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Apologia di un momento


Silverselfer

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Nell'intento di una ricostruzione logica e capace di esprimersi in una buona forma letteraria, mi ritrovo ad aver trascurato i dettagli del moto intorno a cui si coagula il piacere fisico, la sensualità dell'anima e il desiderio sessuale nella mente. Elementi necessari a tracciare il carattere delle nostre decisioni che ci fanno somigliare a ciò di cui abbiamo bisogno, allo stesso modo di come il cacciatore finisce per essere catturato dalla preda.

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Riflessione sul Tempo della Memoria

[s = K log W]

 

Il moto in avanti percepito attraverso il tempo è determinato da una spinta che si muove da uno stadio di ordine a una progressione nel disordine (Ludwig Boltzmann - Entropia S = K log W)  . Se penso al Big Bang che segna uno stato di ordine primigenio e identifico la progressione del tempo negli attimi che tendono al caos che genera stelle e galassie, vedo un feto che si evolve da uno stadio elementare di ordine mentale isolato a un sempre più complesso caos emotivo, determinato dalla capacità sensoriale di percepire gli altri. 

 

E' la fisica della nostra mente che si regola sull'esperienza a darci l'illusione del movimento attraverso il tempo con un prima e un dopo, dove il prima esiste perché catturato dalla memoria, mentre il dopo "caotico" s'individua con l'esperienza.

L'ordine appare quindi come una serie di pagine nella nostra memoria, se le mischiassimo, esse andrebbero a formare archi mnemonici diversi. La rilettura del passato si concreta in parole soggette allo stimolo emozionale che tende al disordine. Sollecitando dunque i nostri ricordi attraverso il pensiero analitico, l'effetto che si ottiene è nuova entropia.

 

Fin qui ho riletto il passato cercando di riavvolgere la pellicola di un film, però ogni volta che riaccendo la luce del proiettore su una determinata emozione, mi ritrovo con un'immagine sempre diversa dal ricordo. Ricostruire i fatti oggettivi è, invece, come scavare in un campo archeologico alla ricerca di reperti che combacino. Gli eventi traumatici lasciano tracce emozionali solide e diventa più facile rimettere insieme i cocci di un vaso rotto, tuttavia questo non mi racconterà nulla sul come e perché quel vaso aveva acquisito quella forma prima di andare in pezzi, l'ordine di tali percezioni è assai più difficile da indagare.

 

Ora voglio provare a disossare la memoria che tende a comporsi sugli eventi traumatici, concentrandomi sull'analisi di quel pulviscolo emozionale formato dalla galassia dei rapporti umani troppo piccoli perché influenzino la percezione del presente ma che, insieme, esercitano una gravità capace di plasmare l'immagine mentale del mondo che attraversiamo. In tal senso vorrei capire come sono diventato un buco nero intergalattico capace di risucchiare ogni corpo celeste cui mi avvicinavo …

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  • 6 months later...
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  • Silverselfer

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  • danielle

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Silverselfer

 

No, non ho abbandonato questo progetto … come ho scritto nel post precedente, mi sono accorto che ci mancava qualcosa … o, meglio … ci andava aggiunta una nuova consapevolezza. Ho deciso di portare dentro la storia degli altri personaggi che avevo deciso di elidere per mantenere un intreccio snello … ora ne approfondirò anche alcuni secondari e quindi si paleseranno degli artifici, ma senza sconvolgere l'impianto perché se m'implode tutto, stavolta credo che butterò la spugna … e si vede che non sono all'altezza di scrivere un romanzo … però mi dispiacerebbe troppo e quindi riuscirò a portare a casa questo difficile "capitolone".

Sono mesi che ci sto sopra (lavoro permettendo) e siccome si tratta di una riflessione, ogni volta che c'è un'intuizione nuova, patatrac, mi si crea l'effetto domino e devo rivedere tutto dall'inizio …
In ogni modo, approfittando di un attimo di quiete, ho rivisto il primo paragrafo di questo capitolo molto articolato. Getta le basi della riflessione che mi accingo a intraprendere e questo credo che ormai si possa postare (almeno non lo cambio più).

Ultima cosa, ma non meno importante per continuare a scrivere … non credevo che le mie elucubrazioni mentali potessero suscitare dell'interesse e mi sento veramente lusingato e spero di meritare il tempo che dedicate a leggermi …
Prima di entrare ho letto lo score dei contatti e anche dividendoli per dieci, non ho mai avuto tanti lettori … a conti fatti, neanche in tutta la vita ho conosciuto così tanta gente (!) bah, meglio non pensarci … comunque, credo che in queste circostanze un grazie di esistere ci stia tutto.

 


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A volte, come in questo momento, mi ritrovo a guardare fisso le dita mentre carezzano le lettere sulla tastiera … pestare i tasti che suonano come un lento tip tap … le lettere coincidono con la caduta di un pensiero granulare … le parole sarò in grado di ascoltarle solo dopo … quando le potrò leggere, mi parleranno di una nuova consapevolezza.

Interrogo la tastiera come fosse una tavola weegee … ma non c'è divinazione che mi aiuti a intuire da quale punto dello spazio siderale si origini l'oracolo.

 

 

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Non sto cercando la verità … non voglio più squadrare una serie di eventi per farne architetture letterarie … ora tento di fissare dei presupposti d'analisi per individuare nuova esperienza.  

 

Ho congelato il racconto perché fin ora ho identificato il protagonista con la sua forma fossile lasciata impressa negli eventi. Questo genere d'indagine parte dall'assunto euclideo che nella traiettoria fra due punti (causa ed effetto) intercorre una sola retta (lo scopo). Per quanto non sia propriamente sbagliato, così facendo l'individualità si schematizza su degli stereotipi concettuali di massima. Escludendo l'evento interiore privo di effetti oggettivi, s'ignora il Sé come coagulo di bisogni che generano la risacca della quotidianità, dal cui modus vivendi si frastagliano i confini dell'individuo.

 

L'osservazione di causa ed effetto sceglie un bisogno prevedibile da usare come punto cardine, poi traccia una lunghezza sull'effetto che lo soddisfa, quindi circoscrive un'area dentro la quale s'individua la logica comportamentale. La nostra cultura prende il gender come punto cardine e sul raggio della soddisfazione dei suoi bisogni sessuali, circoscrive un'identità di riferimento, dentro la cui area sarà dedotta la traiettoria del divenire (Entropia). La misura è reale nella sua costante di prevedibilità (L'eccezione non fa la regola).

 

Sul nocciolo concettuale del gender si coagula l'unità (Ena greco) con cui si misurano le geometrie sociali, perché solo ciò che è misurabile ha un significato Fisico, cioè tenuto insieme da equazioni logiche. Abbandonando la necessità di concretare un corpuscolo materico con la sua traiettoria misurabile sullo scopo (Soddisfazione del bisogno cardine), si entra in un altro ordine di ragionamento, paragonabile a quello dei quanti di Heisenberg e Schroedinger.

 

Il Sé percepito attraverso la soddisfazione dei propri bisogni (Eros) non è un prototipo uguale per tutti (Teoria della personalità di Carl Rogers), mentre la sessualità misurabile nei suoi orientamenti di genere (Bio-logici) esclude le dinamiche degli eros privi di traiettorie predefinite (Caotici), risalendo al bisogno dall'effetto fenomenico etico della sua soddisfazione (Talamo nuziale).  

 

L'ermafroditismo, perseguendo questa logica, ha sfrondato il proprio eros caotico per riconoscersi nella costante dei denominatori comuni circoscritti da un unico scopo (Regolari), materializzando così il suo orientamento sessuale. Questa è l'omosessualità moderna che non è più ermafrodita da quando individua il proprio eros etico risalendovi attraverso uno scopo vincolante nel tempo (Prevedibile). Parimenti a un orientamento sessuale di ordine bio-logico, circoscrive l'eros etico nel talamo nuziale (Amore Trascendentale), concretando così delle traiettorie prevedibili in sintonia con le tradizioni sociali costruite sul gender.

 

L'ermafroditismo psichico rimane invece la sessualità di un leviatano, alla cui energia atavica manca l'imprinting chimico che ne fissi qualsivoglia intento. Il movimento che compie non rientra nelle dinamiche di una logica misurata su traiettorie deducibili dallo scopo. La stessa definizione: bisessuale, è solo il tentativo di darvi una proporzione nella conta statistica delle sue interazioni con delle sessualità circoscritte. Dal punto di vista sociale il suo orientamento è qualcosa di epifenomenico ricavato da uno scopo improprio.

 

L'ermafrodito psichico non sarebbe più tale se fosse capace di distinguere un ordine di bisogni primari, secondari e così via. Il suo orizzonte degli eventi non si focalizza su uno scopo, percependolo così in una baluginante prospettiva poliedrica, nei cui mille punti di fuga sono rintracciabili tutti gli orientamenti possibili. L'ermafroditismo in termini algebrici non concreta un'unità ed è quindi misurabile come uno zero, nel senso che s'individua nel calcolo solo in relazione ad un'unità.

 

L'eros privo dei discriminati di scopo perde la sua stessa connotazione sessuale ed è attratto in egual misura da ogni tipo di sensualità. Avendo potenzialmente un numero infinito di bisogni e altrettanti modi di porvi soddisfazione, si può immaginare un erotismo spongiforme che assorbe ogni tipologia di traiettoria, senza necessità di produrne di proprie.  L'ermafrodito si muove come un'onda empatica che si propaga in ogni direzione.

 

Descrivere le traiettorie intersecanti causa ed effetto in una personalità sviluppatasi su questi presupposti, prevede variabili crescenti assecondo le capacità individuali d'interpolare nuove traiettorie. Su cui si possono individuare i tentativi spesso contraddittori animati dal falso scopo di stabilizzare costanti comportamentali. Perciò, d'ora innanzi, il nuovo soggetto della mia indagine vuole solo raccontare l'analisi di un punto di vista soggettivo sul modo di percepire la sfera sensoriale umana e l'intuizione della realtà che ne scaturisce. 

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  • 2 weeks later...
Silverselfer

 

Ho deciso di espellere dal narrato un'altra riflessione .. spero l'ultima prima di cominciare a planare di nuovo nel racconto ... queste considerazioni non sono comunque aliene e mi risparmieranno dopo di spiegare il come e perché di certe situazioni

 

 

 

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La consapevolezza che maturo oggi è il risultato di un percorso e allora mi viene da chiedere come ho potuto essere sempre coerente finanche negli errori con quanto ancora non sapevo? Forse la coscienza di Sé risiede in quella ragione che generalmente si definisce "scelta di cuore", la quale trascende ogni volontà cognitiva?

 

 

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Sulla Ragione del Cuore

 

 

Chi siamo è per gran parte espresso dal modo come amiamo, ma l'amore è uguale per tutti e quindi non dipende dall'eros individuale? Oppure potrebbe essere inteso come il pensiero "razionale" con cui sillabiamo un bisogno trascendente per elaborare la risposta che lo appaghi? C'è da capire la relazione che intercorre tra l'eros individuale e la supposta origine della trascendenza superiore (unica), da cui dovrebbe derivare il sentimento e se questo ha l'intento d'imbrigliare un appetito inalienabile in una metafisica che lo assopisca.

 

Beh, si può iniziare questa indagine dal suo effetto più noto: il batticuore, da cui nasce la prima intuizione dell'amore. In che misura la mente è responsabile di questo fenomeno fisiologico? Secondo la teoria del cervello trino (Paul D. McLean) possiamo ripartirlo in tre zone: rettiliano, limbico e neocorticale. La porzione d'encefalo rettile sta nel cuore del cervello: "L'Ipotalamo". Qui si consuma la digestione chimica dei sensi attraverso due ghiandoline dette pineale e pituitaria, responsabili dell'epifisi e ipofisi. Tralasciando le funzioni della prima, la seconda sopraintende i meccanismi della sessualità attraverso la secrezione di una serie di ormoni. Potremmo dunque sostenere che nel cuore del nostro cervello risiede la ragione viscerale del corpo, che si esprime attraverso una volontà chimica priva di sinapsi, quindi trascendente ogni volontà razionale.

 

Le sostanze secrete dall'ipotalamo sono però attivabili anche da dei neurotrasmettitori provenienti dalla sinapsi limbica del cervello. Questa porzione del nostro encefalo avvolge l'ipotalamo e vi risiede l'amigdala, in cui si elaborano gli stimoli monosinaptici del dolore (bisogno e soddisfazione). Dall'elaborazione di questa meccanicità si ricavano le emozioni e la loro archiviazione in una memoria precognitiva, la quale influirà sui processi neurologici superiori della ragione cosciente (neocorticale). 

