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Il ricordo nel pendolo


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Dopo aver letto di qualche racconto recuperato dal passato, ho ritrovato questo mio manoscritto scolastico, che sopravvive solo in un infelice riduzione preparata per un concorso dedicato a Lovecraft (cui al solito alla fine neanche partecipai); quindi mi sono deciso a rimetterci mano trasformandolo stavolta in un racconto d'appendice, immaginando che questo sito sia una rivista su cui pubblicarne gli episodi. Tutto perché è più facile scrivere pensando che qualcuno ti legga ...

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Il ricordo nel pendolo

Il falò crepitava nel caminetto quando un soffio prese a sibilare tra le fiamme, il nonno allora biascicò una maledizione, sputando poi uno scaracchio che sfrigolò allungo tra la brace. Appuntandomi addosso il suo sguardo come fosse uno spillo, disse perentorio che quelle erano “le male lingue” e andavano spente sul nascere.

 

Il nonno era altissimo con la schiena che curvava repentinamente sul collo. Bianco per albinismo e reso completamente glabro da un’alopecia, non aveva ciglia e i suoi occhietti minuscoli sembravano privi d’iride. Seduto accanto al fuoco, mi raccontava ogni volta una delle storie di fantasmi che avevano per protagonista la sua misteriosa figlia Anna.

 

Di quella che doveva essere una delle mie zie, in realtà non sapevo molto. Nessuno dei miei cugini l’aveva mai vista, anche se era certo che fosse esistita perché una sua vecchia foto in bianco e nero era conservata dentro una cornice del salotto.

 

In quell’immagine ingiallita dal tempo, c’era un’adolescente magra con una postura leggermente protesa in avanti; aveva due treccine nere che incorniciavano un volto bello ma smunto, dominato da uno sguardo che fissava di sottecchi. Indossava un giacchetto scuro su un vestitino semplice che le arrivava appena sotto le ginocchia, s’intuivano appena i fiorellini minuti di cui era puntinata quella stoffa lisa. Ai piedi portava un paio di stivaletti malandati con le suole sporche di fango grigio e delle calze che, non riuscendo a stringersi attorno a quelle gambette troppo magre, si afflosciavano sopra alle caviglie. Le manine infilate in un paio di guanti dalle dita mozze, si abbandonavano senza volontà lungo il corpo; era impossibile non notare il dettaglio del rosario incrociato al polso sinistro, con un grano saldamente appuntato sul pollice e il crocefisso pendulo che il riverbero del flash immortalò in un lampo di luce.

 

Quella sera il nonno mi raccontò la storia di una vecchia pendola che ancora teneva in casa. Era un vero e proprio pezzo d’antiquariato, ma non per questo segnava sempre un’ora sbagliata. Ogni giorno alle ventidue e quarantanove, cascasse il mondo, il pendolo d’ottone si piantava e non c’era verso di rifarlo muovere fino a quando non fossero trascorsi esattamente diciassette minuti, quindi la vecchia pendola faceva suonare i lenti e malinconici rintocchi della mezzanotte e ripartiva, accumulando di giorno in giorno il ritardo della sua ora sempre più sballata.

 

Quel pezzo da museo lo avevano trovato nella casa dove eravamo, quando nell’immediato dopoguerra ci si trasferirono trovandola misteriosamente disabitata.

 

 

 

A quei tempi il nonno con tutta la famiglia ritornava dalle montagne, dove era sfollato insieme a tutta la popolazione dell’Agro Pontino. La campagna era tornata a essere palude perché “quelle merde dei nazisti” in ritirata avevano fatto saltare le pompe idrovore. La desolazione regnava ovunque tra le macerie e il nonno non sapeva da che parte dirigere il suo barroccio. La nonna incinta era tutto un lamento, mentre il figlio maggiore Beppe non voleva saperne di badare al fratello gemello Gino, cui il botto di una granata aveva fatto perdere per sempre il senno. Anna seguiva il carro famigliare a qualche metro di distanza, al solito immersa in pensieri imperscrutabili.

 

Dopo aver percorso strade che finivano davanti a ponti rotti su canali infestati da nutrie giganti, ed essere tornati sui loro passi per chissà quante volte seguendo il sentiero del loro sciagurato destino, si ritrovarono dinanzi a un campo completamente ricoperto di ortaggi appetitosi. Sul momento pensarono a sgraffignare un poco di quel ben di Dio, ma poi il nonno pensò che un podere così dovesse certo appartenere a una famiglia ricca, che probabilmente aveva bisogno di personale per tenere tutti quegli orti in ordine. Resi sfacciati dalla fame e spinti dalla disperazione, si avventurarono per il viale che conduceva al casale posto al centro della proprietà.

 

Il barroccio con tutti i famigliari aveva già percorso un centinaio di metri, quando si accorsero che Anna era rimasta piantata all’inizio del viale. Il nonno spazientito le ordinò di seguirli o l’avrebbe presa a cinghiate. Anna abbassò lo sguardo e di malincuore iniziò a mettere un piede davanti l’altro, cercando di non guardare gli alberi di fico grigi che costeggiavano la strada. I loro rami bitorzoluti si stagliavano verso il cielo come enormi dita di dannati che chiedevano la misericordia di Dio.

 

Man mano che si avvicinavano al casale, le ruote del barroccio avanzavano sempre più pesantemente. Il povero mulo sbavava dal morso che il nonno strattonava violentemente. Persino Beppe dovette scendere a spingere il carro per riuscire a fargli compiere gli ultimi metri che lo separavano dall’aia del podere.

 

 

 

Giunti finalmente davanti al casale, il nonno iniziò a chiamare - “Ei, voi di casa” e ancora - “C’è nessuno?”; il silenzio di quel luogo era agghiacciante. Dal momento in cui avevano varcato il confine della proprietà, non avevano più udito cantare un uccello o abbaiare un cane. Lì attorno non sembrava esserci alcuno oltre la nonna che continuava a sbraitare contro il marito che non si decideva a bussare a quella dannata porta. Secondo lei la casa era disabitata e potevano appropriarsene con il diritto di Dio che portava nella pancia.

 

 

 

L’edificio era posto su due livelli, con il tetto di coppi rossi e le imposte verdi tutte aperte. Sulla destra si alzava una pompa a vento americana, con la sua lunga coda di rondine e le pale che giravano sospinte dal vento.

 

Quando il nonno iniziò ad attraversare il piazzale che li separava dal portone di casa, Anna gli corse dietro prendendo la sua mano come per proteggerlo. Giunti a pochi metri dall’edificio, Anna trattenne il nonno, raggelata da qualcosa che aveva visto. Il padre la guardò per un attimo, poi seguì il suo sguardo fisso su una finestra del secondo piano. Le chiese se aveva scorto qualcuno in casa, ma lei fece di no con la testa; allora, spazientito, sciolse l’abbraccio che teneva unite le loro mani.

 

 

 

Il coraggio del nonno era continuamente pungolato dalle invettive della moglie, che da sopra il barroccio continuava a minacciarlo di compiere lei quello che, il presunto uomo che aveva avuto la disgrazia di sposare, sembrava non in grado di fare.

 

La bella maniglia del portone disegnava un’onda che culminava in un ghirigoro barocco. Quando la mano callosa del nonno ci si posò sopra, il suo bagliore d’ottone si spense e una nube oscurò per qualche attimo il sole. Anna tirò il lembo della giacchetta del padre, e gli chiese se non trovava strano che delle persone andassero via lasciando le imposte della casa tutte aperte. Il nonno che non aveva altro cui pensare che non fossero le rimostranze della moglie, non le diede retta e con uno sforzo di volontà spinse in basso la maniglia, sperando in cuor suo che il portone non si aprisse.

 

L’uscio, invece, si spalancò lentamente, scivolando fluido su dei cardini che sembravano essere stati appena lubrificati. Il nonno fece risuonare di nuovo il suo “chi va là”, ma anche da dentro casa nessuno rispose … poi improvvisamente un rumore di vetri infranti cadde giù dal piano di sopra; quasi contemporaneamente delle urla inumane presero a tuonare nell’aia.

 

 

 

Il nonno scansò veloce Anna che urlava a Beppe di lasciare stare Gino, e veloce separò i figli che si azzuffavano. Qualcosa aveva sconvolto Gino, che disperatamente urlava i suoi versi gutturali nel tentativo di farsi capire. Era stato lui a rompere il vetro di una finestra. Si era messo improvvisamente a tirar sassate e smise solo dopo l’intervento di Beppe.

