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Storia a Turni


Almadel

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REGOLAMENTO:

 

Si tratta di una storia a turni.

Ciascun partecipante può postare il seguito.

Non sono valide meno di quattro righe di scritto.

Per evitare confusioni, è necessario numerare il Capitolo.

Se - per sventura - due Capitoli avessero lo stesso numero,

il successivo scrittore può sentirsi libero di proseguire l'uno o l'altro

(anche senza indicare da quale di questi ha preso spunto).

Il racconto non potrà venir concluso prima del settimo capitolo,

ma potrà continuare per un tempo indefinito.

Il titolo verrà scelto alla fine.

Allora comincio...

 

CAPITOLO PRIMO

 

"Gli Elfi non dovrebbero farsi" Earl lo sapeva molto bene. Con questo non intendo dire che ai ragazzi umani la droga faccia bene, intendiamoci.

Volevo solo dire - ed Earl lo sa bene - che agli Elfi la "roba" fa particolarmente male. Credo che il motivo sia che l'eroina dà ad essi l'illusione di trovarsi a Tir Na nOg;

anche se è evidente che Earl a Tir Na nOg non c'è mai stato: non si è praticamente mosso da Milano nei diciassette anni della sua vita, fatta eccezione per una gita scolastica a Firenze l'anno scorso. A essere sinceri non sono neanche certo che lui sappia come si scrive Tir Na nOg e - senza Wikipedia - non saprebbe neanche spiegarvi precisamente cosa sia. Certo: sua madre gliene ha parlato; ma anche lei è nata in Italia e sull'argomento ha le idee un po' confuse. E' sua madre ad avergli detto di non drogarsi mai: lo so che lo fanno tutte le madri - anche quelle umane - ma lei cercò di essere particolarmente convincente; se non riuscì a farglielo capire  il motivo fu principalmente la passione materna per la vodka. "Tale madre, tale figlio" direte voi: non siate severi, certi problemi possono averli anche gli Elfi, soprattutto quelli nati e cresciuti nell'Hinterland milanese, La scarsa conoscenza materna delle materie elfiche si riflette molto bene nel nome del nostro protagonista: si chiama Earl Grey. Esatto, avete capito bene. Proprio come il thè al bergamotto della Twinings; quando Earl è nato non era ancora uscito nelle sale "Il Signore degli Anelli" e sua madre - anche lei nata a Milano - non aveva nessuna idea di quale potesse essere un buon nome elfico. E' stata una fortuna per Earl; preferisce chiamarsi come un thè piustto che "Legolas" o "Elrond" o con un qualsiasi altro nome fantasy. Gli è bastato essere stato sfottuto alle Medie per le sue orecchie a punta... Ecco, se domandate a Earl il motivo per cui ha cominciato a farsi in vena, vi dirà che tutto è cominciato a causa della sua "malformazione congenita alla cartilagine del padiglione". Per farla breve: gli servivano soldi per la chirurgia estetica (il servizio sanitario italiano non prende in seria considerazione gli Elfi che vogliono sembrare umani...) e per questo ha cominciato a prostituirsi. Successivamente ha scoperto che il motivo principale per il quale gli uomini lo cercavano erano proprio quelle strane orecchie e ha accantonato - per il momento - l'idea di operarsi. Così si è ritrovato con molti soldi e nessun buon motivo per spenderli: la situazione peggiore per un ragazzo che vorrebbe trovarsi in un posto in cui non è mai stato e in cui vorrebbe tornare (anche se non si vede in Google Earth e non sa neppure bene come si scrive). Quando Earl ha realizzato di non voler - per ora - risolvere il suo problema alle orecchie, avrebbe potuto smettere di vendersi: sfortunatamente a quel punto gli servivano i soldi per la "roba". Tutto chiaro, no? Le cose - in effetti - sono andate proprio così. Se chiedete oggi ad Earl del suo lavoro, comincerà a lamentarsi del fatto che gli uomini lo cercano solo per scoparlo e che se fosse stato un Nano, almeno avrebbe l'attivo o sarebbe entrato nella comunità bear. Earl ha visto "Il Signore degli Anelli" e avrebbe tanto voluto nascere Nano; ad Earl la barba non cresce e sua madre dice che continuerà a sembrare un diciassettenne per almeno un'altro centinaio di anni; una prospettiva felice e terribile per un ragazzo che si vende... I Nani però probabilmente non esistono, ma Earl non ne ha idea. Per adesso nasconde le sue orecchie sotto un berretto di lana coi colori della Giamaica che ha comprato al Leoncavallo. A scuola e sul lavoro, molti lo chiamano "Elfo" ma gli unici a essere convinti che lo sia davvero sono la sua migliore amica e qualche strano clienti che ne sa più di quanto non dica.

Ed io, naturalmente; ma non sono né un suo compagno di scuola né un cliente; anche se non sono molto più vecchio di lui e l'ho conosciuto in via Sammartini. L'ho riconosciuto perché possiedo la Vista e gli ho offerto un paio di Negroni: Earl è abbastanza simpatico quando beve; ma già al secondo cocktail comincia a parlare di un cielo che è sempre al tramonto, di querce più antiche della Terra stessa e di airone che non si poggiano mai al suolo... eppure io so che Tir Na nOg non l'ha mai veduta (non sa nemmeno come si scrive) e che - al massimo - ha visto Santa Maria Novella l'aprile scorso. Voleva fare qualcosa in macchina, ma io npn ho l'auto.

Gli ho lasciato il mio numero e gli ho lasciato venti euro, anche se sapevo a cosa gli servissero quei soldi. Francamente non pensavo che mi avrebbe richiamato il pomeriggio successivo e non avrei mai immaginato che mi avrebbe detto quello che mi disse.

