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Guerra > E’ < Pace - Chi siamo e contro chi combattiamo?


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Guerra > E’ < Pace

Parte 1

Riflessione storica sulla guerra e la democrazia dei diritti civili

 

Introduzione

La guerra russo-ucraina è come se giungesse al primo capitolo di quello che per il vero c’era stato annunciato in un’introduzione lunga dieci anni. Un racconto scritto da un’informazione 2.0 che cova in seno aspetti da fantascienza cyborg punk, tipo l’Information Overload Addiction, il cui input compulsivo di ricerca d’informazioni induce a credere alla verità più vicina alle nostre aspettative > Lo abbiamo visto durante la pandemia da Covid-19 come il dubbio scientifico fosse usato per avvalorare le teorie più originali > In tal modo, anche la guerra in Ucraina è diventata “opinabile” …

Io ho provato un grande sgomento quando il 24 febbraio 2022, dalle tv iniziarono a passare le immagini dei bombardamenti russi su Kiev > I cannoni scampanavano all’alba del ritorno della guerra in Europa. La memoria biologica, quella tramandata con la carne, ha ricordato subito l’atavica impronta fossile sulla coscienza di noi europei < L’omicidio. Quella che vedevamo in televisione era la nostra preziosa pace in una cornice apocalittica > C’erano i nostri cari animali domestici, i bambini vestiti di tinte pastello come in un’immagine distorta di qualche pubblicità, le mamme coraggiose e i papà eroici, tutto come l’avremmo trovato scritto in letteratura … la nostra letteratura < Quelli eravamo noi e non i soliti “altri” da compatire o biasimare. Dopo lo sgomento iniziale, i canali d’informazione hanno costituito quel tipico delta di fiume, dove tutto s’impantana e ognuno scava la sua via per trovare una ragione plausibile. Io qui faccio lo stesso, ma per la direzione inversa perché voglio risalire alla sorgente delle ragioni che inducono alla guerra.

Inizio con l’indagare i mie primi ricordi della guerra > Andavo ancora a scuola quando mi commosse il coraggio dell’omino davanti alla colonna di carri armati a Tienanmen e poi l’orrore del massacro dei giovani manifestanti (4 giugno 1989) e poi ricordo la notte in cui cadde il muro di Berlino (9 novembre 1989) e la gente dell’Est che prendeva d’assalto i “sexy-shop”… e poi la rivolta a Timinsoara in Romania (16/25 dicembre 1989) > Il mondo reclamava la democrazia occidentale. Da allora, il fiume carsico di questo desiderio è riemerso periodicamente in qualche piazza del mondo … e oggi come non citare le giovani vittime iraniane! < Il motivo per cui si ricorre all’omicidio pur di respingere la democrazia, sta nel fatto che non si tratta di adottare un sistema politico, bensì accettare uno stile di vita occidentale basato sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR – 1948).

La mia riflessione parte dal presupposto di domande semplici > Cos’è la democrazia dei diritti umani e perché la repressione ne ha costellato il cammino storico anche in occidente? Perché il vessillo dei diritti umani è oggi alzato in battaglia dagli Stati Uniti d’America? La violenza è indispensabile per la difesa della pace? 

 

La Pace degli Occidentali

 

Iniziamo a dire che L’Italia non è tra i paesi cofondatori della democrazia occidentale, lo stesso vale per Germania e Giappone, cioè la triade che formava l’Asse degli Imperi del Male che, prima spazzarono via la Società delle Nazioni con le loro iniziative di guerra, e poi calpestarono ogni principio che sarà stabilito come diritto umano universale, finanche la promulgazione di leggi di stampo razziale. La pace occidentale è caratterizzata dall’UDHR, documento rilasciato dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 novembre 1948 > La Universal Declaration of Human Rights > La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani era fortemente ispirata alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino in ambito della Rivoluzione Francese (1789), ma anche dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776). La votazione dell’Assemblea delle Nazione Unite 219077A, passò con 48 voti a favore su 58. I paesi comunisti come Unione Sovietica e Cina erano incompatibili con tali principi, ma anche gli Stati teocratici o semplicemente razzisti come il Sud Africa erano impossibilitati ad accogliere tali principi di libertà dell’individuo. Col passare del tempo, la pace degli occidentali è diventata quella delle battaglie sui diritti civili, rese possibili proprio dalla primigenia UDHR. Gli ex imperi dell’Asse che persero la seconda guerra mondiale furono costretti a recepirla, mentre chi la mal digeriva vi si è sempre opposto con interpretazioni unilaterali.

Per noi occidentali è qualcosa di scontato vivere la propria esistenza in una società che ci garantisce la libertà di scegliere, ma non è così per la maggior parte dei popoli. Del resto, fino a non troppo tempo fa anche da noi la felicità personale era ritenuta una vanità mondana, e fu così fino ai moti rivoluzionari accaduti a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Prima di allora, anche in occidente la pace contemplava solo dei doveri/virtù che condannavano l’individualità/vizio. La via sulla conquista dei diritti è stata lunga e sanguinosa, su questo percorso di guerre e persecuzioni si sono formate le democrazie occidentali, ma si tratta di un momento storico dal passato recente e averne consapevolezza ci deve costringere a non darlo per scontato.

La guerra ucraina segna una frattura con tutti quegli Stati che in qualche modo non recepirono la UDHR e le conquiste civili che ne scaturirono. Stiamo parlando degli Stati autocratici, teocratici o democrature la cui Carta Costituzionale è espressione dei diritti di un gruppo dominante. Un tratto comune a tutti questi regimi è lo schema sociale patriarcale, infatti, questi dittatori, questi padri della patria, uomini forti a volte ispirati da Dio stesso, non sono altro che gli eredi di quei patriarcati da cui proveniamo anche noi, i quali sopravvivono anche nelle nostre società e aborriscono ciò che tutt’oggi considerano delle devianze > I diritti civili.

 

Guerra Giusta

 

Ci tengo a dichiarare un ragionamento che vuole avere un approccio socio-antropologico, ma non lo faccio per spocchia intellettuale, sono consapevole di mettermi a masticare un boccone di merda che, in qualsiasi salsa di razionalità si condisca, s’inghiotte con un sorso di piscio fatto di realpolitik. Anzi, per chiarire subito il punto di vista di chi sta scrivendo, inizio col dire che è proprio la merda e il piscio che tributano in guerra gli onori e la gloria, nomi poi resi alla storia rendendola una grande cloaca > La guerra è una pratica che si fa ammazzando e tutti la fanno a fin di bene < Del proprio bene. Ogni volta che le scorregge di qualche stronzo più grosso degli altri iniziano a profumare di alloro, la danza macabra ricomincia da capo. Il mio approccio vuole essere intellettuale perché non desidero aggiungermi a tale minuetto e mai come nei conflitti moderni, le tastiere dei PC/Smartphone diventano tazze del cesso attraverso cui vengono scaricati quintali di ingloriosa merda.

Tutti siamo convinti che la pace sia istintiva, ma non è altro che un ethos, cioè un coacervo di moralità accettata e condivisa da un gruppo dominante … da cui discende la legge e l’educazione > Assimilazione al gruppo dominante. Ogni diversità individuale è vista con sospetto perché contraddice la morale unica dell’ethos dominante > La guerra è solo l’ultimo stadio di una criticità che ricorre all’eliminazione fisica della diversità a partire dal suo interno. In tal senso, i diritti civili sono visti come il germe del caos da chi contrappone il “bene” della collettività alla giustizia per l’individuo. La guerra è il confronto di due modelli di pace che tentano di prevalere, ma la violenza inizia a montare all’interno di ogni società, portando nel quotidiano dei gesti prevaricanti messi a servizio di una regola che irreggimenta con la divisa dell’Ordine e Disciplina > Normalizzazione.

Lo scopo di un gruppo dominante è conservare l’equilibrio generato dal proprio ethos, senza del quale il gruppo si disgregherebbe > Stato di quiescenza = pace. In tal senso, lo scopo di ogni ethos è contrastare la “decadenza morale” cioè l’infiltrazione di altri modelli di ethos che ne minaccino la regola. Salvo che non si pratichi un genocidio sistematico, gli ethos diversi vanno assimilati > il soft power inventato dagli americani è il metodo di assimilazione dell’ethos occidentale, ma il metodo tradizionale ricorre ai mezzi educativi/coercitivi (es: Campi di rieducazione comunisti). Per lo più l’assimilazione riesce meglio sui bambini. Esempio comprovato di tale pratica di assimilazione fu la sottrazione dei figli agli aborigeni australiani (Stolen Generation 1869/1970) ed è la ragione della deportazione dei bambini ucraini in Russia. In Italia questa “soluzione finale” ricorre tra chi propone di sottrarre i figli ai nomadi ed è anche il motivo per cui s’impedisce a una coppia omosessuale di allevare bambini al di fuori dell’ethos dominante (cristiano tradizionale).

L’omogeneità richiesta al mantenimento di uno stato di ethos quiescente induce un controllo delle diversità al proprio interno. La legge è un’emanazione dell’ethos che giudica e reprime usi e costumi non conformi alla morale e all’etica dominante. Tanto che si può ritenere la quiescenza di un ethos come un conflitto mantenuto entro la norma di legge (Pena di morte compresa). Qualcuno mi starà già dando dell’anarchico, ma il percorso storico sulla via dei diritti civili passa anche per la discussione sulla carcerazione fatta dagli illuministi, il pacifismo stesso fu ispirato da un trattato di Cesare Beccaria sulla pena di morte e la tortura (Dei Delitti e delle Pene, 1764). L’illuminismo mise in discussione la giustizia punitiva, iniziando a parlare di diritti civili dei detenuti, tra cui il principio introdotto da Cesare Beccaria dell’inviolabilità del corpo umano > Basta con la legge del taglione, all’assassinio di Stato o ricorrere alla tortura per estorcere confessioni < Tutte pratiche giuridiche ancora in vigore in buona parte del mondo.

Il percorso sui diritti umani ha condotto allo strumento giuridico della Corte Internazionale che s’ispira alla morale accettata e condivisa con la sottoscrizione della UDHR. Tale Corte opera sulla violazione dei diritti inalienabili dell’individuo quindi anche sui crimini perpetrati da regimi giudiziari che si richiamano a un ethos che spesso si scontra con quanto impone l’adesione alla UDHR < Basti guardare in casa nostra perché in Italia diritti civili come il Divorzio, l’Aborto o l’abolizione dello stesso reato di tortura, per non citare quell’abbozzo di matrimonio egalitario per le coppie di fatto, sono conquiste faticosamente raggiunte e continuamente rimesse in discussione > L’Italia è un caso esemplare di ordine giuridico ibrido, cioè in parte ispirato a valori cristiano tradizionali in contrapposizione dei diritti civili UDHR. Possiamo dunque dire che anche nelle democrazie occidentali il percorso verso un ethos unico, cioè quello ispirato dalla UDHR, non si è concluso e fin quando non lo sarà, ci troveremo con due interpretazioni di legge in conflitto tra loro.

I processi di guerra tipo quello di Norimberga per il nazismo (1945/46), sradicano il ceppo dell’ethos nemico giudicandolo attraverso l’internazionalità del metro dei diritti umani. Per esempio, in Italia non fu celebrato mai un processo al fascismo, neanche uno blando e opportunista come fu quello di Tokyo (1946/48), è così che  quel mancato giudizio fu un’implicita amnistia, tanto che nessun italiano fascista oggi si sente responsabile di crimini di guerra come, per esempio, lo sterminio perpetrato nei campi di concentramento libici (si parla di 40.000 morti); col risultato che il fascismo fu prima parlamentarizzato, poi sdoganato dalla destra conservatrice che lo riportò al governo, rendendo inutile il divieto di apologia del fascismo. Questa incompiutezza del processo storico è il motivo per cui l’Italia, come altri Stati con ethos ibridi, rivendica il principio di non ingerenza nelle proprie giurisdizioni nazionali, cioè quel metro di giudizio regolato da una propria morale accettata e condivisa (sovranismo).   

La guerra scaturisce proprio da diversi sistemi giuridici che s’incriminano vicendevolmente. L’esperienza c’insegna che sono proprio i “paladini della giustizia”, di qualunque giustizia si stia parlando, a volerci obbligare a credere nella pace univoca > Un modello di realtà dove tutti vivono sereni entro i confini di un ethos indiscutibile > Nessuna diversità disturbante, dubbio caotico o immoralità forviante. Questa rassicurante pace così concepita, ha il volto allegorico di una divinità che ti propone caritatevolmente il suo paradiso in alternativa dell’inferno. La democrazia dei diritti umani è al contrario una declinazione in avverbio del termine Pace > Siamo tutti invitati a convivere pacificamente con le nostre diversità, in un sistema democratico che ci garantisce dei diritti civili, anche se facciamo parte di una minoranza. La democrazia occidentale non si basa su una prevalenza, ma perdura nella convivenza mossa dal benessere comune.

 

La Formazione di un Ethos

 

Un gruppo si forma intorno a un ethos stabile e siccome lo scopo funzionale di un gruppo è di sopravvivere, la proto morale accettata e condivisa risponderà alla soddisfazione delle necessità primarie > La pace è un insieme di bisogni che affratellano > Se fossimo erbivori, il nostro ethos somiglierebbe a quello di una mandria di bisonti; se fossimo predatori, allora la nostra pace somiglierebbe a quella di un branco di lupi. Invece, discendiamo da dei primati onnivori fin troppo socievoli e diventando animali opportunisti, ci siamo adattati a ogni tipo di ambiente, creando così dei diversi modelli di sopravvivenza > La pace permette di sfamarti e di farti riprodurre e dal mantenimento di questo equilibrio derivano usi e costumi, cioè la cultura di un popolo. In altre parole, si può definire popolo l’insieme sociale che accetta e condivide la stessa morale di sopravvivenza.

Un gruppo prevale quando il modello sociale scaturito dal proprio ethos funziona bene > I migliori indicatori di una prevalenza sono cibo abbondante e conseguente incremento demografico. L’ethos più funzionale assimila quelli meno riusciti, anche nel caso di una prevalenza violenta che riesca a imporsi con la forza su di un ethos più efficiente. La guerra esistenziale avviene con modelli culturali altrettanto capaci. Due gruppi tendenzialmente prevalenti possono tentare delle convivenze contrattando delle azioni non prevaricanti, quindi i due gruppi dovranno stabilire cos’è prevaricante per l’uno e per l’altro. Pur riuscendo a stabilire una pace così fatta, i due gruppi esprimeranno comunque delle morali che al confronto provocheranno lo sdegno reciproco e non potrebbe essere altrimenti perché nel caso contrario, un modello starebbe assimilando l’altro. In tal caso, sono proprio i processi di assimilazione a creare frizioni, tipo i matrimoni misti o le conversioni religiose.

