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Quali sono le forze avverse all'amicizia?


Isher

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Molti dicono, e mi capita spesso di leggere, che l'amicizia è una delle cose più

belle di questo mondo. Su questo sono d'accordo generazioni molto diverse e

anagraficamente lontane tra loro.

Ma spesso il sottinteso di simili affermazioni è una ben percettibile nota di

amarezza, o tristezza, o un vago senso di impotenza (come se l'amicizia fosse

qualcosa che non si agguanta, si perde, non è in nostro potere avere e mantenere).

 

Si possono elencare secondo voi

1. tutte le cose e le cause che avversano l'amicizia?

2. oppure che l'attentano, contribuiscono a sgretolarla, a mantenerla in vita, che ne rendono

l'attuazione difficile, oppure che lentamente ne svalutano il valore?

 

L'appartenenza politica è la prima causa della 1. E' bello e inevitabile avere idee politiche, ma

sul piano umano l'appartenenza si trasforma inevitabilmente in un «essere appartenuti», cioé

in un «appartenere» (nel significato passivo del termine), è la prima delle separazioni all'interno

del tessuto umano. Ma ce ne sono molte altre. Per non parlare poi della categoria 2.

 

Qualcuno ha voglia di aggiungere qualcosa, magari cercando di dire anche le cose che in genere

non si dicono, o sono più difficili a pensarsi?

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Credo che la diffusa considerazione che l'amicizia sia un sentimento tra i più belli che si possono provare per un nostro simile derivi in primis dal fatto che essa è (teoricamente) svincolata da un'attrazione fisica, quindi dovrebbe per sua natura risultare più disinteressata.

Per mia esperienza, una delle cose che minano in modo grave un rapporto di amicizia è sicuramente il manifestarsi di una asimmetria più o meno marcata nelle attenzioni e nel tempo che ci si dedica a vicenda.

Mi spiego meglio: perchè non venga meno la connotazione non utilitaristica e disinteressata del rapporto, secondo me è necessario che le parti in gioco siano in grado di "nutrirsi" vicendevolmente di quanto il rapporto amicale può dare; quando il rapporto diviene troppo sbilanciato, con una parte che (presto o tardi) realizza di star dando molto più di quanto riceve, l'amicizia è destinata ad una misera fine.

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Questo è un tema scottante, Casper. In cui tutti, io per primo, siamo caduti.

Ricordo una mia amica molto intelligente, molto simpatica, molto accogliente e ospitale

(quante cene da soli o più spesso in tre, ci siamo fatte!), e con la quale avevo un ottimo

rapporto, fino a quando...

Fino a quando mi accorsi che ero sempre io a telefonare, sempre io a farmi sentire, a

rilanciare. Un bel giorno decisi di non farlo più finché i ruoli non si fossero se non invertiti

almeno resi paritetici: per anni non ci siamo più visti.

 

In breve, quella sperequazione era un suo modo di essere, era strutturale in lei, era un dato

che forse bisognava pazientemente accettare, dato che poi nel vivo del rapporto era una persona

amabilissima (non direi questo se la persona in questione fosse stata chiaramente una persona

non interessata a me, o una persona "interessata", o una persona con altri gravi mancanze).

 

Non pretendo di dire la cosa giusta. Solo, la ricerca della pariteticità può essere (se non è

stra-giustificata) una forza avversa all'amicizia, perché la sottomette a una "regola" che può non

essere immediatamente la sua propria.

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Isher, non intendevo che la pariteticità debba essere perfetta, perché a tutti gli effetti sarebbe utopistico pensare di poter raggiungere tale condizione.

Semmai, parlando sempre sulla base delle mie esperienze, è logorante (per il rapporto di amicizia e per il senso di frustrazione che provoca) il fatto di DOVER essere sempre mittenti di sms, telefonate, e-mail, inviti, ecc ecc e mai riceventi.

Alla lunga diviene evidente che mentre alcune persone sono spesso nei nostri pensieri noi non lo siamo allo stesso modo nei loro... e con tale consapevolezza si giunge sovente al sentire nuovi rapporti come più emotivamente appaganti.

