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J. Ratzinger, "Gesù di Nazaret"


Rigoletto

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Nulla di grave, ovvvio. Si tratta solo di una fiaba (anche se ha prodotto problemi e sofferenze veri).

 

Ma Ratzy non era un serio teologo, colto e preparato?

Se non si districa nella mitologia che alimenta la sua setta e la sua superstizione, non oso immaginare su temi più seri e più concreti.

 

 

 

CRISTO, QUANTI ERRORI

 

 

Sbaglia il monte di Abramo. Anticipa di secoli la domenica delle Palme. E poi: citazioni imprecise, parole mal tradotte. Ecco gli sbagli del papa nel libro su Gesù.

 

di Marco Damilano

 

Abramo fu chiamato a sacrificare il figlio Isacco sul monte Oreb? Macché, era il monte Moria. Gesù entrò a Gerusalemme il giorno della domenica delle Palme? Impossibile: ai tempi di Gesù la festività non esisteva, non esisteva neppure la domenica, in verità. Chissà cosa avrebbe fatto un docente di teologia con un allievo che nella sua tesi di laurea fosse incappato in simili errori. E chissà come li avrebbe giudicati, ai tempi in cui insegnava a Munster, Tubinga e Ratisbona, il professor Joseph Ratzinger. Ma in questo caso impugnare la matita rossa e blu è più complicato. Perché l'autore del testo in questione non è uno studentello alle prime armi, ma il teologo tedesco famoso in tutto il mondo, la cui opera si compone di "seicento articoli e un centinaio di libri tradotti in tutte le lingue, come vanta la quarta dì copertina del suo ultimo volume. Proprio lui: Ratzinger, papa Benedetto XVI. Il suo libro "Gesù di Nazareth", edito da Rizzoli, in poco più di un mese ha raggiunto la tiratura di un milione e mezzo di copie (con edizioni in Italia, Germania, Slovenia, Grecia, Polonia, Stati Uniti e Gran Bretagna e con traduzioni in corso in 30 lingue). Un successo enorme di pubblico, accompagnato dall'applauso dei fan: "Ha l'aria di avere in pugno la storia più interessante in circolazione della storia del mondo", si è commosso Giuliano Ferrara. Gli specialisti, gli esperti di Scrittura, però, non condividono tanto entusiasmo. E forse pensava a loro, il collega Ratzinger, quando ha scritto l'introduzione: "Questo libro non è magisteriale. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell'anticipo di simpatia senza il quale non c'è alcuna comprensione". Quasi un invito alla clemenza, con l'ansia dell'intellettuale che teme il giudizio dei critici su ciò che gli è più caro, l'opera del suo ingegno. Altro che simpatia. Dagli esegeti arrivano stroncature impietose. Segnalazioni di errori che "L'espresso" ha raccolto con l'assicurazione dell'anonimato. Sviste, confusioni sintattiche, anacronismi, luoghi comuni. E qualche autentico strafalcione. A pagina 51, per esempio, Ratzinger parla del racconto rabbinico secondo cui "Abramo, sulla strada per il monte Oreb dove avrebbe dovuto sacrificare il figlio, non prese né cibo né bevanda per quaranta giorni e quaranta notti". Ma qui il papa fa confusione tra due episodi biblici: nel capitolo 22 del libro della Genesi il monte indicato per il sacrificio di Isacco è il Moria. E Abramo arriva nel luogo dell'olocausto il terzo giorno. Mentre, in effetti, c'è un altro personaggio fondamentale che digiuna per quaranta giorni camminando verso il monte Oreb: ma è il profeta Elia, come racconta il capitolo 19 del libro dei Re. Scambiare Abramo con Elia è da "non possumus". Ma a pagina 356, il papa tedesco scivola sull'Oreb, per la seconda volta. Parlando dei "monti della rivelazione" ne indica tre: il Sinai, l'Oreb e il Moria. Ma il Sinai e l'Oreb nel linguaggio della Bibbia sono la stessa cosa, simboleggiano il monte dove Dio parla al suo popolo. C'è poi l'equivoco per cui Ratzinger scrive che Gesù entrò a Gerusalemme durante la festa della domenica delle Palme: il papa lo ripete quattro volte, a pagina 213, 272, 315, 335. Ma si tratta di un evidente anacronismo: la domenica delle Palme, come è ovvio all'epoca era una festività inesistente. La benedizione dei ramoscelli d'ulivo che ricorda quel giorno fu istituita molti secoli dopo. A voler essere pignoli, poi, e solo Dio e Ratzinger sanno quanto possono esserlo certi teologi, si scova di tutto. Scambi di genere: a pagina 362 la parola ebraica sukkot (capanne) viene utilizzata al maschile, e invece è femminile. Scambi di declinazione: l'"epistàta"di cui si legge a pagina 348, che in greco significa presidente, capo, maestro, è un vocativo, il nominativo è"epistàtes". Luoghi comuni: l'asina "cavalcatura dei poveri", di cui si parla a pagina 105, sa un po' di fiaba bavarese. Si può