al corridoio, con le mani tese nel vuoto e quando Anna sgambettava sopra la sua testa, alzò un braccio e le sfiorò una treccia. Che spavento! Tutte e due urlarono, convinte entrambi di aver sfiorato un fantasma.

 

Itka e la Signora Schreclich sopraggiunsero immediatamente. Pola era sconvolta perché da tanti anni che faceva la medium, non le era mai capitato di sfiorare un fantasma vero.

“Un dybbukim in casa mia!” Esclamò la Signora Schreclich, non tanto per lo spavento quanto il disappunto di avere un intruso che le scroccava l’alloggio gratis.

Itka fece sedere Pola e poi si ricordò che anche il rabbino le aveva domandato se avessero un fantasma in casa. A quel punto la Signora Schreclich non ebbe più ombra di dubbio, era stato lui che glielo aveva portato per estorcerle l’oro. “Facciamo immediatamente una seduta spiritica” Sentenziò la Signora Schreclich, convinta che quel fantasma le avrebbe portato ogni sorta di sciagura.

 

Così le tre signore si diressero nello studio, ma su ordine di Pola, questa volta la porta fu lasciata aperta. Anna, molto incuriosita, annaspò fino allo stipite e sbirciò nella stanza. Vide le donne sedersi attorno a quel piccolo tavolinetto rotondo che ben conosceva. Tutte e tre avevano poggiato il palmo delle mani sulla pietra di onice del tavolo. Pola aveva rivoltato la testa indietro digrignando i denti in un tal modo che ad Anna iniziarono a passare i brividi. Subito dopo la cieca sbarrò i suoi orribili occhi e iniziò a risucchiare l’aria facendola sibilare tra le labbra.

 

Pola era molto buffa e ad Anna venne la ridarella, poi sentì qualcuno che la punzecchiava dal basso. Era il fantasma di un vecchietto che le agitava la punta del bastone contro. “Ti pare bello far sbracciare così un povero fantasma vecchio come me?” Le disse iracondo. Quello spettro era vecchio sia nell’aspetto da vivo, sia in quello da morto, tanto era diventata trasparente la sua aura. “Mi dispiace signor fantasma, ma non riesco a scendere” Le rispose Anna cercando di scusarsi. “Ah, i soliti fantasmi di oggi, sempre pronti a vantarsi d’essere ancora gonfi di ectoplasma, ma invecchierai anche tu ragazzina e vedrai che dopo cinquecento anni ti trascinerai come me, povero disgraziato, ridotto a far da cane guida a una medium cieca” Il vecchietto continuava ad agitare minacciosamente il suo bastone, al che Anna gli chiese gentilmente cosa poteva fare per lui. “C’è una seduta spiritica, non la vedi?” Quello che vedeva Anna erano solo tre signore intorno a un piccolo tavolino. “Santi numi, ma che fantasma sei?” Esclamò il vegliardo. “Non sono un fantasma” Cercò di spiegargli la ragazzina e il vecchio spazientito, le rispose che era stufo della solita solfa che ripetono tutti i fantasmi. “Vai, fidati, le sedute spiritiche sono una pacchia, piace a tutti i fantasmi far sobbalzare tavoli e spaventare i vivi, vedrai che spasso”.

 

Molto titubante, Anna prese ad annaspare nell’aria col suo stile D’Artagnan, mentre quel vecchio irriverente la scherniva, scompisciandosi dalle risate. “Se non la smetti di sfottermi, non mi muovo più” Gli disse Anna, ma ormai era arrivata proprio sul tavolinetto e il vecchio fantasma si trascinò con il suo bastone dietro a Pola. “Ragazzina non scaldarti che tanto i morti freddi sono e tali rimangono” Le rispose cinicamente il vecchio, mentre si avvicinò all’orecchio della medium come per sussurrargli qualcosa, invece le urlò fortissimo: “Stupida cipolla vuoi cominciare o devo aspettare altri cinquecento anni per riuscire a esalare l’ultimo respiro?”.

 

A quel punto Pola, strascicando melodrammaticamente la voce, annunciò alle altre che aveva contattato il suo spirito guida e che potevano cominciare. Iniziò una nenia cui le altre donne rispondevano di tanto in tanto. Quelle parole entravano nelle orecchie di Anna e misteriosamente iniziarono ad appesantirla. Lentamente quella nenia riempì il suo corpo e lo fece scendere dal soffitto, fino al centro del piccolo tavolinetto. Oh, com’era bello ritrovarsi di nuovo in piedi!

 

“Sei sicuro che non mi succederà niente?” Chiese preoccupata Anna, quando si vide in mezzo a quelle tre. “Che vuoi che capiti a un morto?” Ghignò il vecchietto. “Come te lo devo dire che io non sono morta” insistette Anna quasi piangendo. “Ascolta ragazzina, fatti furba e non aspettare cinquecento anni come ho fatto io, per accettare il fatto di aver tirato le cuoia; bella mia, se non fosse per questa cipolla che mi costringe a starle appresso, me ne starei già a far bisboccia in paradiso … a proposito non è che ti andrebbe un bel posto di lavoro con sicure prospettive di carriera … sai, la cipolla pare abbia aderenze molto in alto … e va bene non sarà un gran che, ma è sempre meglio di far la muffa tra le solite quattro mura, ti pare?”.

