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Consiglio di Stato sui corsi universitari in lingua inglese


Demò

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E' arrivata la prevedibile decisione dei giudici amministrativi sulla decisione del Politecnico di Milano.

"Il Senato accademico del Politecnico di Milano, con la delibera del 21 maggio 2012, aveva attivato a partire dall’anno 2014, corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese, sia pur affiancata da un piano per la formazione dei docenti e per il sostegno agli studenti

Tale norma, nell’indicare i vincoli e criteri direttivi che le Università devono osservare in sede di modifica dei propri statuti, prevedeva il «rafforzamento dell'internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera».

Alcuni docenti dell’Ateneo milanese (che dietro le nobili ragioni probabilmente non volevano aggiornarsi)  hanno impugnato la suddetta delibera innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia"

La decisione del Consiglio di Stato ha sostanzialmente recepito quanto stabilito dalla Corte Costituzionale (mi sembra che la questione di legittimità sia stata sollevata  proprio rispetto a questo caso) ha dato ragione ai professori

Quote

In relazione alla valenza della lingua italiana, si è affermato che dal principio fondamentale della tutela delle minoranze linguistiche di cui all'art. 6 Cost. si desume coma la lingua sia «elemento fondamentale di identità culturale e (...) mezzo primario di trasmissione dei relativi valori», «elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare».

La rilevanza della lingua italiana emerge anche da altre disposizioni costituzionali, di tutela:

- del patrimonio culturale (art. 9 Cost.), in quanto tale lingua, nella sua ufficialità, e quindi primazia, è «vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale»;

- principio d'eguaglianza (art. 3 Cost.), «anche sotto il profilo della parità nell'accesso all'istruzione, diritto questo che la Repubblica, ai sensi dell'art. 34, terzo comma, Cost., ha il dovere di garantire, sino ai gradi più alti degli studi, ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi»;

- libertà d'insegnamento, «garantita ai docenti dall'art. 33, primo comma, Cost., la quale, se è suscettibile di atteggiarsi secondo le più varie modalità, “rappresenta pur sempre (...) una prosecuzione ed una espansione” (…)della libertà della scienza e dell'arte»;

- autonomia universitaria, «riconosciuta e tutelata dall'art. 33, sesto comma, Cost., che non deve peraltro essere considerata solo sotto il profilo dell'organizzazione interna, ma anche nel “rapporto di necessaria reciproca implicazione” con i diritti costituzionali di accesso alle prestazioni».

In relazione alla valenza delle lingue straniere, la Corte ha affermato che: «La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l'erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare senz'altro, sotto molteplici profili, tale funzione della lingua italiana: il plurilinguismo della società contemporanea, l'uso d'una specifica lingua in determinatiambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d'una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell'ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi».

Il bilanciamento tra questi due valori viene dalla Corte attuato nel modo che segue.

I fenomeni di internalizzazione non devono costringere la lingua italiana «in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù della loro emersione, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì - lungi dall'essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità - diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come bene culturale in sé».

Ne consegue che l’obiettivo dell'internazionalizzazione «deve essere soddisfatto, tuttavia, senza pregiudicare i principî costituzionali del primato della lingua italiana, della parità nell'accesso all'istruzione universitaria e della libertà d'insegnamento».

Alla luce dei principi costituzionali sopra riportati la Corte ha ritenuto che «ove si interpretasse la disposizione oggetto del presente giudizio nel senso che agli atenei sia consentito predisporre una generale offerta formativa che contempli intieri corsi di studio impartiti esclusivamente in una lingua diversa dall'italiano, anche in settori nei quali l'oggetto stesso dell'insegnamento lo richieda, si determinerebbe, senz'altro, un illegittimo sacrificio di tali principî».

etc etc

Tale principî costituzionali, «se sono incompatibili con la possibilità che intieri corsi di studio siano erogati esclusivamente in una lingua diversa dall'italiano, nei termini dianzi esposti, non precludono certo la facoltà, per gli atenei che lo ritengano opportuno, di affiancare all'erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della specificità di determinati settori scientifico-disciplinari». In questa ottica «una offerta formativa che preveda che taluni corsi siano tenuti tanto in lingua italiana quanto in lingua straniera» non comprime affatto i suddetti principi, «né tantomeno li sacrifica, consentendo, allo stesso tempo, il perseguimento dell'obiettivo dell'internazionalizzazione».

Ciò vale solo, conclude la Corte, con riferimento «all'ipotesi di intieri corsi di studio universitari». La disposizione qui scrutinata, «a dimostrazione di come l'internazionalizzazione sia obiettivo in vario modo perseguibile e, comunque sia, da perseguire» consente invece «l'erogazione di singoli insegnamenti in lingua straniera».

Per concludere "Quanto esposto non esclude che l’Università possa, come sottolineato sempre dal giudice delle leggi: i) «affiancare all'erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della specificità di determinati settori scientifico-disciplinari»; i) erogare «singoli insegnamenti in lingua straniera».

Quindi mi sembra sostanzialmente vero quanto lamenta Sala e il Politecnico, davvero si impone di duplicare i corsi tanto in italiano che in inglese.

E' ovviamente una scelta folle e antieconomica che tutela i vecchi insegnanti e basta, presa dai vecchi bacucchi della corte costituzionale n un moto di protezionismo culturale

Personalmente mi crea involontariamente tanta inquietudine l'idea che l'italiano venga sfrattato dall'università, ma so che in larga misura è inevitabile, per varie ragioni che tanti di voi sapranno spiegare meglio di me.

Onestamente mi sono sempre chiesto se, anche nell'ambito di una facoltà tecnica o scientifica (e quindi con riferimento alla scelta del Politecnico) non sarebbe possibile pensare ad una soluzione di compromesso, che all'interno di un singolo corso magari faccia sostenere la maggior parte degli insegnamenti e degli esami in inglese, lasciandone un 10% in italiano, tanto per non far sparire a livello simbolico la lingua dall'università.

E non credo che una soluzione del genere sarebbe inaccettabile per gli eventuali studenti stranieri, che almeno potrebbero sostenere qualche esame in italiano, non penso faccia loro male. Cioè, sarebbe per tutti meglio di adesso e forse una decisione di questo tipo da parte del politecnico (se non avessero fatto i soliti sboroni milanesi) avrebbe permesso una decisione più favorevole

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La mia impressione e' che vogliono introdurre l'inglese per darsi una parvenza internazionale anche se hanno praticamente solo studenti e professori di madrelingua italiana.

se vogliono internazionalarsi devono alzare il livello della scuola assumendo i migliori professori internazionali e non gli amici degli amici. Un politecnico piu' rinomato attirera' poi anche studenti internazionali di madrelingua non italiana.

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MicFrequentFlyer

Bè, ma finchè non inizieranno a fare ricerca in inglese e pubblicare su riviste internazionali, perchè qualcuno (straniero) dovrebbe anche solo pensare a cercare un lavoro al politecnico (affrontando le immense rigidità e idee allucinogene del sistema accademico italiano)? Io la trovo l'ennesima conferma della provincialità dell'accademia italiana (o di una parte di essa, per lo meno). 

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La ricerca scientifica non la si fa in inglese o in italiano o in tedesco. La si fa in fisica, in biologia o in un'altra disciplina scientifica e non la si fa in una lingua. Poi si pubblicano i risultati, di solito si pubblica in inglese affinche' non siano solo tre gatti italiani a leggerla.

per attrarre ricercatori prestigiosi e validi bisogna dare loro ottime condizioni per fare ricerca e poi vengono subito.

