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Lab. di scrittura - Chi ha ucciso Orfeo?


Silverselfer

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Silverselfer

Chi ha ucciso Orfeo?

 

Dicono che un omicida lasci dietro di sé venticinque indizi, ma dopo sole ventiquattro ore ne rimarrebbero in giro appena quattro. Manuela non ricorda su quale testo dell’Accademia l’ha letto o se è solo la battuta di uno dei tanti film gialli che guarda la sera, prima di addormentarsi nel suo enorme letto vuoto dello striminzito monolocale dove vive.

 

Per un gatto è certo una bella ironia della sorte essere ucciso con del veleno per topi. La denuncia del “gatticidio” è giunta sulla scrivania di Manuela due settimane fa. Il suo primo caso da ispettrice alla omicidi del dipartimento Roma due … Sì, è stato il goliardico benvenuto dei suoi colleghi maschi che da quel giorno miagolano ogni volta che la vedono passare.

 

Nessuno di quei portatori sani di testosterone poteva immaginare che quindici giorni dopo la morte di Orfeo, il gatto, ci lasciasse lo zampino anche il suo ottuagenario padrone: il conte Bartolomeo Luigi Maria degli Aldobrandini Strozzi, noto nell’ambiente omosessuale capitolino con il nome di “Gijì”.

 

Il conte abitava nella villa di famiglia sull’Appia antica con la sorellastra Ludovica, figlia di terzo letto del loro prolifico padre, e il lontano cugino Don Paride, da sempre confessore e guida spirituale di Ludovica. Questa notte nella villa ha dormito anche Walter, un vichingo biondo che per mestiere fa lo Stewart in una compagnia aerea low-cost, ma arrotonda lo stipendio da fame posando come modello all’Accademia d’arte, solo eccezionalmente concede le sue prestazioni anche a domicilio. Infine, ovviamente, c’è il maggiordomo Amedeo; un individuo dinoccolato con una livrea chiara e dei pantaloni tenuti con delle bretelle così tirate da farlo sembrare un trampoliere delle puglie.

 

Manuela adesso che si aggira tra le cose del conte Strozzi, un po’ si vergogna di aver cinicamente sorriso alla notizia che qualcuno lo aveva strozzato nel sonno. Gli agenti della scientifica stanno rivoltando la sua stanza da letto chiudendo in sacchettini sterili tutti quei dettagli che hanno accompagnato l’originale vecchietto nella sua permanenza terrena. Quest’ultima osservazione fa tornare in mente a Manuela un verso della canzone “Sexuality” di Prince – Siamo solo dei turisti in vacanza sul pianeta terra – o era una strofa di “Passenger” di Bowie? Ma “Passenger” l’ha cantata davvero David Bowie? Ricaccia nella testa quella frivolezza e per farlo posa di nuovo gli occhi sul volto della vittima, decisamente grottesca con la lingua tutta di fuori ormai divenuta viola pastello – incredibile quanto è lunga una lingua umana!

 

Quei venticinque indizi ci sono, lo sa e si odia perché non riesce a trovarli. L’ispettrice si allenta la cintola dei pantaloni, troppo aderenti sulle sue chiappe oversize, per piegarsi sulle ginocchia e osservare  da vicino la ciotola d’argento appartenuta ad Orfeo. Si ricorda di quanto le aveva detto tra le lacrime Gijì, il giorno in cui prese la sua deposizione: Orfeo non usciva mai da casa e non mangiava altro di quello che gli serviva lui; cioè, filetto di manzo e fegato d’oca, mentre il giovedì caviale del Volga. Ben gli stava a quell’ingordo di felino che con tutto quel ben di Dio si era pappato pure del veleno per topi. No, sicuramente chi ha ucciso il gatto, ha fatto fuori anche il padrone. E il gatto non può che averlo ammazzato uno di casa.

 

Certo la sua deduzione non vale un indizio, ma è pur sempre un punto da dove cominciare. Manuela chiede a “testa di morto”, il suo tirapiedi che con un soprannome così è facile immaginare che aspetto abbia, di far radunare tutti gli ospiti della casa per interrogarli.

 

- Lei potrebbe pentirsi amaramente di trattarci come ladri in casa nostra.

 

Le dice minacciosa la contessina settantenne Ludovica Alberta Strozzi, anzi “Stronza” come la chiama tra sé Manuela mentre le sfila accanto, beccheggiando sui suoi passi, come fa di solito quando gli girano di brutto le ovaie.

