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Perché leggiamo e scriviamo poesia


yrian

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A seguito di un deplorevole commento nel topic "Le nostre poesie", apro questa discussione per non perdere quel po' di buono (poco, invero) che di stimolante c'era nel commento stesso.

 

Vorrei indagare sul nostro rapporto con la poesia che leggiamo (ci piace? perché ci piace? quanta ne leggiamo? come la leggiamo? quale preferiamo?) e, soprattutto, con quella che scriviamo (ne scriviamo? perché ne scriviamo? come ne scriviamo? che valore le diamo? a chi la indirizziamo?) ...

 

Io non sono un consumatore accanito di poesia, che leggo in proporzioni minori rispetto agli altri generi, però sono molto sensibile alla - diciamo - "poeticità", intesa come suggestione di immagini e ricercatezza linguistica.

Venero letteralmente Rimbaud (delle cui opere ho sempre nello zaino una copia, che mi accompagna dappertutto), ma non solo: per esempio colleziono edizioni della "Gerusalemme liberata" e colei che è stata mia maestra di vita e di teatro è una nota poetessa.

Io invece ne scrivo poca, sia perché scrivo prevalentemente per il teatro, sia per sfuggire umilmente al confronto con la persona di cui sopra. Quando ne scrivo, lo faccio essenzialmente per mio diletto personale e la diffondo tra pochi intimi.

 

Veniamo alla patata bollente (metafora invero poeticissima!): in passato, come forse ricorderete, sono stato piuttosto schizzinoso verso le ambizioni poetiche (e in genere letterarie) degli italiani, forumini compresi... Non c'è imbecille che non abbia interi poemi nel cassetto e che non si creda un novello Dante in attesa di pubblicazione... Ammesso che sappia chi fosse Dante, perché in genere i più disinibiti poeti dilettanti sono proprio quelli che meno di tutti leggono poesia e meno ne capiscono.

 

Però... c'è un "però": io sono convinto che esista, nell'essere umano, una sorta di "istinto" alla poesia... che lo spinge a poetare quando vuole tirare fuori ciò che ha dentro - e non per ambizione di successo letterario. Ecco, io nutro il massimo rispetto per questo tipo di versi, che ognuno di noi compone almeno una volta nella vita (specie durante l'adolescenza) e credo che, purché si sappia dare il giusto peso alle cose, sia una cosa bellissima.

 

Per questo leggo sempre molto volentieri il topic che contiene le vostre poesie, che considero alla stregua degli sfoghi contenuti nell'apposita sezione: confesso che raramente vi trovo qualcosa di memorabile, ma provo per tutti una certa simpatia, se vi immagino a tavolino intenti a combattere l'assalto delle emozioni armati soltanto di carta e calamo.

 

E voi che ne pensate?

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Mi riallaccio a quanto sostenuto nel libro di Chatwin, le vie dei canti. Ovvero che la espressione primaria delle emozioni avvenga sotto forma di canto, di musica, piuttosto che di parole. Notoramente la musica viene indicata come l'arte più eccelsa, la più pura, quella che maggiormente - ed inspiegabilmente - genera emozioni. Tutti davanti ad un accordo in minore abbiamo un'impressione di tristezza, o comunque di un qualcosa di negativo, e viceversa. La poesia, nella sua musicalità, forse non è altro che un canto scritto. Le parole sono scelte con cura, la punteggiatura, l'andare a capo come punto di svolta, l'uso di un aggettivo collocato prima o dopo. La poesia è il canto delle nostre emozioni, e non mi sorprende il fatto che per la maggior parte delle volte esse siano negative. In fondo, quelle positive preferiamo viverle, le altre scriverle.

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  • 2 weeks later...

ha ragione Alexarcus, non a caso la poesia in origine era unicamente cantata (lirica è la poesia che era accompagnata dalla lira).

 

---Vorrei indagare sul nostro rapporto con la poesia che leggiamo (...perché ne scriviamo?)---

 

il mio modesto parere è che ognuno di noi ha bisogno di testimoniare la propria vita, di modo che le sue esperienze non vengano perse e che quindi continuino a vivere per mezzo di un altro. Cioran dice che una pagina senza pecche ci solleva al di sopra della temporalità...credo avesse ragione. I veri poeti non muoiono mai, perché i loro lettori di ogni tempo vivono ciò che loro avevano vissuto, "attraverso il simbolo stesso della caducità".