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Silverselfer

Capitolo secondo

 

Nebbie di qui, luoghi dove perdersi, foschie notturne che disegnano auree intorno alle luci della notte - lampioni dal collo ricurvo su corsi d’acqua baluginanti, rutilanti guazzabugli di carne e lamiera a far da risacca sul ciglio di questa strada senza nome, perfetta terra di mezzo tra Milano e qualcos’altro.  

In bilico sul mondo aspetto sul margine di un marciapiede un autobus che mi riporti sul pianeta realtà. Ascolto con la pianta dei piedi la vita che pulsa poco distante nei subwoofer del rave clandestino che continua a battere nella cascina abbandonata poco distante.

 

Mi sento chiuso in questo scafandro di carne al pari di un argonauta che esplora spazi paralleli… devo aver raccolto troppe fragoline di bosco stanotte. Solo qualche ora fa ero seduto nella mia stanza a contemplare una vita che va avanti per inerzia mio malgrado, quando sul telefonino è comparso il suo messaggio – dove sei? – mi chiedeva. Dove ero? Mi sono chiesto spaventato, improvvisamente soffocato dall’ammasso gelatinoso degli impegni inderogabili. Mi ha dato appuntamento in questo posto per restituirmi i venti euro e improvvisamente si è illuminato lo schermo del cellulare , ci lampeggiava dentro la parola “Peones”, il nome di un amico, allora ho risposto – C’è un rave… - mi ha detto: “Riacchiappati il cervello” era il nome della festa. Niente di più appropriato. Era la stessa festa elfica cui m’invitava Earl. Un segno del destino, mi sono detto. Ma è anche vero che Peones non se ne perde una di festa clandestina ed è sempre in cerca di qualcuno che gli ribocchi il serbatoio di benzina della sua sgasatissima Citroen.

 

Dunque eccomi qua, di Peones ho perso le tracce, probabilmente preso dalla cucina di qualche frittata ketaminica. Ho cercato l’elfo per tutta la serata senza trovarlo, naturalmente non m’importava dei venti euro, cui non ho mai creduto potessero essermi restituiti, volevo solo sapere cosa aveva da dirmi.

Sto ciucciando nebbia da non so quanto tempo, perso in questo silente pantano esistenziale, e mi chiedo che cazzo mi frega di quello che ha da dirmi una marchetta che già non sappia. In fondo non ho mai creduto a tutte quelle storie sul fatto che è un elfo, figurarsi! Un elfo a Milano, manco un leghista in pieno trip celtico potrebbe concepire una stramberia del genere. Le sue orecchie a punta? E che vuol dire? Allora potrebbe anche essere un vulcaniano catapultato indietro nel tempo per salvare il pianeta dal disastro ecologico. Bah, è solo una balla ispirata dal cuore di una mamma che cercava di dare una spiegazione plausibile al figlio che tutti chiamavano “recchione”. Madre! Lo sanno tutti che non esistono gli elfi femmine, Liv Tyler nel “Signore degli anelli” è solo il frutto di un’esigenza di marketing.

 

Esistere o non esistere, in fin dei conti è solo una questione di crederci o meno. Su questo cazzo di marciapiede con l’umidità che mi gonfia gli anelli della colonna vertebrale, si perde la capacità di credere a nient’altro che al dolore.

 

Un Ford. Questo è un Ford Transit dell’89. Lo riconosco perché ne aveva uno uguale lo zio Toni. Lo aveva messo su dei blocchetti nell’aia della sua cascina e lo usava come deposito per i mangimi delle vacche. Me lo ricordo perché i miei mi scodellavano spesso dallo zio, e con mio cugino in quel Ford Transit ci facevamo degli incredibili viaggi interplanetari, poi, un giorno lo zio ci sorprese a farci una pugnetta a vicenda e non ci permise più di giocare nel furgone nell’aia.

 

Questo Ford non sta messo molto meglio di quello lì, anche se questo cammina ancora, anzi corre di brutto.

Si è fermato a un palmo del mio naso, senza che mi accorgessi da che parte della nebbia sbucasse fuori. Si è aperto lo sportello scorrevole e mi è apparsa questa tipa. Bellissima direi. Capelli sparati e occhi di un verde così intenso che parevano accesi da qualche fiamma interiore. Ora sta guidando come una scema giù per qualche tangenziale, da come cambia le marce potrebbe anche non aver mai preso la patente. Mi ha detto di salire e che mi avrebbe portato da lui. Ha detto proprio così – Lui mi ha detto di venirti a prendere. Chissà se intendevamo la stessa persona. Almeno di questo non devo preoccuparmi, mi basterà aspettare. Sempre se non ci si schianti prima…[/color]

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Andiamo con ordine, Silverselfer!

Innanzituttto vista la tua accuratezza,

mi pento di non aver riletto il mio capitolo

(ma avevo troppa fretta di scriverlo);

ci sono troppe ripetizioni lessicali,

ma giuro che rimediero' :P

 

In secondo luogo, ci sono due incongruenze

che possono essere sanate solo sul mio testo.

La prima riguarda l'Io Narrante che - nel mio capitolo -

non ha dubbi sulla natura di Earl, nel tuo è invece scettico.

La seconda è l'ambiguità di "Peones", si capisce a stento

se sia lui o Earl e contattare l'Io Narrante per primo

o il motivo per cui si immagina che quest'ultimo

sarà presente al Rave.

Se io avessi il tasto "modifica" emenderei le due cose...

 

La questione di stile è insanabile, ma buona.

Il mio stile colloquiale e il tuo immaginifico,

fanno un certo "effetto Tondelli" :asd:

Basterebbe solo non perdersi...