 

Il vecchietto fu interrotto da Pola che intonò un’implorazione affinché il suo spirito guida l’aiutasse a contattare Anna. “Ecco, e che diamine, non si possono manco più fare quattro chiacchiere?” Le disse urlandole ancora nell’orecchio, poi le menò uno scappellotto fortissimo che fece schiantare la fronte di Pola sul tavolinetto di marmo. Tanto che la poverina ne rimase tramortita. “Che tocco, guarda come l’ho mandata in trance; ah, se le mancherà la mia virilità!” Il vecchietto aveva tirato su la testa di Pola con una mano e dopo essersi vantato della gran botta che le aveva inferto, cominciò a divertirsi a muoverla come fosse il pupazzo di un ventriloquio, facendo spaventare moltissimo le altre donne.

 

“Belle pollastrelle vogliamo farci un giro di valzer?” La Signora Schreclich fece una faccia schifata e commentò quanto fosse sconveniente per Pola avere uno spirito guida sporcaccione. Fu Itka che chiese se il fantasma era lì tra loro. “Certo bellezza, sta qui in mezzo al tavolo, è una ragazzina con le trecce, un po’ smunta per i miei gusti”. Itka volle sapere chi era e Anna cercò di spiegarsi, ma non era facile farsi intendere da chi la credeva uno spirito morto nel passato e non un’anima che doveva ancora nascere.

 

“Insomma, si può sapere cosa vuole, l’ha mandata il rabbino per farmi venire un colpo e prendersi il mio oro, vero?” Concluse spazientita al Signora Schreclich. Allora quel vegliardo di ectoplasma decise di tagliare corto pure lui, spiegando quello che Anna non riusciva a raccontare: “Brutta cocuzza bitorzoluta stappati le orecchie perché non te lo ripeterò – la ragazzina dice che la tua governante ti vuole ammazzare per vendicarsi di quello che farai a sua figlia; chiaro?” Anche Anna si stupì molto del senso di quello che aveva appena cercato di spiegare.

 

La Signora Schreclich scattò in piedi rompendo la catena della seduta spiritica, e Anna se ne volò di nuovo sul soffitto. “Tu … tu sei in combutta con il rabbino per rubarmi l’oro!” Disse la signora Schreclich puntando un dito contro il volto di Itka, quindi continuò: “ Ed io che ti ho accolto in casa come una sorella, ti ho sfamata e tenuto tua figlia come una maialetto all’ingrasso, così mi ripaghi?”.

Itka, senza dire una parola, si alzò e costrinse la Signora Schreclich, che a quel punto temeva che da un momento all’altro la assassinasse, a sedersi e riallacciare la catena sul tavolino di marmo. Itka voleva andare fino in fondo a quella storia, perché sapeva che la Signora Schreclich altrimenti non avrebbe esitato a metterla alla porta.

Anna tornò di nuovo in mezzo al tavolino e il vecchio sbuffò per quel divertimento che iniziava a pesargli come un lavoro, tanto che disse seccamente a Itka di rivolgere direttamente le sue domande ad Anna.

Link to comment
Share on other sites

  • 4 weeks later...

ep.09

 

 

 

Itka voleva sapere le stesse cose per cui Anna era lì. Come poteva spiegarle i motivi per cui la sua fedeltà per la Signora Schreclich si sarebbe incrinata?

 

“Io non so” disse Anna, ascoltando la sua voce uscire direttamente dalla bocca della medium. Itka si era spazientita e la accusò di essere una bugiarda e di voler solo seminar zizzania. La Signora Schreclich, già per sua natura molto sospettosa, le ricordò guardandola di sottecchi che i fantasmi non possono mentire. “Ma chi sei e chi ti manda?” Sbottò Itka incollerita. “Mi chiamo Anna e sono la lavanderina, mi ha assunto la Signora Schreclich” Rispose quasi piangendo la povera ragazzina. A quel punto la Signora negò l’addebito, ci mancherebbe altro, pagare anche una lavandaia dopo che quella scansafatiche della sguattera le rubava lo stipendio.

 

“No, non mi ha ancora dato il lavoro” precisò Anna. A quel punto le due donne si guardarono stupite da quella sorprendete rivelazione. “Tu sei dunque un fantasma che arriva dal futuro!” Esclamò Itka. La Signora Schreclich zittì la sua governante e pretese di fare la domanda successiva “E precisamente in che anno ti assumerei a mio servizio?”. Anna era finalmente felice di poter fornire delle risposte certe “Nel millenovecentocinquantuno”. La Signora s’illuminò in volto dicendo tra sé “Allora sopravvivrò a tutto questo”. Itka domandò timidamente chi avrebbe vinto la guerra “Gli alleati hanno battuto la Germania”. “E la storia dell’oro come andrà a finire?” Continuò a domandare trepidante la Signora Schreclich, ma Anna non l’aveva ancora ben capito l’affare dell’oro che i tedeschi avevano chiesto in cambio della libertà degli ebrei romani, quindi Itka le spiegò ogni cosa e purtroppo la ragazzina comprese da quanto era accaduto alla mamma dei gemellini, che sarebbe stato tutto vano. Le due donne si scurirono in volto ad apprendere che i nazisti avrebbero dunque deportato tutta la comunità israelita.