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MicFrequentFlyer
3 hours ago, marco7 said:

La ricerca scientifica non la si fa in inglese o in italiano o in tedesco. La si fa in fisica, in biologia o in un'altra disciplina scientifica e non la si fa in una lingua.

I risultati di ricerca si comunicano sempre in una lingua veicolo. Se si usa l'italiano (o il tedesco o lo spagnolo) ci si preclude la rete di ricerca internazionale. E scrivere in inglese (per pubblicare su riviste che operano in ambito editoriale britannico e americano), non basta l'inglese dell'accademico italiano medio. E i ricercatori internazionali vanno in dipartimenti che partecipano alla (e magari che hanno prestigio nella) comunità scientifica internazionale. Ovvio, l'Italia può contare sul potere di attrarre i suoi cervelli che sono andati fuori, ma che voglio tornare (se riescono, a volte).

3 hours ago, marco7 said:

per attrarre ricercatori prestigiosi e validi bisogna dare loro ottime condizioni per fare ricerca e poi vengono subito.

Questo è scontato, ma il fatto di essere parte integrante della comunità scientifica internazionale è prerequisito. E se si pubblica in italiano questo non succede. Si possono pubblicare in italiano libri di testo per studenti o libri per il pubblico più ampio, ovviamente. Ma che ci siano riviste in lingua italiana o che vengano pubblicate monografie di ricerca in italiano, è per me assurdo (al di là dell'amore per la mia lingua madre). Poi c'è il discorso dei fondi di ricerca, della cultura di ricerca, di un diverso modo di percepire il valore di  un ", PhD"... Ma quello che OT.

Edited by MicFrequentFlyer
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Reputo di assoluta sensatezza la decisione del Consiglio di Stato, non si può permettere l'emarginazione della lingua italiana dalle università e molto spesso si confonde, più o meno volutamente, la parola internazionalizzazione con qualcosa che internazionale non lo è per nulla.

Mantenere ben saldo l'utilizzo della lingua italiana nell'università e nella ricerca universitaria è fondamentale per diverse ragioni:

  • La lingua non è una manoscritto immutabile ma una creatura vivente appartenente ai suoi locutori; la nascita e l'evoluzione di nuovi termini atti a descrivere l'universo attuale è indispensabile per la sopravvivenza della stessa e per il mantenimento della sua capacità espressiva e simbolica, diversamente le lingue gradualmente perdono prestigio, vengono giudicate inadatte ad esprimere contenuti attuali, i loro locutori vengono costretti dall'ambiente circostante ad abbandonarne l'uso. Questo è già successo purtroppo a tantissime lingue ed alla maggior parte delle lingue regionali italiane.
  • L'Italiano è la lingua franca utilizzata in Italia, gli studenti provenienti dall'estero hanno bisogno di padroneggiarla ad un livello decente per integrarsi nella comunità e nel tessuto sociale italiano, l'utilizzo del solo inglese limita fortemente la possibilità per gli studenti di creare rapporti sociali al di là del contesto accademico e verosimilmente ostacolerà la permanenza degli stessi oltre il periodo di studio.
  • L'italiano è ancora la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, francese e spagnolo. È un risultato eccezionale contando l'assenza di grosse area di influenza italiane (che invece hanno le altre lingue) e il poco amore per la propria lingua che le riservano gli italiani in Italia. Probabilmente l'Italiano e quello che in questo idioma è stato scritto piace ed è un forte motivo di attrattiva piuttosto che il contrario.
  • La padronanza della lingua italiana da parte dei madrelingua è in costante calo, è bene che i madrelingua imparino ad adoperarla con profitto anche in contesti meno domestici in aggiunta al giusto e auspicabile apprendimento di altre lingue.

Naturalmente ci sono delle difficoltà per gli studenti forestieri che decidono di studiare in Italia, queste vanno affrontate e smussate per quanto possibile. Per questo ritengo molto utile l'approccio adottato in Islanda, dove allo studente forestiero viene assegnato un tutore linguistico, solitamente un altro studente, per aiutarlo nelle inevitabili difficoltà che si incorrono durante il periodo iniziale di apprendimento di una nuova lingua. Andrebbe poi fatto un grosso sforzo per fornire corsi e laboratori linguistici prima e durante la frequentazione universitaria anche ma non esclusivamente in forma telematica.

Edited by Icoldibarin
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Pensavo meno stranieri. Sarebbe interessante sapere da che nazioni provengono.

quel che dici sul fatto che se hanno l'insegnamento in inglese questi stranieri vivono poi in una bolla di sapone che non comunica con la realta' italiana fuori politecnico e' verissimo.

Al politecnico di zurigo quando io lo frequentavo le lezioni erano in tedesco mentre fuori dal politecnico la gente parla dialetto svizzero tedesco col risultato che i ticinesi (di madrelingua italiana) non capivano nulla per strada.

ora credo che i primi tre anni sono in tedesco e poi in inglese ma non sono sicuro.

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AndrejMolov89
On 4/2/2018 at 8:47 PM, Icoldibarin said:

Reputo di assoluta sensatezza la decisione del Consiglio di Stato, non si può permettere l'emarginazione della lingua italiana dalle università e molto spesso si confonde, più o meno volutamente, la parola internazionalizzazione con qualcosa che internazionale non lo è per nulla.

Mantenere ben saldo l'utilizzo della lingua italiana nell'università e nella ricerca universitaria è fondamentale per diverse ragioni:

  • La lingua non è una manoscritto immutabile ma una creatura vivente appartenente ai suoi locutori; la nascita e l'evoluzione di nuovi termini atti a descrivere l'universo attuale è indispensabile per la sopravvivenza della stessa e per il mantenimento della sua capacità espressiva e simbolica, diversamente le lingue gradualmente perdono prestigio, vengono giudicate inadatte ad esprimere contenuti attuali, i loro locutori vengono costretti dall'ambiente circostante ad abbandonarne l'uso. Questo è già successo purtroppo a tantissime lingue ed alla maggior parte delle lingue regionali italiane.
  • L'Italiano è la lingua franca utilizzata in Italia, gli studenti provenienti dall'estero hanno bisogno di padroneggiarla ad un livello decente per integrarsi nella comunità e nel tessuto sociale italiano, l'utilizzo del solo inglese limita fortemente la possibilità per gli studenti di creare rapporti sociali al di là del contesto accademico e verosimilmente ostacolerà la permanenza degli stessi oltre il periodo di studio.
  • L'italiano è ancora la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, francese e spagnolo. È un risultato eccezionale contando l'assenza di grosse area di influenza italiane (che invece hanno le altre lingue) e il poco amore per la propria lingua che le riservano gli italiani in Italia. Probabilmente l'Italiano e quello che in questo idioma è stato scritto piace ed è un forte motivo di attrattiva piuttosto che il contrario.
  • La padronanza della lingua italiana da parte dei madrelingua è in costante calo, è bene che i madrelingua imparino ad adoperarla con profitto anche in contesti meno domestici in aggiunta al giusto e auspicabile apprendimento di altre lingue.

Naturalmente ci sono delle difficoltà per gli studenti forestieri che decidono di studiare in Italia, queste vanno affrontate e smussate per quanto possibile. Per questo ritengo molto utile l'approccio adottato in Islanda, dove allo studente forestiero viene assegnato un tutore linguistico, solitamente un altro studente, per aiutarlo nelle inevitabili difficoltà che si incorrono durante il periodo iniziale di apprendimento di una nuova lingua. Andrebbe poi fatto un grosso sforzo per fornire corsi e laboratori linguistici prima e durante la frequentazione universitaria anche ma non esclusivamente in forma telematica.

