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Elezioni presidenziali negli USA del 2016


Rotwang

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le buone cose sono:

 

- in america si è presidente al massimo 8 anni se non si cambia costituzione e/o legge.

 

- tramp ha 70 anni e mal che vada riesce solo a fare 20 anni di dittatura.

Vent'anni sono la mia vita, dire solo per me è avventato, rovina una generazione se ci pensi...

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Ilromantico

Il problema è che la gente prende le ipotesi troppo sottogamba non capendo che i rischi sono reali. C'è anche da dire che la politica è diventata troppo nazional-popolare ultimamente, vedasi i vari podemos, cinque stelle e trump. È necessario che si ritorni a un po' di sano rigore perché va bene essere "alla mano", ma il ruolo di politico è una faccenda seria...

 

Anch'io do per assurda un'ipotetica vittoria di Trump, ma non scordiamoci però la storia passata degli USA. Una nazione che affonda le sue radici nella violenza ed ipocrisia più becera.

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Corriere della Sera

 

I pesi massimi del partito repubblicano sono scesi in campo contro Donald Trump, nel tentativo estremo, e quasi fuori tempo massimo, di bloccarne la corsa alla nomination. Gli attacchi più veementi sono arrivati dagli ultimi due candidati alla Casa Bianca, Mitt Romney e John McCain, che hanno usato parole durissime contro l’attuale frontrunner conservatore. «Sta prendendo in giro il popolo americano», ha affermato Romney in un discorso a Salt Lake City, nello Utah. «Non ha né il temperamento né il giudizio per fare il presidente». Le parole dei leader repubblicani hanno avuto tuttavia un doppio effetto sul fronte conservatore. Da un lato hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai commentatori repubblicani come David Brooks, che in un editoriale sul New York Times ha scritto che i repubblicani «alla fine ce l’hanno fatta, hanno alzato la testa. Dopo mesi hanno cominciato a denunciare l’incapacità di Trump di pensare a qualcosa di diverso da se stesso». Dall’altro, però, la presa di posizione delle élite ha fatto infuriare la base, soprattutto quel 30 per cento almeno di repubblicani che, in quasi ogni Stato in cui si è votato finora, ha scelto il miliardario newyorkese. «L’elettorato repubblicano non è un branco di stupidi ignoranti», ha tuonato un elettore di Temecula, California, intervenuto al seguitissimo talk show radiofonico di Rush Limbaugh, storica guida dell’America conservatrice. «Vogliono dirci chi votare e chi no», ha proseguito, unendosi al coro dei cosiddetti «trumpisti» infuriati con il partito e con la decisione di destabilizzare l’ascesa del tycoon newyorkese. «Noi sappiamo chi è Donald Trump, e vogliamo usarlo per prenderci il partito repubblicano. O per distruggerlo».

 

Una nomination quasi certa

Mentre il frontrunner sta spezzando in due il Grand Old Party — con l’establishment terrorizzato di vedersi sfuggire il partito e l’ala destra impaziente di portarglielo via —, i democratici, e non solo loro, cominciano a riflettere sulla nomination ormai quasi certa di Trump e, in fondo, tirano un sospiro di sollievo. Non tanto perché Trump è un candidato più spaventoso per i repubblicani moderati, che quindi a novembre potrebbero preferire il partito democratico decidendo di fatto l’elezione, quanto per il fatto che, in realtà, Trump stesso potrebbe essere un candidato più moderato dei suoi avversari conservatori: Marco Rubio e Ted Cruz.

 

Le aperture in campo sociale ed economico

«In campo economico, Trump non è neanche lontanamente conservatore quanto i suoi rivali Cruz e Rubio», spiega al Corriere della Sera Kyle Kondik, analista del Center for Politics della University of Virginia. «Sembra meno devoto al taglio delle tasse e, nonostante abbia attaccato la riforma di Obama, sembra aperto a un sistema sanitario universale. Inoltre non dà l’impressione di interessarsi molto alle questioni sociali più calde, come i matrimoni fra persone dello stesso sesso o l’aborto. Non sembra avere alcun paletto ideologico, quindi chissà cosa potrebbe proporre alle elezioni di novembre. Tuttavia Trump non è affatto moderato quando si tratta di immigrazione, e la sua campagna è stata assolutamente ostile nei confronti degli elettori non bianchi».

 

La noia dei comizi

Anche rispetto all’immigrazione, Trump potrebbe non essere così estremista come si è mostrato finora. D’altronde, scrive il Washington Post in un lungo profilo, la sua più grande abilità non è stata la costruzione di aziende, ma la creazione di un personaggio larger than life, ovvero sempre sopra le righe. È stato lo stesso candidato repubblicano, in un incontro con l’editorial board del New York Times, a svelare la verità dietro i ripetuti e violenti ricorsi al «Trump Wall», ovvero alla costruzione di un muro al confine con il Messico, pratica peraltro ricorrente durante le primarie repubblicane, quando la corsa alla nomination si gioca sugli estremisti. «Sapete, se vedo che i comizi stanno diventando noiosi o noto persone che cominciano a pensare di andarsene, allora basta dire “costruiremo il muro!” e tutti impazziscono», ha affermato.

 

La difesa di Planned Parenthood  

Le sue promesse, come notava Klondik, non sono inoltre guidate da posizioni ideologiche. Basta pensare all’aborto, una delle questioni più sensibili per l’elettorato conservatore: negli ultimi giorni, e per la seconda volta, Trump ha lodato Planned Parenthood, organizzazione no profit che offre servizi sanitari e riproduttivi a cominciare dall’interruzione di gravidanza, ed è quindi considerata il grande nemico dai conservatori sociali (al punto che uno squilibrato, a novembre, ha realizzato una strage in una clinica di Colorado Springs). «Planned Parenthood ha fatto un ottimo lavoro per tante persone, per milioni di donne», ha affermato Trump, facendo infuriare gli attivisti pro-life, che hanno uno spazio rilevante durante le primarie repubblicane. «Lo dico nonostante i cosiddetti conservatori. Anche io sono un conservatore, ma di buon senso».

 

Le tasse per i ricchi  

Non bastassero le sue parole, a spiegare quanto le sue posizioni siano spesso più moderate rispetto ai suoi avversari ci ha pensato anche la Bbc. Sull’immigrazione nessuno raggiunge le posizioni radicali del miliardario newyorkese, ha notato l’emittente britannica, ma in campo fiscale Trump è il più moderato e le sue promesse sono solo leggermente più conservatrici di quelle di Ronald Reagan, il grande modello dei repubblicani. «Farei pagare più tasse a chi guadagna centinaia di milioni di dollari l’anno, perché al momento pagano molto poco e credo che sia vergognoso. Voglio abbassare le tasse per la classe media», ha dichiarato a fine agosto a Bloomberg, schierandosi di fatto contro gli sgravi fiscali dell’era Bush che prevedono tagli per i più ricchi. Il suo tentativo di alzare le tasse ai manager degli hedge fund di Wall Street, spiega il sito finanziario, non è molto diverso da quello dei democratici Hillary Clinton e Bernie Sanders.

 

Le posizioni su Israele  

Anche per quanto riguarda sicurezza nazionale (ad eccezione di Cruz) e politica estera, Trump risulta il più moderato fra i candidati in gara. In particolare, scrive il mensile The Atlantic, il miliardario newyorkese ha «varcato una linea inviolabile nella piattaforma moderna del partito repubblicano», arrivando a criticare Israele per le sue responsabilità nella crisi del processo di pace. «Questo è senza dubbio un sentimento pro-palestinese». Ne è convinto anche Haaretz, quotidiano della sinistra israeliana, secondo cui Trump «sta deviando la leadership repubblicana dal supporto uniforme e automatico verso Netanyahu, e distruggendo la coalizione interna che era il cardine delle posizioni pro-israeliane del partito».

