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MARIO8530
Posted (edited)

Storia spin off del racconto di metal:

 

 

⚠️Per il linguaggio e i temi sociali trattati, si raccomanda la lettura ad un pubblico di media impressionabilità. Grazie.

 

 

Mattinata Piena


1. *Robert aveva preparato il ginseng come mi piace. Ancora non riuscivo a svegliarmi e aspettavo quella spinta che ti sovviene al mattino, tra il torpore e le coccole tiepide del letto e la serrata routine che ti lancia nel mondo.

Ma quella mattina non capivo cosa mi prendesse. Ero ancora fermo alla finestra, fisso sul viale alberato cui dava il nostro soggiorno.                                                                                                                                    La luce chiara saturava l'aria in cui il gattone grigio a striscie cercava di nuotare, saltando come preso dal demone di Regan MacNeil. "Così"... uno si sveglia la mattina, con un demone in testa.

Il pallore del foliage autunnale non trasmetteva realmente qualcosa. Le foglie smorte riflettevano un senso di ignavia, un opaco scolorito. Il vago ricordo di una foglia viva, ma il perfetto preludio a una giornata apatica. Se l'estate è quel fresco vento profumato, all'inizio di un giorno frizzante, il verde è di certo il suo colore: le vacanze fuori porta, il profumo dei boschi di montagna, la meritata vacanza. Pura energia, desiderio di avventura inappagabile. Invece, io cosa stavo vedendo? 

Orami era passata l'estate e la frescura dava della paglia ispida sotto il mio naso, che era diventato bianco e infreddolito. Allora chiusi la finestra, quasi stizzito.

 

«Metal! Guarda qui: ti immagino con questo vestitino porco, stasera...»                                                                                                                                                                                                                                 

 «Robert, ti fermo ora. Dobbiamo sbrigarci, non voglio fare brutta figura... Saremo perfetti, sarà il nostro momento come coppia. E poi è ovvio che sarei sexy, con quello.»

«Quindi non mi accontenterai;è un forse!»

«Hey, hai capito cos'ho detto?»

«Certo, führer. È che sono pazzo di te, perché dovrei nasconderlo? E comunque sei sempre tu che fai tardi per sembrare più raffinato.»

 

Io ero assonnato, ma percepivo ogni entità e dovere da sbrigare, allo stesso modo delle sue alzatine di occhi al cielo.   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Robert tirò la porta e ci incamminammo insieme verso il parcheggio, quando ci vide Ines... Come diavolo pronuncia il suo nome, quella stronza? Non avevo voglia di salutarla, men che meno volevo ci notasse entrambi. Allora cercai di affrettarmi, mentre quella teneva casa aperta e sembrava stesse esponendo cianfusaglie come in un grottesco bazar, quasi una cornice per American Horror Story.

«Mel-alì!»

«Chi? dissi, superandola.»

«Ehi, 'spetta. Non è tuo nome, gioia?»

«Sì... Metal. Andiamo di fretta, scusi.»

«E io che ho detto? Nooo, hey... mi sevre roba da cucina, cel'hai te in casa?»

«Guardi, oggi non è giornata... le lascio le chiavi e fa con calma, poi ripasso io più tardi, va bene?»

 

Sembrava non stesse capendo. Allora feci per cercare le chiavi e gliele porsi. Me le strappò, quasi...

 

Robert mi guardò stranito. «Le hai dato le chiavi?»

«Si, tranquillo, ci conosciamo... E poi, è solo un'impicciona. Voglio proprio vedere che stronzate s'inventerà per fare la parte di quella vissuta, quella indispensabile nel quartiere».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 3. Non diedi peso alla cosa. Presto fummo in strada. I ronzii dei clacson nello sciame di carrozzerie passavano in secondo piano... Che atteggiamento era il suo?!

Se non fosse che dovevamo sbrigar varie commissioni e non tardare all'appuntamento, avrei potuto farle quel discorsetto che mi ero preparato dall'ultima volta... Sì, perché io non dissi nulla e lei aveva il suo solito atteggiamento irritante.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Non sono intollerante, le persone arroganti e di potere hanno il loro fascino alla Miranda Priestly. Ma non puoi rispondere a tono, ché quella gira la frittata come le pare.