 

Quattro personaggi:

- L'Io Narrante (onniscente o scettico?)

- Earl (elfo o mitomane?)

- "Peones"

- La Ragazza dagli Occhi Verdi

 

Per il nome del rave punterei a una versione inglese

(tipo "Catch Your Brain"; l'acronimo CYB fa molto CYBerpunk)

 

Risistemo il mio capitolo dopo il Terzo;

le variazioni più significative stanno a me;

perché sul tuo testo è difficile intervenire.

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Corpoacorpo

Capitolo terzo

 

Dopo il secondo incrocio attraversato a più di 120 km/h decido di smettere di guardare fuori dal finestrino.

D'altronde non voglio nemmeno distrarre il pilota con avvertimenti o domande, giusto per scaramanzia.

 

Mi metto a pensare ad Earl. Prima non si presenta all'aperitivo, spostando l'appuntamento al rave; e ora mi fa prelevare da una pazza suicida...

La tempia sinistra mi prude dannatamente.

Non e' un buon segno.

Ormai ci ho fatto il callo, Guai grossi in arrivo.

 

Frenata esageratamente brusca. Sbatto la testa contro il sedile anteriore.

Il dolore alla tempia finisce, la ragazza dagli occhi verdi si gira verso di me con un sorriso di soddisfazione, scende dall'auto e mi apre la portiera posteriore.

Scendo ancora rintronato dal viaggio e dalla botta, non faccio a tempo a guardarmi attorno che la ragazza rientra in automobile, ingrana la marcia e si allontana con gran fretta da me.

 

Solo ora mi accorgo di non esser stato su un'automobile.

 

Mi devo essere proprio mangiato il cervello con qualche cala di troppo.

 

Conscio di aver appena superato il pericolo maggiore, chiudo gli occhi e respiro profondamente.

Non mi trovo più a Milano, l'aria non puzza, non sento alcun rumore, la fresca terra si è sostituita all'asfalto, pioppi e salici agli edifici, il cielo è grigio come la pece, non c'e' una stella e la luna è scomparsa.

 

"Earl è qui", dice una voce. Mi volto, lo riconosco. E' alto, possente, i capelli sono trecce antiche e le grosse mani pericolosi moniti. Non porta alcun vestito, ma la pelle è così spessa da celare quasi ogni forma.

"Sappiamo che ha parlato", e la sua voce riecheggia in quest'aria innaturale.

 

Deglutisco prima di parlare: "Conosci la mia Maledizione, e non pronuncierò il tuo nome per non mancarti di rispetto. Da lei ho ottenuto la Vista,  da te per vendetta l'Oblio.

Non crederai a niente di ciò che vedrai, era così giusto?

Solo le droghe di questo secolo mi aiutano a sopportare un tale supplizio.

Dunque, cose vuole ancora da me la Corte?"

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Silverselfer

Almadel, ho letto da un po' quello che mi hai scritto e alla fine ho dovuto capitolare: hai ragione.

 

Purtroppo non ho più l'opzione modifica sul testo, altrimenti avrei già usato una punteggiatura più chiara per distinguere le identità che si succedono al telefonico, parlo di earl e Peones naturalmente.

 

Un effetto Tondelli? un effetto involontario? Perché non lo facciamo proprio diventare un esperimento di neoretorica tondelliana? Niente di serio, solo una iper-personalizzazione dei personaggi sulla falsa riga del flusso di coscienza.

 

Ognuno prende un personaggio dal racconto appena letto e lo fa interagire nel contesto. Completa libertà anche nell'introdurre un nuovo soggetto.

 

Ogni capitolo diventa un racconto a sé, con un nuovo protagonista che guarda e vive la realtà con i suoi occhi. Se si fissasse anche la regola che il personaggio scelto o proposto una volta, non si potesse più cambiare, il tutto diventerebbe una sorta di gioco di ruoli!

 

Complicato? Ma no, basterebbe cominciare e poi verrebbe tutto da sé.

 

Cap terzo: CaC mi hai liquidato l'autista del furgone! E io che le avevo riservato il ruolo di cicerone... mannacc... 

Ci sono poi due punti che ho poco chiari: 1) A quale aperitivo Earl non si è presentato? - Mi sono riletto il primo capitolo di Almadel ma non ho trovato riferimenti ad appuntamenti. 2) non so quanto sia giusto riferirsi ad un furgone con il termine automobile. 3) L'ultima parte della corte giudicante è decisamente confusa, almeno per me.

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Corpoacorpo

Silverselfer,

per l'appuntamento mancato io mi riferivo alla conclusione di Almadel:

"Francamente non pensavo che mi avrebbe richiamato il pomeriggio successivo e non avrei mai immaginato che mi avrebbe detto quello che mi disse."

 

 

Visto che nel secondo capitolo si passava direttamente alla sera, ho ipotizzato un bidone per il pomeriggio.

Ho provato a continuare la storia in modo che sia coerente con i primi 2 capitoli. Quindi anche al "non avrei mai immaginato come mi avrebbe detto", giusto per capirci.

 

Per quanto riguarda il furgone... devi portare pazienza  :asd:  Da buon gay onestamente non avevo inteso cosa fosse un Ford;

si , e' vero, c'e' anche una porta scorrevole che si apre, ma ho immaginato una macchina di lusso.

 

Per il finale sulla Corte:

è lasciato aperto, non mi sembra poco chiaro.

 

Essendo più esplicito non vorrei dare troppo peso alla storia complessiva con questo mio pezzo.

Però se mi dici che proprio non si riesce a capire cosa sia successo provo a riscriverlo.

 

 

L'esperimento che proponi tu sembra divertente; ma cerchiamo prima di finire questo racconto!