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mmmm vediamo

spesso quando leggo dei componimenti "amatoriali"

trovo un acccozzaglia di immagini

magari anche suggestive e belle

ma non capisco il filo conduttore...e cosi ci si riduce ad un elenco di cui non si capisce il senso

;)

 

altre invece le trovo metricamente perfette

ma non provo nulla leggendole :)

sembra che chi le scriva pensi solo alla forma e non dia un anima a quel che scrive

 

bho l'idea mia e' che scrivere poesia sia di un modo di esternare sentimenti

stati d'animo immagini e suoni che altrimenti non sarebbe possibile descrivere

o riportare

 

che siano belle o meno credo tutte abbiano una loro dignita'

perche' sono parte dei sentimenti di chi scrive

 

:)

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non c'è da stupirsi ;) la poesia come ogni forma d'arte è ben più adatta di un qualunque discorso o di un qualunque testo in prosa ad esprimere emozioni. come dice marco questo avviene perchè la poesia porta con se, nelle sue figure retoriche, negli artefici linguistici, un carico di emozioni e di immagini che in altro modo non sarebbero esprimibili.

 

come dice nihil, spesso la poesia si riduce ad una massa informe di immagini ed impressioni (a mio parere molto spente), ma in questi casi non bisogna essere frettolosi nel giudicare.

 

la poesia è una personalissima forma di espressione. come dice anche pirandello in "uno nessuno e centomila" l'uomo è composto da tante di quelle sfaccettature, che il suo modo di intepretare le emozioni è una sorta di impronta digitale. ognuno di noi ha un'impronta diversa dall'altro e mai ce n'è due uguali. allo stesso modo ognuno di noi interpreta ed è emozionato da immagini, colori emozioni differenti. la poesia esprime un flusso di sensazioni così personali che è impossibile essere emozionati dalle stesse cose, perciò bisogna stare attenti a giudicare una poesia.

 

non tutte riescono a suscitare in noi emozioni, ma allo stesso modo non si possono "scartare" a priori.

 

certo è che ci sono molti poeti che scrivono solo per essere "chiamati" poeti, ma ci sono tanti altri che invece hanno davvero una sensibilità particolare così spiccata da riuscire ad eseprimere la propria arte solo atraverso i versi.

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  • 7 months later...

Le mie "poesie" non sono altro che flussi di sentimenti che imprimo sul foglio, mi dico, per liberarmene. Trattasi di sentimenti d'odio, allegria, gioia, dolore. L'importante è per me cacciarli dal mio essere. Ovviamente non succede mai, ma dopo aver buttato su carta quello che sento in un determinato momento, che mi opprime, indipendentemente che esso sia bello o brutto, mi sento più leggero. Non so spiegare il perchè, ma per me sfogarsi scrivendo è fondamentale. Non mi interessa la qualità dei miei scritti, siano essi poesie o frammenti.

Alla mia poesia do un gran valore, perchè essa è parte di me, e per questo la custodisco gelosamente. A volte la utilizzo per far capire qualcosa di me a persone che non sempre mi comprendono. Quando poi trovo qualcuno che viene colpito dai miei versi, la cosa non mi lascia indifferente, anzi, significa che sono riuscito a comunicare qualcosa, e ciò mi fa sentire bene, non lo nego...

Inoltre credo che la poesia trasmetta qualcosa o perchè la si legge con la giusta intonazione, o perchè ci si sente particolarmente vicini a quello che si sta leggendo.

 

:asd:

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  • 3 weeks later...

Le poesie non sono da "capire" ma da "interpretare" secondo me.

 

Non si deve cercare a tutti i costi un senso univoco ai componimenti, ma deve colpire e piacere stilisticamente, per poi modellargli sopra il significato a noi più vicino.

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  • 2 months later...

io scrivo poesie soprattutto quando sono in momenti veramente di malessere, frustrazione...è in questi momenti che la mia vena poetica è maggiore...è anche vero che il mio tema è quasi sempre quello: l'amore.Le leggo quasi sempre, come se fosse un normalissimo libro in prosa...difatti ho da poco finito i fiori del male di Baudelaire e alcune poesie di Blake

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  • 2 weeks later...
ombra della notte

io non leggo molto la poesia....in realtà non mi piace molto...l'unica che mi piace viene dall'ANTOLOGIA DI SPOON RIVER mi sembra si chiami così...una poesia che parla di un suonatore di nome Jack?possibile?dove lui muore senza il becco di un quattrino ma senza nemmeno un rimpianto...è proprio per questo che mi piace...io sono convinta che bisogna vivere a pieno la propria vita cercando di non avere mai rimpianti,personalmente preferisco avere rimorsi...ma rimpianti mai...anche se non mi piace la poesia c'è qualcosa di poetico che mi piace,che so fare e che mi nasce da dentro...l'acostico,cioè scrivere una poesia partendo dal nome di una persona...e qui arrivo al punto,la poesia fa parte dell'essere umano,di quell'essere umano che è in grado di percepire la bellezza di un albero le cui foglie vengono mosse dal vento... Fiori Risplendete Ancora Nei Campi Elisi Sempre Con Ardore...vi piace?

