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mio racconto erotico del 2001


RebisRebus

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Erano anni ormai che andava avanti la storia con Marco.

Io gli ero sempre stata fedele, ciò faceva parte del mio masochismo: privarmi del vero amore, del rispetto, di una persona con cui condividere tutto.

Lui invece aveva avuto anche delle storie più o meno lunghe in questi anni.

A volte in quei periodi neanche mi cercava, e non perché fosse un fedele bravo ragazzo, ma semplicemente perché amava farmi capire che per lui ero un passatempo quando non aveva di meglio.

Altre volte invece amava usarmi durante le sue storie, per essere sadico con loro come lo era con me. Il semplice fatto di tradirle e quindi non rispettarle lo eccitava molto. A volte si faceva trovare con me giusto per liberarsene in un modo breve e indolore, almeno per lui.

In questi anni imparai a conoscerlo, non certo per le sue parole, ma per ciò che intuivo osservando lui, la sua casa, i suoi modi.

Si era laureato, nel frattempo, in architettura. Stranamente con solo un anno di ritardo: da un bohemien come lui mi aspettavo, come minimo, anni e anni a dedicarsi al piacere più che allo studio.

Ma forse era troppo affascinato dal mondo del lavoro nell’arte, dove le donne bramano l’essere osservate e giudicate dall’occhio esperto di un’esteta.

Scelse un lavoro proprio nel mondo dell’arte vero e proprio, tralasciando il grigio lavoro dei cantieri edili. Si pubblicizzava alle feste mondane, dove si metteva in mostra con i suoi eccessi davanti alla “crema” della città.

Non avevo mai l’onore di prendervi parte. Portava la sua ragazza del momento o piuttosto pagava un’accompagnatrice. Ma non la sua schiava.

Io invece dopo il liceo avevo detto basta ed avevo un modesto lavoro da impiegata. Forse mi piaceva essere sottomessa anche al lavoro.

Infondo chi studia e vuole far carriera non lo fa per soldi, ma per ricevere quel rispetto che spesso a noi sottomessi viene negato. Forse quel sentirsi in pugno di qualcuno, anche nel lavoro, mi eccitava.

Stavo diventando una masochista, o forse lo ero sempre stata. Marco aveva solo scoperto questa parte di me difficilmente accettabile.

Arrivò una sua chiamata. Dopo nove mesi esatti. Forse Nicole, la modella che si faceva, lo aveva lasciato per l’esteta provocatore del momento.

<<ciao. Stasera alle ventuno.>> Le nostre telefonate erano così, lui parlava telegraficamente, e io non avevo il tempo di controbattere. Se lo facevo, venivo ignorata o interrotta.

Non aveva dato alcuna indicazione. Ne approfittai, questa volta, per vestirmi in un modo più sobrio. Infondo quando vuole che indossi qualcosa di particolare, me lo fa trovare a casa, della mia misura, e mi ordina di indossarlo.

Arrivata a casa sua, trovai la porta aperta. Non solo il portone, ma anche la porta dell’appartamento.

La casa era vuota, mi aggiravo per casa coperta dal mio cappotto ingombrante che mi rendeva fastidiosamente rumorosa e goffa.

Arrivai nella sua stanza, lo studio, dove lo trovai seduto, nella sua poltrona in pelle nera, davanti alla sua grossa scrivania di legno, con davanti uno di quei suoi enormi libri del lavoro, con la copertina di tela blu.

Forse non si era ancora cambiato dal lavoro. Aveva dei pantaloni di quelli che si usano in quei grossi uffici grondanti di segretarie devote, una camicia a minuscoli quadratini accennati dalla tessitura, una giacca simile ai pantaloni.

Si era giusto tolto la cravatta e sbottonato la camicia, di qualche bottone.

Continuò a leggere quasi ignorandomi, finchè, dopo qualche minuto, cercai di attrarre la sua attenzione.

Alzò gli occhi quasi infastidito e mi disse <<ah, sei già qui. Odio chi anticipa o ritarda>>.