 

Il commercio, la sanità e l’invasione dell’Iraq  

Un altro esempio arriva dal Christian Science Monitor, che posiziona Trump alla sinistra del partito repubblicano sul commercio, perché «favorisce esplicitamente il protezionismo». Inoltre, scrive il settimanale americano, si oppone ai tagli al Social Security e al Medicare, la copertura sanitaria per le persone al di sopra dei 65 anni, ed è favorevole — a differenza di Rubio o Cruz — all’aborto nei casi di stupro e incesto. In più, e questa è una «posizione eretica nel partito attuale», critica duramente l’invasione dell’Iraq voluta nel 2003 da George W. Bush e dai neocon, che oggi sostengono la candidatura di Rubio. «Tutto sommato», ha twittato il senior political analyst del sito FiveThirtyEight Harry Enten a fine febbraio, «direi che Trump è il candidato più moderato rimasto in gara». Questo anche se, come ricorda il Monitor, bisogna fare un appunto: «Si può ottenere un risultato moderato facendo una media fra estremi. Uno più nove diviso due fa cinque. E su certi aspetti Trump è così a destra che serve un telescopio per vedere il centrocampo».

 

Rachman e Krugman  

«Ma è davvero così male? O questa isteria è un po’ esagerata?», si chiede Gideon Rachman, commentatore delFinancial Times, ricordando che in fondo anche Ronald Reagan fu trattato come un fascista, prima di diventare uno dei presidenti più amati dagli americani. E poi, spiega, in termini di politica estera Trump ha una prudenza obamiana per quanto riguarda gli interventi militari americani e la promozione della democrazia all’estero, e non ritiene sia una grande idea stracciare l’accordo sul nucleare iraniano. Ovviamente, conclude Rachman, i difetti che gli ha attribuito Romney sono tutti veri, ma «è possibile che il presidente Trump sorprenderebbe i suoi critici e governerebbe in modo responsabile. Spero solo però di non doverlo mai scoprire».

Fra i suoi rivali democratici, comunque, si sta diffondendo una sorta di teoria del «meno peggio» secondo la quale Trump è il male minore fra i candidati in gara. Lo lascia intendere persino Paul Krugman, voce del pensiero liberal americano, per il quale Trump non è l’unico truffatore in corsa alle primarie repubblicane. «Per essere chiari», ha scritto nel suo ultimo editoriale sul New York Times, «trovo la prospettiva di un’amministrazione Trump terrificante, e così dovrebbe essere per voi. Dovreste però essere altrettanto terrorizzati dalla prospettiva di un presidente Rubio, seduto alla Casa Bianca col suo circolo di guerrafondai, o di un presidente Cruz, che sospetto sarebbe felice di riportarci all’inquisizione spagnola. Per come la vedo io», ha concluso Krugman, «dovremmo in realtà essere felici dell’ascesa di Trump: sì, è un bugiardo, ma sta smascherando con successo le bugie degli altri. E questo, che ci crediate o meno, è un passo avanti in questi tempi difficili».

Edited by Rotwang
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Articolo interessante, che spiega come deve proseguire il percorso di Sanders per vincere sulla Clinton.
 
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Cosa deve succedere perché Clinton perda?

Martedì 8 marzo Bernie Sanders, senatore del Vermont, ha battuto Hillary Clinton nelle primarie del Partito Democratico statunitense in Michigan: è stata una vittoria molto significativa perché arrivata in uno stato diverso da quelli in cui Sanders era andato molto bene fin qui – soprattutto piccoli e abitati in larga maggioranza da bianchi – ma soprattutto perché ha contraddetto clamorosamente le previsioni dei sondaggi, che avevano attribuito a Clinton un vantaggio di almeno 20 punti. Capita che i sondaggi sbaglino, naturalmente, ma capita molto di rado che sbaglino di così tanto: bisogna andare indietro fino al 1984 per trovare un simile capovolgimento tra sondaggi e risultati alle primarie.

Questo errore è reso ancora più curioso dal fatto che gli stessi sondaggi, effettuati dagli stessi istituti, si sono rivelati invece molto precisi nel prevedere chi avrebbe vinto le primarie in Michigan tra i Repubblicani; nel cercare di ricostruire le ragioni dello scarto tra i Democratici, i giornali americani stanno ipotizzando che c’entri la strana e magra composizione dell’elettorato alle ultime importanti primarie Democratiche in Michigan, che si tennero nel 2008 tra molte polemiche e alle quali non partecipò Barack Obama, che poi vinse la nomination. Affidarsi a quel precedente per costruire il campione statistico ha prodotto un campione sbagliato. Rimane però un punto su cui molti si stanno interrogando ora: la sorprendente vittoria di Bernie Sanders in Michigan può davvero mettere in discussione la vittoria di Hillary Clinton alle primarie? Cosa deve succedere perché Hillary Clinton perda le primarie?

Cose minime da sapere.

Serve innanzitutto qualche informazione di contesto. Le primarie non vengono vinte dal candidato che vince in più stati, e nemmeno da quello che ottiene più voti: ottiene la nomination chi ha più delegati, e i delegati si eleggono con le primarie.

Alla convention estiva del Partito Democratico una platea composta da 4.765 delegati sceglierà formalmente con un voto il vincitore delle primarie: per ottenere la nomination, quindi, bisogna avere il sostegno di almeno 2.383 delegati, la metà più uno. Dei 4.765 delegati che votano alla convention, 4.051 sono eletti con le primarie stato per stato mentre 712 partecipano di diritto in quanto dirigenti del partito a vari livelli o portatori di cariche elettive: sono i cosiddetti “super-delegati”, possono votare chi vogliono. In questo momento la maggioranza dei superdelegati dice che sosterrà Hillary Clinton.

Il peso effettivo dei superdelegati viene spesso sopravvalutato: per quanto teoricamente possibile, è altamente improbabile che il voto dei superdelegati ribalti la volontà espressa dagli elettori alle primarie. I precedenti e il buon senso mostrano che alla maggioranza dei superdelegati interessa sostenere il vincitore nel voto popolare, e non affossarlo: nel 2008, per esempio, Hillary Clinton ebbe a lungo un grande vantaggio su Barack Obama tra i superdelegati, ma quando Obama ottenne la maggioranza dei delegati, anche la maggioranza dei superdelegati passò con lui. Quelli che contano davvero, quindi, sono i 4.051 delegati eletti con le primarie. Ne servono 2.026 per avere la maggioranza.

Questa è la distribuzione attuale dei delegati tra Clinton e Sanders, sulla base dei risultati negli stati in cui si è già votato:

delegati-democratici.png

Il conteggio qui sopra è del New York Times, ma a causa della complessità dei calcoli da fare contea per contea ne circolano di leggermente diversi: il Wall Street Journal ne attribuisce 760 a Clinton e 546 a Sanders, Vox dice 768-553, FiveThirtyEight dice 770-551. Non sono grandi differenze, per comodità facciamo riferimento alle cifre del New York Times.

I delegati ancora da assegnare – da qui al 14 giugno, quando finiranno le primarie – sono in tutto 2.746. Nel Partito Democratico i delegati si assegnano ovunque con metodo proporzionale: a volte sulla base del totale dei voti ricevuti in uno stato da ogni candidato, a volte invece sulla base dei voti ricevuti per ogni contea. Per questo motivo, per esempio, Bernie Sanders in Michigan ha ottenuto meno delegati di Hillary Clinton – 65 contro 68, nel conto di Politico – nonostante abbia avuto complessivamente più voti. Se si conta anche la contemporanea larghissima vittoria di Clinton in Mississippi, nella grande-serata-di-Sanders il suo distacco non si è ridotto ma è aumentato.

Poi c’è la realtà.

L’altra premessa, forse scontata, è che le elezioni si vincono o si perdono in base a questioni politiche: in questo articolo ci concentriamo su cosa deve succedere dal punto di vista numerico perché Sanders vinca le primarie – dove deve andare bene, dove deve andare molto bene, dove deve limitare i danni – ma naturalmente questo dipenderà in ultima istanza dalle opinioni degli elettori su Clinton e Sanders, sulle loro proposte, sulle loro qualità, sui loro errori e su quello che gli capiterà. Molte di queste cose non si possono prevedere.

Veniamo a noi, quindi.