 

«Mety... tutto bene? Sembri pensieroso.»

«No, solo un po' di sonno. Sai, ci vedo bene, là, insieme. È un quadretto delizioso. Avremo il nostro momento in società. Per me è un traguardo, abbiamo ottenuto uno status. Piuttosto tu... emozionato?»

«Sì... mhh, no. Voglio dire, poi devi chiamarmi quando hai fatto ché ho la coincidenza. Così sono da te e ci togliamo il pensiero.»

«Certo caro, ti farò sapere.»

 

Le vie assordanti della città, strepitavano del via vai incessante. "Sei tu il progresso in costante costruzione verso l'alto?"                                                                                                                                                     Ero seduto ad aspettare Robert, quando un pensiero vago si insinuò nella mente: Ines fece quel gesto con una naturalezza sfrontata....

Il tempo scorreva come acqua e non ebbi molto tempo, quel giorno, da dedicare a quella donnaccia dalla dubbia moralità.                                                                                                                                                        Il dubbio che ci fosse qualcosa sotto non se ne andava; infatti... 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note a piè di pagina. *Robert è il marito putativo di Metal. L'ispirazione può sembrare reale, ma ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Pertanto, il suddetto si riserva la facoltà di agire in giudizio, qualora sia pervenuta una mancanza, verso il suddetto, che non verra lasciata impunita. 

Edited by MARIO8530
MARIO8530
Posted

Il corridoio era buio. Una *filippina saliva su per la tromba delle scale, dall'atrio, da cui il debole chiarore del lucernario raggiungeva il mio piano. Riuscivo appena a distinguere l'interno di casa. Stavo tornando in appartamento, quando ricordai che le chiavi le aveva la vicina, ma la mia attenzione fu presa da quel che vidi. Non volevo accendere la luce: la porta era aperta e c'era qualcosa di strano. 

 Un brivido mi salì dal polpaccio, intorpidito da un vento freddo che mi avvolgeva le gambe. Subito pensai che stamattina avevo prontamente chiuso tutte le imposte, per il freddo che mi ritrovo a sopportare appena sveglio, di questo periodo. 

 Ormai fa freddo, mi sono trovato ad arrangiare il cambio di stagione. Per forza! 

La conclusione era spaventosa, ma scontata: qualcuno doveva aver aperto qualche finestra.  

 

Ero calmo e volevo accertarmi delle cricostanze...  

Non mi turbava neanche il fatto che, si diceva, dei malviventi battevano la zona. L'intuizione subitanea non mi costò che qualche secondo, mentre mi premurai di avanzare di qualche passo, tendendo i muscoli pronti e restando sulla porta, di traverso. 

 

 

«Chi c'è?» La mia voce ferma si riverberava nelle stanze vuote. 

- Frà, frà frà, frà. Frà. - Un rumore veniva dalla cucina. "Sarà entrata una civetta", pensai.  

 

 

Un macabro canto mi aveva accompagnato, dal fondo del viale fino alla portineria, stridendo nell'aria fredda e cristallina. 

 La sera arrivò presto, nel primo pomeriggio e rincasavo proprio in quel malinconico attimo in cui il sole è già via da molto, ma il cielo si tinge di un indaco intenso, quasi un colore esotico, sentimentale, che viene da Oriente. 

 Io ero sotto casa e notai rapidi movimenti, ben celati tra le fronde, di animali indistinti. A quell'ora, il cielo sembrava piangere lacrime di sangue e il crepuscolo sublimava in pochi attimi una nostalgia di un qualcosa, indefinibile, ma che si perde, inevitabilmente... e ci rende più morti.  

Quegli uccelli  notturni spesso seguono degli umani che vivono vicino il loro nido.  

 

Ma qualcosa strepitò - za, za, za, za, za za... -. 

Poi il silenzio. Non si muoveva nulla. Non più un suono. 

E l'aria era ferma. Non c'era dubbio, avevo appena sentito dei passi di fretta. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Al piano di sopra non c'era nessuno e l'insolita coppia, che mi aveva dato da pensare, ora si era presa  "un mese al sanatorio". 