 

- Uno di voi ha ucciso la checca e può star certo che stavolta sarà lui, o, lei a rimetterci l’imene del culo.

 

Sì, Manuela è sboccata, ma non ci può far niente. Inizia la mattina appena sveglia, quando si guarda allo specchio e vorrebbe essere dolce e graziosa come tutte le altre fanciulle fatte per trovar marito … e si manda affanculo. Il primo vaffanculo della giornata.

 

Manuela si sistema nello studio adiacente al salottino, dove attendono di essere interrogati i principali sospettati del delitto. Si guarda ancora un po’ attorno per sentire meglio la personalità della vittima.  Sulla scrivania e per il resto della stanza tutto è curato fin nei minimi dettagli, nell’aria c’è un delizioso aroma di vaniglia.

D’istinto sfila una Merit e la accende spandendo due grandi sbuffi di fumo puzzolente, solo per il gusto di sporcare quell’ambiente, un po’ come i cani che pisciano per marcare il proprio territorio. Ora era tutto pronto per torchiare quei babbei.

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Chiusi in un silenzio introspettivo, i sospettati sembrano immobili statue di cera, si consumano al ritmo della pendola, gocciolando al pensiero dell’enorme fiamma distante giusto un paio di metri in linea d’aria. Nell’attesa, assaporano il gusto amaro dei minuti che scorrono lenti sull’isocronismo perfetto dell’antico orologio.

Manuela richiama  all’ordine testa di morto.

- Che il circo apra i battenti -  gli dice - Portami quella specie di Don Mazzi dall’aria svampita, e già che ci sei chiama il dottor Della Morte e digli di muoversi con quell’autopsia, ché nel giro di un’ora voglio il referto completo!

Don Paride viene richiamato all’ordine nel bel mezzo di un’avemariapienadigrazia, doveva essere la terza, ma il suo tremore gli aveva fatto saltare almeno un paio di volte le dita ossute sul rosario, con notevole indignazione dell’onnipresente Altissimo, in verità già scazzato dai numerosi vizietti del prelato. Sedutosi di fronte alla poliziotta, si vede per la prima volta nei panni del confessato, dall’altra parte di una staccionata di cui aveva sempre deciso altezza e condizioni.

- Conosce  Ambrose Gwinett Bierce?- chiede Manuela spegnendo la sigaretta in un enorme posacenere di alabastro color avorio.

- Mai sentito!- ribatte il ministro religioso – In questa casa, che da lungo tempo ospita le mie stanche membra, io non sono che un pastore, un pastore della parola di Dio!La contessina Strozzi ha sempre avuto un animo fragile, così sua madre, che Dio l’abbia sempre tra le pecore più belle del suo pascolo, me ne affidò le cure.

- Lei parla troppo di pecore e pastori, Don Paride, ed io sono qui per capire chi abbia accoppato il conte. E’ un vero peccato che lei non conosca Bierce, lui definiva il prete come un gentiluomo che sostiene di conoscere la giusta direzione per raggiungere il Paradiso, e pretende di estorcerci un pedaggio per quel tratto di strada. Cosa ne pensa?

- Che Dio perdoni le sue blasfemie!Non ho nulla da nascondere.

I minuti scorrono veloci, l’ispettrice ricostruisce a suon di domande i movimenti notturni del prelato, Don Paride non fa altro che ripetere di essersi congedato dalla sala da pranzo alle 21.30 circa e di non essersi più mosso dalla sua camera da letto. Preghiera, lettura delle Sacre Scritture, riposo. L’ispettrice annota ogni affermazione sul vecchio taccuino in pelle.                                                                                                          

Mentre il prelato si assenta un attimo per un impellente bisogno corporale, testa di morto fa irruzione nello studiolo, richiamando l’attenzione dell’ispettrice.

 

- C’è il dottor Della Morte al telefono, chiede di parlare con lei – la informa con tono mesto l’assistente.

- Passami il macellaio!- tuona l’ispettrice, spostandosi a grosse falcate  verso la finestra.