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Silverselfer

All right! Capito tutto.

 

Però dammi uno spunto migliore per continuare! Io avevo pensato di giocare tutta la trama sulla ricerca dell'elfo, e man mano infittire il mistero su quanto aveva da prenderlo a parte. Cosa cerchi il giudice throll dal protagonista non riesco a spiegarmelo...

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Corpoacorpo

La mia idea è nata per poter conciliare il sognante io narrante del primo capitolo con quello disilluso del secondo.

 

Provo quindi a chiarire con questo pezzo:

 

Capitolo quattro

 

"Sappiamo che Earl ha parlato, torno a dirti. A Milano accadrà a breve".

 

So già cosa mi dirà Earl quando lo incontrerò

e sono scosso da un brivido.

Affiorano delle immagini e... Ricordo.

Poter ricordare! Solo in questo luogo mi è concesso.

 

Anni fa Lei si innamorò di me.

Perdutamente.

E tanto più soffriva tanto più sapeva che non mi poteva avere.

Per me era all'epoca consistente quanto il peso del colore bianco,

presente quanto il vento in una stanza chiusa. Non la potevo vedere, nè toccare, nè carpire.

Violando le regole della Corte di cui Lei è la regina, mi donò la Vista,

certa che la sua folle passione venisse ricambiata.

Non si sbagliò.

I colori divennero note, la luce melodia; il tempo si riflesse, e per la prima volta Vidi.

E Lei era lì, per me si mostrava; e mi parve quella notte di aver scopato come fossimo stati

i primi tra gli uomini a scoprire la gioia e il piacere.

Da quel momento riuscii a scorgere i segreti che celano le ombre tracciate dal sole.

Dietro ogni cosa non c'è più una sagoma nera, ma una trama ancora da ordire.

 

Dopo qualche tempo questo re che ora ho davanti si accorse di me.

Il tempo scorre per gli uomini; non per la Corte.

Non potevo rimanere inosservato a lungo, poche cose sfuggono a chi governa su questo luogo.

Ero diventato come loro, sotto certi aspetti, ed è forse questo che l'ha infastidito maggiormente.

 

L'Oblio impostomi come pena mi costringe a vivere come in un sogno.

Contemplo bellezze, assaporo delizie, che so non esser reali; che son costretto a riconoscere come illusioni.

Con Earl invece, qualcosa mi sembrava...

 

"Non perderti nei tuoi pensieri, affronta invece la questione". Tuona il sovrano. E continua:

"Malgrado il tuo sigillo, alcune verità vanno taciute, perchè più antiche di ogni potere.

Prima che Earl ti dica ciò che ti dirà nella tua città..." "Lo so". Lo interrompo, ritorno in me e proseguo:

"Di questo luogo conosco le Leggi. Che mi si dica solo dove si trova Earl, e rimedierò la situazione".

 

Stretta la promessa vengo congedato, ma non prima che mi venga data una piccola scatola, da portare con me.

Non ricordo come son tornato nel mio appartamento, ma è già mattino, e ho un gran mal di testa.

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Silverselfer

L'ho letto e, ora, mi pare di aver afferrato il senso.

 

Il protagonista da quando ha amato questa entità femminea è diventato una sorta di spirito di mezzo, condannato dal  re a dimenticare ciò che vive in quella realtà che per lui ha la consistenza dei sogni. In altre parole è condannato a non credere alla sua parte romantica, qualcosa che somiglia al cinismo o, addirittura, un materialismo epicureo di stampo nichilista. Sto esagerando? Forse, però mi piace tanto.

 

Operiamo una dicotomia sinaptica tra sistema limbico e neuro-corticale al personaggio di Almadel.  :pausa: Wow!

 

Il tempo di rifletterci su e qualcosa accadrà. Grazie 2C. :bua:

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  • 2 weeks later...
Silverselfer

Capitolo cinque

 

Palpebre di vetro. Dormo o sono desto? Che importanza ha quando hai palpebre di vetro? Fisso un soffitto turchese come il cielo terso di un caldo pomeriggio d’estate, strisciato dalle bave bianche di lumache jet low cost; eppure so di essere sul mio letto, me lo ricorda il dolore alla tempia, me lo ricorda il dolore della sveglia del cellulare.

 

“Piccolo mio, è ora di andare a scuola”

“Altri cinque minuti mamma, solo cinque minuti”

 

Cereali molli inzuppati in yogurt da bere comprato al discount dal GDA pari all’apporto ipocalorico di due pranzi completi: fame chimica. Malta dolciastra che s’impasta in bocca con la saliva che ti lascia sul palato un retrogusto all’hascisc. I carboidrati salgono alla base del cervelletto dando una sferzata di vitalità al cuore che riprende i BPM necessari per rimettere a fuoco la realtà. Finalmente mi sento di nuovo in sintonia con questa città che corre, corre, corre.

 

Il tempo di una doccia, cambio le mutande e infilo le pinne con la maschera per tuffarmi nella barriera corallina urbana. Una puntatina al bar per un ulteriore somministrazione di carboidrati e caffeina, poi il mare aperto. Banchi di sardine s’infilano da sole in scatole deambulanti e starnazzanti. Scoreggio silenziosamente mentre aspetto il metrò, lo yogurt con i cereali mi sta inacidendo nelle budella insieme alla caffeina. Dentro la pancia della murena che veloce sferraglia per i tunnel sotto la città, tengo lo sguardo fisso su uno dei tanti schermi LCD decerebranti per non pensare. La gente preme, mi manca l’aria, il mal di pancia aumenta e il sudore m’imperla la fronte: e se mi cago addosso!