 

Al solito, Anna prese le parti di Gino prima ancora di sapere come stavano le cose. Nessuno sapeva come facesse a capire quello che diceva, ma succedeva che lo fissava negli occhi e lui le iniziava a gorgheggiare quella sua misteriosa lingua, quindi lei annuiva riuscendo immediatamente a calmarlo. Non appena Gino finì di riferirle quello che lo aveva fatto arrabbiare, Anna si alzò e tornò a guardare la stessa finestra che qualche minuto prima aveva indicato a suo padre; ora se ne stava con un vetro rotto e una delle imposte che sbatteva sconquassata dal vento.

 

 

 

Fine primo episodio

 

 

 

 

 

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Episodio2

Il vento improvvisamente smise disoffiare e il cielo si velò di un drappo livido di nubi; da cui prese ascendere una pioggerellina così sottile, che le goccioline volteggiavano nell’ariacome minuscoli fiocchi di neve.

 

Il nonno, dopo aver notato lepale della pompa che seppur lentamente continuavano a girare anche senzavento, guardò Anna quasi a volerle sentir di dire le parole che stava pensando:«Andiamo via da qui». La moglie, però, non volle sentir ragioni. Secondo leiera stata la divina provvidenza a mandarle quel popò di fortuna, magari incambio di tutte le preghiere che forse un giorno avrebbe recitato. Si feceaiutare a scendere dal baroccio da Beppe, l’unico figlio sano che la sciaguratasorte aveva voluto mandarle, chiedendo poi misericordia per quegli altri duedementi che doveva trascinarsi dietro come una croce.

 

Entrati nel casale, trovarono iltavolo della sala da pranzo apparecchiato di tutto punto, con una zuppa diortaggi ormai rinsecchita ancora nei piatti. Alcune sedie erano state tirate via,mentre quella a capotavola giaceva riversa in terra, accanto c’era un piatto dizuppa rivoltato, mentre sul tavolo il bicchiere rovesciato aveva formato unrivolo di macchia scura, che colava fin sul bordo della tovaglia, sgocciolandoin una pozzanghera buia che incrostava il pavimento e pareva schizzare via,spruzzando ogni cosa attorno.

 

La sera incombeva con le sue brume e la campagna divenne uno straccio madidod’umidità. Anna scaricava le ultime cianfrusaglie dal barroccio, quandorabbrividì nel vedere le imposte, che da dentro casa chiudevano per la notte,riaprirsi da sole una dietro l’altra. Chiamò il nonno, ma dalla sua gola nonuscì un alito di voce. Fu allora che vide nella finestra dal vetro rotto dallasassata di Gino, l’immagine doppia di quel bambino che secondo il racconto del fratello lo aveva spernacchiato; anche lei l’aveva appena intravisto dietro i vetri quandosi era avvicinata alla casa col padre, ma solo in quel momento ebbe la certezzadi guardarlo, mentre le stava facendo cenno con il ditino ritto sulle labbra distarsene zitta.

 

Anna balzò veloce giù dal baroccio e corse in casa, con le mani astringersi il collo e un urlo che le grattava la gola senza produrre alcun suono.Appena varcò la soglia di casa, lo strillo venne fuori così potente da farsaltare di paura tutti quanti. Beppe le dette subito della scema e Anna non osòdifendersi, perché lì dentro sembrava andasse tutto bene, con le imposte che eranorimaste saldamente chiuse.

 

Gino, al contrario di tutti, nonsi poneva domande sulla fine dei vecchi padroni di casa. Lui era al settimocielo per aver trovato una grossa palla con sopra ritratti tanti beiconiglietti colorati. Sembrava che stesse lì ferma da moltissimo tempo,inchiodata tra l’orologio a pendola davanti alla tavola ancora imbandita e lescale che portavano al secondo piano, quasi a voler aspettare chi l’avevaabbandonata troppo repentinamente.

 

Anna, dopo essersi presa gliimproperi di tutti per quell’urlo, si era messa a sparecchiare la scena lugubredal tavolo per servire qualcosa da mangiare. Tentò di cucinare qualcuno diquegli ortaggi raccolti nei campi, ma quando era andata a prenderli nel sacco diiuta dove li avevano riposti, li aveva trovati già avvizziti come se fosserorimasti lì per anni. Fu così che si riunirono attorno a quella tavola asgranocchiare le solite gallette militari rafferme, mentre Gino rincorreva instancabilela sua palla, che da qualsiasi parte della casa rimbalzasse, finiva sempre infondo alle scale ad aspettare chi l’aveva abbandonata.

 

Il nonno decise di non consumare tutto il petrolio dei lumi, quindi accesedue candele di sego e mandò tutti a letto molto presto. Beppe aiutò la nonna super le scale buie che portavano al secondo piano. Le camere erano tutte impeccabili,con la loro mobilia lucida e i giacigli gonfi, con le coperte e le lenzuola chesembravano fresche di bucato. La nonna ringraziò la Madonna per aver sgomberatola casa dai precedenti inquilini, poi ordinò ad Anna di farle la toletta. Anna c’impiegò molto tempo asoddisfare tutte le richieste della madre, e lasciò la camera dei genitori quandoil resto della famiglia già ronfava nel proprio letto.

 

Anna si ritrovò sola nel corridoio nero come la pece, naufraga nell’isoladi luce formata dalla fiammella tremula del mozzicone di candela. Beppe si erapreso l’altra camera libera, mentre ad Anna e Gino spettò la camera piùpiccola, quella che aveva un vetro della finestra rotto. Cercando di camminare su dei passi leggeri per non far scricchiolarele tavole dell’impiantito, giunse quasi sulla soglia della camera quando videqualcosa di stranissimo. La palla di Gino rotolò fuori dalla porta, una voltaal centro del corridoio prese a rimbalzare silenziosamente verso la trombadelle scale, da cui poi discese leggiadra. Anna non si spiegava come potesseroaccadere tali strani avvenimenti, ma decise di riporre la sua fiducia nel buonGesù e fingere che fosse tutto inspiegabilmente normale.

 

Ripose il moccolo di sego sul belcomodino della sua nuova cameretta. Vide Gino che riposava beato nel suo belletto, mentre un soffio di aria gelida entrava attraverso il buco che la suasassata aveva provocato nel vetro della finestra. Anna ci infilò una pezza,attenta a non tagliarsi, poi si guardò attorno, pensando che quella dovevaessere stata la stanza del bambino che aveva visto riflesso su entrambi i vetridella finestra. Lì dentro pareva che metà camera si riflettesse identicanell’altra. C’erano due letti, due comodini, due sedie intorno al piccoloscrittoio su cui c’erano due quaderni e due calamai. Persino dentro i duearmadi c’erano appesi gli identici vestiti.

 

Anna era troppo spaventata daquella casa per continuare a indagare sui suoi segreti, specie ora che sitrovava alle porte di una lunga notte. Si sdraiò sul letto e incrociò ilrosario sul dorso della mano, iniziando la recita convulsa di un Rosario che spensenella sua testa ogni barlume di razionalità. A malincuore soffiò sullo stoppinodel mozzicone di sego, la cui brace rossa continuò a brillare nel buio perqualche istante, prima di disperdersi insieme al filo di fumo puzzolente.

 

Fine secondo episodio.

 

 

 

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Episodio tre

La prima notte trascorse e così quelle a seguire. La famiglia imparò aconvivere con le stranezze del casale. Non facevano più caso alla sedia deltavolo da pranzo che alle dieci e quarantanove cadeva a terra esattamente nelmodo come l’avevano trovata la prima volta. Il nonno smise anche di mettere ilceppo alla pompa a vento, che in un modo o nell’altro riusciva sempre a fargirare le sue pale. Avevano d'altronde disperato di poter coltivare quellaterra, dove gli ortaggi crescevano come erba infestante e deperivano appena sradicati.Fu così che la famiglia iniziò a darsi da fare per mettere insieme il pranzocon la cena. Il nonno aveva trovato un posto di lavoro in un cantiere edile diLatina, ogni mattina saltava a cavallo della bicicletta e pedalava perchilometri prima di raggiungere la città. Ogni tanto anche Beppe andava alavorare con il padre, altrimenti si recava nei campi a raccogliere le culatted’ottone delle bombe, rendevano molto e spesso portava con sé anche Gino; ma ilfratello aveva altro per la sua testa un po’ tocca. Infatti, sosteneva che neicampi ci fossero centinaia di famelici conigli, e non faceva che perdere tempotentando di tenerli lontano da quegli inutili ortaggi.

