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Architettura fascista


conrad65

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Chiamarla architettura fascista è abbastanza fuorviante, in quanto ha seguito uno stile architettonico, il decò-razionalista, all'epoca utilizzato praticamente in tutta Europa, soprattutto in Inghilterra

https://www.awceramics.co.uk/images/Blogs/Burgh Island/The hotel Burgh Island.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/df/Whitehaven_Mansions.jpg/1280px-Whitehaven_Mansions.jpg

venendo al nostro paese l'EUR non è un esempio di bellezza, molto meglio questi esempi di architettura razionalista

https://images-3662.kxcdn.com/fidelitynews/wp-content/uploads/sites/9/2014/10/Compagnia-Latina-panoramica.jpg

e tale architettura è andata avanti fino a tutti gli anni '50, per esempio con questi

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/de/Sestriere_-_panoramio_(3).jpg

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Che io sappia è stato il Razionalismo italiano ad aver preso un po' del Decò (sono degli stessi anni d'altronde, anche se quest'ultimo era declinante in Europa mentre si affermava il Razionalismo). Quelli che tu citi sono classificati come Art Decò, mentre il Razionalismo rientra nel Movimento Moderno e dunque va cercato qui, al limite, il suo respiro internazionale. 

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Alcuni elementi del decò servivano a dare una nota "pittoresca" vuoi all'edilizia rurale delle nuove città fasciste, vuoi ad interventi "esotici" nelle colonie d'oltremare ( Portolago nel dodecanneso e Eritrea ) però anche a livello compositivo era tutto ricomposto in una sorta di armonia classica

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4 hours ago, Layer said:

Che io sappia è stato il Razionalismo italiano ad aver preso un po' del Decò (sono degli stessi anni d'altronde, anche se quest'ultimo era declinante in Europa mentre si affermava il Razionalismo). Quelli che tu citi sono classificati come Art Decò, mentre il Razionalismo rientra nel Movimento Moderno e dunque va cercato qui, al limite, il suo respiro internazionale. 

Si, il Razionalismo fu un evoluzione del Decò, già iniziato negli anni immediatamente antecedenti la Grande Guerra, modernizzando il Liberty.

Il Razionalismo o meglio dire il Movimento Moderno nasce ufficialmente in Olanda al termine della prima guerra mondiale e va avanti fino allo scoppio della seconda, con varianti diverse paese per paese. Probabilmente le forme così squadrate e seriose, in contrapposizione al vecchio Liberty, inquadrano bene il periodo di tensione che si stava vivendo in tutto il continente.

Dopo la II guerra mondiale iniziò il Realismo, che in parte riadattava lo stile classico, per esempio:

https://en.wikipedia.org/wiki/Palace_of_Culture_and_Science#/media/File:Pałac_Kultury_i_Nauki_p7.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Università_statale_di_Mosca#/media/File:Moscow_State_University.jpg

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14 hours ago, Demò said:

Cosa sono queste cose che avete a Cittá Laggiù voi regnicoli 

Si intuisce vaga funzione istituzionale ma che é

E' proprio così, almeno per parte della sua storia: fu sempre edificio di rappresentanza (da lì passavano sovrani e altre autorità in visita nella città) e fino a metà Ottocento fu anche sede del Municipio. Ora ha solo funzione di sala conferenze e sala mostre, che io sappia.

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13 hours ago, Fabius81 said:

Dopo la II guerra mondiale iniziò il Realismo, che in parte riadattava lo stile classico,

No il Realismo socialista data 1934

Ed in architettura prende il nome - del tutto esplicito - di "Classicismo Socialista" uno stile a cui pose fine nel 1955 Chruscev nel processo di destalinizzazione. Sarebbe - io dico è - in tutto e per tutto l'equivalente del classicismo semplificato di Piacentini  ( alcuni parlano non a caso di "arte totalitaria" )

Solo che in URSS lo si denunciò esplicitamente come travisamento dai fini di una pianificazione socialista delle risorse, è forse uno dei casi in cui la rottura con lo stalinismo fu più "forte" ( va detto che per ogni rublo sprecato nella costruzione di questi edifici di rappresentanza vi erano centinaia di migliaia di cittadini sovietici che nella devastazione del dopoguerra aspettavano una casa...)