1)Questo è un argomento privo di sostanza. Innanzitutto non ci siamo mai posti questo problema col francese (vedasi i numerosi esempi di articoli scientifici scritti in francese o in tedesco). Non ci siamo mai posti il problema col latino o altro. E' una difesa debole perché l'inglese non riduce la capacità espressiva dell'italiano, ma permette una maggiore comunicazione con le altre realtà, che soprattutto nelle discipline tecniche e scientifiche è VITALE. Sia per le prospettive future, ma anche per mantenere viva l'università attirando docenti esteri E anche studenti dalle altre parti dell'Europa. 
2)Cazzata. Per padroneggiare l'italiano come un madrelingua non ci vogliono due anni. E pretendere che uno studente non italiano possa cogliere tutte le diverse sfumature della nostra lingua è assolutamente discriminatorio. Inoltre, l'italiano che si studia non è di certo quello colloquiale, vedasi il fatto che il tedesco scientifico lo comprendo spannometricamente senza sapere un h di tedesco. Per imparare decentemente il tedesco c'è gente che passa anni a studiare, e bisogna farlo con un ritmo di uno studente erasmus. Qui i dottorandi ad esempio sono impossibilitati a studiarlo decentemente ed infatti a menoché tu non faccia il dottorato in germanistica, filosofia o legge non sai il tedesco. Ora immaginati uno studente di dottorato cinese che deve imparare l'italiano per fare assistente alla didattica o un professore. L'inglese a livello intermedio è accessibile a tutti, e permette di equalizzare le condizioni e risulta utile in molti campi. 
3) C'è una ragione molto semplice: è la lingua dell'opera. In ogni fottuta città di medie-grandi dimensioni ci sono teatri. Per cantare doninzetti ti serve dizione e pronuncia e grammatica. E' una lingua studiata per il comparto culturale, nnon erto per parlara colloquialmente. Again, try an other point. 

4) La degenerazione della capacità linguistica è dovuta al fatto che non si impara a scrivere dalle medie in su. Non si fanno degli esercizi pratici di scrittura, comprensione del testo e schematizzazione. Sabatini Docet. Sostanzialmente si ritiene che l'emulazione sia sufficiente per padroneggiare l'Italiano in modo sensato. Il problema che esponi esiste da moltissimi anni, e le cause sono legate al fatto che la grammatica italiana è stata scritta funzionalmente a tradurre il latino con gli standard tedeschi. Si è dato poco peso alla scrittura come sintesi, riassunto, e si è dato poco peso alla padronanza del vocabolario. E questa degenerazione iniza alle medie quando dal periodo roseo delle elementari si passa ad un limbo fatto di professori frustrati con poche competenze di età evolutiva, e che cercano di fare la versione zip del programma di letteratura. I professori italiani non sono scrittori, ma letterati, e quindi non hanno mai ottenuto delle competenze di scrittura argomentativa o altro, ed infatti uno dei grossi problemi è l'analafabetismo funzionale che paradossalmente è associato anche a chi ha una cultura abbastanza importante. Questo analfabetismo funzionale è figlio di un modo di concepire la lingua e le competenze linguistiche come voleva Gentile. L'inglese aiuta molto in questo, perché ti costringe a pensare a quello che fai, mentre con l'italiano bisogna sempre portarsi dietro i danni dell'innettudine del sistema italiano a cambiare rotta per quanto riguarda lo studio delle lingue. 

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MicFrequentFlyer
On 4/2/2018 at 2:47 PM, Icoldibarin said:

Reputo di assoluta sensatezza la decisione del Consiglio di Stato, non si può permettere l'emarginazione della lingua italiana dalle università e molto spesso si confonde, più o meno volutamente, la parola internazionalizzazione con qualcosa che internazionale non lo è per nulla.

In realtà si ha invece un atteggiamento discriminatorio verso gli studenti stranieri, compresi quelli europei, che devono essere tutelati tanto quanto quelli italiani.

On 4/2/2018 at 2:47 PM, Icoldibarin said:

La lingua non è una manoscritto immutabile ma una creatura vivente appartenente ai suoi locutori; la nascita e l'evoluzione di nuovi termini atti a descrivere l'universo attuale è indispensabile per la sopravvivenza della stessa e per il mantenimento della sua capacità espressiva e simbolica, diversamente le lingue gradualmente perdono prestigio, vengono giudicate inadatte ad esprimere contenuti attuali, i loro locutori vengono costretti dall'ambiente circostante ad abbandonarne l'uso. Questo è già successo purtroppo a tantissime lingue ed alla maggior parte delle lingue regionali italiane.

Esistono studi di lettere, italianistica, linguistica italiana. Tutti questi dovrebbero ottenere maggior riconoscimento e maggiori fondi, perché è inequivocabile l'importanza di mantenere uno studio dell'italiano e sull'italiano. Questo vale ancora particolarmente per le scuole medie-superiori. Pensare che fare ricerca in italiano aiuta la ricerca italiana è invece controproducente. La ricerca è fatta da una comunità che non si confina in uno stato. La ricerca fatta in italiano rimarrà quindi del tutto marginale e marginalizzata. Se questo è un fattore positivo per la ricerca italiana, abbiamo idee differenti.

Inserire l'università italiana nel panorama internazionale non significa rendere l'università meno italiana, ma più italiana la ricerca a livello mondiale. 

On 4/2/2018 at 2:47 PM, Icoldibarin said:

L'italiano è ancora la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, francese e spagnolo

No, è al massimo la sesta: mancano il cinese e il tedesco alla tua conta. E queste stime sfavoriscono lingue come l'arabo, l'hindi, e l'urdu. https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2015/04/23/the-worlds-languages-in-7-maps-and-charts/?utm_term=.553509ba1500

Inoltre, questo non è attinente alla lingua che dovrebbe essere utilizzata in organi di ricerca, quali sono le università (o che dovrebbero essere tali). Se l'università deve insegnare a leggere e scrivere ai propri studenti, allora possiamo anche chiudere i battenti: non è e non dev'essere considerata responsabilità dell'università. Se gli studenti non parlano italiano e frequentano l'università, il fallimento è dei cicli d'istruzione precedenti (e dovrebbero comprare un libro e imparare la lingua, senza pensare che l'università debba farlo per loro).