Per arrivare ai famosi 2.026 delegati che gli darebbero la vittoria, Sanders deve ottenerne 1.480 dei 2.746 ancora in palio. Il modo più breve per dirlo, quindi, è che Sanders ha bisogno di vincere in media il 53,9 per cento dei delegati nei posti in cui si deve ancora votare (cioè 35 su 57 totali: li chiamiamo “stati” per brevità, ma si vota anche in posti che non sono ufficialmente stati americani, come Guam, Porto Rico o le Samoa Americane). È alquanto improbabile però che Sanders vinca tutte le primarie da qui in avanti: quindi bisogna capire dove ha bisogno di vincere, dove di stravincere e dove di contenere i danni.

Sulla base dei risultati delle primarie fin qui, possiamo dire che Sanders va meglio negli stati con un’alta maggioranza di elettori bianchi e una grossa partecipazione al voto di giovani e di elettori liberal, cioè la corrente di sinistra del Partito Democratico; Clinton, invece, va meglio negli stati con un’alta percentuale di abitanti non bianchi e una grossa partecipazione al voto di anziani e di Democratici moderati e centristi. Allo stesso modo, dato che ogni stato americano vota con un metodo diverso, sappiamo che Sanders va meglio dove si tengono i caucus (cos’è un caucus?) e le cosiddette open primaries, cioè primarie a cui possono votare anche persone che non sono iscritte alle liste elettorali come Democratiche; Clinton va meglio invece nelle closed e semi-closed primary, cioè primarie a cui possono votare solo le persone iscritte alle liste elettorali come Democratiche.

Questa mappa mostra chi ha vinto dove fin qui: gli stati vinti da Clinton in giallo, quelli vinti da Sanders in verde.

Democratic_Party_presidential_primaries_

Cosa dice il calendario.

Le prossime primarie dei Democratici si terranno il 15 marzo in Florida (closed primary, 214 delegati), Illinois (open primary, 156 delegati), Missouri (open primary, 71 delegati), North Carolina (semi-closed primary, 107 delegati) e Ohio (semi-open primary, 143 delegati). Non è un contesto ideale per Sanders: sono stati relativamente grandi ed etnicamente variegati, e non ci sono caucus. I sondaggi dicono che Clinton è avanti di 30 punti in Florida, di 30 in Illinois, di 20 in Ohio e di 20 in North Carolina, mentre non ci sono dati recenti affidabili sul Missouri. La sorprendente vittoria di Sanders in Michigan però non permette di dare Clinton sicura vincitrice negli stati dove sembra in grande vantaggio. Il peggio che può succedere a Clinton il 15 marzo è perdere in Illinois, per esempio, uno stato simile al Michigan e che organizza primarie aperte. Più in generale – come mostra l’efficace “delegate tracker” di FiveThirtyEight – per Sanders sarebbe ottimo il 15 marzo ottenere almeno 326 delegati dei 691 in palio.

In breve – Il 15 marzo Sanders deve cercare di perdere meno terreno possibile sul fronte dei delegati. E magari vincere in uno stato o due, per confermare la vitalità della sua campagna elettorale.

Le primarie si spostano poi in stati più favorevoli a Sanders: il 22 marzo si vota in Arizona (closed primary, 75 delegati), Idaho (caucus, 23 delegati) e Utah (caucus, 33 delegati); il 26 marzo in Alaska (caucus, 16 delegati), alle Hawaii (caucus, 25 delegati) e a Washington (caucus, 101 delegati); il 5 aprile in Wisconsin (open primary, 86 delegati) e il 9 aprile in Wyoming (caucus, 14 delegati). Il peggio che realisticamente può succedere a Clinton è che Sanders vinca in tutti gli stati dove si tengono dei caucus, magari largamente, e in Wisconsin, uno stato che ha un vivace movimento sindacale e molti attivisti di sinistra. In ogni caso, dal 22 marzo al 5 aprile Sanders ha bisogno di ottenere molti più delegati di Clinton e ridurre il più possibile il suo attuale svantaggio.

In breve – In queste due settimane Sanders deve cercare di vincere dovunque o quasi, e rimontare il più possibile lo svantaggio che ha sul fronte dei delegati.

In aprile si vota in altri sei stati, ma tre sono quelli davvero importanti nella conta dei delegati: New York (closed primary, 247 delegati), Maryland (closed primary, 95 delegati) e Pennsylvania (closed primary, 189 delegati). È difficile prevedere l’esito di queste primarie con così tanto anticipo, e le cose che sappiamo sono contraddittorie: New York per esempio ha tantissimi elettori di sinistra, ma è anche lo stato in cui Clinton ha vissuto per anni e che nel 2000 l’ha eletta al Senato. Sanders deve cercare di ottenere almeno la metà dei delegati in palio: quindi deve cercare di vincere, naturalmente, o perdere di poco. Parentesi politica: se Clinton dovesse perdere a New York – dove oggi è data in vantaggio di 20 punti, per quel che vale – sarebbe un colpo molto complicato da gestire per la sua campagna elettorale.

In breve – Se Sanders otterrà almeno la metà dei delegati in palio e vincerà almeno in uno dei grandi stati in ballo, Clinton potrà iniziare a preoccuparsi davvero.

A maggio si vota soprattutto in stati che assegnano pochi delegati, e dove fin qui Clinton e Sanders non hanno fatto molta campagna elettorale. Se la competizione sarà ancora aperta e incerta, però, sarà importante andar bene anche lì: non solo per i delegati in palio – 235 in tutto il mese, pochini – ma soprattutto per utilizzare quelle primarie come trampolino in vista di giugno. Anzi: in vista del 7 giugno.

Il 7 giugno infatti, in un giorno solo, si vota in California (semi-closed primary, 475 delegati), Montana (open primary, 21 delegati), New Jersey (semi-closed primary, 126 delegati), New Mexico (closed primary, 34 delegati), North Dakota (open primary, 18 delegati), South Dakota (semi-open primary, 20 delegati). In totale 649 delegati, con la California evidente bersaglio grosso. A questo punto non c’è strada realistica che porti Sanders a vincere la nomination – e Clinton a perderla – che non passi per una vittoria di Sanders in California.

Il 7 giugno è anche l’ultimo vero giorno di primarie: si vota poi il 14 giugno nel District of Columbia, ma si assegnano solo 20 delegati che saranno a quel punto ininfluenti. Il peggio che può succedere a Clinton il 7 giugno è perdere la California, ovviamente: da un lato la grande presenza di elettori di sinistra dovrebbe favorire Sanders, dall’altro la forte presenza di minoranze etniche dovrebbe favorire Clinton.

In breve – Sanders deve vincere in California: magari anche stravincere.

Tutto questo è realistico?

Realistico sì, probabile no. David Plouffe, stratega della leggendaria campagna elettorale di Obama nel 2008, fa notare spesso che in una gara del genere – lunghissima, e coi delegati attribuiti su base proporzionale – chi finisce indietro nella conta dei delegati ha molte difficoltà a rimontare: non deve solo vincere il più possibile, ma deve farlo anche largamente. Oggi Sanders ha uno svantaggio di oltre 200 delegati: parecchio più largo di quello che Clinton ebbe in ogni momento delle primarie che perse nel 2008 proprio contro Obama. Nel 2008 Obama concluse le primarie con 1.828 delegati contro i 1.726 di Hillary Clinton (2.306 contro 1.972, contando anche i superdelegati).

Su un piano più generale, quindi, perché avvenga questa tempesta perfetta Sanders non deve sbagliare niente, e deve sperare invece che – come fece nel 2008 – Clinton sbagli strategia investendo male denaro, energie e risorse logistiche. Infine, Sanders deve cercare di scalfire il netto dominio di Clinton tra gli elettori afroamericani, che fin qui l’ha tenuta a galla anche nei momenti più complicati: secondo i sondaggi in molti stati Sanders ha avuto il sostegno solo del 10 per cento circa degli elettori neri, superando il 20 per cento solo in Nevada e Oklahoma.