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Condivido con Yrian la venerazione per Rimbaud.Devo dire che di poesia ne ho letta e ne leggo veramente molta.Se scrivo lo faccio per un bisogno.Scrivo perchè non me lo posso evitare.Feci molti spettacoli di lettura poetica pubblica da ragazzo; figurai anche in un paio di antologie a seguito di qualche premio letterario.Due miei racconti sono stati "messi in scena": un cortometraggio e un "pezzo" teatrale.Ora non scrivo quasi più. Ho nel cassetto un'opera teatrale sugli ultimi giorni di Sodoma; poco più di questo.Non amo chi ha ambizioni artistiche, perchè ritengo importante "esprimersi" ma, come Yrian probabilmente, distinguo "semplice espressione" da "arte".E' un discorso strano? Credo che sia In-Topic... se ne può discutere...

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Anch'io ho scritto poesie da ragazzo fino a dieci anni fa circa, a sbalzi. Poi ho smesso. Perché? Credo perché assorbito, troppo, dalla mia vita lavorativa, il che non mi piace molto. Credo che scrivere poesie implichi avere molto eros da spendere. La molla per me era introspettiva, liberarmi di qualcosa, portarla alla luce, dandole una forma. Poi le leggevo o le davo da leggere a una mia amica, che scriveva poesie da sempre, e a sua volta mi dava le sue: era anche importante questo, condividerle con una persona. E scrivere poesie credo significhi anche sentirsi giovane, cioè in crescita, sentire di avere un cammino, magari dei problemi, ma una strada da percorrere, di cui quelle poesie marcherebbero dei momenti particolari, sia nei sentimenti, sia nella consapevolezza.

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  • 1 month later...
  • 1 month later...
Guest werty

come ho detto nel mio post precedente, perchè riesco a scrivere poesie (non di alto rango ma l'ispirazione c'è) solo quando sto male?sarà un caso, ma oggi ne ho scritte ben 8...e continuo a star male...cavolo! :P

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  • 2 months later...
funeralblues

Non si possono scrivere poesie.Si può scegliere di essere poeta.Credo che mai come nella poesia sia impossibile distinguere autore ed opera.Ed è forse questo il motivo per il quale le "nostre" poesie appartengono al tempo delle non-scelte.

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  • 3 weeks later...

Il mio rapporto con la poesia è senz'altro conflittuale. Se me ne chiedono, rispondo che è un genere letterario che m'interessa molto poco. Non sono un lettore sistematico di poesie, ne leggo soprattutto se consigliatemi da amici fidàti, che mi conoscono e già sanno cosa potrebbe piacermi e cosa no. Né, d'altra parte, ho mai avvertito il bisogno di poetare. Mai.Insomma: l'attitudine al poetico cui fa cenno Yrian nel mio caso sembrerebbe essere decisamente atrofizzata.Poi, però, ripenso per un attimo alla lista dei libri della mia vita e mi accorgo che il preferito è un "romanzo in versi" e che si difende bene anche "L'elogio dell'ombra", perla di Borges in cui poesia e prosa convivono senza mai pestarsi i piedi.E allora mi convinco di non essere affatto insensibile – e come potrei esserlo, d'altronde? - alla "musicalità" di cui parla Alexarcus, alle parole meticolosamente scelte per come suonano, alla punteggiatura meditata, all'uso ponderato dell'aggettivo.E allora mi convinco che quello che m'indispone della poesia – meglio: di come spesso si parla della poesia - è l'assunto di Alessandro, che la vuole, "come ogni forma d'arte, ben più adatta di un qualunque discorso o di un qualunque testo in prosa ad esprimere emozioni".Frase che m'infastidisce per due motivi. Il primo è che sembra sottintendere che la prosa non possa essere arte; ma va bene, ce ne si fa una ragione e si passa oltre.Il secondo è che da una parte pare veicolare il concetto della poesia come canale privilegiato dell'emozione, dall'altra sembra relegare alla prosa soltanto ragionamenti e informazioni; che poi è, riducendo all'osso, quello che lo stesso Borges sostiene nel prologo de "L'elogio dell'ombra" quando parla del verso libero.Concetto che – perdona, Jorge Luis -  a me suona del tutto incomprensibile. Non si contano gli esempi di prosa che vantano musicalità e ritmo, ricchezza di similitudini e metafore, lessico soppesato e ragionato.Cos'è, quindi, che rende la poesia "più poetica" degli altri generi? La struttura in versi? Potrebbe essere, senz'altro. Onestamente, però, non riesco a capire in che modo basti il verso, da solo, a far fare alle parole il salto di qualità: quando libero, a me pare sia una semplice convenzione tipografica; quando regolato da schemi metrici, mi sembra quasi una briglia, una costrizione (colpa mia, ho un'avversione per le rime e le simmetrie che sfiora il patologico).O forse è il fatto che i più intendono una poesia come un insieme scorrelato di espressioni ed immagini, mentre da un libro ci si aspetta per lo più delle storie di senso compiuto? Eppure sappiamo che non è sempre così; anche fosse, comunque, perché ciò dovrebbe bastare a rendere la prima più toccante ed emozionante del secondo?Perché, per citare sempre Alessandro, "bisogna stare attenti a giudicare una poesia"? Perché l'imbecille poetico di Yrian, quello che ammonticchia interi poemi, dovrebbe essere trattato meglio dell'imbecille di Gerione, che nel cassetto custodisce selve di pessimi raccontini e banali romanzetti? Solo perché l'uno va a capo un po' più frequentemente dell'altro?