 

Ethos Occidentale

 

Il modello occidentale che declina in avverbio la parola Pace persegue il multiculturalismo (Melting-Pot) che è anche l’esigenza in cui incorre un regno quando si trasforma in impero > Il regno esprime l’ethos dominante di un gruppo che si sviluppa in un luogo spesso delineato a livello orografico o insulare; l’impero si ottiene attraverso una prevalenza che supera i propri confini geografici e assoggetta degli ethos non assimilabili, quindi ricorre all’avverbio della pace per stabilire una sopravvivenza accettabile da tutti.  L’Impero Romano espresse tutti questi concetti creando la prima globalizzazione nel suo mondo contemporaneo, la ottenne con il rilascio della cittadinanza romana ai sudditi dell’Impero, fino a permettere che l’Impero stesso fosse governato da leader provenienti dalle province > Lo poteva fare perché il livello della civiltà espressa dal suo ethos era molto funzionale. La globalizzazione cui abbiamo assistito dalla caduta del blocco comunista in poi (26 dicembre del 1991) è stata espressione di un ethos funzionale (neoliberismo), sostenuto dalla prevalenza statunitense, fautrice della storia del pacifismo diplomatico post seconda guerra mondiale (multilateralismo).

Il multiculturalismo funziona col minimo comune denominatore costituito dall’universalità dei diritti umani, qualcosa cui ogni essere umano dovrebbe anelare < Per alcuni si tratterebbe invece di un processo di assimilazione all’ethos occidentale.

Conclusione

 

Il desiderio di pace è rintracciabile in ogni civiltà perché esprime un istinto di conservazione, ma questo è anche il sentimento che motiva il proprio diritto alla sopravvivenza a discapito degli altri gruppi > Si vis pacem para bellum.  Si può concludere che la guerra è un aspetto della pace e la violenza stessa è implicata nella formazione e stabilizzazione di ogni tipo di pace. Inoltre, non esiste un modello di pace unico, almeno che non s’intenda quello che domina su tutti gli altri > Impero. Insomma, nella pace non c’è niente d’identificabile con quell’idea paradisiaca in cui dei cuori palpitanti fanno scaturire arcobaleni d’amore, a parte la propaganda con cui ogni tipo di ethos promuove il proprio stile di vita.

Bisogna fare un distinguo tra la pace in sé e quello che nel tempo si è affermato come un ethos universale, al pari di un credo religioso laico, cioè il pacifismo. Il quale formula dei diritti civili affinché la legge si ponga come contrappeso giuridico nel confronto negativo dei più deboli. Questo ethos ci ha messo moltissimo tempo ad affermarsi; tuttavia, le democrazie cosiddette “occidentali” si richiamano proprio a questo tipo di ethos laico e oggi si confrontano di nuovo con un patriarcato arcaico che ai diritti oppone dei valori che discendono da Dio, cioè l’allegoria dell’ethos dominante.

 

Pacifismo Europeo

 

Per convenzione si data l’Età Moderna dal 1492 e.v. > Dopo la scoperta del Nuovo Mondo. Tal espansione offrì una sponda proprio all’evangelismo eretico perseguitato nel vecchio continente poiché minacciava l’ethos dominante di una Chiesa Cattolica secolarizzata. Il 1492 segnò dunque l’inizio di una pace alternativa che poteva finalmente svilupparsi in un nuovo spazio vitale. Quell’ethos stava già maturando da qualche secolo e lo faceva mettendo a ferro e fuoco il vecchio continente. Con questo non voglio sostenere che la questione religiosa fosse la sola che insanguinava la vita degli europei, c’erano sicuramente anche guerre di conquista o anche solo per ragioni di mero potere personale; tuttavia, erano quelle religiose che mutavano i valori morali accettati e condivisi, in tal modo dividevano i popoli e quindi frantumavano i regni.

Ripartiamo dal 1200 e.v. e dal progressivo affrancamento dei Re dal potere temporale dei papi che favorì i movimenti evangelici, tuttavia, il pacifismo puritano portava con sé un quanto di anarchico e fu perseguitato anche dalla Ragion di Stato. Furono in particolare i Quaccheri del Regno Unito ha formulare dei rifiuti che messi insieme andarono a identificare il pacifismo. In particolare c’era il rifiuto a impugnare armi e si rifiutava anche ogni giuramento compreso quello al Re o alla bandiera, inoltre si rendevano etici i principi morali del puritanesimo evangelico come l’uguaglianza tra gli individui che si spingeva fino al bando della schiavitù. Tali nuovi ethos, evolutosi nel Nuovo Mondo, giunsero nel 1815 a fondare la prima associazione apertamente pacifista > New York Peace Society, cui fece seguito l’anno dopo la London Peace Society, lo scopo era la promozione permanente della pace universale. In Europa continentale c’era stato il pacifismo menonnita anabattista olandese, quello che aveva già influenzato il puritanesimo anglosassone. Da citare anche la tormentata vicenda degli ugonotti francesi, seppure non pacifisti, furono loro ad affrontare per primi la questione dei diritti umani, fioriti secoli dopo nella Rivoluzione Francese.

Possiamo ben dire che nel XIX secolo matura una coscienza pacifista internazionale, ma è anche il secolo che si apre con la Restaurazione del Congresso di Vienna (1814/15) a seguito della sconfitta napoleonica per mano di eroi come Horatio Nelson (Battaglia di Trafalgar 1805), un suprematista bianco anglosassone. Si crea dunque una situazione che ricorda quella del 1200 e.v. cioè le elite al potere agiscono con un’etica diversa dalla morale accettata e condivisa dal popolo. I ridicoli parrucconi incipriati innescarono la guerra tra due tipi di pace, quella degli aristocratici simpatizzanti della Controriforma con l’altra animata dai diritti civili come l’autodeterminazione dei popoli. Tutto questo condusse alla guerra civile americana (1861/65) e in Europa aprì la strada ai nazionalismi, compreso il risorgimento italiano (1848/71). Lo stato permanente di una pace guerreggiante richiese l’elaborazione di un pensiero pacifista capace di far giungere a dei compromessi senza scannamenti.

Il primo congresso europeo per la pace fu convocato a Londra nel 1843 dalla London Peace Society su iniziativa dell’American Peace Society. Nel 1848 fu Victor Hugo che riunì a Bruxelles un altro congresso per la pace e ne seguì un altro a Parigi nel 1849, in Francoforte sul Meno nel 1850 e nel 1851 nuovamente a Londra. Tanto attivismo era dovuto al momento storico in cui i nazionalismi portavano a forti tensioni tra gli Stati e nel 1867, quando si era sull’orlo della guerra franco-prussiana, Frederic Passy fonderà La lega Internazionale della Pace e della libertà. Passy era un economista e alla sua visione liberista si può far risalire la teoria della filiera produttiva lunga che indurrebbe a un perdurante stato di pace.

Il primo esempio in assoluto di associazionismo pacifista nell’Europa continentale avvenne per mano di Jean Jaques de Sellon, di famiglia nobile francese ugonotta riparata in Svizzera. JJ de Sellon basava la sua teoria sullo Stato di Diritto divulgato da Cesare Beccaria, in particolare applicava il principio dell’inviolabilità della persona riportandolo nel rapporto tra Nazioni (Inviolabilità e rispetto dei confini). JJ de Sellon fondò nel 1830 La Sociètè de la Paix che, tuttavia, non era antimilitarista. Il Congresso inaugurale a Ginevra raccolse diecimila adesioni d’illustri esponenti della vita culturale europea. Due nomi tra tutti i partecipanti quelli di Giuseppe Garibaldi e Mikhail Bakunin, tuttavia, l’ospite più atteso fu Karl Marx.

La discussione era incentrata sul tipo di pace da perseguire. E’ significativo osservare come il congresso dell’Associazione Internazionale dei lavoratori si chiuse il giorno prima dell’apertura del Congresso per la pace di Ginevra del 1830, conclusione segnata dal passaggio del discordo con cui Marx vi annunciava la sua partecipazione > Il Congresso internazionale dei lavoratori è già stato il congresso di pace perché l’unione internazionale delle classi lavoratrici renderà impossibili le guerre tra nazioni e se i promotori del congresso di Ginevra l’avessero capito, avrebbero partecipato al nostro congresso. La dichiarazione di Marx mostra quanto in seno al movimento dei lavoratori si era formato un nuovo modello di pace, la cui morale era accettata e condivisa da un grande gruppo internazionale. Seppur con delle differenze, la pace laica liberale aveva dei punti con cui dialogare con la pace primigenia indicata dal puritanesimo; invece, quella socialista era in antitesi con le altre due per il suo ateismo e anti capitalismo.

Al Congresso pacifista di Berna del 1868, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori riunita a sua volta in Congresso a Bruxelles, decise di non inviare delegazioni. Decisione che centrò il dibattito del congresso pacifista sulla questione economica e sociale in rapporto con l’altra questione della pace e della libertà. L’anima socialista giunse alla conclusione che non era possibile la pace senza prima aver risolto la perequazione sociale. Il congresso respinse quest’ordine di priorità e si giunse a una scissione della Lega della pace e della libertà, con i socialisti che andarono a formare l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista (Socialismo Parlamentare). Da qui nasce la sfumatura politica moderna tra liberisti e socialdemocratici, assai meno marcata di quella che invece divide il liberismo e il comunismo, questo sia in relazione di politiche sociali sia in quelle relative al tipo di pacifismo militante.

Durante il Congresso di Losanna del 1869 fu indicato il proposito di una federazione degli Stati Uniti d’Europa come fine di una pace perdurante. Scopo che si dissolse insieme alla guerra franco-prussiana (1870) con lo scioglimento della stessa Lega per la Pace. La quale si rifondò con il nome di Società degli amici della pace, che a sua volta diede vita alla Società Francese per l’arbitrato tra le nazioni che prefigurava la Corte Permanente dell’Arbitrato creata nelle convenzioni dell’Aia del 1899/1907.

 

Pace Socialista

 

La dottrina di lotta marxista non credeva nel pacifismo, definendolo una maschera ipocrita dietro di cui si nascondevano gli interessi dello Stato borghese, il cui scopo principale era l’opposizione pregiudiziale allo svolgersi delle lotte di classe. L’abolizione della guerra per il marxismo passava per l’abolizione delle nazioni e quindi del nazionalismo, al quale non si concedevano aperture di credito basate sulla solidarietà operaia, raggirata dallo Stato borghese attraverso i tre principali motivi con cui s’inizia una guerra: difesa contro un aggressore, liberazione di un popolo oppresso, la difesa della civiltà liberale e democratica.  Siccome la guerra va contro gli interessi dei popoli, la pace sarebbe stata una conseguenza della rivoluzione proletaria. Quantunque fosse esistito un pacifismo mosso da buoni propositi, giungere a una pace capitalista non sarebbe mai stato un obiettivo comunista.

Queste sono posizioni politiche tutt’oggi ritenute valide, specie in seno a quei regimi imposti dopo una rivoluzione socialista. Comunque è sempre opportuno inquadrare storicamente il tempo in cui queste idee si sono formate. All’epoca c’erano gli imperi coloniali e lo sfruttamento dei popoli arretrati era finalizzato all’approvvigionamento di materie prime necessario al capitalismo. Dietro ai nazionalismi, compresi i movimenti risorgimentali tipo quello italiano, si nascondevano degli interessi borghesi. Molte delle teorie del complotto moderno radicano in quelle realtà, per esempio l’immagine dei banchieri Rothschild coinvolta nelle dinamiche del debito pubblico di molti Stati dell’epoca.

Le relazioni del marxismo nei confronti del pacifismo si ruppero durante la Conferenza di Zimmerwald nel 1915 (Svizzera), dove si erano riuniti gli oppositori socialisti alla prima guerra mondiale. Le posizioni erano: quella di lotta sostenuta da Lenin con lo slogan “trasformare la guerra imperialista in guerra civile” e l’altra del socialismo parlamentare che cercava la sintesi col motto "Non aderire e non sabotare". In quest’occasione il pacifismo prevalse sulla rivoluzione operaia, ma l’anno successivo si giunse alla Conferenza di Kienthal e gli spartachisti tedeschi avevano abbracciato la lotta rivoluzionaria con l’emblematico volantino: Il nemico principale abita nel nostro paese, poi ripreso da Lenin nel suo celebre motto "Il nemico è in casa nostra". I nemici in questione non erano intesi solo i borghesi ma anche i social-imperialisti, cioè i membri delle sinistre parlamentari.

L’arcipelago del socialismo europeo era molto variegato, ma in estrema sintesi e in relazione al pacifismo, possiamo dire che prima della Lega internazionale della pace e della libertà, si era fondata a Londra nel 1864 l’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Il pretesto era stato la questione polacca che stava subendo una dura repressione da parte della Russia, questo servì a Marx per riunire le forze socialiste operanti in Europa. I mazziniani si defilarono in fretta rigettando la definizione classista dell’organizzazione mentre gli anarchici di Bakunin e Proudhon cercarono di condurre la dittatura proletaria di Marx verso la loro visione di disarticolazione dello Stato accentratore > Nel 1872 all’Aia i marxisti risolsero a loro modo questa differenza di visioni con l’espulsione arbitraria di tutti gli anarchici. Gli anarchici non la presero bene e fondarono una seconda Internazionale Antiautoritaria in Svizzera che si distingueva da quella Internazionale Ortodossa Marxista, la quale si trasferì a New York e si sciolse nel 1876 a Philadelphia.

Nel 1889 si fondò La Seconda Internazionale in un’Europa meno caotica. Il quadro politico era caratterizzato dal parlamentarismo e si giunse all’Internazionale proprio con l’esigenza di coordinare un’azione politica comune nei diversi parlamenti nazionali. Le forze socialiste parlamentari erano sempre dominate dai marxisti e il marxismo ortodosso non aveva rinunciato al fine ultimo della dittatura proletaria, ma credeva che il crollo del capitalismo fosse imminente a causa della Grande Depressione del 1873 mentre il parlamentarismo servisse ad accelerarne la fine. Quando, invece, il capitalismo uscì rafforzato dalla crisi economica, i Revisionisti marxisti accettarono l’idea che si potesse condurre la lotta di classe in seno al parlamento.

I Revisionisti sostenevano che Max avesse sbagliato la previsione del crollo del sistema capitalista e che le sue teorie andassero appunto revisionate. Erano sicuramente una minoranza, ma più pragmatica e quindi riformista < Il socialismo parlamentare era antimilitarista e dialogante con il pacifismo. Una posizione che diventò scomoda dopo il 1905, cioè quando la Rivoluzione bolscevica in Russia rianimò i movimenti marxisti ortodossi. La Seconda Internazionale, durante i congressi di Stoccarda e Basilea (1907-1912), ripudiò lo strumento bellico, definendo la guerra: una questione capitalista. Tuttavia, la questione del pacifismo non era mai univoca e, per esempio, in Italia i socialisti massimalisti di Benito Mussolini manifestarono contro la guerra italo - ottomana per il controllo della Libia mentre i socialisti rivoluzionari sostenevano le ragioni della guerra. Quando poi la Grande Guerra coinvolse tutta l’Europa, ogni partito socialista parlamentare votò l’emissione di titoli per il finanziamento del rispettivo conflitto nazionale e questo segnò la fine della Seconda Internazionale. L’Internazionale Socialista si rifondò nel 1951 con gli stessi ideali di lotta parlamentare e antimilitarismo, rinunciò alla dittatura proletaria e fu dichiaratamente atlantista.