aggiungere che "malkut" è una parola ebraica, e non una radice come afferma il papa a pagina 79. E ancora: a pagina 62 Benedetto XVI traduce il termine "doxa" in gloria, ma nel greco classico in realtà la parola significa opinione, solo nel Nuovo testamento, nei Vangeli, assume un nuovo significato. Discussioni sul sesso degli angeli? Mica tanto. Come sì è visto la settimana scorsa a Parigi quando alla caccia all'errore nel testo del professor Ratzinger si è aggregato un lettore d'eccezione: Carlo Maria Martini. Recensendo il libro del papa nella sede dell'Unesco il cardinale gesuita, ex rettore dell'Università Gregoriana, raffinato studioso delle Scritture, ha soavemente scagliato qualche bel pietrone. Prima ha fatto notare che l'assenza di note non consente di capire a cosa si riferisca Ratzinger quando parla di versioni recenti della Scrittura: "Il testo ebraico non è una versione", ha commentato l'arcivescovo emerito di Milano. Segnalando, en passant, che il primo libro dei Re di cui si parla nell'edizione francese, in quella italiana viene citato come il secondo. Poi si è dedicato a gettare un'ombra sulla preparazione dell'autore: "Egli non è esegeta, ma teologo, e sebbene si muova agilmente nella letteratura esegetica del suo tempo non ha fatto studi di prima mano per esempio sul testo critico del Nuovo Testamento". Come dire che il papa è rimasto alla teologia dei primi anni Settanta, non ha studiato oltre. Detto a un dottor sottile come Ratzinger, è una bacchettata niente male. Qualcuno attribuisce gli errori alla stesura accidentata del testo, cominciata nell'estate del 2003, quando Ratzinger era un cardinale in vista della pensione, e terminata, stando alla data della prefazione, il 30 settembre 2006, nel pieno delle polemiche seguite alla lectio magistralis di Benedetto XVI nell'Università di Ratisbona, il più grave cortocircuito comunicativo del suo pontificato. Un testo scritto nei "momenti liberi", e questo può giustificare qualche imprecisione. Qualcun altro, invece, se la prende con l'imperizia dei curatori dell'edizione italiana: Ingrid Stampa, la signora che da quindici anni fa da governante a Ratzinger e oggi è integrata nella sezione tedesca della segreteria di Stato, ed Elio Guerriero, irpino di Capriglia, responsabile di "Communio", la rivista teologica internazionale fondata nel 1972 da Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e dallo stesso Ratzinger per fare da contraltare a "Concilium", la voce dei teologi progressisti negli anni dell'immediato post Concilio su cui scrivevano Hans Kung, Johann-Baptist Metz e Karl Rahner. Anche il gioco delle interpretazioni sul "Gesù" di Ratzinger ripropone l'antica divisione tra progressisti e conservatori. In ballo, al di là di dispute fin troppo sofisticate, c'è il metodo storico-critico di interpretazione dei Vangeli, che si è affermato nel secolo scorso ed è considerato essenziale dai principali esegeti. Mentre Benedetto XVI lo elegge a suo bersaglio polemico, lo smantella fin dall'introduzione, lo accusa addirittura di essere tra i principali responsabili dell'indebolimento della fede cristiana negli ultimi decenni. "Chi legge alcune ricostruzioni", scrive il papa, "può constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di un'icona fattasi sbiadita. In conseguenza di ciò, la figura di Cristo si è ancora più allontanata da noi". E così mezzo secolo di ricerche sui testi evangelici e sulla storicità di Gesù sono serviti. Martini ha preferito sorvolare sull'attacco. Ma nella presentazione parigina ha declassato il testo del papa al rango di meditazione personale: "Questa opera è una grande e ardente testimonianza su Gesù di Nazareth", ha detto il cardinale con apparente benevolenza. Aggiungendo, con una certa dose di malizia: "E' sempre confortante leggere testimonianze come questa". Una bella testimonianza, insomma, e ci mancherebbe, ma nulla di più: non certo la parola definitiva sulla figura di Gesù. E il successo popolare del testo ratzingeriano? "Tutto sommato non è un indice particolarmente significativo del valore del libro", ha concluso Martini. E questa suona come la più perfida delle critiche.

 

da L'Espresso n. 22 - 7 giugno 2007

 

 

[modbreak=yrian]Modifico il titolo del topic per uniformarlo ai criteri bibliografici di questa sezione.

Ne approfitto anche per richiamare Rigoletto ad un linguaggio più rispettoso nei confronti della religione altrui. E' la terza volta: la mia pazienza ha un limite. E, quando si tratta di intolleranza, tale limite è piuttosto basso.[/modbreak]

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