L’anatomopatologo inizia una diatriba chilometrica sulle condizioni del morto, descrivendo minuziosamente l’autopsia appena terminata. Manuela, già stremata dall’interrogatorio/sermone appena sospeso, sente la tipica morsa allo stomaco di quando è in arrivo una sfuriata  epocale. Inspira, pronta ad interrompere il medico con un turpiloquio sulla futilità del sapere che il fegato di Gigì pesi quasi due chili, ma le sue cattive intenzioni vengono momentaneamente placate dall’avvento su un piatto d’argento del primo vero indizio dall’inizio delle indagini. Il medico, analizzando le ecchimosi digitali provocate dalla pressione dei polpastrelli sul collo del conte, ha notato che una di esse presenta una piccola zona maggiormente pigmentata, prova inconfutabile che l’aggressore, al momento del delitto, indossava un anello.                                                                                  

Un anello, quattro indiziati, ma questa non è l’unica informazione che Della Morte può fornirle. Lo strozzamento di tipo manuale, come quello riscontrato in questo caso, prevede che trachea e laringe vengano schiacciate contro la colonna vertebrale con una pressione di venti chili, ma questo è possibile solo nel caso in cui vi sia una sproporzione di forza tra l'aggressore e la vittima.                                                                                                                                                                                                  

Sorride, Manuela, comanda alle sue labbra di contrarsi, muoversi lateralmente e riavvolgersi come una persiana sui denti ingialliti dalla nicotina. Testa di morto fa rientrare Don Paride, il quale, sotto preciso ordine di Manuela, era stato chiuso a chiave nel bagno durante l’intera telefonata e la pausa caffè che ne era seguita.

- Ha ripensato a quanto dichiarato prima? Vuole aggiungere qualcosa?

- Non ho nulla da aggiungere.

- Può andare, ma prima mi dica un’ultima cosa. L’anello che porta al dito medio della mano sinistra, cosa rappresenta?Lo indossa sempre?

- E’ una delle insegne episcopali ricevute durante la consacrazione. Non l’ho mai tolto dal momento in cui mi fu donato.

- Vada pure, ma ricordi che non le è permesso lasciare la villa fino a nuovo ordine.

Uno spiraglio di luce si apre nella notte ormai calata, un ultimo morso alla sua Merit e sarà di nuovo pronta per torchiare gli altri sospettati. Pensa, Manuela, osserva la bellezza dell’Urbe dall’antico terrazzo di Villa Strozzi e pensa.  Intanto, nello splendido salotto al piano inferiore, c’è qualcuno che piange tra le braccia del prelato, è la contessina Ludovica Alberta Strozzi che, appoggiando dolcemente le sue labbra al silicone sull’orecchio del religioso cugino, gli sussurra un singhiozzante “ti amo”.

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Frattaglia

- Testa di morto, vammi a chiamare Sua Maestà Stronzi.

Lo scagnozzo annuisce, tornando poco dopo con la cariatide siliconata. La contessina intercede stizzita dietro al magrissimo aiutante di Manuela.

- Ha deciso di tenerci in piedi tutta la notte, ispettrice?

Il tono di voce sull'ultima parola è molto chiaro, gronda sarcasmo, sfiducia e fastidio.

- Prego, si accomodi, Eccellenza.

Quella parola, usata appositamente a sproposito, non fa che ricopiare il tono della sua avversaria. Ludovica Alberta Strozzi non pare particolarmente affranta dalla scomparsa del fratellastro. Si siede su una poltroncina, bofonchiando indignata.

 

- Mi parli un po' del suo defunto fratello.

- Che vuole che le dica... Era un vizioso, dalla scomparsa del nostro augusto genitore, che Dio l'abbia in gloria, non perdeva una sola occasione per portare a casa i suoi “amichetti”. Anni fa erano parecchi, poi avevano iniziato a diminuire mentre invecchiava. Ora credo che sia rimasto solo quel bamboccio là, Valter, e se venissi a sapere che andava con lui perché lo pagava non mi stupirei minimamente. - un'ulteriore smorfia di disgusto appare sul volto della contessina.

- Capisco. Lei non aveva motivo per odiare il conte, immagino, a parte il fatto che fosse un vizioso.

- Assolutamente no, cosa crede?!? Mi limitavo a esprimere la mia disapprovazione nei suoi confronti a voce, ecco tutto.

Manuela si accende un'altra sigaretta, tirando una grossa boccata di fumo mentre parla.

- Prego, faccia come fosse a casa mia. - La fulmina la contessina con lo sguardo.

- Senta... e mi dica – Manuela ignora appositamente le parole della sospettata – in caso di morte della checca, a chi sarebbe andata l'eredità?

- Mfh! Nell'ultimo testamento che aveva redatto, io sono la sua principale erede. Ma spero che non pensi che sia stata io per un motivo così volgare come i soldi!

Manuela la fissa in volto, tra le volute di fumo, senza dire nulla. La contessina appare nervosa, eppure ha la sensazione che non le stia mentendo.