 

Anna voleva solo consolarle quando disse che lei in fondo ne sapeva poco e non era certa se proprio tutti sarebbero stati deportati. “Ma certo, Roma è città aperta, non possono fare una cosa del genere, quelli che prenderanno se la saranno sicuramente cercata” Disse la Signora Schreclich. “Oppure per colpa di qualche avaro non riusciremo a raccogliere tutto l’oro che i nazisti ci chiedono” Le rispose amaramente Itka. Le due donne iniziarono a beccarsi e la Signora Schreclich alla fine dell’alterco pretese che le restituisse le chiavi della dispensa perché, come aveva detto il fantasma, di lei non si poteva più fidare. Itka, sapendo che una volta rimossa dal suo incarico, sarebbe stata presto messa alla porta, si rifiutò minacciando di denunciarla alle autorità per il suo traffico di borsa nera. “Voi state affamando l’intera comunità” La accusò Itka, ma la Signora non se la tenne e la chiamò serpe “Avrei dovuto aspettarmelo da una poco di buono che ha partorito una figlia senza marito”. Le due se le stavano cantando sonoramente “Badate bene che non venga il giorno in cui questa serpe le sibilerà nell’orecchio la verità che vi condanna”.

 

Anna si accorse tragicamente che era proprio a causa delle sue rivelazioni che Itka e la Signora Schreclich iniziarono a odiarsi profondamente. Il fatto la sconvolse perché questo significava che Heni sarebbe morta per colpa sua. “Zitte” Urlò con tutta la voce che aveva in gola “Smettetela”, le ammonì “Non capite che sarà proprio perché inizierete a litigare, se la povera Heni morirà”. Forse Anna non avrebbe dovuto aggiungere quella drammatica verità a quanto già si era lasciata scappare, perché ci mancava poco che Itka svenisse dallo spavento. La Signora Schreclich allora chiese come sarebbe accaduta quella terribile tragedia, però Anna non lo sapeva e allora Itka spiegò lei come credeva che sarebbero andate le cose: “Ci deporteranno per colpa vostra e mia figlia morirà come tutti gli altri nostri bambini”. “Stai vaneggiando, il fantasma non lo sa se ci deporteranno”. Allora Itka strinse gli occhi e domandò se lei stessa sarebbe morta con sua figlia.

 

“Mi dispiace ma non so se morirete insieme” Le disse Anna, esortandola a non perdere la ragione. “La cosa importante è che il desiderio di vendetta verso la Signora, ti costringerà a rimanere nel mondo come uno spettro per perseguitarla e se riuscirai a ucciderla, la tua anima sarà condannata a rimanere nel limbo per sempre, senza poter riabbracciare quell’animella in pena di tua figlia”. Di tutte le parole di Anna, Itka capì solo che se voleva vendicarsi della Signora Schreclich, significava che era per colpa sua che Heni sarebbe morta.

 

“E vorrei proprio vedere come una morta potrebbe uccidermi” Le rispose la Signora Schreclich, stizzita dall’atteggiamento sfrontato che aveva preso la governante. “Me lo dirà il fantasma come farò a vendicarmi”. Oh, no! Anna non voleva dirglielo. “Il fantasma deve rispondere fin quando è cinto dalla catena di una seduta spiritica” Le intimò il vegliardo spirito guida di Pola, che non vedeva l’ora di ascoltare come andava a finire quell’avvincente storia. Allora Anna pensò che se avesse chiesto loro di non assumerla in futuro, certo non sarebbe potuta tornare nel passato a combinar guai.

 

“Sarà per colpa mia perché tu mi rapirai attraverso il riflesso del portone nello specchio del pianerottolo” e poi continuò esortando la Signora Schreclich “Lei non dovrà mai cercare una lavanderina, altrimenti darò voce alle anime vaganti del purgatorio che tornano da luoghi tristissimi, quando tutta la disperazione contenuta nella loro voce entrerà nelle sue orecchie, lei si dannerà di tutto il loro strazio”. Itka commentò che era la pena giusta dopo aver cagionato il supplizio dell’intera comunità. “Tu sei pazza” Le disse la Signora. “E voi sperate solo che non accada nulla di brutto a mia figlia, altrimenti non esiterò a dannarmi l’anima pur di trascinarla all’inferno insieme con me”. Anna aveva combinato proprio un brutto guaio.

 

Le due donne ruppero di colpo la catena della seduta spiritica e la ragazzina schizzò via come un palloncino che si sgonfia, sbattendo la testa su tutte le pareti della stanza. Un volo scavezzacollo durante il quale il mondo prese a vorticare insieme con lei in un susseguirsi rapido di eventi. Quando finalmente riuscì a tenersi al lampadario, questo fece tintinnare rumorosamente tutte le sue goccioline di cristallo, tanto che la Signora Schreclich, seduta in quel momento alla sua scrivania con un gerarca fascista, ebbe un soprassalto insieme al suo ospite. Il quale si domandò se fosse stato il terremoto a scuotere il lampadario. La Signora annuì nervosamente, temendo la verità, e cioè che fosse ancora quel fantasma che giungeva dal futuro che continuava a far muovere i lampadari di casa. “Non ci faccia caso, piuttosto mi dica, mi dica meglio come bisognerà agire”. Il gerarca si era appena intascato una manciata di denaro, e si rivoltava nelle mani una foto. “Lei vada via di notte e non dica nulla neanche alla servitù, io darò ai nazisti i documenti falsificati con questa foto della sua governante e vedrà che quelli non ci andranno tanto per il sottile”.