 

Anna fu costretta a tornare a scuola. Nonostante le costasse moltoimpegno studiare, dopo le lezioni doveva badare alle faccende domestiche.

 

La nonna era l’unica checontinuava a starsene tutto il girono a letto, con i fantomatici dolori delparto sempre in agguato.

 

Un giorno l’insegnante trattenne Anna per interrogarla su una lezioneche non aveva avuto tempo di studiare. Finì così per attardarsi e giàs’immaginava la madre mentre minacciava di farle dare una scarica di botte dalpadre.

 

Quando entrò in casa, si stupìnel trovare il fuoco già acceso nel caminetto. Immediatamente dopo la madre lachiamò dal piano di sopra. Anna aveva paura di affrontare la tromba delle scalesempre buia, perciò chiuse gli occhi e fece di corsa i ventiquattro gradinitutti di un fiato. La madre si lamentò subito del suo ritardo, accusandola divolerla vedere morta; lei povera che doveva rimanersene tutto il giornoconfinata in quell’accogliente camera, a patire le pene che il padreterno avevavoluto infliggere a tutte le figlie di Eva.

 

Anna soffiò col mantice la brace dello scaldino. Il tepore che nescaturì alleviò il malumore della madre. Questa, solo per il gusto di comandarla,le chiese allora di andare a cercare quel demente di Gino, cui aveva chiesto diaccendere il fuoco quando Anna non si vedeva tornare, ma ora temeva che stesseda qualche parte a cercare d’incendiare casa.

 

Quando Anna stava già peraffrontare di nuovo le temute scale, la madre la richiamò indietro. Le dettedell’ingrata che cercava sempre di fuggire le proprie responsabilità, e invocòla Madonna che avesse pietà di lei con una figlia così degenere; oh, ma perquanto ancora avrebbe sostenuto il peso di tutte le incombenze di quella casadi matti? Anna tagliò corto e le disse laconicamente che avrebbe messo subitol’acqua a scaldare per la sua borsa dell’acqua calda.

 

Sbuffando, Anna ridiscese alpiano di sotto e scalciò via quella maledetta palla che, chissà come, era dinuovo ferma in fondo alle scale. Tirò via un tizzone dal fuoco e lo cacciò dentrola stufa a legna. Quando mise la pentola sotto la pompa a mano del lavello,questa gorgogliò senza che ne uscisse un goccio d’acqua. Anna spinse ancora inalto e in basso la leva di ghisa, e di nuovo sentì quella che pareva una vocegiungere dall’oltre tomba. Intanto il caldo della stufa aveva fatto appannare ivetri della cucina, dove le gocciole di condensa più grandi presero a scorrerenon solo verso il basso. Un rapido susseguirsi di spostamenti iniziarono adisegnare tracciati innaturali. Le gocciole più grandi inseguivano quelle piùpiccole mangiandole, fino a formare zone asciutte dalla forma di letteredell’alfabeto. Solo quando composero chiaramente una parola, le gocciolediventate grandi come lacrime, schizzarono sul volto della ragazzina che guardavaattonita. Che stava accadendo? Anna stropicciò gli occhi per sincerarsi diessere sveglia, ma la parola scritta su quei vetri era lì a smentire qualsiasialtra congettura. “Ascoltaci”, c’era scritto proprio così. Anna si segnò lacroce e svelta con uno strofinaccio cancellò quell’appello. Che fosse diventataveramente pazza come sosteneva la madre? Lo strofinaccio con cui stava spannandoi vetri, si macchiava progressivamente di rosso.

 

La paura aveva paralizzato Anna,a ridestarla da quello stato di agitazione fu un urlo della madre. Svelta siprecipitò su per le scale, che dopo quell’ultimo spavento non le sembravano piùtanto lugubri. La madre le dette dell’assassina perché voleva far morire dalfreddo l’innocente che portava in grembo. Anna provava rimorso mentre vedeva ilvapore che quegli improperi disperdevano nell’aria gelida, allora rassicurò lamadre che presto avrebbe avuto la sua borsa dell’acqua calda.

 

Anna corse alla pompa del lavello,decisa ad ascoltare quella voce d’oltre tomba, ma dal tubo uscì solo dell’acqua.Intanto in casa una misteriosa brina gelata si stava formando sulla mobilia, e anulla valse bruciare tutta la legna che c’era. Anna mise anche degli straccibagnati sugli interstizi delle finestre, ma più sigillava la casa e più lìdentro sembrava ghiacciare ogni cosa.

 

Anna, raggomitolata sul divano esnocciolando il suo rosario, si addormentò senza smettere di tremare dalfreddo. Forse per questo che fece un sogno molto realistico, dove cadeva laneve su un paesaggio già imbiancato, e i suoi passi cricchiavano nel silenzio gelato;intorno a lei solo baracche in fila e reticolato tutto intorno. Davanti unaciminiera, su cui si levava una colonna di fumo grigio, le sembrò didistinguere due piccole sagome simmetriche. “Ahia” urlò, quando Beppe,rientrato insieme al nonno, le aveva tirato una treccia ridestandola, prendendoselacon lei per aver bruciato tutta la legna. Anna non seppe come giustificarsiperché in quel momento la casa era fin troppo calda.

 

La nonna appena udì le voci giù da basso, ricominciò a lamentarsi. Finalmenteal caldo, ora se la prendeva con Anna perché non aveva ancora scoperto dove sifosse cacciato il fratello Gino. Gli sguardi interrogativi di tutti si posaronosu di lei, che spaventata non poté far altro che nascondere la testa tra lespalle minute.

 

Beppe, che si lamentava sempre del fratello, ma in realtà gli volevaun bene dell’anima, se la prese subito con lei. Fuori era ormai buio fatto ecerto il povero Gino in quel momento stava vagando per quei campi gelidi,incapace di ritrovare la strada di casa.

 

Anna corse d’impulso verso la porta di casa per andare a cercarloinsieme con gli altri, quando Beppe la ricacciò indietro, dicendo che nonavevano bisogno di badare anche a una stupida femmina.

 

 

 

Anna, consumata dal rimorso peressersi addormentata, scrutava la coltre buia oltre la finestra, mentre nellesue orecchie gorgogliava ancora quella voce spettrale, venuta fuori da qualchemeandro della terra, attraverso le tubature dalla pompa a vento.

 

fine terzo episodio

 

 

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Episodio IV

Nei campi tutto intorno al casale vagavano le fiamme delletorce come spiriti in pena. I vicini si erano uniti alle ricerche di Gino e facevanorisuonare i loro richiami che si perdevano nella notte.

 

Anna aveva preparato un po’ di pasta al burro per la madre, la quale mangiava solo per il bene del bimbo che portava in grembo. Dopo la pasta però chiese il caffè, e quando seppe che quella settimana i soldi non erano bastati anche per ladeliziosa bevanda, ricominciò a lamentarsi della sciagurata condizione in cui era costretta a sopravvivere. Anna, esausta, sgattaiolò via con il pretesto di dover andare a prendere la legna per il fuoco.

 

La legnaia era spaventevole come tutte le legnaie del mondo, Anna non aveva certo intenzione di entrarci al buio da sola. Decise quindi di andare dietro il fienile, dove aveva visto tra i floridi ortaggi, i resti di un rogo che non aveva arso del tutto quello per cui era stato acceso. Giunta sul posto, alzò il lume a petrolio per illuminare meglio quel cumolo di tizzoni arsi. Ebbe un sobbalzo quando le parve di vedere delle ombre fuggire dal buio rischiarato dalla luce; come schegge di tenebra, schizzarono a rintanarsi nell'angolo scuro più vicino. Anna batté il piede in terra peraccertarsi che vi rimanessero.

 

Purtroppo non trovò molto da riciclare nel caminetto di casa, in quel luogo pareva non essere stata bruciata della legna. Anna trovò solo degli scampoli carbonizzati di memoria: manici di valigia,qualche indumento, scarpe, un ninnolo per bambini e tante cornici che un tempo dovevano aver conservato le immagini dei proprietari di tutta quella roba. Messi da parte i pezzi di cornice per il caminetto, Anna cominciò a salvareanche qualche frammento di fotografia miracolosamente scampato al rogo.