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una considerazione poco letteraria e molto da stringata da una che divora poesie da sempre e che compra libri di poeti a scatola chiusa, senza neanche conoscerli.In linea di massima mi sento di convenire con Geryon, aggiungerei, però, che secondo mia personalissima esperienza, derivata anche da raffronti con persone che la poesia, generalmente, mal la digeriscono, ho la netta sensazione che la poesia venga considerata, generalmente, un genere letterario più alto, che colpisce di più determinate corde dell'anima (passatemi l'espressione) per il 'semplice' fatto che appare meno 'ragionata' in un certo senso rispetto alla prosa. Generalmente si ha l'immagine del poeta che scrive di getto, tirando fuori ciò che di più intimo ha da dire (anche se poi, sappiamo bene, raramente sia così per i grandi poeti).Questa immagine, il più delle volte inconscia, porta a creare una sorta di ponte tra i nostri sentimenti e quelli del poeta, rendendo così la poesia una forma artistica più vicina alla nostra intimità.I miei due centesimi :asd:(consiglierei, tra l'altro, la lettura di: 'la poesia salva la vita' edito dalla mondadori... non ricordo purtoppo l'autore, e non posso controllare poichè ritengoche questo libro sia ancora negli scatoloni dall'ultimo trasloco... come dice l'autore... una poesia ha il colore di chi la legge)

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E come non essere d'accordo con voi?Intervengo solo per fare una precisazione che a questo punto mi sembra doverosa.Siamo figli del Novecento e abbiamo della poesia un'idea che non coincide più con quella - quelle - che l'uomo ne ha a vuto nei secoli - millenni - precedenti.In origine - nella mitica ancestrale coincidenza del tutto - ogni discorso era discorso poetico: non esistevano l'informazione, la trattatistica, l'intrattenimento... Tutto coincideva: che si stessero trasmettendo informazioni sulle tecniche venatorie o agricole, che si stessero tramandando leggende di fondazione, che si stessero pronunciando formule rituali o magiche, che si stesse dando sfogo all'istinto artistico... Tutto era deputato alla poesia.Bene ha fatto, dunque, chi ha citato "le vie dei canti" e l'originario spirito della musica. Parola, suono, immagine, gesto, segno erano tutt'uno. Anche perché stiamo parlando di una cultura ancora orale e non bisogna dimenticare anche che la trasmissione orale è aiutata dalla musicalità, perché si ricorda più facilmente (e la musicalità di un discorso ne è la metrica): provate a memorizzare una pagina in prosa, una poesia e una canzone e vedrete la differenza.Quindi non disprezzatemi la metrica. Per millenni la prosa è stata il discorso quotidiano, la poesia quello artistico, mentre quello scientifico oscillava tra le due. (Assumo naturalmente la tricotomia dellavolpiana.) Alla poesia - e per poesia si intendeva appunto un discorso metricamente regolare - si affidava ogni preziosità del nostro essere.Successivamente la prosa è stata sempre più valorizzata, tanto da diventare il terreno d'elezione per la narrativa e la trattatistica; la poesia intanto non reggeva il confronto, perdeva nel nostro secolo il suo fondamento (cioè la regolarità metrica), e veniva limitata alla lirica, cioè all'espressione di sentimenti personali. Oggi praticamente non esiste più una poesia narrativa o didascalica... e da un centinaio d'anni abbiamo l'ultimo passo: la prosa poetica, che ha per me un vertice mai raggiunto in Rimbaud e un'espressione tra le migliori che io conosca nello struggente romanzo da cui Geryon trae la sua identità telematica (e siamo costretti a definirlo romanzo solo in quanto narrativo, ma... in senso stretto sarebbe un poema; ma chi scriverebbe o leggerebbe un "poema" al giorno d'oggi?).E intanto l'espressione poetica ha trovato una nuova rifusione nella canzone d'autore, mentre la poesia per musica è stata per secoli un genere secondario e meno dignitoso (vedasi la lunga tradizione del melodramma).Riassumendo: oggi chiamiamo poesia un breve componimento in versi liberi di carattere lirico (sentimentale e personale), ma ricordate che non è sempre stato così e che, anzi, si tratta di un fenomeno recentissimo.Per cui non disprezzatemi la metrica; non quella degli antichi, intendo, perché ragionavano diversamente da noi. Se invece volete scrivere poesia, adottate il verso libero, per non parere buffi. A meno che, naturalmente, non stiate componendo dei limerick...Ultima doverosa precisazione: la poesia (e anche la prosa poetica) è COSTRUZIONE. Per cui - anche se vi sembra che la poesia oggi sia la forma espressiva massimamente intensa, emozionale - non fatevi vittime del luogo comune dello "scrivere di getto", del "guardarsi dentro", "del sentimento contro la ragione" eccetera... perché sono sciocchezze. Il poeta, anche quello più viscerale e istintivo, anche quello dal verso più libero, cesella la propria scrittura, come un artigiano. Altrimenti, semplicemente, poesia non è, per definizione.