 

La Signora Schreclich aveva saputo che, nonostante fossero stati raccolti i cinquanta chili d’oro richiesti, i nazisti all’alba del sedici ottobre avrebbero deportato lo stesso gli ebrei.

Tutto era andato come da lei previsto, cioè che i preti alla fine “prestarono” i quindici chili d’oro che mancavano per ottemperare alla richiesta dei tedeschi. Riteneva di essere stata furba a non aver scucito un’oncia di quel tesoro messo insieme con la borsa nera, perché ora poteva servirsene per cancellare il credito a usura che gli italiani avevano contratto con lei. I quali erano pronti a denunciarla ai nazisti pur di liberarsi dei loro debiti; invece, così facendo, gli stessi l’avrebbero aiutata a fuggire il destino della comunità israelita, la stessa che andava affamando dall’inizio della guerra.

Finalmente era tutto chiaro. La Signora Schreclich che considerava ormai Itka una sua nemica, falsificò i propri documenti mettendoci sopra la foto della governante. Così, quando i nazisti si presentarono alla sua porta, presero la donna sbagliata.

 

Anna doveva assolutamente fermare la Signora Schreclich, allora iniziò a scuotere il lampadario, quella era la sola cosa che le riusciva particolarmente bene. Il gerarca schizzò in piedi dalla seggiola, temendo che il terremoto facesse venir giù l’intero soffitto da un momento all’altro, ma poi si avvide che non si trattava del terremoto. La Signora lo spinse quasi di peso fuori dallo studio, minimizzando quello stravagante effetto provocato secondo lei dagli autocarri giù in strada.

Appena richiuse la porta, la Signora corse a prendere un lungo specchio da camera e lo puntò sul lampadario, esclamando “Eccoti qua, finalmente ti vedo”. Si disse proprio soddisfatta del rimedio che le aveva procurato Pola, uno specchio esoterico capace di rendere visibili gli spiriti imprigionati nei riflessi della realtà. “Ascoltami ragazzina, vedi d’impicciarti degli affari tuoi, altrimenti ti faccio esorcizzare, chiaro?”.

 

Anna, spaventata da quella bruttissima donna, nuotò via verso la finestra socchiusa, ma l’astuta aguzzina intuì subito il suo intento e chiuse le imposte. “Tu rimani qui, così non potrai combinar guai”.

La Signora Schreclich uscì rapida dallo studio, richiudendo la porta chiave. Anna era intrappola e non aveva proprio idea di come avrebbe fatto ad avvertire Itka dell’imbroglio. Si sentiva in colpa e voleva assolutamente salvare la povera Heni.

Link to comment
Share on other sites

Ep. 10

 

Povera Anna! Chiusa con i propri rimorsi nello studio della Signora Schreclich, strinse nella mano il piccolo rosario dai grani di legno e pregò per ritrovare un barlume di speranza. Aveva bisogno di credere in qualcosa che desse un significato a tutto quello che le stava succedendo. Voleva disperatamente sentirsi parte di un pensiero più alto, capace di non rendere vani i propri gesti. Pregò tanto finché i pensieri non rimasero imbrigliati in quelle formule salvifiche, dando pace alla sua coscienza provata.

 

Il grave peso di quel presente impalpabile la precipitò in un sonno profondo, un pozzo, dove la luce della speranza non penetrava. Il buio era in ogni cosa, anche nell’aria che respirava. Entrava attraverso il naso e la bocca e si spandeva fin nei più reconditi meandri nel corpo, diluendo la coscienza di sé nell’indefinita inconsistenza dell’oscurità.

Le pupille di Anna si schiusero sul mondo dei sogni, un non luogo dove il passato e il futuro avevano la stessa densità di un pensiero.

 

Anna si ritrovò dinanzi allo specchio esoterico che la medium aveva dato alla Signora Schreclich. Si avvicinò senza che la sua immagine ne fosse riflessa. La superficie dello specchio divenne un invisibile e sottile velo trasparente, attraverso il quale filtrava la realtà di un mondo che pareva in tutto e per tutto uno di quei vecchi film muti in bianco e nero del cinematografo.

 

Ci vide Itka che origliava dietro la porta il discorso segreto che la Signora Schreclich aveva tenuto con il gerarca fascista. Vide ancora la governante che faceva sistemare uno specchio davanti al portone di casa, lo stesso con cui anni dopo avrebbe rapito Anna. Itka si stava preparando al peggio e badava a ogni dettaglio affinché dopo il trapasso, potesse portare a compimento la propria vendetta.

 

Poi giunse la sera del quindici ottobre.

 

La Signora Schreclich cenava in camera sua con le valige nascoste sotto il letto. Itka le stava tagliando della carne, nel silenzio di quelle immagini si udì chiaramente lo stridere del coltello sulla ceramica del vassoio.

La domestica, prima di coricarsi, quella sera andò a prendere sua figlia Heni che dormiva nel lettino. Infagottata tra le coperte, la portò nel luogo più sicuro della casa: la dispensa. Prima di uscire la bambina si svegliò e abbracciò la madre, forse intimorita dal buio di quella stanza senza finestre. La governante la tenne allungo stretta a sé, quindi si curò di lasciare la pesante porta di ferro socchiusa.