 

Pacifismo Comunista

 

Una terza Internazionale si era formata a Mosca nel 1919 > il Comintern > con l’intento di guidare i movimenti socialisti mondiali alla vittoria rivoluzionaria sul modello russo. Nel 1950, i partiti comunisti parlamentari occidentali fondarono il Congresso della Pace contro il nucleare (americano) e nel nome di Partigiani della Pace c’era la vocazione antifascista < Questo pacifismo era patrocinato dal Partito Comunista Sovietico. Nel 1949 a Parigi, il primo congresso della pace mosse migliaia di delegati, molti dei quali militavano in movimenti rivoluzionari e, per esempio, la Francia negò il visto d’ingresso ai delegati cinesi. I delegati senza visto d’ingresso rimasti dall’altra parte della cortina di ferro condussero un dibattito a distanza, accusando le democrazie occidentali borghesi di erigere i veri muri. S’inscenò una grande manifestazione contro il Patto Atlantico e vi presero parte grandissimi intellettuali come Picasso, Quasimodo o Giulio Einaudi. Nel discorso introduttivo del relatore del congresso si diceva basta con il pacifismo lamentoso perché in quella sede non si stava chiedendo la pace, ma si voleva imporre la pace < Immagino che il premio nobel della fisica Frederic Joliot-Curie intendesse per pace la dittatura proletaria.

Il Congresso si concluse con la pubblicazione del manifesto che riassumo in sintesi e attualizzando i termini: 1) Rispetto della carta dell’ONU. 2) Rifiuto delle armi di distruzione di massa (nucleare). 3) Controllo internazionale dell’energia atomica. 3)Meno spese militari più welfare. 4) Diritto dei popoli di disporre del proprio destino. 5) Difesa delle libertà democratiche, la cui offesa è un preludio alla guerra. 6) Condanna alla propaganda di guerra. 7) Lotta alla guerra a favore della collaborazione tra i popoli. <inoltre> Si nominava un comitato delegato ai compiti di: 1) Promuovere le forze di pace nelle università e in tutti i luoghi di aggregazione. 2) Sostenere le iniziative pacifiste. 3) Denunciare le azioni contro la pace. 4) Favorire l’assistenza alle vittime di guerra. 5) Premiare le opere artistiche che promuovono la pace.

Tutti questi punti della pace comunista sarebbero condivisibili, ma vanno inquadrati storicamente per comprendere come facessero parte della lotta di classe. Provo a riscrivere i punti del manifesto in maniera tendenziosa: 1) Si chiedeva il rispetto della carta dell’ONU perché Russia e Cina avevano il diritto di veto. 2) Si era contro l’atomica perché l’avevano solo gli americani, il programma nucleare russo fece esplodere la sua prima bomba nel 1951. 3) Lo sviluppo dell’energia atomica nascondeva un secondo fine bellico che minacciava la rivoluzione socialista mondiale. 4) Le spese militari favorivano i borghesi mentre lo stato sociale procurava voti alla sinistra. 5) Le libertà democratiche cadevano quando i golpe militari intervenivano contro una rivoluzione socialista … ma non è che le libertà democratiche rimanessero tali dopo una rivoluzione comunista. 6) S’intende per propaganda di guerra quella anticomunista mentre è pacifismo la propaganda della rivoluzione socialista. 7) Per lotta alla guerra s’intende all’interventismo americano, mentre si favorisce la collaborazione dei popoli in seno all’internazionalismo comunista. <inoltre> 1) Promuovere le forze di pace nelle università significa fare proseliti del comunismo tra i giovani e formare in tal modo l’intellighenzia militante. 2) Sostenere le iniziative pacifiste > lotta di classe. 3) Denunciare le azioni contro la pace rivoluzionaria comunista. 4) Le vittime di guerra sono intese quelle delle rivoluzioni socialiste. 5) Premiare le opere artistiche che promuovono la rivoluzione comunista.

Questo tipo di pacifismo militante di stampo sovietico combatteva in democrazia attraverso la raccolta di firme. Il partito comunista italiano, il più grande d’occidente, raccolse più di sei milioni di firme contro l’adesione dell’Italia alla NATO. Nel 1950 ci saranno manifestazioni in tutta Europa contro lo sbarco degli armamenti NATO. Dopo di che, arrivò l’Appello antinuclearista di Stoccolma, con cui si raccoglieranno 519 milioni di firme. In Italia aderì il 35% della popolazione, ma il record spettò all’URSS con 115 milioni di firme. Al congresso di Varsavia si giunse con la Guerra Fredda divenuta caldissima in diversi conflitti in giro per il pianeta e i partigiani della pace scrissero un manifesto rivolto a tutti i popoli, in cui si ricordava che la lotta per la pace apparteneva a tutti: Milioni di partigiani della pace vi tendono la mano, invitandovi a partecipare alla più bella delle lotte ingaggiate dall’umanità perché la pace non si attende, la pace si conquista.

L’attuale World Peace Council comunista è una ONG che lavora in seno alle Nazioni Unite insieme al Movimento dei Paesi non Allineati (120 Stati tra cui India, Iran e Corea del Nord e fra i 17 paesi osservatori si annoverano Cina e Russia). Il WPC mette tra le sue prerogative il disarmo universale e la coesistenza pacifica, ma vanno colti due punti salienti del loro manifesto programmatico: 1) Non interferenza negli affari interni delle nazioni. 2) Pacifica coesistenza tra Stati con diversi sistemi politici. Considerando che i neo partigiani della pace sono foraggiati per lo più da monarchie assolute, teocrazie e dittature comuniste, questi due punti acquisiscono un valore squisitamente antidemocratico. Quello che appare piuttosto evidente è che gli ideali marxisti in salsa hegeliana non si sono estinti insieme al fallimento dell’Unione Sovietica. La Pace dei comunisti rimane subordinata alla perequazione economica di stampo rivoluzionario, anche se le deroghe applicate a questo principio irrinunciabile diventano sempre più imbarazzanti.

 

ONU > Diplomazia Pacifista

 

Sul finire del diciannovesimo secolo era tutto un fiorire di organizzazioni internazionali pacifiste e a quelle già citate, va aggiunto anche L’International Peace Bureau fondato a Berna nel 1892, affiancato nel 1919 da IFOR d’ispirazione religiosa e nel 1921 dal WRI con un chiaro richiamo cristiano. A dare forza propulsiva a questo internazionalismo pacifista è la costituzione della Società delle Nazioni, a seguito della conclusione della disastrosa prima guerra mondiale. Infatti, dopo che si contarono quasi dieci milioni di soldati morti e giusto qualche milione in meno di vittime civili, gli imperi mondiali avevano capito che oramai la guerra non era più una via percorribile per la soluzione dei contenziosi, almeno se non volevano saltare in aria insieme alle sempre più potenti bombarde in circolazione. S’intuiva la necessità di mettersi intorno a un tavolo per darsi delle regole comuni di buon senso. Oggi lo chiameremmo multilateralismo, ma la diplomazia dell’epoca era ancora una costola dello spionaggio militare che, dopo essersi scannati, serviva anche a sedersi a un tavolo per definire la pace del vincitore.

Durante la Conferenza di Pace di Parigi del 1919, si ascoltò per la prima volta la voce degli Stati Uniti d’America che, fino a quel momento, erano stati una figura politica di secondo piano nello scacchiere internazionale. La proposta del presidente americano Wilson era un tavolo diplomatico permanente per la contrattazione tra le parti e un preventivo controllo degli armamenti per mantenere in equilibrio le forze militari. Era una visione lontana dalla vecchia diplomazia di corte e molto più simile alla discussione di un dibattito democratico. Grazie alla sua intuizione, Wilson fu insignito del premio nobel per la pace, ma a tal riguardo va ricordato che questo presidente era un suprematista bianco che spinse molto per la segregazione razziale (tanto per dire: a quei tempi negli Stati Uniti ci si domandava se gli immigrati italiani appartenessero o no alla razza bianca). Wilson è anche il presidente che incentivò l’imperialismo statunitense in Americalatina e si rese responsabile di diversi massacri per esempio in Nicaragua o a Panama. Insomma, Wilson non va frainteso per un pacifista come la Società delle Nazioni non era una conferenza di pace.

Il primo fallimento della Società delle Nazioni arrivò con l’invasione della Manciuria da parte dei giapponesi, l’unanimità votò contro il Giappone, ma questo rispose ritirandosi dagli accordi stipulati a Parigi nel 1920. Il secondo fallimento ci fu con l’Italia, non riuscendo a impedire la seconda guerra italo - etiope (1935). Insieme all’abbandono di Giappone e Italia, nel 1935 anche la Germania di Hitler si ritirò, reintroducendo la coscrizione obbligatoria, di conseguenza si sfilarono altre nazioni che innescarono una nuova corsa agli armamenti. Dopo il 1938, quando la Germania invase la Cecoslovacchia, il palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra rimase vuoto per tutta la durata della seconda guerra mondiale.

Gli Stati Uniti, pur partecipandovi, non avevano sottoscritto gli accordi di Parigi e quindi non erano mai stati presi a parte delle decisioni della Società delle Nazioni. Fu così che allo scoppio della guerra, 1939, il Dipartimento di Stato USA riprese l’idea del pacifismo diplomatico all’americana e poi, a Natale del 1941, il Presidente Roosevelt lo usò per firmare la Carta Atlantica con Churchill. Insieme redigeranno la Dichiarazione delle Nazioni Unite, da cui rimase fuori la Francia, con Parigi occupata dai nazisti, mentre furono accettati dei suggerimenti dall’URSS, che nel frattempo si annetteva le Repubbliche Baltiche e muoveva guerra alla Finlandia perché rifiutava di cedere la sua sovranità. La nuova idea americana di regolare la pace stava nell’introduzione dei Big Four > USA, UK, URSS e RPC > cioè quattro poliziotti a difesa della legalità del pacifismo. A Capodanno del 1942: americani, inglesi, sovietici e cinesi firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite e subito dopo altre ventidue nazioni la sottoscrissero > Erano nate le Nazioni Unite ovvero Alleati contro i Paesi dell’Asse > tedeschi, giapponesi e italiani, quelli che avevano affossato la Società delle Nazioni.

Dopo aver ristabilito la giustizia del pacifismo contro gli imperi del male, nel 1944 le delegazioni dei Big Four si riunirono in conferenza a Dumbarton Oaks per far diventare permanente l’istituzione delle Nazioni Unite. Ci volle un anno di lavoro diplomatico, ma alla fine furono inviate cinquanta delegazioni nazionali a San Francisco per la Conferenza delle Nazioni Unite per l’Organizzazione Internazionale (UNCIO), al termine della quale si giungerà alla stesura della Carta delle Nazioni Unite. Novità fondamentale fu che i Big Four diventarono cinque, con l’aggiunta della Francia. Era stata una situazione ben diversa dalla diplomazia che era seguita alla fine della prima guerra mondiale, quando i vincitori imposero la loro pace unilateralmente. Lo scopo era di costruire un equilibrio geopolitico perché la situazione non era completamente pacificata. Tanto che le prime riunioni dell’ONU si occuparono delle truppe sovietiche in Azerbaigian e di quelle inglesi in Grecia, inaugurando così la giostra dei veti incrociati tra i Big Five. 

 

USA o ONU

 

Per capire meglio da dove arriva il pacifismo diplomatico all’americana, dobbiamo guardare alle vicende storiche statunitensi. Dopo la grande depressione del 1873, l’economia americana si riformò inventando un nuovo capitalismo > Durante gli anni 20 crebbe più del 60%! La nuova democrazia liberista si fondava su tre principi: meno stato, meno tasse e tassi d’interesse bassissimi per favorire la libera impresa. Il principio era la fiducia in un mercato non solo capace di autoregolamentarsi, ma persino di riparare le sperequazioni sociali. Gli americani investivano i propri risparmi in Borsa e tra il 1927 e il 1929, il valore dei capitali finanziari raddoppiò. Era una bolla finanziaria e per capirlo basti pensare che il 5% degli americani possedeva un terzo dell’intero reddito nazionale > Durante il giovedì nero del 24 ottobre 1929, Wall Street crollò. La fiducia in un mercato capace di auto ripararsi indusse il presidente Hoover a prendere dei veri provvedimenti solo due anni dopo. Furono per lo più dei prestiti alle banche perché si rifiutava ideologicamente un’economia assistita dallo Stato e la disoccupazione salì fino al 20%.

Nel 1933 fu eletto il presidente democratico Roosevelt e il suo New Deal portò da 12 milioni a poco più di 7 milioni il dato della disoccupazione nel 1937, ma poi l’interventismo statale subì uno stop e fu solo grazie all’industria delle armi se il trend tornò a scendere < Era scoppiata la seconda guerra mondiale. Tuttavia, alla base di questo successo c’era un cambio di paradigma economico dovuto al New Deal e alle sue politiche keynesiane, secondo cui la piena occupazione lavorativa formava la base di una crescita duratura > Fu così che la seconda rivoluzione industriale insieme al marketing del consumismo di massa, crearono la classe media, qualcosa di mai visto prima e con essa il Sogno Americano che abbagliò l’Europa, cioè quell’Europa descritta nei Miserabili di Hugò o alla Oliver Twist di Dickens o, nel caso italiano, nei Malavoglia di Verga > Il liberismo americano consegnava il potere economico ad una larga fascia di popolazione, la quale esprimeva il suo potere politico con il voto democratico …

Fin quando gli Stati Uniti furono ripiegati sui propri problemi interni, il conseguente isolazionismo li portava a una politica estera pacifista. I molteplici atti di neutralità non impedirono comunque a Roosevelt di sostenere la Gran Bretagna contro i tedeschi e poi, nel 1939 cominciò proprio a vendere armi, anche se in modo non convenzionale. Nel 1941 furono cedute delle cacciatorpediniere alla Royal Navy in cambio dell’affitto di basi navali britanniche nei Caraibi. Questo contratto fornì il modello del programma Lend-Lease (dare in affitto), in tal modo gli Stati Uniti divennero nel 1941, come disse lo stesso Roosevelt > l’arsenale delle democrazie. Solo in seguito si giunse alla firma della Carta Atlantica tra Roosevelt e Churchill, in cui i più maliziosi ci vedono la svendita agli USA dell’Impero Britannico con le sue basi navali a controllo degli istmi marittimi del globo. Quando gli Alleati/americani vinsero la guerra, tutti dovettero cedere degli asset strategici per ripagare i debiti contratti con gli Stati Uniti. Considerando poi che Germania, Giappone e Italia uscirono azzerati dalla sconfitta, i loro rispettivi imperi coloniali andarono a creare la sfera d’influenza USA.

Gli USA vinsero la seconda guerra mondiale, ma non potevano ancora imporre il loro modello di pace perché anche l’URSS era un vincitore e si ritagliò la sua area d’influenza. Il compito dell’ONU era di far convivere pacificamente due tipi di ethos contrapposti e l’Europa ne fu una dimostrazione plastica con la netta divisione da Stettino a Trieste > La cortina di ferro. Patto Atlantico e NATO furono gli strumenti giuridici con cui gli Stati Uniti ci resero un “protettorato”. Lo stesso accadeva dall’altra parte con il patto di Varsavia, ma il modello di pace sovietico applicava un processo di assimilazione decisamente traumatico. Invece, il soft-power americano fu un’assimilazione culturale piacevolissima e, soprattutto, in grado di dissuaderci al punto da farci credere di essere dei pacifisti nati, orgogliosi di quei vincoli di neutralità introdotti nelle nostre costituzioni proprio per renderci imbelli. Neanche nei campi di rieducazione cinesi sarebbero riusciti a farci dimenticare le guerre che i nostri imperi furono capaci di provocare fino all’autodistruzione di se stessi.  