 

Anna era al centro dell’aia con la bracciata di legna, quando notò che la pompa a vento se ne stava stranamente immobile.Voltò lo sguardo verso la campagna, in cerca delle fiaccole degli uomini che stavano cercando Gino. Le scorse mentre si avviavano per il fosso che attraversava il podere. Sulla porta di casa recitò un’Ave Maria per suo fratello, ma prima di dire amen, fu distolta ancora da quelle strane ombre che zampettavano nel buio. Le aveva viste rapide correre lungo le mura del casale, e appena in tempo gli chiuse la porta sul muso. Forse era solo la paura che le faceva vedere cose impossibili, in un altro momento sarebbe stata certa di aver visto ombre di conigli. Che fossero gli stessi di cui parlava sempre Gino?

 

Senza voler dar corda alle sue apprensioni, Anna iniziò ad aggiustare un capannello di legna del caminetto, e raccogliendo un po’ della brace rimasta, iniziò a soffiarci sopra. Poi accadde di nuovo, le parve di vedere una scheggia d’ombra staccarsi da un angolo buio e correre attraverso la luce fino alle scale. Seppure si fosse trattato dei conigli di cui parlava sempre Gino, come avevano fatto a entrare se ogni porta e finestra di casa era stata sbarrata? Anna si disse che era solo una sua impressione, e tornò a soffiare sulla brace che esplose improvvisamente in una fiammata, facendo crepitare la legna secca. Il calduccio che ne venne scaldò gli ossiciniintirizziti di Anna, che trasse dalla tasca del giacchetto i resti delle fotografie raccolte, iniziando a passarle in rassegna - Una coppia di nerboruti acrobatiin calzamaglia aveva perso il volto ma non l’abbraccio, una donna con unfazzoletto orlato di piastrine di metallo, teneva ancora per mano il suo bambino andato a fuoco. In quelle scaglie di vita senza identità, c’era ancora quell'amore che un tempo avevano ritratto.

 

Ricompose anche l’immagine di due marinaretti identici, che di primo acchito le erano sembrate delle bambine, tanto erano graziosi con i loro boccoli d’oro. Fu allora che la grande palla rotolò via dall’angolo dov’era stata scalciata, e si avvicinò al caminetto. Anna finalmente capì di chi era stato quel balocco, contemporaneamente si ricordò dell’immagine speculare vista sui vetri della finestra della sua stanza, spiegandosi finalmente il motivo per cui là dentro era tutto doppio.

Fulminata da quella rivelazione, si avvide pure che sulla palla c’erano ritratti tanti conigli che si rincorrevano. Molti di quegli animaletti erano stati cancellati, tanto che in alcuni punti le sagomine scure dalle orecchie lunghe erano di più di quell’altre colorate. Anna corse alcentro della stanza e allungò il lucignolo del lume a petrolio; mentre la luce faceva ritrarre veloce il buio dietro gli angoli della mobilia, un nugolo di quelle ombre di coniglio schizzò via su per le scale. In quello stesso istante scoccarono le dieci e quarantanove, la pendola iniziò a suonare e la sedia del tavolo cadde a terra, trascinandosi esattamente nel solito posto di sempre.

 

Anna non ebbe il tempo di spaventarsi,perché la madre urlò dal piano superiore. Veloce corse su per quelle scale, ora più terrificanti del solito, e quando entrò nella camera, trovò la madre che cercavadi trattenere qualcosa sotto le coperte. C’erano dei conigli nel letto ed era intenzionata a metterli tutti in pentola. Incitò la figlia a non farseli sfuggire, poi le disse di correre a prendere lo schioppo del padre, ma quando si rese conto che il marito lo aveva con sé, maledì quell’uomo così egoista. Ah,se solo avesse sposato il macellaio!

 

Improvvisamente le protuberanze che correvano sotto la coperta scomparvero. La nonna era sul punto di mettersi apiangere. Poi giunse un colpo dal basso, unico ma prepotente, forse un terremoto. Il letto sobbalzò facendo cadere a pancia per aria la nonna. Cos’era successo? Sembrava quasi che il Diavolo avesse tirato una schioppettata alle fondamenta del casale.

 

Il boato aveva fatto spalancaretutte le imposte; Anna si avvicinò alla finestra per sbirciare le fiammelle curiosamente assiepate in punto lungo il fosso.

 

La nonna, presa dalla delusione d’essersi fatta sfuggire i conigli, si coricò stremata dallo sconforto e dalla fame. Anna le rimboccò le coperte e le promise che il mattinodopo le avrebbe portato del caffè a colazione. Prima di uscire dalla camera rischiarò con il lume ogni angolo buio, per assicurarsi che i conigli stregati non si fossero nascosti in qualche ombra.

 

Quando scese giù da basso, controllò se i conigli fossero tornati al loro posto, ed erano tutti là, di nuovo a rincorrersi felici sulla palla. Senza esitare un attimo di più, la prese con decisione e la scaraventò fuori di casa. Ora voleva vedere come avrebbe fatto a rientrare. Non appena si richiuse la porta alle spalle, vide un’immagine opalescente in piedi sull’ultimo gradino delle scale, proprio vicino dove usava andarsi a fermare la palla. Pur essendo difficile distinguere quei dettagli in trasparenza, Anna riconobbe subito la foto dei gemelli che aveva ricomposto, con i loro vestiti da marinaretti e i boccoli d’oro. Anna non sapeva se fossero dei fantasmi o chissà quale altra manifestazione demoniaca, d’istinto strinse al petto il suo rosario e serrandogli occhi iniziò a pregare.

 

Mentre tutto questo accadeva nel casale, il nonno e Beppe, dopo aver perlustrato tutta la campagna circostante, decisero di calarsi nel fosso che attraversava il podere.Il fosso era una profonda crepa scura che si apriva nella terra. Neanche digiorno era possibile scorgervi il torrente che vi rumoreggiava sinistramente dalfondo. I vicini consigliarono di calarsi la dove una bomba aveva fatto franarel’argine, proprio nei pressi del casale.

 

Il nonno e Beppe si legarono unacorda in vita e iniziarono a calarsi per l’impervio declivio. Beppe impugnavala torcia e il nonno portava a tracolla il suo schioppo. Giunti sul fondo, lafitta vegetazione celava quel poco che riusciva a rischiarare la fiaccola.Percorsero pochi metri sfrascando e annaspando nel fango, quando si voltarono evidero tra la terra franata a seguito della bomba, spuntare un tavolaccio contanto di cardini. Beppe risalì perprocurarsi badile e scure, attento a non farsi sfuggire nulla con i vicini,convinto com’era di chissà quale tesoro celasse quello scrigno.

 

Appena sventrarono la porta, si ritrovaronodinanzi a un tunnel, da cui esalava un alito di morte. Per nulla al mondo sisarebbero infilati la dentro, se non vi avessero sentito echeggiare delle vocifamigliari. Il nonno entrò per primo con lo schioppo spianato e facendorisuonare il suo “Chi va là”. Beppe lo seguiva dappresso con la torcia tenuta benalta. Il tunnel era sostenuto da robuste travature di legno e al centro vi scorrevaun torrente di acqua limpida di sorgente. Difficile dire per quanto quel budellosi snodasse nella terra, prima di arrivare in una grotta dalla volta altadiversi metri. La torcia di Beppe non riusciva a rischiararla per intero, madall’alto si vedeva calare il tubo che pareva proprio quello della pompa avento, ed era proprio da lì sopra che cadeva il torrentello che poi fuggiva daquel tetro luogo attraverso il tunnel.

 

Che cos’era quel posto era difficiledirlo, specialmente quando Beppe abbassò la torcia e illuminò il basso. C’eranoalcuni cadaveri, o quello che ne rimaneva, disposti lungo le pareti. Si riconoscevanodei bambini morti tra le braccia della madre. La donna indossava una gonna ampiamolto colorata. C’erano anche due uomini che avevano scelto di rendere l’animaa Dio scambiandosi un abbraccio, in cui era ancora possibile leggervi un gestodi sconsolato affetto.