 

Itka non sapeva che quella notte la Signora Schreclich sarebbe fuggita, come non sapeva che l’indomani mattina ci sarebbe stato il rastrellamento nazista, eppure conosceva così bene la sua padrona da intuire chiaramente che il momento era giunto.

La sveglia sul comodino della Signora segnava le due del mattino, quando un clacson suonò giù in strada. La paffuta figura allora rotolò giù dal lettone e infilò il cappotto direttamente sopra la camicia da notte. Tirò via da sotto il letto due pesanti valige che trascinò a fatica fuori dalla camera. Si assicurò che il corridoio fosse deserto e poi, prima di dirigersi verso l’uscita, chiuse la porta della dispensa, che lentamente soffocò lo spiraglio di luce dove dormiva l’ignara bambina. Fece girare tutte le mandate della serratura e poi sghignazzando si trascinò lungo il corridoio, fino a richiudersi alle spalle anche la porta di casa.

 

La casa con tutti i suoi specchi rimase immobile aspettando il momento tragico. La pendola nel salone rintoccava le ore una a una. Le stesse scorrevano lentamente di quarto in quarto, salutate dal cuccù di un passero che agitava allegro le sue ali di legno. Fin quando cinque rintocchi fecero rabbrividire la notte e al secondo cinguettio del cuccù, qualcosa accadde giù in strada.

 

Tutti corsero alle finestre. La sguattera si strinse la testa tra le mani e la cameriera corse al telefono per chiamare qualcuno. Le luci nelle case si destavano a quello stridore silenzioso di autocarri, da cui ombre con l’elmetto in testa correvano via. Schegge di tenebra che penetravano nel buio dei portoni, materializzandosi per i pianerottoli, dinanzi alle porte che avevano un sussulto di spavento.

Esistenze dirottate dal loro naturale corso, erano convogliate in rivoli penitenti che sfociavano nello smarrimento di una palude umana concentrata nella piazza, tra gli autocarri, il cui odore diesel si condensava fuori dalle marmitte, nel freddo dell’alba.

 

La sguattera tornò dalla camera della Signora Schreclich annunciando alle altre due donne quello che non ci aveva trovato. La cameriera scoppiò in lacrime ma Itka no. Era rimasta immobile davanti alla finestra, attonita dinanzi al verificarsi delle profezie del fantasma che veniva dal futuro. Lei lo sapeva che sarebbero morti tutti. Se poteva rassegnarsi alla sua stessa fine, non poteva restare a guardare come sarebbe morta la propria bambina.

 

Ebbe un soprassalto, come se la ragione le avesse indicato improvvisamente una via per la salvezza. Corse alla porta della dispensa, ma la trovò chiusa. Disperata chiamò Heni, ma il ferro era troppo spesso perché potesse riuscire a sentirla.

La calma che aveva ostentato fino a quel momento si dissolse. Corse in camera a prendere il pass par tu, ma nel grosso anello in cui erano appese tutte le chiavi di casa, non trovò più quella della dispensa. In quel momento la cameriera cercò di consolarla e forse le spiegò come la Signora Schreclich le aveva sottratto la chiave. Probabile che la cameriera stessa era stata sua complice, perché Itka la schiaffeggiò, urlandole contro la propria disperazione. Continuava a indicare la porta di ferro, ma era la bambina che ne era rimasta intrappolata dietro che la faceva impazzire di rabbia.

 

Improvvisamente accadde qualcosa. Tutte le donne guardarono verso la porta, la cameriera e la sguattera corsero a nascondersi dietro la figura severa della governante. Itka aveva il petto gonfio di paura, ma ebbe ancora la lucidità di prendere una decisione. Prima richiuse lo sportello di legno, su cui era sistemato l’ennesimo specchio del corridoio, che celava la porta di ferro della dispensa; poi diede una spinta alla cameriera affinché andasse ad aprire.

La ragazzetta tremava come una foglia, quasi si accingesse a far entrare in casa la morte in persona.

Si presentarono un drappello di tre o quattro soldati che ispezionarono ogni angolo della casa. Il loro capo batteva furiosamente il dito su un foglio, cercando di spaventare Itka, ma lei non faceva una piega, non disse una parola neanche quando la chiamò con il nome della Signora Schreclich.

 

La cameriera e la sguattera prepararono in fretta il loro fagotto e furono accompagnate in strada. Nell’appartamento c’erano rimasti solo due nazisti che rubacchiavano qui e là qualche ninnolo d’argento tenuto su per la mobilia.

Itka era entrata in camera della Signora Schreclich, ma non stava preparando valige. Se ne restava immobile davanti allo specchio esoterico che Pola diceva poter mostrare i fantasmi imprigionati tra i riflessi della realtà.

 

In quei momenti Anna la vedeva chiaramente in piedi davanti a sé, dall’altra parte dello specchio, pronta a compiere un passo terribile. Esistevano solo due modi per essere intrappolati nel riflesso di uno specchio. Il primo era che uno spettro riuscisse a tirarla dentro e l’altro, quello più tragico, era di togliersi la vita davanti ad esso, di modo che lo spirito sopravvivesse nel riflesso della propria immagine terrena.

Itka non voleva certo morire, specie sapendo che la propria bambina era intrappolata nella dispensa, ma chi poteva andarla a salvare se l’avessero deportata?

