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Come valutare l'interpretazione di un attore?


Geryon

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Mi assilla un dubbio atroce (cretino, più che altro) e voglio finalmente condividerlo per liberarmene: cos'è che davvero rende grande la prova di un attore in un film? È solo un discorso di espressività? Cosa distingue, a questo punto, un bravo attore da un onesto mestierante con un campionario più o meno vasto di sguardi, "smorfie" e voci? Il buon Clint Eastwood e le sue due famose espressioni (con sigaro e senza sigaro), tanto per fare un esempio, in quale categoria rientrano? Si tratta, piuttosto, di credibilità? Di quanto un attore sia capace di far dimenticare chi è veramente e di far emergere, invece, il personaggio che interpreta? Eppure questo tipo di criterio si adatta bene solo a un certo tipo di recitazione, mi pare: quando guardo "Il Buono, il Brutto e il Cattivo" io non vedo il Biondo, io vedo Clint Eastwood (ora con sigaro, ora senza sigaro) che interpreta (bene) il Biondo.O forse è tutto basato sulle emozioni che l'attore sa suscitare in chi lo guarda? Fosse così, come si può stabilire, nel gioco di "contaminazioni" ed incastri che è un film, dove finiscono le abilità di un attore e dove iniziano, invece, il potere del montaggio, dell'effetto Kulesov, di una brillante sceneggiatura, o le suggestioni di una colonna sonora e di una fotografia particolarmente riuscite e indovinate?In soldoni: a cosa vi aggrappate nel momento in cui esprimete il giudizio sull'interpretazione di un attore?

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Maledetto Geryon, dovevi aprire questo topic in "Cultura"...:frusta:Uffaaaa!!! Lo volevo io! :cry:E va bene…Premesso che è difficile per noi valutare un attore straniero se lo si ascolta non con la sua voce originale ma doppiato (anche perché i doppiatori italiani sono BRAVISSIMI e spesso migliorano di molto l'originale: cosa sarebbe Tom Cruise senza Roberto Chevalier?!)...Premesso che è più facile sembrare "bravi attori" in un film, proprio per tutti quegli elementi che nomini (intensi primi piani, montaggio dinamico, struggente colonna sonora, possibilità di correggere errori, eccetera)...Premesso tutto questo, io ho una idea che già mi rende impopolare tra i miei colleghi (figuriamoci qua dentro) e che esporrò lo stesso: credo che la recitazione sia un lavoro completamente ARTIGIANALE.Posso credere in un circolo di energia tra attori e spettatori, credo sì alla "magia" della recitazione, credo addirittura in una potente suggestione, magari anche ad una AUTOsuggestione... ma non mai all'immedesimazione, non mai alla “soprannaturalità” dell’arte dell’attore.Non è “arte”, è “artigianato”.Stanislavskij è stato mal compreso e mal trattato. Lui non ha mai parlato di immedesimazione totale, ma di “montaggio delle emozioni” e loro “reviviscenza” (perszivanije: orrida trascrizione dal cirillico, scusatemi). Il grande maestro aveva ben presente il “paradosso dell’attore” di Diderot: come puoi “vivere” veramente il personaggio quando hai i caxxi tuoi per la testa? … Il sudore che scioglie il trucco, le luci che ti abbagliano, quella battuta che non ti ricordi, il collega con l’alito pesante, tua moglie che ti ha lasciato… Ma per favore! La buonanima di Mastroianni, quando gli dicevano boiate del genere, rispondeva molto male: rispondeva “Io sono Mastroianni, non un personaggio.”L’attore non si immedesima. Si concentra. Al massimo si emoziona. Ma non “diventa”: “simula”. La recitazione per me è il saper sfruttare volontariamente il corpo e la voce per riprodurre la determinata situazione proposta dal testo.Ci sono altre componenti, ovviamente. Per esempio il grado di consapevolezza: ci sono attori più tecnici e altri che sono più spontanei. Questi ultimi hanno di solito una maggior forza comunicativa, ma il rovescio della medaglia è che faticano ad imparare la parte e che, in sostanza, restano sempre se stessi.Comunque, anche se vogliamo fare queste classificazioni, potremmo avere delle