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Certo, la mia del resto era una riflessione alla seconda potenza, e su un caso forse limite.

Capisco perfettamente che di fronte a sperequazioni ingiustificate uno si ritiri indietro. A

maggior ragione se contemporaneamente nascono rapporti emotivamente più appaganti.

In fin dei conti se non c'è questo sentimento di appagamento non si vede perché un'amicizia

debba essere portata avanti. Ed è vero che noi cambiamo attraverso gli anni e quindi è

probabilmente illusorio pensare (sperare) di potersi portare appresso tutte le nostre amicizie.

In diversi casi, la fine di un'amicizia può favorire la nascita di un'altra.

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Le relazioni con l'altro, in quanto fra uomini, sono passibili del vaglio supremo: l'essere protesi verso la possibilità della morte. L'essere economico che noi stessi sempre siamo non è che una derivazione, una conseguenza filogenetica dell'essere mortali. In virtù di questo, di questa ontologia del costruttore, non possiamo fare a meno di edificare, di innalzare cattedrali di pensiero o templi agli dèi. E gli amici - ci chiederemo - in che modo si ricollegano a tutto questo? Mit-sein? No, non me la sento. Direi più che altro che anche le amicizie, in senso lato, sono dei progetti, quelli sì con-divisi. La fine di una relazione amicale sta proprio forse nel continuo evolversi delle parti, nella costante esigenza d'altro. Il principio economico impone di seguire la via più feconda di ricompense, per strada le chiamano soddisfazioni. In un tempo infinito non dovremmo essere costretti a scegliere chi o cosa sia più o meno utile [sul territorio compreso dal concetto di utilità sorvoliamo.. eh?], tutto sarebbe concesso e la scelta non avrebbe senso.

 

Ecco, dovessi indicare una ragione, direi proprio sia quella suesposta. Noi stessi in quanto individui siamo un perpetuo divenire, un trasformarci nel progetto che di noi stessi possiamo fare; l'amicalità, invece, pare essere altro dal dinamismo, anzi, una perfetta antitesi. A livello strutturale mi pare il problema chiave, comprendere perché io e tu in quanto aperture siamo incontrastabile divenire, mentre l'amicizia si fossilizza in stantie trincee e non riesce a stare al passo.

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gianduiotto

Sul botta e risposta fra Casper e Isher, mi permetto di aggiungere una valutazione. E' pur vero che certi rapporti di amicizia possono essere asimmetrici, fino ad un certo punto è anche giusto che sia così. Non siamo in fondo tutti diversi? L'essere amici non dovrebbe contemplare l'accettazione di questa diversità?

Meglio: due amici, soprattutto se di lungo corso, dovrebbero saper sorvolare sulle proprie reciproche mancanze ( perché in un rapporto ci sono sempre degli errori da entrambe le parti), nella consapevolezza di vivere un rapporto peraltro costruttivo ed appagante.

 

Tornando alla domanda di Isher, forse quel che contribuisce alla fine di un'amicizia sono anche le scelte di vita di un singolo. Andare per la propria strada può non essere compreso da chi ci sta accanto, le vite allora prendono percorsi diversi, inconciliabili; e l'amicizia finisce.

Purtroppo mi è capitato, ma sono stato io colui che ha sbagliato, colui che non ha compreso ed accettato la scelta legittima e coraggiosa di un amico, colui che non è stato capace di dire una parola chiara e giusta in sua difesa.

E' uno dei crucci della mia adolescenza :afraid:

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@ D.

 

E' una visione molto "eroica", cui la realtà corrisponde solo in parte,

ma aiuta a porre il problema che avevo in mente.

Gli eroi antichi, classici, avevano anche il ritorno a casa.

O, detto in termini meno pretenziosi, mio padre e mia madre sono fuggiti giovani dal paese, sono

andati in una grande città, poi in un'altra, hanno costruito, generato, trasformato le loro esistenze, ma

non avevano come contraltare questa sentimento di perdita o di costruzione a gittata limitata nel tempo

delle loro grandi amicizie. Da un certo momento in poi e sempre più dopo noi abbiamo rinunciato a

tutto ciò.