 Non capii cosa intendesse Marcus quando mi parlò, veramente, per la prima volta di loro due. Non ero mai riuscito a entrare in confidenza con questi. La vita, non so per quale strano motivo, lo aveva portato da un fumoso passato in Svizzera al nostro quartiere.  

Lui sembrava voler occultare ogni più stupida informazione... troncava le frasi a metà, sembrava preso da qualcuno o qualcosa intorno a noi; smetteva di parlare.  

Provai a cheidere di loro - volendo mostrare premura, da buon vicino gay -, ma lui sembrava spesso irritato e a volte guatava fisso davanti a sé, con uno sguardo esaltato, che dominava ogni sua precisa parola. Non parlava correntemente italiano e compresi solo che, per una cura del compagno, sarebbero andati in un'isolata località tra i monti. Partirono due giorno prima dell'evento importante mio e di Robert. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma, tornando a quella sera... 

 

Ero consapevole che i pochi oggetti di valore si trovavano infondo all'appartamento, nelle ultime stanze. Non avrei aspettato sull'uscio, mentre la luce delle scale lampeggiava, segno che avei perso visibilità nel giro di qualche secondo.  

Ero scocciato dalla situazione. Qualcosa in me ribolliva. Forse era colpa di quella insulsa scenata su degli investimenti di famiglia... 

In quei giorni mia madre aveva usato dei modi spregevoli, causando una bega di famiglia. Parlava di me e gli altri come se non fossimo familiari, ma semplici strumenti di guadagno. 

Forse non aveva scemato quella collera che ebbi per la sua insolenza nei confronti dell'altra interessata, mia sorella, cara. 

Dunque non sopportai quella perdita di tempo. Avanzai verso un vuoto di flebili ombre, determinato a porre fine a quella situaziome, quando la luce padronale si spense. 

 Strinsi i pugni, muovendomi spazientito tra i locali, seguito dal tonfo sordo del mio passo serrato. La finestra del soggiorno lasciava trapelare un riflesso argenteo che illuminava il vuoto etereo, infrangendosi sugli spigoli ampi e le silhouette allungate. Un rumore ovattato mi raggiunse: non capivo da dove provenisse... Sembrava un oggetto morbido, magari di silicone, che sbatteva contro una superficie soda.  

 

 

Cosa cazzo succede in casa mia?! Pensai. 

 Avevo raggiunto le prime stanze e non avevo paura a stare dritto, determinato contro ogni evenienza, rendendomi visibile e incombendo con la mia presenza energumena e inesorabile, contro uno sporco intruso.  

Ero sicuro di quel che facevo, mentre un chiarore, da fuori, colpiva i più minuziosi dettagli di ogni cosa, restituendo sagome frastagliate sui muri. 

 

Un rumore frenetico ora si rendeva distinguibile. 

Fui subito all'ingresso della cucina e, sporgendomi accorto, vidi con sgomento un raccapricciante agitarsi di membra. 

«Ines... cosa fai?! » 

:-0 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Filippina. Termine gergale per vento freddo di Tramontana o spiffero fastidioso. 

metalheart
Posted

Grazie, apprezzo veramente tanto questo omaggio! Ines vive, vive ancora dopo tutti questi anni. 

MARIO8530
Posted
36 minutes ago, metalheart said:

apprezzo veramente tanto questo omaggio! Ines vive

😄💕

Posted (edited)

Era lei.  

Non capii cosa era successo nella mia cucina, forse il torpore mentale per l'assurdo incontro mi aveva aiutato a non vedere lo schifo... 

 

 

"Ho calpestato qualcosa? "Pensai. Lo spettacolo sozzo non mi aveva sconvolto e decisi di venire al dunque, con quella troia. Lei era seduta sul bancone dell'isola, felice tutto sommato, mentre si muoveva su e giú. 

 

«Sorpresa!» Disse, con quell'aria di sufficienza che ha sempre.  

 

«Ines... Ma cosa... » Non sapevo che dire. Mi sentii a disagio: dal suo atteggiamento distaccato sembrava che fossi io l'intruso in casa. 
 

«Metal, mettiti comodo, sapevo che tornavavi te tardi. Così ho preparato cena. Tu fidanzato te piace yolgi?»  