Scendo qualche fermata prima deciso ad andare in uno di quei cessi della metro ma cazzo! Puzza così tanto da farmi passare pure gli spasmi intestinali; giusto il tempo di segnare il numero del cellulare del mio capo sul muro e me ne vado: “Transone lo ciucca gratis 555-3848728”.

 

Decido di arrivare al lavoro a piedi, ispirare un po’ di polveri sottili non mi farà male. Il palazzo dove lavoro mi aspetta ammagliante come un anemone affamato: i suoi tentacoli insaziabili continuano a catturare microorganismi umani tutto il giorno. Faccio la cazzata di somministrarmi un po’ di nicotina prima di entrare e la cloaca nel mio intestino riprende a rivoltarsi minacciosamente. Nell’ascensore scarico altri fetidi miasmi, la puzza è peggiore del gas mostarda, ma le altre sardine chiuse in quella scatola con me fingono di non sentire.

 

Striscio il badge sul tornello del Call Center, appare la scritta”provvisorio” e vengo risucchiato nel ventre dell’organismo che mi legittima come individuo nella società degli umani. Imbocco l’uscio dei bagni delle signore, notoriamente più puliti di quelli degli uomini e con più disponibilità di cessi a sedere. Dura solamente un attimo il senso liberatorio dell’evacuazione delle budella. Il pensiero vola via sottoforma di mosca nel cesso di Mr Bloom a Dublino. Poi qualcuno bussa alla porta.

 

“Tanto lo so che ci sei tu, lo riconosco dalla puzza. E’ inutile che t’intrufoli nel bagno delle donne per usufruire di una pausa bisogno fisiologico in più. Ti farò rapporto, mona!”

 

Il mio superiore è un obeso dalla pelle grassa e l’occhio giallo epatite. E’ un individuo dall’esistenza miseranda trascorsa da anfibio in un mondo edificato per gli ittici. Un transone represso in un corpo butterato da rospo, finalmente felice di sfogare il proprio istinto sessuale usando quel briciolo di potere che il sistema gli ha messo a disposizione. Ha l’alito fetente per un fegato guastato dai sovradosaggi ormonali. Metterglielo in bocca è come infilarlo nello sfintere di un morto in avanzato stato di decomposizione. Strizzo gli occhi e per non vomitare, cerco mentalmente l’immagine del cielo turchese da pomeriggio estivo. Scarico in fretta scavando la fossa in quella bocca a un altro sciame di spermatozoi sfigato. 

Me ne vado lasciando quello stronzo a far compagnia alla mia merda.  Certo che se il buongiorno si vedesse dal bocchino, mi aspetterebbe una “favolosa” giornata.

Quando arrivo alla mia postazione, inforco le cuffie col microfono e mi preparo al primo di una lunga serie di vaffanculo, quando mi ritrovo davanti ad una tazza fumante di aromatico tè.

 

“Earl”

 

In quella tana di piranha nessuno farebbe un gesto gentile a un potenziale rivale che ti vuol fregare il boccone di carne. Sulla ceramica della tazza ci sono crune dorate che parlano una lingua sconosciuta, mi ricordano qualcosa che ho dimenticato di fare. Il tè scotta e scivolando lungo l’esofago sfalda la coltre gelata della luce al neon che piove dai controsoffitti - divento un’ombra lunga sull’Antartide. Resto immobile per ore mentre sprofondo dentro di me, lentamente. Affogo sotto il pack ghiacciato che diventa una lente deformante attraverso cui il mondo mi sbraita contro. Il transone, infine, computa una parola schizzando saliva color sperma: “Licenziato”. L’anemone gigante mi vomita in strada in un conato liberatorio per entrambi.

Miriadi di scarpe mi scorrono tutte intorno, ma io non ho voglia di lasciarmi trasportare via dalla corrente. Aspetto perché non so se sto ancora dormendo o se sono sveglio. Cerco di spalancare le palpebre di vetro, ma la luce che trapela all’orizzonte è accecante come quella di un cielo estivo; poi due jet tracciano il turchese con due bave bianche di lumaca.

La sveglia del telefono sta suonando.

 

“Piccolo mio è ora di alzarsi”

“Mamma! Solo altri cinque minuti “

 

Ho lo stomaco sottosopra per il pappone di cereali e yogurt scaduto che mi sono ingozzato rientrando da quel fottuto rave del cazzo dove Peones mi ha scaricato. Trascino i passi per l’appartamento fino in bagno, dove qualche zozzone ha cagato senza tirare poi lo sciacquone. Deve essere stato Peones, tipico. Mi accorgo di aver avuto una polluzione notturna, che schifo. Devo fare sesso o qui finisce che mi si atrofizza. La dannata sveglia del cellulare si è rimessa a suonare, ma dopo averla stoppata mi accorgo di un messaggio da leggere: è di Earl. C’è scritto che ieri è passato è al call center, mi ha aspettato un po’ ma poi è dovuto andare via. C’è scritto che per farsi ricordare mi ha lasciato una tazza di tè fumante. Non so perché la faccenda del tè mi ricorda qualcosa.

Si è fatto tardi e non voglio perdere anche questo posto di lavoro, gli risponderò di straforo dal posto di lavoro, ora scappo...

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Corpoacorpo

... una sorta di spirito di mezzo, condannato dal  re a dimenticare ciò che vive in quella realtà che per lui ha la consistenza dei sogni. In altre parole è condannato a non credere alla sua parte romantica, qualcosa che somiglia al cinismo o, addirittura, un materialismo epicureo di stampo nichilista. (...)

 

Si, era esattamente ciò che pensavo!

Infatti il seguito mi è sembrato consono alla situazione del personaggio.