Quindi Chruscev separa nettamente i destini del classicismo stalinista da quelli del realismo socialista, operazione che ovviamente in Italia non è stata compiuta per motivi storico-politici.

Relegato in funzione vicaria, continuò a sopravvivere durante gli anni '30 il Costruttivismo ( che si applicò alla costruzione di fabbriche o strutture tecniche ) ed è questo semmai uno stile che risente fortemente del decò il cui influsso sul Razionalismo italiano fu modesto

Edited by Hinzelmann
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  • 2 weeks later...

Come al solito ROTWANG ha ragione, qui di seguito l'articolo esplicativo della distruzione di Roma sotto il regime fascista che i figli di puttana di questo forum continuano a negare, da buoni fascisti mascolinisti di merda:

Business Insider Italia

I “monumenti” rimasti dall’epoca fascista sono davvero dei pericolosi virus che intaccano la cultura e la democrazia italiana? Il quesito, in realtà formulato Perché così tanti monumenti fascisti sono ancora in piedi in Italia è contenuto in un articolo pubblicato sul The New Yorker, rapidamente diventato una vexata quaestio piuttosto virulenta sui media online e offline. È da poco arrivata anche una replica dell’autrice, l’italianista statunitense Ruth Ben-Ghiat.

In realtà, è una domanda che ci si pone, pur con accenti diversi già da tempo, qui da noi. Più che gli edifici, sono le scritte ad aver suscitato malumori ad alto livello istituzionale. In particolare, è stato il risentimento espresso da alcuni ex partigiani per il grande obelisco con la scritta “MVSSOLINI DVX”, certamente imponente, e inquietante, posto a guardia dell’ex Foro Mussolini, oggi Italico. Le critiche e i commenti, anche recentissimi, sono se vogliamo simili a quelli del The New Yorker.

Torniamo però alle osservazioni da oltreoceano, e alle reazioni dalla nostra parte.

Il più dei commentatori si è concentrato sul neanche troppo velato desiderio, contenuto nello stesso titolo del pezzo della studiosa americana, di vederli davvero spianati, quei “monumenti”, nonostante la smentita della stessa autrice. Altri, viceversa, hanno giustamente messo il punto sulla parte ideologica della questione, bollando di populismo l’atteggiamento perlomeno sbrigativo, se non superficiale, della studiosa americana.

Si può intanto dire che l’uscita dell’italianista è riconducibile all’ondata di proteste avvenute la scorsa estate contro la presenza di monumenti dedicati ai Confederati, ancora presenti in diverse città toccate dalla Guerra Civile Americana. Le proteste sono anche giunte – questo forse un possibile motivo del trasbordo verso l’Italia di questa emotività – a contestare la presenza a Chicago del monumento dedicato alle imprese dei trasvolatori italiani, ovvero a quelle di Italo Balbo.

Questi eventi avevano trovato facile esca dopo la manifestazione suprematista di Charlottesville e, dopo la sonora sveglia suonata per tutta la compagine democratica, all’indomani dell’elezione di Donald Trump, che sta esacerbando la vita politica statunitense. Rovesciamo la domanda della Ben-Ghiat, secondo gli stessi suoi argomenti: se scomparissero gli edifici di epoca fascista, l’Italia eviterebbe davvero una deriva razzista, autoritaria, fascista?

Una delle caratteristiche del pensiero fascista è la parzialità, ovvero il voler vedere solo un aspetto della realtà, senza considerare né dare voce alla complessità che la storia esprime a ogni suo passo. La storia, come intesa dalla cultura fascista – e da tutti i regimi totalitari – è infatti immutabile, senza eccezioni.