Pace della Globalizzazione

 

Qualcuno spiega la globalizzazione con gli Stati Uniti che diventano una talassocrazia, cioè subentrando all’Inghilterra nel controllo dell’Impero coloniale. Non sto certo qui a eccepirlo, ma i presupposti della pace globalizzata originano nel 1914, cioè quando per finanziare la Prima Guerra Mondiale, gli Stati europei sospesero il Gold Standard, cioè la convertibilità della moneta in corrispettivo oro. Senza scendere in dettagli, basti sapere che questa soluzione creò iperinflazione e aumento del debito pubblico. Nel 1919, la Grande Guerra finì e durante la Conferenza di Parigi, Francia e Regno Unito pretesero dalla Germania il saldo dei propri debiti > 135 miliardi di Goldmark, con interessi del 6% sulle rate, cioè qualcosa come 46.000 tonnellate d’oro. La moneta tedesca finì in caduta esponenziale nel 1923, quando l’ultima transazione segnò 4.200 miliardi di papiermark per acquistare un solo dollaro. Di conseguenza, la Francia pensò bene di prendersi la regione tedesca della Ruhr come garanzia sul debito.

Fu grazie al Piano economico USA di Charles Gates Dawes, se la Germania riuscì a ristabilire il Gold Standard nel 1924 > Sostanzialmente si stampò una nuova moneta legata al dato del cambio-oro risalente al 1870 e si emise un prestito obbligazionario da collocare sul mercato finanziario globale < Questo era il nuovo capitalismo finanziario che in quel momento storico stava facendo galoppare l’economia americana, ma era anche il nuovo modo di pensare la diplomazia che condusse alla Società delle Nazioni. Il Gold Standard funzionava, ma nel 1929 Wall Street collassò e Hitler risolse la faccenda con il terzo reich > La Seconda Guerra Mondiale non era ancora finita quando 730 delegati delle 44 nazioni firmatarie delle Nazioni Unite, si riunirono a Bretton Woods per tre settimane, al termine delle quali furono firmati gli Accordi di Bretton Woods (1944), cioè il nocciolo della futura globalizzazione.

Essenzialmente si creò un sistema monetario legato al Gold Standard del dollaro, in cui si uniformavano i caratteri generali del capitalismo occidentale. Primo fra tutti, si stabiliva un principio unico di proprietà privata e si fissavano le leggi della finanza internazionale. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) aveva il compito di vigilare sulla stabilità monetaria e favorire il mercato. Il controllo di tale organismo era calcolato in rapporto alla quota del capitale del fondo sottoscritta. In tal modo gli Stati accettavano e condividevano i principi etici del liberismo americano. Quanto questo sia avvenuto in maniera consenziente è il contenzioso irrisolto della globalizzazione, poiché l’adesione alle Nazioni Unite comportava un’implicita sottoscrizione degli accordi di Bretton Woods, nel senso che accedendo ai fondi economici internazionali, ci si uniformava a quelle regole.

Gli accordi di Bretton Woods rimasero in piedi per soli 27 anni, nei quali ci fu l’European Recovery Program con cui si ricostruì da zero l’economia europea (Piano Marshall 1947) > Ma se il Gold Standard del dollaro funzionava bene perché gli americani fecero saltare tutto? Il sistema di un mercato legato al dollaro abbisognava di stampare tanta carta moneta, in tal modo gli Stati Uniti esportavano la loro inflazione. Un dettaglio mai digerito dai suoi alleati di pari rango (Francia e Regno Unito). Fatta questa premessa, dobbiamo entrare di nuovo nella storia interna agli Usa per capire come si arrivò al 1971, data in cui il dollaro esce anch’esso dal Gold Standard.

 

Deregulation

 

Nel 1963, Kennedy fu assassinato a Dallas e gli succedette il vice Lyndon B. Johnson che, prima di essere confermato nel voto, presentò all’Università del Michigan la sua Great Society. L’intera operazione era ricalcata sulla “Nuova Frontiera” di JFK che, con il suo martirio rese santa e fece incassare al suo vice un eccezionale 61% di preferenze, con le quali Lyndon B. Johnson conquistò interamente il congresso come non succedeva dal 1938.

Sostanzialmente cosa stava succedendo in America? > Il benessere indotto con l’industria delle armi durante la guerra andava diminuendo, mentre il piano di ricostruzione europeo era stato un successo, nel senso che gli ex imperi sgravati dai loro doveri da egemoni, poterono dare sfogo alla loro intraprendenza sui mercati. Il made in USA era già stato aiutato da JFK che aveva tagliato le tasse e con la Great Society di Lyndon B. Johnson si proseguì sulla stessa linea abbassando ulteriormente il costo del denaro. Con la grossa liquidità immessa nel mercato, si finanziarono i programmi di Madicare e Medicaid (sanità pubblica) e si creò l’architettura della scuola dell’obbligo gratuita, inoltre si stanziarono dei fondi per l’integrazione degli afroamericani < Gli USA si stavano dotando di un welfare state sul modello europeo mettendo la propria inflazione in conto agli alleati.

Inoltre, gli Stati Uniti erano l’egemone militare e specie i democratici sentivano la missione di difendere e promulgare la democrazia nel mondo. Dopo la guerra in Corea che si era congelata nel 1953, si accese il conflitto in Indocina nel 1955 e sarà proprio sotto la presidenza Johnson che verrà messa in pratica la politica di “escalation”, cioè un progressivo impegno che porterà fino a 550.000 giovanissimi americani a combattere in Vietnam. Un tale impegno rese la coperta economica sempre più corta e gli alleati smisero di sovvenzionare l’inflazione statunitense iniziando a convertire in oro i loro dollari.  Il Tesoro americano aveva già erogato qualcosa come 12.000 tonnellate d’oro, quando Nixon annunciò la sospensione del Gold Standard per il dollaro e impose anche dei dazi doganali alle merci provenienti dall’Europa per proteggere il made in USA (1971).

Per porre rimedio al caos venutosi a creare, il G10 sottoscrisse lo Smithsonian Agreement con cui si svalutava il dollaro e si fissavano dei parametri generali che permettessero un sistema di cambi flessibili. Quello che avvenne fu un cambio di paradigma economico che stravolse la società occidentale > Un sistema di cambi flessibili liberava la speculazione finanziaria rendendo la ricchezza fine a se stessa, mentre il controllo dell’inflazione sostituiva la preoccupazione della creazione dei posti di lavoro < Neoliberismo.

Il modello di sviluppo economico keynesiano lasciò di nuovo il passo al liberismo ideologico che riteneva il mercato espressione della grazia di Dio e quindi capace di autoregolarsi. Da qui in avanti le riforme realizzeranno una progressiva Deregulation > Si privatizzeranno gli apparati pubblici nell’economia e si smantellerà progressivamente il welfare state . Degli Accordi di Bretton Woods sopravvissero le istituzioni del fondo monetario internazionale, Banca Mondiale e GATT, ma l’instabilità del dollaro provocò comunque fiammate inflattive e speculative, come le due crisi del petrolio del 1973 e 1979, situazione che indusse l’Europa a dotarsi dello SME, un sistema di cambio fisso che prevedeva anche l’ECU < Un primo abbozzo di moneta unica (1978). Da quel momento la globalizzazione americana non coinciderà più con quella europea e man mano che si procederà con l’Euro, gli Stati Uniti vedranno messa in discussione la leadership del dollaro e la propria inflazione a rischio.

Il mercato globale iniziò così a frammentarsi in macro spazi economici. Gli Usa creeranno il FTA (1988) che poi diventerà NAFTA, un mercato comune tra Canada, USA e Messico, ma senza neanche immaginare una banca centrale tipo la BCE. Gli USA hanno tentato architetture consociative anche nell’area del Pacifico, ma da troppo tempo ormai la globalizzazione sfugge al controllo del multilateralismo delle Nazioni Unite > Un mercato globale privo dei contenuti enunciati nell’UDHR segue la speculazione pura, questo porta inevitabilmente a preferire dei rapporti bilaterali, che per loro natura liberano un nugolo di convenienze in concorrenza tra di loro, le quali diventano tanti tasselli di un puzzle geopolitico sempre più complesso. Di conseguenza assistiamo alla frammentazione della filiera lunga che garantiva l’interdipendenza tra tutti gli Stati > La globalizzazione torna a essere l’imperio di un egemone militare.

 

La Social Globalizzazione del Mercato

 

A seguito del disfacimento dell’Unione Sovietica, l’Internazionale Socialista si aprì al riformismo economico, tutto in nome di una Terza Via declinata in realpolitik. Il socialismo governista realizzò tutte quelle riforme neoliberiste che il proletariato era riuscito a impedire durante la Deregulation. La nuova visione della sinistra prevedeva un mercato del lavoro concorrenziale, questa filosofia fece approvare le riforme che andarono a spazzare via il garantismo sindacale a favore di una maggiore flessibilità/licenziamenti. La manodopera occidentale subì la concorrenza del basso costo del lavoro nei paesi ex socialisti e ancor di più della manodopera cinese, tutto questo contribuì alla delocalizzazione industriale che in occidente si tradusse in deindustrializzazione. Si ruppe così il patto elettorale tra sinistra e proletariato, il quale si sentì libero di cercare altrove le risposte ai propri problemi < Populismo.

La terza via della sinistra di governo aveva sposato il pacifismo della “filiera lunga” quando iniziava a essere percepita come un favore alle lobby di potere sovranazionali. E’ il momento in cui le multinazionali iniziano a fatturare dei numeri più grandi dei PIL nazionali, senza contare che all’adesione dei diritti garantiti dall’UDHR, gli Stati accettavano anche i principi del diritto di proprietà internazionale che si traduceva in Land Cravings, cioè un sistema con cui le multinazionali compravano porzioni di territorio, attraverso la cui amministrazione influenzavano la politica degli Stati. Il mercato globale più che garantire la pace, si comportava esattamente come un egemone che impone il suo ethos, solo che questo imperio era espresso da un’entità incorporea estranea a tutti > Globalizzazione.

In occidente i socialisti iniziarono a domandarsi come salvaguardare il lavoro. Le risposte a tale quesito giunsero in ordine sparso > Il socialismo marxista sfoderò vecchi cavalli di battaglia tipo la riduzione dell’orario di lavoro con slogan “lavorare meno, lavorare tutti”; per i riformisti questa soluzione era troppo comunista e promossero un sistema di ammortizzatori sociali per sostenere la flessibilità e il fenomeno del working poor < Lavoro che non dà sufficiente sostentamento economico. Il populismo iniziò invece a individuare dei colpevoli e in tal modo invocando la giustizia per restituire il mal tolto al popolo. Intanto nessuno sapeva rispondere al dato di fatto che il mercato finanziario, comprando debito pubblico, pagava la spesa corrente degli Stati che era indispensabile per ridistribuire la ricchezza. La realtà della pace globalizzata occidentale si concretò durante la guerriglia urbana scatenatosi durante il G8 di Genova del 2001, cioè quando sembrò confermarsi l’incipit socialista indispensabile ad ogni pace > Non può esistere la pace senza perequazione economica.

Da Genova 2001 in poi, ogni riunione internazionale si è trovata a essere contestata dal variegato mondo No-Global, tra cui spiccano gli anarchici, denotando quel sentimento autoritario avvertito nell’azione della politica internazionale > Le regole commerciali che tengono insieme la filiera lunga producono sperequazione sociale, effetto chiaramente visibile in una qualsiasi periferia urbana. La sinistra riformista preferisce cogliere l’appello di un tipo d’insurrezione non violenta > Movimenti di piazza o flash-mob tenuti insieme da internet e che spesso sono cavalcati dall’infotainament. La speranza è di ritrovarvi un’ispirazione contro culturale declinabile in diritti civili, ma le contro culture sono finite insieme alle ideologie e ogni volta la fiammata di popolo non si è mai tradotta nella volontà di accettare il social globalismo ispirato alla UDHR come proprio ethos. Al contrario, l’effetto politico No-Global sembra generare un bisogno d’identità che riporta a simboli e valori tradizionalisti anche a sinistra, generando un populismo non meno demagogico di quello di destra.

Fa strano vedere sfilare madonnine e crocifissi in cortei che non sono delle processioni per il santo patrono. Questi manifestanti inneggiano ai valori religiosi con cui esorcizzano il multiculturalismo, quello in cui vorrebbe scioglierci la social globalizzazione. Si tratta di un forte sentimento revanscista che in Italia trova un senso nel cattolicesimo ante Concilio di Trento (1545) e nella destra del ventennio fascista. Negli Stati Uniti, invece, questo revanscismo si rifà alla guerra civile americana, quando gli yankee imposero i diritti civili ai sudisti. Tuttavia, questo revanscismo è minato da un elemento contro culturale ritenuto storicamente abortito nel decennio tra il 1968/78 circa > Ogni aspetto delle ideologie e persino delle tradizioni patriarcali più retrograde, oggi non accetterebbero di tornare a prima del 1968. Questa componente antropologica culturale è anche quella che è mancata nella metà del mondo comunista o teocratico che oggi ricorre all’assassinio per difendersi dalla tentazione di incedervi.

 

Love & Peace > L’amore contro-culturale

 

Il paradigma culturale con cui si discuteva di pace tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo era quello con cui il monoteismo educò l’eterogenesi dei panteon pagani nelle colonie, cioè l’imposizione dell’ethos cristiano sui modelli di ethos pagani/barbari. Tra imperi europei questo si traduceva nella miglior interpretazione di ethos cristiano e di conseguenza l’amore sensuale era rigettato dalla morale pubblica. Basti pensare al matrimonio che fin dal Concilio di Verona del 1184, in cui fu elevato a sacramento, alla sua liturgia sancita nel 1215, mai vi fu contemplato un riferimento all’amore sensuale. Lo stesso positivismo ottocentesco ammantò di scienza dei parossismi sessuofobi, delineando una nuova concezione etica di bene e male > bio-logico/sano e contro-natura/malato. Per esempio, fu la scienza a individuare l’omosessualità, ma non per identificare una forma di amore poiché non avrebbe avuto un senso nella biologia riproduttiva, bensì per catalogarla tra le malattie da curare … successe persino per la masturbazione > Malattia che si arrivò a curare con elettroshock e cauterizzazione dell’uretra. Incedere nell’amore era associato al libertinaggio e i romanzi che ne scrivevano erano scandalosi quanto della pornografia. Sarebbe dunque stato assai sconveniente anche solo citare la parola “amore” in un contesto ufficiale com’era una conferenza di pace internazionale.