 

La voglia di scappare via da quel luogo era molta. Quando Beppe fecenotare a suo padre una scala a pioli, che s’inerpicava dritta fino a unabotola, questi non esitò un attimo a preferirla al tunnel buio. La botola erasbarrata, così dovettero ridiscendere qualche piolo per permettere al nonno diprendere la mira e far saltare la piastra di piombo. Il boato dellaschioppettata tuonò così forte nella volta della grotta, che temettero venissegiù tutto.

 

Usciti, simeravigliarono molto di ritrovarsi nella cantina del casale. Beppe richiusesubito la botola e ci trascinò sopra la dispensa della farina.

 

«Ahia!» disse Anna, quando il fratello gli tirò una treccia,dandole al solito della scema perché se ne stava là, impalata a occhi chiusi,invece di avvertirli che Gino era rincasato. Il nonno e il fratello eranocomparsi dal nulla, come Gino che se ne stava immobile sull’ultimo gradinodelle scale con la palla stregata in mano, esattamente nel punto dove avevavisto il fantasma dei gemelli.

 

Quando gli chiesero dove si fosse cacciato per tutto quel tempo,Gino rispose con una chiarezza di linguaggio che oramai più nessuno credeva potesseesprimere: «Giocavamo a nascondino».

 

Fine quarto episodio

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Episodio V

Nessuno spiegò ad Anna il motivoper cui la dispensa della farina era stata spostata al centro della cantina,come del resto lei non raccontò agli altri delle voci che aveva udito provenire dalla pompa dell’acquaio.

 

Tutto il borgo non faceva che parlare solo del miracolo che aveva ridato il comprendonio a Gino. In casa però il dubbio che quanto accaduto non fosse proprio opera del padreterno, rendeva tutti guardinghi nei suoi confronti.

 

Gino non aveva solo ricominciato a parlare e a ragionare, ma aveva anche atteggiamenti diversi e si rivolgeva a tutti dando del lei. Un dettaglio non trascurabile era l’odore pestilenziale del suo alito. Tanto che la nonna gli proibì di entrare in camera sua, si diceva sicura che avesse mangiato almeno qualche gatto morto.

 

Era un pomeriggio quando si videro bussare alla porta la perpetua.Disse che era venuta a trovare la nonna, anche se non l’aveva mai conosciuta di persona. In realtà, impicciona com’era, era andata certo per sbirciare il portentoso miracolo.

 

Donna Carmela era sempre lieta di mettere a servizio degli altri la sua scienza di pettegola, però si morse il labbro inferiore quando Anna iniziò a fargli domande sui precedenti inquilini del casale. «Sono solo una poveraragazza che ne ha viste fin troppe», disse di sé cercando di resistere alla tentazione di spifferare tutto quanto sapeva al riguardo.

 

Quando la nonna le confidò diessere troppo indebolita dalla gravidanza per occuparsi anche delle stranezze di Gino, a Donna Carmela venne un’idea geniale. In parrocchia avevano proprio bisogno di un ragazzo giovane per i lavori pesanti. Certo Don Ermanno sarebbe stato ben lieto di prendersi per sacrestano un miracolato. Così le due comarifissarono una cena col parroco.

 

Sicuro non si poteva far brutta figura col prete del borgo, quindi il nonno mandò a comprare due fiasche di vino rosso e tagliò la testa a un bel cappone da cuocere con le patate. Beppe portò la pendola stregata in cantina, ci mancava solo che si mettesse a suonare spaventando il curato.

Anna aveva corso da una parteall’altra dalla mattina presto e ora che il pollo con le patate era pronto, il parroco era in ritardo.

 

Don Ermanno era un tipo basso e flaccido. In testa portava una zazzera rada e la pelle del suo volto era orrendamente squamata dalla psoriasi. Negli occhietti piccoli e acquosi sempre arrossati da una congiuntivite cronica, galleggiavano due cataratte giallognole. Seppure non avesse ancora raggiunto i cinquanta, di primo acchito si sarebbe preso per un bacucco. Le gote e il naso rossi la dicevano lunga sull'assidua frequentazione delle fraschette di tutto il circondario.

 

Il nonno aspettava spazientito sulla soglia di casa l’ospite, quando improvvisamente una strana bruma puzzolente si alzò a mezz’aria, proprio nel momento che si cominciò a sentire il motorino di Don Ermanno. Il parroco giunse atutto gas nell’aia, il motore scoppiettò per qualche attimo prima di spegnersi definitivamente. Anna corse ad annunciare il suo arrivo. La nonna si rassettò lavestaglia, ma poi si scocciò per quella pancia che la faceva sembrare una balena. Il nonno si lisciò i baffi che non aveva, mentre Beppe sbuffò perché,anche se non lo voleva ammettere, era contrario che si mandasse via di casa il fratello. Anna corse a chiamare Gino, che da quando aveva ricevuto il miracolo,trascorreva tutto il suo tempo a vegetare in camera.

 

A metà della rampa di scale, Anna capì che c’era qualcosa che non andava. La bruma puzzolente si era insinuata al secondo piano e iniziava a scivolare giù dai gradini. Il parroco era appena entrato in casa e non si poteva farlo aspettare, quindi Anna prese un granrespiro e proseguì, ma quando giunse sull’ultimo gradino, per poco non si prendeva un accidenti nel vedere Gino ritto in mezzo al corridoio. Era pallido con lo sguardo rivolto verso l’infinito ed era dal suo alito che sembrava condensarsi tutta quella bruma gelida.

 

Don Ermanno salutò calorosamente Gino,ma quando fece il gesto di benedirlo, lui gli sputò in faccia. Apriti cielo! Tutti a scusarsi col parroco, mentre Beppe andava a rinchiudere il fratello in camera. Per fortuna che Don Ermanno era una buonaforchetta e per nulla al mondo avrebbe disertato una tavola imbandita.

 

Dopo qualche bicchiere di vino al curato si sciolse la lingua e cominciò a discorrere con gusto su ogni argomento. Il nonno saltò sulla sedia quando Don Ermanno gli fece i complimenti per il coraggio che aveva a restare in quella casa maledetta. Tutti si guardaronoin faccia come se solo allora si fossero avveduti delle stranezze successe. Anna trovò il coraggio di domandare anche a lui cosa fosse accaduto ai precedenti inquilini del casale.

 

Don Ermanno ingollò due bicchieri colmi di vino e poi stappò la seconda fiasca per prepararsene un terzo. «Deicidi» disse sputando saliva per aria. «Sporchi ebrei» proseguì. Quel casale fu acquistato da un cristiano che si era maritato con un israelita, com’èd’uso tra quei miscredenti, egli si convertì alla religione dello spergiuro. «Uno scaracchio in faccia al padreterno» sottolineò Don Ermanno con particolare astio. Quell’apostata aveva fatto sgravare alla moglie una coppia di gemelli,belli come solo un demonio poteva farli.

Quando il Capoccione a Roma finalmentesi decise a far piazza pulita di cravattai e aguzzini, alla moglie dell’eretico fu data una ripassata al forno di Auschwitz, mentre lui finì per portare lo scandalo in mezzo a quella comunità timorata di Dio.

 

Don Ermanno all’epoca era solo un prete di caserma rientrato dall’Etiopia,dove aveva dato l’estrema unzione a migliaia di scimmie gasate col nervino. Laparrocchia era retta da un vecchio rincoglionito che perdeva il tempo abattezzare pure le capre. Quello non solo non muoveva un dito per denunciarequanto succedeva nel casale del miscredente, ma gli passava pure levettovaglie. Lui, invece, che non era uno che si faceva posare la mosca sulnaso, aveva subito intuito qualcosa di losco. Ne ebbe conferma quando decise diseguire un carro pieno di ortaggi. Il suo superiore lo aveva preparato in gransegreto e lo portò via dalla rimessa quando era buio. Quello che vide quellasera gli fece venire il voltastomaco. L’ebreo sedeva a tavola con certi zingariche puzzavano solo a guardarli.

 

Due giorni dopo, Don Ermanno prese la vetturina per Roma e si recò daalcuni suoi amici. Chiese loro se erano ricercati una zingara con i suoiladruncoli per figli, con altri due tizi che aveva visto seduti alla stessatavola. Cribbio! Ma non si trattava di due invertiti, acrobati da circo cheavevano dato scandalo mostrando la loro lordura in pubblico. Il regime livoleva giustamente arrestare, ma quelli si erano dileguati nel niente.