Vediamo cosa eventualmente è andato perso nella irritata e parziale questione posta dalla Ben-Ghiat.

Più che gli edifici i veri segni, questi sì incancellabili, della politica urbanistica fascista in Italia sono quelli delle demolizioni, degli sventramenti, come furono meglio chiamati in seguito. O, come volle precisare un noto urbanista e studioso di Roma, Antonio Cederna, stupri. Proprio ROMA FU OGGETTO DA PARTE DEL REGIME DI UNA VIOLENZA DISTRUTTRICE CON POCHI CONFRONTI NELLA STORIA, dove tutto ciò che impediva ai “monumenti millenari della nostra storia” di “giganteggiare nella necessaria solitudine” era raso letteralmente al suolo, liberando le povere rovine dalle “costruzioni parassitarie” sovrappostesi nei “secoli della decadenza”. I virgolettati sono, com’è ovvio, di Mussolini.
Il tessuto urbano medioevale, rinascimentale, barocco, che conteneva persone e attività, non resistette al piccone purificatore, ansioso di mettere a nudo solo la parte gloriosa della storia imperiale romana.

Gli abitanti delle zone sventrate furono deportati in borgate periferiche, con condizioni di vita peggiori di quelle delle epoche buie che li avevano preceduti. Esempio tipico di questa dinamica è l’isolamento del mausoleo di Augusto. Dalla distruzione del rione adiacente e dell’Auditorium di Corea sovrapposto alla rovina del mausoleo venne fuori ciò che fu definito un “dente cariato”, niente né di monumentale, né di utile a creare il voluto contrappunto con la meglio conservata mole del Castel Sant’Angelo, dall’altra parte del fiume.

La piazza Augusto Imperatore (1940), dove fu arbitrariamente piazzata l’Ara Pacis, è ancora oggi un terren vague alienante, quando va bene un parcheggio, mentre prima era uno dei quartieri più vitali della città. È questo il senso della cultura urbanistica di Mussolini: spazi vuoti, neanche monumentali, abitati da fantasmi o da una specie umana irreale.

Un significativo esempio della stratificazione e contraddizione di segni ed emozioni, suscitate dal rapporto tra passato e presente, è incarnato dal nuovo museo dell’Ara Pacis (2006) di Richard Meier, architetto Pritzker Prize newyorkese, opera che ha decisamente rivitalizzato l’area, anche se si attende ancora la definitiva riqualificazione della piazza.

Questo primo intervento architettonico nel centro città dopo il regime, voluto dal sindaco di sinistra Francesco Rutelli e realizzato durante il mandato Veltroni, è stato duramente osteggiato dalla destra neofascista del sindaco Alemanno, che sollecitò addirittura il suo smontaggio e “deportazione” in periferia, in modo, anche qui, tipicamente mussoliniano; mentre lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi arrivò a definirlo una “pompa di benzina texana”. Meier, formatosi proprio a Roma negli anni Cinquanta, ha sempre ammirato l’architettura italiana del periodo fascista, soprattutto nella sua più limpida espressione, il Razionalismo: una cosa abbastanza chiara anche dal museo romano.

Della vecchia sistemazione di Vittorio Morpurgo, l’architetto statunitense ha scelto di conservare il muro con il testo integrale delle Res Gestae, il racconto di Augusto delle sue stesse imprese che portarono alla pax augustea, una pace imposta con le armi. Fu Mussolini a decidere con ovvi intenti emulativi l’estensione del testo augusteo in lettere di bronzo, sul muro che guarda ancora oggi la tomba dell’imperatore. Demoliamo?