 

- Un'ultima domanda. Ho bisogno di sapere precisamente cos'ha fatto, quella notte.

- Io... sono uscita dal salone verso le 21.45, mi sono recata nella stanza di Don Paride dove sono rimasta una decina di minuti, per recitare con lui le preghiere serali, e verso le 22 sono andata nella mia stanza, da dove non mi sono più mossa.

Perfetto, pensa Manuela, due testimoni ascoltati e ci sono già due versioni discordanti. Fa un cenno a testa di morto perché porti la decrepita contessina fuori dalla porta, mentre resta qualche secondo a riflettere.

 

“Per favore, mi permetta di presentarmi, sono una persona facoltosa e di classe”, Manuela sta cercando di ricordarsi il maledetto titolo della canzone dei Rolling Stones, ma le sfugge. Sbuffa, rivolgendosi a testa di morto.

- Vammi a chiamare lo svedese, va.

 

 

Alto, muscoloso, bello e perfetto. La gran fregatura è che è frocio. La nostra eroina è seduta nella stanza, sbracata sulla poltroncina come se fosse casa sua, ed è questo quello che pensa mentre entra il terzo sospettato. Peccato solo che sia un po' pallidino, le occhiaie scavate... beh, è anche stato tirato giù dal letto nel cuore della notte, e al momento è sospettato di un omicidio, normale che non sembri al massimo della forma.

 

Manuela va subito al dunque.

- Beh, com'è fare il puttano?

Il bianco pallido del volto del modello si tinge di rosa, mentre arrossisce.

- Preferisco escort, grazie. - dopo un attimo di tentennamento aggiunge – ma non lo faccio regolarmente. Solo per far quadrare i conti di casa.

- E' questo il tipo di rapporto che avevi con Gigì? Non mi dire che stavi col vecchio solo per amore, perchè non ci credo.

Lo svedese annuisce, deglutendo.

 

Manuela continua a fissarlo, giocherellando con un soprammobile, e continuando a pensare a quanto ben di dio sprecato. Saprebbe lei cosa fargli a questo qui! Lo sguardo le cade su una delle sue mani, sulle quali il ragazzone porta un anello, pura bigiotteria.

 

- Voglio sapere esattamente cos'hai fatto, questa notte.

- Avrei dovuto dormire con il conte, questa notte. Ma ha detto che siccome non si sentiva molto bene, dopo cena sarebbe andato a dormire da solo, anche se mi avrebbe pagato comunque. Subito dopo cena, alle 21, mi sono chiuso in camera per mettermi a usare il portatile... non ho sentito nulla, sono andato a dormire verso le 23.

- Ok... penso che possa andare. - fa un cenno al suo scagnozzo di buttarlo fuori.

 

Appena fuori dalla stanza il bel biondone si dirige verso il bagno. Si fissa per un secondo allo specchio, come se sul viso cercasse i segni di chissà che, poi si sciacqua la faccia. Una mano corre alla tasca dei pantaloni: estrae una scatolina da cui prende una pillola. La inghiotte, annaffiandola con un bicchiere riempito col liquido preso dal lavandino.

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Il doloroso e stressante gioco ad eliminazione è quasi finito, ora Manuela ha davanti a sé l'ultimo sospettato rimasto, prima di sparare la sua sentenza e tornare a casa, così da ostruire le proprie arterie con dello strutto.

Ecco come sopperisce alla mancanza di uomini.

Amedeo è un ometto insignificante sulla sessantina, di quelli che non colpiscono fisicamente in alcun modo, se non per quella stranezza di un occhio blu e uno verde. Manuela aveva un amica con lo stesso particolare alle elementari, se lo ricorda...si chiamava...Francesca?Federica?Era qualcosa con la F...o forse era un maschio?Filippo...probabile....e poi, in che sezione era alle elementari?nella C?

- Mi scusi...- il maggiordomo osa interrompere il suo flusso di coscienza con una flebile voce – voleva...chiedermi...qualcosa?

Manuela annuisce, spegnendo la decima Merit della giornata. “Mi faranno male, queste” pensa.

- Del gatto.

- Del gatto?

- Il gatto. Orfeo. - quel dannato gatto deve pur c'entrare qualcosa, no? O almeno ci spera dannatamente, la ragazza – perché è morto?

- Ne avevamo già parlato due settimane fa....avrà ingerito per sbaglio il veleno che usiamo per i topi in mansarda...non lo so...