Se è nel limbo "emozionale" che risiede la sinapsi che sopraintende "l'appetito" della chimica viscerale, quale volontà superiore attiverebbe il batticuore?

 

La memoria emotiva elaborata dall'amigdala non si può sillabare in un pensiero perché è scritta con un unico carattere: la percezione d'intensità del dolore. Questo determina l'istinto di conservazione che regola la propria volontà con la "Paura", interpretabile come una bilancia sui cui piatti l'amigdala soppesa continuamente gli stimoli del sistema nervoso viscerale (dolore), confrontandoli con la memoria emotiva di esperienze passate e reagendo con un ulteriore scarica di neurotrasmettitori per correggere un'eventuale reazione dannosa della chimica meccanica dell'ipotalamo. In particolare, la noradrenalina altera la funzione cardiovascolare per supportare una situazione eccezionale che sia di pericolo (attacco o fuga) o anche per prepararlo a un'incontro sessuale … ecco dunque trovata la volontà e il mezzo con cui l'emozione precognitiva attiva il batticuore.

 

Se l'innamoramento è uno stato di sofferenza del nostro corpo che ci fa percepire la necessità di appagamento, allora perché i patimenti d'amore sono dolci, anche se provengono dagli stessi neurotrasmettitori del dolore? La dopamina è in grado di trasformare gli stimoli del dolore in piacere dei sensi. Essa è secreta esclusivamente nell'ipotalamo privo di sinapsi, che però può essere corretto dalla sfera psichica della memoria emotiva. Il piacere è un'interpretazione del dolore da parte della volontà precognitiva che reagisce a particolari stimoli come quello dell'odore del cibo, all'ascolto della musica, agli stimoli sessuali o al ricordo emozionale degli stessi con il rilascio di dopamina.

 

Secondo quest'analisi, l'attrazione sessuale è la prima tesserina del domino che cade alterando lo stadio d'inerzia del dolore, attivando così la sinapsi dell'amigdala. Sul bilancino della paura avviene l'interpretazione del dolore (dopamina). La gioia o la sofferenza che in passato quel piacere ci ha provocato determinerà l'attrazione o la repulsa. Scaturisce da questo l'emozione del primo appuntamento o la volontà di una relazione di coppia? A me pare piuttosto che coinvolga l'inesplicabile o quanto si vuole attribuire al trascendente perché i suoi meccanismi anticipano la percezione neocorticale (razionale).

 

Sono propenso a credere che a questa sfera appartenga la passione, l'impeto e quanto sta nell'energia espressa dall'eros individuale, ma non l'amore "sentimentale" che potrebbe costituire il terzo stadio di un'elaborazione razionale del dolore/piacere (eudemonismo).

Secondo la mia analisi il sentimento amoroso risiede nella corteccia neocorticale del cervello, distante dal cuore (l'ipotalamo) da cui riceve dei messaggi mediati dall'amigdala (emozioni). Esso sarà dunque un'elaborazione razionale del piacere, ricavata dell'emozione riflessa dal mondo delle relazioni sociali (utilitarismo).

 

Da questo si evincono tre tipi di eros, il primo è identificabile nel piacere della chimica viscerale, in cui si può riconoscere l'istinto sessuale. Il secondo è psichico e appartiene al sistema limbico inconscio. Il terzo è l'eros razionale (amore) dell'intelligenza cosciente neocorticale, indotto da modelli antropologici culturali come tradizioni o precetti religiosi.

L'amore è in armonia con l'ordine sociale e non direttamente connesso al bisogno individuale del corpo e della psiche. Il quale distingue una trascendenza "buona" dell'istinto sessuale nella sua bio-logica prevedibile, su cui si è costruita la tradizione dei popoli, mentre rigetta l'appetito sessuale (sessuofobia), nella cui trascendenza si riconosce l'azione di un demone caotico eversivo.

 

Il sentimento razionale esprime la sua volontà attraverso l'educazione dell'eros psichico, disincentivando l'appetito sessuale con il terrore coercitivo di un giudizio morale. Nei secoli si è riuscito a scolpire un eros etico che altera la percezione del piacere viscerale attraverso la sinapsi emotiva dell'amigdala, la quale lo traduce in un pericolo "schifoso" precognitivo.

Nell'amore assume un valore integrante il progetto di vita che si persegue, sia esso crescere dei figli o altre ragioni fino a coinvolgere quelle di Stato di Re e Regine. Maggiore è l'interesse coinvolto e più diventa esecrabile incedere nella debolezza della carne. Un tradimento della morale che si consumerà nei postriboli, il cui solo nominarli porta al disprezzo sociale e alla condanna di Dio.  

 

L'amore moderno deve integrarsi con le esigenze della società post industriale, che usa la sessualità come carburante per la sua macchina consumistica. Il sentimento rappresenta il successo individuale solo quando incontra il consenso condiviso di un numero sempre maggiore di persone. Questo rende l'emozione riflessa dal mondo esterno condizionata dai nuovi media di massa, nei quali subisce una manipolazione estetizzante. Il canone unico della bellezza si sovrappone a quello del sentimento, diventando un tutt'uno nella percezione dell'eros razionale. L'amore è tale quando incontra il consenso pubblico che lo riconosce attraverso l'uniformità della bellezza, questa si compra attraverso la tecnologia o la scienza medica (transumanismo). La sessuofobia sopravvive nell'estetica commerciale del piacere, la quale colma i suoi vuoti di contenuto con gli stereotipi degli antichi valori.

 

Oggi si rafforza l'idea di un sentimento che trascende la volontà umana, però esso non ha più in sé l'infallibilità divina di riunire due entità complementari nel talamo nuziale. Il diritto all'appagamento sessuale ha istituzionalizzato le dinamiche dell'Amor Cortese, in cui Dio diventa la teosofia romantica che ci fa rincorrere il paradiso in terra. Perfettamente in armonia con un'economia che lo vuole vendere attraverso la sterilizzazione dei patimenti del cuore (desiderio), utilizzando l'immediatezza dell'emozione di una voglia soddisfatta.

 

Il panteon dei sentimenti, con cui la ragione interpreta le emozioni provenienti dall'eros psichico, è un coacervo allegorico che descrive la volta celeste delle pulsioni sensuali con la stessa scienza di un astrologo, che guarda il cielo solo per divinare un futuro imprevedibile. Tant'è che le pulsioni sensuali rimangono fisse come delle stelle a dispetto dei sentimenti, che mutano assecondo la sensibilità culturale dell'ambiente esterno da cui dipendono. Sarei dunque portato a credere che la ragione del cuore esista nella funzione che si trova ad assolvere, mentre l'amore è una discriminante razionale che agisce contro l'instabilità emotiva (caos entropico), diventando un vincolo relazionale assimilabile all'atarassia epicurea (serenità), teso a un piacere catastematico (ripetibile nel tempo).

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  • 2 weeks later...
Silverselfer

ancora una piccola discettazione ma funzionale per abbassare i flap e preparare l'atterraggio ... si spera morbido

 

 

 

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Da bambino mi sono sempre chiesto perché i grandi mi ritenessero così scemo da credere a Babbo Natale. Eppure lo sanno che i fanciulli sondano la realtà unicamente a livello materico: toccando, mordendo, assaporando e in ultima analisi distruggendo. Babbo Natale è un sogno che serve agli adulti per inscenare un'illusione collettiva, dove il magico serve a educare la presunta idiozia fanciullesca al mondo allegorico dei sentimenti. Più è grande il dubbio che l'ipocrisia si palesi, maggiore sarà lo sforzo di una baluginante rappresentazione di luminarie stradali a indicare la via delle rassicuranti voglie impacchettate in scatole domestiche, da salvare dall'oblio distruttivo del nuovo anno che sopraggiunge.

 

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I Cinghialopodi

Die welt als wille und vorstellung

 

A nessuno piace interrogarsi sull'inesplicabile per non contaminare d'infimi desideri una genuinità che ci piace credere trascendente (verginale).  Si tratta dell'eterna lotta tra le ragioni del cuore precognitive e la razionalità dei sentimenti coscienti, che lascia sul campo di battaglia quelle emozioni che andranno a popolare di fantasmi l'inconscio psicologico.  Il sentimento sessuofobico agisce con la trascendenza di un eros etico (luminoso) che genera la libido della trasgressione (oscurità).

 

Allungo l'ermafroditismo è stato collocato nella lascivia della trasgressione e quindi indegno di generare alcun tipo di legame affettivo. Oggi si concede il diritto all'amore tradizionale solo all'omosessualità che si riconosce in un nuovo gender minoritario non in competizione con quelli bio-logici. Attraverso una sorta di segregazionismo di nature sessuali differenti, si vogliono mantenere dei costumi culturali che rifiutano l'equiparazione del desiderio erotico all'istinto sessuale come afflato naturale trascendente.

 

L'educazione dei bambini rimane rigorosamente ispirata all'assunto teoretico che prima della pubertà essi non sviluppano pulsioni erotiche e quindi andrebbero preservati da tentazioni forvianti dal proprio ruolo bio-logico. La distinzione avviene quando l'omosessuale s'innamorerà rigorosamente di un altro omosessuale, generando un eros compensativo difforme. Il nuovo vincolo sentimentale sposa i precetti dell'eros etico, circoscrivendo un'esecrabile trasgressione all'interno di una genesi culturale sterile.

 

Si tratta di un concetto olistico della sessualità, i cui singoli ingranaggi della macchina non possono lavorare con una funzione diversa dall'assemblato. Sarebbe come asserire che il cervello e il cuore possano relazionarsi al di fuori della funzione che li lega nel corpo umano.

Questo insieme è confutato dall'esistenza della sinapsi senziente dell'eros psichico, che esprime desideri e libido dissociati dal coito procreativo.  Accettarlo significa passare da un sistema determinato, cioè con una sola forza calcolata sull'effetto bio-logico, a uno indeterminato perché si misura su due traiettorie non commutabili.

 

Entra così nel calcolo delle relazioni sentimentali il principio d'indeterminazione (fisica dei quanti), in cui una nuova semantica binaria dell'amore deve accordarsi su una frequenza di risonanza tra la traiettoria prevedibile del corpuscolo materico bio-logico e l'onda emozionale del desiderio psichico. Siccome questo nuovo sistema rifiuta ogni discriminante etica, scatena il monito dei religiosi che fanno discendere l'ordine sociale dal sacrificio dovuto alla conservazione del bene (coito procreativo) contro il male distruttivo (eros caotico).   

 

Far discendere sulle relazioni sessuali dinamiche ultramondane importa nel reale le leggi di una metafisica capace di manifestarsi soltanto attraverso la volontà di rappresentazione di chi la professa. Uno status quo che definisce fantascienza la concretezza dei moti fisici della vita e difende delle tradizioni ataviche attraverso modelli educativi basati sul terrore coercitivo.  La paura è come il tasso di umidità che ci fa percepire una temperatura più alta di quella reale e fin quando si continuerà a evocarla per conservare rassicuranti certezze, si percepirà il desiderio sessuale come una pericolosa trasgressione (disgusto).

 

Tutto ciò parrebbe assai complicato da insegnare a dei bambini, ma in realtà dovremmo noi impararlo da loro. L'olismo statico è un concetto avulso al mondo dell'infanzia che lo recepisce attraverso l'imposizione educativa. Basta osservare un bambino che gioca con un balocco, appena ne avrà avuto a noia, lo smonterà per capirne il meccanismo e ricavarne un nuovo divertimento. Il suo olismo è dinamico e per questo si beccherà un rimprovero perché deve apprendere il valore dell'organicità conservativa e tenersi il giocattolo integro, anche se ha perso la sua funzione e assumerà l'aspetto di un ricordo da riporre nello scaffale.

 

L'eros viscerale è un'energia debole paragonabile alla gravità che ci trattiene in un'orbita fisiologica. Secondo l'intuizione freudiana, l'eros psichico esula dal coito in sé e la sua libido inizia dalla poppata al seno materno: l'infante non è solamente spinto dal bisogno della fame, bensì succhia il capezzolo nell'intento di una soddisfazione sessuale, desiderio che permane anche dopo l'appagamento fisiologico. La prima azione sessuofoba avviene con la privazione del ciuccio, cioè quando perde la sua funzione logica e diventa un esecrabile piacere voluttuoso. Succhiare, assaporare, ingoiare ha un'indiscutibile valenza erotica e questo cozza con la discriminante di una sessualità mossa esclusivamente dal coito procreativo.  