 

L'amicizia una perfetta antitesi al perpetuo fluire? Forsi che si, forsi che no.

(riferito anche al perpetuo fluire)

 

Sul botta e risposta fra Casper e Isher, mi permetto di aggiungere una valutazione. E' pur vero che certo rapporti di amicizia possono essere asimmetrici, fino ad un certo punto è anche giusto che sia così. Non siamo in fondo tutti diversi? L'essere amici non dovrebbe contemplare l'accettazione di questa diversità?

Meglio: due amici, soprattutto se di lungo corso, dovrebbero saper sorvolare sulle proprie reciproche mancanze ( perché in un rapporto ci sono sempre degli errori da entrambe le parti), nella consapevolezza di vivere un rapporto peraltro costruttivo ed appagante.

 

Ecco, è esattamente quello che penso io, adesso.

Viceversa, e qui non mi riferisco a Casper, la visione epica della vita, per cui noi «facciamo scelte», «cresciamo»,

porta a un eccesso di drammatizzazione, a una vocazione anche annichilente, per cui si brucia il passato. E' una delle

ragioni per cui le generazioni moderne hanno poco passato, hanno poco di solido dietro le loro spalle.

 

Tornando alla domanda di Isher, forse quel che contribuisce alla fine di un'amicizia sono anche le scelte di vita di un singolo. Andare per la propria strada può non essere compreso da chi ci sta accanto, le vite allora prendono percorsi diversi, inconciliabili; e l'amicizia finisce.

Purtroppo mi è capitato, ma sono stato io colui che ha sbagliato, colui che non ha compreso ed accettato la scelta legittima e coraggiosa di un amico, colui che non è stato capace di dire una parola chiara e giusta in sua difesa.

E' uno dei crucci della mia adolescenza :afraid:

 

Però se noi leggiamo, che so, gli epistolari di grandi personaggi del Novecento, gente che veramente ha subito un'evoluzione,

constatiamo che molto spesso sono stati capaci di portarsi dietro un «Tu» amico, un punto di riferimento di memorie e in fondo

anche del senso e contesto di una determinata evoluzione. In breve, tendo a vedere un elemento nichilistico, meglio annichilente,

nel far bosco bruciato alle proprie spalle, e, più precisamente (perché il bosco bruciato ci può anche stare, a volte), nel non avere

la coscienza della giustezza di una continuità, di qualcosa che si deve preservare, che si deve curare.

 

Non so il tuo episodio, ma forse il non aver accettato quella scelta per carità legittima è anche il segno che non ti corrispondeva,

che non è la tua verità, al fondo, quindi l'avresti solo subita. 

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simply_dreamer

secondo me neanche l'amicizia vera è eterna. anzi... è come l'amore e tutto il resto. tutto è eterno finche dura. quanto dura?! dipende da vari fattori... di sicuro trovare l'amicizia vera e disinteressata è quasi un utopia oggi. almeno secondo il mio punto di vista.

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Oltre alla lontananza, che per quanto ci si impegni disegrega inesorabilmente i rapporti di amicizia, aggiungo anche il semplice cambiare come persone. Soprattutto nell'adolescenza ti ritrovi ad essere una persona totalmente diversa nel giro anche di un anno e così succede agli altri, ovvio che poi non si mantengono più i legami di un tempo.

 

Oltretutto penso che chi sostine che è ovvio che nell'amicizia ci sia un rapporto asimmetrico sbagli totalmente. E' appuntoda un rapporto paritario che traiamo piacere e non da una persona che ci gravita attorno o dal gravitare attorno a una persona.

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@ dreamer_

 

D'accordo, ma ti limiti ad assumere il dato della disgregazione senza reagire?

come pensi di porre un argine ad essa? O non te ne poni affatto il problema?

Ti sembra poi che sia così ovvio e automatico che, cambiando uno, debba per ciò stesso

perdere le sue amicizie?