- Già, qui nessuno sembra sapere niente...mi dica, da quant'è che lavora qui?

Il maggiordomo alza gli occhi particolari ma vuoti al cielo, come se la risposta fosse appesa al soffitto; anche Manuela è tentata di guardare lassu, ma teme che sia una presa per il culo.

- Sono 27 anni ormai...27 anni di dedizione. - sospira.

- Lei lo sa come si dice, no? L'assassino è il maggiordomo! - Manuela vuole tentare la sua rinomata (almeno per lei) tattica del tifissofinchènoncrolli, sperando di carpire qualcosa di utile dal rimbambito.

- Cos'ha fatto ieri sera dalle 21,30 in poi? - e lo fissa.

Lui la guarda.

Lei lo rimira.

Lui la osserva. Gli occhi sempre più vacui.

“O questo è molto furbo, o è davvero rincoglionito. Forse pure un po' fatto” si dice Manuela. Vuole incalzarlo, pretende una risposta. Subito.

- Io...Io...ho....tavola - la voce si fa sempre più sussurrata, spingendo la giovane ad tendere l'orecchio.

- Non ti sento!NON TI SENTO! - tuona, le vene del collo completamente tirate. In sottofondo, il respiro del vecchio si fa sempre più affannoso, finché, all'ennesimo “Parla più forte” con un tono più alto del normale, emette un singulto, un inquietante rantolo e la sua testa finisce a faccia in giù sulla scrivania in mogano, accompagnata da un sonoro TONF elegantemente onomatopeico.

Manuela si lascia sfuggire un – Ma che cazz...? - che rimbomba come un terremoto nella stanza ora completamente silenziosa. Che sia morto? Giusto per assicurarsene (vorrebbe evitare un'indagine interna), allunga titubante un accendino per sfiorargli la spalla, quando Amedeo si riprende con uno scrollone, provocandole un salto sulla sedia.

- Deve perdonarmi; - borbotta, schiarendosi la voce. Il suo respiro è ora stranamente regolare, e negli occhi guizza un nuovo barlume di vita – allora, ieri sera ho sparecchiato la tavola dopo che il conte e i suoi ospiti avevano finito di cenare, ci avrò messo una mezz'ora. Dopodiché, mi sono appartato in giardino per farmi una sigaretta. I padroni non vogliono che fumi, per cui lo faccio di nascosto. A proposito, posso averne una? - chiede indicando il pacchetto di Merit.

Il suo nuovo incedere sicuro e la richiesta davvero troppo spinta porta sul volto di Manuela una smorfia di disgusto, facendole sbottare: – Certo che no!

- Va bene – ribatte l'altro, facendo spallucce – Comunque, sono andato a letto. Stop. Io non ho ucciso il conte; come le ho detto, ho dedicato a questa famiglia 27 anni di completa fedeltà.

Le ultime parole le sembrano scandite con una certa parsimonia – E in questi benedetti anni, non ha visto crearsi degli attriti fra il conte e i suoi...ospiti?

Una risatina piuttosto angosciosa trapela dalle labbra del vecchio, ormai divenuto “il sinistro vecchio” - Io potrei raccontarle molte cose. Potrei raccontarle di come ogni sera, passando davanti alla camera di Don Paride, senta lui e la contessina intenti in gemiti tutt'altro che ascetici; oppure di come nei lontani anni '60, il conte di sera si trasformasse magicamente in Madame Gijì. Potrei anche dirle che Walter non riesce più a farselo venire duro ed è come un uovo di Pasqua pieno di pasticche. Di quanto astio la ricchezza porti. Sì, potrei raccontarle tanto di quello che implica la mia professione.

Alla faccia dei 27 anni di dedizione, questo è una carogna!, si dice Manuela, ora quasi in soggezione. Ha deciso di aver sentito abbastanza dallo strano stronzetto, per cui lo congeda sperando di non incontrarlo mai più al di fuori di quelle quattro mura.

Fa appena in tempo a vedere la collana che gli spunta dondolando dalla camicia, prima che esca dalla porta. Solo che non è affatto una collana,è...

- Quello è un anello? - e già pregusta di poterlo sbattere in galera e donare la chiave a Medici Senza Frontiere. Il fatto che lui sia ancora fra i potenziali killer la rasserena quel tanto che basta per accendersi una nuova Merit.

Amedeo lo alza con il pollice, mostrandoglielo per bene – E' la mi fede nuziale.

- E' sposato? - così si immagina la povera succube del derelitto; o forse pure lei è una sinistra vecchina.