Le conquiste tecnologiche ottocentesche alimentavano una fiducia nel positivismo scientifico paragonabile alla fede e siccome Dio non faceva più paura, alle parabole bibliche iniziarono a preferirsi dei principi etici ispirati dalla nuova società industriale molto urbanizzata. Ogni ideologia forniva la sua etica alternativa che in democrazia si affermava attraverso una maggiore condivisione e questo rendeva necessario un confronto democratico. Diversi ethos disaggregano il corpo sociale e lo scopo del parlamentarismo fu di declinare la pace nel suo avverbio, cioè far convivere delle prevalenze evitando che si scannassero per strada > La democrazia fu espressa dal diffondersi delle ideologie tra le masse urbanizzate e il parlamentarismo ne fu il riconoscimento politico, alternativo alla democrazia rimase l’ethos unico che invece esprime delle dittature. In tutto questo dov’erano le contro culture e l’amore?

Iniziamo col definire quel “contro” che non è riferito alla cultura, ma al paradigma culturale dominante.  La contro cultura da cui deriva l’associazione d’idee: Pace e Amore, risale al bisogno di libertà insito nella sensualità umana e all’appagamento in essa contenuto. E’ tale desiderio che conduce a un equilibrio personale tra sé e il resto del mondo < Felicità. Ogni ethos dominante si scontra con l’individualità/caos e questo induceva l’amore antiautoritario a essere espulso dalle conferenze di pace. Solo il movimento anarchico conteneva degli elementi contro culturali, tipo il dadaismo sviluppatosi tra il 1916 e 1920 a Zurigo in risposta all’ethos borghese che aveva concepito gli orrori della prima guerra mondiale e rifiutava tutto, persino la logica e la ragione, nella ricerca di qualcosa capace di diventare il nuovo baricentro di una società libera da ogni forma di stereotipo dominante > L’amore anarchico sregolato era l’amore libero dei sessantottini ed entrambi non erano diversi dal libero amore di alcuni eretici del 1200, tipo i dolciniani, il cui padre ispiratore fu giustiziato a Vercelli nel 1307, non prima che gli venisse strappato il pene peccaminoso < L’amore è sempre stato associato al caos ispirato dal Diavolo, cioè colui che divide attraverso l’inganno.

Dio è Amore < Anche questa enunciazione si diffuse tra le contro culture, ma solo dopo che la figura di Gesù fu reinterpretata in una chiave rivoluzionaria dal forte sapore francescano e vedere come la parola amore sia oggi entrata nella catechesi cattolica, ci deve far riflettere sulla portata della rivoluzione sessantottina. Lo stesso si può dire per il puritanesimo anglosassone che, seppure già affermasse che Dio è Amore, lo usava nel contesto di una retorica che serviva a individuare l’amore di Dio, che era inteso come una grazia tangibile, nel senso che il disgraziato era esattamente quello che figurativamente ci restituisce l’aggettivo > Un povero pezzente. Non a caso questa enunciazione si trovava incisa nelle “workhouse” anglosassoni, oltre le cui mura i disgraziati dovevano riguadagnarsi la grazia perduta e, nel frattempo, scomparivano in un limbo privo di ogni diritto civile … persino i vincoli famigliari si scioglievano e questo per dire in che considerazione fosse tenuto l’amore affettivo. Deve far riflettere la natura sociale del verbo “amare” che, essendo un transitivo, cambia significato in funzione del complemento oggetto fornito di volta in volta dall’ethos dominante. Saranno le contro culture a elaborare il complemento oggetto che incarnerà l’amore espresso dai diritti civili dal 1968 in poi. L’amore è il baricentro delle libertà individuali e oggi ci appare indispensabile al raggiungimento della pace/felicità, ma solo perché abbiamo dimenticato come veniva inteso prima l’amore, cioè come ci viene restituito oggi dalla pace promossa dai patriarcati come quello russo o iraniano.

Una contro cultura si distingue da una sub cultura quando diventa “eversiva”, cioè quando elabora un proprio ethos alternativo a quello dominante. Accadde proprio questo nel 1200 con le eresie del cristianesimo che sconvolsero l’Europa occidentale fino al grande scisma protestante del sedicesimo secolo. La Controriforma non fermò il flusso delle nuove idee e accadde lo stesso anche con le controculture ottocentesche, che dopo la Restaurazione post napoleonica, proseguirono le intuizioni che avevano generato la Rivoluzione dei Lumi. Le democrazie occidentali vengono da quelle contro culture e le tentazioni revansciste di oggi sono da intendere come una volontà restauratrice dei valori religiosi e tradizionalisti sui diritti umani sanciti nell’UDHR e poi evoluti con le battaglie civili post sessantottine.

Il cammino contro culturale culminato nella rivoluzione dei costumi del 1968 si è arrestato, ma non per questo è stato abortito; al contrario, si è istituzionalizzato. Il divorzio è un esempio di come il matrimonio riformato secondo i principi dell’amore moderno ha cambiato le società occidentali; il matrimonio tra coppie dello stesso sesso ne segna un ulteriore passo in avanti sulla stessa strada e tutto questo è in antitesi con gli ethos patriarcali ante contro culturali e qui in Italia lo tocchiamo con mano, in quanto qui da noi i diritti umani convivono spesso in contraddizione con un sistema di valori derivati dall’ethos cattolico e dalle tradizioni ad esso ispirato.

 

 

Origine dell’Amore moderno > La gioia di vivere Bohemien

 

Il regime di un ethos controlla il sistema educativo con cui viene somministrato alla classe dirigente, mentre il popolo è affidato all’indottrinamento allegorico sotto forma di culto religioso o culto della personalità nei regimi in cui vige l’ateismo di Stato > Le contro culture si formano nelle scuole. Accadde già nel 1200 a seguito dell’istituzione delle prime Università. Successe ancora con l’avvento della Stampa a torchio (1455) che determinò l’affermazione del libro come unità concettuale e ne permise una più ampia diffusione. Il successo delle controculture del novecento passò attraverso l’innovazione tecnologica che permise un’informazione in tempo reale (Telegrafo, telefono, la radio). Soprattutto, si assistette all’avvento di un tipo di linguaggio audiovisivo (fonografo, fotografia, cinematografo) che aggirò l’ostacolo intellettuale (analfabetismo) che limitava la diffusione delle idee contro culturali al di fuori dall’ambiente accademico.

Personalmente individuo la prima controcultura moderna in quella bohemien perché è la prima che si sviluppa a latere del mondo accademico, elaborando un ethos vivendo nelle piazze, viaggiando sulle strade e dormendo nei postriboli > I bohemien esprimono un ethos attraverso lo stile di vita. L’origine di questa controcultura è ancora l’Europa della lotta alle eresie > La guerra dei trent’anni (1618/48); in particolare nella parentesi boemo-palatina, quando la Lega Cattolica inflisse la prima grande sconfitta ai protestanti entrando a Praga. Ci fu la persecuzione degli eretici e fu così che nel 1621, gli studenti dell’Università di Praga si trasferirono in gran numero alla Sorbona di Parigi. Questi studenti portarono con sé usi e costumi che divennero la “Joie de Vie” parigina. Nell’ottocento arrivarono le migrazioni gitane a Parigi e il loro nomadismo anarcoide si confuse con lo stile di vita bohemien. L’artista bohemien ottocentesco è anticonvenzionale, esistenzialista e vagabondo > Questo modello di vita conquisterà gli ambienti studenteschi di tutta Europa, per esempio in Italia generò la Scapigliatura milanese.

Lo stile di vita bohemien si forma in scia del romanticismo che nasce intorno al 1600. Romantico non ha a che fare con la Roma antica ma deriva dall’inglese romantic che a sua volta non nasce con il significato di romantico, bensì romanzesco (romance). Il romanzo usa la forza del mercato per accedere alla tecnologia, quindi si diffonde nelle società liberali che sono per lo più calviniste. Il romanzo è un elemento di contro cultura perché pone al centro del racconto l’individuo con la sua emotività, considerata fino a quel momento una debolezza di cui aver pudore. Era un ragionamento eversivo perché invertiva l’ordine di priorità tra il dovere e il piacere > Anteporre le proprie esigenze all’ubbidienza richiesta dalle circostanze era un gesto deprecato dal Signore, sia esso considerato come Dio o come Re. I primi romanzi continuavano la tradizione cavalleresca, però raccontavano dei tumulti d’animo illegittimi tipo quello di Ginevra per Lancillotto. Anche in futuro, il romanzo tenderà a far emergere l’amore appagante, spesso persino postribolare! Per esempio, mettendo in luce dei punti di vista alternativi come quello delle prostitute o degli omosessuali. Nel 1883 Gaston Paris teorizzò che solo chi ama possiede un cuore nobile > L’Amor Cortese > E’ l’inizio della concezione di un amore sensuale in cui il matrimonio non è più dominato dalla volontà del Signore/ scopo riproduttivo e meno che mai può essere giustificato da un lungimirante asse ereditario, cioè abolisce l’inviolabilità della certificazione sacramentale, introducendo de facto la poligamia diacronica di una passione estemporanea.

E’ soprattutto la “pessima” prosa in volgare dei romanzi d’appendice a cambiare la percezione della società ottocentesca, cioè quelli pubblicati a puntate sui giornali o riviste con lo scopo di fidelizzare il lettore. Per lo più si trattava di scrittura di genere, anche se poi tra questi autori si annoverava Tolstoj, Dickens, Hugo, Flaubert, Dostoevskij, Poe, Dumas eccetera < Il romanzo crea empatia sociale. Questi nuovi scrittori rendono protagonisti gli ultimi con tutte le loro debolezze umane > La storia non la fanno più i Re, i santi o gli eroi. Gli eroi del romanticismo si sacrificano in nome della libertà, fratellanza/sorellanza e uguaglianza < E’ la rivincita di Napoleone. Quando la storia fatta di guerre pare esaurirsi, in occidente rimane l’esempio bohemien, che non è un soldato ma incarna il modello di pace fondata sull’equilibrio tra sé e il resto del mondo, cui progressivamente la pace libertaria delle democrazie occidentali tenderà; il suo rifiuto anarcoide della chiamata alle armi ha il sapore del pacifismo e, in alcuni aspetti, ricorderà dei gesti eversivi poi canonizzati del 1200, tipo quelli compiuti da Francesco di Assisi.

 

La Contro-cultura Statunitense

 

Negli Stati Uniti ripararono gli ethos puritani perseguitati in Europa e che prevalsero nella guerra civile americana proprio nell’ottocento (1861/65)  > E’ il momento in cui la contro cultura bohemien acquistò un particolare valore dall’altra sponda dell’Atlantico. I bohemien fecero la loro prima comparsa ufficiale in America nel 1872, quando si fondò un club Bohemien a San Francisco; tuttavia, già durante la guerra civile americana molti reporter di guerra usavano definirsi bohemien. L’elemento del nomadismo gitano, negli Stati Uniti si creò durante il periodo della Grande Depressione (1873/95), quando la disoccupazione costrinse molte persone a viaggiare < La figura del clandestino sui treni è iconica del periodo. Un altro elemento è il Jazz dei neri che sopraggiunse a cavallo dell’800 e il 900 ed è una forma di dadaismo musicale perché rompe i vecchi schemi del pentagramma, ma anche sociale in quanto sovverte la morale perbenista. Questi elementi originano il bohemien americano > Hipster. La leggenda vuole che degli inconsapevoli hipster fossero i primi universitari afroamericani, ma seppure ce ne siano stati nella prima metà del novecento, non sarebbero stati abbastanza da creare una tendenza come successe con gli studenti di Praga alla Sorbona. Furono gli scrittori che li descrissero così negli anni 40/50 del ventesimo sec, citando dei neri esistenzialisti, anarcoidi e anche amorali. Jack Kerouac colse forse meglio l’essenza del ragazzo hipster in generale, definendolo strangolato dal conformismo che decide di intraprendere un misterioso viaggio negli eversivi imperativi dell’Io.

Kerouac è colui che nel 1948 conia il termine Beat Generation. La novità della beat culture è quella di riassumere in chiave moderna il romanticismo ottocentesco, che i media di massa sintetizzeranno in aspetti iconici > Questo permise di diffondere dei simboli culturali, i quali generavano senso di appartenenza. Il movimento hippie fu l’erede di quello hipster e negli anni sessanta, grazie al marketing di slogan tipo Flower Power o Make Love Not War, veicolò un messaggio di pace e amore capace di far mutare il senso morale accettato e condiviso e con esso anche l’etica politica con l’istituzione del Tribunale Russell-Sartre contro i crimini di guerra (1966). In tutto questo va citata anche la lotta per la liberazione sessuale che portava l’amore postribolare alla luce del sole > Sono del 1969 i Moti di Stonewall con l’attivista transessuale Sylvia Rivera e il primo Gay Pride.

Gli anni 50 in USA sono anche gli anni del maccartismo che si aprirono con la condanna a morte dei coniugi Rosenberg (1951), accusati di spionaggio per l’Unione Sovietica, cui avrebbero passato informazioni a riguardo della bomba atomica americana. Come scritto poc’anzi, i propositi divulgativi del pacifismo comunista erano rivolti agli ambienti universitari e nei luoghi di aggregazione giovanile, possiamo dedurre come le contro culture fossero influenzate dai propositi rivoluzionari del socialismo. E’ così che nel mirino della propaganda maccartista ci finì ogni genere di comportamento anticonformista. Fu un martellamento mediatico che involontariamente formò una sub cultura > Il neopuritanesimo. Il neopuritano era il cittadino medio della periferia, quello che onorava lo stile di vita americano e seppure ignorasse i cappelloni puritani del sedicesimo secolo inglese, si fregiava di quel termine per richiamarsi alla tradizione delle festività condivise < Conformismo.

Gli hippies erano comunisti e i neopuritani dei conservatori di destra? La risposta potrebbe trovarsi nella distopia espressa in romanzi come 1984 di Orwell (1949) o Fahrenheit 451 di Bradbury (1953), entrambi prefigurano un annichilimento dell’individuo sia in un sistema burocratizzato/socialista e sia in un sistema liberalizzato/consumistico > Entrambi rappresentano l’imperativo di manipolare la coscienza collettiva. Sostanzialmente, ci dicono che il bohemien individualista era inviso sia al marxismo ortodosso e sia al conservatorismo tradizionalista; per questo, secondo me, le contro culture non potevano essere ascritte a nessuna ideologia, fu la politica che cercò di strumentalizzare i movimenti giovanili introducendovi le ideologie mascherate da controculture > Francamente si fa fatica a immaginare un Cremlino con la marijuana degli hippies.

Quello che accadde con le contro culture sessantottine fu un processo pubblico all’ethos di Stato, proprio come accadde nei processi a fine seconda guerra mondiale, in cui l’ethos dei diritti universali dell’uomo soppesò i crimini di guerra degli ethos sconfitti. In Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, nelle Università si dissacrava il racconto agiografico tipico degli Imperi > Si cercava la verità storica attraverso il racconto degli sconfitti. In Europa riguardava il periodo coloniale che per lo più era scomparso, ma negli Stati Uniti arrivava a toccare dei gangli esistenziali della Nazione, tipo l’annientamento dei nativi americani che coinvolgevano delle feste identirarie come “Il giorno del ringraziamento”. In oltre, la segregazione razziale imponeva l’argomento dei diritti civili delle minoranze e coinvolgeva tutta la storia delle assimilazioni coatte degli immigrati negli Stati Uniti, anche quella degli italiani.  