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Ahahah forse perchè Pyer ha anche più cultura di me va XDPiccolo OT sul testo... a me lo regalò la mia professoressa di italiano del secondo liceo, in realtà è molto bello sopratutto per chi la poesia poco la ama, più che per quelli che già ne sono ossesionati XD

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funeralblues

Quando parliamo di verso "libero" già chiamiamo in causa la metrica, già evochiamo componimenti poetici tradizionali. Quando definiamo una qualsiasi epressione come "libera", già presupponiamo che esista una qualche costrizione dalla quale sia stata liberata.E' la consapevolezza di ciò che permette al poeta di superare le formule tradizionali creando innovazione poetica, così come il pittore prima impara le regole che soggiaciono alla realizzazione di un disegno classico per decidere volontariamente di superarle.Quando Ungaretti scrisse "Soldati" decise di utilizzare un verso libero. Questo il testo della poesia:Si sta comed'autunnosugli alberile foglie.Analizzatela bene.In realtà avrebbe poturo scrivere:Si sta come d'autunnosugli alberi le foglieche sono due settenari perfetti, in lenea con la tradizione poetica italiana.Perchè spezzarli se non per rendere percepibile lo spezzarsi della vita, il rompersi dell'esistenza, regalando una maggiore drammaticità al componimento poetico?Ungaretti utilizza il verso libero proprio perchè consapevole di una tradizione che non si perde nei suoi versi ma che li attraversa, con tutte le sue implicazioni.

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Esattamente.La metrica nella poesia è come la prospettiva nella pittura o la tonalità nella musica: un sistema di regole in cui l'umanità si è ingabbiata per secoli finendo per credere che fosse l'unico sistema possibile.Il Novecento per fortuna ce ne ha affrancato e così abbiamo conquistato nuove prospettive sulla realà.La metrica tradizionale al giorno d'oggi non è più prescrittiva, ma descrittiva (cioè spiega quali regole segue la versificazione, ma non nel senso che esse siano obbligatorie, anzi contestualmente).D'altra parte non bisogna nemmeno disprezzare la metrica tradizionale, perché ogni epoca ha le sue istanze e il suo gusto. Come ha giustamente fatto osservare Funeralblues citando Ungaretti, ogni innovazione (in qualsiasi campo) non è mai una completa rottura col passato, bensì un proseguimento; magari in netto contrasto, ma sempre con una dialettica più articolata di quanto comunemente si creda. Alla fine si tratta delle nsotre radici culturali.Il problema si pone quando si fa confusione tra i diversi sistemi.Il Novecento - si sa - ha portato alla liberazione dagli schemi classici, ma il rovescio della medaglia è stato un inevitabile spaesamento dell'uomo. Le rivelazioni di Darwin, Freud, Einstein... ci hanno tolto molte certezze, rendendoci più liberi e consapevoli, ma anche più incerti e responsabilizzati.Nelle arti si è avuto lo scollamento tra "l'élite" e "la massa" di cui abbiamo ampiamente parlato in altri topic.. col risultato - per quanto riguarda la poesia - che la maggior parte della gente nemmeno sa esattamente in cosa essa consista - e di questo abbiamo parlato in questo stesso topic.Il fatto è che - pur non sapendo bene cosa sia la poesia e leggendone a mala pena - più o meno tutti ne scrivono. Vedo, nel topic "Le nostre poesie", tentativi di versificazione da parte di persone che di certo non legogno poesia abitualmente e che, suppongo, a scuola l'abbiano considerata con sufficienza.Anche questo è un discorso che abbiamo già affrontato ampiamente. Quello che ora mi viene da notare - e FAR notare sulla scia delle recenti considerazioni a proposito della metrica è l'uso del lessico: arcaicizzante, altisonante, straniante... Ed è buffo, da parte di persone che sono ben note per il loro abituale turpiloquio spesso privo anche della minima sintassi. Pare proprio che nessuno, nemmeno il più sbandato dei teenager nostrani, sia esente da quello che abbiamo già individuato come un innato istinto dell'uomo a poetare. E mi fa piacere.D'altro canto, però, appare evidente che la poesia, nell'idea comune, appartenga a un registro elevato, con tutta la nobiltà della cultura seria ma anche con tutta la tragica distanza che essa ha ormai acquisito dalla vita quotidiana.Insomma, ragazzi, sapete bene che io normalmente mi astengo dal commentare le vostre poesie, perché tecnicamente dovrei massacrarle... mentre so benissimo che il loro valore risiede non nella forma e nemmeno nel contenuto, ma nel loro essere un atto introspettivo e riflessivo...... però, genericamente e collettivamente parlando, mi sento di dire: datevi da fare! Non crediate che la poesia sia solo sfogare l'animo, usare paroloni e andare a capo ogni tanto. Se vi limitate a riporporre le vecchie formule, magari vi sentirete nobilitati, ma l'unico risultato che otterrete sarà di contraddire voi stessi e rendervi inadeguati. Dai grandi poeti del passato prendete l'intensità e la profondità, ma... non il formalismo.Parlate del vostro mondo, non di quello dei secoli passati. Parlate della vostra vita, non di quella cui asssitete in televisione. Se il vostro mondo è mondo in libertà, mettetevi in libertà. Se il vostro mondo è un mondo di parolacce, allora scrivete poesia di parolacce. OK?