sorprese: Totò, principe degli attori di nome e di fatto, prima di una battuta ghignava e diceva ai colleghi cose del tipo “Adesso li faccio ridere con la ‘A’…” oppure “Adesso con la ‘I’…” e il pubblico puntualmente rideva a crepapelle (“Ah, ah, ah!”) oppure a denti stretti (“Ih, ih, ih!”). Vi sareste mai aspettati che Totò – il miglior caratterista e improvvisatore che abbiamo mai avuto – fosse così “tecnico” e cerebrale nel pensare ai meccanismi della comicità?Un altro elemento è l’intelligenza del testo: un attore mediocre riesce a “rendere” il testo credibile. Un attore veramente grande lo approfondisce al punto da arricchirlo oltre modo di infinite sfumature. E sono proprio quelle che creano l’emozione. Non credo alla vecchia fola della “credibilità”: non vuol dire niente. Prova a fare “Vita di Galileo” in maniera “credibile” e viene fuori una porcata. Ci vuole lo straniamento che ci ha insegnato Brecht. Al diavolo il realismo: la recitazione è finzione. Devi essere credibile nel senso che devi essere disinvolto come attore, non che devi essere reale come personaggio.Tutto questo non vuol dire che l’attore è esclusivamente razionale. Io spiego sempre la metafora del guidare: all’inizio, mentre impari, ti sembra impossibile di poter pensare contemporaneamente al volante, ai pedali, alle marce, agli specchietti, al cruscotto, ai segnali… Poi, studiando un po’ per volta tutte queste cose, te ne impadronisci, fai scendere la consapevolezza sotto pelle, scatta l’automatismo… e poi magari finisce che, mentre guidi, non solo impari a fare tutto, ma guidando - per di più - ascolti musica, fumi e chiacchieri nel cellulare… Significa avere padronanza della tecnica.Io mi diverto e mi indigno quando guardo solenni caxxate come “Amici”, dove tutti (concorrenti, pubblico e addirittura insegnanti) utilizzano espressioni come “trasmettere”, “esprimere”, eccetera… Magari credono che un ballerino “esprima” più di un altro in base a chissà quale miracoloso potere taumaturgico, mentre può essere semplicemente uno che, mentre danza, ha una mimica facciale adeguata, di cui né lui né il pubblico sono consapevoli… Ci piace parlare così perché viviamo abbagliati dall’ambizione del successo e ci nutriamo di retorica da soap–opera… quindi quello che sembra contare sono cose la “magia”, il “sogno”, il “sentimento” eccetera… Mi viene il voltastomaco.:vomit:D’altra parte, non ci si può aspettare altro in un posto dove si crede che “Studiare” recitazione consista nello scimmiottare le interpretazioni di attori del cinema. Più sai imitare Di Caprio in “Titanic” meglio reciti? Mah… E dire che Di Capiro, quando vuole, è anche un bravo attore.I miei allievi, prima ancora di poter solo alzarsi dalla sedia e recitare in piedi, devono reimparare a leggere. E, se non sanno l’analisi logica, gliela rispiego. Prima dei libri di recitazione, i libri di grammatica.:ok:

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Un altro elemento è l’intelligenza del testo: un attore mediocre riesce a “rendere” il testo credibile. Un attore veramente grande lo approfondisce al punto da arricchirlo oltre modo di infinite sfumature.
Ecco, a tal proposito ti snocciolo subito un'altra domanda. :)Ho sempre pensato che un attore faccia quello che il regista e lo sceneggiatore prevedono lui faccia, che si muova su un terreno più o meno definito, con un qualche margine di manovra. Se ho capito bene, tu stesso mi confermi che la bravura di un attore risiede in gran parte lì, nel modo con cui sa sfruttare quel margine. Il problema è che per me, non addetto ai lavori, è praticamente impossibile individuare questo margine e di conseguenza valutare il modo in cui l'attore ha contribuito all'arricchimento del testo. Quello che ho sotto gli occhi, in fin dei conti, è soltanto il risultato finale, non il punto di partenza: il delta aggiunto dall'attore, per forza di cose, non può che sfuggirmi. Cosa mi tocca rispondere, quindi, quando all'uscita dal cinema mi chiedono come mi è parso Tizio nei panni di Caio? Nicchio e passo a parlare del tempo? :eek:P.S.