I suoi occhi chiari erano quasi irritati per la mia presenza.

Sospirando e quasi facendo un atto di pietà, chiuse il pesante libro e si alzò dalla sua sedia girevole con le rotelline.

Venne verso di me ma attraversò la porta facendomi intuire che dovessi seguirlo.

Gli andai dietro. I miei polpacci erano nudi, coperti solo dai collant, e sopra vi era una gonna marrone di media lunghezza anni 50.

Il cappotto lo posai all’ingresso come sempre. Mi rendeva forse più vecchia, o forse lo avevo preso solo per rendermi simile alle sue clienti, quelle che ultimamente destavano le sue attenzioni.

Mogli sposate, sole, con mariti assenti. Che vedevano in lui una fuga.

Per me lui invece non era una fuga, ma una prigione, un carceriere, che mi ero imposta senza sapere perché.

Mi portò nella sua elegante camera da letto.

Dietro il letto c’era un muro colorato di rosso, poi un letto basso di legno nero, e niente più in quella stanza. Era una stanza da sesso, più che da letto.

Mi disse di distendermi sul letto, vestita, priva solo delle scarpe.

Senza che neanche me ne accorgessi si era già spogliato e aveva riposto i preziosi abiti di Valentino da parte.

Spogliarlo era un privilegio non dato alle schiave come me.

<<mettiti a quattro zampe>> mi disse, con voce secca e autoritaria.

Non capivo se prima avrei dovuto spogliarmi. Se non me lo aveva precisato, significava che aveva voglia di prendermi così, come se mi stesse violentando.

Mi misi a quattro zampe, e sentii la sua mano da dietro, che mi abbassava con un gesto brusco i collant, e poi le mutandine, portando alla luce la mia candida pelle chiara.

Marco vedeva i preliminari come qualcosa da fare solo se lui ne aveva voglia, o solo per provare qualcosa che eccitava lui e non me.

Non gli interessava che la mia vagina fosse pronta ad accogliere il suo pene, non gli interessava se il rapporto fosse piacevole anche per me: a volte vedermi soffrire o a disagio faceva parte del suo gioco perverso.

Spesso iniziava subito infilando il suo pene. L’inizio del rapporto quindi era per me spesso doloroso. Ma mentre questo spesso accade per imperizia o inesperienza del partner, in lui vi era una precisa volontà di farmi soffrire.

Se avesse voluto, sarebbe stato capace di farmi venire solo con un paio di movimenti della sua esperta mano, ma questo era un trattamento che riservava alle sue ragazze e non alla sua schiava.

In pochi secondi mi sentii penetrata completamente.

Sentii un lieve fastidio, dolore, dato dall’attrito del suo pene dentro di me, quasi all’improvviso.

Ma il dolore nella mia mente ormai abituata a provare piacere dalla sua crudeltà, si trasformò a poco a poco in qualcosa di eccitante come può essere una punizione.

Amava spingere affinché l’aderenza del suo pene con mio corpo fosse completa e profonda. Voleva farmelo sentire mentre lo spingeva totalmente dentro.

Sentivo il totale contatto del mio corpo, dell’unica parte nuda di esso, e del suo. Sentivo l’odore della sua pelle, il suo respiro, ancora una volta miei.

Ero penetrata da lui, a quattro zampe, interamente vestita o quasi.

I miei riccioli rossi cadevano giù mentre avevo la testa semi abbassata.

A un certo punto sentii appena sopra il sedere, sul fondoschiena, il freddo contatto con una lama, che stava tagliando i miei vestiti, a partire dalla gonna, per salire poi alla camicetta e arrivare fino al collo.

Mentre tagliava i miei vestiti, i vedevo cadere giù, uno dopo l’altro e rimanere nuda al suo cospetto. Ora osservava la mia schiena, mentre continuava a penetrarmi facendo su e giù sul mio corpo indifeso.

Solo le mie braccia tenevano su la camicetta. Anche il reggiseno era stato tagliato.