Più materialismo epicureo rispetto a cinismo, se vogliamo esser pignoli.

:D

 

 

 

Attendiamo dunque un ardito per il proseguo!

 

 

Non la si potrà scrivere solo in tre questa storia!?

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Capitolo sei.

 

Senza perdere tempo butto in spalla la tracolla e mi fiondo giù dalle scale, esco. Il portone alle mie spalle, io in piedi alzo lo sguardo: tempesta in arrivo. Il cielo è nero e quelle nubi minacciose sembra stiano per rovesciarsi sulla già caotica Milano. Quando piove la città sembra cadere in uno stato di frenesia. Ingorghi tra automobilisti stressati, gente che corre e si ripara con qualsiasi mezzo pur di non bagnarsi, schizzi che arrivano da tutte le parti.

 

Eppure sono felice: sono sereno, il mio cielo è sereno. Come al solito non me lo spiego, ma ho smesso di riflettere su queste cavolate da molto tempo.

 

Un respiro e sono già sul retro del palazzo pronto per montare sulla mia moto e sfrecciare fino al lavoro. Stacco il lucchetto nella penombra del vicolo e faccio salire in sella. Porca puttana! Sento il baricentro spostato rispetto alla solita posizione assunta, faccio per guardare: la ruota di dietro è a terra. Passo con la mano, quasi accarezzando la ruota e sento il taglio. Qualche vandalo ha deciso di rompermi il cazzo di prima mattina.

 

OK, quattro porchi e una nuova direzione, la metro. Accelero, intanto sento che la tempesta si sta alzando… il temporale è lì lì per scoppiare.

 

Quando arrivo alla stazione prendo un altro respiro e faccio per immergermi nel sottosuolo percorrendo con rapidità la rampa di scale. Un biglietto e poi al binario. La concentrazione di genti è aumentata notevolmente e questo senso di claustrofobia che sento nascere si affianca a qualcosa di simile alla nausea. Con un rombo lungo la galleria ad annunciarlo arriva il tram e più mosso dalla folla che dalle mie gambe entro in vettura. I primi 5 minuti passano velocemente, non penso,  -la pubblicità sugli schermi mi tiene la mente libera: la mucca dal latte buono, le merendine mulino rosso e le lumachine di liquirizia  harepo- Di colpo una notizia che intravedo  passare sui televisori dell'attuale fermata mi colpisce: un aereo che trasportava sostanze chimiche pericolose proveniente dal Regno Unito ha perso il controllo in fase di atterraggio a Malpensa e si è schiantato contro parte del terminale ovest liberando nell'aria una scia di fumi, a quanto pare tossici. Yeah! Giusto perché di merda non ne respiriamo abbastanza. Nelle immagini la scia si stagliava con forte contrasto contro le nubi nere del cielo che ancora teneva. Ancora una volta quella sensazione di familiare.

Scendo alla mia fermata.

 

La sensazione di claustrofobia è passata, così anche quella della nausea… però la vescica ora sembrava scoppiarmi. Una corsetta fino al lavoro, a 2 minuti a piedi dalla fermata. Imbocco l'ultimo vicolo e la solita puzza di pesce mi assale, giro un secondo lo sguardo giusto per intravedere che Martino il pescivendolo ha rovesciato sul marciapiede ad angolo una cassetta di sgombri. Che spreco.

 

Irrilevante comunque. Eccomi al lavoro. Sono le 7.50 giusto giusto il tempo per una sigaretta e la pisciata che mi tenevo da stamattina  prima di mettermi a lavoro. Prima tappa il bagno: entrando nel bagno degli uomini scorgo Jenna, la segretaria del capo, uscire con faccia disgustata dal bagno delle donne. Dietro di lei il capo che si pavoneggia con aria soddisfatta. Poretta. Viscido.

 

Entrando nel gabinetto con la coda dell'occhio scorgo che fuori ha iniziato a piovere, il vetro insonorizzato non fa sentire i tuoni ma i lampi illuminano discontinuamente questa giornata del cazzo. Mi siedo sul water e tiro fuori la sigaretta, una scorreggia e… non sapevo che avevo un po' di merda da svuotare, bene così, la sensazione è piacevole. Con la mano faccio per prendere l'acceddino, lo porto all'altezza della sigaretta, giro la rotellina e… cazzo! Mi scivola tra le gambe.

 

Col culo sporco mi alzo e vedo l'accendino adagiato su quel vomito di culo e piscio. E' l'unico accendino che ho cazzo. Strizzo gli occhi e per non vomitare, cerco mentalmente un’immagine alla quale pensar, un cielo turchese da pomeriggio estivo ecco! L'afferro e poi in un balzo sono al lavandino con la mano piena di sapone liquido che più che altro sembra sboro caldo. Mi passa anche la voglia di sigaretta.

 

Mi pulisco il culo e non tiro nemmeno l'acqua.

 

Scazzato vado alla mia postazione, inforco le cuffie col microfono e mi preparo al primo di una lunga serie di vaffanculo.

 

Davanti a me però trovo una tazza di te.

“Earl” Penso. "Earl? Perché penso ad Earl?"

Tuttavia non ci presto poi troppa attenzione. Inizio a sorseggiare e in quel momento mi augurai di non averlo mai fatto.

 

Un ombra apparve davanti a me. Era lui... no. Non era un lui...

"Eppure il mio cielo è azzurro, no turchese" pensai.

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Silverselfer

Aplo.. complimenti hai rielaborato la realtà onirica in modo davvero credibile. Il capitolo è scorrevole e si arriva in fondo senza fatica. Vedremo ora cosa accadrà...