- Lo ero, ma la vita privata e questo genere di vita lavorativa non si conciliano bene. - quanta repellente amarezza nella sua voce! - Non me la rimetto mai, ma non posso buttarla; il passato è passato, ma i ricordi sono ricordi.

Una volta andatosene, Manuela, ormai totalmente spiazzata, si getta sospirando sulla sedia, vedendo sempre più lontani il suo strutto e la sua poltrona. “Il mondo è proprio bizzarro,” pensa  “sembra che sia  normale solo io”

Di quei 25 indizi quanti ne ha trovati? 1? Massimo massimo 2?? E quanto tempo le rimane, perché non ne rimangano solo 4 e forse manco quelli? Dunque, tre ore diviso quattro indizi...

Completamente immersa in un operazione senza capo né coda, piena di pi greco e teoremi di Pitagora, testa di morto fortunatamente entra a fermare il suo nuovo volo pindarico, portandole l'informazione che gli aveva “dolcemente” chiesto di ottenere: il giorno della morte di Orfeo, Walter si trovava su un traballante volo per Vienna, dunque Bocca di rosa non poteva avere ucciso il gatto. Questo certo non è molto, e non lo escludeva dalla rosa di sospettati per l'omicidio del conte, ma è già un passo avanti.

Manuela sorride, ma leggermente, per non mostrare a testa di morto il suo dente cariato che le da un fastidio tremendo.

Un altro indizio.

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  • 2 weeks later...

Manuela prova a riflettere, adesso. Non esistono crimini senza soluzione, continua a ripetersi incessantemente, quasi raggelando il flusso di pensieri che dovrebbe invece scorrerle lucidamente e portarla alla soluzione del caso. Uno di quei quattro farabutti aveva ucciso il gatto e la checca, e lei avrebbe saputo chi. Deve scoprire chi sia stato.

All'esterno della villa la luce del giorno comincia lentamente a sopraffare la notte, inghiottendo pigramente le stelle in quel bagliore soffuso, mentre all'interno della stanza una Merit dopo l'altra satura l'aria di fumo denso, quasi fosse una nebbia pregnante ed impalpabile che – come sempre – la aiuta nella concentrazione.

“E adesso, veniamo a noi. Ragiona cazzo. Ragiona.” si dice, disegnando a falcate rabbiose il perimetro della stanza.

“Uno di loro... uno di loro è il figlio di puttana che sto cercando. Uno di loro mi ha detto una cazzata. Beh, sicuramente tutti mi hanno detto almeno una cazzata. Ma una di queste inchioderà il colpevole e potrò finalmente sbattere quel figlio di puttana in galera, magari dopo averlo strapazzato un po'”

Non resta che fare il punto della situazione, e scovare finalmente la cazzata.

Uno di loro... uno di loro ha mentito, avvelenato il felino e strangolato la checca. Ma chi?

Ancora grandi falcate.

“Ragiona porca puttana. Ragiona. Hai pochi indizi, ma ci sono. Comincia dall'inizio. Comincia dall'anello. Praticamente ognuno dei sospettati ne ha uno ma non tutti avrebbero la forza fisica di strangolare qualcuno a mani nude. Secondo indizio. Sicuramente non la contessa Sticazzi, che siliconata com'è sarebbe probabilmente esplosa sotto tale sforzo. E, volendo essere onesti, neanche il vecchio maggiordomo avrebbe avuto la forza di commettere un atto del genere. Il suo cuore stava per cedere durante un interrogatorio, figuriamoci avesse le palle di ammazzare qualcuno. Il che mi porterebbe a concentrare i sospetti sui due rimasti: il porco e il puttano.

Ma il vichingo ha già un buon alibi per la morte del gatto, e praticamente nessun movente per uccidere il vecchio, che lo pagava profumatamente. E, apparentemente, neanche il prete avrebbe avuto motivo di farlo fuori.”

Un sommesso borbottio comincia ad uscirle delle labbra. Una sequela lamentosa di insulti e bestemmie degne della dannazione eterna. Cos'è che non riesce a vedere? Cosa le sta sfuggendo?----

- Ispettrice... I... I... I... Ispettrice? - balbetta testa di morto, entrato nella stanza giusto in tempo per godersi il rosario di improperi e più timorato di Manuela di quanto non lo fosse del suo dio per obiettare qualcosa.

- Cosa? Cosa vuoi? - sbotta d'un tratto lei, con una veemenza tale da far sembrare testa di morto piccolo, sempre più piccolo, quasi quanto un insignificante insetto che potrebbe facilmente essere schiacciato sotto il tacco.