Gli sventramenti del Ventennio richiesero un impegno economico enorme, a fronte di risultati spesso modesti,più spesso ancora strazianti. Italo Insolera, altro grande studioso della città, ha tra l’altro chiarito (2001) come uno di questi stupri urbanistici, quello dell’area del Campidoglio e dell’Ara Coeli (completato ca. 1930), sia stato finanziato con un prestito (Lire 60.300.000, 1927) concesso dalle banche statunitensi J.P.Morgan e National City Company, che servirà anche per gli sventramenti. In questo periodo il regime fascista è ben visto oltreoceano, fino alla successiva simbiosi tra New Deal rooseveltiano e le politiche economiche e sociali del Regno d’Italia, durata almeno fino a tutto il 1934. Per i guasti provocati dal capitalismo liberista americano e per la sua connivenza con il fascismo, dovremmo forse chiederci perché sia ancora in piedi il Rockefeller Center a Manhattan (1930-39), costruito con ingenti capitali all’indomani del crack del ’29?

I guasti dell’urbanistica mussoliniana e dell’idea di città tipicamente fascista  – un centro spettrale, dei bei quartieri residenziali, e una cintura di borgate alienanti piene di deportati dal centro storico devastato dagli sventramenti – si subiscono ancora oggi, e non solo a Roma. La domanda che si pone la Ben-Ghiat andrebbe forse resa altrimenti, muovendo l’attenzione dai volumi agli spazi, anzi ai vuoti, che hanno secondo me un valore simbolico ben peggiore di un fascio littorio su una facciata.

Prendiamo, ad esempio, la Via dei Fori Imperiali (Via dell’Impero, 1931-32).

Una delle politiche del regime fu la promozione della motorizzazione di massa, realizzatasi poi compiutamente nel dopoguerra. La trasformazione della città da storica in monumentalizzata è andata di pari passo con la promozione di uno spazio pubblico fortemente polarizzato, in senso individualistico e alienante, anziché collettivistico e socializzante. Un filmato pubblicitario della Fiat Balilla (1932) chiarisce perfettamente il concetto. Una grande arteria urbana si riempie di una nera parata di automobili tutte uguali, provocando la rimozione dei marciapiedi, dato che “non ci sono più pedoni!”. “Andrai ancora a piedi?” è il payoff di chiusura, dopo aver visto l’effigie del Balilla fascista mentre “lancia” al popolo l’automobile per tutti.

La pedonalizzazione dei Fori Imperiali, una strada che ha cambiato nome, ma non genius loci – ci si fanno ancora parate militari, e le automobili possono accelerare a sazietà – sembra ancora lontana, nonostante i molti annunci.

È molto più difficile spiegare per quale motivo sarebbe meglio realizzare, ad esempio, il progetto dell’Appia Antica pedonale, un parco lineare la cui idea risale agli anni Sessanta e che comprende proprio i Fori, o il GRAB, progetto ormai celebre a livello mondiale ma depotenziato nei suoi contenuti di limitazione del traffico privato, forse proprio perché passerebbe su un importante asse mussoliniano, via di S. Gregorio. Per non parlare dei Lungotevere.

Sono questi i lasciti del fascismo che converrebbe ridimensionare, altro che la famosa frase di Mussolini iscritta sull’attico del Palazzo della Civiltà Italiana, citata nell’articolo del The New Yorker e tratta dal discorso che annunciava l’invasione dell’Etiopia. A proposito di ciò, la Ben-Ghiat non fa riferimento alla restituzione al paese africano della Stele di Axum, “deportata” come trofeo imperiale a Roma nel 1937, e lì rimasta fino al 2005. Una vicenda esemplare del percorso di riflessione fatto dal nostro Paese, per quanto travagliata e a tratti contrastante.

La stele era stata collocata da Mussolini davanti al Ministero dell’Africa Italiana, edificio simbolo del tragico colonialismo d’accatto inseguito dal Regno d’Italia. Perché la Ben-Ghiat nella sua reprimenda non ha citato anche quella funesta costruzione? Forse perché è oggi sede della FAO? O l’enorme Casa Littoria, emblema del potere fascista, sede attuale della Farnesina?