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  • 3 weeks later...

Io penso che spesso si scrivono poesie quando non si riesce a gridare l'amore di una persona verso una persona e si vuole comunicare al mondo il proprio stato d'animo.Queste poesie comunicano dolore e permettono a chi le scrive di non fare nessuno sforzo.Ci sono anche poesie esplicite che sia se dolorose o entusiasmanti sono sincere e quindi belle

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Condivido. l'arte in genere di cui poesia è un espressione sono rappresentazioni di sentimenti ed emozioni che a semplici parole non posso essere vissute. La poesia trasmette un sentimento come la musica o l'arte in genere. Pochi sanno apprezzarlo però.

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Ci sono anche poesie esplicite che sia se dolorose o entusiasmanti sono sincere e quindi belle
No. Ci sono anche poesie esplicite (?) che sia se dolorose o entusiasmanti sono sincere e quindi sincere.Che siano belle o meno è veramente tutto un altro discorso.Quanto al resto... Titolo della poesia: "Eh?"Testo della poesia:"Non ho capitonientedegl'ultimi due post."(Secondo me anche Ungaretti stava solo cercando di evitare un mono-riga... :kiss:)
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Io invece temo di aver capito.E mi duole constatare che la poesia e l'arte in generale vengono dai più identificate col "sentimento"...Ma ripeterei ciò che ho già scritto più e più volte.

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Che la sorte sia beffarda, è cosa nota. Che sia anche perversa l'ho scoperto solo in questi giorni, quando mi sono trovato a riflettere sul fatto che saremo proprio noi bruti, aridi e gretti, a "salvare l'arte" dai talk-show.Sì, perché a me quest'idea dell'emozione che spiega sempre tutto turba. E turba anche molto. Fossi un "artista", ne sarei persito irritato. Perché veder implicitamente paragonato il mio mestiere al mercimonio dei sentimenti con cui molti in televisione si guadagnano la pagnotta, non sarebbe una gran cosa.Perché scoprire come sistematicamente siano ignorati i molteplici aspetti stilistici e formali del mio lavoro - gli stessi che, alla fin della fiera, costituiscono la base fondante dei suoi significati -, non sarebbe una gran cosa.Perché un punto di vista "meramente emozionale" sulle mie fatiche mi sembrerebbe solo una scorciatoia cui troppo spesso si ricorre per giustificare conoscenze superficiali e approssimative su argomenti spesso più complessi di quanto si vorrebbe. In qualche modo, dunque, ne risentirebbe la rilevanza delle opinioni che da questo tipo approccio derivano. E anche questa, guarda un po', non sarebbe una gran cosa.Intendiamoci: non trovo affatto deprecabili le sensazioni suggerite da una poesia, dalla musica, o che so io. Non solo le comprendo, ma le trovo anche rispettabilissime per quel che rappresentano per chi le prova. Io stesso, che "artista" non sono, le inseguo e mi ci crògiolo.Ma credo che debba esserci qualcosa di più: si parla d'arte, dopotutto, e non di una martellata sui denti. Sensibilità, dolore ed entusiasmo sono fatti assolutamente personali; degni di rispetto, per l'appunto, ma decisamente effimeri e limitanti. Considerare l'arte soltanto in funzione dei propri sentimenti a me non sembra "sensibilità artistica". Mi pare, più che altro, narcisismo: è proiettare sé stessi su un'opera, per poi parlarsi addosso e tenere tutto il resto sullo sfondo; è riscoprire la propria capacità di commuoversi per qualcosa, darsi per questo una bella pacca sulla spalla e chiudere lì tutto il discorso. Si può fare, eccome. Ma, credo, ci si perde molto.