Se teniamo conto che fu nell’ambito della Great Society del presidente Lyndon B. Johnson (1963/69), che fu progettata l’architettura della scuola pubblica, possiamo capire come la contro cultura di quegli anni ne abbia permeato i contenuti, trasmettendo in tal modo i suoi principi etici alle generazioni di nuovi americani. L’High School americana è criticata per non dare un’adeguata formazione, ma in realtà essa persegue la Joie de Vie propria dell’adolescenza. Tali propositi si sono annacquati col tempo e con il presidente Ronald Regan sono stati corrotti dal nazionalismo e dalla meritocrazia classista, tuttavia, lo spirito è rimasto lo stesso, tanto che la scuola superiore è il momento formativo principale per ogni americano.

 

Contro-cultura del Populismo

 

Per definirsi “Occidentale” una Nazione deve aderire alla Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo fissati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti nel 1948. Tale presupposto implica una serie di garanzie istituzionali possibili solo in uno Stato democratico con apparato parlamentare. In quest’ambito costituzionale, le contro culture hanno potuto far germinare degli ethos alternativi senza per questo essere proibite e finanche perseguitate. Dopo oltre settant’anni dall’adesione alla Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, le democrazie occidentali sono state pervase da generazioni di contro culture, tanto che i cittadini si rapportano al mondo individualmente, inconsapevoli della particolare percezione della realtà in cui vivono. Questa situazione ha influito molto sulla politica post ideologica che nel ventunesimo secolo è stata travolta dal populismo internettiano.

La percezione della realtà dipende dalla circolazione delle informazioni e la diffusione dei media è direttamente connessa al progresso tecnologico. Per esempio, nell’ambito della Rivoluzione Francese era mutata la percezione della realtà per via della stampa, specie di quella che veicolava notizie in prosa volgare. Il problema della diffusione di questo nuovo linguaggio fu di ordine pubblico > Nel 1623 la Stampa fu messa sotto controllo statale, ma sarà Colbert nel 1660 ad applicare un regime che ridusse da settantadue a trentacinque i librai a Parigi; inoltre, affiancò all’opera censoria quella di polizia che mirava a spezzare il contrabbando di libri tra città e provincia. Per ragioni storiche tendiamo a ricordare gli esempi più alti lasciatoci da quell’editoria, ma per lo più si facevano i soldi divulgando delle mere superstizioni o si accettavano addirittura delle commissioni per aizzare le folle contro questo o quel potentato > La realtà collettiva è un prodotto culturale condizionato dal progresso tecnologico, più semplice è la produzione d’informazione e maggiore sarà la distorsione della realtà dovuta al sensazionalismo del momento, qualcosa che oggi si esaspera con l’internet globale e gli algoritmi che selezionano delle bolle di realtà virtuale.

Le ideologie della prima metà del ventesimo secolo usarono l’informazione audiovisiva (Propaganda) premeditando una distorsione della lente emotiva allo scopo di convincere le masse della propria visione del mondo (ethos ideologico). Oggi si assiste spesso alla riabilitazione di quei falsi propagandistici attraverso delle suggestioni demagogiche create ad arte per dare risposte alle problematiche della globalizzazione. L’intero processo è stimolato dall’Information Overload Addiction > Una continua domanda d’informazione da parte di utenti alla ricerca di risposte vicine alla loro opinione. Per quanto volubile e contraddittorio, questo sciame informativo veicolato da internet può essere considerato la contro cultura più pervasiva che condiziona la democrazia post ideologica occidentale < Populismo.

I movimenti politici post ideologici utilizzano un cliché populista ripreso più volte nella storia delle democrazie degli ultimi due secoli, in particolare negli Stati Uniti. Tre sono gli elementi tipici che formano la retorica populista: dispotismo tradizionalista, espulsione dell’elite dall’identità di popolo ed esaltazione del diritto di nascita elevato a principio etico. Le vecchie concezioni ideologiche persistono in delle sfumature che a sinistra propendono a enfatizzare l’elemento antielitario e del diritto mentre a destra si prediligono le tematiche tradizionaliste con un piglio intollerante verso la cessione di sovranità nazionale a favore dell’adesione alla UDHR e relativo multiculturalismo < Sovranismo. La tattica politica che unisce destra e sinistra populista è separare l’elite dal popolo che l’ha espressa > L’establishment sovranazionale controlla il governo, il mondo degli affari e l’accesso all’istruzione dei “tecnocrati”. In questa retorica le differenze sfumano tra l’ottica più di destra o di sinistra, riuscendo a formare un fronte il cui unico intento è far passare l’idea che la politica sia sempre stata una cospirazione < Antipolitica.

Il caso di Donald Trump c’insegna come la retorica populista moderna prevarica gli ormai antichi confini ideologici tra sinistra e destra. Ci riesce unendo la rivendicazione socialista proveniente dall’esclusione dal mondo del lavoro, riconducendola a un lucroso arricchimento dell’elite che strumentalizza le minoranze per accelerare il declino del gruppo dominante (classe media), il cui ethos aggregante è legato ai valori tradizionali è quindi sistematicamente aggredito dal garantismo dei diritti civili universalistici. Identificare la platea populista non è semplice perché questo tipo di retorica fa appello al buon senso individualista, alla saggezza popolare delle tradizioni e infine allo spirito di appartenenza di un gruppo dominante; tutti elementi che si possono riscontrare nel basso popolino come in una classe d’istruzione superiore.

I tecnocrati sono un bersaglio tipico del populismo, associato all’elite in virtù del fatto che non passano al vaglio di un’elezione popolare e operano in sistemi complessi astrusi ai più. Sono quindi accusati di avvalersi della loro indipendenza per controllare le leve del potere attraverso le informazioni contenute negli archivi di Stato. Un esempio di tutto questo si è verificato in Europa nel 2016 durante il referendum sulla Brexit, quando Nigel Farage denigrava l’integrità e competenza dei tecnocrati europei, chiedendo che le decisioni tornassero in mano al popolo britannico (sovranismo). In UK, i sostenitori del LEAVE difendevano il risultato del referendum come un’inappellabile volontà popolare per dissimulare la loro incompetenza in merito > Il populismo trae dalla democrazia diretta un principio inderogabile anche su scelte palesemente sbagliate. In tal senso lo strumento referendario diventa il modo per scardinare “La Casta” poiché sottrae potere ai detentori d’incarichi delegati.

L’inadeguatezza del populista si spaccia come la prova della sua genuina sincerità. La ruvidezza degli istinti più bassi costituisce il minimo comune denominatore populista tra l’alto e il basso, negare questa verità procura l’accusa di sofisticazione culturale, ipocrisia spesso definita radical-chic.  Questo produce una retorica che accumuna il politico populista all’heather internettiano, sdoganando tattiche e parole anticonvenzionali. I politici populisti puntano sulle nuove tecnologie per eludere i canali di comunicazione tradizionali in mano ai “pennivendoli” e raggiungere direttamente l’elettorato. Fu durante la campagna presidenziale americana del 1816 che l'approccio di William James Bryan esemplificò la tattica elettorale populista. Bryan aveva raccolto pochi fondi e ricorse alla ferrovia come nuovo mezzo tecnologico che gli permise di pronunciare ben 600 discorsi nelle piazze, dove incontrava direttamente l’elettorato. La campagna di Bryan fece un uso senza precedenti del telegrafo per programmare e pubblicizzare le sue apparizioni. Il suo discorso del 1896 alla Convention nazionale dei democratici fu trasmesso a livello nazionale attraverso il telegrafo, piuttosto che affidarsi ai reportage dei corrispondenti di giornali e ai loro editori, molti dei quali ostili alla sua candidatura < L’outsider Bryan perse, ma segnò la via per il successo del candidato elettorale populista.

I movimenti populisti agganciano l’elettorato quando la sperequazione sociale accresce l'insicurezza e quindi il bisogno di appartenenza a un gruppo dominante, il quale si rafforza confrontandosi con le minoranze che mettono in discussione l’identità omogenea del proprio ethos. Il populismo rigetta i principi universalistici sanciti dall’UDHR, a favore del diritto di nascita che distingua dalle pari opportunità tra nativi e immigrati. La politica economica populista promette soprattutto ridistribuzione della ricchezza in nome del diritto, imputando i limiti imposti dal mercato alla speculazione finanziaria globalizzata e ai tecnocrati che la servono, tutte dinamiche ostili a un’economica squisitamente tradizionale. Iniziative economiche populiste più di sinistra interpretano il diritto contro la sperequazione sociale che riflette la disparità dei redditi lavorativi > Nel 2013 la Svizzera tentò un referendum per limitare la retribuzione dei dirigenti a dodici volte quella dei dipendenti di livello più basso. Proposte simili da parte dei populisti dell'ala sinistra sono presenti anche negli Stati Uniti, dove la differenza dei salari tra gli amministratori delegati e dei loro lavoratori può raggiungere anche il rapporto di duecento a uno.

La politica istituzionale spesso rifiuta soluzioni basate sul diritto liquidandole sommariamente come “populiste”, tuttavia è già storicamente accaduto nella Germania bismarckiana e nella Gran Bretagna edoardiana o negli Stati Uniti degli anni '30 del secolo scorso che si ricorresse al diritto per l’introduzione di programmi pubblici come il sussidio di disoccupazione, l'assicurazione sanitaria e la pensione sociale per la vecchiaia, così come l'assistenza per la riqualificazione e la ricerca di un nuovo lavoro. I cambiamenti economici si potrebbero contenere con dei programmi pubblici che compensino gli esclusi dal mondo del lavoro, in tal modo si conforterebbe anche chi teme lo stesso destino > Le ricette populiste in tal senso si chiamano: Reddito di cittadinanza, reddito universale, salario minimo ecc …

Nelle democrazie occidentali i legami organici dell'interdipendenza economica non sono più vincolanti > la filiera lunga delle industrie manca della funzione aggregante che nel periodo dell’industrializzazione formò le masse nei grandi agglomerati urbani. Questo problema fa venire meno l’empatia sociale necessaria a una solidarietà di classe sovranazionale, specie nell'Unione europea, dove il populismo sovranista ha gioco facile nella misura in cui la maggior parte dei residenti s’identifica come spagnolo o italiano piuttosto che europeo, nonostante che la "solidarietà" sia uno dei sei pilastri della Carta dell'Unione europea dei diritti fondamentali e, senza la quale, non una delle nazioni europee potrebbe sussistere < Vedi Brexit. La contro cultura populista/sovranista contrappone alla solidarietà sovranazionale una federazione di nazioni/ethos dominanti che collaborino “pacificamente”. Questa soluzione sposta le problematiche sui limiti pacifici autoimposti dagli Stati federati, come per esempio una politica commerciale che non dovrebbe far entrare la merce estera attraverso lo Stato con più liberalità, altrimenti il decentramento inasprirebbe la concorrenza delle importazioni. Inoltre, gli Stati potrebbero perseguire approcci diversi ai programmi d’investimento nella riqualificazione del lavoro e chi spende molto, finirebbe per fornire manodopera a quegli Stati che risparmiano il costo di impartire le nuove competenze. Lo stesso vale per la politica ambientale e il federalismo, non concilia neanche i diversi atteggiamenti verso l'immigrazione ecc ... Tutti aspetti già presenti negli Stati Uniti, in cui si usa dire ai cittadini democratici di andarsene a vivere negli Stati blu, se vogliono continuare a fare i radical chic.

Le problematiche dell’immigrazione entrano nelle questioni distributive e d’identità e quindi esse formano l’asse portante della politica estera populista. L’immigrazione è lo spauracchio agitato da ogni populismo al fine di creare un appeal elettorale proficuo. La soluzione dei populisti è semplice perché chiude la porta ai nuovi arrivati. Le politiche che garantiscono i diritti universali dell’uomo a discapito del diritto di nascita provengono da quell’establishment internazionale che vuole disperdere l’identità tradizionale dei popoli. Accusano l’immigrato, che potremmo anche indicare semplicemente come il “diverso”, di tutte le problematiche della concorrenza globalizzata e il multiculturalismo, facendone un tutt’uno per immaginare nel proprio passato una valle di giustizia e benessere chiusa al caotico mondo esterno. Il populismo più di sinistra ricorre agli aiuti economici che promuovono lo sviluppo nei paesi di emigrazione, con lo scopo di far sentire i donatori meno colpevoli di chiudere i propri confini. Tali motivi erano evidenti nel cosiddetto Piano Marshall per l'Africa svelato dal Ministero tedesco dello Sviluppo nel 2017.

 

Conclusione

 

Gli ultimi due anni appena trascorsi in piena pandemia da Covid-19 hanno fiaccato il populismo, costretto a confrontarsi con la cinica oggettività della morte. I leader populisti hanno negato fino all’ultimo l’esistenza stessa del nuovo coronavirus, poi vi hanno applicato ogni possibile e immaginabile teoria cospirazionista, in ultimo si è tentato di boicottare la scienza che eccezionalmente ha prodotto dei validi vaccini in tempi rapidissimi. Abbiamo inoltre visto come la struttura politica e finanziaria occidentale ha saputo fare fronte alla carestia, che è la conseguenza di ogni pandemia storica. L’autoritarismo dell’ethos sovranista ha calato la maschera demagogica dietro di cui si celavano degli inadeguati leader occidentali come Donald Trump o Boris Johnson, ma anche leader minori come il brasiliano Bolsonaro o l’indiano Modi. La stessa guerra in Ucraina ha dato modo di svelare il disegno di restaurazione ante UDHR covato in seno al populismo occidentale e condiviso a suon di cannonate dalle democrature di stampo putiniano.

Dichiarata guerra alla democrazia occidentale, è venuta meno l’ipocrisia dovuta al potere economico esercitato dalla globalizzazione, tanto che il leader comunista cinese Xi Jimping e l’Ayatollah Khamenei iraniano danno stura alla loro inclinazione di egemoni nello stroncare ethos che ne minacciano l’inviolabilità. In seno all’occidente stesso assistiamo al riassetto geopolitico di alcuni paesi che usavano il populismo per rimanere in un ambito democratico, mi viene in mente l’Ungheria di Orban e la Turchia di Erdogan, ma anche entità meno scontate come Israele > Il minimo comune denominatore rimane l’affermazione di un ethos dominante che sopprime le diversità.

D’altro canto, questa chiara presa di posizione internazionale impone chiarezza al populismo interno alle democrazie occidentali. L’Italia è uno di quei paesi in bilico perché la sua adesione all’UDHR è dovuta a quelle stesse ragioni che oggi la vincolano nel campo delle democrazie occidentali. Roma fa parte storicamente di quei paesi che hanno sempre combattuto la formazione stessa della democrazia, a partire dal 1200! L’omogeneità dell’ethos italiano si è sempre avvalsa del collante fornito dai principi morali apostolici, gli stessi che la pongono al di sopra dei diritti civili laici prodotti in secoli di lotte e rivoluzioni mosse proprio contro il clero romano.  L’ethos italiano non ha abdicato alla sua sovranità e questo lo avvicina  di nuovo alle dittature degli ethos dominanti, contro la tolleranza delle diversità, quindi non fa specie vedere alternarsi ai suoi governi democraticamente eletti ogni sfumatura di populismo, fino all’ultimo sovranista che non fa mistero delle sue radici fasciste.