 

Quanto al rapporto paritetico, certo che si ricerca questo.

Ma ci si era domandati se fino a un certo punto possa essere anche giusto o inevitabile che ci sia una

certa asimmetria, se questa rispecchia la diversità delle persone, e se comunque ognuno paga il

dovuto all'amicizia. A questo punto diventa, semplicemente, una questione di valutazione: quanto e fin dove

è accettabile, e dove sia da rigettare. L'esempio della persona che ci gravita intorno o alla quale noi

gravitiamo intorno non è precisamente l'esempio azzeccato per descrivere una simile situazione, che è più

sottile, molto meno estrema.

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Imho, già solo la concezione di un rapporto in cui qualcuno "ruoti attorno" a qualcun'altro denota "dipendenza", e non credo che nessuno possa sentirsi appagato da un tale tipo di relazione umana.

Il post di gianduiotto mi spingerebbe a postare l'evoluzione di alcuni rapporti per me importantissimi che si sono trasformati e conclusi con strascichi spesso pesanti... e rimpianti ... ma non ne ho voglia, non so come dirlo... certe questioni non si prestano molto ad essere condensate in testo, o almeno io non lo sento al momento molto mio come modo di "buttarle fuori", preferisco il confronto dal vivo!

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Comunque mi permetto di importare nel Forum un breve scambio tra me e una mia amica,

che secondo me coglie punti importanti:

 

Mia domanda: Ma quali sono le forze contrarie alla vita e sopravvivenza delle amicizie? Questo sarebbe

importante capire

 

Sua risposta: Il caso, la pigrizia, il non riuscire a preservare rapporti caratterizzati da gratuità, la paura di destabilizzare

nuovi equilibri, l'anteporre quello che 'bisogna' e quello che 'serve' a quello che non rientra in queste due categorie, il

non riconoscersi in quello che si era... Le amicizie si sfilacciano. Ma com'è bello a un certo punto ritrovarle, magari

dopo decenni... E tutto è caldo come prima!

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Probabilmente vivo con la cosa con una visione piuttosto fatalistica, Isher. Te ne faccio un esempio pratico: recentemente una delle mie più grandi amicizie è stata bocciata e quindi cambierà scuola e, vivendo a 1 e 1/2 di automobile vederci sarà nettamente più difficile. Io adesso sono quasi certo che l'amicizia si affievolirà, è quasi inevitabile, tuttavia questo non i pirva della possibilità di godercela finché essa è in vita.

 

Per quanto riguarda il secondo punto è una sottigliezza che adesso non riesco a cogliere, forse più avanti con l'età potrò, ma si sa che i giovani vivono di assoluti.

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O, detto in termini meno pretenziosi, mio padre e mia madre sono fuggiti giovani dal paese, sono

andati in una grande città, poi in un'altra, hanno costruito, generato, trasformato le loro esistenze, ma

non avevano come contraltare questa sentimento di perdita o di costruzione a gittata limitata nel tempo

delle loro grandi amicizie. Da un certo momento in poi e sempre più dopo noi abbiamo rinunciato a

tutto ciò.

 

Siamo sicuri? Intendo dire, non si può ragionare di contraltari tra esistenze possibili realizzate e amicizie lasciate sfiorire; è una questione insiemistica, una di quelle dei Principia Mathematica. Ma smettiamo per un momento i fasti del pensiero. I tuoi genitori avevano certo una esistenza fatta di molteplici livelli, abbandonare in tutto o in parte quella scala di progetti e possibilità è sintomo di preferenza economica verso qualche cosa di più utile. Hanno rinunciato ad un intero pacchetto di possibilità per un altro. Certo, l'estensione delle rinunce è in diretta relazione ad altri fattori determinanti: quello geografico, nell'esperienza dei tuoi così come nella mia, è uno di questi. Voglio dire, è necessario rinunciare a qualcosa considerata la nostra finitudine.

 

I tuoi genitori, alla fine, rinunciavano ad un insieme molto più potente.