Mi ritrovavo quindi nuda. Nella mia schiena erano rimasti dei solchi arrossati dovuti alla punta delle forbici che aveva usato, quasi violentemente, per denudarmi. Non era indelicatezza, gli piace lasciare segni dei nostri incontri sul mio corpo. Alcuni durano per giorni, altri per settimane. Lui forse vorrebbe marchiarmi per sempre, ma non può.

Con un altro ragazzo forse mi sarei arrabbiata per la fine che aveva fatto fare ai miei abiti. Con lui sapevo di non avere voce in capitolo, che ogni volta mi sarebbe potuta succedere una cosa qualsiasi. Faceva parte del suo gioco e io sapevo che stare a queste condizioni era l’unica occasione che avevo per sentirmi di un uomo così bello, sexy e ambito.

Quando aveva tagliato, aveva anche reciso qualche mia ciocca. Ma questo non mi importava. Mortificarmi per questo faceva parte del suo volere e del suo potenziale eccitamento.

Ora giacevo nuda davanti a lui, di spalle.

Mi stava possedendo col suo possente corpo, desiderio di ogni donna che abbia avuto l’onore di vederlo.

Il suo petto sembrava scolpito dagli dei. Il petto era ricoperto da peluria, ma la sua bellezza e l’armonia del suo corpo mi faceva quasi dimenticare questo dato che per altri sarebbe stato, visti i miei gusti, un difetto.

Aveva i capelli lunghi, ai tempi dell’università, quando ancora non mi scopava, ma provava i suoi primi giochi perversi sulla mia giovane pelle.

Ora aveva un austero taglio di capelli da mondo del lavoro.

I suoi occhi erano rimasti gli stessi, freddi e crudeli. Erano solo un’arma per sedurre anime innocenti, e trasformarle in persone prive di stima in sé stesse, pronte a tutto per lui.

Le sue labbra carnose, quelle non le assaggiavo da tempo. Le aveva usate, contro il mio volere, al nostro primo incontro. Per trasformarmi in quella che oggi sono, e che infondo voglio essere.

Mentre mi scopava guardavo su un enorme specchio laterale il suo perfetto culo che si muoveva in modo da permettermi di possedermi fino in fondo.

Nel suo viso vidi delle gocce di sudore, alcune solcavano le sue guance quasi fossero delle lacrime.

Vedevo rabbia sul suo viso, come se fosse il suo mezzo d’eccitazione.

Gridavo di dolore per la foga che stava usando su di me, scopandomi.

Soffriva, e mi faceva soffrire. Si nutriva del dolore che mi provocava, quasi potesse cancellare il suo. O forse volevo vedere qualcosa di buono in quel mostro.

Dopo un po’, presa dall’eccitazione dovuta alle umiliazioni che mi infliggeva, i miei umori vaginali alleviarono i dolori dovuti alla foga con cui mi stava scopando. I miei sospiri e gemiti divennero di piacere, e lui, accortosene, accelerò il ritmo.

Adesso non solo si muoveva velocemente dentro di me, come un adolescente che si fa una sega, ma in più mi colpiva il bacino con vigore, quasi come mi volesse sculacciare con l’impatto violento col suo corpo caldo.

Cominciai a pregarlo di smettere, ma lui continuava facendo finta di non sentirmi, anzi quasi diventando più impetuoso nei movimenti.

Continuò finchè non venne, inzuppandomi col suo sudore e con le sue lacrime.

Si voltò e senza farsi vedere in viso si alzò.

Andò in un’altra stanza e tornò dopo qualche minuto con una vestaglia porpora con le rifiniture in nero.

Avvolgeva il suo corpo perfetto da dio greco.

Io ero ancora sul letto, a quattro zampe, nuda.

Mi privavo ormai di quel poco che rimaneva del miei vestiti. Neanche il più bravo sarto sarebbe riuscito a renderli di nuovo utilizzabili. Il punto in cui erano stati tagliati era impreciso, più che un taglio sembrava uno strappo fatto da un coltello da cucina poco tagliente e preciso.

Si avvicinò al letto con sguardo cinico e cominciò a toccare il mio corpo.