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funeralblues

Se qualcuno domandasse il nome di un narratore italiano vivente, ci sarebbe l'imbarazzo della scelta.

 

Potremmo cominciare dai vecchi Bevilacqua, Busi, Maraini, Tabucchi...

attraversare la generazioni dei ragazzi di ieri come Baricco, Veronesi, Brizzi, Culicchia...

scoprire qualche nuovo talento (parlano molto bene del giovane Savinio)

 

Non c'è da stupirsi. Le pile dei loro romanzi svettano al centro di ogni libreria. Le loro storie sono stampate in tante edizioni diverse. Per uno scrittore di successo l'obiettivo delle 100.000 copie è importante ma raggiungibile.

 

Noi tutti ci confrontiamo con le loro pagine, anche quando la nostra è l'analisi del lettore distratto, sotto l'ombrellone, alle prese con qualche buco di tempo da riempire.

 

Ciò che voglio sottolineare è che, per quanto riguarda la prosa, non è così difficile restare legati alle ultime mode, ai nuovi protagonisti del panorama letterario.

 

La poesia è cosa diversa.

Basta osservare il settore delle novità in qualsiasi libreria per appurare che di poesia non si troverà quasi niente. Sì e no qualche antologia d'amorevoli versi che a San Valentino vende sempre qualche copia.

 

Per il resto bisogna attingere dallo scaffale dedicato. Qualche centinaio di titoli. Quasi tutti classici. Pochissimi inediti.

Non c'è da stupirsi. Mediamente le prime edizioni di poesia non superano che le poche migliaia di esemplari. Un testo in grado di oltrepassare le 10.000 copie può essere considerato un successo epocale. Pochi i contemporanei che raggiungono i formati economici.

 

Provate a fare un altro test e domandatevi quali poeti appartenenti alla vostra generazione conoscete e leggete. Domandatevi quali sono quei vecchi e saggi poeti che, oggi, fanno scuola in Italia. Chi ne stia prendendo il posto. I talenti emergenti.

 

Non verranno in mente tanti nomi. A parte la Merini e Sanguineti, la prima ospite di Celentano, il secondo di Fabio Fazio, sono pochi i poeti viventi conosciuti, letti ed amati. 

 

Già nell'ombra era la generazione dei Bertolucci, Bigongiari, Luzi.

Figuriamoci i Carifi o i Ramat.

 

Versi per addetti ai lavori. Per chi della poesia ha fatto un mestiere (poco lucroso ovviamente e per questo onorabile e coraggioso).

Versi per piccoli editori, in grado di diffondere i loro volumi spesso solo localmente. Versi da pubbliche letture che qualche vecchia osteria cittadina, di tanto in tanto, ama organizzare.

 

Anche perchè la "rivista letteraria", che animava il panorama culturare del nostro passato, è oramai morta e defunta. Un tempo strumento perfettamente congeniale alla diffusione degli autori emergenti, delle nuove tendenze, delle nuove correnti. Oggi, nel circuito delle grandi bibblioteche, delle università, ne sopravvive qualche vuoto simulacro, ordinatamente disposto negli scaffali preposti alle pubblicazioni periodiche.

 

La scomparsa delle riviste letterarie, la vocazione commerciale delle case editrici più importanti, lasciano alla poesia giusto lo spazio di qualche concorso letterario. Ma si tratta di pulsazioni che non valorizzano e non promuovono lo sviluppo di un percorso preciso, di una tendenza.

 

Così, la mia e la generazione dei più giovani crescono pensando che gran parte della poesia contemporanea sia contenuta nei testi delle canzoni. Così i giovani riempiono le pagine dei loro diari di Renga, Meneguzzi, Ferro, Elisa... come noi avevamo già imparato a fare con Baglioni, Cocciante, Vasco Rossi.

Si evolve l'idea imprecisa che questi testi siano poesia. La sola, l'unica poesia degna di attenzione e di studio (quante ore perse nelle traduzioni dall'inglese dei nostri cantanti preferiti!).

Ed insieme a questa idea si sviluppa la conseguenza che poesia equivale ad emozione. Un'emozione spicciola, comoda come un'aspirina, usa e getta, subito disponibile. Un'emozione facile come la vita che spesso intendiamo vivere. Un'emozione sempre uguale a se stessa, stereotipata, come i testi di tante music-stars.