In Michigan però ha già ottenuto il 30.
 
http://www.ilpost.it/2016/03/10/cosa-deve-succedere-perche-clinton-perda/

Edited by Uncanny
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dal posto mi dicono che vincerà trump se i democratici eleggono sanders che non piace a nessuno. alternativamente vincerà la clinton dato che molti repubblicani la voterebbero pur di non essere ridicolizzati da trump. 

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Che Sanders non piaccia a nessuno mi pare impossibile

a giudicare dalla cartina di cui sopra, o piace più del previsto

o la Clinton piace talmente poco da non stracciare un Sanders

che non piace a nessuno MA allora il rischio che Trump ce la

faccia, esiste

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Sander piace a chi e' piu' a sinistra in america. Ma il resto degli americani non lo voterebbe.

 

Trump piace ai razzisti e agli ignoranti.

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Sanders piace in particolare ai più liberal (cioè più a sinistra), ai giovani dai 18 ai 24 anni (70% di supporto per lui rispetto ad un 30% per la Clinton secondo alcuni sondaggi), agli uomini bianchi e va molto bene nelle zone rurali.
Il supporto dei giovani penso sia dovuto principalmente alla promessa di Sanders di rendere gratuita l'università; inoltre i giovani sono più idealisti dei vecchi e Sanders è molto idealista (chiama gli americani a compiere una "rivoluzione politica").
 
La Clinton piace alle minoranze e in particolare i neri, alle donne almeno dai 30 anni in su (le più giovani stanno con Sanders), agli anziani in generale e ai centristi e moderati.
Avevo letto che il supporto plebiscitario dei neri è dovuto a diverse ragioni: i Clinton, fin dalla presidenza di Bill, hanno sempre intrattenuto rapporti molto solidi con la comunità afroamericana, Hillary stessa è spesso intervenuta di persona in determinate vicende che hanno coinvolto i neri e, altra ragione molto importante, Hillary è vista in continuità rispetto ad Obama e per questo favorita dal voto nero. Sanders tra l'altro in un dibattito aveva criticato Obama e questo non l'ha certo favorito, infatti successivamente ha capito che non può permettersi di criticarlo se vuole guadagnare consenso fra i neri e all'ultimo dibattito già parlava in termini di "dobbiamo continuare il lavoro iniziato da Obama".
 
Cruz vince fra coloro che si definiscono "molto conservatori" e quindi ad esempio i cristiani evangelici, Rubio è supportato da una base più moderata (ma comunque conservatrice) e guadagna più consenso nei centri urbani.
 
Trump ha una base abbastanza variegata e infatti prende elettori da praticamente tutta la base repubblicana, dai moderati ai conservatori, e dagli indipendenti. Perde solo fra i conservatori più fondamentalisti (che parteggiano come detto per Cruz), ma neanche in modo così largo.
Il suo elettore-tipo è l'uomo bianco poco istruito, particolarmente presente negli stati del Sud.

Se si guarda alle posizioni politiche comunque Trump è il più moderato fra i candidati (escluso Kasich).
Personalmente temo molto più Cruz di Trump: Trump fa il matto estremista, Cruz è un matto estremista.
Non è affatto ultraideologizzato religiosamente come Cruz ad esempio, ma secolarizzato e con un approccio laico alla politica.
La verità è che Trump, come lamenta l'establishment repubblicano, è un finto repubblicano e molte sue posizioni lo sono solo di comodo per prendere voti e non scontentare la base repubblicana.
 
In campo sociale e di temi etici è sempre vago e lapidario, ma a volte esplicitamente più aperto rispetto a Cruz o Rubio.

Nonostante adesso si dica grande oppositore del matrimonio omosessuale, nel 2005 dichiarava:
“There’s a lot to celebrate this holiday season. Elton John married his long-time partner David Furnish on December 21. That’s the first day that civil partnerships between gay couples became legal in England under the new Civil Partnership Act.”
“I know both of them and they get along wonderfully. It’s a marriage that’s going to work.”
“In any event, I’m very happy for them. If two people dig each other, they dig each other. Good luck, Elton. Good luck, David. Have a great life.”
“(But because I wasn’t invited, do I still have to send them a toaster?)”
Non era un "marriage" ma una "civil partnership" quella di Elton John, ma non credo possa cambiare così tanto le sue considerazioni solo questo, tanto più dopo 10 anni dall'evento. Trump poi aveva dichiarato di aver partecipato ad un matrimonio fra persone dello stesso sesso pochi anni fa.
 
Riguardo l'aborto, ha detto di essere favorevole ad esso anche in caso di incesto e stupro, al contrario di Cruz e Rubio, e ha elogiato Planned Parenthood, ente che si occupa di pianificazione familiare e dunque aborti e quindi grande nemico dei conservatori, dicendo che ha aiutato molte donne negli USA.
 
E' favorevole all'intervento dello stato nell'economia, a mettere più tasse sui ricchi ed è protezionista in ambito economico.

Molto lontano quindi da quella che è la dottrina conservatrice in materia economica.

In politica estera ha posizioni prudenti, moderate e poco interventiste.
 
E' favorevole alla soluzione dei due stati in pace fra loro per quanto riguarda la questione Israele-Palestina al contrario degli altri candidati.
Rubio ha dichiarato: "Non c'è alcun accordo di pace possibile con i palestinesi al momento. Semplicemente non esiste alcunachance.
Perchè non vi è nessuno con cui negoziare. L'Autorità Nazionale Palestinese non è interessata ad alcun accordo serio ed ora si sono uniti con Hamas, una organizzazione il cui specifico proposito è quello di distruggere lo Stato ebraico. ogni volta che Israele ha ceduto dei territori, che sia Gaza, od ora in Giudea e Samaria, questi sono stati usati come base d'attacco contro Israele. E questo succederà ancora.
Questi gruppi non sono interessati ad un accordo con Israele. Quello a cui sono interessati è distruggere lo Stato ebraico e occupare il suo intero territorio." Kasich e Cruz la pensano uguale.
 
Rubio in un dibattito ha dichiarato di essere contrario all'accordo tra l'amministrazione Obama e Cuba, mentre Trump è favorevole.
 
Tra l'altro anche Cruz è favorevole alla costruzione di un muro fra USA e Messico, la pensa esattamente come Trump a riguardo, quindi fra i due meglio Trump se si guarda al resto del pacchetto.

Edited by Uncanny
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il resto degli americani non lo voterebbe.

dal posto mi dicono che vincerà trump se i democratici eleggono sanders che non piace a nessuno.

 

 

I sondaggi dicono tutt'altro: Sanders vincerebbe con più ampio vantaggio di Clinton contro TUTTI gli avversari repubblicani.

Comunque sono discorsi inutili perché al 90% vinceranno Clinton e Trump

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AndrejMolov89

io parlo con gli americani veri, i sondaggi li lascio a ballarò e tg la7.

Certificati DOP o che vengono coltivati in china e venduti come americani veri? Diciamo che a menoché tu non conosca tutti gli americani del mondo, e che i tuoi amici siano democratici e siano nelle alte sfere del partito democratico, direi che per ora sono più affidabili i sondaggi. Poi va be', se poi tu hai riportato l'impressione di alcuni individui solo  per dare un contributo va bene, che questi individui siano rappresentativi, no, questo è abbastanza chiaro.

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...da simpatizzante del partito democratico (americano) mi piacerebbe molto che Tramp diventasse il candidato del GOP in quanto molto probabilmente non sarebbe eletto ;):  mi preoccupa molto di più Cruz, lui potrebbe farcela con la Clinton in quanto appare più una novità, con Tramp credo che gli antipatici repubblicani staranno alla larga dallo studio ovale per altri 4 anni!

...io tifo perchè vinca le primarie del GOP !

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Al tg svizzero credo che dicevano che trump se candidato secondo sondaggi artuali diventerebbe presidente.

 

Alla fine potrebbe anche rivelarsi un presidente alla regan (nel senso buono cioe' che non diventa dittatore) o potrebbe farsi tentare dal fare un colpo dimstato. Chissa'.

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La Clinton ha di fatto vinto la nomination: il distacco è troppo grande per essere recuperato da Sanders (circa 320 delegati).