 

Contro Culture UDHR

PC (Political Correctness), Wokeism, Mee too e Cancel Culture

 

Sub Cultura Dandy

 

Prima di giungere alle contro culture attuali bisogna aprire una parentesi per distinguere le sub culture dalle contro culture. Sostanzialmente, la sub cultura produce una diversità nella forma, pur rimanendo dentro i limiti dell’ethos dominante, potremmo quindi dire che essa non è rivoluzionaria ma riformista. In genere è nel campo artistico che si creano queste visioni alternative della realtà e nelle avanguardie trovano l’espressione più radicale. Le sub culture hanno spesso vestito le contro culture, traendone una forma espressiva > Una sub cultura ha una genesi funzionale che collega l’ideale al materiale > Moda.

La sub cultura più longeva e importante è associata alla contro cultura bohemien > il dandismo. I primi dandy furono quelli del movimento artistico inglese preraffaellita che univa al romanticismo una maniacale attenzione per l’estetica, un pittore emblematico di questa corrente è Dante Grabriel Rossetti. La confraternita preraffaellita nasce e si sviluppa tra il 1848 e il 1901 (Epoca vittoriana), ed è anche il periodo d’oro del dandismo. La sub cultura dandy declinata in letteratura diventa “Estetismo” e vive in opposizione al “Realismo”, producendo un’arte fine a se stessa, svincolata dal pensiero. Oscar Wilde, esponente del dandismo, sosteneva che era la vita a imitare l’arte, in quanto essa trova espressione nel gesto dell’artista. Questo ci riconduce al concetto che la percezione del reale dipende dalla cultura che lo esprime > La consapevolezza del dandismo condurrà alla pop art, diventando tutt’uno col marketing ma ancora prima consegnerà la tecnica artistica alla propaganda ideologica.

La sub cultura dandy, nel suo assolutismo espressivo, è quella che è riuscita a sopravvivere interpretando i diversi periodi storici che ha attraversato, fino a giungere all’attualità dei nostri giorni. Appartiene a essa l’approccio alla vita legato a un’esaltazione del momento, all’edonismo di una giovinezza che diventa imperitura, il piacere inteso anche nella sua accezione decadente, infine la bellezza che diventa immagine di se stessa ed espressione del genio di chi la esprime. A ben vedere, si può notare che queste caratteristiche sono proprio quelle che emergono nell’ethos degli anni ’80 del secolo scorso, cioè la decade che segna definitivamente la fine delle contro culture sessantottine. La “vetrinizzazione” della società è un prodotto del dandismo che inizia a diventare strutturale in ambito sociale dagli inizi del 1900, coinvolgendo in un delirio di formalità anche l’informazione giornalistica.

In tal senso, il tabloid nasce proprio nel 1901, derivando il suo nome dalla campagna pubblicitaria della Wellcome, fabbrica farmaceutica che reclamizzava i suoi farmaci in formato “pastiglia” > Informazione in formato pastiglia. Pioniere di tale genere di giornalismo leggero fu il Visconte di Northcliffe: Alfred Charles William Harmsworth, fondatore di testate storiche come il Daily Mail (1896) e che nel 1908 acquisì la proprietà del Times, ma salvò dalla banca rotta anche molti altri giornali tradizionali, ottenendo una potenza di fuoco mediatica capace d’influenzare l’andamento democratico del Regno Unito > Nel contesto della Prima Guerra Mondiale, tale fu la propaganda anti germanica di Northcliffe, che una nave tedesca fu mandata a bombardare la sua casa a Broadstairs. Emblematico del tipo d’informazione che i suoi giornali usavano spacciare, fu lo scandalo sessuale che veicolò contro il Primo Ministro inglese Herbet Henry Asquith, costringendolo alle dimissioni (1915) > Nella storia recente italiana è da rilevare la “macchina del fango” a servizio del magnate dell’editoria nonché leader della centrodestra politico Silvio Berlusconi.

L’avvento della radio e soprattutto della fotografia costituì per questo tipo d’informazione un maggior appeal spettacolarizzante o sarebbe meglio definirlo: scandalizzante. Negli Stati Uniti ci troviamo nel particolare periodo storico della rivoluzione populista, nel vecchio continente, invece, è la propaganda che cavalca il nuovo linguaggio dell’audiovisivo. In tutto questo l’estetismo e il dandismo fanno parte perché la forma è quanto rimane della sostanza, in un’informazione che diventa sempre di più un mero strumento d’opinione. Lo storytelling raccontato dai media inizia a condizionare la percezione del reale e le sub culture lo popolano attraverso l’estemporaneità della cronaca, che essa sia nera, bianca o semplice gossip, tanto non è il pensiero che le stimola, ma l’emozione del momento < Sensazionalismo.

Allo stesso modo anche le contro culture che  giunsero al loro apice nel 1968, riuscirono a sovvertire l’ordine morale accettato e condiviso grazie ai media di massa convertiti al linguaggio dell’audiovisivo estetizzante. La propaganda degli ethos dominanti nell’ambito dei regimi autocratici sterilizzò l’ambiente contro culturale, invece in occidente, il marketing favorì la diffusione delle contro culture e dopo il 1968, i mezzi di comunicazione iniziarono a cercarle per lucrarci sopra, fino a crearle quando scarseggiavano. Politicamente parlando è invece negli anni settanta di fine novecento che si apre alle contro culture, con l’assunto “Ognuno è artefice del proprio futuro”. E’ il neoliberismo che abbracciò l’ethos contro culturale attribuendovi le proprie tendenze individualiste. L’equazione tra business e contro culture creò sub culture come quella della Disco Music che si richiamava ai groovies dei primi anni sessanta, ma c’era anche il punk anarchico delle creste moho o il filosofeggiante Regge con i capelli dread … tutte potevano essere unite dal comune denominatore del dandismo.

Ogni aspetto rivoluzionario contro culturale novecentesco s’infrange sullo scoglio dell’individualismo edonista degli anni ottanta del novecento con il fitness e la moda pret-a-porter che, unitamente alla pandemia di HIV, metteranno fine all’era delle contro culture occidentali e apriranno l’era delle sub culture. Molte sotto culture sono delle mode, solo alcune sviluppano una propria percezione del reale. L’ambiente Disco ha prodotto diverse realtà alternative come per esempio il Rave Party che nasce insieme alla musica elettronica e ai bpm illegali. Ogni aspetto postribolare possiede una versione disco, cioè un evento in musica aperto al pubblico dove si crea divulgazione, un esempio su tutti il BDSM che è uscito allo scoperto grazie alle serate disco. Diversamente, i movimenti contro culturali rigettano e sono rigettati dal dandismo, come per esempio quelli della galassia green, i quali ripropongono un antichissimo punto di vista, spesso anche estremista fino al millenarismo e per cui il pensiero è forma in sé, arrivando anche all’iconoclastia e ad altre forme di rifiuto dell’arte figurativa.

 

PC (Political Correctness)

 

Tra gli anni ottanta e novanta del novecento scomparvero le ideologie e il termine “rivoluzione” fu rimpiazzato da “riforma”. In questo nuovo ambito, la locuzione “politicamente corretto” assunse il senso di eticamente giusto, al fine di una convivenza multiculturale funzionale alla progressiva globalizzazione, su cui si basava l’interdipendenza del pacifismo della filiera commerciale lunga. Originariamente questa locuzione apparteneva al marxismo più ortodosso e stava a indicare una corretta interpretazione dell’ideologia comunista, quindi si diffuse insieme alle contro culture negli ambienti universitari tra gli anni 50 e 70 del secolo scorso. Le femministe degli anni settanta trasformarono il termine in un paradosso sarcastico e di riflesso, la locuzione uscì dal suo ambito prettamente accademico.

Saranno gli avversari del Politicamente Corretto a identificarlo nel 2015, quando la candidatura alla Casa Bianca del tecon Donald Trump porterà un attacco diretto al multiculturalismo > I “trumpiani” ritenevano che lui dicesse quanto tutti sottacevano per timore di non essere politicamente corretti. Dalla parte repubblicana già nel 1991, Dinesh D’Souza, autorevole firma dell’Washington Post, metteva in guardia le Università dalle ortodossie del politicamente corretto, lo stesso Presidente George H.W. Bush ebbe a dire che l’ossessione PC stava accendendo polemiche in tutto il paese, mentre nel 1992 per Patric Buchanan la questione era una discriminazione politicamente scorretta contro i bianchi americani. Insomma, cosa c’era di diverso nell’attacco di Trump? > Durante la presidenza di Barack Obama l’etica del Politicamente Corretto era diventata l’ethos dominante mentre il teocon Trump rappresentava l’ethos sconfitto della vecchia America e delle sub culture revansciste anti UDHR covate nel populismo internettiano.

L’ascesa a ethos del PC inizia nel 1991. Durante tutta la decade degli anni 80, sui giornali americani comparvero 213 articoli attinenti al Politicamente Corretto, ma tra il 1991 e 92 la locuzione comparve in più di mille articoli > Che cosa aveva determinato questo repentino dibattito? < Nel dicembre 1991 si ammainò la bandiera comunista sul Cremlino e con l’URSS finì anche l’ortodossia Marxista. Nelle democrazie occidentali la palla della sinistra finì nel campo del socialismo parlamentare “Riformista”, quello che nel dopo guerra si era ricostituito in un internazionale filo atlantista > Fede occidentale appena confermata nel 1990-91 nel coinvolgimento nella Prima Guerra del Golfo e ribadita anche nelle scelte interventiste NATO nelle guerre Jugoslave. Era il socialismo parlamentare che ricorreva all’ortodossia del Politicamente Corretto per legittimare lo spostamento del focus sul proletariato dalla sperequazione economica al diritto alla felicità. Un processo che condurrà alla progressiva edulcorazione dei contenuti socialisti e che scambieranno Il Manifesto di Marx ed Engels con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

La Presidenza americana di Bill Clinton (1993-2001) è emblematica perché indicherà il prototipo del nuovo leader riformista > 1) Bill Clinton fu il più giovane presidente eletto (46 anni). 2) La figura della first lady divenne operativa. 3) Stop al linguaggio formale e all’eccessiva etichetta. Questi canoni furono gli stessi che identificarono nel 1997 Tony Blair, il Primo Ministro del Regno Unito che proiettò in Europa la “Terza Via” indicata dal socialismo globalizzante. Sia Clinton e sia Blair arrivarono dopo i diretti discendenti politici di Ronald Regan (1981-89) e Margaret Thatcher (1979-90), cioè i fautori della deregulation dovuta all’abbandono degli Accordi di Bretton Woods (1944-71). Sostanzialmente, quando il dato dell’inflazione sostituì quello dell’occupazione lavorativa nelle economie nazionali, George H.W. Bush (1989-93) e John Major (1990-97) non furono in grado di trarre un ordine morale dall’economia finanziaria post industriale, la sinistra riformatrice invece la usò per traghettare l’occidente nella globalizzazione > Il PC divenne multiculturalismo che si richiamava alla pace diplomatica del multilateralismo disciplinato dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.

L’ethos del PC si arresta accidentalmente nel 2000, quando il vicepresidente di Bill Clinton, designato a proseguirne la politica, viene sconfitto in maniera imprevista e anche rocambolesca alle presidenziali da un a dir poco sprovveduto George W Bush (2001-09). Questa presidenza sarà segnata dall’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York City, evento che coniò lo slogan presidenziale: Guerra al Terrorismo, cioè un freno al multiculturalismo. In fatti, questo fu anche descritto come uno scontro tra la civiltà occidentale e quella araba dello Jihad e della Sharia che, per il vero, erano minoritari all’interno del mondo islamico e fu grazie a questo confronto bellico se poi ne presero il sopravvento. La guerra al terrorismo si componeva in due fasi: attacco preventivo condotto verso una presunta minaccia, al quale sarebbe seguito l’esportazione della democrazia < Imperio di ethos dominante. I passi più importanti furono compiuti in Afghanistan (2001-21) e contro l’Iraq di Saddam Hussein (2003). Non solo la democrazia occidentale non fu esportata, ma lo stato di guerra limitò gli stessi diritti civili nelle democrazie occidentali con provvedimenti “preventivi” che andarono a intaccare alcune garanzie giuridiche.

Con l’ascesa alla presidenza americana di Barack Obama (2009-17) si mette fine alla Guerra al Terrorismo, all’attacco preventivo ma non all’esportazione della democrazia, preferendone la declinazione in “promozione della democrazia”. Il ritorno all’etica del politicamente corretto è salutata con sommo gaudio in tutto l’occidente che insignisce il presidente americano del premio Nobel per la pace (2009). Il problema fondamentale del politicamente corretto è che non ammette lo scontro bellico > Tutto deve necessariamente essere riportato nell’ambito del pacifismo diplomatico e quindi regolato sui tavoli del multilateralismo. Un esempio emblematico fu l’intervento nella Guerra civile in Somalia del 1993 (Restore Hope) perché Clinton fornì il prototipo dell’azione militare eticamente corretta, ma che si risolse in un gigantesco fallimento, aprendo una pustola guerricitante che a tutt’oggi spurga morti. Obama fece lo stesso con le Primavere arabe, il DAESH e la Siria, finendo per tirarsi indietro proprio com’era accaduto in Somalia < La guerra politicamente corretta non impone un vincitore e quindi non finisce mai.

 

Woke Culture

 

La semiologia del termine risale allo slang afroamericano della parola inglese “awake > allerta”, dalla quale proviene lo slogan “Awake, not Woke” usato contro questo movimento culturale. La woke culture primigenia risale agli anni sessanta del secolo scorso e si sviluppa nell’ambito della lotta per i diritti civili degli afroamericani, quando diventa un termine attribuibile ai Social Justice Warriors (Guerrieri per la giustizia sociale < SJW). Questi attivisti si distinguevano per l’intransigenza su temi come il segregazionismo razziale e femminismo nonché sulle politiche sociali attinenti alla conservazione del multiculturalismo.  Il termine guerriero farebbe pensare a scontri sociali radicali, invece si trattava di un approccio più culturale, ma non per questo meno divisivo. SJW sono dei paladini che combattono i termini del linguaggio razzista e sessista usato in politica e sui media; le loro armi sono i numeri statistici che raccolgono per organizzarli come prove nei tribunali. Un metodo che ha ottenuto la politica sociale parcellizzata in quote, alle quali accedono le minoranze etniche, concetto poi ripreso anche dal femminismo e che, attualmente, tentano di accedervi anche alcuni gruppi della galassia lgbtqi+ (Previo riconoscimento di minoranza sociale). I detrattori di tale politica sociale contestano il concetto antimeritocratico, nel farlo denunciano il malcostume di quanti si approfittano delle tematiche legate al multiculturalismo per fini personali.

