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Memorie di un amore platonico


GlassOnion

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Prima parte

 

Sesso. Questo è ciò per cui ho vissuto e vivevo da circa ventisette anni. La mia vita ruotava attorno ad unico perno, un punto di riferimento che aveva un’unica direzione: la penetrazione di un altro essere umano. La mia vita dissoluta, spesso criticata dai miei amici e dalle mie conoscenze in genere più pudiche e puritane, era ciò di cui io, al contrario, andavo più fiero. La lascivia era la mia filosofia di vita. Molti decidono di seguire Buddha e le sue dottrine per raggiungere il Nirvana, ma io, il Nirvana, l’avevo sempre raggiunto libando al dio Eros i miei orgasmi. Il mio non era un semplice libertinaggio: era, appunto, una vera e propria fede, se vogliamo. I miei dogmi erano tanto particolari quanto sensati, forse mai visti di buon occhio, dal momento che davano libero spazio al mio sconfinato cinismo.

La mia tesi principale era, semplicemente: l’amore non esiste.

Una seconda tesi seguiva: e se(ipotizzando per assurdo) esiste, non è per sempre.

Questi erano i cardini del mio vivere. Amavo definirmi un epicureista, in quanto seguace del Piacere ed assiduo fruitore di esso. Anche per me, come per Epicuro, il Piacere era il Bene sommo ed era facile raggiungerlo. Forse era una semplice scappatoia attraverso cui fuggire dall’amarezza della realtà che mi circondava, dall’inettitudine dei miei giorni, non saprei. Ma una cosa era certa: io non ero mai stato innamorato di nessuno. Non avevo mai creduto ai romanzi e ai film che mi propinavano storie di grandi passioni sfociate in un sentimento imperituro. Avevo sempre visto l’amore come un temporaneo stato confusionale che avviluppa gli esseri umani e fa loro credere di volersi dare completamente a qualcuno, di vivere per qualcuno, di essere un sinolo aristotelico con qualcuno. E se questo sinolo perdurava, beh: l’amore si era semplicemente tramutato in abitudine. Come quello dei miei genitori, che mi dava ormai l’impressione di essere rimasto ancora intatto dopo più di vent’anni. Per me era semplicemente un sentimento come un altro, solo più sopravvalutato.

E poi, ribadisco, io non avevo mai creduto nel per sempre, perché per me tutto era Caos, tutto era così disordinato, così casuale. Non che fossi un vigliacco che non amava prendersi nessun tipo d’impegno (foss’anche solo amichevole), ma credevo soltanto nell’estemporanea massima espressione di un sentimento, finché esso fosse durato. Era la qualità delle azioni ad importarmi, non la loro durata. Ma qui scadrei nello pseudo-filosofico e non ho intenzione di dilungarmi sulle mie teorie erotiche degne di un vero Platone da strapazzo.

Finora ho parlato all’imperfetto e al trapassato prossimo. Ma soltanto perché non ho ancora parlato di quel qualcosa che, come potrete intuire, mi ha segnato per il resto della mia esistenza. Quel qualcosa che paragonerei alla leggendaria folgorazione di Paolo di Tarso lungo il suo viaggio sulla via di Damasco.

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Grazie mille, halo.  ;)

Mi piacerebbe molto essere al primo anno di filosofia, ma ancora un anno di liceo mi separa da esso!

(sì, in effetti ho messo un bel po' di riferimenti filosofici, eheh.  :ok:)

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  • 1 month later...

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