Donald Trump non ancora, ma ha distaccato Cruz di molto, soprattutto grazie alla vittoria in Florida dove la regola era del "winner takes it all", cioè il vincitore prende tutto, senza distribuzione proporzionale dei delegati.

Rubio si è ritirato.

 

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Donald Trump e Hillary Clinton hanno fornito le prestazioni più convincenti nelle primarie di Florida, Illinois e Ohio così come nelle primarie in North Carolina e Missouri. I favoriti per la nomination hanno consolidato il loro primato nel calcolo dei delegati, che li avvicina alla vittoria delle primarie di Usa 2016. Hillary Clinton ha più di 300 delegati elettivi di vantaggio quando ne sono stati assegnati più della metà, un margine praticamente irrecuperabile per Bernie Sanders. Donald Trump ha conquistato più del 50% dei delegati necessari per vincere la nomination, 1237, alla Convention di Cleveland, e appare in grado di poter conquistarla nonostante l’opposizione di una larga parte dei vertici repubblicani.

 

Donald Trump vince in Florida

 

Donald Trump e Hillary Clinton hanno vinto nettamente le primarie in Florida. Il successo in Florida ha una significativa rilevanza per la nomination, visto che Donald Trump conquista 99 delegati, e Hillary Clinton consolida nettamente il suo primato nel calcolo dei rappresentanti per la Convention di Filadelfia. Il miliardario di NYC ha conquistato il 46% dei voti, distanziando il secondo arrivato, Marco Rubio, di circa 20 punti percentuali. Ted Cruz e John Kasich hanno preso il 17 e il 7%, Donald Trump ha vinto quasi tutte le contee della Florida, perdendo solo Miami-Dade, dove i residenti di origine cubana hanno tributato un raro, praticamente unico, plebiscito per Marco Rubio. Donald Trump ha vinto quasi ogni gruppo demografico secondo l’exit poll, fornendo una delle sue più convincenti prestazioni alle primarie di Usa 2016.

 

Marco Rubio dice addio

 

Marco Rubio ha sospeso la sua campagna presidenziale. La netta sconfitta nel suo Stato, la Florida, è stata l’ultima prestazione negativa di una corsa molto più apprezzata dalle èlite, vertici repubblicani come media, che dagli elettori delle primarie di Usa 2016. Marco Rubio ha sospeso la sua campagna dopo aver vinto solo i caucus in Minnesota e le primarie di Washington DC e Porto Rico. I 168 delegati conquistati dal senatore della Florida potrebbero però giocare un ruolo rilevante nel caso in cui non ci fosse un candidato con la maggioranza assoluta della platea della Convention di Cleveland. Donald Trump, dopo averlo ripetutamente attaccato, ha fatto i complimenti a Marco Rubio e gli ha predetto un brillante futuro.

 

Hillary Clinton vince in Florida

 

Hillary Clinton ha vinto in modo quasi trionfale le primarie in Florida. La candidata democratica ha sfiorato il 65%, distanziando Bernie Sandes di più di 30 punti percentuali. L’ex First Lady ha conquistato le aree metropolitane dello Stato con margini superiori al 70%, vincendo a Miami, Orlando, Tampa come Jacksonville grazie alla sua coalizione sociale basata su donne, bianchi anziani, afro-americani e ispanici. Solo nella Florida Panhandle, l’area rurale e settentrionale dello Stato che confina con Alabama e Georgia, Bernie Sanders le è stato vicino. L’ampio margine di vantaggio ha consolidato il già ampio vantaggio di Hillary Clinton nel calcolo dei delegati. Grazie al 65% conquistato in Florida la candidata democratica ha ottenuto poco meno di 70 delegati di vantaggio rispetto al suo avversario.

 

Hillary Clinton vince in North Carolina e Ohio

 

Hillary Clinton ha vinto piuttosto nettamente le primarie democratiche in North Carolina e Ohio. Il secondo Super Tuesday è stato favorevole alla candidata democratica favorita per la nomination quasi come il primo, quando aveva ottenuto risultati caratterizzati da vittorie molto ampie negli Stati più popolosi come Texas, Georgia e Virginia. In Ohio Hillary Clinton ha vinto di poco meno di 15 punti, un margine ampio che le consente di guadagnare una ventina di delegati sul suo avversario. In Ohio la candidata democratica è riuscita a battere di poco Bernie Sanders tra i bianchi, travolgendolo nel voto nero. Il senatore del Vermont ha pagato il profilo demografico piuttosto anziano dello Stato. In North Carolina Hillary Clinton ha vinto con poco più di 14 punti percentuali di vantaggio, conquistando circa una decina di delegati di vantaggio. Nello Stato di Charlotte e Raleigh l’ex segretario di Stato ha vinto ancora una volta grazie al suo consenso quasi plebiscitario tra i neri, mentre Bernie Sanders è riuscito a vincere tra i bianchi, una performance non sempre riuscita nel Sud.

 

John Kasich vince in Ohio

 

John Kasich ha vinto le primarie repubblicane in Ohio. Il governatore dello Stato ha così conquistato i 66 delegati in palio, assicurandosi la prosecuzione della sua campagna. La sconfitta di Donald Trump non mette in dubbio il suo primato nel calcolo dei delegati, anche se una vittoria in Ohio avrebbe facilitato il suo percorso verso la nomination. John Kasich non ha però chance di vincere la candidatura presidenziale visto il suo enorme ritardo tra i delegati. Il governatore dell’Ohio ambisce a conquistare un ruolo importante in caso di Convention senza maggioranza, uno scenario ancora possibile vista l’opposizione dei vertici repubblicani a Donald Trump. John Kasich ha vinto con il 46% dei voti, distanziando Donald Trump di circa 10 punti percentuali. Ted Cruz ha ottenuto il 13%, mentre Marco Rubio si è assestato poco sopra al 2.

 

Donald Trump vince in Illinois

 

Donald Trump ha vinto le primarie repubblicane in Illinois. Un successo particolarmente importante per il miliardario di NYC, sopratutto alla luce del forte margine di vantaggio ottenuto sui suoi avversari. Le primarie repubblicane in Illinois assegnano i delegati su base maggioritaria: 54 nei collegi della Camera dei Rappresentati, 15 invece a chi arriva primo a livello statale. Donald Trump ne ha vinto una netta maggioranza , 52 delegati. Un risultato fondamentale, che permette di attutire la sconfitta in Ohio. Il miliardario di NYC ha acquisito un vantaggio quasi irrecuperabile per la nomination, ma la conquista di una maggioranza alla Convention di Cleveland è ancora incerta, anche se più probabile per merito dell’Illinois. Nello Stato più importante del Midwest Donald Trump è arrivato al 40% grazie al suo consueto dominio tra gli elettori più anziani e meno istruiti, politicamente moderati o abbastanza conservatori. I molto conservatori che popolano le aree rurali hanno portato Ted Cruz a un solido, ma poco utile dal punto di vista dei delegati, 30%, mentre John Kasich si è fermato al 20%.

 

Hillary Clinton vince in Illinois

 

Hillary Clinton ha vinto le primarie democratiche in Illinois. L’ex First Lady ha conquistato lo Stato di Barack Obama con un margine di vantaggio molto limitato su Bernie Sanders, poco meno di 2 punti percentuali. Le primarie democratiche in Illinois si sono svolte in modo simile a quelle del Michigan, con il senatore del Vermont vincitore della netta maggioranza delle contee rurali, mentre Hillary Clinton ha conquistato l’area metropolitana di Chicago con un vantaggio meno ampio del previsto. Bernie Sanders ha trionfato tra i giovani, superando l’80% tra gli elettori con meno di 30 anni, e grazie a questa sua performance ha ridotto lo svantaggio tra le minoranze etniche. Hillary Clinton ha vinto grazie agli elettori anziani, ai moderati e ai democratici, mente il senatore del Vermont ha trionfato ancora una volta tra gli indipendenti. La ripartizione proporzionale rende particolarmente equilibrata la distribuzione dei delegati tra i due candidati democratici in Illinois.