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La mia impressione al di là delle discutibili motivazioni della Corte Costituzionale, è che - come al solito - ci si sia mossi in maniera del tutto estemporanea

La ministra Gelmini vietando alle università italiane di istituire nuovi corsi di laurea, eccepiva l'istituzione di corsi in lingua straniera confacenti alla esigenza di "internazionalizzazione dell'Università italiana" cioè il tema è stato introdotto in modo del tutto incidentale, quasi a farlo sembrare un problema di marketing o di immagine degli Atenei, rispetto a politiche di contenimento dei costi generali

Vero è che poi con il crollo delle immatricolazioni si arriva ad una sentenza del 2018, su una norma di contenimento della spesa del 2010, che rispondeva ad esigenze del tutto superate dagli eventi, oltrechè in un clima culturale diverso di "reazione" alla cd globalizzazione etc E questo è il problema 8 anni per avere una decisione definitiva ( in un ambito giurisdizionale certamente privilegiato come quella amministrativo )

Però il modo in cui la cosa è stata introdotta non corrisponde ai requisiti minimi per poter essere denominato decisione "politica" e certamente una decisione del genere meritava un dibattito ed una decisione politica, oltrechè una visione complessiva d'insieme ( a partire dai licei bilinguali che sarebbero una prioritaria necessità ma appaiono una utopia non essendo riusciti a formare docenza di livello madrelingua in 40 anni )

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Comunque io credo che un punto di equilibrio diverso lo si doveva trovare ( questa è la mia opinione nel merito )

Fra il dire che si concedeva spazio all'italiano, avendolo in realtà confinato alle sole lauree triennali ( nessun dottorato in italiano, nessuna laurea magistrale neanche 1 bilinguistica ) in un rapporto 20% ad 80% e l'imporre un rapporto di parità 50% a 50% ci sarebbe la classica via di mezzo che avrebbe potuto salvare capra e cavoli

In primo luogo una magistrale ed un dottorato almeno lo devi garantire, in secondo luogo confinare tutti gli insegnamenti in Italiano solo nella triennale pare introdurre una gerarchia degli ordini linguistici degli studi e questo non mi pare neanche necessario, è una presa di posizione ideologica del Senato accademico che mi pare ci si sia pure intestardito sopra

D'altronde agganciarsi alle norme a tutela delle minoranze linguistiche per "corazzare" la norma del 1933 che impone l'Italiano come lingua ufficiale della scuola del Regno mi pare da parte della Consulta un po' paradossale, e certamente non dovrebbe tradursi in un forzato rapporto 50% a 50% ma in una norma di garanzia su una soglia minima quantitativa e su un criterio qualitativo di pari dignità ( non solo triennali o lauree professionalizzanti )

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10 hours ago, AndrejMolov89 said:

Innanzitutto non ci siamo mai posti questo problema col francese (vedasi i numerosi esempi di articoli scientifici scritti in francese o in tedesco). Non ci siamo mai posti il problema col latino o altro.

Non ho ben capito cosa intendi con questo passaggio. Cosa intendi per "non ci siamo mai posti questo problema"? Noi chi?

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

E' una difesa debole perché l'inglese non riduce la capacità espressiva dell'italiano, ma permette una maggiore comunicazione con le altre realtà, che soprattutto nelle discipline tecniche e scientifiche è VITALE. Sia per le prospettive future, ma anche per mantenere viva l'università attirando docenti esteri E anche studenti dalle altre parti dell'Europa. 

Naturalmente non è l'Inglese a ridurre la capacità espressiva dell'Italiano né viceversa. Semmai è l'uso (e l'abuso) che si fa delle lingue a creare o distruggere un ponte comunicativo; a rinvigorire od incancrenire le capacità espressive di un idioma. Riguardo all'attrattività, come ho motivato non ritengo sia l'adozione unilaterale e universale dell'Inglese ad essere un incentivo.

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

Per padroneggiare l'italiano come un madrelingua non ci vogliono due anni.

Lapalissiano. Questo però non vale nemmeno per l'inglese per cui non capisco il punto di questa constatazione. Per fortuna però non serve avere una padronanza a livello madrelingua di una lingua per seguire con profitto un corso di laurea ed apportarne il proprio contributo. Per l'insegnamento il discorso è invece più articolato e possiamo ragionare sulle modalità opportune su cui un docente con madrelingua diversa dall'Italiano possa con profitto tenere una lezione in un'università italiana.

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

Qui i dottorandi ad esempio sono impossibilitati a studiarlo decentemente ed infatti a menoché tu non faccia il dottorato in germanistica, filosofia o legge non sai il tedesco.

Questo rafforza la mia idea che nelle università tedesche i corsi ed i percorsi di dottorato debbano essere fruibili anche in Tedesco.

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

Ora immaginati uno studente di dottorato cinese che deve imparare l'italiano per fare assistente alla didattica o un professore.

Ora immagina uno studente di dottorato cinese che deve imparare l'Inglese per fare l'assistente alla didattica o un professore.

Non vedo alcun miglioramento delle condizioni di insegnamento del dottorato cinese mentre vedo un significativo peggioramento delle condizioni della docenza italiana.

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

C'è una ragione molto semplice: è la lingua dell'opera.

Senza nulla togliere nulla alla rilevanza dell'opera, non credo basti a giustificare da sola l'interesse verso la nostra lingua. Nemmeno vedo così tanti appassionati di opera nel mondo da giustificare il numero di studenti d'Italiano.

10 hours ago, AndrejMolov89 said:

La degenerazione della capacità linguistica è dovuta al fatto che non si impara a scrivere dalle medie in su. Non si fanno degli esercizi pratici di scrittura, comprensione del testo e schematizzazione. Sabatini Docet. Sostanzialmente si ritiene che l'emulazione sia sufficiente per padroneggiare l'Italiano in modo sensato. Il problema che esponi esiste da moltissimi anni, e le cause sono legate al fatto che la grammatica italiana è stata scritta funzionalmente a tradurre il latino con gli standard tedeschi. Si è dato poco peso alla scrittura come sintesi, riassunto, e si è dato poco peso alla padronanza del vocabolario. E questa degenerazione iniza alle medie quando dal periodo roseo delle elementari si passa ad un limbo fatto di professori frustrati con poche competenze di età evolutiva, e che cercano di fare la versione zip del programma di letteratura. I professori italiani non sono scrittori, ma letterati, e quindi non hanno mai ottenuto delle competenze di scrittura argomentativa o altro, ed infatti uno dei grossi problemi è l'analafabetismo funzionale che paradossalmente è associato anche a chi ha una cultura abbastanza importante. Questo analfabetismo funzionale è figlio di un modo di concepire la lingua e le competenze linguistiche come voleva Gentile.

Concordo in modo sostanziale con questa analisi.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

perché è inequivocabile l'importanza di mantenere uno studio dell'italiano e sull'italiano

D'accordo, però questo non basta. La lingua è strumento, studiare l'Italiano per parlare solo di Italiano è autoreferenziale e non conduce lontano. Che è poi uno degli errori più comuni che si è fatto con le lingue regionali e con l'Esperanto.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Pensare che fare ricerca in italiano aiuta la ricerca italiana è invece controproducente.

Perché lo sarebbe?

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

La ricerca è fatta da una comunità che non si confina in uno stato.

Completamente d'accordo.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

La ricerca fatta in italiano rimarrà quindi del tutto marginale e marginalizzata.

Solo in parte concorde, in quanto l'intero apparato universitario globale è essenzialmente drogato e più che alla qualità e all'utilità delle ricerche si valuta alla quantità di pubblicazioni in lingua inglese e al numero di referenze fra di esse. Occorre riportare dignità alla ricerca e toglierla dalla spirale soffocante di un mero indicatore numerico. Occorre ridare valore alla ricerca in lingue diverse dall'Inglese, alla pubblicazione delle ricerche su piattaforme aperte che non impongano costosi onorari per l'accesso e che permettano in modo collaborativo la traduzione del materiale meritevole di interesse.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Se questo è un fattore positivo per la ricerca italiana, abbiamo idee differenti.

No, per me non è affatto un fattore positivo che la ricerca italiana rimanga marginale ed emarginata in Italia.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

No, è al massimo la sesta: mancano il cinese e il tedesco alla tua conta.