 

L'educazione all'eros etico inizia con la castrazione della sessualità infantile che non ha ragione di esistere prima che i genitali siano pronti al coito fecondante. I bambini sorpresi a esplorare il segreto dentro le loro mutandine, imparano subito il pericolo che vi si cela guardando il volto severo dei genitori. Il sesso a questa età ha solo una funzione correttiva verso comportamenti non conformi al gender di appartenenza. È così che s'istruisce la memoria emotiva, che governa l'esperienza volta alla scoperta dell'appagamento dei propri bisogni, sul modello del principe azzurro che salva sul fil di spada la principessa (eros attivo), quest'ultima lo accoglierà nel suo regno (eros passivo) procreando stirpi felici e contente.

 

Personalmente, l'educazione sentimentale mi arrivò attraverso la drammaturgia dei telefilm e le bellissime immagini guardate sui libri delle fiabe di mia sorella. L'esperienza mi dice che non era un caso se tra il ruolo del Principe e la Principessa, io m'identificassi nei personaggi in cui pareva fluire un'energia rinnegata. Del resto la metafora delle favole proponeva meccanicamente la solita solfa dell'amore come regno di felicità tra passerotti vegani a svolazzar felici tra appetitose farfalle variopinte, mentre il malevolo desiderio di maliardi e streghe era rigettato nell'oblio come uno spregevole appetito. L'inevitabile bacio del lieto fine mi feriva il cuore insieme a quello del malvagio di turno, lasciandomi di nuovo smarrire nella solitudine domestica.

 

Tuttavia, anch'io compresi che il mio ruolo era quello del Principe e come tale dovevo trovarmi una ragazzina che somigliasse a una Principessa … solo che l'eros psichico inizia a scavare presto i suoi solchi clandestini anche tra le pieghe di quegli abiti rosa e la bacchetta da fatina. La cosa più singolare mi capitò al mare, con una vicina di casa che voleva sempre giocare alla cassiera del supermercato, mi costringeva a rubare le cose mettendomele in tasca e poi lei ci frugava con le mani per ravanare … e come m'insultava! Le dinamiche dell'eros delle bambine prevedevano delle situazioni troppo complicate per il gusto dei maschietti, che trovavano poco onorevole immischiarsene, anche perché s'intuiva il sesso nella misura in cui si capiva che del fango cucinato in finte pentoline era immangiabile.

 

Io, però, amici maschi non ne avevo e forse era proprio per questo se con le ragazzine non andava meglio. I cavalieri giostrano tra loro e le pulzelle curano il proprio eros attrattivo per distrarne lo sguardo da quel virgulto diletto. Sì, ma poi, lontano dagli occhi indiscreti, tra loro si abbandonavano alla natura diversa della loro libido, giungendo a contatti sessuali per mimare una realtà avulsa al mondo maschile. Per esempio, Lidia mi raccontò di quando le sorelle si premevano tra le labbra della piccola vagina un "fiammiferotto" (un minuscolo bambolotto venduto in edicola in una finta scatola di fiammiferi) che poi lei estraeva mediante sapienti manipolazioni inscenando travagli da puerpera.

 

Nell'erotismo tra maschietti il ruolo riproduttivo non era percepito e diveniva il carburante della competizione che selezionava una gerarchia all'interno del gruppo. La lotta, anche solo in una disputa sportiva, innescava le scariche adrenaliniche necessarie a stimolare dei virgulti istinti di prevaricazione. Tutto questo mi spaventava perché si trattava di un linguaggio estremamente fisico e quindi istintivo. Era come un eros di default di cui ero sprovvisto e cercavo d'imitarne i codici primeggiando, però mancavo lo scopo finale che era la comunicazione virile tra maschi.

 

Al contrario delle femminucce, che erano redarguite se sorprese a trovar diletto nella manipolazione dei propri genitali, lo stesso gesto nei maschietti suscitava il sorriso per quella che prometteva diventare una prolifica eiaculazione. Il tacito consenso al "pisellamento" conduceva a una masturbazione meno gravata dal senso di colpa indotto dall'eros etico. Questa libertà lasciava spazio a pratiche omo-erotiche in quelle che definivo le confraternite della pippa. Un aspetto della sessualità maschile in cui trovai modo di tessere le mie prime relazioni sociali.

 

Il solo erotismo concesso alle ragazzine era invece quello del talamo nuziale, che le faceva diventare delle fanatiche della trascendenza amorosa direttamente connessa alla propria sessualità. Gli adolescenti che vi si conformavano rimediavano più facilmente una fidanzatina con cui continuare l'apprendimento della cultura dei gender.  Tuttavia, maschi e femmine covavano già desideri erotici eversivi che tentavano d'imbrigliare negli equilibri di coppia, finendo per considerare la trasgressione complementare alla monogamia, canonizzando sull'altare i ruoli di "Madame Bovary" e "Casanova".

 

La prima mestruazione di una ragazzina era sempre stata celebrata come un evento sociale e in tempi non troppo remoti le rendeva pronte per maritarsi. Di tutto ciò permaneva l'investitura a "signorina" che mascherava il monito di una maternità indesiderata. Al contrario, dai maschietti ci si aspettava che la puzza di figa bastasse da sola a spiegarci il nostro ruolo d'impollinatori. Quelli "un po' meno virili" che trovavano il coraggio di chiedere lumi sulla curiosa polluzione, ricevevano per lo più risposte confuse e spesso forvianti … mia madre risolse la faccenda consigliandomi dei bidè alla camomilla.

 

Una volta che il Principe e la Principessa iniziavano a baciarsi, la masturbazione perdeva la sua funzione pratica, diventando un pericoloso generatore di fantasie erotiche.  La sessuofobia etero formante la denigrava associandola a un rapporto sessuale fallito e per secoli si considerò quella femminile fonte di disturbi comportamentali.  Per i maschi doveva rimanere un ricordo d'infanzia quando, assimilabile alla pratica del pisellamento, era una piacevolezza da regalarsi per conciliare il sonno la sera o per liberarsi dell'erezione mattutina.

 

L'autostima di un maschio era misurabile sulla potenza espressa dal proprio pene. Avercelo piccolo e storto era causa di potenti afflizioni di spirito, al contrario, un bel pene donava sicurezza e soprattutto il bisogno di gridarlo al mondo: "Io ho un pene fighissiiiimo!". Essere dotati di begli attributi sessuali e non esibirli era come per una donna avere dei seni avvenenti senza poter indossare un decolté. Non essendoci ancora Wonderbra per gonadi, il gergo del maschio diventava cazzo centrico e ogni riferimento al sesso si esprimeva per la gloria del proprio ego genitale.

 

Un maschio per ricevere la patente di virilità dalla società etero formante doveva procreare e assumersi il carico della prole. L'autoerotismo in tutto questo non era contemplato, tuttavia era assai raro che un maschio smettesse di masturbarsi, anche se sbrigava l'incombenza nella frugalità di una pisciatina più lunga del solito.  Per allontanare da sé ogni tentazione omo-erotica che ricordasse esperienze adolescenziali poco onorevoli, i veri maschi trovavano sgradevole anche prenderselo in mano, tant'è che li vedevi sbragarsi fino a metà coscia e protendersi in avanti lasciano cadere l'urina un po' dove capitava.

 

Allungo fraintesi queste dinamiche perché mi mancava l'identità di genere che permette la tacita ipocrisia del si fa ma non si dice. Io dovevo combaciare con qualcosa di puramente ortodosso che inevitabilmente entrava in crisi, ma i miei gesti non erano contemplabili come semplici trasgressioni. Imparavo le regole del mondo come uno sgraziato pulcino di struzzo che deve dimenticarsi di avere delle inutili ali e si aggira in una savana piena d'insidie. Col tempo le cose non migliorarono e iniziai a definire gli etero formati dei "cinghialopodi". Me ne tenevo alla larga perché aberravano ogni originalità del pensiero che potesse mettere in crisi il loro mondo fatto di volontà e rappresentazione.

 

Avevo osservato che il cinghialopode maschio s'innamorava presto ed era ben felice di credere che capitasse una sola volta in tutta la vita per sposarsi e rientrare così in un rassicurante schema ciclico. Quello scapestrato faceva lo scapolone più allungo, ma capitava che un fausto giorno una scarica di ossitocina gli facesse guardare un cane con affetto smodato e quindi si sentisse pronto a dare continuità alla propria stirpe. I padri cinghialopodi parlavano di sesso con la stessa foga di quando discutevano di calcio, ma appagavano le pretese sessuali delle mogli con meno entusiasmo di quando gli chiedevano di montare nuove mensole nella stanza del bambino.

 

Affrancarsi dal libero arbitrio era il loro passatempo preferito e proprio non capivo come potessero divertirsi a costruire sistemi di regole in cui baloccarsi per ore e ore e ore … Questo si può fare! No, quello non è lecito! Tutti i cinghialopodi erano adoratori di numeri e ne celebravano i miracoli in cattedrali del divertimento, sfidando il caso lanciando i dadi, combinando regole sui numeri disegnati delle carte da poker o facendo calcoli statistici per prevedere l'uscita casuale di palline numerate. La loro era una continua scommessa contro l'imprevedibilità del caos entropico.

 

I cinghialopodi erano il prototipo del cittadino da allevamento intensivo con tutti i suoi buchi al posto giusto che desiderano essere riempiti e svuotati: una bocca da sfamare, un intestino da evacuare, una vagina da riempire, un pene da svuotare e il tutto per il salubre fine di produrre altre serie infinite di buchi da partorire. Per il cinghialopode medio l'eros era qualcosa di troppo complesso da indagare e lo fraintendevano per una delle tante voglie da infilare in un buco.

 

Questo è il motivo per cui preferivano il sesso mercenario. Sceglierle solleticava il loro erotismo da shopping all'ingrosso Hobby & Work: potevano domandare prima dell'acquisto quali erano le prestazioni, commentare il design della carrozzeria e, non ultimo, potevano controllare il rapporto qualità prezzo. Quest'ultimo in particolare risultava sempre più conveniente di regalie varie, cene e paturnie da sciropparsi con "stronzette" che se la tiravano manco ce l'avessero solo loro. Nel caso del cinghialopode omosessuale cambiavano i presupposti del desiderio, ma la parte del sesso mercenario era identica.

 

Riguardo alla cinghialopode femmina, osservai che il suo ruolo era condizionato da un romanticismo masochista che esigeva il sacrificio dei propri pertugi sull'altare dell'amore, per cui temeva di avere un orgasmo anche solo scoreggiando e dopo aver partorito, faceva sesso espressamente sotto prescrizione medica. Era una strenua paladina della gioia che darebbe l'amore famigliare, anche perché altrimenti non avrebbe potuto spiegarsi tanto autolesionismo. La sua lingua tagliente non risparmiava nessuno, soprattutto la propria intelligenza."Puttana" era il peggior epiteto che si potesse rivolgerle perché odiava quel mal sopito desiderio di essere sbattuta e stuprata da un branco di maschioni sconosciuti.

 

Ovviamente le individualità esistevano anche tra i cinghialopodi, solo che trovavo complicate le loro dinamiche geometriche, esattamente come lo era ruotare le facce di un cubo di Rubik che fin dal primo giorno che me lo regalarono, trovai noioso e senza senso giocarci. Un cinghialopode trascorreva serenamente la sua esistenza ispirata a dei sentimenti che lo trascendevano, languendo versi d'amore e commettendo efferati delitti in ragione di stadi alterati della percezione dei propri bisogni.

 

La traiettoria tracciata sul gender aveva circoscritto un eros etico che non poteva appartenermi. Durante l'adolescenza, io mi masturbavo sulle fantasie di un super eros simile al super potere di Rogue degli X Men, la quale assorbiva le capacità degli altri fin tanto che li poteva toccare. Allo stesso modo avevo bisogno di toccare l'eros di qualcuno per assorbirne il desiderio, che smetteva il suo flusso nel momento dell'allontanamento.