 

Uno dei soldati entrò nella camera e spinse malamente Itka contro l’armadio, incitandola a fare presto. La governante tornò invece davanti lo specchio e poi lo trascinò fino al capezzale del letto. Nel suo sguardo c’era la disperazione di chi è disposto a tutto pur di sottrarsi a un destino già segnato dagli eventi.

Itka prese da un cassettino della scrivania un piccolo cofanetto contenente un’ampolla con del liquido verdastro. Era certo uno dei tanti pegni arrivato nelle mani della Signora Schreclich per la sua attività di usuraia. Poteva sembrare un profumo, ma che non fosse preziosa acqua di Vichy, si vedeva subito dallo sguardo sconvolto della governante.

 

Itka tirò via il grazioso tappo della boccetta e ingollò il liquido verdastro, ingoiando con esso anche lo sgomento di quel gesto. Il liquido parve bruciare l’anima della povera donna che barcollò prima avanti e poi indietro, tenendosi il collo con entrambi le mani. Il suo corpo stramazzò qualche attimo, prima di esalare un rifiato che si strozzò anch’esso nel soffocamento indotto dal veleno.

 

Il corpo esanime della governante rimase immobile mentre il proprio spirito lo fissava dall’altra parte dello specchio. La cui superficie traslucida iniziò a baluginare, come se diventasse un piccolo mare su cui si rifletteva un sole invisibile.

I luccichii si raggrumarono in una piccola goccia pencolante sulla punta di un minaccioso artiglio felino. Anna protese le mani per raccoglierla e quando la goccia si schiantò nei suoi palmi, si solidificò di nuovo, diventando una scheggia di specchio.

 

Quando la ragazzina rialzò il capo sul buio tenebroso, vide schiudersi due soli gialli come iridi feline. Erano proprio due enormi occhi di gatto che la fissavano e solo in quel momento Anna si rese conto che il buio caldo e morbido che l’avvolgeva, in realtà era il tenero manto nero di un gatto gigante.

Il felino schiuse la bocca in uno sbadiglio e stiracchiandosi si rizzò sulle zampe, facendo ritrovare la ragazzina in cima alla sua groppa. Poi s’incamminò pigramente verso l’infinito che costituiva l’orizzonte del limbo.

Link to comment
Share on other sites

  • 1 month later...

Ep.11

 

Il gattone beccheggiava spensierato sui suoi passi, facendo ondeggiare Anna tra i flutti di quel mare di silenzio nero. Era impossibile capire in quale direzione stessero andando, sempre che avesse ancora un senso pensare di spostarsi in quel luogo, dove essere qui o là non faceva nessuna differenza.

In quel buio che le impediva di guardarsi persino la punta del naso, Anna vide un minuscolo moscerino sospeso in volo. Si trattava di un piccolo pensiero fattosi desiderio, che nel limbo si materializzava in parole dalle ali invisibili. Là, dove l’inconsistenza dell’oscurità cancellava ogni orizzonte, seguendo quel moscerino con lo sguardo della mente, le parve di vedere un sentiero, in fondo al quale ritrovò una meta. Fu così che Anna indicò al suo nero compagno di viaggio, la strada di casa.

 

“Mao” fece il gatto, quando diventò improvvisamente piccolo e rimase schiacciato sotto il peso della ragazzina. Anna scattò in piedi e palpandosi, quasi le veniva da piangere nel sentire che il proprio corpo aveva ritrovato consistenza.

Poi allungò le mani in avanti e cercò di capire dove si trovava. Era ancora buio pesto, ma intorno a sé c’erano oggetti e mura solide. “Qualcuno mi sente?” Urlava Anna “Per carità di Dio, qualcuno mi risponda”. Era sola in quello spazio angusto pieno di cose da mangiare, senza che nessuno potesse ascoltare le sue grida d’aiuto.

“Chi sei?” Esclamò la ragazzina, quando vide un’opalescenza luminosa formarsi dietro un sacco di iuta. Quelli che udiva erano singhiozzi di un pianto stremato da anni ed anni di solitudine.

Era chiaro che si trattava dello spettro di una bambina, ma solo quando questa sollevò il capo nascosto tra le ginocchia raccolte al petto, Anna riconobbe Heni, la figlia di Itka. Aveva gli occhi lividi, resi folli dalla disperazione. Se ne stava accovacciata davanti a un vecchio specchio dalla cornice d’argento, nel vano tentativo di trovare compagnia attraverso il proprio riflesso. All’improvviso la piccola urlò contro la sua immagine che a sua volta strillò in faccia ad Anna, poi si alzò e corse via, a battere istericamente i pugni contro la porta di ferro.

 

Le urla di Heni gelavano il sangue nelle vene. Anna strinse il rosario e pregò per non morire dallo spavento. Poi una lama di luce sembrò sezionare il buio. Tagli netti che disegnarono i lati di una porta che si apriva. La luce bagnò ogni cosa, facendo scomparire il buio dietro le ombre degli oggetti.

Anna si vide riflessa nello specchio dalla cornice d’argento, fu così che si ricordò delle parole che Heni le aveva scritto nella lettera: per uscire dal mondo riflesso negli specchi, doveva porsi tra due di essi e compiere un passo in avanti. Ma certo! Era questo che Heni voleva che facesse, ed era stato quel desiderio che l’aveva guidata fuori dal limbo. Prese dunque la scheggia dello specchio esoterico che aveva con sé, e dando le spalle a quell’altro dalla cornice d’argento, compì il passo in avanti che la ricondusse nel mondo.