Hai ragione. Purtroppo ho preso con troppa facilità le dichiarazioni della Farnesina: "l’italiano passa dal quinto al quarto posto tra le lingue più studiate al mondo, con un totale di 687mila studenti stranieri, dislocati in 134 scuole italiane all’estero, 81 istituti di cultura, 176 Università e numerosi enti pubblici e privati." e così hanno fatto una marea di giornalisti poco accurati (ma che ahinoi scrivono in testate rilevanti). Chiedo venia, bisognerebbe sempre risalire all'origine dei dati.

10 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Se l'università deve insegnare a leggere e scrivere ai propri studenti, allora possiamo anche chiudere i battenti: non è e non dev'essere considerata responsabilità dell'università. Se gli studenti non parlano italiano e frequentano l'università, il fallimento è dei cicli d'istruzione precedenti (e dovrebbero comprare un libro e imparare la lingua, senza pensare che l'università debba farlo per loro).

Qui mi trovo d'accordo però con una dovuta precisazione. Naturalmente non mi aspetto che l'università fornisca corsi sul corretto utilizzo dei tempi verbali o simila anche se purtroppo alcuni studenti presentano vistose lacune anche giunti in università. Questi problemi devono essere evidentemente sanati molto prima del livello universitario, così per le lacune sulle competenze matematiche di base.

Va però precisato che una lingua non si finisce mai di imparare ed è invece normale che gli studenti universitari apprendano il lessico tecnico ed il gergo attinente alla propria area di studi proprio all'interno dell'università.

10 minutes ago, Hinzelmann said:

in secondo luogo confinare tutti gli insegnamenti in Italiano solo nella triennale pare introdurre una gerarchia degli ordini linguistici degli studi e questo non mi pare neanche necessario, è una presa di posizione ideologica del Senato accademico che mi pare ci si sia pure intestardito sopra

Condivido, per altro alle triennali ci sarebbe pure una migliore fattibilità di implementare corsi di studio in Inglese, in quanto quasi sempre le classi vengono sdoppiate a causa dell'alto numero iniziale di studenti. Questo potrebbe tradursi nell'attivazione di una classe in lingua Inglese (od altra lingua diversa dall'Italiano) ed una in Italiano senza particolari oneri aggiuntivi.

15 minutes ago, Hinzelmann said:

un criterio qualitativo di pari dignità ( non solo triennali o lauree professionalizzanti )

Ecco, qua si è centrato il punto.

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MicFrequentFlyer
6 minutes ago, Icoldibarin said:

Solo in parte concorde, in quanto l'intero apparato universitario globale è essenzialmente drogato e più che alla qualità e all'utilità delle ricerche si valuta alla quantità di pubblicazioni in lingua inglese e al numero di referenze fra di esse. 

Questo non è vero. Fuori dall'Italia si guarda a cosa si pubblica (peer-reviewed; articolo vince libro in molte, moltissime discipline); dove si pubblica (che rivista è? che reputazione ha? è settoriale o disciplinare? che impatto ha? eccetera); impatto di ricerca sulla disciplina; [se rilevante e in base al tipo di università] impatto su policy; e poi indicatori di teaching (esperienza, certificazioni, riconoscimenti, valutazioni)... Non è di certo come in Italia dove la lista delle riviste per pubblicazioni non finisce mai (senza distinguere tra riviste che hanno abissi qualitativi e reputazionali tra di loro) e dividendo tra Italia ed estero (o internazionale, che fa ridere). Ma finchè l'Italia fingerà di essere un'isola, continuerà a fare becerate (anche in ambito di ricerca).

11 minutes ago, Icoldibarin said:

Occorre riportare dignità alla ricerca e toglierla dalla spirale soffocante di un mero indicatore numerico.

E su che basi valuteresti la ricerca? Guarda che solo nei concorsi pubblici italiani si guarda a numero di articoli pubblicati (e ripeto, con criteri fantasiosi sulla valutazione delle riviste)... fuori si guarda che il ricercatore sia attivo e produca su top journals. Se pubblichi 100 articoli su riviste non solide, non fai carriera e non trovi lavoro (esattamente come se produci 1 articolo ogni 3 anni). Questo rende anche l'ambiente di ricerca estero uno dei mercati del lavoro più competitivi al mondo, ma questo è un altro discorso. 

12 minutes ago, Icoldibarin said:

Occorre ridare valore alla ricerca in lingue diverse dall'Inglese

No, la ricerca è un bene comune e se io non posso leggere in Afrikaans e tu scrivi in Afrikaans, ledi me, te stesso (perchè la tua ricerca non viene utilizzata per costruire nuova conoscenza) e tutti gli altri (per lo stesso motivo). La ricerca va fatta in lingua franca (possiamo rimpiangere il vecchio latino eventulamente). I libri di testo introduttivi, i libri di opinione per il largo pubblico, i libri scientifici in traduzione per il pubblico (ma originale in inglese; e si studia sugli originali) e i libri di narrativa saranno in tutte le lingue che si vuole.

Le università devono fare ricerca e insegnare agli studenti i risultati di ricerca, ma anche a come accedervi in futuro (perchè sennò si rimane inchiodati ai 50 anni prima... ah, aspetta!)... Ergo l'inglese dev'essere la lingua universitaria, e l'italiano solo per corsi introduttivi (i 18 enni potrebbero aver bisogno di un primo anno in cui studiano le proprie materie nella propria lingua), di italiano, sulla linguistica o letteratura italiana, sull'insegnamento dell'italiano, e sulla legge. Il politecnico ha semplicemente perso un'altra occasione per migliorare.

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davydenkovic90

Entro nel discorso solo con un paio di brevi considerazioni, non è una polemica che mi appassiona molto, anche se forse posso dare una mia piccola risposta alla domanda iniziale posta da Demò.

I corsi in lingua straniera sono fatti per gli studenti stranieri o da docenti stranieri, non certo per impratichire gli italiani a imparare l'inglese con la scusa di studiare ingegneria o fisica... Quello che mi sembra preoccupante, di tutta questa discussione, è che qualcuno creda che un corso universitario al Politecnico di Milano debba servire a insegnarti una lingua che in teoria dovresti già aver appreso e dovresti saper utilizzare a livello accademico  già prima di arrivare all'università, perché l'hai studiata per una decina d'anni, minimo.

Inoltre, visto che si parla di materie scientifiche, ricordo che anche la matematica, ad esempio, è una lingua* (con un alfabeto che è un mix fra greco, latino, arabo, scarabocchi e figure geometriche) e non è molto importante da quale lingua la impari, se dall'italiano, dal francese o dal cinese. Anzi, direi che vale la pena che ognuno la impari dalla propria lingua d'origine, perché ogni cultura ha una sua tradizione, una sua letteratura, una sua terminologia e, più in generale, un suo metodo.  Ai ragazzi spagnoli che vengono in Erasmus nella mia facoltà, ad esempio, i professori fanno leggere i Dialoghi di Galileo (scritti in italiano, ricordo), altro che corsi in inglese. 

*ma lo stesso si può dire dell'ingegneria o dell'architettura, della musica,ecc.

Edited by davydenkovic90
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2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Questo rende anche l'ambiente di ricerca estero uno dei mercati del lavoro più competitivi al mondo, ma questo è un altro discorso. 

Questo sicuro. Ma non sono d'accordo che questa competitività esasperata giovi alla ricerca (né ai ricercatori).

2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Se pubblichi 100 articoli su riviste non solide, non fai carriera e non trovi lavoro (esattamente come se produci 1 articolo ogni 3 anni). 