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Silverselfer

Capitolo settimo

 

Nebbie di qui, mistico te deum di un buio che si fa preludio d’aurora in un crescendo impercettibile di archi e cori angelici appena sussurrati. L’odore delle nebbie di qui imperla i fili d’erba con rugiada in cui riflette caleidoscopico il ricordo di un sogno che sciama nel risveglio. Intorno a me gli orizzonti si confondono nei vapori che trasudano da corpi cui stilla la rugiada della passione. E’ una cattedrale silvana quella intorno a me, dove colonne ad alto fusto si stagliano verso una volta dalla consistenza di un nembo celeste. E’ dunque un angelo costui di cui sento il calore  eppure mi sfugge il volto? Da quale humus nasce un siffatto stelo virgulto su cui gemma dolce il nettare dell’aspra vita? Sei dunque tu Morfeo che ti prendi ancora gioco di me! Per quanto più cerchi di afferrarti, nella mia stretta sfuggi via come un frullo di passero nella selva oscura, lasciandomi solo a chiedermi se è un sogno o un ricordo  quel cielo turchese nei tuoi occhi in cui due lacrime scivolano via come bave dal pennello di un pittore poco accorto.

 

Nebbie di qui, in cui la notte si confonde col giorno che arriva in parata di cornamuse e tamburelli medievali. Atmosfere celtiche che mi lascio subito alle spalle su dei passi che frusciano controcorrente nel ruscello del tempo. Il bosco muta nelle geometriche simmetrie di un pioppeto, sento nella terra vibrare i BPM convulsi del rave che ancora si agita nella cascina che credevo di aver abbandonato. Mi volto in cerca della mia Euridice, facendola così sprofondare definitivamente nel limbo di un ricordo, del quale non è rimasto altro che una lontana isola di pioppi persa in una campagna su cui si staglia la periferia milanese che si perde in agglomerati urbani dai nomi diversi, ma la cui essenza ha lo stesso puzzo di smog che ingiallisce nella nebbia del mattino.

 

Giungo con la morte nel cuore sui margini del fiume d’asfalto che conduce nel mondo. Alzo il pollice in segno d’aiuto verso chi già sfreccia a velocità temporali molto più rapide della mia. Si ferma un Ford Transit sgangherato, gli stop rossi per un attimo diventano un faro che mi guida tra i flutti di una speme che vorrei mi portasse in dietro, lontano. Sono, invece, una comitiva di stranieri che va a lavorare in cantiere, parlano una lingua sgraziata, ma riesco a farmi capire e mi danno un passaggio. Fingo di non essere italiano per sentirmi un po’ meno solo. Prima di arrivare in città ci sorpassa una vecchia Citroen, sono sicuro che si tratti di quello stronzo di Peones. Cerco di aprire il finestrino e urlargli dietro qualsiasi cosa, ma sono lento e devo apparire molto goffo agli altri che se la ridono di gusto. Mi offrono una giornata di lavoro come manovale, io ringrazio ma li lascio mentre scompaiono in quella periferia dove mastodontici tecno-sauri si muovono lenti e inesorabili, vomitando calcestruzzo che solidifica in scheletri dove minuscole creature edificano la città che verrà.

 

Per fortuna il vecchio tabacchificio abbandonato dove Peones vive insieme con altri squatter non è lontano. La vecchia Citroen sta parcheggiata di traverso su un marciapiede, mi avvicino per vedere se le chiavi del mio scuter sono ancora sul cruscotto. La portiera è chiusa, ma so bene che il portello posteriore dell’auto ha la serratura fasulla e basta dargli un calcio per farla scattare. Mi allungo dal sedile posteriore e afferro le mie chiavi quando mi sento tirare via dai piedi.

 

- Ora mi ridai i miei soldi, bello…

 

Capita nelle nebbie di qui di essere scambiati per qualcun altro, e un energumeno di colore dall’accento bergamasco mi digrigna i denti contro, deve avermi scambiato per Peones. So che sarebbe inutile cercare di chiarire l’equivoco e senza pensarci due volte scappo a gambe levate. Deve essere trascorso parecchio tempo da quando quello correva a piedi nudi nella savana, perché lo stacco a sufficienza per saltare in groppa al mio SLK che metto in moto spingendolo con una breve rincorsa.

L’aria mi si spiaccica addosso impregnandomi dell’odore della città mentre quella sottile linea che corre tra la notte e il mattino si fa sempre più labile. Arrivo sotto il condominio dove vivono i miei, apro il portone con le chiavi che ho nel mazzo dello scooter. Entro in casa e sento rumoreggiare in cucina mia madre che sta per andare in fabbrica.

 

- Ti ricordi di avere una casa solo quando ti fa comodo?

 

Papà è già fuori a lavorare al mattatoio comunale, altrimenti mi avrebbe cacciato a calci in culo.

 

- Ce l’hai ancora quel lavoro al Call Center?

 

Ogni dettaglio in questa cucina inizia a raccontarmi una storia diversa. Il passato mi assale con i ricordi che hanno la stessa consistenza dei sogni.

 

- Devo andare adesso, Guarda in frigorifero se c’è qualcosa, non ho fatto la spesa. Mangia che hai una cera da obitorio.

 

Mi siedo al tavolo e finalmente ritrovo un posto famigliare, dove posso rimanere un attimo senza perdermi.

 

- Il letto nella tua cameretta ha sempre le lenzuola pulite. Vedi però di sparire prima che rientri tuo padre, non mi va di starlo a sentire.