 

Anna urlò di gioia nel ritrovarsi ancora viva e senza pensarci due volte, corse fuori da quella dispensa maledetta. Nel farlo ruzzolò in terra sia la Signora Schreclich, sia Pola, la vecchia medium dagli occhi resi ciechi da una cataratta gialla.

Pola riusciva a udire le urla disperate del fantasma di Heni, così ogni volta ne approfittava per farsi condurre tra le sue speculazioni sul mondo dei morti. Riconducendola poi là, dove la sciagura l’aveva fatta morire tra gli stenti e la solitudine.

 

“Piccola Heni, dove sei?” Chiedeva la vegliarda opportunista. “Non lasciarmi sola, ho bisogno dei tuoi occhi per vedere” Continuava a implorare mentre cercava di rimettersi in piedi. “Smettila di torturarla” Le urlò contro Anna. “Lei non è il tuo spirito guida, quel vecchio sporcaccione se n’è andato da un pezzo” Disse ancora la ragazzina, inasprita da tutto quello cui aveva dovuto assistere sottoforma di spettro.

“Chi è, chi è che parla?” Chiedeva la medium spaventata nel riconoscere quella voce materializzatosi nel mondo. “E’ … è … la lavanderina” Le rispose la Signora Schreclich, ancora col suo grasso sedere per terra, resa incapace dal tremore dello spavento di rimettersi in piedi.

“Che vuoi ancora piccola impertinente?” Le disse con tono arrogante Pola. “Non ti basta aver portato il malocchio in questa casa?”. Questa poi Anna proprio non riuscì a tenersela. Si avvicinò alla vegliarda e cercando di trattenersi fino alla fine, le mollò uno schiaffo sulla guancia.

“Cos’è stato?” Chiese Pola alla Signora Schreclich, rimasta attonita da quello che non poteva certo essere il gesto di un fantasma. “Stupida vecchia buona a nulla, è qui in carne e ossa … sei licenziata” Le rispose la Signora che ritornata in sé, già si era abituata all’idea di ritrovarsi dinanzi a quello che aveva sempre creduto un fantasma giunto dal futuro. “E tu piccola streghetta, dimmi quanti soldi vuoi per liberarmi dal malocchio della mia governante”.

 

Streghetta a chi? Anna era proprio stufa di avere a che fare con quelle persone malvagie. “Ma non prova neanche un po’ di rimorso per aver lasciato morire Heni nella sua dispensa?” Chiese Anna che si sarebbe aspettata da lei almeno un pentimento. “Come facevo a sapere che quella scellerata della madre l’aveva nascosta lì dentro?” Si discolpò prontamente la grassa usuraia. La Signora Schreclich era comunque fuggita senza dir nulla del pericolo che incombeva “Non potevo certo portare con me tutti quanti”. Avrebbe potuto prendere con sé almeno Heni. Itka avrebbe accettato di farsi scambiare per lei pur di mettere in salvo la figlia. “E’ facile distribuire le colpe, ma nessuno avrebbe mosso un dito per salvare me, io sono sola” La Signora Schreclich diceva il vero, se non lo avesse fatto da sé, neanche uno di quegli spettri che vivevano nella sua sala da pranzo, avrebbe fatto nulla per aiutarla. E’ anche vero però che non ci si può aspettare che siano sempre gli altri a venirci incontro, specie se non gli si dà la possibilità di farlo. “Adesso basta, non sto certo qui a farmi fare la morale da una ragazzina impudente” Sentenziò la Signora Schreclich “Dimmi quanto vuoi per liberarmi dalla maledizione di quella pazza e poi sparisci”.

 

Anna fu sul punto di non aiutare quell’antipatica arrogante. Ora che era tornata nel mondo avrebbe potuto girare sui tacchi e tornarsene a casa, considerando anche che, senza di lei, Itka non avrebbe più potuto compiere la sua vendetta. Sebbene la Signora Schreclich meritasse di ascoltare le grida di quanti aveva lasciato deportare e morire nei lager nazisti, tuttavia l’egoismo di Anna si sarebbe aggiunto a tutto quell’altro da cui era scaturita la triste vicenda di Heni. Solo per quella dolce bambina che Anna decise di non porsi a giudice delle azioni altrui. Preferì dunque perdonare e liberarsi così definitivamente dell’acredine che le aveva iniziato a insozzare il cuore fin dal primo giorno che aveva messo piede nella casa degli specchi.

 

“Mi dia le chiavi della dispensa” Disse Anna alla Signora Schreclich, la quale strinse i suoi occhietti suini per il sospetto di essere truffata. “Mi deve dare le chiavi che la notte prima della sua fuga, fece sottrarre dalla cameriera al pass par tu di Itka”. “Non ti fidare di lei, se le ridarai le chiavi ti porterà via tutte le tue ricchezze” Cercò di dissuaderla Pola, nel vano tentativo di riconquistare la fiducia della sua benefattrice. “Sta zitta, tanto già mi fa marcire ogni cosa in quella dannata dispensa”.