 

Don Ermanno aveva scoperto un traffico clandestino che imboscava inemici dell’Italia. «E poi ci chiediamo perché abbiamo perso la guerra»,precisò sconsolato il parroco che, invece, da parte sua non ebbe un attimo diesitazione a denunciare quell’escremento della terra, apostata e probabilmenteanche pederasta, perché chi altri si metterebbe in casa delle chiappe allegre?Certo che non lo fece di buon cuore a denunziare anche il suo parroco, ma era suodovere da patriota e per Dio lo denunziò.

 

Don Ermanno accompagnò i nazifascisti al casale. Ci trovarono queldebosciato seduto intorno alla tavola della cena, a gozzovigliare con leverdure del parroco. Quello stolto voleva farlo passare per matto a DonErmanno. «No» diceva “si sarà certo sbagliato, ci sono solo i miei figli incasa”, che forse è in uso tra i deicidi mangiare la stessa sbobba in più ciotole?Quel disgraziato ebbe quello che si meritava, una rivoltellata in testa. Bang,e come un pupazzo si schiantò in terra con tutta la sedia. Ah! Nemmeno se neaccorse. Peccato. Avvolte la morte giunge come un dono che certa gente nonmeriterebbe. E ma non era certo finita così. Don Ermanno lo disse a quelli làdella gestapo “sarete pure tedeschi ma così ci fate la figura dei fessi”; macerto, non potevano mica andarsene lasciando straccioni e invertiti in giro peril borgo, a infettare la stessa aria che respiravano le persone dabbene. «Ostia!»esclamò loro «Vi devo forse insegnare come si usa una baionetta? ».

 

Trovarono le valige dei fuggiaschi nelle camere di sopra. Lebruciarono dietro al fienile, nella speranza che quei senza Dio avessero ancoraun briciolo di sentimento per il proprio passato. Niente, non rimaneva chetorcere la lingua ai due ebreucci figli dell’eretico. Se n’erano rimastiimpalati come fantasmi sull’ultimo gradino delle scale, gelati dall’immaginedel volto del padre che deflagrava in un osceno gioco pirotecnico. Don Ermannonon ebbe cuore di lasciare quelle che in fondo erano pur sempre anime di Dio,in mano ai macellai della gestapo. Dette così lui un paio di man rovesci sulgrugno di quei poveretti, ma che ci poteva fare se il seme del male s’insinuadentro quella razza ancor prima di nascere, e quei piccoli Giuda avrebberomandato di nuovo Cristo sulla croce piuttosto che riconoscere l’autorità di Dioin terra. Il capitano tedesco ne mise uno davanti all’altro e poi gli disse che,se volevano continuare a restarsene zitti, non ci avrebbe sprecato più di unproiettile per farli tacere per sempre; con un solo colpo avrebbe fatto saltarele cervella a entrambi. Ah, che lenza quel capitano! E dopo come cinguettaronoquelle due carognette!

 

Il loro paparino aveva sfruttato la grotta sotto casa, dove simettevano ad asciugare i prosciutti, per nasconderci i dissidenti. Avevascavato un tunnel che arrivava fino al fossato, e lungo quello i fuggiaschigiungevano alla spiaggia, dove poi probabilmente riparavano in quella terra di quacqueribestemmiatori servi degli israeliti.

 

Fosse stato per lui avrebbe cavato fuori da quel buco quei sobillatorie messi immediatamente al muro, ma il capitano pareva aver trovato la manna conquei due ebreucci. Li aveva fatti salire sulla camionetta e dopo aver abbaiatoin tedesco qualche ordine, questa partì a tutto gas. Per quegli altri non ciperse tempo, né voleva spenderci un solo colpo di pistola. Prima piombarono labotola d’accesso e poi gettarono una granata nel fosso. Don Ermanno avrebbevoluto ben dire che una granata costava più di una scarica di mitraglietta, ma nonvoleva certo passare anche lui per un ebreo attaccato più al soldo che alcavallo dei propri pantaloni.

 

 

 

Alla fine Don Ermanno fece ribollirequello che aveva nella pancia in un sonoro sgrotto. Gli ossicini nel piattoerano stati ben spolpati e il vino tracannato, quindi interruppe il raccontoper andarsene. Stava sulla porta di casa quando Anna gli chiese dei gemelli:che fine avevano fatto i gemelli? Il parroco alzò il sopracciglio sinistro permettere meglio a fuoco quello scarabocchio di ragazzina, poi ghignando si dissecerto che li avevano spediti da Mengele. Quel diavolaccio li avrà certo cucitie scuciti per chissà quante volte nel tentativo di farne un cristiano decente,ma che ci si può fare, il gene giudeo non si estirpa come non si cava lagramigna dal grano.

 

Don Ermanno salì a cavallo delsuo motorino e scomparve. Il rumore del motore fu presto inghiottito da quelnebbione, da cui il parroco non riemerse mai più. Nessuno sa che fine fece. C’èchi sostiene che scappò con una donnina allegra che esercitava in unafraschetta lì vicina, ma per il vero Don Ermanno di sua volontà proseguì drittofino all’inferno, nella convinzione di star entrando in Paradiso.

 

 

 

Fine quinto episodio

 

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Episodio VI

 

Don Ermanno aveva svelato una realtà che non poteva essere più ignorata. Il nonno avrebbe voluto prendere ogni cosa sul barroccio e andarsene via, ma come spiegarlo alla nonna che per nulla al mondo avrebbelasciato il suo comodo letto?

 

Anna stava accompagnando la madre su per le scale, quando Beppe iniziò a discutere col padre per qualcosa che dovevano sapere assolutamente anche gli altri. Al piano superiore si gelava e la nonna pretese lo scaldino acceso, poi ordinò ad Anna di svuotare l’orinale e lavarlo bene perché in quella stanza c’era un olezzo nauseabondo. Quella puzza di putrefazione era dappertutto e non ci si poteva fare nulla.

 

Sparecchiata la tavola, Anna mise i piatti in ammollo nell’acquaio con una manciata di cenere del caminetto. La pompa a vento ruppe dinuovo il ceppo e ricominciò a ruotare le sue pale cigolanti, facendo rimbrottare i tubi del lavello. Anna sbirciò dalla finestra l’aia con la nebbia che era scomparsa nel nulla da dove era arrivata. Si stropicciò gli occhi per essere certa di non avere le trabecole, ma le sembrava proprio che le ombre dei conigli stessero scavando accanto al fienile, la dove le aveva viste la prima volta.Intanto l’alterco tra il nonno e Beppe attraversò la cucina, infilandosi nella porticina della cantina.

 

Anna aveva deciso di non dire nulla delle ombre dei conigli per non rischiare di accentuare lo screzio tra Beppe e il padre. Con uno zinale in vita e armata di spatola, si preparava a grattare via il grasso del pollo dai piatti. La superficie dell’acqua resa scura da un sottile strato di grasso mischiato a cenere e sapone di strutto, si aprì e richiuse intorno alle sue esili mani. In punta di dita sfiorò delle posate che sgusciarono via viscide, rincorsero poi un bicchiere che parve andarsi a nascondere sotto la pirofila. L’acqua stessa acquistò una speciale densità che andava prendendo progressivamente consistenza. Anna cercò di tirare via le mani, ma quella pastosità le trattenne. La ragazzina con un estremo sforzo riuscì a tirarne via una, ma subito si sentì l’altra risucchiare più affondo. Urlò forte, fortissimo. Il nonno e Beppe sopraggiunsero spaventati. Beppe infilò la mano in quella melma con decisione, e tirò via il tappo dello scarico che la ingoiò gorgogliando. «Adesso basta» disse Beppe sul grugno del nonno, che si passò nervosamente una manosulla testa calva.

 

Decisero dimettere fine a quella serata, rimandando la decisione se rimanere o andare via il giorno dopo. Il nonno scomparve dietro la porta della sua camera e dopo un po’si sentì la moglie che si lagnava, certa che fossero i suoi piedi ad appestarel’aria.

 

Anna richiamò d’istinto Beppe prima che richiudesse la porta della sua camera, non aveva nulla da dirgli, ma aveva bisogno di prendere un pizzico di forza dal suo sguardo. «Ci sono io, scema» le disse scorbutico comeil solito.