 

Appena si richiude la porta, ritrovo il silenzio di casa mia, con la pendola che fa tic tac, il compressore del frigorifero che si attacca e si stacca, le campane della chiesa che rintoccano le sei del mattino. Trovo dello yogurt da bere e ci inzuppo dentro dei cereali ammuffiti per placare la fame chimica che mi torce lo stomaco. Mi getto sul mio letto su cui troneggia il poster di Freddy Mercury del concerto al Wembly Arena. Mentre mi tolgo i jeans, mi cade dalla tasca un pezzetto di carta che somiglia a una foglia di acero, sopra ci sono delle crune celtiche. Sembrerebbe un messaggio, anche se non riesco a capire cosa c’è scritto sopra. Forse sto già dormendo e non me ne sono accorto. Ho poco tempo prima che attacchi a lavorare al call center, quindi metto su la sveglia del telefonino e mi rigiro tra le lenzuola fresche.

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Silverselfer

Se c'è qualche milanese, mi potrebbe per favore tradurre i dialoghi in lumbard; possibilmente prima che mi tolgano l'opzione "modifica". PLEASE!

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Scusa ma... a parte l'intro.. che ci azzecca? Tanto per iniziare lo scooter era a casa... e sto qua da un sorso di tea si ritrova a fare non capisco cosa nè dove... e si risveglia in strada!?

 

Ma dov'è il senso di questa continuazione!? Cioè faccio per sbloccare e tu riporti di nuovo allo stallo... oltre tutto sbagliando gli incastri. Mah... -.-"

 

Nulla da togliere a come scrivi, se molto bravo... ma sembra tu abbia postato il capitolo 5 riferito al giorno dopo. Massa noioso e statico: la storia non procede.

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Silverselfer

Lo scooter è proprio il nesso, perché tu lo hai aggiunto quando il protagonista andava a lavoro con i mezzi pubblici nel capitolo precedente. Da qui ho colmato l'ellissi che c'è tra il cap 4 e 5, in cui il protagonista si risveglia nel letto di casa sua (o dei suoi genitori) senza dire o ricordare come c'è arrivato. E' chiaro che lo scooter lo ha usato per raggiungere Peones e poi andare assieme al rave. Almeno nell'intento ho cercato di farmi capire iniziando il capitolo allo stesso modo del capitolo cui mi riallaccio, il 2: "Nebbie di qui", lo ripeto continuamente.

 

Certo qui fabula e intreccio sono faticosi, anche perché è indubbio che il tempo del racconto ha degli stop causati dai ricorsi temporali che in più si confondono tra ricordo e onirico; ma credo che sia la piega che ha preso questa struttura, hai presente "Mattatoio numero 5 " di Vonnegut? Anche lì il ricordo si confonde con la "follia" e i corsi e ricorsi temporali  sono micidiali.

 

Ma senza buttarla tropo sull'intellettuale, lo scopo che mi frulla in testa è quello di spiegare quello che sta accadendo nel reale con qualcosa che è accaduto durante quella notte al rave. Io vado a ritroso colmando i vuoti narrativi, cercando di fornire delle tessere di un mosaico che deve ricomporre il lettore.

 

In ogni modo il tempo del racconto si è fermato esattamente dove lo hai lasciato tu, io ho raccontato la parte mancante che va dalla notte dell'incontro con il re degli elfi al punto in cui ritorna a casa, a che serve questo? Beh, innanzi tutto ho introdotto il rapporto fisico che il protagonista (senza nome e questo mi serve che rimanga così) ha con questa entità cui non si era mai ancora accennato, poi c'è la figura di Peones che si sovrappone spesso a quella del protagonista, e mi servirà ancora per l'altra ellissi che porta il protagonista al rave.

 

Tu ti chiederai perché? Perché ho in mente "fight Club" di Palahniuk, se non hai letto quel mirabile romanzo, spero tu abbia visto almeno il film e abbia in mente la soluzione in cui i protagonisti si scoprono essere la stessa persona. Per Peones ho in mente una cosa simile. Complicato? Uh, renderei complicato anche la ricetta di un uovo al tegamino!

 

In ogni modo far combaciare le tessere del mosaico  è compito mio,  il succo ora è che il messaggio nascosto nelle crune che ricorrono sulla foglia di platano e poi sulla tazza di tè, hanno un significato "segreto", sono un messaggio da svelare.

Ora ill tempo del racconto deve andare avanti, ma in un vecchio patto che non so se ancora valido, fatto con CorpoaCorpo, si era deciso che io scrivessi al parte onirica, quella reale spetterebbe a qualcun altro. Chi racconta i fatti? Se lo faccio io, mi sa che il senso di storia a turni si va a fare benedire.

 

NB: anche se non mi sono spiegato, so che hai capito :rotfl:

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Corpoacorpo

Grazie delle precisazioni, Silverselfer.

 

A che patto ti riferisci?  :rotfl:

Qualcosa di sottointeso?

 

e abbia in mente la soluzione in cui i protagonisti si scoprono essere la stessa persona

Capisco i tuoi piani, anche io ne avevo di simili, anche se con personaggi diversi; però in realtà ci terrei di più (ai fini dell'esperimento letterario) che fossero differenti autori a continuare il racconto.

Come si può fare?

Magari sarebbe utile farsi un'idea del contributo che si vuole dare ed esporlo in non più di 4 capitoli (per dire un numero), così da lasciar spazio anche ad altri.

 

Non e' detto che quella ad avvantarsi sia la qualità, ma lo scopo non era quello.  :rotfl:

Che ne dici?

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Silverselfer

Avete ragione nel dire che questo è un esperimento collettivo e la trama non dovrebbe seguire un sentiero prestabilito, ma io sono fatto così che ci posso fare? In ogni modo il prox capitolo lo scrivo io, così da far di nuovo coincidere il tempo del racconto con quella della storia. Poi aspetteremo che qualcun'altro abbia voglia di continuare.

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