 

«Oh... Ma non dovevi. Cielo! Dovevi avvisarmi, tesoro. Ero impaurito. Sono entrato temendo che fosse un ladro.» Feci per prendere un bicchiere, mentre lei sbatteva energica delle bacchette in una mistura bianca e viscosa. 

 

 

«Già, già. Non avuto tempo. E non fare complimenti, che palle! 

 «Qua i muri... carta velata. E un aiuto non devi chiedere, se la vicina sente i litigi da letto co tuo bebo, ché geloso di te e fighette che ti fai.» 

 

 

 

 

Cercai di ignorare i suoi discorsi strampalati. Sopportai la sua presenza insultante per i servizi, che avrebbero ripagato il mal di testa che mi assalì. 

 

Lei continuava a sbattersi qua e là, mentre io indiettreggiavo, cercando il divano. «Ahh! Mi hai fatto prendere un po' di emozione, dolcezza e ora sono un po' sbigotta. Devo stendermi.» 

«Fai cazzi comodi tuoi, Metal, stasera non  ti preoccupare di niente.» 

 

 

 

La situazione mi aveva spiazzato; mi sentivo confuso. Le sue parole suonavano strane, a metà tra una gita al parco delle farfalle e una carrellata nei coglioni al centro commerciale. 

Dopo essermi ripreso, andai dritto da lei. «Senti, stasera sono stanco. Non vorrei dovermi occupare di tutto.» 

 

 

Le mi parole erano chiare. Non intevo accostarmi a lei, ma queste risuonarono nell'aria come solerti note in tono melodioso. Un invito ad andarsene, affascinato io dall'insolita attenzione che mi riservava. Davvero mi stava ascoltando? 

 

 

 

 «Senti, gioia... ho invitato qualche amico per unirsi a noi. E se non ti sta bene ce ne andiamo, eh!» 

 

«Forse, non mi sono spieg....» 

 

«Ti senti bene, gioia? Stenditi qui. 

«Hai bevuto tu miei confetti della sera?! La caraffa l'avevo usata io... non mi dire che l'hai fatto di proposito?» 

 

 

 

Presto mi sentii annebbiato e le mie palpebre non reggettero. Ero già consapevole dei guai in cui ero finito. Ora, dovevo solo sperare che la mia previsione non si avverasse...

 

 

 

 

 

 

Io non credevo di poter scrivere certe cose... trash. Ancora non capisco se fossi davvero io ad avere elaborato il racconto😅

Edited by MARIO8530
Posted (edited)

«Che cazzo fai qui da solo?»  

Ines era accanto a me quando rinvenni e mi fissava in maniera ostile.  

«Perché non conosci gli altri?» 

 

Non sapevo come reagire. Avevo di fronte quella stronza che si era introdotta in casa mia. Si era trastullata con ogni attrezzo della cucina, cose che nemmeno sapevo di avere o comunque non vi ho mai trovato una verà utilità.  

Quella psicotica omicida mi aveva drogato e non sapevo proprio che dire. Mi trovai con la bocca impastata e la sonnolenza. «Che è successo? Perché questo frastuono?»  

«Ti ho detto che venivano. C’è Efraim, Emre, Jo Patata...  Mingut col marito. Lei è una buona a nulla sempre tra i piedi, perciò quell’uomo onesto e religioso è spesso amareggiato. Perciò l’ho invitato.» 

 

Non feci in tempo ad aprire gli occhi che mi trovai con un bicchiere in mano, pronto alle presentazioni della marmaglia che quella si era permessa di portare. Alcuni ridono, scherzano, gridano. Altri inneggiavano alla ribellione e una condotta rilassata. Tre donne stavano parlando della loro comunità nel nostro quartiere, quando Ines le interruppe lanciandosi al centro, trascinandomi con sé. 

«Questo è Metal. Mingut, te sei sempre così noiosa? 

 

 

Vidi che qualcuno aveva lasciato in giro le asciugaman del bagno. Intanto Ines incalzava le altre a sparlare delle amiche assenti. Poi, purtroppo, lei notò che mi ero allontanato. 

 

«Metal, stai qui a sperare che tua relazione migliora col vino? Tu rompi coglioni a tuo marito. Io ho capito.» 

«Come scusa? E tu come fai a saperlo, sei una terapeuta, un assistente sociale in borghese? 