 

Donald Trump vince in North Carolina

 

Donald Trump ha vinto le primarie in North Carolina con il 41%, superando Ted Cruz di circa 4 punti. John Kasich è arrivato al 12%, mentre Marco Rubio si è fermato sotto l’8%. Gli anziani e i non laureati hanno garantito il successo al miliardario di NYC, mentre il senatore del Texas ha confermato la sua forza tra gli elettori molto conservatori, conquistando in questo gruppo demografico una maggioranza assoluta. Le primarie repubblicane in North Carolina assegnano i delegati su base proporzionale a tutti i candidati senza soglia di accesso alla ripartizione. Donald Trump ottiene così un margine contenuto di vantaggio, però importante per la maggioranza assoluta dei delegati alla Convention di Cleveland.

 

Hillary Clinton vince in Missouri

 

Hillary Clinton ha vinto per circa 1500 voti le primarie in Missouri, conquistando così tutte le elezioni del secondo Super Tuesday. Bernie Sanders è stato a lungo in testa nello spoglio, ma le città più popolose dello Stato, Kansas City e St. Louis, dove vivono molti afro-americani, hanno garantito alla candidata democratica il successo finale. La vittoria in Missouri ha un valore prevalentemente simbolico, visto che la ripartizione proporzionale rende molto equilibrata l’assegnazione dei delegati. Bernie Sanders ha diminuito il suo svantaggio tra i neri, e ha conquistato ampie maggioranze tra giovani e indipendenti, ma ciò non è bastato per ripetere la vittoria strappata in Michigan. Il senatore del Vermont avrebbe però dovuto vincere nettamente, in Missouri così come in Ohio e Illinois, per rimettere vagamente in discussione la nomination.

 

Donald Trump vince in Missouri

 

Donald Trump ha vinto le primarie in Missouri di poco più di mille voti di vantaggio su Ted Cruz. In una curiosa replica del 2008, anche nel 2016 le primarie repubblicane e democratiche di questo Stato sono state estremamente equilibrate, e vinte dai candidati che ogni probabilità conquisteranno la nomination presidenziale. Se il successo sarà confermato dal probabile riconteggio il miliardario di NYC potrà ottenere i 15 delegati assegnati al vincitore del Missouri. Donald Trump è arrivato primo nella maggior parte dei distretti congressuali, così da guadagnare un numero consistente di delegati.

 

http://www.giornalettismo.com/archives/2054731/primarie-usa-2016-primarie-florida-illinois-ohio-risultati-news/

Edited by Uncanny
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Le primarie di Usa 2016 in Arizona, Utah e Idaho sono state un’altra tappa positiva per Donald Trump e Hillary Clinton, che hanno vinto l’elezione più importante, le primarie in Arizona. Bernie Sanders ha ottenuto un plebiscito nei caucus democratici in Utah e Idaho, mentre Ted Cruz ha trionfato in quelli repubblicani in Utah.

 

Netto successo di Hillary Clinton in Arizona

 

Hillary Clinton ha conquistato le primarie in Arizona con un largo margine di vantaggio su Bernie Sanders. La candidata democratica ha ottenuto poco meno del 60% dei voti, distanziando il suo rivale di quasi 20 punti percentuali. Un simile margine di vantaggio permette a Hillary Clinton di acquisire un numero significativo dei 75 delegati elettivi assegnati dalle primarie in Arizona. I risultati dello Stato dell’Ovest evidenziano ancora una volta come Hillary Clinton abbia ormai conquistato la nomination. Benchè nelle prossime settimane Bernie Sanders potrebbe batterla in diversi Stati, come mostrato dai plebisciti ottenuti nei caucus in Utah e Idaho, il senatore del Vermont non può colmare il suo distacco di oltre 300 delegati.

 

 

Hillary Clinton verso la nomination

 

 

Bernie Sanders dovrebbe vincere le prossime primarie con un vantaggio medio di quasi 20 punti percentuali per affiancare Hillary Clinton nel calcolo dei delegati elettivi. Il voto in Arizona rafforza ulteriormente l’idea che ciò non possa accadere, visto che la candidata democratica appare troppo forte tra le minoranze etniche per poter subire sconfitte così nette. I media americani non hanno realizzato exit poll per le primarie in Arizona, ma nelle contee a maggior concentrazione ispanica dello Stato Hillary Clinton ha vinto con quasi il 70% dei consensi. Oltre al dominio tra gli afro-americani, l’ex segretario di Stato sta vincendo in modo oltremodo netto tra i latinos, come mostrano i risultati delle primarie in Arizona, Florida e Texas. Una netta vittoria di Bernie Sanders nelle primarie di California e New York appare pressochè impossibile con simili rapporti di forza nelle minoranze etniche.

 

Donald Trump vince in Arizona

 

Donald Trump ha vinto le primarie repubblicane in Arizona, conquistando i 58 delegati assegnati da quest’elezione.Il miliardario di NYC ha conquistato un altro netto successo all’Ovest, dopo aver trionfato nei caucus del Nevada. Il successo di Donald Trump consolida il suo percorso verso la nomination. Le primarie in Arizona gli consentono di mantenere il ritmo di acquisizione dei delegati necessario per arrivare a quota 1237. La maggioranza assoluta della Convention di Cleveland è un obiettivo raggiungibile anche se non scontato per Donald Trump, che deve vincere la quasi totalità delle primarie che assegnano i delegati con criterio maggioritario per arrivare alla nomination.

 

Caucus di Utah e Idaho dominati da Bernie Sanders

 

Bernie Sanders ha dominato i caucus democratici in Utah e Idaho, raggiungendo percentuali vicine all’80%. Due successi attesi, che però hanno evidenziato ancora una volta la popolarità del senatore del Vermont nella base democratica. Bernie Sanders è particolarmente competitivo in queste elezioni, a cui partecipano i militanti e gli elettori più motivati dei Democratici, mentre i suoi consensi aumentano nelle primarie aperte anche agli indipendenti, e non chiuse come quelle dell’Arizona. I netti successi nei caucus in Utah e Idaho permettono a Bernie Sanders di non accumulare ulteriore svantaggio tra i delegati elettivi, ma non di ridurlo in modo significativo a causa della scarsa popolosità di questi Stati. Secondi i primi calcoli il senatore del Vermont avrebbe guadagnato solo 6 delegati in più di Hillary Clinton.

 

Ted Cruz vince in Utah

 

Ted Cruz ha vinto i caucus repubblicani in Utah. Il senatore del Texas ha conquistato tutti i 40 delegati distribuiti da questo Stato, visto che ha ottenutop più della maggioranza assoluta dei voti. Donald Trump è invece finito molto staccato, confermando ancora una volta di soffrire questo tipo di elezione riservata ai militanti e agli elettori più motivati dei Repubblicani. Non aver conquistato neppure un delegato è un risultato piuttosto deludente per il miliardario di NYC, che evidenzia come la conquista della nomination sia un obiettivo raggiungibile ma non scontato nonostante il suo chiaro primato.

 

http://www.giornalettismo.com/archives/2061174/primarie-usa-2016-primarie-arizona-utah-idaho-risultati/

Edited by Uncanny
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cuddlemaniac

Non credo che gli americani voterebbero Trump presidente. Sarebbero davvero impazziti tutti!

La triste verità è che Trump piace alla gran parte degli americani, il sostegno è prima di tutto popolare, per la prima volta nella storia contemporanea l'america ha un candidato repubblicano che non è riconosciuto dai dirigenti del partito ma che gode del pieno sostegno della sua gente.

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Internazionale

 

Negli Stati Uniti era abituale per le buone famiglie riunirsi a seguire in televisione i dibattiti delle elezioni presidenziali: un’occasione per educare i figli a cogliere, al di là dell’asprezza dei confronti, il senso della diversità di idee politiche come essenza della vita democratica. E nelle scuole gli insegnanti facevano la loro parte con la stessa finalità.

 

Ora però genitori e insegnanti si trovano in difficoltà. Donald Trump, immobiliarista e imprenditore televisivo di successo, cavaliere dell’Ordine della luce della repubblica di Georgia, ha introdotto nei dibattiti elettorali elementi difficili da gestire in una prospettiva educativa.