Gli articoli andrebbero valutati per la qualità e non solo per dove sono pubblicati. D'altro canto si potrebbe pubblicare pure un articolo ogni tre anni ed essere un ottimo ricercatore. Dipende dalla qualità e dall'impatto dell'articolo.

2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

E su che basi valuteresti la ricerca?

Non credo esista una risposta facile a questa domanda. Credo però che le valutazione burocratiche debbano essere per il possibile limitate. Nel settore privato, se chi ti assume è competente non ti chiede certificazioni né cosa hai scritto. Ti mette davanti un problema è valuta come ti muovi per risolverlo, valuta la capacità di acquisire strumenti per superare le difficoltà.

2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

se io non posso leggere in Afrikaans e tu scrivi in Afrikaans, ledi me, te stesso

Usciamo un attimo dal confine universitario e pensiamo al modello Wikipedia. L'edizione Inglese è quella con il maggior numero di articoli ma non è assolutamente scontato che un articolo scritto in un'altra lingua sia scritto anche in Inglese. Questo significa che il contenuto è inaccessibile a tutte le persone che non padroneggiano la lingua in questione? La risposta non può essere del tutto negativa, se viene segnalato interesse per la voce esso verrà inserito fra le voci da scrivere. Quello che di solito accade è quindi che invece di riscrivere da zero la voce si vada a tradurre grossa parte dalla voce nella lingua scritta meglio (esiste anche uno strumento integrato che facilita ciò).

Questo potrebbe avvenire con modalità molto simile nella comunità scientifica internazionale, inoltre, dato che sembri gradire gli indicatori, l'interesse della comunità nell'ottenere una traduzione potrebbe essere un buon indice della rilevanza di quell'articolo.

2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

La ricerca va fatta in lingua franca (possiamo rimpiangere il vecchio latino eventulamente).

Questa potrebbe essere un'idea, senz'altro di assoluta sensatezza, se solo si avesse la accortezza di notare che l'Inglese non è la lingua franca. L'Inglese è la lingua di alcuni paesi che, stando all'articolo da te citato, totalizza il 4,83% della popolazione mondiale per cui non è nemmeno un criterio maggioritario la scelta di questa lingua come standard de facto. Non è nemmeno come L2 così conosciuta, solo il 10% degli europei la padroneggia ad un livello che va oltre l'elementare sopravvivenza e in altri continenti la percentuale scende vertiginosamente. Personalmente ritengo che esistano soluzioni molto più efficaci ed eque per la scelta di una lingua franca e non rimpiango certo il latino. Spassionatamente io appoggio l'utilizzo dell'Esperanto a tale scopo e se ti interessa il metro di questa scelta possiamo discuterne in un topic più appropriato in quanto qua si rischierebbe di divagare troppo, temo.

Ad ogni modo, sarei anche pronto a considerare l'Inglese come strumento di comunicazione internazionale purché venga riconosciuto ufficialmente da un cospicuo numero di stati e si prendano tutte le misure necessarie per mitigare l'iniquità che questa scelta comporterebbe. Il fatto è che gli stessi paesi anglofoni, che ricercano l'imposizione dell'Inglese come standard de facto sono poi assolutamente riluttanti ad un riconoscimento formale dello stesso perché non vogliono farsi carico di tutti gli oneri che questa scelta rifletterebbe. La botte piena e la moglie ubriaca. Io non posso assecondare questa politica.

Va inoltre precisato che, qualunque lingua si scelga, va comunque preservata la possibilità di usare la propria lingua madre in ogni ambito, se lo si ritiene, e che bisogna utilizzare tutti gli antidoti necessari affinché una lingua franca non determini la perdita di prestigio delle lingue e delle culture locali.

2 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Fuori dall'Italia si guarda a cosa si pubblica (peer-reviewed; articolo vince libro in molte, moltissime discipline); dove si pubblica (che rivista è? che reputazione ha? è settoriale o disciplinare? che impatto ha? eccetera); impatto di ricerca sulla disciplina; [se rilevante e in base al tipo di università] impatto su policy; e poi indicatori di teaching (esperienza, certificazioni, riconoscimenti, valutazioni)...

Conoscendo personalmente diverse persone che svolgono od hanno svolto ricerca fuori dall'Italia faccio mia la sensazione che questi criteri non funzionino molto bene (con questo non intendo che quelli della pubblica amministrazione italiana siano migliori, anzi). Quasi tutti quelli che hanno intrapreso una carriera accademica si sono disaffezionati scontrandosi con la realtà di gruppi di ricerca a cui la ricerca essenzialmente non interessa per nulla ma sono legati all'esigenza di pubblicare qualsiasi cosa sia pubblicabile al fine di ottenere e mantenere i finanziamenti per il proprio gruppo. Questo avviene almeno in Svizzera, in Olanda, in Germania per quanto ne so e nulla mi lascia presumere che la situazione sia molto diversa in altri paesi. Naturalmente ciò non implica l'inesistenza di gruppi seriamente validi e motivati, solo che non mi sembra che il sistema li favorisca.

Edited by Icoldibarin
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Provo a raccontare la mia esperienza come ex studente e ricercatore molto precario.

Bisogna iniziare col precisare che l'istituzione di corsi di laurea in lingua inglese è un problema di didattica che non ha nulla a che vedere con la ricerca. La comunicazione della propria ricerca avviene già da tempo quasi ed esclusivamente in lingua inglese, soprattutto in ambiti tecnico/scientifici. Anche le riviste italiane pubblicano solo articoli in lingua inglese. E nelle conferenze, workshop e cose simili si comunica in lingua inglese dato il carattere internazionale dell'evento.

Per quanto riguarda la didattica, parlo da ex studente di materie scientifiche. Per me e per i miei colleghi era abitudine studiare su libri scritti in lingua inglese sin dal secondo anno di triennale. E il motivo è semplice. I libri scientifici non hanno un grande pubblico pronto ad acquistarli, e per ampliare la platea che li acquisterà si scrivono in una lingua accessibile ai più. Quindi, anche se in misura minore, i corsi spesso hanno già una "caratterizzazione inglese".

Aggiungiamo anche che, dati gli scarsi finanziamenti all'università italiana, una didattica in lingua inglese potrebbe attirare scambi con università straniere, con conseguente entrata di denaro nelle casse degli atenei.  I paesi emergenti stanno investendo cifre altissime per formare i propri giovani e sono pronti a pagare gli atenei europei e americani per questo. E vi posso assicurare che i soldi non sono un male in un sistema al collasso.

Non capisco poi dove sia lo svantaggio per gli studenti italiani. L'università dovrebbe essere un'esperienza che ti arricchisce a livello culturale e personale. Fare pratica di una lingua che tutto il mondo parla è un arricchimento, un'opportunità per un futuro lavoro e una possibilità per interagire con altre realtà.

Infine, per quanto riguarda i docenti non capisco dove sia il problema per loro. Non dovrebbero già parlare tutti inglese?

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10 hours ago, Hinzelmann said:

è una presa di posizione ideologica del Senato accademico che mi pare ci si sia pure intestardito sopra

penso di aver parlato di milanesi sboroni

a me stupisce un po' che le soluzioni di compromesso (o almeno simboliche) non siano prese in considerazione in questa discussione, mi sembra che questo rispecchi molto la contrapposizione tra Politecnico e Corte Costituzionale 

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43 minutes ago, estraneo said:

Infine, per quanto riguarda i docenti non capisco dove sia il problema per loro. Non dovrebbero già parlare tutti inglese?

Evidentemente no.