Maledetto Geryon, dovevi aprire questo topic in "Cultura"...:frusta:Uffaaaa!!! Lo volevo io! :ok:
Dai, il prossimo dilemma esistenziale lo consacrerò alla tua sezione, parola di Scout. Anche se, c'è da dire, ultimamente mi mette un po' d'ansia da prestazione... :PP.P.S. "Faccia". "Margine". Mi sembrava di aver ripetuto queste due parole troppe poche volte... :ok:
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Be', intanto ricordo - anche se non dovrebbe essercene bisogno - che non stiamo parlando di matematica ma di qualcosa che non è mai esattamente e completamente definibile. (A patto che questa indefinibilità non diventi "la MAGIA del tatro"!):vomit:Detto questo, tu mi chiedi il confine tra il lavoro del regista e quello dell'attore. Difficile stabilirlo, perché è un confine diverso di volta in vlta, ovviamente. Dipende dal peso specifico e relativo dei due. L'ideale è che si abbia una identità di vedute, per cui il regista progetta il percorso (anche perché è lui l'unico ad avere una veduta d'assieme) e l'attore si muove lungo tali binari, mettendoci, oltre alla propria fisicità e vocalità, oltre alla profondità interpteativa, magari anche "qualcosa" in più in termini di vere e proprie idee.Il regista decide una impostazione. Esemplificando grossolanamente, se io mi chiamo Baz Luhrmann e decido di fare un "Romeo e Giulietta" ambientato al giorno d'oggi, chiederò al mio Di Caprio una recitazione non enfatica ma realistica, quotidiana, strasberghiana. Ovviamente, sarò stato anche attento ad avvertire il casting di non ingaggiare Vittorio Gassman, perché lui in partenza non si inserirebbe bene nella mia impostazione. (L'amato-odiato Picchi, del quale sono orgoglioso e vergognoso di essere stato allievo, diceva che per lui il 50% del lavoro del regista consiste proprio nel casting!!) Ma si suppone che Di Caprio ci metta anche del proprio. Sono gli interpreti migliori con cui lavorare. Di Caprio è uno che, quando è diretto bene, sa essere proprio bravo. Un altro così è Kim Rossi Stuart: inespressivo come pochi, quando è diretto bene (come ne "Il visitatore" o "Macbeth") è da brivido.Spesso, al cinema, è facile capire chi ci ha messo cosa. Prendiamo Tom Cruise, che per me è una delle più grosse montature cinematografiche della storia: l'appaluditissima interpretazione in "Vanilla sky" era frutto in gran parte della sapienza registica (e la maschera era più espressiva di lui :ok:), ma per il resto Tom Cruise è proprio uno che ri-fa sempre e solo se stesso. Infatti Kubrik è stato furbo perché lo ha preso per fare proprio se stesso e quindi, anche senza gli "effetti speciali" di "Vanilla sky", lo ha fatto sembrare "bravo".Altman o Pasolini erano registi in grado di prendere attori qualsiasi - o addirittura non-attori - e valorizzarli dando un significato ai loro limiti tecnici.Il primo "Batman" - ahimè, non un capolavoro: ne abbiamo parlato altrove - è diretto da un Tim Burton sottoposto a troppi vincoli, eppure viene nobilitato dalla grande personalità di Jack Nicholson. Gigonesco, è vero: ma il film si regge praticamente su di lui (non - AHIME' - sulla regia) e in questo caso sai che il merito è dell'attore.Il problema è quando regista e attore confliggono. A volte succede anche quello. Ho visto film andare a catafascio perché ognuno dei due voleva fare di testa propria.... Il risultato è che... troppi cuochi rovinano il brodo! Io sono un fautore - ovviamente, nel mio interesse - dell'importanza della regia, ma una regia davvero intelligente sa sfruttare gli attori per quello che sono. Non pretende di cambiarli, perché - come ho scritto nel post precedente - non credo nell'immedesimazione, quindi non credo che il personaggio sia un vestito che uno si mette o si leva, trasformandosi: è qualcosa che ti fai crescere addosso, come una seconda pelle.Esempio: "L'ultima tempesta", in cui il più cervellotico dei registi viventi - Peter Greenaway - rilegge shakespeare in maniera fantasmagorica e avanguardistica