 

Il primo effetto di questa incapacità di produrre un desiderio univoco e prevedibile, fu una bassissima autostima. Fin da bambino mi sentii intuitivamente escluso da quel gigantesco Tetris sociale che non prevedeva forme geometriche variabili. La ricchezza di una mancanza di cui parla Socrate per definire l'amore, per me era un'incognita da ricavare ogni volta sull'equazione propostami da chi mi stava davanti.            

 

I miei eros di default apparivano tutti incasinati … la mia ghiandola pituitaria reagiva in maniera anomala, rendendo la tensione erotica così sensibile, da percepire empaticamente l'intero genere umano … a volte era così forte da farmi credere di essere innamorato di Dio, ma poi mi ricordavo come anche quello sia solo un pusher che dispensa illusioni e me ne tornavo a succhiare sangue come l'inquietante vampiro di qualche fiaba gotica. 

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  • 3 weeks later...
Silverselfer

 

Ok, con questa terza o quarta discettazione chiudo la sezione ---> nuova consapevolezza .

Sono un po' deluso perché ho fatto leggere questi ultimi scritti a tre persone che stimo e sono intellettualmente molto valide ... mi aspettavo che capissero e invece hanno avuto una reazione quasi infastidita.

Premetto che sono etero e per quanto mi conoscano, considerano la mia sessualità come un'eccentricità. Le due donne mi hanno liquidato con sufficienza. La prima, dotata di due lauree e una delle quali in filosofia, mi ha detto che le prime due discettazioni sono incomprensibili per un normodotato, mentre le altre sono un residuato di positivismo anacronistico ... giudizio discutibile perché mi rifaccio spesso alla psicoanalisi e alla fisica quantistica che hanno poco a che vedere con il positivismo storico..

L'altra donna, che è molto più grande, sbadigliava quando a pranzo insieme cercavo di spiegarle i punti che trovava ostici .... sostanzialmente, mi criticava perché per comprendere ogni frase, doveva rileggerla almeno tre volte ---> Ma come si fa ad essere coincisi, senza caricare di significato ogni singola parola? Ovvio che poi i concetti evocati debbano essere rielaborati dal lettore ... un po' come succede per il detersivo concentrato che si diluisce in acqua tornando del volume originario, no?

L'uomo, invece, era il più infastidito e a un certo punto della discussione, mi ha sorpreso propinandomi dei diversi "vale anche per te" come se lo stessi giudicando ...

In finale, credo che alla base ci sia un rifiuto al dibattito ... specie in questi giorni in cui si è molto discusso di unioni civili .... avverto un arroccamento su delle posizioni tradizionali ... della serie ---> non rompete i coglioni, a noi sta bene così ...

Io però non volevo criticare nessuno! La mia analisi era scevra da ogni intenzione rivoluzionaria. Del resto non mi pare di caldeggiare per nessuna parte in campo, quanto piuttosto cercare solo di analizzare il contesto per trovarvi una mia personale collocazione e per quanti sono nella mia stessa condizione ... mannaggia ...

Insomma, nell'economia del romanzo questa esperienza si chiude qui .... da adesso in poi parte il nuovo floppy con il terzo capitolo di Coriandoli, ...

 

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Il pensiero di un piccolo ermafrodito freaky si conforma all'ambiente in cui cresce sviluppando una personalità clandestina. Incapace di riconoscersi in dei bisogni specifici per circoscrivere un Ena, può rimanere senza volto per tutta la vita. La sua energia vitale s'ispira al Sunya (lo zero sanscrito) come inesistente sostanzialità del punto di vista soggettivo. La sensibilità del pensiero costruita sulla traiettoria di un effetto positivo non gli appartiene. Male o bene, brutto o bello, giusto o sbagliato e lo stesso piacere o il dolore della sinapsi limbica sfuggono al suo sguardo. In una prospettiva poliedrica, ogni effetto arricchisce i fuochi pirotecnici della transitorietà caotica. Da qui emerge la sua personalità eversiva, un istinto da falene in cui c'è l'attraente intuizione della fine generatrice: Sunya, inafferrabile vissuto di dolorosa empatia, matrice di ogni scintillio del piacere polimorfo.

 

 

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L'amore di Coppia

Si fallor sum

 

 

 

Ricavo la meccanica del pensiero amoroso dal pragmatismo romano della parola "pensum", cioè il quanto di una porzione di lana grezza spettante a ogni filatrice per essere lavorato; in questo paradigma: lana (amore), filatrice (coppia), lavorato (famiglia) individuo la teoria del matrimonio.

La ragione condiziona la percezione dei desideri senzienti, tessendo un'idea allegorica simile alla rete di un pescatore, tra le cui maglie di logicità si catturano solo le emozioni edificanti capaci di stabilizzare i bisogni relazionali. In questo modo si trascorre la vita in un'illusione posta in continuo assedio dalla minaccia peccaminosa della libido caotica.

 

Il pensiero congenito nell'amore tradizionale si richiama al vello d'oro di essenza divina, i cui filamenti s'intrecciano nella sacralità del coito riproduttivo. L'amore di coppia si regge sull'indissolubilità di due anime gemelle ricongiunte nel talamo nuziale, ma nel reale sostituisce l'onda emozionale del desiderio senziente con l'energia propria alla ragione che è la "volontà", da cui derivano le promesse contenute nella formula matrimoniale. Si sceglie di amare una persona per tutta la vita, giurando di soddisfare quei bisogni ispirati dal trasporto emozionale anche quando questo si consumerà. Da qui giunge il fondamentale punto della fedeltà coniugale, poiché direttamente connesso al desiderio senziente caotico rinnegato col giuramento. I figli coronano lo scopo dell'amore di coppia, perché declassano ulteriormente il piacere dei sensi.  L'amore tradizionale è un sentimento ispirato al sacrificio, in cui la libido va alla deriva fuori dal talamo nuziale.

 

Oggi il vincolo di coppia si basa sulla dialettica del desiderio senziente, che smonta e ricostruisce in un olismo dinamico il rapporto sentimentale, fino a decretarne la fine quando non soddisfa più. Il desiderio sessuale diventa il quanto di lana con cui si elabora un ideale romantico che serve a catturare delle emozioni diverse da quelle edificanti ispirate al sacrificio, ma tessute sullo stesso telaio del matrimonio tradizionale. Si tratta di un puro esercizio d'estetica formale per ricreare l'illusione di una rassicurante ciclicità. L'amore di coppia è un "dress code" di bellezza simmetrica collettivizzante, di cui i figli costituiscono un accessorio disconnesso dal rapporto di coppia. I genitori tessono un vincolo individuale con i figli che sopravvivrà alla consunzione del loro amore. 

 

Un tempo si usava definire queer (ridicolo), tutto ciò che non era coerente con una sessualità procreativa. Ci finiva dentro l'intero scibile della libido sessuale, ritenuta indegna di creare vincoli affettivi. Il fenomeno era relegato nell'ombra del postribolo, su cui si reggeva la sacralità del talamo nuziale. Luogo che frequentavano tutti, ma inghiottiva solo chi non poteva esibire un eros conforme al proprio gender. L'ipocrisia iniziò a vacillare con la legalizzazione dell'eros passivo delle donne. Fin allora l'idea ontologica della sessualità riconosceva unicamente il desiderio dell'eros attivo perché necessario al compimento dell'atto fecondante (erezione ed eiaculazione); al contrario, non aveva logica di esistere in una vagina biologicamente funzionale anche senza. L'eros passivo delle donne, confinato anch'esso nei postriboli, rivendicò così il suo legittimo posto nel talamo nuziale, facendo lentamente emergere dall'ombra anche tutte quelle altre identità erotiche che l'ideale edificante dell'amore emarginava. Col tempo la galassia degli eros queer si è ricomposta in concetti basati sul dress code romantico della coppia monogama. Questa dà la cifra con cui si misura la legittimità affettiva dei nuovi gender, senza il bollo di genuinità si rimane nei postriboli.

 

Il postribolo oggi è usato solo da quelli che per esibire un'integrità sessuale di coppia, devono tenere nell'ombra una libido contraddittoria. Capita all'argonauta dionisiaco che salpa dal porto di un gender definito con il vento in poppa del proprio desiderio senziente. Ci si trova il puttaniere o la scambista ma anche tutte quelle sfumature queer che usano la notte per esibire identità alternative.  

Seppure con dei confini assai rarefatti, la bisessualità riesce a emanciparsi dal vizio postribolare.  Tuttavia, sono portato a credere che per alcuni significhi solo soggiacere ai propri desideri con compiaciuto edonismo menefreghista. Esistono poi pressoché infinite variabili per la bisessualità che gode del fascino del proibito e ci si può individuare l'etero curioso del proprio eros passivo, ma anche forme di omosessualità in eterna transizione.

 

L'ermafroditismo psichico come il mio ha in sé tutte le sfumature bisex, ma non è un'attitudine reversibile perché non possiede un orientamento sessuale specifico. Essendo cosciente di non poter appartenere a un solo gender, ho acquisito delle discriminanti che oggi mi permettono d'isolare delle originalità comportamentali da usare come denominatori comuni per riconoscerci. Così facendo ho identificato il freaky, un ermafrodito psichico strano e difforme persino dai suoi simili perché non ha una chiara coscienza di sé e replica istintivamente i precetti culturali in cui è cresciuto. Siamo un po' come delle mosche accecate da una vista poliedrica che urtano contro le pareti invisibili dei desideri altrui. Ci rimangono negli occhi le cicatrici delle emozioni che ci fanno guardare i sentimenti con cinico disincanto. Abbiamo in noi tutte le irregolarità della bruttezza e come dei mostri delle favole, alla fine ci diverte esibirla impudicamente per affascinare chi la cerca con spavento. 

 

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Silverselfer

 

Innanzi tutto --> ringrazio danielle per la fiducia accordatami e spero di meritarmi il prezioso tempo che mi dedicherai.

Nella nota a margine precedente avevo scritto che quella sarebbe stata l'ultima discettazione di questa piccola parte che ho chiamato "nuova consapevolezza"; invece mi sono accorto che avevo bisogno di scriverne un'altra prima di ripartire con il racconto.

 

Tra l'altro mi sono accorto che è trascorso un intero anno da quando ho iniziato a riflettere su tutto questo, cioè quando stavo per concludere il primo libro del romanzo fanatsy e... solo ora mi accorgo quanto quel modo di ragionare tornando all'origine delle questioni, abbia innescato una nuova auto coscienza .. e se considero che ho ricominciato a scrivere questo romanzo nel 2012, dopo aver messo piede in questa sezione con un laboratorio di scrittura iniziato da Frattaglia e Bea ... mi rendo conto che il percorso di questa nuova consapevolezza è iniziato proprio allora ... con la partecipazione all'Europride nel 2011, dove incontrai la prima volta tanti forumini e soprattutto Bea che riuscì a tirarmi dentro al Mieli ... poi venne la decisione di abiurare la bisessualità e sposare un'omosessualità piena, da cui venne la fantasmagorica e glitteratissima lovestory con Puro ... il raduno fiorentino con il tour toscano che toccò il massimo e quindi contemporaneamente diede inizio alla decadenza del nostro rapporto.

Poi cominciò la fase di rientro nella bisessualità ... com'è sempre accaduto anche con i tentativi di eterosessualità piena ---> Mi domando cosa mi porterà questa nova consapevolezza ... per ora mi ha fatto perdere quella credibilità intellettuale che mi ero guadagnato con delle persone che stimavo ... mi fa male sta cosa che parlando apertamente di omosessualità, si venga in un certo senso declassati a ... non so ...come se le questioni che sollevo riguardino gli alieni provenienti da Vega ... mi rendo conto che decidendo di riscrivere alla luce di questa nuova consapevolezza, dirò definitivamente addio a velleità di ... non dico fama e successo, ma almeno umana comprensione intellettuale ...

Bah, tanto da una cosa storta non ne verrà mai fuori una dritta ... questo l'ho sempre saputo ...

 

 

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I moti della vita iniziano col desiderio che rompe l'equilibrio inerziale tra forze. L'energia fornita dal desiderio è generata dalla voluttà dei sensi e dalla volontà degli scopi razionali. La voluttà di Eros innesca l'azione detonante di Thanatos, la cui spinta entropica genera gli eventi che inumano il presente in un pantheon della memoria sofferto come una perdita. La volontà razionale spinge dunque verso l'ordine di un moto replicabile nell'illusione di vivere in un presente imperituro.