Certo, non portano aquile, o fasci, né scritte compromettenti. Alla fine della guerra, Casa Littoria e Ministero erano infatti ancora incompiuti, proprio come il Palazzo della Civiltà Italiana e molta parte dell’EUR42. In quanto edifici pubblici, sono stati emendati grazie a nuove funzioni civili, assolvendo in questo modo a una comprensibile damnatio memoriae; che sarebbe stata decisamente controproducente, se troppo estesa.

La Ben-Ghiat ricostruisce con precisione il percorso di epurazione dei simboli fascisti avvenuto nel dopoguerra, fino al laissez faire democristiano degli anni Cinquanta nei confronti delle vestigia residue. Quello che non quadra è la sua deduzione successiva: l’aver lasciato in giro evidenti segni del passato regime, oltre ad aver permesso i pellegrinaggi a Predappio, avrebbe aiutato il governo Berlusconi nella sua “riabilitazione del fascismo”, avvenuta in seguito al suo accordo di governo con “il Movimento Sociale Italiano”. È piuttosto la radice piccolo-borghese della società italiana a permettere un eventuale ritorno del fascismo, più che edifici o epigrafi che nessuno sa più capire fino in fondo.

Dopo gli sventramenti operati dal regime in tutta Italia, e specialmente a Roma, si è verificato un immobilismo urbanistico da shock, che si sta appena diradando. A Roma, dal dopoguerra fino agli anni Novanta, edifici inadatti a rappresentare le attività della Repubblica sono stati penosamente – e costosamente – conservati, come il Palazzo delle Esposizioni (1883) e Palazzo Massimo alle Terme (1887). Figuriamoci demolire il Palazzo della Civiltà Italiana. Intanto, dopo la demolizione dell’Augusteo, per avere un nuovo Auditorium la città ha dovuto aspettare la realizzazione di Renzo Piano (2002).

A New York, metropoli di un paese capitalista con una lucida visione, le pedonalizzazioni sono state decise e in breve tempo risolte, “esclusa ogni divagazione rettorica”, come avrebbe detto il duce. La loro storia è esemplare: volontà politica, budget minimo, consultazioni popolari, inevitabili polemiche alle prime realizzazioni, risultato finale ampiamente soddisfacente per tutti. Times Square, congestionato simbolo di una città concepita per le auto, è oggi trasformata in una distesa di persone che comunicano, dove trovano posto sdraio e ombrelloni. Non solo per un benessere astratto, ma anche ai fini di una rivitalizzazione dell’economia. La High Line è un nuovo modo di guardare la città, mentre la sopraelevatadi Roma deve essere chiusa la notte per far dormire le persone, come molti viadotti urbani italiani.

New York mostra evidenti disparità sociali, ma ha deciso di investire in una città d’ora in poi fatta per le persone,dove i cittadini possano sentirsi uguali almeno nello spazio pubblico.

Edited by Rotwang
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On 21/10/2017 at 3:21 PM, Rotwang said:

Business Insider Italia

come ti stavo spiegando prima che bloccassi i miei messaggi, forse tu nella tua tesi hai inserito businness insider tra le fonti, ma generalmente tra le persone di buon senso, non basta trovare un articolo online generico e declamatorio, per avere ragione: serve almeno un articolo accademico, un saggio, una tesi di dottorato...bo' sei uno storico, lo dovresti sapere

che poi, un articolo che parla di colonialismo "accattone" perchè l'ha scritto gramsci o di tentativi "tragicomici", è quanto di meno autorevole si possa pensare

La guerra d'Etiopia è stata tutto tranne che tragicomica e non solo la seconda, che ha visto l'impiego di un milione di connazionali (il più grande esercito europeo in africa subsahariana!), dei gas, delle repressioni di Graziani, ma anche della prima che non è mai stata analizzata oltre all'effetto emotivo della sconfitta di adua

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