 

Ecco, è esattamente quello che penso io, adesso.

Viceversa, e qui non mi riferisco a Casper, la visione epica della vita, per cui noi «facciamo scelte», «cresciamo»,

porta a un eccesso di drammatizzazione, a una vocazione anche annichilente, per cui si brucia il passato. E' una delle

ragioni per cui le generazioni moderne hanno poco passato, hanno poco di solido dietro le loro spalle.

 

Senz'altro è un errore sciocco quello di lasciar dissolvere il passato dietro fumose teorie; noi siamo adesso perché siamo stati, e per la stessa legge, saremo. Mai bruciare la storia, ché anzi se una salvezza (lasciate stare la metafisica però..) è ammessa, molto probabilmente è seminata dietro di noi. Quanto meno possiamo imparare a coltivarla.

 

edit:

 

il non riuscire a preservare rapporti caratterizzati da gratuità

 

Perché, possiamo ammettere esistano rapporti disinteressati?

Non giudico sulla qualità, tuttavia mi guarderei bene dal concetto di gratuità.

Può essere molto fumoso.

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Beh, la gratuità è essenzialmente il sentimento dell'istantaneità, della momentaneità,

e della loro ricchezza, la consapevolezza che il relativo può essere un valore,

che noi siamo insieme contesto e contenuto, e che possiamo eleggere la nostra dimora

ovunque, purché ci sia in noi amore per la vita e capacità di credere in essa.

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L'intenzionalità è alla base della mia descrizione del sentimento della gratuità, se badi bene.

In effetti essa è la negazione di una gratuità intesa come puntillarismo, gratuità pura. Quindi

non direi che in questa prospettiva il sentire debba essere pensato come non-mediato: come

potrebbe, se stiamo parlando di un sentimento di vita? Tutti i sentimenti di autoriconoscimento

o delle nostre facoltà all'opera, o del nostro essere vita, sono primi, ma non per questo

sono non-mediati. 

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Guest I_am_igor_stravinskij

Perdonatemi se ridurrò il discordo che seguirà a qualcosa tipo teorema matematico, ma non trovo una maniera più semplice di spiegare quello che intendo!  :afraid:

Parto dal presupposto che non considererò fattori quali allontanamenti di tipo "fisico" (cambio di città o simili) nel trattare i rapporti interpersonali su quanto segue.

 

Sono della convinzione che il rapporto tra due persone sia oltremodo influenzato da quelli che noi tendiamo a catalogare come difetti (soggettivamente parlando). Mi spiego:

Prese due persone a caso nel globo terrestre, esse non potranno mai essere uguali in tutto e per tutto (caratterialmente parlando, s'intende). Poniamo inoltre che tra queste due persone vi sia una differenza, vista da entrambe come "difetto" riscontrabile nell'altra. Ora, queste due persone potrebbero:

- Notare questo "difetto" immediatamente, decidere di troncare sul nascere ogni rapporto (per esempio -scemo-, se entrambe danno molta importanza alla politica, una è di destra e l'altra è di sinistra)

- Notare queto "difetto" andando avanti conoscendosi, sopportandolo sempre di meno con l'andare del tempo e: a) non sopportarlo più, litigare furiosamente e finire il rapporto in maniera brusca, :salut: non sopportarlo più, parlarne in maniera posata e raggiungere un compromesso, c) malsopportarlo, evitare di parlarne e perdere i contatti lentamente, d) sopportarlo, i "pregi" riscontrabili nell'altra persona attenuano la caratteristica incriminata, e) Uccidere la pers

I punti a), :), c), d), e) dipendono ovviamente da quanto tempo si conosce la persona in questione, dalla maniera in cui si sono consolidati i rapporti e quindi dopo quanto tempo il "difetto" in questione sia stato notato e che effetto ha sorbito sul rapporto stabilitosi.

 

Lo so, sembro matto, ma spero almeno di essermi spiegato  :salut: Ovvio che non intendo ridurre questioni affettive a rigidi schemi matematici (faccio ingegneria, cercate di compatirmi), era solo una maniera per rendere quello che era un mio pensiero. Sennò avrei fatto un esempio, ma sarebbe stato ancora peggio!