Il desiderio della volontà si genera col pensiero che elabora arbitrariamente i punti fissi da cui si percepisce il movimento e ne condiziona così la traiettoria. Il moto generale del presente nasce da una volontà collettivista che si oppone ai moti propulsivi disordinati. Il desiderio razionale è uno psicopompo che soppesa l'eros affinché non inneschi più alcuna scintilla propulsiva caotica.

Nel moto del sentimento di coppia, Afrodite è l'eros attrattivo che mette in crisi l'equilibrio dell'eros attivo di Ermes, nella cui voluttà s'innesca la scintilla propulsiva, mentre l'amore fornisce la volontà razionale che sconfigge il tempo attraverso l'annullamento di nuovi eventi detonanti.

 

 

 

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I Moti del Desiderio

Libido Gubernandi e Adsectandi

 

 

Una tassonomia dioica della sessualità separa nettamente i due gender procreativi come accade in alcune piante, rigettando la biologia dei sistemi organici simbiotici o del monoicismo che permette la bivalenza sessuale in uno stesso invertebrato e la proteroginia e la più diffusa proterandria delle transizioni da una sessualità all'altra. Tutte situazioni che mutuerebbero la possibilità di una forma di ermafroditismo nella specie umana, la cui avversione legittima ricondurre a una forma separata ogni tipologia d'intersessualità fisica o psichica. L'integralismo dei gender attribuisce l'eros attivo all'amplesso compiuto dal fallo e l'eros passivo al conno che lo accoglie in sé, considerando "contro natura" la libido del desiderio senziente che ibrida le attitudini di dominio e di sottomissione, perché l'ermafroditismo sensuale farebbe dialogare tra loro degli appartenenti allo stesso sesso.

 

La biologia c'insegna che la sessualità del feto maschile è determinata dai cromosomi sessuali XY, trascurando la matrice organica femminile in cui avviene la mutazione quindi, anche se in uno stadio embrionale, si tratta di proteroginia. Questo smentisce che la donna origini da una matrice maschile e che l'uomo derivi da una fisiologia separata. E' facile trovare il remoto femminile in un corpo maschile: i capezzoli sono delle ghiandole mammarie non sviluppate e i testicoli originariamente sono delle ovaie che si raccolgono in uno scroto formato dalle grandi labbra della vagina, la cui sutura rimane visibile. In particolare, questa genesi dei testicoli è all'origine di parecchie intersessualità, cioè di gonadi che conservano in parte tessuti ovarici.

 

Tuttavia, anche nel corpo femminile è contenuto un maschio, anche se solo in forma potenziale. L'esempio tanto discusso è il punto G, riconducibile alla clitoride che è il glande di un piccolo pene. Nel complesso simboleggia il mistero di una sessualità non rintracciabile biologicamente. Infatti, prove inconfutabili sull'esistenza di questa zona non sono state mai prodotte, però esiste l'evidenza dei fatti come l'eiaculazione che scatena in alcune donne. L'esame di questo liquido ha evidenziato una composizione simile a quello prodotto da una prostata maschile. Seppure non vi siano prove, la teoria è che la clitoride conservi una radice innervata di capillari predisposta all'erezione di un pene, alla cui base ci sia il tessuto di una ghiandola prostatica simile a dei capezzoli maschili, che pur non avendo acquisito la propria funzione biologica, sono per taluni dei potentissimi ricettori erogeni.

 

L'educazione etero formante divide nettamente i due gender, riscrivendo la loro genesi su una presunta origine divina (creazionismo). L'evoluzione della specie o l'empirismo positivista non sono compatibili con questa concezione poiché si richiamano a una natura caotica priva di volontà razionale (scopo). Tralasciando l'esegesi mistica del creazionismo biblico, la visione trasmessa è quella di un eros passivo (Eva) sedotto dal male (desiderio senziente), che diventa la polpa del peccato (attrazione dei sensi) corruttore del seme prolifico di Adamo. Il gesto morale che ne consegue è la schermatura dei genitali (sessuofobia). La regola ripartisce la colpa indicando una gerarchia sociale: l'eros passivo è oscurato dal suo ruolo dimesso di fattrice, mentre l'erezione dell'eros attivo sconterà la sua colpa sfamandone la prole. Millenni di sessuofobia hanno prodotto il biasimo del ruolo sessualmente attrattivo (passivo), ritenuto corruttore delle virtù forti.

 

E' impossibile rintracciare nella figura di Dio l'amore sensuale poiché il femminile è stato sostituito da una "volontà generatrice" (spirito santo) congrua in qualche oscuro modo alla consustanzialità di padre e figlio. In tutto ciò non si contempla l'amore riconducibile a una relazione sentimentale, dove l'eterogenesi del concepimento è mondata dalla volontà generatrice di Dio.  Il culto dell'Immacolata Concezione castra definitivamente l'eros passivo. Ideando una maternità che lascia intonso l'imene verginale, si esclude un coito senza peccato anche se compiuto a scopo procreativo. La famiglia che si rifà a questi precetti si salda nello scopo di ricevere il dono di Dio (il figlio), nel quale si concreta il sacrificio dei piaceri della carne. In tutto questo non ci sono attrazione o orientamento sessuale, baci romantici o qualsiasi altra cosa che unisca l'etero-genesi con l'eterosessualità, ma c'è solamente la virtù sessuofobica della castità ripagata nel sacrificio dell'amore genitoriale.

 

Essendo tutto ciò puramente teorico, fece sì che nel tempo s'indulgesse in una sessualità etica ristretta nel talamo nuziale con lo scopo d'imbrigliarci quell'eros attivo necessario alla procreazione, il quale non doveva mai essere succubo della femmina. Questo precetto è chiaro quando Lilith, la prima moglie di Adamo, sarà ripudiata da Dio perché soggiaceva sessualmente in posizione dominante. Gli eros passivi e attivi devono rimanere circoscritti nei gender procreativi perché è contro natura l'ermafroditismo dei sensi. Da qui arriva tutta la cultura omofobica, intenta a cancellare tradizioni millenarie in cui tra donne si celebravano i baccanali dionisiaci e i matrimoni di sorellanza, mentre tra uomini s'incedeva nella lussuria durante i simposi o nelle palestre. Se alle femmine fu sottratta l'intera sfera sessuale, i maschi furono sterilizzati dal proprio eros passivo demonizzando il pertugio da cui s'insinuava la tentazione.

 

L'ermafroditismo connotabile in un nuovo gender è tollerabile fin quando non pretende d'indicare un percorso omoaffettivo. La cultura omosex non può testimoniare la gioia dell'intersessualità, senza che questo riabiliti degli eros funzionali anche se non ripartiti in due gender procreativi. La natura distingue maschile e femminile ma vi ripone in proporzioni del tutto caotiche entrambi gli eros passivi e attivi, nelle forme che il desiderio senziente unitamente all'attrazione sessuale decideranno di far copulare allo scopo di trarvi soddisfazione dei sensi. L'ermafroditismo della libido eterosessuale costituisce quell'attentato alla famiglia tradizionale che si regge sul precetto di un unico eros puramente attivo e dominante. La mitezza di spirito dell'eros passivo si compara all'infamia della debolezza e l'ammonimento omofobico preserva i maschi dall'avventurarsi per certi pericolosi anfratti del proprio desiderio senziente. Rimosse le cataratte di una società omofobica, cioè priva della gogna pubblica per sodomiti e donnacce, cosa impedirà al ritorno di una società libera di amare senza alcun rigore etico?

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Silverselfer

 

Ok, mi sembra di aver espulso tutte le parti che incasinavano questo nuovo capitolo ... sarà il terzo capitolo di "coriandoli" .. terzo ed ultimo ... avevo introdotto questi capitoli proprio per compensare un intreccio narrativo che si stava focalizzando su degli eventi generali ... trascurando gli aspetti peculiari dell'eros del protagonista ... finendo per ritrovarmi con una parte mancante ... appunto quella sfera erotica molto complessa che per ragioni pratiche avevo finito per descrivere senza raccontarne la genesi ... del resto si tratta proprio di una consapevolezza acquisita scrivendo .... insomma, ora inizio questo lungo capitolo in cui rileggo tutto ... sarà un racconto in cui mi lascio guidare dal ragionamento e quindi vado avanti secondo una logica introspettiva ... darò per scontato quanto già scritto e quindi sorvolerò totalmente gli aspetti già trattati .... alcuni personaggi si scompongono perché li avevo riassunti con dei nomi di comodo .... a spiegarsi diventa complicato, ma alla fine si legge come una nuova storia che s'interseca nell'altra e forse la spiega anche meglio ... ok, la pianto ... la pianto anche con queste note a margine e se tutto fila liscio, alla fine questo capitolo confluirà come un emissario nel corso generale della storia ... speriamo bene.

 

 

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Riflettendo sul Nietzsche delle metamorfosi … non sono mai stato capace di sobbarcarmi le gobbe di un cammello e quindi non ho mai incontrato il drago "Tu Devi" e per questo non ho mai avuto necessità di ruggire "Io Voglio" … per una strana natura che mi ha reso idiota, sono rimasto il fanciullo che continua a costruire lo stesso castello di sabbia sulla battigia della vita, nell'inconsapevolezza  della risacca emozionale che lo distruggerà. 

 

 

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Floppy 05/53

 

Capitolo Terzo di «Coriandoli»

 

Galassie di Coriandoli

 

 

L'Inconsapevolezza

Prima Parte

 

Da bambino il mio ermafroditismo psichico cercava di circoscriversi in un'identità di genere, ma non avevo modelli da imitare e l'educazione etero formante tra ragazzini caricava di brutalità il gergo erotico per apostrofare i comportamenti anomali.  Avevo il terrore di sbagliare e allora ammutolii precauzionalmente ogni bisogno relazionale.

L'afasia sentimentale domestica rendeva sgrammaticato il mio linguaggio emotivo. Tuttavia non credo che le disavventure famigliari abbiano avuto un ruolo nel determinare ciò che sono. Ero io che non funzionavo bene e forse li spaventavo anche un po' con i miei comportamenti anticonvenzionali.

 

Isolato dal mondo esterno, mi creai il bozzolo introspettivo tipico dell'ermafrodita, in cui disperdevo i miei confusi bisogni. Il primo corpo con cui ebbi un contatto fisico fu quello di Nando. All'epoca ero sempre tenuto sottochiave in casa e quando mi stancavo di fantasticare di essere il nono figlio della famiglia Bradford, andavo sul balcone a catturare qualche gatto da martirizzare per il resto del pomeriggio e da lì potevo guardare giù nel vicolo.

Nando trascorreva molto tempo davanti al laboratorio di restauro del padre e si divertiva a palleggiare, esultando ogni volta che gli riusciva qualche prodezza. Mi piaceva osservarlo e immaginavo di essere come lui. Il suo corpo era esattamente come volevo diventasse il mio. Era snello, agile e anche se non era alto, a me pareva esserlo. Portava i capelli lunghi quasi fin sulle spalle, dritti come spaghetti al nero di seppia mentre i miei sbiadivano arricciolandosi tipo quelli di Shirley Temple.

 

Ci rimasi di stucco quando lo vidi arrampicarsi sul tetto della falegnameria e poi raggiungere con un salto il balconcino della cucina. "Posso anda' al bagno?" Conoscevo questa sua impellenza continua di andare in bagno perché lo aveva fatto diventare antipatico a tutte le portinaie del rione. "Faccio subito" Non gli avrei dovuto concedere il permesso perché poteva pure andare a sporcare il bagno di casa sua. "Grazie" Sua madre era una maniaca dell'igiene e pretendeva che usasse il bagno della falegnameria, il quale però era lercio e puzzolente. "Che stai a fa?" Quella era la prima volta che ero solo con un estraneo alla cerchia famigliare. "Niente" Gli risposi, temendo di parlare una lingua diversa dalla sua. "Te piaciono i gatti?" E come potevo negarlo se tenevo sul balcone le case che costruivo per loro con le scatole di cartone? "A me piaciono i cani" In campagna prendevo a bastonate Jack, il cane del nonno, perché spaventava i miei gatti. "Me so divertito", disse alla fine di quel pomeriggio, sottolineando però che mi trovava strano.  