 

 Gli occhi di Ines brillarono: «Hà! Questa è proprio bella. Si vede lontano due chilometri... Se non parli di problemi, quelli non se ne vanno.  

«Senti, tu pensa tuo marito, ché se no lo perdi. Prenditi cura quando torna e non fare al solito la stronza acida. Poi... tranquillo, questi se ne vanno tra poco, non ci daranno fastidio.» 

 

 

 

Ci vennero incontro i suoi amici più giovani accompagnati da Emre. La donna si mostrò accigliata, interessandosi di me: forse aveva notato il mio avvilimento.  

Aveva un grembiule a fiori, dai colori contrastanti di turchese e giallo-arancio. Subito ebbe una premura, porgendomi della ciorba e invitandomi a sedere. 

 

Gli altri parlavano dei loro interessi. Fu la volta di Efraim: «Finalmente, Ines, ci troviamo tutti insieme. Era da molto, perché non ci hai invitato più?» 

«Che dice? Aspetta, Jo mi parlava dei suoi studi.» 

 

L'altro ragazzo aveva un mullet e attorcigliava una ciocca di capelli. Un lieve rossore colorò il suo incarnato pallido. «Sì. Abbiamo studiato dei casi interessanti, statistiche sui comportamenti di genere negli Stati Uniti.» 

Ecco che Ines aveva la sua scusa per evitare un confronto spiacevole. 

 

 

 

 

 

Più tardi, quella sera, altri ragazzi vennero per un saluto. Un gruppetto si avvicinò a Ines. 

«Cara! La nostra famiglia queer è di nuovo al completo. Ci mancavano queste riunioni: le risate, i profumi dei piatti di Mensal, il cenare tutti insieme e condividere il quotidiano. Ammetto che sarebbe stata una dolce consolazione, soprattutto dopo che a Ccorsi la famiglia ha vietato di vedermi e ho passato un periodo buio, amo!» 

La mia vicina era, visibilmente... con la stessa faccia di sempre. «Ci tenevo a vedervi. Lolly, tu sempre stronza, eh? Fai bene.» 

 

Al che avvicinai la madrina della serata. «Scusa, sai dove hanno spostato la mia vetriera di Murano?» 

«Che dice, Metal? Intendi quel secchio di vetro?» 

 

 

Gli ospiti continuavano a celebrarare quel ritrovo sentito. Non c'era segno che quel baccano potesse finire presto. Io e Mensàl fummo in disparte e, non appena ci notò, Ines sbottò in una sua solita frasetta.  

Intanto un tizio continuava a toccare le patatine e leccarsi le dita. Allora mi avvicinai a lui, irritato. «Cosa stai facendo?»  

Mi guardó, con lo sguardo vuoto e un'espressione estatica. 

Si girò verso il nostro gruppetto, sorridente, come godesse che, nel suo comportamento, avesse attirato l'attenzione dell'amico.  

 

«Ines, ma chi è questo? Ha un strano atteggiamento...» Dissi. 

«Lolly... siamo amici, noi. Ci siamo conosciuti in una serata queer di teatro. Ci frequentiamo, sai?» 

«Tu e lui? Ma in che senso? Una donna adulta e un moccioso... Ines, ma che storia è?!» 

 

 

Questa specie di attaccapanni aveva i modi di una costosa accompagnatrice di Bursa, pendendo sensualmente dal braccio dell'interlocutore. L'animo di una pin up, il capo reclinato, il fare languido, la fragilità della più fine seduzione.  

Quando qualcuno diceva di drammi o frivolezze, non si sbilancia troppo. Rimaneva discreto, con quell'espressione libidinosa e lo sguardo allusivo, una Madame de Pompadour. Con sgomento notai che, mentre parlava con un altro ragazzo, strusciava il sedere sul mio divano. Oscillava con il bacino, delicatamente, sui cuscini che avevo portato l'altro giorno in lavanderia, quasi a volersi deliziare del lieve strofinio che vibrava tra le coste del jeans. "Era un modo per colpire l'altro?" 

Non capii... Il suo amico sembrava normale. Un ragazzo apposto. Infatti salutò Mensàl, per andare al turno di notte dello studio legale. Sembrava un  ragazzo a modo, con un taglio fresco e una semplice giacca.  