eppure, nei panni del protagonista, mette GENIALMENTE il più grande attore shakespeariano vivente, l'ottantenne John Gielgud, una specie di quintessenza della TRADIZIONE interpretativa inglese.Esperienza personale: di recente, nello stesso spettacolo ho avuto due intrepreti completamente opposti, cui potevo dare solo poche indicazioni di massima, perché mi avevano dato poco tempo per provare, a causa di problemi organizzativi . All'uno avevo detto di essere militare, all'altra una specie di prostituta. Al primo (un vero cretino) ho dovuto addirittura INSEGNARE A STARE DRITTO, mentre l'altra - basandosi su quell'unica indicazione e con pochissime prove - non solo camminava, sedeva, gesticolava in maniera seducente, ma addirittura si inventava via via delle gag perfettamente coerenti con la mia impostazione che mi hanno fatto ridere fino al mal di pancia e che mi sorprendevano sera per sera. Addirittura a un certo punto le è caduta la parrucca, che era stata mal fissata... e per raccoglierla ha fatto una scena comica da antologia: l'errore, l'imprevisto, il caso - grazie a una regia ben pensata e a un'attorialità ben metabolizzata - sono diventati un gran bel pezzo di teatro.:ok:

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E invece no, hai fatto bene a fare quella precisazione iniziale, perché c'era effettivamente il rischio che iniziassi a incasellare troppo le cose. Il fatto è che la mia "sensibilità artistica" (qualunque cosa la locuzione voglia dire) è pressoché atrofizzata e quando mi trovo a rielaborare le idee dopo la visione di un film, tendo a scorporarne le parti per semplificarmi la vita. In genere la sceneggiatura è la prima cosa cui vado a ripensare (sarà per via della mia venerazione nei confronti di Charlie Kaufman e dei fratelli Coen, magari); poi si passa alla fotografia e magari a qualcuna delle scelte registiche; ma per esprimermi sul valore degli attori mi mancano veramente appigli e punti di riferimento. Probabilmente ho bisogno di "farmi l'occhio", di iniziare a considerare anche quest'ulteriore aspetto... O magari me ne frego e inizio sul serio a parlare del tempo. :sisi:Per il resto: ho bisogno di rileggere entrambi i tuoi post, soprattutto alcuni passaggi, ma abbi fede, qualche altra domandina "ficcante" te la trovo. :PNel frattempo ti ringrazio per le belle risposte e per il tempo che hai "perso" per scriverle.:salut:P.S.Una cosa veramente importante: il "vero cretino", se non altro, era carino? :ok:

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Ma figurati. Mi fa piacere parlarne. Immagino si capisca che il mio lavoro è anche la mia grande passione... Praticamente io vivo per il teatro.Capisco bene che tu debba rileggere i miei post. Sull'onda appunto della passione ho fatto un discorso non troppo organico ma a macchie di leopardo. Mentre aspetto che la vernice si asciughi, ho il tempo di mettere un po' ordine nelle idee che ho espresso.- Polemiche a parte, per me la recitazione è un fatto artigianale: si tratta di comportarsi (col corpo e con la voce) in modo da simulare la situazione richiesta. - Questo è un procedimento tecnico, anche se non freddo come potrebbe sembrare, in quanto funziona solo se si sviluppa l'automatismo che rende appunto la recitazione fluida. - Recitando, inoltre, c'è posto per l'emozione. Non per l'emotività. Almeno io non lo credo. Chi dice che recitando si immedesima e soffre davvero di solito è uno che recita male. E probabilmente è anche un povero guitto: io non lo vorrei mai in una mia produzione. - Esistono diversi tipi di attori, a seconda non (come erroneamente si crede) del rapporto tra tecnica e sentimento, ma della consapevolezza nell’uso della tecnica. Ci sono attori “spontanei” i quali, con un automatismo innato, “entrano” subito nel personaggio. Ma questo consiste sempre e solo nell’applicazione, involontaria e improvvisata, di una tecnica, che è sempre e solo fatta di corpo e di voce. Oltre che delle caratteristiche