 

Nel New York Times una giornalista ha raccolto le opinioni dei favorevoli a Trump: ammettono che ci sono violenze verbali e minacce non usuali, ma invitano a badare alla bontà sostanziale delle proposte trumpiane.

 

I non favorevoli vanno all’attacco anche di queste: generiche, truculente. Ma soprattutto genitori e insegnanti lamentano le diseducative violenze e sconcezze verbali. Trump insulta l’avversario, lo sbeffeggia per la sua origine nazionale o etnica, per i suoi vestiti o per il fisico, minaccia chi lo interroga, porta alla ribalta parole grevi, “farsela sotto”, “bagnarsi i pantaloni”, “io ce l’ho più grosso del tuo”, “farsi una sega”.

 

Se poi c’è un’interlocutrice Trump la assale a suon di mestruazioni e assorbenti. Bisogna ammetterlo: perfino i nostri Bossi, Berlusconi e Salvini e il Vaffanculo day di Grillo escono battuti dal confronto.

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The Post Internazionale

 

Bernie Sanders ha vinto i caucus dei democratici in Alaska, nelle Hawaii e nello stato di Washington. 

In Alaska Sanders ha ottenuto 13 delegati, mentre a Washington 65. Hillary Clinton, pur non avendo vinto nessuno degli stati in cui si è votato gode ancora di un notevole vantaggio nel numero dei delegati.

Clinton infatti ha già 1250 delegati, dei 2383 necessari per la nomination del partito. Bernie Sanders è fermo a 1003. Il prossimo stato in cui i democratici saranno chiamati a esprimere la loro preferenza per il candidato del loro partito è il Wisconsin.

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  • 2 weeks later...

La Stampa

 

L’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, ha annunciato il suo appoggio a Donald Trump, frontrunner nella corsa alla nomination repubblicana in vista delle elezioni presidenziali Usa di novembre. «Appoggio Trump e voterò per lui», ha detto in un’intervista rilasciata al «New York Post».  

 

Giuliani, passato alla storia in quanto sindaco di New York al momento degli attacchi terroristici dell’11 settembre del 2001, ha spiegato che non è d’accordo con tutti i punti del programma elettorale di Trump, ma che confida in lui per la gestione di questioni come economia, immigrazione e sicurezza. 

 

Immediato la replica di Trump. «Hanno tutti un grande rispetto per Rudy Giuliani e questo è davvero un grande onore», ha commentato in una nota. Quello dell’ex primo cittadino della Grande Mela non è un vero e proprio «endorsement» per Trump, come lo stesso Giuliani a tenuto a precisare, ma solo una dichiarazione sull’intenzione di votare per lui alle cruciali primare del prossimo 19 aprile nell’Empire State. 

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  • 2 weeks later...

Lettera43

 

L'Italia un modello sul fronte del sistema sanitario. Parola di Bernie Sanders che ha citato il nostro Paese sottolineando come lì ci sia la sanità che lui vorrebbe istituire negli Usa se sarà eletto presidente. Durante il 'mega raduno' a Prospect Park, nel cuore di Brooklyn, il candidato alle primarie democratiche ha parlato della riforma della salute, dicendo che "la sanità è un diritto di tutti e non un privilegio". Quindi ha citato alcuni esempi di Paesi da seguire, tra cui Roma. "Le più grandi Nazioni al mondo - ha detto - come Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, considerano la sanità un diritto per le persone".

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Se la sanita' e' un diritto perche' non paghiamo la sanita' all'africa che ne avrebbe tanto bisogno ?

 

In un paese africano di cui non ricordo il nome si e' rotto poco fa l'unico apparecchio per la radioterapia contro il cancro del paese. Perche' nessun paese ha donato loro un apparecchio sostitutivo ?

 

Al tg svizzero davano stasera trump come candidato sicuro repubblicano mentre la clinton non e' ancora certa dela candidatura.

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Le primarie di New York sono state vinte da Hillary Clinton e Donald Trump. L’ex senatrice dello Stato ha battuto Bernie Sanders alle primarie democratiche di oltre 15 punti. Ancora più netto il successo del miliardario di New York City, che ha superato il 50% conquistando quasi tutti i 95 delegati in palio.

 

PRIMARIE NEW YORK TRIONFANO I FAVORITI

 

Il ritorno a casa è stato particolarmente dolce per Hillary Clinton e Donald Trump. I favoriti per la nomination alle primarie di Usa 2016 hanno ottenuto due successi molto chiari nelle primarie di New York. L’ex senatrice dello Stato dal 2000 al 2008 ha battuto Bernie Sanders con oltre 15 punti di distacco, conquistando più di 30 delegati di vantaggio sul senatore del Vermont. Donald Trump ha letteralmente dominato le primarie di New York, cogliendo il successo più ampio alle primarie di Usa 2016. Il miliardario di NYC ha superato il 60%, distanziando i suoi avversari di oltre 30 punti. Il miliardario di New York City ha perso una solo contea, Manhattan, dove vive, conquistando quasi tutti i delegati assegnati dalle primarie nel quarto Stato più popoloso degli Usa.

 

HILLARY CLINTON VERSO LA NOMINATION

 

Hillary Clinton si è trasferita nello Stato di New York per lanciare la sua carriera nelle istituzioni, diventando senatrice del quarto Stato più popoloso degli Usa nel 2000. Da allora la maggior parte dei media l’hanno sempre considerata come la più probabile prima donna a diventare presidente degli Stati Uniti. Questa notte ha probabilmente colto il successo di maggior importanza per conquistare la vittoria alle primarie democratiche. L’ex senatrice di New York ha vinto le primarie nel suo Stato sfiorando il 60%, distanziando il suo avversario di oltre 15 punti. Un vantaggio molto rilevante, che ha consolidato il suo già ampio primato nel conteggio dei delegati. Bernie Sanders ormai non ha più una credibile chance per la nomination, visto che solo vincendo a sorpresa nelle primarie di New York avrebbe potuto ribaltare la dinamica di una corsa già chiara da diverse settimane.

 

LA GRANDE MELA PER HILLARY CLINTON

 

Hillary Clinton ha costruito il suo netto successo nelle primarie di New York grazie a una vittoria molto ampia nella città più grande dello Stato. Nei cinque Borough di New York City, Manhattan, Bronx, Broooklyn, Queens e Staten Island, l’ex senatrice ha conquistato percentuali superiori al 60%, con l’eccezione di Staten Island, storicamente contea più conservatrice, grazie al suo dominio tra le minoranze etniche. Ancora una volta sono stati gli afro-americani e gli ispanici a dare il successo a Hillary Clinton, che ha pareggiato con Bernie Sanders nel voto bianco secondo l’exit poll, mentre ha sfiorato il 70% tra le minoranze etniche. La coalizione sociale dell’ex senatrice di New York, composta da donne, anziani, elettori non bianchi e ceti medio-alti, è stata confermata anche nelle primarie di questo Stato. La relativa staticità demografica è ormai una consuetudine nella sfida tra Clinton e Sanders.

 

SCONFITTA AMARA PER BERNIE SANDERS

 

Bernie Sanders è stato penalizzato dalle regole delle primarie di New York, che consentono la partecipazione solo agli elettori registrati ai due partiti. Il senatore del Vermont ha vinto nettamente, come suo solito, tra gli indipendenti, che però secondo l’exit poll sono stati solo il 14% degli elettori complessivi. Bernie Sanders ha trionfato tra i giovanissimi, superando l’80%, e tra chi si considera molto liberal, mentre è andato male nei ceti medio-bassi a causa della sua debolezza tra le minoranze etniche. Il senatore del Vermont ha vinto nella maggior parte delle contee dello Stato di New York, prevalentemente bianche, ma nelle aree demograficamente più eterogenee ha subito sconfitte decisamente ampie. Un dato già osservato nelle elezioni precedenti, e che rende assai probabili nuove vittorie di Hillary Clinton nelle primarie del Nordest di settimana prossima, in Stati demograficamente e politicamente simili a New York.