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MicFrequentFlyer
5 hours ago, estraneo said:

Provo a raccontare la mia esperienza come ex studente e ricercatore molto precario.

Bisogna iniziare col precisare che l'istituzione di corsi di laurea in lingua inglese è un problema di didattica che non ha nulla a che vedere con la ricerca.

Nì, per una serie di motivi. Prima di tutto se la didattica è esclusivamente o per lo più in una lingua diversa dall'inglese, si finisce per limitare de facto l'arruolamento di personale internazionale (se non parli svedese, non potrai applicare a fellowships che prevedano l'insegnamento in tutte quelle università svedesi che non funzionano in lingua inglese, per esempio) . Secondo, si incentiva la scelta di materiali in lingua italiana (e visto che c'è meno competizione per pubblicare su riviste italiane, si disincentiva la produzione di ricerca competitiva a livello internazionale). Terzo, si disincentiva il personale universitario a una conoscenza non imbarazzante dell'inglese (che sappiamo essere spesso la realtà). Quarto, si espongono gli studenti alla ricerca che viene pubblicata nei top journals (che sono tutti in lingua inglese, a prescindere da quello che il politecnico o la corte vogliano). Questo può stimolare gli studenti a intraprendere carriere di ricerca, o a essere più attenti ai risultati di ricerca attuali. Quindi non è un fatto esclusivamente di didattica.

5 hours ago, estraneo said:

Infine, per quanto riguarda i docenti non capisco dove sia il problema per loro. Non dovrebbero già parlare tutti inglese?

In un mondo ideale, non in quello reale, purtroppo.

12 hours ago, Icoldibarin said:

Questo sicuro. Ma non sono d'accordo che questa competitività esasperata giovi alla ricerca (né ai ricercatori).

Ci sono sempre degli step intermedi. Di certo l'università italiana non brilla nell'ambito internazionale per ricerca (il che è assurdo, data la qualità della didattica e il fatto di avere brillanti ricercatori). Sono convinto che una parte della causa sia proprio nell'insularità dell'università italiana.

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Giusto così, la conoscenza deve essere erogata senza inutili ostacoli. Imparare una materia in lingua straniera significa averla a livello c2 quando la scuola ha programmi che arrivano al b2.

Sinceramente la formazione si fa all università ed anche quella in lingua.

Giusto il Consiglio di Stato

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11 hours ago, MicFrequentFlyer said:

Nì, per una serie di motivi. Prima di tutto se la didattica è esclusivamente o per lo più in una lingua diversa dall'inglese, si finisce per limitare de facto l'arruolamento di personale internazionale (se non parli svedese, non potrai applicare a fellowships che prevedano l'insegnamento in tutte quelle università svedesi che non funzionano in lingua inglese, per esempio) . Secondo, si incentiva la scelta di materiali in lingua italiana (e visto che c'è meno competizione per pubblicare su riviste italiane, si disincentiva la produzione di ricerca competitiva a livello internazionale). Terzo, si disincentiva il personale universitario a una conoscenza non imbarazzante dell'inglese (che sappiamo essere spesso la realtà). Quarto, si espongono gli studenti alla ricerca che viene pubblicata nei top journals (che sono tutti in lingua inglese, a prescindere da quello che il politecnico o la corte vogliano). Questo può stimolare gli studenti a intraprendere carriere di ricerca, o a essere più attenti ai risultati di ricerca attuali. Quindi non è un fatto esclusivamente di didattica.

Ribadisco che, a mio modesto parere, è un problema che riguarda la didattica. Non è la didattica in lingua inglese che può migliorare il livello del personale strutturato negli atenei italiani né la qualità della ricerca e delle conseguenti pubblicazioni. Per esperienza personale, anche all'estero si fa didattica nella propria lingua ma riescono ad attrarre comunque personale da altri paesi.

Si riescono ad attrarre ricercatori stranieri di buon livello solo garantendo le stesse condizioni di lavoro che hanno nel loro paese di origine. Questo vuol dire stessi finanziamenti e stessa rete.

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MicFrequentFlyer
40 minutes ago, estraneo said:

Ribadisco che, a mio modesto parere, è un problema che riguarda la didattica. Non è la didattica in lingua inglese che può migliorare il livello del personale strutturato negli atenei italiani né la qualità della ricerca e delle conseguenti pubblicazioni. Per esperienza personale, anche all'estero si fa didattica nella propria lingua ma riescono ad attrarre comunque personale da altri paesi.

Boh, a me sembra così lineare. L'università di Cipro è alla ricerca di nuova faculty (sul serio). Le lingue dell'università, però, sono turco e greco (sul serio). La conoscenza del greco è requisito (sul serio). Tanti auguri ad attrarre faculty internazionale (è al limite un'ottima tecnica per cercare di far rientrare cervelli usciti, ma questo è un altro discorso).

Se io devo insegnare in italiano, devo per forza utilizzare come materiale obbligatorio materiale in italiano, o in maggior parte italiano. Perché allora qualcuno dovrebbe pubblicare in inglese su riviste più competitive che quelle italiane (per fattori semplicemente numerici)? Il problema è che questo continua la marginalizzazione della ricerca italiana.

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On 8/2/2018 at 12:47 PM, Iron84 said:

Giusto così, la conoscenza deve essere erogata senza inutili ostacoli. Imparare una materia in lingua straniera significa averla a livello c2 quando la scuola ha programmi che arrivano al b2.

Sinceramente la formazione si fa all università ed anche quella in lingua.

Giusto il Consiglio di Stato

Si guarda un mix mortale tra atteggiamento sindacale e fascismo culturale stantio

un conto è evitare di far sparire completamente l'italiano dalle specialistiche, altro è difendere lo status quo

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No Demo non è questo o tu crei una scuola che prepari ragazzi per certi livelli universitari oppure è fascista far richiedere per accedere all'università delle competenze che i programmi ministeriali non prevedono. Fai i master anche in aramaico ma non i corsi universitari. Questo è un profilo giuridico poi per mia convenzione ideologica la preparazione che puoi avere utilizzando la tua lingua madre non sarà mai quella che potrai avere usandone altre.

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davydenkovic90
On 8/2/2018 at 6:40 PM, MicFrequentFlyer said:

Boh, a me sembra così lineare. L'università di Cipro è alla ricerca di nuova faculty (sul serio). Le lingue dell'università, però, sono turco e greco (sul serio). La conoscenza del greco è requisito (sul serio). Tanti auguri ad attrarre faculty internazionale (è al limite un'ottima tecnica per cercare di far rientrare cervelli usciti, ma questo è un altro discorso).

Se io devo insegnare in italiano, devo per forza utilizzare come materiale obbligatorio materiale in italiano, o in maggior parte italiano. Perché allora qualcuno dovrebbe pubblicare in inglese su riviste più competitive che quelle italiane (per fattori semplicemente numerici)? Il problema è che questo continua la marginalizzazione della ricerca italiana.

mah, la marginalizzazione della ricerca italiana... è un po' come dire la marginalizzazione del cinema o dello sport italiano.. ci sono studi che non si possono fare perché richiedono molti fondi e solo certe università americane, ad es., riescono a condurli.

Comunque, prendetelo con beneficio di inventario, nel mio percorso di studi ho incontrato un professore bulgaro, presidente del mio corso di laurea, che ci scriveva le comunicazioni in italiano stentatsisimo... Eppure teneva corsi ed era stimatissimo da tutti. Mi stupiva che nessuna delle sue segretarie o colleghi lo correggesse mai. Comunque le comunicazioni erano efficaci, esistono sempre i traduttori e dizionari,  e, come ho già scritto, anche la matematica, l'ingegneria, l'architettura, ecc. Sono di per sé già delle lingue in cui si può comunicare molto facilmente a livello internazionale.