Quando l’etica dei diritti civili pervade la società occidentale, la woke culture diventa una costola del politicamente corretto. Sarà con l’avvento del social network che risorgerà il termine SJW > Nel 2011, su Twitter, è utilizzato con un’accezione negativa nell’ambito dell’aggressione virale del #GamerGate contro la sviluppatrice di software Zoe Quinn, rea di aver inserito tematiche femministe nel contesto gamers, o almeno così fu percepito un suo videogioco. L’accusa di essere SJW animò una vera e propria caccia selvaggia, scavando la trincea del nuovo fronte dello scontro sociale > Il Social Network. I gamers imbufaliti rappresentavano il conservatorismo che in tal caso difendeva il proprio spazio di libertà virtuale, cioè un luogo dove non doveva esistere il politicamente corretto, sia riguardo ai personaggi femminili super sessualizzati, sia alla libertà di scatenare un odio tale da costringere Zoe Quinn a nascondersi.

Nello stesso periodo compare anche l’hashtag #BlakLivesMatter, arrivando a materializzarsi nelle strade a seguito dell’assoluzione del poliziotto George Zimmerman che nel 2012 aveva sparato al diciassettenne afroamericano Trayvon Martin. Nel 2014 altri due casi simili conducono al riot di Ferguson > BLM non è come quei movimenti che si coagulano in rete per sciogliersi come neve al sole appena escono dal virtuale. Dietro BLM c’è la woke culture e nel 2016 l’attivismo nero si candita al municipio di Baltimora > città col triste record di 344 omicidi all’anno su 600.000 abitanti, i cadaveri sono al 90% di afroamericani maschi in età compresa tra i 18 e i 30 anni. DeRay Mckesson non riuscirà nella sua impresa e le violenze dei manifestanti non promossero la sua candidatura da indipendente, tuttavia il suo motto “La nostra storia non sarà il nostro destino” rimane nell’agenda di Baltimora.

Nel 2020 si gira il video che accende una miccia virale intorno al globo > George Parry Floyd, afroamericano di Minneapolis, viene ucciso in strada con una tecnica di strangolamento abitualmente in uso dalla polizia. Le proteste sono apertamente dirette contro le forze dell’ordine e questo segna uno spartiacque con i promotori della legge e l’ordine/patriarcato tradizionalista. Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York (1999-01) con lo slogan “tolleranza zero”, accusò il movimento BLM di razzismo e nel contempo furono confutate alcune teorie anti polizia basate su dei dati non corretti. Indubbiamente nel BLM non c’era solo la woke culture, ma molta della violenza scatenata nelle strade proveniva dalla sub cultura Hip Hop, notoriamente anti femminista, omofoba e razzista anche contro gli altri gruppi etnici. Da questa presa d’atto, furono fissati i principi guida del movimento BLM riassumibili in otto punti:

1)      Promuovere un ambiente sociale in cui prevalga l’empatia tra le differenze.

2)      Affermazione del baricentro sull’identità nera, al fine di risolvere tutte le altre rivendicazioni sociali.

3)      L’identità nera va oltre la nazionalità, identità di genere reale o percepita, abilità o disabilità.

4)      Lotta contro i privilegi cisgender a favore dei transessuali neri e in specie delle donne nere trans.

5)      Avversione per misoginia, sessismo e patriarcato.

6)      Abbattimento del nucleo famigliare di stampo occidentale/colonialista.

7)      Avversione per il mondo etero normativo e appoggio alle teorie queer.

8.) Lotta contro ageismo.

Il movimento è stato così ricondotto negli alvei della Woke Culture contro culturale.

 

MeToo

 

Il movimento MeToo nasce nel 2006 contro la cultura dello stupro. Tarana Burke è colei che pensa il progetto ed ha l’intuizione di usare l’anonimato che offre internet per far parlare le donne > Fu così che creò un gruppo su MySpace. Lei è un’afroamericana newyorchese che proviene dall’attivismo politico femminista, anche se non l’ho trovato scritto, si può ben credere che non le sia aliena la woke culture. Il MeToo pensato da Tarana Burke era un programma tipo quelli dei gruppi di ascolto basati sull’empatia tra le vittime. Era inoltre rivolto specificatamente alle giovani donne di colore che si affacciavano nel mondo del lavoro > Praticamente il ritratto di Tarana e della sua esperienza di abuso sessuale. Ora che il MeToo è divenuto un fenomeno che ha investito tutto il mondo occidentale, è facile fare della dietrologia, ma probabilmente non lo conosceremmo, se non fosse stato pensato con un’interfaccia WEB e il 2007 non fosse stato l’anno del debutto di Iphone 1.

Nel 2017 l’attrice Alyssa Milano portò il progetto sulla piattaforma di Twitter con l’hashtag #MeToo, di cui Tarana Burke ha sempre parlato con un certo distacco, sottolineando i riferimenti sociali del suo progetto che, indirettamente, disconoscono il risvolto hollywoodiano che poi dette notorietà all’iniziativa. Nei fatti, MeToo è un prototipo di sotto cultura internettiana, in cui si ravvede la deformazione della lente emotiva creata dalla spettacolarizzazione dell’informazione > Il caso Weinstein e il processo di divorzio tra Johnny Deep e Amber Heard non sono l’inizio e la fine del movimento MeToo. Il programma portato avanti da Tarana Burke è in pieno stile wokeism, per esempio vuole che a tutti gli insegnanti vengano prelevate le impronte digitali e sottoposti a un controllo d’idoneità per lavorare con dei minori; inoltre propone un programma di educazione sessuale che insegni a riconoscere un “predatore sessuale” e denunciarlo. Altre attiviste come Anna North propongono di adottare per le lavoratrici un pulsante antipanico da usare in caso di molestie nei luoghi di lavoro. Sul versante politico si porta avanti un programma di legge per abolire i tempi precauzionali per procedere con le denuncie di molestie contro i membri del congresso, e poi imporre sanzioni pecuniarie a quelle aziende che non adotteranno i protocolli anti molestie sessuali e, soprattutto, si dimostreranno recalcitranti ad allontanare i predatori sessuali dai loro luoghi di lavoro.

Qui non si discute il contenuto altamente specifico del MeToo, ma lo stile wokeista di organizzare i dati raccolti come fossero una trincea, che l’informazione in pillole scarnifica in numeri percentuali privi di contesto, al fine di farne uno strillone giornalistico per attirare click nei portali WEB. E’ così che si condiziona la lente emotiva collettiva, deformando la percezione della realtà che arriva a produrre fenomeni di costume parossistici, tipo quello degli insegnanti che sono impossibilitati a trattare degli autori etichettati sessisti o razzisti. Come tutti i fondamentalismi, anche quello dei numeri statistici mostra una forte connotazione d’intolleranza, in particolare si sente urlare l’accusa d’ignoranza/blasfemia rivolta a quanti non si convertono a quella che diventa effettivamente una fede, con ogni implicazione di fanatismo che questo comporta. Ovviamente, tutto questo accade quando quei numeri escono dall’ambito accademico in cui sono stati prodotti o diventati oggetto di dibattito, cioè dove si ha ben chiaro che una misura dipende dal metro e dal metodo, senza tener conto del vizio di fondo che ogni metro e metodo tendono ad avere quando sono applicati a un fine specifico.

 

Cancel Culture

 

La sub cultura della cancellazione ha diversi campi di applicazione, ma sostanzialmente si tratta di ostracizzare l’eticamente scorretto. Se la morale accettata e condivisa è quella del politicamente corretto, la Cancel Culture rappresenta la sua legge, nel cui tribunale si può rintracciare il modus operandi wokeista. E difficile fissare una data precisa per la nascita di questa sub cultura perché la woke culture ha sempre condotto azioni di questo genere > Le scienze sociali devono avere una natura avalutativa o conducono al presentismo, ovvero al pregiudizio dato dall’ordine morale del presente. Potremmo fissare una data per la moderna Cancel Culture con l’avvento alla Casa Bianca del Presidente Obama; in fatti, all’indomani del suo insediamento fece molto discutere la sua intenzione di far rimuovere il busto di Winston Churchill, azione che poi non avvenne, ma che avallò la damnatio memorie wokeista <  Churchill, durante il dominio inglese sulle tribù keniote (Da cui Barack Hussein Obama discende), ordinò un massacro per reprimere le rivolte.

La Cancel Culture è anche un sottoprodotto del Metoo perché già dal 2006 furono condotte azioni di boicottaggio contro le aziende che erano accusate di alimentare la cultura dello stupro. Intorno al 2009 l’azione si connotò meglio su Twitter, dove il bacino di utenza e la natura social del network permise di mirare le forme di boicottaggio direttamente sulle persone > Se prima si colpiva un’azienda o un libro, con Twitter si ostracizzava l’amministratore delegato o l’autore del libro, quando non amici e parenti degli stessi o di chiunque altro si provava a discostare dal giudizio emesso dalla community. Questo tipo di ostracismo è praticato tutt’oggi dalle piattaforme dei social network, costrette ad applicare dei protocolli volti alla cancellazione dei profili in cui compaiono affermazioni non conformi al politicamente corretto > Oggi chiunque può entrare nel mirino di queste azioni etiche perché il metro di giudizio lo fissa chi si sente vulnerabile > Non colpire i deboli è un principio nobile, ma alquanto generico, specie se poi in risposta non si applica l’altro sacrosanto principio della giusta pena, qui invece si assiste ad un’intransigenza senza appelli che eleva la vittima all’infallibilità morale di un tribunale della Santa Inquisizione, anche se in questo caso la condanna al rogo è solo virtuale e la morte consiste nella cancellazione < Damnatio memorie.

Un passaggio secondo me importante della Cancel Culture avviene nel 2015, quando il 18 giugno un ventunenne entrò in una chiesa di Charleston (South Caroline) e uccise nove afroamericani. Il gesto razzista fu confermato da alcune foto dell’assassino accanto alla Dixie Flag, la bandiera degli Stati Confederati del Sud, sconfitta durante la guerra civile, il cui rappresentate “Generale Lee” è una figura iconica. Prima ancora che la macchina della Cancel Culture si mettesse in moto, aziende come la Apple fecero sparire dall’Apple Store ogni videogame sulla Guerra Civile americana in cui compariva la Dixie Flag. Le emittenti televisive cancellarono la famosissima serie Tv anni ottanta “Dukes of Hazzard” dove abbondavano i riferimenti simpatizzanti agli Stati Confederati, compresa la Dixie Flag sulla cappotta dell’auto dei protagonisti che si chiamava per l’appunto “Generale Lee” e così via, fino a toccare dei film cult come Via col Vento. Più importante fu il comportamento del Presidente Obama che twittò il suo consenso alla decisione di ammainare dopo oltre cinquanta anni la Dixie Flag dalla State House del South Caroline. Da allora, si continuano a rimuovere le tante statue del Generale Lee in giro per gli Stati Confederati del Sud, che si trascinano giù altre statue celebri ma storicamente controverse tipo quelle di Cristoforo Colombo.

Dal punto di vista della morale accettata e condivisa, secondo me, qui si consuma la frattura che separa due ethos distinti all’interno degli States, un fatto gravissimo! Noi europei conosciamo bene come questo può arrivare a sgretolare l’identità di un popolo. Fu proprio il rifiuto del politicamente corretto a partorire il Tea Party Movement nel 2009 > Populismo di destra inizialmente ispirato dal libertarianesimo che eleva il mercato a giudice di se stesso, ma che acquistò vigore durante la presidenza Obama perché fu in quel momento che i diritti espressi dalla UDHR venivano per la prima volta realizzati. La Casa Bianca aveva ratificato solo a livello governativo gli alti principi delle Nazioni Unite, senza preoccuparsi di farli rispettare negli Stati federati. Questa era la stessa discrasia etica che perdurava fin dall’indomani della vittoria degli “Yankee” sui “Sudisti” e che da allora aveva iniziato a far sentire estranei sia il Governo Federale e sia i suoi apparati, specie a quegli americani che non condividevano la morale nordista, la stessa poi servita a stilare la UDHR.

L’avversione dei neocon repubblicani per l’Obamacare che inficia la predestinazione calvinista, per i diritti umani degli immigrati che inficiano il diritto dei nativi, per l’aborto che inficia il sacro diritto alla vita o per quella vergogna del matrimonio egalitario lgbtqi+ che inficia Adamo ed Eva, tutto questo arriva dal Tea Party Movement, quello che scomparve nel 2016, quando Donald Trump portò alla Casa Bianca un ethos revanscista sul modello proposto dal “Southern Agrarians manifesto” (1930). Il sovranismo si richiama a un ethos tradizionalista che rifiuta di annullarsi nei principi espressi dal diritto internazionale ed è questa la forza elettorale che partorisce i leader come Trump. Il politicamente corretto e in particolare la Cancel Culture, alimentano questo sovranismo perché ricorrono al diritto internazionale per stabilire un ordine e una disciplina che cancella la dimensione tradizionale di popolo > Si tratta di assimilazione al nuovo ethos dominante e come tale andrebbe mitigata attraverso il susseguirsi delle generazioni, mentre la Cancel Culture vuole cancellare subito e ora, tipo dei fondamentalisti che fanno saltare le chiese del Dio nemico.

 

Conclusione

 

Il Politicamente Corretto pretende empatia dal gruppo dominante che lo esercita perché esso non è discriminante come invece lo sono tutti gli ethos dominanti > La sua correttezza politica legittima anche chi si appella alla libertà di poter esprimere la propria convinzione sciovinista di prevalere. Il politicamente corretto rimane un concetto d’elite culturale che si approccia alla realtà attraverso il dubbio filosofico, così facendo sottrae le certezze insieme ai simboli che le tradizioni usano per tenere coeso l’ethos di un popolo. Un gruppo dominante non può che reagire contro quei diritti civili che gli impediscono di proiettarsi nel futuro insieme ai suoi simboli tradizionali, tutto questo col fine di sciogliersi in un ethos universalistico che pare favorire chi non lo esercita. Le minoranze, in quanto tali, sono tutelate nei loro simboli e tradizioni dal multiculturalismo > Questo appare come discriminatorio agli occhi di un nativo del gruppo dominante.

Il populismo moderno è un movimento revanscista rispetto alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Le buone tradizioni appaiono come rassicuranti mura che impediscono di disperdersi e tengono fuori le insidie degli ethos barbarici. La condivisione delle festività tradizionali è benedetta da Dio e la prova di questo sta nel modo come scaldano il cuore, appare ingiusto e “blasfemo” considerarle offensive perché esse vivono della gloria di una prevalenza imposta col sangue degli ethos sottomessi > Basta sentirsi in colpa per le disgrazie degli incapaci. I popoli reclamano i propri confini orografici a dispetto di un ethos universalistico che li vorrebbe spazzare via insieme ai valori morali che le tradizioni tramandano con la benedizione di Dio. Per quanto questo populismo si dichiari aperto alla collaborazione pacifica con gli altri ethos, sta nella genesi di un popolo quella di prevalere almeno nel proprio spazio vitale, condizione che prevede limiti alla libertà democratica e il ricorso alla legge e l’ordine che essa proietta nella società, per tenere integra l’identità di popolo. Infine, nessun sovranismo è disposto a rinunciare alla propria prevalenza e quindi a difenderla > Anticamera del conflitto bellico.

Edited by Silverselfer
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