 

Anna strappò via la chiave dalla mano paffuta della Signora Schreclich e si diresse in cucina. Anna non la vedeva, ma sapeva perfettamente dove Itka stava in quel momento. La ragazzina pose lo specchio esoterico di modo che riflettesse il tavolo, davanti il quale Itka stava preparando come il solito del saporito galer. “Piccola bugiarda, pagherai caro il tuo inganno” Itka alzò il capo e fissandola negli occhi, accusò Anna di averla ingannata quel giorno nel passato, quando le apparve sottoforma di spettro promettendo una vendetta che ora le negava, passando dalla parte della Signora Schreclich.

 

Ovviamente non era così. Era stata Itka che aveva cercato di farle compiere qualcosa di cui ancora non sapeva niente. “Così non aiuterai Heni” Anna cercò di far capire a Itka che era stato il sentimento di vendetta verso la Signora Schreclich a spingerla al suicidio e non il desiderio di salvare Heni, per questo ora non riusciva a ricordare altro, perdendo di vista il bene di quell’animella in pena della figlia.

 

Itka si tenne la testa con una mano, nel tentativo di alienare quel mal di testa, di cui fino a quel momento non aveva compreso la natura. Era il ricordo di Heni che le sfuggiva. Era quell’urlo che le giungeva dalla dispensa che cercava di non ascoltare, vittima del rancore che esigeva da lei una dedizione totale.

“Abbandona il tuo proposito, prendi le chiavi e va a liberarla” Le disse Anna porgendole le chiavi mancanti al suo pass par tu. Itka si asciugò le mani in uno strofinaccio e poi allungò la destra verso lo specchio. Anna protese il braccio fino a sfiorare quella superficie traslucida che baluginò per qualche attimo, giusto il tempo di farsi attraversare dalle chiavi, poi lo specchio perse la capacità di riflettere, diventando nero come una lavagna.

 

Un vento fortissimo spalancò tutte le finestre dell’appartamento, spirando però al contrario, da dentro verso l’esterno. La Signora Schreclich impazziva nel vano tentativo di trattenere la sua ricchezza che se ne volava via. Poi un tonfo fece gelare ogni cosa, era la porta della dispensa che si era richiusa. Si udirono distintamente i passi di Itka percorrere il corridoio, facendo sobbalzare le chiavi del grosso anello di ferro che portava appeso alla cintola. Quel cammino s’inchiodò davanti alla porta di ferro, poi il rumore delle mandate scandì ogni momento che precipitava in tonfi.

 

La porta di ferro della dispensa si aprì e poi se ne ruppero i cardini. Finalmente la bambina poté riabbracciare la madre, e la madre a sua volta si liberò da quella maledizione che le impediva di ricordare il vero senso dell’amore.

Anna non poteva vederle in quel momento, ma sapeva che erano lì davanti a lei, che si abbracciavano piangendo dalla gioia di essersi ritrovate.

 

Anna fu felice di abbandonare quella casa, non prima però che le fosse stato pagato il giusto compenso per aver lavato e stirato. Quindi, con i quattro soldi guadagnati, prese la via del ritorno a casa, pregustando la gioia di rincontrare i suoi cari.

Durante il tragitto s’imbatté in delle bambine che giocavano a campana, chiese loro di poter gettare un sassolino. Anna saltò sui quadrati disegnati in terra con un gessetto, cantando la filastrocca che aveva sentito da Heni. Le altre bambine le chiesero di che si trattava, lei non rispose fuggendo via con il sassolino.

 

Quando giunse su Ponte Sisto, lo lanciò nel fiume esprimendo un desiderio. Un attimo dopo sentì un “Mao” che le fece schiudere gli occhi. No, non aveva espresso il desiderio di rincontrare il gatto nero, ma fu comunque felice di ritrovarselo a fare le fusa arricciando la coda. Lo chiamò Cenerino e da quel giorno la seguì ovunque andasse.

Link to comment
Share on other sites

Ecco fatto, ho terminato di scrivere l'ultimo episodio del secondo racconto di Anna alle quattro del mattino dell'antivigilia di Natale, chiuso nel mio seminterrato dietro al cimitero ... tutto molto scenografico, fin troppo direi.

 

Già mi frulla in testa il terzo racconto. Sarà probabilmente incentrato sul personaggio del ragazzino vestito di velluto nero. Qui rimane sospeso il rapporto che intercorre tra lui e Cenerino e anche il vero desiderio che Anna esprime su Ponte Sisto.

 

Naturalmente mi farebbe piacere se qualcuno lasciasse traccia della sua lettura, un opinione o anche un vaffanculo. Terrò cari anche i consigli, anche se probabilmente non li seguirò. Magari se qualcuno ha letto anche il primo racconto, potrebbe dirmi come ha trovato l'idea d'introdurre il dialogo diretto e anche una morale nella trama ... insomma, se vi è piaciuto e basta.

 

Bah, il rigor mortis sta gelando la notte fuori dalla porta di casa, è il nuovo giorno che brina sul boccio di un mattino che non so se mi va di vivere. Addiu nuit.

Link to comment
Share on other sites

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Unfortunately, your content contains terms that we do not allow. Please edit your content to remove the highlighted words below.
Reply to this topic...

×   Pasted as rich text.   Paste as plain text instead

  Only 75 emoji are allowed.

×   Your link has been automatically embedded.   Display as a link instead

×   Your previous content has been restored.   Clear editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

×
×
  • Create New...