 

" Fiuuu … fiiiiu … fiiii " E niente, Nando tentò inutilmente d'insegnarmi a fischiare, così era lui che mi lanciava il segnale dal vicolo per sapere se poteva salire. "Solo le femmine pisciano sedute" Mia madre non avrebbe permesso che lo frequentassi perché conosceva un sacco di parolacce, ma da lui imparai tante cose oltre a quelle, come a fare la pipì in piedi e poi sapeva leggere e ascoltai finalmente qualcosa di diverso dalle solite fiabe di mia sorella. "Tu fatteli compra' che poi te li leggo io" Conobbi così i fumetti della DC Comics e i mirabolanti super eroi della Marvel, ma soprattutto il piacere di guardare la TV in compagnia. "Me ne vado prima che torna tu madre" Era sicuramente piacevole stare con lui, contemporaneamente però iniziai a sentire il peso della solitudine. "Domani devo anda' a gioca' con l'altri" Nando saliva da me solo se era solo e avrei tanto voluto raggiungerlo quando lo vedevo giocare insieme a tutti gli altri ragazzini del rione.

 

C'era qualcosa però che nel nostro rapporto a due lo attraeva di più delle solite partitelle a pallone. "Quelli so' tutti stronzi" Nella banda del rione ci poteva stare solo rispettando la gerarchia della piccola società di ragazzini, mentre con me non doveva indossare maschere nel timore di essere canzonato. "Non devi di' che te vedi i cartoni animati da femmina" Per esempio, guardava la televisione in un modo assai particolare, si toglieva scarpe e calzini prima di tirare i piedi sul divano e dopo un po' che i cartoni animanti catturavano la sua attenzione, iniziava a ciucciarsi la lingua. "L'uomo ragno è agile cento volte di più" Lui rispondeva sempre volentieri alle mie curiosità, dandosi arie da fratello maggiore, allora gli chiesi perché era solito mungersi il cavallo dei pantaloncini persino in quel momento che discutevamo se Spiderman fosse meglio di DareDevil. "Lo devi prende come faccio io" Fu così che seppi del pisellamento. "Ecco, lo vedi?"All'inizio non ci trovai niente di piacevole, ma sbagliavo tutto e allora mi spiegò come catturare la "pallina" del mio pisello tra l'indice e il medio e poi premerla con il pollice. Caspita se era piacevole!

 

La pratica del pisellamento ci dava una certa carica energetica che alla fine ci faceva esplodere. "Pulcione, il solletico non vale!"Alla fine uno dei due si stancava di rimanere inerte e saltava addosso all'altro per un'azzuffata scavezzacollo. "La vendetta di Superman ti distruggerà" Lui era più grande sia d'età sia di statura e non credo che riuscissi veramente a batterlo. Probabile che si divertisse nel sentirmi ringhiare come un mastino pechinese, fino a quando non mi diceva "Pace!". Era un vero e proprio rapporto fisico che ci consumava fino a lasciarci stremati e in preda a crisi esilaranti. "Tu ce l'hai più bello" Non mi ricordo esattamente quando, però ci calammo anche le mutandine. Mt Wiggly era effettivamente più bello del suo pisello che mi ricordo tutto raggrinzito. "Ce riesci a fallo?" Nando era capace di allargarsi il prepuzio in maniera esagerata e riusciva a mangiarsi la mia nocciolina, nel senso che il mio pisellino ci stava tutto dentro. Non erano gesti sessuali, tuttavia c'era dell'erotismo che creava empatia.

 

L'eros era un'energia sconosciuta che iniziò ad affiorare spontaneamente, come quando dopo cena guardavo la televisione sul divano tra il tepore dei corpi di mia madre e mia sorella. "A Ma', lo vedi che sta a fa?" Senza capire perché, mi veniva da stringere le natiche in un rilassante movimento pelvico. Oppure mi affascinava guardare il dondolio dei seni di Angela quando si lavava i denti. "Smettila, maiale!" Senza che nessuno me lo spiegasse, associali la pratica del pisellamento a quella deliziosa visione mentre mi tenevo in bilico sulla tazza del water per la cacca mattutina. "Aspetta fuori … e non guardare dal buco della serratura!" Quella piccola malizia mi costò l'ostracismo dall'intimità di mia sorella. Non capivo lo stupore che quei gesti scatenavano, perché mi venivano naturali come respirare.

 

Fino a sette anni avevo il permesso di lasciare casa solo per andare a scuola o salire in casa della Zia Pina, per il resto dell'anno non vedevo nessun altro eccetto la famiglia del compare Salvatore. Io non so da dove nascesse l'amicizia che legò Primo al compare Salvatore, però gli aveva fatto da padrino al figlio Dante e per questo ci chiamavamo tutti affettuosamente con il titolo di "compari". La domenica si andava a messa insieme e poi si pranzava alla trattoria. Quando la portineria era chiusa, spesso mamma ci diceva di prepararci per andare a trovare la comare Nella e per me era sempre un'occasione di festa.

 

La storia dei compari Nella e Salvatore era di quelle che si raccontano sotto voce. La comare aveva fatto il guaio in quel di Palermo durante la guerra e i suoi la mandarono a sgravare nella capitale, dove il compare aveva appena perso la moglie per un'epidemia di colera. Lei era poco più di una bambina mentre lui si approssimava già ai cinquanta, ma non era tanto la differenza di età a dividerli, quanto il male oscuro che affliggeva il compare. Soffriva di depressione e se non avesse avuto Nella, che gli portò quel pargolo da accudire, si sarebbe tolto la vita dopo aver perso moglie. Molti anni più tardi avrei scoperto che il primogenito della comare Nella era il padre di Carmelo. Io non lo conoscevo perché andò via di casa non ancora maggiorenne a causa dei continui scorni con il compare, che alzava spesso il gomito e quando succedeva, diventava anche lesto di mani.

 

L'aspetto malinconico del compare si aggravò dopo l'arrivo di Dante. Lui fu quello che si usa definire "il bastone della vecchiaia" cioè il figlio che arriva inaspettatamente avanti con l'età. Il compare all'epoca ne aveva quasi settanta mentre Nella era ancora nel fiore degli anni, così la faccenda parve confermare uno di quei proverbi siculi che la comare usava intonare per attrarre al suo banco la clientela di Campo dei Fiori «A na casa nun c'è paci, quannu a iaddina canta e u iaddu taci». La gallina cantava e il gallo taceva così che si diffuse la diceria che a "mettere la pagnotta in forno" fosse stato un sedicente fotografo della televisione che per un po' aveva gironzolato intorno al suo banco della verdura. Chissà se poi fu veramente per quel vecchio pettegolezzo che un giorno il compare s'impiccò a una trave della rimessa del suo carretto della verdura.

 

Dopo il tragico evento, le nostre famiglie si allontanarono ed io neanche mi domandai che fine avesse fatto il compare Salvatore. Prima di allora però erano state molte le occasioni che trascorrevamo insieme. Siccome Dante era coetaneo di Angela, esercitò su di me le stesse pulsioni erotiche. A differenza di mia sorella che sapeva essere una stronza micidiale, Dante era sempre felice di giocare con me e ogni volta che c'incontravamo stava a spupazzarmi per un quarto d'ora. Mi faceva le pernacchiette sulla pancia facendomi scompisciare dalle risate, ma non immaginava che trovavo un gusto proibito a ripetere lo stesso gesto su di lui. Spiaccicare la faccia sulla sua pancia piatta m'inselvatichiva al punto che un giorno morsi a sangue il suo ombelico pelosetto. Nessuno sospettò mai il reale motivo che mosse quel gesto, attribuendolo al mio solito carattere bisbetico.

 

Quando fui più grandicello, il mio sguardo iniziò a scavare tra i chiari scuri di quel suo sorriso a tratti malinconico, incastonato in un fisico che esercitava uno strano magnetismo. In particolare ricordo chiaramente di una domenica mattina, le nostre famiglie si erano riunite per il rito della scorta invernale di conserva di pomidoro. Ci si alzava all'alba per andare dalla comare Nella, dove la trovavamo già intenta a selezionare i frutti rossi da sbollentare su un bruciatore a gas al centro della corte. Poi il compare Salvatore e Primo iniziavano a passarli per uno spremitore, il cui motore era stato ricavato da una lavatrice.

Eravamo in agosto e la canicola in città iniziava a farsi sentire presto, favorita dai vapori acri dei pomidori sbollentati. Dante si era tolto la magliettina ed era rimasto solo con un paio di calzoncini da podista. Mi sedeva davanti su una cassetta rovesciata mentre con Angela riempiva le bottiglie di conserva rosso sangue. Il mio compito era spingere dentro il collo stretto delle bottiglie una foglia di basilico con uno zippo e poi passargliele. Lui teneva le gambe divaricate e da un angolo dei succinti calzoncini intravedevo il rigonfiamento dei suoi slip bianchi …

 

Seconda parte

 

La mia evoluzione di bambino freaky cambiò radicalmente dopo le febbri altissime che mi devastarono tra i sei e otto anni. La percezione del mondo fisico cambiò e gli stessi sapori e odori che provocavano piacere, per me divennero nauseabondi. E come se non fossero bastate le varie intolleranze alimentari o gli improvvisi sfoghi allergici a complicarmi la vita, ci si misero anche dei tremendi incubi notturni che, quando non mi toglievano il sonno, m'inducevano a un sonnambulismo autolesionista. Da come me li raccontano, doveva essere terrificante vedermi straziare in urla e pianti dirotto come fossi posseduto da qualche diavolo. Non ne ho la certezza, ma forse non è un caso se proprio in quel periodo mia madre divenne estremamente religiosa e iniziò a tenere in casa delle veglie di preghiera.

 

I febbroni da cavallo parevano avermi leso nell'intelletto e una disfasia del linguaggio mi condusse da una logopedista e poi da una psicoterapeuta. I miei pensieri avevano problemi a combinarsi con le parole solo nell'immediatezza del linguaggio parlato, ma fu considerato comunque il sintomo di una sindrome psichiatrica che mi avrebbe condotto all'autismo. Non so quanti potrebbero risultare savi sotto la lente di un giudizio clinico, specie se poi si è dei bambini e quindi considerati creta da plasmare, senza alcun diritto di decidere cosa sia meglio per se stessi. Viene poi da domandarsi se le terapie tengano conto di applicarsi a profili psichici non conformi a dei gender tradizionali. In sostanza fui sradicato dal mio mondo di solitudine domestica e alla logopedista e alla psicoterapeuta si aggiunse uno psicomotricista.

 

Tutto questo coincise con il primo anno alle scuole superiori di Angela, così mamma pensò di far venire dalla campagna Lalla per darle una mano in casa e contemporaneamente aiutarla nella missione di non lasciarmi mai da solo. Lalla non era molto più grande di me e non so se avesse già finito le scuole elementari, ma a casa sua l'istruzione era una perdita di tempo e già da un pezzo lavorava a servizio in casa dai nonni.

Poi mia sorella s'innamorò e s'incontrava clandestinamente con il suo moroso durante la messa cantata della domenica. Neanche io compresi bene come feci la spia ad Angela, comunque successe un macello con tanto di ceffoni e se non mi fossi fatta venire una crisi di nervi, mia sorella ne sarebbe uscita con le ossa rotte.

 

Così Angela fu spedita in campagna al posto di Lalla, che si trasferì a dormire in camera con me. In campagna avevamo già giocato altre volte a fare le sozzerie, ma dormire nella stessa stanza costituì una vera rivoluzione sessuale. Suo padre Peppo usava tenere le riviste porno accanto alla guida TV e dopo qualche birretta le dava lezioni di sesso. Lei non ne parlò mai con nessuno e tantomeno lo fece con me, però mi coinvolgeva in giochi che andavano oltre l'erotismo infantile. Dopo che mamma passava a spegnere la luce, lei s'intrufolava nel mio letto e sussurravamo discorsi proibiti, fino a quando mi prendeva la mano e se la faceva scivolare nelle mutandine. La stringeva a sé accompagnando lo strofinamento con uno strano mugolio, anche se non ne comprendevo il senso, quel suo rantolo che mi bagnava copiosamente la manina era veramente coinvolgente. Queste pratiche non le compiva solo con me … se andavamo a comprare il pane, mi lasciava con la pagnotta in mano per appartarsi con il garzone e succedeva lo stesso per ognuno dei suoi milioni di presunti fidanzati. Sotto questo punto di vista era infaticabile.

 

Quando sopraggiunse l'eiaculazione, fui investito dalla tipica esuberanza erotica del ragazzino freaky, diventando quell'adolescente che sfoga sui ragazzini più piccoli delle pulsioni ancora da decifrare. La prima cavia fu Marinella. Questa era una ragazzina con un piccolo casco di capelli mori tenuti all'indietro con un cerchietto dai colori vivaci; minuta, occhi neri dallo sguardo furbetto … non so se poteva definirsi bella, ma sicuramente era graziosa. Iniziò a frequentare casa quando mia madre si fece coinvolgere nelle "riunioni" che si tenevano per vendere oggettistica casalinga.