 

Anna aprì lentamente la porta della sua stanza, preparandosi a qualcosa d’imprevedibile. Trovò Gino che riposava nel letto di un sonno tormentato, il suo volto era percorso da spasmi convulsi. Anna sfilò le scarpette buone, quelle di vernice nera, e le ripose nella loro scatola consunta. Si tirò via il vestitino bianco e s’infilò sotto le coperte brandendo il rosario. Tenendo lo sguardo fisso sul fratello, iniziò a pregare per lui.

 

Fu così che sopraggiunse un sonno profondo, che non le fece sentire nulla per ore. Era notte fonda quando dei violenti sconquassi la destarono. Gino non era più nel suo letto e Anna trovò tutti gli altri in piedi nel corridoio, stretti dietro il nonno sull’argine delle scale. Anna chiese loro se fosse Gino che stava combinando tutto quel rumore giù da basso. Stava per scendere lei la scura tromba delle scale ma Beppe la trattenne per unbraccio: «Ascolta» le disse con uno spavento che aveva fatto evaporare dal suo sguardo ogni spavalderia.

 

Una voce imprecava in una lingua sconosciuta. Una voce che pareva contenerne due. Esplodeva con boati di rabbia, seguiti da sconquassi di una sedia evidentemente lanciata contro altra mobilia. La nonna era diventata un pizzico dietro al nonno, ed ora era disposta anche lei a andarsene via da quel posto.

 

Anna, forte della fede che riponeva nel suo rosario, riuscì a compiere i passi necessari per discendere quei gradini. Giunse sull’ultimo quando alzò il lume a petrolio per cercare di rischiarare la tenebra. Tutto si era acquietato improvvisamente.Beppe era sceso fino a metà rampa e stava chiamando la sorella con un filo divoce. La luce del lume non era sufficientemente forte per spazzare via le ombre in cui si celava l’ignoto. D’improvviso una sedia si schiantò sulla credenza,mandando in frantumi ogni cosa. La nonna urlò e la sua paura diede il coraggio al nonno di scendere con il suo lume a prendere lo schioppo.

 

Quando la stanza si rischiarò completamente, Gino apparve in piedi davanti la porta della cucina. Aveva il volto sconvolto da un’ira incontenibile. Attraversò la sala da pranzo con grandi falcate e si piantò d’improvviso, guardando il nonno e Anna, indicò severo il punto dove ci sarebbe dovuta essere la pendola. «Dov’è il ricordo?»,chiese con quella voce in cui dietro sembrava riecheggiarne un’altra più profonda e gutturale.

 

Il nonno chenon aveva neanche più il fiato per respirare chiese: «Quale ricordo?». «Il ricordo» precisò lui, indicando ancora quel punto. “La pendola” sussurrò Anna che oramai avevacapito tutto.

 

Il fratello era posseduto dal fantasma dei gemelli che avevano reso l’anima a Dio tra gli stenti di Auswitz..I due poveretti erano certamente morti di freddo in quel luogo che Anna aveva visto in sogno. Ogni giorno trascorso tra i brividi del gelo e della paura, era stato alleviato da quell’ultimo ricordo di normalità prima dell’oblio. Il pendolo aveva continuato a scandire i secondi che li allontanavano dal padre, cristallizzando quel momento che i figli non riuscivano a dimenticare neanche dopo essere morti loro stessi. Il ricordo da allora si ripeteva ogni sera, nella vana speranza chegli eventi potessero alla fine cambiare il loro corso.

 

Il nonno e Beppe scesero in cantina per riportare la pendola al suo posto. Gino continuava a camminare nervosamente per la sala da pranzo, mentre Anna stava apparecchiando la tavola come l’aveva vista la prima volta. Quando tutto fu dinuovo apposto, Gino controllò che fosse perfettamente nel disordine che ricordava. Poi un’emozione tornò ad attraversare il suo volto, Anna prontamente chiamò il fratello per non lasciarlo andar via di nuovo. Lui la ignorò volgendo lo sguardo verso le scale. La figura opalescente dei gemelli era ricomparsa sull’ultimo gradino delle scale, ma stavolta non erano i bambini dell’altra volta, vestiti da marinaretti con i boccoli d’oro. Questi avevano il capo rasato e indossavano solo delle mutandine sporche e lise, l’aspetto emaciato e il corpo martoriato da cicatrici, alcune delle quali ancora aperte.I loro occhi erano sgranati sul mondo e sulle labbra portavano un grido muto.

 

La palla rotolò al suo posto e improvvisamente qualcuno bussò alla porta.

 

Fine sesto episodio

 

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Episodio VII

Chi era che bussava alla loro porta a quell’ora della notte? In quei colpi si poteva sentire tutta la disperazione di chi non riesce più ad essere ascoltato. La situazione non era certo delle più tranquillizzanti, con l’apparizione di quelle povere creature e chissà cosa che pretendeva di entrare in casa.

 

Anna,commossa fino alle lacrime per l’immagine di quei corpicini straziati, si convinse che dovevano aiutarli. Si diresse verso la porta sotto gli sguardi atterriti del padre e del fratello Beppe. Stava quasi per aprire, quando si sentì sgridare dalla madre. «Se apri, entra o monachetto e siamo fritti». La nonna aveva disceso le scale e parlava da dietro la trasparenza dei gemelli. «Bisogna far benedire la casa, l’ebreo l’ha certo maledetta» continuò a dire,farneticando la propria paura.

 

Anna come il solito non le diede ascolto e allungò la mano per afferrare la maniglia.Beppe le ordinò di fermarsi e precipitandosi alla finestra della cucina, si affacciò di soppiatto ma non vide niente «non c’è nessuno, ci stiamo immaginando tutto», disse con un sospiro di sollievo, ma nello stesso istante si sentì ancora quel bussare disperato, ma stavolta sui vetri della finestra della sala da pranzo. A tutti si gelò il sangue nelle vene. Solo Anna ebbe il coraggio di avvicinarsi, cercando di guardare oltre il suo stesso riflesso nel vetro. Subito dopo ci furono altri colpi sulla porta, stavolta ancora più violenti e disperati di prima. Anna strinse il suo rosario nel pugno e la spalancò.

 

Il nonno con il fucile spianato si prese lui un colpo di paura a sentire la nonna gridare dallo spavento, ma oltre la porta non apparve nessuno. Beppe si lamentò che in quella casa non gli dava retta mai nessuno. Anna dunque gli fece notare che se non erano diventati improvvisamente tutti matti, quel fantasma dei gemelli era ancora immobile sull’ultimo gradino delle scale. «Quale fantasma?» le disse di tutta risposta «Sei tu che lo dici; Papà, mamma voi vedete forse fantasmi qui dentro». I genitori distolsero amaramente gli occhi dalla verità, che non si poteva certo andare a raccontare in giro.

 

Anna non ci stava a quell’ipocrisia e caparbia come un mulo, alzò il lume sopra lasua testa e si avventurò nell’aia. «Signore e signora ebrei, genitori dei gemelli» chiamava, ma il buio della notte pareva stringersi sempre di più intorno alla ragazzina, attutendo il suono della sua voce.

 

Si recò dunque là, dove aveva scorto le ombre dei conigli scavare dietro il fienile. Vi trovò una fossa con dentro lo scheletro di un morto. Dato ormai fondo a tutto il suo coraggio, Anna scappò via,atterrita da quell’immagine lugubre.

 

Il casale sembrava non arrivare mai, nonostante la corsa l’edificio rimaneva fisso dinanzi a lei. Quando finalmente giunse davanti al portone, lo trovò sprangato.Chiamò per nome tutti quanti, ma nessuno pareva sentirla. Vide la finestra della cucina aprirsi e per un attimo il fratello affacciarsi «Sono io, Beppe aprimi» disse Anna rincuorata. Però lui parve non accorgersi di averla solo a pochi passi e richiuse in fretta la finestra. Che cosa stava succedendo? Si chiese la ragazzina, era forse diventata un fantasma anche lei? Disperata bussò al vetro della finestra della sala da pranzo, cercò anche di sbirciare dentro casa, fino a quando vide quello che sulle prime le sembrò il proprio riflesso nel vetro, invece si trattava proprio della sua faccia, il cui sguardo la attraversava come se fosse invisibile.