Anche senza corsi in lingua né erasmus né niente, uno, in facoltà scientifiche, già alla triennale, deve studiare testi in inglese, francese e tedesco... peraltro nei paesi anglosassoni anche la didattica (primi anni universitari) è spesso migliore in quanto il loro sistema scolastico pone al centro lo studente e non il professore, come avviene in Italia. Quindi potrebbe essere un bene seguire anche un primo corso universitario di chimica, ad es., da un prof americano o australiano e in inglese piuttosto che da uno italiano che non ha voglia di abbassarsi al tuo livello e scarabocchia alla lavagna due fregnacce e poi sono cavoli tuoi. Io al primo anno ho dovuto studiare per forza un libro di cinematica del punto in francese, poiché il professore adottava quel libro durante la spiegazione (lo teneva in mano e scarabocchiava due cose alla lavagna, senza far capire). Il libro non era mai stato tradotto, per capire qualcosa degli appunti che avevamo preso. Pur non avendo mai visto né parlato il francese in vita nostra è stato piuttosto agevole, anche perché spinti dall'istinto di sopravvivenza, abbiamo finito per impararlo per osmosi. Alla fine ripetevamo in francese o quasi. 

A volte l'inglese ha anche più potenzialità espressive di certi concetti. In fisica ad esempio si usano due termini distinti per la velocità (speed e velocity, la prima è la velocità scalare, la seconda è la velocità vettoriale) giusto per fare un es.

Ps. Ogni volta che leggo "consiglio di stato" penso che sia un topic sul consigliere Bellomo...  quello sì che sarebbe un topic interessante e comico. Questo è un topic per dare solo sfogo all'esterofilia, così, tanto per.. non dico che uno debba essere nazionalista coi paraocchi, ma esistono anche le vie di mezzo nella vita.

Edited by davydenkovic90
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Giusto così, la conoscenza deve essere erogata senza inutili ostacoli. Imparare una materia in lingua straniera significa averla a livello c2 quando la scuola ha programmi che arrivano al b2.


Basta il B2: è il livello richiesto per iscriversi ai corsi in lingua inglese delle università italiane e per essere ammessi in quelle anglosassoni.

Che poi non è vero che si impara meno usando una lingua straniera, né che così si uccide l'italiano. Semmai si avranno studenti che, al termine degli studi, sapranno facilmente e senza difficoltà leggere e scrivere in inglese, nonché conversare in lingua a un livello molto migliore di un B2. È impossibile ottenere lo stesso risultato anche frequentando n-mila corsi di inglese. Il risultato di sfornare studenti che, oltre a conoscere l'italiano, parlano un ottimo inglese, è un enorme traguardo formativo che, per di più, gli attribuisce anche un notevole vantaggio nel mondo del lavoro.

Senza contare che il mondo dell'ingegneria comunica in inglese in tutto il mondo e che un ingegnere che lo parla poco è un ingegnere con forti limiti.

A leggere queste notizie, ripenso sempre a come, in tutti i paesi europei che ho visitato, compresa la Romania, tutti i giovani parlino bene l'inglese, tranne l'Italia. In Italia pochi lo conoscono in modo decente e in molti musei o edifici pubblici non mancano mai perle comiche di traduzioni improbabili in inglese. Per una volta che si andava nella direzione giusta...
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On 7/2/2018 at 8:31 PM, Demò said:

a me stupisce un po' che le soluzioni di compromesso (o almeno simboliche) non siano prese in considerazione in questa discussione, mi sembra che questo rispecchi molto la contrapposizione tra Politecnico e Corte Costituzionale 

Io non so se sottotraccia via sia anche una sorta di conflitto di potere, fra chi pretende di presidiare l'autonomia universitaria dalle ingerenze politiche e chi invece intende in certo qual modo segnare dei limiti ( come detto la legge di cui si parla trattava in modo molto incidentale-indiretto il problema e quindi che potesse legittimare un Senato accademico, in mancanza di un indirizzo politico chiaro, a decisioni così radicali, è in sé discutibile ) cioè gli organi giurisdizionali ( TAR CC CdS )

Questo scontro di potere potrebbe rispecchiarsi in un conflitto  ideologico, ma se parliamo di chi scrive IT e non di organi politico amministrativi è chiaro che l'elemento ideologico prevale nettamente ( oltre ad un certo giacobinismo che è proprio dell'età )

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davydenkovic90
1 hour ago, paperino said:

in tutti i paesi europei che ho visitato, compresa la Romania, tutti i giovani parlino bene l'inglese, tranne l'Italia. In Italia pochi lo conoscono in modo decente e in molti musei o edifici pubblici non mancano mai perle comiche di traduzioni improbabili in inglese.

Che barba, sempre 'sto stereotipo degli anni cinquanta. Nel 2018 no, dai.

Tra l'altro gli italiani hanno difficoltà col lessico di derivazione germanica  e con strutture colloquiali come, ad esempio, i phrasal verbs utilizzati al posto del verbo di derivazione latina (ad es. non capiscono "go off" ma capirebbero "explode"). E si dà il caso che questi siano tanto frequenti nella lingua comune parlata "per strada" quanto rarefatti nei trattati accademici, dove si preferisce sempre usare  il verbo di derivazione latina  della stessa area semantica, che per fortuna nostra è molto più vicino all'italiano. Senza contare tutti i termini di derivazione greca o latina largamente presenti in qualsiasi settore.

Sempre parlando di inglese accademico, si può fare un esempio stupido che riguarda anche i non accademici: il porno. Tutti abbiamo un'ampio vocabolario sull'argomento e saremmo in grado di sostenere una conversazione di alto livello internazionale. Perché? Perché la necessità ci ha spinto ad andare in internet su siti porno stranieri perché quelli italiani non erano a sufficienza, abbiamo appreso un lessico specialistico che ci dà una grandissima competenza. All'università funziona la stessa cosa, perché uno, per forza di cose, legge continuamente testi in inglese e lo fa soprattutto per necessità di capire, di sopravvivere, e non perché ha ascoltato la lezioncina e deve ripeterla a pappagallo, per poi resettare tutto il giorno dopo l'esame. Acquisire questo tipo di lessico non implica che il laureato in ingegneria è in grado di spiegare a un amico americano come si fa il caffè,  sa il bancomat si chiama ATM o che stirare si dice "to iron", però è perfettamente competente per fare ricerca o lavorare in quel settore.

Probabilmente io non faccio testo in questa discussione, perché la nonna che mi ha cresciuto era prof di inglese in un istituto tecnico e per tanti anni sono andato a scuola di inglese da una prof australiana, ho sempre avuto 10 fisso a inglese e non ho mai avuto il problema di impararlo... però, almeno per quello che vedo io, non è affatto vero  che i giovani italiani non lo sanno. Sì, il turista tamarretto di provincia in vacanza non proferisce parola e va a gesti, ma nel mondo accademico tutti lo sanno piuttosto bene, specie in facoltà scientifiche.  Magari non saprebbero capire un programma tv spazzatura, però sono perfettamente competenti nel leggere articoli e usare l'inglese, così come il francese o il tedesco addirittura in funzione della loro materia e dei loro scopi didattici o di ricerca.

Edited by davydenkovic90
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