All'epoca c'era ancora Lalla che appena vide la collezione di Barbie nella cameretta tutta rosa di Marinella, la elesse sua amica del cuore. Il che costituì per il magico mondo di Barbie una svolta sessuale difficile da sostenere per gli efebi Ken e company, che dovettero cedere il passo al mio Big Jim e a quello di Vanni. Quando la riunione di vendita si teneva a casa mia, apparecchiavamo sul letto della cameretta delle vere e proprie orge. Al solito Lalla saliva in cattedra e ci spiegava come piegare i nostri figuranti nelle posizioni del sesso.

 

Quando accadde quel che accadde … rimasi solo io a giocare con Marinella. Un giorno notai che mentre il mio Big Jim copulava con la sua Barbie, lei si era appoggiata al cuscino e ci si sfregava discretamente. "Non ci credo …" Le confidai che mi erano cresciuti i peli pubici e ora mi diventava anche duro. "Lo vuoi vedere?" lei mi dette del bugiardo e allora gli proposi di darci una sbirciata. La cosa ci eccitava entrambi e Mt Wiggly non mi fece fare brutta figura quando mi calai gli slip. "Schizza anche …" E sì, oramai ero titolare di un vero e proprio cazzo omologato! La manina di Marinella tremava mentre si protendeva verso di me e si spaventò quando istantaneamente le spruzzai due schizzetti.

Da quel giorno abbandonammo Barbie e Big Jim e passammo alle vie di fatto. Ci chiudevamo in camera e appena sentivamo le signore aprire le compravendite di padellame vario, iniziavamo a cimentarci nel kamasutra appreso dal magico mondo di porno Barbie. Io adoravo alzarle la gonna, calarle le calze di lana e sbatterla da dietro, ma a lei non piacevano gli sconquassi dei miei colpi e poi in quella posizione non poteva guardarmi, che per lei costituiva ancora la parte più eccitante.

 

Così sperimentammo la cavalcata all'amazzone.  "Mi scappa la pipì!" Calati i pantaloni, lei si sedette su di me e iniziò a galoppare … "Mi scappa la cacca!" Purtroppo rimase un'esperienza unica. "Non lo faccio più … perdono … perdono!" Il primo rush durò qualche minuto, poi corse in bagno per fare pipì. Tornò con il volto stranamente arrossato e quando si sistemò con cura meticolosa la mia piccola erezione tra le gambe, mi accorsi che non aveva più le mutandine!Invece di galoppare prese a premermi forte, strizzando la faccia come se si sentisse male … ogni tanto si fermava e si teneva la pancia, ma poi ricominciava e stavo per concludere, ma niente! Corse di nuovo in bagno e non so cosa accadde lì dentro, perché urlò atterrita e poi ci fu un gran scorrazzare di passi in corridoio e poi udii Marinella passare davanti alla porta della cameretta implorando perdono.

 

Mi guardai bene da uscire dalla cameretta. Svelto apparecchiai sulla scrivania dei fogli e sparsi dei colori per crearmi un alibi di gioco … la mamma spalancò la porta con una tale severità che già quello mi parve uno schiaffo. "Che c'è?" Fingere di non essermi accorto di nulla fu una mossa falsa e lei mi appuntò il suo sguardo di spillo addosso. "Stavamo solo disegnando!" Anticipare l'alibi per un'accusa ancora da pronunciare mi fu fatale. "Svergognato!" Buscai tanti di quegli scappellotti da rimanere intronato fino a sera. Marinella era diventata "signorina" e nello spavento che si prese, pensò che fosse una conseguenza del nostro gioco proibito.

 

Paradossalmente avere esperienze con un ragazzino era meno pericoloso perché teneva lontano ogni sospetto degli adulti. In quello stesso periodo, Matteo, il figlio della principessa, sublimava ogni sua pulsione omo-erotica in versi per Andrea, suo cugino, che avrà avuto una decina d'anni ed era bello come un angioletto. Cantava nel coro delle voci bianche del teatro dell'Opera di Roma. Aveva un incarnato esile e paglia dorata per capelli. Celava uno sguardo misterioso dietro a delle ciglia lunghe e folte mentre la bocca arricciata su delle labbra rosse come lamponi, spiccava in un visino a punta dalla pelle diafana come quella di sua zia.

 

Conobbi Andrea a palazzo, quando Matteo aveva trovato l'espediente per spogliarlo e metterlo nelle pose che più lo eccitavano, facendogli un ritratto. "Che ci fai qui?" Matteo s'irrigidì appena mi vide entrare nel suo atelier d'artista. Gli avevo portato le riviste che mi aveva commissionato, erano per il vero degli album fotografici di nudi d'arte che costavano un occhio della testa, con cui solo lui poteva masturbarsi. "Ciao!" Dissi ad Andrea, mentre quell'altro era arrossito andando a nascondere in libreria i suoi negroni della Papuasia. "Allora ci vediamo al mare" Primo aveva appena comprato, o vinto al tavolo verde chissà, una casa al mare e, putacaso, in questo modo ero diventato vicino d'ombrellone di Andrea. "Ti odio!" Ringhiò Matteo, quando gli ammiccai che, se voleva, poteva anche lui essere mio ospite quel fine settimana …

 

Nel frattempo avevo sostituito Vanni per gli incontri di catch giapponese con un cuginetto più o meno dell'età di Andrea. Orlando era un piccolo troll grasso con la voce stridula, usavo mettermelo sotto e poi premerlo forte, cercando di schiacciargli la pancia per strofinarmi contro il suo costumino. "Fa caldo" Squittiva tra le risate durante il riposino prima di ridiscendere in spiaggia. "Girati" Allora gli ordinavo di voltarsi a pancia sotto e bloccandogli le braccia lo premevo da dietro fino a eiaculare. "M'arrendo … ora tocca a lui" Il giorno che Andrea fu ospite da me non avrei certo giocato alla "pressa" con Orlando, ma quello stupido mi saltò addosso provocandomi e insolitamente si arrese subito, tirando in ballo Andrea …

 

Non osavo riservargli lo stesso trattamento e ci azzuffammo solamente. Il suo corpo era fresco e leggero, le sue prese tenere nonostante si sforzasse di renderle violente. Quando lo trattenevo, avevo paura di stritolarlo tanto le sue ossa parevano fragili. Mi piaceva la foga che ci metteva e mi feci schienare volentieri. "E uno … due … tre … sotto a chi tocca!" Non avevo considerato che arrendendomi, avrei passato la sfida a Orlando. Quel troll ebbe subito la meglio su di lui e mi stupii il gusto con cui se lo mise sotto e famelico iniziò a premerlo. Senza alcun riguardo, a un certo punto lo voltò, continuando a strusciarsi contro il suo culetto …

 

"Piantala!" Glielo tirai via di dosso. "Vaffanculo" Gli disse Andrea dandogli uno spintone. Povero Orlando, non capiva perché non gli permettevo di fare quello che io gli infliggevo abitualmente e se ne andò piagnucolando. "Quello è tutto scemo" Mi disse Andrea, stringendo il suo sguardo misterioso in una smorfia divertita. Era sudato ma ancora eccitato dalla lotta e mi saltò di nuovo addosso. Presto lo bloccai sopra di me … mi piaceva così. Lui non riusciva a divincolarsi nonostante il volto avvampato dallo sforzo. Mi fissava dietro il buio delle sue ciglia mentre lo sentii premere contro la mia piccola erezione … non c'era più bisogno di trattenerlo, si teneva da solo stretto al mio corpo e quando gli abbracciai le guanciotte dentro il costumino, s'irrigidì tirando un sospiro e poi trattenemmo all'unisono il fiato strofinandoci selvaggiamente.

 

"La posso vedere?" Giunsi presto al mio traguardo e lui se ne accorse dal sussulto che ebbi … allora si sollevò guardandosi al di sotto e mi chiese se poteva vedere la mitica "sborra". "Sembra crema chantilly!" Esclamò divertito. "Quando uscirà anche dal mio?" Domandò mentre mi puliva con dei clinex. Decisi di assaggiarla anch'io sulla punta del suo ditino ma secondo me sapeva di catarro di rospo. Lo rassicurai che tra non molto avrebbe potuto mungersi almeno due volte al giorno e fare meringhe della sua crema chantilly. "Il grassone dice che a lui esce già adesso" Beh, non era da escluderlo, tuttavia lo rassicurai che era solo un gran conta balle.

 

Terza Parte

 

Ora giungiamo al mio psicomotricista di cui per il vero ho già ampiamente scritto indirettamente. Ho sempre cercato di occultare questo personaggio perché non vorrei cadere nello stereotipo del lupo cattivo che insidia l'innocenza di Cappuccetto Rosso. Men che mai vorrei imbeccare la retorica di quanti deducono quelli come me da qualche disfunzione dell'amore universale.  Parti di lui sono finite in molti altri personaggi, forse solo in uno ne ho parlato come persona fisica e quindi userò quel nome per raccontarlo. Zeno all'epoca era fidanzato con una catechista e del resto anche la psicoterapeuta e la logopedista gravitavano intorno al mondo della parrocchia. Lui arrivava dalla Garbatella che non era propriamente il quartiere più chic della capitale. Cresciuto senza padre, si stava conquistando a morsi il proprio futuro.

 

La timidezza nel tempo è diventata un termine con cui s'indica una persona ritrosa per un'eccessiva sensibilità d'animo. Spesso però ciò che intimidisce non è il giudizio degli altri, ma l'alta considerazione di se stessi che rende inaccettabili i propri limiti. La paura di sbagliare può fomentare un'astiosa volontà di potenza o trasformarsi, com'era nel mio caso, in un continuo rimbrotto autolesionista. Fin quando la mia timidezza serviva a ottenere un buon rendimento scolastico, era considerata come un innocuo tratto caratteriale; divenne un problema nel momento che i bei voti vennero a mancare e finii sotto la lente d'ingrandimento della scienza medica. Mi stavano addosso come una canizza, tipo la maestra che si accorse improvvisamente che durante la ricreazione non mi alzavo dal banco e non giocavo con gli altri e non partecipavo ai dibattiti e bla bla … a darsi arie di consumata pedagoga quando la psicoterapeuta le chiese un parere.

 

Avevo dunque bisogno di uno psicomotricista? Sì, dovevo imparare il linguaggio del corpo e interagire attraverso il movimento. Sui risultati ho qualche dubbio perché non riuscii mai a spegnere il cervello come mi dicevano di fare, per lasciar fluire via l'empatia che scaturisce dal corpo. Quando ci dicevano di saltare e urlare liberamente, raggelavo dallo spavento di quella follia collettiva. Le cose andavano meglio quando il gioco prevedeva un traguardo, tipo una gincana … l'impegno che ci mettevo per vincere si mangiava tutto il divertimento. Quando arrivavi primo, tutti ti saltavano addosso per festeggiarti, la prima volta mi venne una crisi nervosa, la seconda volta non mi fermai al traguardo e corsi direttamente a chiudermi dentro lo sgabuzzino.

 

Le due squinzie tutte love and peace che si occupavano di noi ebbero vita dura con me. Anche se mi proibirono di portare libri e quaderni, se dicevo che non avrei giocato, potevano pure strapparsi i capelli in testa perché me ne sarei rimasto immobile. Fu così che mi passarono con i soggetti estremi del gruppo di Zeno. Quelli avevano disturbi comportamentali diametralmente opposti ai miei, cioè erano eccessivamente irrequieti e alcuni erano anche propensi alla violenza. Stranamente mi adattai meglio con loro perché non mi trattarono mai come un alieno. Era come se in qualche modo riuscissi a leggere il linguaggio del loro corpo e loro mi ricambiavano con compassione per quei miei limiti insormontabili.