 

Anna,presa dal terrore, tornò a bussare più forte che poteva alla porta di casa. La paura di essere diventata uno spirito e non poter più riabbracciare i propri cari, la spaventò fino alle lacrime. Implorava Iddio e il buon Gesù, la Madonnina bella e tutti i santi martiri, voleva rivedere i propri cari, non poteva rimanere a vagare come una anima in pena per l’eternità.

 

D’un tratto la porta si spalancò. Anna vide sulla soglia una bella signora, vestita con un abito lungo e un corsetto, con un’acconciatura che la faceva più alta di quanto non lo fosse già. Anna non si accorse che era un fantasma, fin quando non le vide i polsi tagliati con due ferite ancora sanguinanti. «Cara bambina,perché piangi?» le chiese con estrema grazia. Anna intuì chi era quella signora e allora le chiese se poteva vedere i suoi figli. La signora parve non ricordare di averne, allora Anna le parlò del marito, a quel punto si guardò i polsi e li mostrò alla ragazzina. La signora, quando non ricevette più le lettere che le spediva il marito, non riuscì a sopportare ulteriormente le pene del lager. Decise allora di darsi la morte, la stessa che i propri aguzzini le stavano centellinando giorno dopo giorno.

 

Anna entrò in casa e apparecchiò come ormai ben sapeva. Quando fu tutto come quella tragica sera, andò alla pendola e spostò le lancette dell’orologio sulle dieci e quarantanove. Il ricordo delpendolo iniziò subito a rintoccare, ma stavolta la sedia non saltò per terra,bensì vi comparve un uomo seduto sopra con baffi e basettoni, occhi stretti e labbra serrate a trattenere un urlo di paura. Un attimo dopo il volto gli esplose,quindi si vide uno stivale militare scalciare violentemente la sedia, facendo rovinare penosamente quel corpo a terra.

 

Lasignora assistette alla scena stringendosi al petto la propria pena. Le lacrimele solcavano il viso mentre d’incanto apparvero sull’ultimo gradino delle scalei suoi cari bambini. Corse da loro e consolò il loro pianto dirotto. «Adesso lamamma è qui, non dovete più aver paura», diceva, carezzandoli in volto escaldando le loro anime intirizzite dal freddo con caldi baci. Qualcuno bussòdi nuovo alla porta, appena un graffiar d’unghie sul legno laccato. Anna nonesitò un attimo ad aprire, anche se si aspettava che fosse il fantasma delpadre dei gemelli, rimase comunque gelata dallo spavento nel vederselo dinanzicon il volto divelto dalla pistolettata.

 

Suamoglie le corse incontro e lo abbracciò, sostenendolo nel suo equilibrio assaiincerto e facendolo sedere al suo posto. Si accomodarono tutti attorno altavolo. Fu allora che si udì la botola in cantina aprirsi e dopo qualche attimosopraggiunsero gli altri. La zingara si sistemò con i figli in braccio, mentregli acrobati amanti si sedettero vicini. Uno di loro sorrise ad Anna e le feceun salutino in punta di dita; lei contraccambiò divertita e soddisfatta di averdato pace a quegli spiriti in pena.

 

D’improvvisoquell’armonia fu rotta da uno sconquasso infernale. C’era di nuovo qualcunoalla porta che voleva entrare. Quel baccano però sembrava non turbare ifantasmi che lentamente trasparirono fino a scomparire. Anna era ormai solaquando dovette affrontare di nuovo l’incognito che bussava prepotentemente. Dovettericorrere a tutta la fede che riponeva nel proprio rosario, per trovare il coraggiodi tornare ad aprire. Abbassò la maniglia e spalancò la porta serrando gliocchi. «Ahia!» Disse quando si sentìtirare una treccia. Era suo padre e il fratello Beppe che al solito le davadella scema per averli chiusi fuori, quando loro preoccupati, erano in giro acercarla. Anna abbracciò fortissimo il fratello e pianse dalla gioia dirivederlo e soprattutto, che ognuno dei suoi famigliari era tornato in grado divedere lei. La nonna sentendo le risa di quel sollievo generale cherumoreggiavano giù da basso, discese anche lei a festeggiare.

 

NaturalmenteAnna non fu creduta, ma le dettero comunque ascolto. Trascorsero il resto dellanotte riposando e la mattina seguente il nonno portò il baroccio nell’aia.Quando Anna si svegliò, il fratello Beppe stava già caricando tutte le lorocose. Sarebbero andati nella grande città, ospiti della sorella della nonna.Anna insistette che portassero con loro anche l’orologio a pendolo.

 

Mentresi allontanavano, la pompa a vento continuò a far cigolare le sue pale,scomparendo lentamente verso la linea dell’orizzonte. Anna si accoccolò su un saccodi iuta, cullata dall’incedere del carro, sognando dei grandi palazzi che abreve avrebbe visto a Roma.

 

 

 

 

Fin

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Silverselfer

Mi scuso per la formattazione che m'incasina il testo nel momento che posto. Forse dipende dal Word che uso io, non so. Sta di fatto che si appiccicano le parole e compaiono improvvise spaziature da tra un rigo e l'altro.

 

Io ho cercato di "correggere" a mano, ma i tempi sono troppo stretti, e capita puntualmente che si tratta di tempo sprecato perché non mi accettano più il testo modificato.

 

In ogni modo è finito, ma ho già in mente una prossima possibile avventura di Anna ... afraid.gif

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NightWisher

Mi è piaciuto! :aha: Però mi piacerebbe sapere che fine ha fatto Anna :afraid: perchè non conosce i suoi nipoti? C'è da supporre una morte precoce? Ansia!

 

Voglio altre avventure di Anna :D

 

 

Peccato per gli spazi però XD

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Silverselfer

Porca la miseriaccia di una zozza ladra, mi sta facendo uscire scemo sta roba delle spaziature.

 

Comunque Night W. sono veramente felice che ti sia piaciuto.

 

Il mistero di dove sia finita Anna è bello proprio perché neanche io lo so.

 

La prossima avventura di Anna in realtà mi ha già svegliato nel cuore della notte diverse volte afraid.gif forse si prenderà anche una cottarella per un bel ragazzino, naturalmente morto e sepolto da un pezzo biggrin.gif

 

Ti posso fare una domanda da esperto della matita? Beh, secondo te la figura, l'immagine estetica di Anna è tratteggiata bene o andrebbe ulteriormente caratterizzata?

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NightWisher

Anna mi piace :sorriso: ma sono di parte, ho un debole per le ragazze emaciate che si dilettano con i fantasmi. Ho apprezzato la scelta di non descriverla troppo minuziosamente, secondo me sì, è sufficientemente caratterizzata, me la immagino simile alle bambine di Nicoletta Ceccoli , dimmi se cozza con la tua idea di Anna :D

 

 

Quindi ci sarà di sicuro una nuova avventura? :lovesaw:

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Silverselfer

Grazie NW !

 

Mi hai mostrato i colori della mia creaturina. Fa effetto vedere una cosa così intima attraverso gli occhi (sensibili) di qualcun altro.

 

Devo dire che mi sono andato a guardare tutte le altre bambine della Ceccarelli, avrei sperato d'incontrarne una con le trecce, ma c'è qualcosa in questa che hai scelto anche tu, che mi fa dire - sì, è lei.

 

Io immagino quello scrivo istintivamente, questo racconto lo avevo visto in bianco e nero come l'unica foto che ritraeva Anna. Tipo acquaforte per intenderci. Quindi si può dire che è la prima volta che ho visto i suoi colori.

 

Ti devo un favore.

 

Anna penso che continuerà a vivere con un'altra avventura. Posso persino darti un'anticipazione sul titolo: La signora della borsa nera o più semplicemente la borsa nera. Una roba così.

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NightWisher

Eh, anche io ho sperato di trovarne una con le trecce! Sono lieto che ti sia piaciuta la bambina della Ceccoli, pensa che io invece avevo di forti dubbi che ti potesse convicere, fisicamente non è molto fedele alla tua descrizione, a parte il discorso delle trecce, la ragazzina della Ceccoli è tutto meno che smunta, però lei mi è venuta in mente :)

 

Ah grazie per l'"esperto della matita" non me lo merito ma grazie :D

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NightWisher

Mi scuso per il doppio post ma non mi permette di modificare il precedente.

 

Spero non ti dispiaccia, dato che dovevo colorare qualche disegno in digitale mi sono ispirato alla tua Anna :)

Se ti dovesse dispiacere mi limiterei a cambiare il nome al documento comunque :angel:

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