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  • 2 weeks later...

Funeralblues, tutto il tuo post è molto convincente. Però, nel ragionamento che sviluppi, c'è un passaggio, che non è immediato - quando dici che nella tua e nella più recente generazione si afferma l'idea che poesia sono i testi delle canzoni (del resto così, poesie, chiamava i testi dei suoi autori Lucio Battisti). Eppure si conosce l'esistenza di grandi poeti, di classici, alcuni dei quali sono disponibili in libri che costano davvero poco, e non li si leggono. Secondo me, la poesia (vera) ha due svantaggi: fa paura, per qualche ragione che bisognerebbe capire, e non è utilizzabile, come la letteratura - che fa crescere; dà informazioni e "cultura"; costituisce un elemento di riconoscimento culturale tra le persone ed è quindi uilizzabile per la socializzazione; fa tendenza, appartenenza, e si potrebbe proseguire.

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Caro Isher,

innanzi tutto una precisazione doverosa. Quando sostengo che la canzone non è poesia non voglio dire che non è mai poesia ma che lo è molto meno di quanto comunemente oggi si intenda.

Per quanto riguarda la paura (io lo definisco il rifiuto) della poesia dobbiamo partire da un presupposto: negli anni delle scuole medie e del liceo lo studio della poesia è centrale.

L’analisi della Divina Commedia occupa tre anni scolastici. Esiste  un corso di “epica” che affronta i poemi. Tutta la letteratura fra ‘300 e ‘400 è incentrata sull’analisi quasi esclusiva di poesie.

Potrei continuare ma credo di aver focalizzato il concetto.

Il problema che diventa essenziale è quindi legato al “modo” in cui si insegna poesia a scuola e ritengo che l’approccio scolastico alla poesia sia ampiamente migliorabile.

Esso è infatti incentrato su due fondamentali principi: l’apprendimento mnemonico dei testi e la parafrasi della poesia. Cucchi sostiene che soprattutto la parafrasi della poesia uccida la poesia riducendola a mero senso. L’insegnante plaude il proprio allievo che è in grado di comprendere il senso dei versi proprio nel momento in cui li snatura. Musicalità, metrica e linguaggio restano in posizione defilata, così come lo studio dell’architettura poetica.

Se questo può essere un modo di accostarsi alla poesia “classica” discutibile ma efficace e quindi in grado di raccogliere consensi, risulta, di fronte alla poesia contemporanea, assolutamente fuorviante perché in contrasto con l’”autostrutturazione del linguaggio” che è propria di questa poesia e che apre la strada alla plausibilità di una pluralità di interpretazioni, accettata dallo stesso poeta.

In questo consiste la presunta complessità della poesia contemporanea, presunta perché si tratta in realtà di una sua potenzialità che dovrebbe semplificarne l’approccio e smitizzare la paura che da essa procede.

 

Sul concetto da te espresso secondo il quale la prosa e le forme più o meno letterarie che vi si sposano siano più utili perché, sostanzialmente, fruibili e subito spendibili, avanzo alcuni dubbi interamente ascrivibili ad un’idea personale: la facilità inganna. Ciò che appare facile, immediato, comprensibile viene spesso gettato dietro le spalle come acquisito, eliminando gran parte della riflessione che spesso è necessaria al fine di una “vera” comprensione.

 

Questo appare più evidente di fronte ad un dipinto magari del Rinascimento. Prendi, ad esempio, La Vergine delle Rocce. E’ un’opera d’arte e di fronte ad un’opera d’arte noi ci sentiamo in dovere di comprenderne il senso e di provare piacere. Potrà sembrarci una raffigurazione semplice rispetto ad un’opera cubista. In effetti del quadro di Leonardo comprendiamo subito il senso: Una Madonna con Gesù, Giovanni ed un Angelo. E’ stato facile, passiamo oltre. Con l’opera cubista proviamo invece un certo disagio perché è difficile approcciarsi al quadro senza conoscere quello che è il “manifesto” cubista. Se abbiamo voglia di capire ci dobbiamo armare di pazienza, ci dobbiamo documentare, dobbiamo dedicare all’osservazione ed alla conseguente analisi un tempo maggiore.

Così la poesia ha in sé un “principio di sincerità”. Sembrerebbe dirci: “Non fermatevi alla superficie e cominciate a scavare”.

La semplicità, l’immediatezza della Vergine leonardesca sembrano escludere questa chiarezza e potrebbero, in qualche modo, favorire la nostra superficialità illudendoci di aver compreso al primo sguardo.

 

Naturalmente la mia è una generalizzazione che non pretende di abbracciare l’intero panorama poetico anzi, ritengo che alcuni, come l’amato Majakovskij, avrebbero ampiamente criticato queste riflessioni…

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