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Invece ti sei spiegato benissimo ed è molto interessante ciò che dici, Igor:

ma a questo punto devi dirci per quale opzione dalla a alla d (o sei per la e?  :afraid:) tu personalmente sei.

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Guest I_am_igor_stravinskij

Bè dipende da diversi fattori. Innanzitutto quanto per me possa risultare fastidioso il difetto in questione, tanto da dover troncare il rapporto per limiti di sopportazione oppure è qualcosa su cui si può sorvolare? Magari è una peculiarità che nell'altra persona è emersa dopo diverso tempo, quindi potrei lasciar stare perchè ho ormai una certa stima di essa, oppure è una caratteristica che è emersa subito e potrebbe condizionare da principio l'opinione che ho di questa persona. Devo dire che pochi eletti, per quanto mi riguarda, hanno avuto la fortuna di essere relegati al punto d)  :afraid: una, particolarmente straziante, è finita in c) e qualcuno ha evitato per un pelo la e).

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L'intenzionalità è alla base della mia descrizione del sentimento della gratuità, se badi bene.

In effetti essa è la negazione di una gratuità intesa come puntillarismo, gratuità pura. Quindi

non direi che in questa prospettiva il sentire debba essere pensato come non-mediato: come

potrebbe, se stiamo parlando di un sentimento di vita? Tutti i sentimenti di autoriconoscimento

o delle nostre facoltà all'opera, o del nostro essere vita, sono primi, ma non per questo

sono non-mediati. 

 

Questo, ammetterai, scardina il concetto tradizionale di gratuità.

Possiamo arrivare ad ammettere che il disinteresse non sia prerogativa degli uomini?

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Questo, ammetterai, scardina il concetto tradizionale di gratuità.

Possiamo arrivare ad ammettere che il disinteresse non sia prerogativa degli uomini?

 

In senso rigoroso e proprio, direi proprio di sì.

Come eccezione, come stato di grazia, scatenato dalla contemplazione della

perfezione della natura, o dalla potenza astratta e insieme incarnata di un'Arte della fuga, lo

ritengo senz'altro possibile. Forse dalla capacità di trattenere qualcosa del disinteresse

dipende in parte anche la risposta ai nostri quesiti sui rapporti d'amicizia con gli altri esseri umani.

 

@ Igor

 

Insomma, sei un passionale razionalista!  :asd:

Non ti starò a dire tutti i nostri slogan glbt : che la differenza è una ricchezza, che la differenza

è un valore, che ci arricchisce tutti eccetera...

 

A parte scherzi, è vero che la differenza è il motore scatenante di rotture, liti o contrapposizioni

estenuanti. E' vero anche che a volte ci si può sentire più vicini a una persona che è diversa da

noi per appartenenza politica, modo di essere, modo di concepire la vita - qui subentra la stima, credo,

quanto noi obiettivamente stimiamo quella persona, e quanto siamo capaci di non cedere alla passionalità

dell'impulso di rifiuto, o separazione, o contrapposizione, scatenato o da quello che tu chiami difetto o

dalla semplice differenza.  

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Sarò banalo, alquanto disincantato, o forse semplicemente molto giovane....

Ma credo che l'amicizia non sia il sentimento più forte (anche se ammetto che da emozioni fortissime) è l'emozione più....semplice....quella che ci da molte soddisfazioni senza un grosso impegno ne fisico ne mentale.

Quando penso ad un amico, immagino subito quella persona che esiste nel mio mondo, che non ha paura di confrontarsi e se non gli va bene qualcosa mi dice : "ale stai facendo una cazzata"

Il Sentimento dell'amicizia è un sentimento universale e più semplicemente unico. Non ha nulla a che fare con l'amore, ma speso e volentieri viene confuso, proprio perchè è talmente facile abbandonarsi a questo sentimento che si arriva facilmente a confonderne l'intensità.