fisiche e timbriche proprie dell’attore e immutabili. Altri attori sono più cerebrali (me compreso) e hanno bisogno di ragionare più a lungo su ogni dettaglio dell’interpretazione. Non è detto che siano peggio dei talenti naturali, perché di solito sono più precisi e più versatili: sanno essere meno “caratteri” e più personaggi, cioè hanno più sfumature. - A proposito di sfumature, l’attore più tecnico, di solito, ha anche una maggior capacità di comprendere il testo. Comprendere un testo significa non solo “renderlo” bene (comprensibile e verosimile) ma anche arricchirlo di tutte quelle sfumature, realistiche o simboliche che siano, proprie di un personaggio completo. Il grande attore “varia” continuamente, l’attore mediocre non varia, l’attore pessimo varia troppo e a casaccio.- La recitazione (teatro o cinema che sia) è finzione. E' una convenzione: lo spettatore attua una "sospensione volontaria del giudizio". Ma non è realtà... al massimo è realismo. (Anche perché non è detto che uno spettacolo (o un film) debbano essere per forza realistici: dipende dallo stile scelto.) - Quando noi diciamo che un attore è "credibile", intendiamo dire che la sua recitazione è disinvolta, non che si "trasforma" nel personaggio dimenticando se stesso eccetera. – Come sia possibile, a livello psicofisiologico, che lo spettatore provi una data emozione è un mistero ancora tutto da chiarire, ma non più di quello che presiede alla percezione della musica o di qualsiasi altra arte. In linea di massima sono un determinista: io credo che i sensi dello spettatore ricevano i diversi elementi della recitazione (e dell’intero spettacolo) e che il cervello, magari non del tutto consapevolmente, li decodifichi traducendoli in emozioni simulate. Esempio: sorridere nella nostra cultura è un gesto di cortesia e d’affetto; se l’attore recitando sorride, noi riconosciamo il sorriso e lo interpretiamo come di consueto; il problema è stabilire “come” l’attore sorride… ma di questo ho già parlato.- Il ruolo del regista. Un attore è responsabile solo di se stesso, il regista dell’intero spettacolo. Il bravo regista imposta lo spettacolo e guida l’interpretazione dell’attore, ma con la consapevolezza del fatto che l’attore deve far crescere il personaggio su se stesso, quindi senza pretendere l’impossibile, anzi valorizzando le caratteristiche dell’attore stesso (problema fondamentale per me, dato che spesso monto spettacoli in cui più attori si alternano nello stesso ruolo di sera in sera: non pretendo mai che facciano tutti esattamente le stesse cose nello stesso modo). Come capire di chi dei due sono merito e colpe? Se i due hanno lavorato bene insieme è praticamente impossibile capirlo, se invece uno dei due prevale sull’altro di solito si vede perché predomina nel risultato. La prova del nove, poi, è vedere come lo stesso attore rende con un altro regista e viceversa: confronto.- Differenze tra teatro e cinema. Recitare nell’uno o nell’altro è completamente diverso, non solo per la tecnica ma anche per i tempi e per il peso della postproduzione. In linea di massima è più facile sembrare bravi in un film che a teatro, perché un film riesce ad ingannare più facilmente. Ma non è detto che un bravo attore dell’uno sia bravo anche nell’altro e viceversa: sono pur sempre cose diverse.Nota. Il cretino era anche uno scorfano. Cantava decentemente, ma… non sapeva lo spartito, non si ricordava le parole, gesticolava come una girandola, non aveva nemmeno una vaga idea della trama (non si ricordava mai da che porta doveva entrare e uscire: e gli ho detto più volte che era SEMPRE LA STESSA), infine era presuntuoso come pochi. Diceva sempre le cose sbagliate al momento sbagliato. E puzzava. Se non fosse che non avevamo il doppio cast l’avrei protestato. Ma è destino che io protesti qualcuno almeno una volta all’anno, anche se non mi piace farlo. Nel 2007 non ho ancora cacciato nessuno…

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