 

TRIONFO DI DONALD TRUMP

 

Donald Trump ha conquistando il 60% nelle primarie di New York, annichilendo i suoi avversari, distanziati di oltre 30 punti percentuali. Un successo ancora più netto del previsto, che consente al miliardario di New York City di conquistare quasi tutti i 95 delegati assegnati in queste elezioni.Secondo l’exit poll Donald Trump ha vinto in praticamente tutti i gruppi demografici, anche se la basi della sua vittoria sono state costruire nei pilastri della sua coalizione sociale, gli elettori più anziani, meno istruiti e residenti nelle aree rurali e periferiche. Il Nordest, dove ci sono più cattolici che protestanti, ha confermato di essere una area ancora più favorevole per Trump rispetto al Sud dove ha ottenuto successi in quasi tutte le primarie.

 

LA STRADA PER LA NOMINATION DOPO NEW YORK

 

L’elemento forse più favorevole per Donald Trump è stato il sorpasso di John Kasich nei confronti di Ted Cruz. Il senatore del Texas ha ottenuto un misero 15%, mentre il governatore dell’Ohio ha superato il 20%, riuscendo a conquistare anche alcuni delegati. Ted Cruz ha pagato l’assenza della destra evangelica, mentre i repubblicani settentrionali più moderati hanno premiato John Kasich, che è riuscito a battere Trump a casa sua, nella contea di Manhattan. Un successo simbolico, anche se il governatore dell’Ohio potrebbe essere competitivo nei prossimi Stati che vanno al voto vista la sua buona performance nell’area rurale di New York. Donald Trump potrebbe trovare nel suo successo domestico la spinta decisiva per conquistare la nomination. La maggioranza assoluta dei delegati elettivi potrebbe essere raggiunta se il miliardario di NYC troverà altri successi simili nelle tappe successive delle primarie di Usa 2016, che proseguono martedì 26 aprile in diversi Stati del Nordest.

 

http://www.giornalettismo.com/archives/2083798/primarie-new-york-risultati/

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Il Fatto Quotidiano

 

Trump 5. Clinton 4. Sanders 1. E’ il risultato dell’ultima notte elettorale, che ha portato al voto cinque Stati del nord-est. Donald Trump si è aggiudicato Pennsylvania, DelawareConnecticut, Maryland e Rhode IslandHillary Clinton li ha vinti tutti tranne il Rhode Island, che è andato a Bernie Sanders. Il risultato complessivo spinge ancora di più Trump e Clinton verso la nomination, anche se bisognerà aspettare il voto dell’Indiana, per dire la parola definitiva, soprattutto in campo repubblicano.

 

Nelle file del G.O.P., il voto sancisce una volta per tutte che Ted Cruz e John Kasich non potranno raggiungere i 1237 delegati necessari ad agguantare la nomination. Solo Trump, a questo punto, può farlo, ed è per questo che l’Indiana è particolarmente importante, con i suoi 57 delegati in palio. In Indiana, proprio in funzione anti-Trump, Cruz e Kasich hanno raggiunto un accordo di desistenza. La loro speranza è che proprio in Indiana Trump compia quel passo falso che gli impedisca di raggiungere la soglia fatidica dei 1237 delegati e apra la possibilità di una “contested convention” a luglio, a Cleveland, con il passaggio dei delegati di Trump su un altro candidato.

 

Trump ha liquidato le manovre come “patetiche”. “Il miglior modo per rispondere sono serate come queste – ha detto dopo il voto – in cui ottieni un record di voti e un record di delegati”. Parlando dalla “sua” Trump Tower, a New York, il magnate repubblicano ha sottolineato di “avere milioni di voti più di Cruz, milioni di voti più di Kasich”. La conclusione, dunque, non può che essere una: “Per quanto mi riguarda, la gara è chiusa. Credetemi, è chiusa”, ha detto, circondato da fan e membri della sua campagna. Una conclusione che, in effetti, i numeri confermano. Trump si è aggiudicato 105 dei 118 delegati in lizza. In tutti e cinque Stati al voto, i suoi margini di vittoria sono enormi, anche oltre i 40 punti. A questo punto, Trump ha circa il 75 per cento dei 1237 delegati necessari alla vittoria.

 

Proprio per dare il senso dell’inevitabilità della sua candidatura, Trump non ha quasi toccato il tema delle primarie repubblicane, della Convention di Cleveland e dei suoi avversari Cruz e Kasich. Parlando da candidato ormai certo, si è rivolto contro la sua probabile avversaria, Hillary Clinton, sferrando l’attacco sinora più violento. “La chiamo Hillary truffaldina, perché Hillary è disonesta – ha detto Trump, aggiungendo che il marito Bill ha firmato il North America Free Trade Agreement, che è stato “un disastro per questo Paese”. Trump ha proseguito dicendo che “Hillary non sarebbe un buon presidente. Non ha la forza per negoziare con la Cina, e sarebbe tremenda in tema di sviluppo economico”. Dopo aver citato i “fallimenti” delle politiche della Clinton a Benghasi, in Siria e in Iraq, “dove ha alzato le mani”, Trump ha spiegato che la candidata democratica “ha avuto le sue possibilità, ha fallito, e ora non dovrebbe essere votata”.

 

Ma l’attacco più deciso alla candidatura dell’ex-segretario di stato, Trump l’ha sferrata sul tema di genere. “La sola carta che la Clinton può giocare è quella dell’essere donna – ha detto Trump -. Francamente, se Hillary fosse un uomo, non prenderebbe nemmeno il 5 per cento dei voti… E non è fantastico che lei non piaccia nemmeno alle donne?” si è chiesto retoricamente. Mentre il candidato parlava, dietro di lui alzava visibilmente gli occhi al cielo, in segno di insofferenza, Mary Pat Christie, la moglie del governatore Chris Christie, che ha fatto dichiarazione di voto a favore di Trump. Oltre a diventare immediatamente “virale”, l’alzata degli occhi della Christie testimonia delle difficoltà che Trump avrà a conquistare il voto femminile a novembre.

 

In campo democratico, il voto non mette definitivamente fuori gioco Bernie Sanders – che anzi, parlando in West Virginia, è apparso particolarmente aggressivo: ha detto che alcuni sondaggi nazionali lo danno “avanti alla Clinton” e ha attaccato il sistema di voto democratico, “che mette fuori gioco gli indipendenti”. Ma il voto nei cinque Stati del nord-est dà alla Clinton un vantaggio consistente, in termini di delegati, e l’aura della candidata ormai certa. Proprio per distinguersi dal messaggio di netto scontro che il rivale repubblicano porta avanti, la Clinton ha parlato di “un’America in cui ci aiutiamo e non costruiamo muri”. La Clinton è sembrata riferirsi proprio di Trump, quando ha spiegato: “A dispetto di quello che altri dicono, noi crediamo nella bontà della nostra gente e nella grandezza della nostra nazione”.

 

Il problema principale, per lei, è a questo punto quello di unificare il partito sotto la sua candidatura; quello di raccogliere quella parte di mondo democratico che sinora le ha preferito Sanders. E proprio a questi elettori progressisti ha parlato, spiegando: “Io applaudo il senatore Sanders e i suoi milioni di supporters per averci sfidato”. Ha continuato, la Clinton: “Che voi sosteniate il senatore Sanders o sosteniate me, sono più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono. Siamo tutti d’accordo che i salari siano troppo bassi e l’ineguaglianza troppo alta”. Poi, per definire il quadro politico entro cui la sua candidatura si colloca, ha concluso: “Insieme, costruiremo una tradizione progressista forte, che è poi quella che da Franklin Roosevelt arriva a Barack Obama”.

Edited by Rotwang
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Se la clinton e trump saranno candidati la trump prendera' i voti anti-trump.

 

Se ci sara' un altro candidato repubblicano, questo prendera' i voti anti-clinton.

 

L'america sembra alla canna del gas. Altro che superdemocrazia. Supergabinetto vorrei dire.

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ANSA

 

Donald Trump in vantaggio su Hillary Clinton a livello nazionale. Secondo un sondaggio di Rasmussen, il tycoon per la prima volta da ottobre è in testa in una ipotetica sfida finale con Hillary. Trump ha il 41% delle preferenze contro il 39% di Clinton.

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