Amava toccare i punti contraddistinti dai segni dei nostri incontri precedenti.

Nessun segno era dovuto a una sua imperizia. Erano tutti voluti. L’intensità e la posizione non era mai casuale. Qualsiasi altro uomo che mi avesse visto nuda, avrebbe sentito in me l’odore del sesso. Amava marcarmi, come qualcosa di suo. Io ero un suo oggetto, ma lui non era mio. Era solo un padrone, non dovevo mai dimenticarlo.

<<che segno facciamo oggi…>> Parlava con me o meglio con se stesso…

Percorreva il mio corpo e si soffermava su lividi, succhiotti, bruciature, residui di frustate, pizzicotti, morsi o altro.

Era artista persino nel contrassegnarmi. Moderato, ma deciso.

Il suo pollice cominciò a fare pressione sulla parte appena sovrastante alle natiche e disse in modo secco <<farai qui il tatuaggio>>

Lo guardai sorpresa dal fatto che diversi anni non erano bastati a far si che non riuscisse mai a sorprendermi.

Continuò senza aspettare una mia reazione <<tatuerai qui il mio nome, affinché io lo possa leggere ogni volta che ti scopo>>.

Mi disse che aveva preso un appuntamento per me da un tatuatore suo amico.

Saremmo andati dopo qualche settimana. Il fatto che non mi chiedesse se volevo o meno, mi eccitava.

Sarei stata tatuata, marchiata da lui per sempre, in modo non dissimile da come aveva marchiato la mia vita.

Non era uno di quei gesti carini che fanno due fidanzati quando si tatuano qualcosa a vicenda per ricordarsi. Lui non si sarebbe tatuato. Infondo era coerente: io non avevo marchiato la sua vita come lui aveva fatto con me.

Prese i miei vestiti, e li ripose tutti nella spazzatura.

Erano stracci per lui. Mi disse di rimettermi il cappotto e scomparire fino al prossimo incontro.

<<andrai nuda fino a casa, coperta dal tuo orribile cappotto. Se qualcuno non ti scopa prima, ma ne dubito, quando arriverai a casa lo farai scomparire. Cerca di essere alla mia altezza anche nell’abbigliamento.

Mentre coprivo il mio corpo nudo col cappotto, mi dirigevo verso l’uscita.

Ormai nessuna di queste cose riusciva veramente ad umiliarmi.

Ripensavo a quel tatuaggio che avrei dovuto fare. Ma soprattutto ripensavo a quelle lacrime che avevo visto di sfuggita dallo specchio. Forse il mio uomo era molto più fragile di quanto tutte le sue donne credevano di sapere.

Non ero l’amica con cui si confidava quando il suo ennesimo tentativo di storia seria falliva.

Ero quella che si scopava con violenza quando ciò succedeva, e forse quello mi diceva più di mille parole.

Avrei fatto il tatuaggio, anche se so che lui non me lo chiedeva come atto d’amore, ma come ennesima umiliazione inflitta per sfogarsi di quello che gli succedeva con le altre.

Eppure qualcosa mi dava la forza per affrontare questo tatuaggio. Il fatto che infondo, per sempre, io sarei stata l’unica sua vera donna.

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  • 2 months later...

Ti garantisco che hai reso molto bene l'essere schiava, anche se non concordo su alcuni punti, almeno per la mia esperienza. Ma il racconto è molto evocativo e intenso emotivamente. Rende proprio bene il senso.

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Il racconto è scritto bene. Non ho potuto apprezzarlo, anzi mi ha fatto concludere che di sado/maso non devo avere proprio nulla, però devo dire che sei stato bravo. Come dice Gunslinger è molto evocativo. A me evoca più orrore/disgusto che eccitazione XD, però evoca! Eccome! :afraid:

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  • 2 weeks later...

è un racconto giovanile.

era nella sezione giusta? se non lo era mi scuso.

non parla di sadomaso, ma di dominazione psicologica, legami, ruoli che si invertono

ero molto giovane

 

comunque non sono caro/a, ma carO

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