- I sospettati chiedono quanto ci vorrà... Cominciano ad essere impazienti -

- E che cosa cazzo vuoi che me ne freghi? Uno di loro ha ammazzato qualcuno stanotte, porca puttana. Pensano forse di essere ad una scampagnata? -

- Io... Sì. Mi scusi. -

- E ora togliti dalle palle. Devo pensare. -

Testa di morto fa per uscire, prima di essere brutalmente fermato dall'ispettrice con un ringhio che, in un modo o nell'altro, avrebbe dovuto significare “aspetta”, ma che suonava più come un “tu”.

Gira la testa verso di lei, in attesa di ordini.

- Vammi a chiamare di nuovo il porco. Cioè... il prete. Sì insomma quel che cazzo è. Chiamamelo -

 

All'ingresso del prete nella stanza, la scena sembra identica a qualche ora prima. Lei seduta alla scrivania di legno scuro, sigaretta tra le dita brandita quasi come un'arma, il posacenere traboccante di mozziconi spenti.

- Si sieda – dice senza troppe cerimonie, in tono asciutto ed imperativo.

Lo sguardo del prete si fa nervoso, seppure il suo volto ostenti una certa aria di fiera e serena umiltà religiosa.

- Pensavo avessimo finito con gli interrogatori... - sussurra mestamente, spiegando le labbra sottili in un sorriso di circostanza

- Se permette, decido io quando ne ho abbastanza – ribatte lei. Niente sorriso sulle sue labbra.

Il porco annuisce

- Ma certamente... Mi dica, cosa posso fare per lei? -

- Iniziamo dal dire la verità. Che ne pensa? -

- Ma io le ho già detto la verità, Signora... - ancora quell'espressione falsamente tranquilla.

- Quindi, ricapitolando, non ha visto nessuno la scorsa notte, dopo essersi alzato da tavola ed essersi recato nella sua camera. Giusto? -

Esattamente -

Manuela sospira, spazientita. O lui o la Contessa Sticazzi stanno mentendo, ovviamente. Ma chi? Uno... uno di quei quattro...

- Vede... a questo punto abbiamo un problema. perché la Contessa dice di essersi recata nella sua stanza per le preghiere della sera... - lungo momento di pausa, a fissare l'espressione del prelato che passa da apparente tranquillità, a panico, a terrore, per finire con una smorfia corrucciata d'imbarazzo.

- Oh... la Contessa... è... è... è vero. Me n'ero dimenticato. Ma n-n-noon saremo stati più... più di venti minuti... ecco... -

“Eccolo lì... eccolo che comincia a crollare, il porco” pensa lei con esultanza, stando ben attenta a non far trasparire nessuna espressione di gaudio dal suo volto.

- Allora... facciamo così: lei mi dice cosa sta cercando di nascondermi, ad esempio cosa c'è tra lei e la Contessa, ed io farò finta che lei non si sia dimenticato di dirmi di quell'incontro. Le piace l'idea? -

- Ma... ma... I-i-io e la Co-contessa... No-noi siamo solo... I-io sono so-solo il s-s-s-suo confessore... -

Per un attimo Manuela non riesce a comprendere se quel balbettio improvviso sia da attribuirsi all'imbarazzo di essere stati scoperti o alla paura di aver commesso un'ingenuità.

- Va bene... può andare -

 

Di nuovo sola. Di nuovo con il flusso di pensieri ad intasarle la mente. Di nuovo una sigaretta a penzolarle dalle labbra.

Uno... uno di loro. Ma l'unica ad avere un movente convincente erano la Contessa ed il vecchio maggiordomo, e nessuno dei due avrebbe avuto la forza fisica per strangolare il vecchio.

Quattro sospettati. Quattro alibi. Due omicidi. Due moventi. Due possibili autori dell'omicidio.

“Uno... uno di loro...” continua a riecheggiare nella mente di Manuela, fino ad un preciso momento, in cui la melodia cambia. Un dubbio, magari infondato.

“E se non fosse stato soltanto uno dei quattro?”

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  • 3 weeks later...

Tutto si risolse assolutamente per caso, a causa della telefonata della madre di Manuela.

Suo padre era al Gemelli per un infarto del miocardio.

"Il suo cardio! Io sto bene!" Aggiunse sua madre con un grottesco involontario umorismo.