Infatti Èkcel confermò il mio giudizio. 

  

 

   

 

Il tempo passava e venne il momento di un brindisi. Tutti sembravano soddisfatti  di quel raduno e i discorsi, ora nostalgici ora sentimentali, cedettero all'appello accorato di un ragazzo.  

«Anni fa, avevo una famiglia ed ero un anonimo qualcuno. Poi c'è stata la mia riscoperta e così ho perso la famiglia e me stesso. Per me, amori, siete importanti voi! Adesso non so chi sono, ma posso contare su una vera famiglia.» 

 

«Ridicolo!»  

 «Come, scusa?»  

 

Il gen-z mi guardò corrucciato. «Cos'è non hai più una personalità? Hey... dico a tutti voi.» 

 

Il silenzio calò all'istante, come la folgore del giudizio punitivo di una deità.  

 

«Tutto ciò è un'idiozia. Siete solo una messa in scena. Ma è lei che fa ludibrio delle vostre tristi vite. Guardatela, siete il suo amusement!» Esclamai. 

 

Gli occhi di tutti caddero su Ines, il cui volto si corruppe in un ghigno demoniaco, uno sguardo agghiacciante, come la Miss Cooman in preda ad un visione profetica. Mi ricordò quel momento, nei programmi sugli assassini, in cui l'apparente conformismo cade, come una maschera e il male prende il sopravvento. 

 I presenti mostrarono una sorta di consapevolezza; lo sconcerto mal celato lasciò il posto ad un gelo. 

 

 

 «Insomma, io torno tardi; sono stato fuori per l'intera giornata e sono stanco. Chi trovo in casa mia? Esatto: lei. Tutto questo è troppo.» 

 

Emre si lanciò verso me. «Ma dai, caro, vieni qui, è la stanchezza a parlare. Siedi.» 

 

Rimanemmo per un po' in disparte. Ines intervenne: «Stai facendo una scenata, Metal.» 

 Non potevo credere che si difendesse ancora così bene. Mi faceva sembrare come quegli adolescenti che, a una innoqua ribellione, vengono sgridati. A nulla valse la linea comprensiva e ferma di Emre. 

 L'atmosfera sembrava disciogliersi; come la frescura autunnale, dalla soglia di una natura morente, si stempera dolce nel tepore dei camini, che vengono accesi e le strade si profumano di caldarroste. Così un chiacchiericcio si anima e accompagna di nuovo, nell'aria, la leggerezza della festa.  

 

Notai una cosa insolita. «Emre, scusa la mia indiscrezione... Spesso me lo fanno notare, magari ho davvero modi un po' borghesi, ma io non me ne accorgo! Tu non hai un nome da maschio?» 

«In effetti sì, ora che me lo fai notare. Ah ah, non c'avevo mai pensato!» 

 

Rise di buon gusto, con il rossore delle guancie che le illuminava il volto. Raccolse nel grembiule delle stoviglie, a mo' di saccoccia. Col suo fare accogliente e caloroso, rassettò il tavolo in sala da pranzo e iniziò a sparecchiare il koffietaffel in soggiorno. Non mancò di serbare quache sorriso, per scusare l'invadenza. 

 

 

La mia attenzione fu catturata da un oggetto strano, di certo non mio. Sembrava un telefono. Allora chiesi ad Ines delucidazioni. 

 

«È Ines, con la y.» Ancora una volta quella donna mi sorprese. Faceva un suono inorridito. Diceva che pronunciavo male il suo nome e non capivo se mi stesse prendendo in giro. Comunque non rispose alla mia domanda e continuò con le sue perle di saggezza. 

 

«Visto, ti dicevo che ora tu piaci! Perchè questa non è filicità, è soddisfazione. Credimi, è molto meglio!»  

 

Qualcuno aveva messo su una nenia col ronzio di un clarinetto e, soddisfatta, mi guardava e si dimenava, credendo che in pochi la notassero.  

Dall'espressione scocciata, dopo essersi accorta che con una tetta stava per uccidere Katrina, la ragazza timida dal viso di uno scricciolo, disse: «Non sentite puzza di bruciato? Harìa, cosa cazzo fai?!» E corse via, con l'aria indaffarata. 