C'è anche da dire che le sfumature dell'amicizia sono infinite e proprio per questo è molto più semplice recuperare un'amicizia piuttosto che un amore.

Potrei finire dicendo che l'amico non è quella persona che condivide solo le sofferenze (e mi riferisco al detto stupido a parer mio "l'amico si vede nel momento del bisogno") ma è la persona che quando deve renderti felice non deve scervellarsi per tirarti su, ma che con una semplice parola ti riporta il sole in una giornata grigia. L'amico se ne frega dei tuoi scazzi e continua a vederti, ti perdona se ti arrabbi con lui e sopratutto gioisce per te e non è mai invidioso di te....

 

Ma qui si parla di ciò che mina il rapporto di amicizia....

 

La stupidità umana....i propri difetti. Un'amicizia finisce per colpa nostra, per il nostro carattere, spesso per l'orgoglio. Non è mai colpa degli altri. Se un amico ti tradisce è perchè TU glielo hai permesso. Non posso concepire che la fine di un'amicizia sia colpa di una persona, ma inevitabilmente di tuttedue. Il perchè possono essere tanti....ma spesso e volentieri si parla di stupidità....

 

AlX

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Forse dalla capacità di trattenere qualcosa del disinteresse

dipende in parte anche la risposta ai nostri quesiti sui rapporti d'amicizia con gli altri esseri umani.

 

Questo trattenere non sarebbe che meta-interesse; mettere in mezzo Bach è esserne consapevoli.

 

Cosa importa la qualità? Il succo non cambia: v'è sempre un movente economico dietro le relazioni umane.

 

Do ut des, ebbero a dire i padri.

 

Shakespeare lo disse più teneramente:

 

Giulietta [A Romeo]: Più do a te, più ricevo io stessa!

 

Cosa si dia o riceva, non fa differenza.

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Il movente è l'inizio di un'azione: una delle sue condizioni; il Caro amico di essa.

Se identifichi il complesso e la complessità di un'azione con il suo movente,

ti ritroverai una causa sempre identica per ognuna di esse. Dovrai considerare

tutte le azioni ed esperienze come di pari contenuto, in un certo senso interscambiabili.

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Dovrai considerare tutte le azioni ed esperienze come di pari contenuto, in un certo senso interscambiabili.

 

Proprio no. Questo sarebbe vero e formalmente necessario se e solo se si desse omogeneità tra bisogni, cosa non esatta già a partire da quelli omeostatici. Sarebbe impensabile (ed alquanto rischioso) bere della benzina al posto del caffè, e questo perché proprio la complessità dell'essere umano constata di molteplici livelli.

Non v'è relazione di identità tra movente ed azione, il primo risponde al requisito della disposizionalità; il bicchiere non si rompe perché colpito, ma si frantuma al colpo perché fragile. Dunque l'unica relazione sussistente è quella di contiguità. Ciò significa che la disposizionalità detta le regole formali delle mie interazioni, senza che questo mini l'importanza del supporto empirico, anzi. Solo e soltanto l'esperienza può rilasciare soddisfacimento, molto spesso atomisticamente. Il valore aggiunto dell'empiria si ha proprio in questo scostamento dal semplice procacciamento, quindi nel riconoscimento di un altro uomo nella sua specificità e non interscambiabilità.

In fatto di relazioni non possono darsi omologie, ché ogni rapporto si instaura con altri a sé stanti, ed anche i bisogni, talvolta, mutano in funzione di questo.

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Ma se ammetti tutto questo, cosa su cui concordo, il movente è messo al suo

posto, e non è particolarmente significativo insistere sul movente economico delle azioni,

se non appunto per rilevarlo. Il campo delle azioni, delle relazioni, si apre a molte altre

considerazioni. Il movente è uno dei due poli dell'azione, anzi dei quattro, perché un'azione

implica un calcolo tra mezzi e fine, e l'azione cosciente implica il sentimento di realtà

di ciò che si va a compiere.

 

Ritorniamo in topic, de amicitia ?

Magari domani?  :asd:

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