Doveva andare da lui - questo era certo - ed era altrettanto ovvio che non poteva

lasciare la scena del delitto e quei quattro stronzi liberi di inquinare le prove.

- Testadimorto! Mio padre sta male, rimani qui e prestami la tua auto! -

Quando Manuela urlava, il suo scagnozzo incurvava le spalle facendosi minuscolo:

avrebbe voluto - come sempre - aggiungere qualcosa che non fosse un balbettìo. 

La mattina Testadimorto passava sempre a prenderla con la sua Volvo,

Manuela odiava l'odore delle sue stesse Merit nel posacenere dell'auto

- prima di colazione - e la macchina di servizio... beh... sapete la storia, no?*

 

*L'autore si riferisce ai tagli di carburante dei mezzi di Polizia,

voluti dal Ministro Brunetta (cfr. http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/manifestazione-polizia/manifestazione-polizia/manifestazione-polizia.html)

 

In fin dei conti Pietro non stava così male; quel vecchio stupido aveva un'altra fibra

come amava ripetere, raccontando alla figlia i suoi trascorsi in Polizia.

La corsa disperata verso il Policlinicofece però trovare a Manuela la prova regina:

quel tassello finora ignorato che completava il mosaico, anche se in modo imprevisto.

 

Tornò a Villa Strozzi che era la cena era già stata consumata.

La Contessa e il suo confessore erano ritirati in camera,

probabilmente persi in qualche innominabile devozione;

Walter cincischiava su Internet, chiedendo lumi su un forum

su come intersecare il suo romanticismo con la sua antica professione;

il maggiordomo narcolettico dormiva: con due forchette d'argento in mano,

seduto su una poltrona illeggitima, figlia d'un Biedermeier e di un Luigi Qualcosa.

 

- Andrea... - Disse Manuela senza urlare, porgendo le chiavi dell'auto a Testadimorto.

Testadimorto non si era mai sentito chiamare col suo nome di battesimo dal suo capo.

La voce della donna aveva un tono mentre strillato ed esasperato del solito.

- Andrea, penso di aver risolto il caso... Sono stata davvero fortunata -

Testadimorto sorrise. Manuela non sorrideva affatto; anche ad Andrea si spense allora il sorriso.

 

- Come immaginavo c'entrava il gatto, non poteva essere diversamente -

Manuela accese un'altra Merit, mentre fissava Testadimorto nella grande sala vuota.

- Diciamo che il gatto è il movente, non credi? Solo che gli assassini sono due -

Manuela sbuffò una boccata pastosa, nervosamente non aspirata.

- Du-due? - Intervenne Testadimorto - Io cr-credevo che...

- Hai creduto troppe cose, Andrea - Lo interruppe Manuela.

Le spalle di Testadimorto si incurvarono improvvisamente.

 

- Quando abbiamo fatto il soppralluogo per la morte di Orfeo,

non potevo pensare di avere una fortuna così grande.

Ti immagini? Un vero caso di omicidio e quel caso era mio!

Un caso davvero incredibile, non trovi? Non trovi? -

Manuela fissava Testadimorto, Andrea taceva.

- Non avrei più dovuto sopportare gli sfottò e i miagolii dei colleghi,

col caso risolto sarei finita sui giornali, avrei avuto una promozione -

Manuela alzò gli occhi al soffitto....

- Quattro anelli. il movente dell'eredità. la stazza di Walter...

Avrei solo avuto l'imbarazzo di scegliere un colpevole.

E quando lo avessi scelto, che avresti fatto? Eh, Andrea?"

Il tono di Manuela aveva ripreso il solito piglio indagatore ed alterato.

- A-avrei fabbricato le prove ne-necessarie - Aggiunse Testadimorto,

cercando di rimpicciolire per l'ennesima volta quel suo corpaccione di sbirro

che reggeva una testa troppo piccola e secca per piacere alle donne.

 

Prima di chiamare i colleghi, Manuela restituì ad Andrea la prova regina.

Aveva corso troppo forte, sapendo il padre all'Ospedale.

- Patente e libretto - Aveva chiesto quello della Municipale.

- Fottiti, Squadra Omicidi Roma Tre! Questo è il tesserino

e questo è il libretto, così te lo infili nel culo! -

Ma aprendo il cruscotto dell'auto di Testadimorto,

trovò quelle foto di lei e due lettere che non le avrebbe spedito mai.

 

Roma aveva uno di quei tramonti che ti fanno piangere, quella sera.

Manuela tornò a casa e non riuscì a mangiare nulla.

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