 

 

Robert tornò tardi. «Che ce per cena?» 

Gli presi la giacca. «Ciao, finalmente sei qui. Mingut ha portato del cuscus, Jaime delle arepas...» 

 «Oh, hai dato un party... Sono contento, amore, che ti sei divertito con degli amici.  Sai, ultimamente ti ho visto un po' giù. Se non fosse stato per questa mattina... Infatti per il week end volevo portarti a Filaria. Ops, non dovevo dirlo!  

«Come stai, Metal, intendo: davvero. Ti senti bene, sei soddisfatto di noi?» 

 

La confusione della giornata si faceva sentire e lo assecondai con un sorriso.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno successivo mi vidi con un amico. 

«Cazzo, Lele, perché non mi hai richiamato?! Robert non c'era e ieri ho vissuto un momento imbarazzante, ero solo! 

«Ma, segui la Rowling? E questo è un tatuaggio di Tom Metzger....» 

 

«Senti, io ti conosco. Tu sei troppo permissivo, a volte. Oggi ero al cantiere e poi coi ragazzi siamo andati ad un piccolo raduno. Di solito il venerdì c'è il pienone e magari passa qualche comunista con la puzza sotto il naso, mentre noi non facevamo più rumore del locale egiziano lì vicino. Lo faceva apposta, oh! Quello c'avrà sessant anni, una moglie che non sopporta e tanto tempo libero. La gente oggi vuole solo sfogare la rabbia sul prossimo. Tempacci... » 

«Le', hai capito che è successo?» 

«Metal! Tu... Te devi decide'. » 

Con quel badile rotondo che si trovava per mano, mi prese il viso. Sgranai gli occhi, irritato. Non mi ascoltava e ora sembrava infastidito. 

«Ah ah ah... Non so resistere a quegli occhioni. Mi hai messo a posto. Mety, te devi imporre. La prossima volta fatte rispetta'. Anzi, chiama e vengo coi ragazzi.» 

«Tu... mi capisci sempre -swamp- » 

«Àjo! Non ho sentito nulla, ma mi hai fatto spaventare!» 

«Questo è perché sei un ottimo amico, ma non ci sei mai!» 

 

 

 

 

 

 

 

Quel giorno, l'aria cristallina si respirava con naturalezza. Era piacevole passeggiare a quell'ora, con il tepore di una luce dorata e le fronde variopinte a carezzare l'aria, trattenendo la frescura. La nuova stagione fu più clemente. 

Ma poi incontrai la vicina che scendeva.  

 

«Salve Metal. Ieri notte... qualcuno faceva baccano. Con Flavio non sapevamo che fare. Ci hanno detto che era un raduno queer»  

 «Be'... a casa mia hanno organizzato una festa. Purtroppo a mia insaputa. Non accadrà più, di certo.» 

«Oh... li sostieni.»  

Lei annuiva e seguiva attenta la mia colpevole giustificazione. Ma il suo viso lasciava sfuggire dello sdegno. Era ovvio che volesse allontanarmi, dalla gestualità fisica. Si teneva distante.  

«No, non sono come loro. Sai, vivo con una persona, insomma. Io e il mio partner abbiamo pensato che, di recente...» 

«Sei un ragazzo per bene, Metal, non devi giustificarti. Ecco, vivi questa situazione particolare, ma sei uno di noi. Al giorno d'oggi non sai di chi fidarti. Pensa che c'erano questi brutti ceffi, più in centro, che portano degrado, criminalità...  

«Io dico, se incontri qualcuno di spregevole che fa un affronto alla tua persona: lascia andare. È impossibile altrimenti, ti giuro! È una cosa logorante. Ma dove andremo a finire?!» 

 

 In effetti, mi ero guadagnato la sua fiducia da tempo. Così ebbe conferma della mia posizione sociale.  Dal profondo dei suoi occhi il verde si illuminò, intenso ma comprensivo.  

Io fui brillante e conquistai la sua approvazione; ad un tratto lei fu colta da uno spiffero e si strinse dolcemente nel suo visone bianco. La chioma ondulata e rossa risaltava un viso squadrato dai tratti svedesi, come una modella anni Settanta. 

«A rivederci, caro.» 

Edited by MARIO8530

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