 

Zeno era grande e anche grosso, una montagna di rassicurante autorità. All'epoca aveva ancora una folta chioma ginger e non portava la barba … non saprei dire quanti anni avesse, ma doveva ancora acquisire l'aspetto di un uomo. Indossava sempre i pantaloni della tuta del centro sportivo dove lavorava … erano celeste acceso, forse turchese, con due strisce bianche sulla gamba e il logo rotondo sull'angolino in alto a destra, appena sotto l'arricciatura dell'elastico. Sopra ci portava sempre una t-shirt bianca con lo stesso logo rotondo piccolino sul petto … aveva due tette da maschio da panico! "Sei così tremendo come mi hanno raccontato?" Disse la prima volta che si presentò, con una voce bassa e così profonda che appena entrata negli orecchi mi cadde direttamente nello stomaco. "Sei un duro" Che palle, non avrei mai preso a calci negli stinchi quelle due stronze se non mi avessero esasperato con le loro paturnie di gruppo. "Iniziamo rilassando questi muscoli contratti" Sembra strano a dirsi ma è proprio così, quando siamo maldisposti, ci contraiamo bloccando la respirazione. "Fai un bel sospiro" Le mani di Zeno mi si stringevano addosso quasi facendomi male, ma erano capaci di sciogliermi e potevo anche essere incazzato, triste o tremendamente angosciato per qualsiasi motivo, i sui gesti sapevano spremermi via le cattive emozioni dal corpo.

 

Un giorno, prima di andar via, raccolse una ghianda verde per terra e me la mise in mano, dicendomi di correre a casa per raccontarlo a mamma e papà. Quella cosa mi cortocircuitò il cervello! Potevo bene disubbidire al suo ordine, eppure non riuscivo a smettere di pensarci. Ne parlai persino a Vanni e lui risolse la faccenda dicendomi che era una cretinata e avrei dovuto semplicemente gettare via la ghianda … non ci riuscivo! La cosa che mi faceva impazzire era che cosa dovevo precisamente raccontare a mamma e papà? L'avessi saputo, mi sarei liberato immediatamente di quel peso, invece me ne rimanevo con la ghianda in mano, bloccato sullo step successivo. Dopo aver trascorso giorni a interrogarmi su quel mistero, prima di tornare da lui, misi quell'accidenti di ghianda in mano a mia madre e se voleva sapere il perché, sarebbe dovuta andarlo a chiedere al mio psicomotricista del cazzo.

 

Mia madre allora mi accompagnò e gli chiese lumi, spiegando che la faccenda mi aveva sconvolto parecchio. Di che genere di esame psicologico si trattasse non l'ho mai capito … ma certo servì a Zeno per scoparsi mia madre. Io non li vidi mai farsi effusioni o roba del genere, ma non era certo normale ritrovarmelo in casa a far colazione di domenica mattina. La mamma disse che era così generoso da farmi delle sedute extra … avrò avuto anche dei problemi psichici, ma non ero certo diventato scemo. Lo chiesi anche a Lalla se lo avesse mai visto in casa prima di allora, ma lei su questo genere di cose sapeva diventare una tomba. In ogni modo a mia madre le sedute con lo psicomotricista fecero indubbiamente bene. Non l'avevo mai vista così di buon umore e anche se la loro liaison durò poco, credo che le fece comprendere quanto fosse stupido continuare a interpretare il ruolo della vedova bianca con Primo.

 

Tra le attività che avevo con Zeno, quella che più detestavo era la piscina. La mia panza mi appariva grossa ed esibirla in pubblico era una vera umiliazione. Mamma pur di convincermi ad andarci iscrisse anche Lalla, però ogni volta era uno psicodramma cavarmi via dallo spogliatoio. Allora Zeno domandava agli altri ragazzini se mi trovassero grasso e quelli in coro rispondevano di no … stronzetti, parlavano bene loro che non dovevano portare a spasso un cocomero.  Alla fine compresi che era meglio tenersi in gozzo il rospo, per poi defilarsi senza che nessuno se ne accorgesse.

 

A Lalla, invece, non parve vero di essere finita in quell'acquario pieno di pesce fresco. Dopo un po' mi toccava staccare i biglietti per tenere in fila tutti i suoi presunti spasimanti. Fino al giorno che scoppiò un parapiglia e tutti iniziarono a scappare dal trampolino più alto, dove Lalla stava tenendo una seduta di sesso di gruppo. Quando mi sporsi per controllare se le acque si erano calmate, scivolai di sotto creando uno scompiglio ancora più grosso. Vallo poi a raccontare a Zeno e alla psicoterapeuta che non lo avevo fatto volontariamente ...

Compresi allora che era una battaglia persa e dovevo iniziare a fingere che le loro intuizioni fossero vere e mi piacesse quello che mi costringevano a fare. Dissi addio al mio mondo introspettivo e mi rassegnai a vivere clandestinamente tra i cinghialopodi. Da lì a breve l'esuberanza sessuale di Lalla la fece rispedire in campagna. Io, invece, quell'estate mi preparavo alle prime vacanze lontano da casa con la colonia marina organizzata dalla parrocchia.

 

Nel campeggio di Sabaudia Zeno si occupava di cinque ragazzini provenienti dal suo gruppo d'ascolto del consultorio comunale, tra i quali c'erano anche Panari Felice Marcello e Bea. Loro erano dei sorvegliati speciali e comunque a noi bambocci ci schifavano. Il primo giorno che arrivai ne combinai una delle mie. La fisima di non condividere il bagno mi costrinse ad alzarmi prima degli altri e sarebbe filato tutto liscio se poi non avessi deciso di andare a vedere il mare, che stava dall'altra parte della strada litoranea, cioè fuori il piccolo campeggio in riva al lago di Paola. Quando tornai, trovai la gente assiepata sulla riva acquitrinosa del lago con Zeno che c'impazziva in mezzo … e quella volta rischiai proprio di buscarle perché non lo avevo mai visto così fuori di senno.

 

Io avevo solo attraversato una strada deserta e aspettato l'aurora guardando l'orizzonte sbagliato, chiaro? Il resto lo avevano dedotto erroneamente loro, chiaro? Ma tanto non c'era niente da fare, il signor saputello, cioè io, andava cercando di ammazzarsi a ogni piè sospinto e finii d'ufficio nel reparto dei sorvegliati speciali. Quelli erano lì per aver manifestato crisi di violenza … per esempio, Bea aveva cercato di ammazzare la madre nel sonno. Non che lo sapessi, ma avevano tutti l'aria incazzata ed erano comunque più grandi di me. Panari Felice iniziò a perseguitarmi con scherzi e canzonature. Mi usava come sacco degli allenamenti e non contento, mi dava dello stupido frocetto e sta cosa mi terrorizzava più di ogni altra. Lui, Bea ed io eravamo i sorvegliati speciali tra i sorvegliati speciali e dormivamo nella stessa tenda con Zeno, che si coricava messo di traverso davanti all'uscita.

 

"Dove vai?" Gran parte dei bambini trascorse le prime notti frignando perché volevano la mamma. "Vado a buttarmi nel lago con il necessaire da viaggio attaccato al collo" A me toccava litigare tutto il tempo con Zeno che non mi lasciava respirare. "Non fai ridere nessuno" Questo lo diceva lui perché al contrario il sarcasmo era la sola arma con cui riuscivo a pungere persino Panari Felice. "Zitto e torna a dormire" Ma che male c'era se mi andavo a lavare venti minuti prima che i bagni diventassero lordi? "Pisci quando andremo a correre" La faceva facile lui che la mattina manco si lavava i denti. Andò avanti così per tutto il tempo anche quando tornammo in città.

 

Zeno si sposò a settembre e c'invitò alle nozze perché nel frattempo era diventato un amico di famiglia. Primo ovviamente promise di esserci, ma alla fine diete buca anche quella volta e così, dopo essersi preparata e speso un capitale in messa in piega, la mamma pianse per tutto il giorno e guai a passarle vicino perché avrebbe sbranato chiunque.

In ogni modo, al ritorno dalla colonia penale, fui preso da un insano interesse per gli slip maschili. Non che quelli femminili mi facessero schifo, ma dal mio punto di vista erano inconsistenti, mentre il pacco di quegli altri era fonte di molte speculazioni. Per esempio, da che parte era sistemato il pisello, la deduzione della consistenza dava poi adito a classifiche stuzzicanti. Dalla spiaggia avevo riportato una piccola collezione di fotografie mentali, ma che andavano rapidamente sbiadendo. Fu allora che scoprii nei cataloghi delle vendite in corrispondenza, una piccola miniera di pacchi nella sezione dell'intimo maschile.

 

La Zia Pina aveva tutti i cataloghi e soprattutto usava conservare anche quelli degli anni passati. Non credo che fosse insospettita dal mio improvviso interesse alle vendite in corrispondenza perché avevo fatto lo stesso con l'intera collezione delle riviste dello Zio Gerardo e per un po' ero entrato in fissa persino per gli schemi quadrettati della sua enciclopedia di ricamo … ma quella volta era diverso. Uno strano desiderio di possesso mi costringeva a strappare le pagine e portarmele a casa … figurarsi se alla Zia poteva sfuggire la misteriosa scomparsa della sezione dell'intimo maschile dai suoi cataloghi. Ebbe comunque la delicatezza di non dirmi nulla, tuttavia fece qualcosa.

 

Deduco che qualcuno ne parlò con Zeno perché un giorno ci chiese se volevamo toglierci i pantaloni. All'inizio risero tutti, ma poi non esitarono a calarsi i pantaloncini rimanendo in mutandine … solo io non compresi cosa intendesse. Ma che era diventato scemo? Togliersi i vestiti era una roba sozza! "Perché?" Mi chiese, quando spiegai imbarazzato il motivo per cui non potevo farlo. "Chi te l'ha detto?" Mamma mi tirava certi schiaffi se mi azzardavo a uscire dal bagno con le brache calate! "Fra maschi si può fare" Disse, tirandosi giù i pantaloni della tuta e rimanendo con gli slip bianchi. "E' come se stessimo in piscina" Aveva ragione perché lo avevo sempre visto in costume eppure, in quella circostanza, il suo pacco mi disorientava.  

 

Giocare nudi esaltò tutti e sarebbe piaciuto anche a me togliermi di dosso pantaloncini e magliettina, ma non ci riuscii e me ne rimasi per tutto il tempo inchiodato alla panca a guardare gli altri saltarsi addosso felici. Erano tutti più amici di prima e mi guardavano come se gli stessi facendo un torto a non volermi svestire. "Vedi qualcuno ridere della pancia di Gianmarco o di Piero che è tutto pelle e ossa?" Loro no … ma io me ne accorgevo eccome, anche se poi non ci trovavo nulla da ridere. "Se ti togliessi i pantaloncini, non ti sentiresti diverso dagli altri" Ma io mi sentivo diverso, anche se fisicamente ero uguale a tutti loro. "A nessuno importa se sei bello o brutto" Parlava bene lui con il suo petto largo che esercitava un'energia magnetica irresistibile.

 

"Vieni qua" Mi disse, sfilandomi la magliettina. "Non ti senti meglio?" No o forse sì, ma comunque lo supplicai di non umiliarmi come faceva quando non volevo uscire dallo spogliatoio della piscina chiedendo a tutti se mi trovavano ciccione. "Va a giocare con gli altri" Zeno sosteneva che nessuno se la sarebbe presa anche se non toglievo i pantaloncini … ci provai a fare qualche passo verso di loro, ma avevano già iniziato a giocare da un pezzo e certo non mi avrebbero voluto tra i piedi e poi avevo quei maledetti pantaloncini della malora … i passi scapparono via da soli e corsi a chiudermi dentro lo sgabuzzino. "E' normale avere paura" La maniglia non aveva più la levetta della serratura dall'ultima volta che avevano dovuto cavarmi via da quel buco. "Sono andati via tutti e ho detto a tua madre che ti riporto io a casa" E dopo? Mamma me le avrebbe suonate di santa ragione dicendo che si vergognava di me e non volevo che succedesse di nuovo … mi detestavo e sarei voluto scomparire per sempre "Io resto qui ad aspettarti" Certo che a Zeno sarebbe bastato poco per costringermi a uscire, invece mi lasciò là dentro ad arrovellarmi l'anima nei sensi di colpa e accettò tutte le mie condizioni affinché aprissi da solo la porta.

 

"Respira come ti ho insegnato" Sì, dovevo respirare o mi sarebbe venuta una delle mie solite crisi di nervi, ma era difficile da fare con il cuore che rimbalzava fuori dal petto e le braccia che non volevano saperne di staccarsi dal suo collo. "Possiamo rimanere così tutto il tempo che vuoi" Era bello poter far scongelare le lacrime che mi occludevano le vie respiratorie. "Va meglio adesso?" Sentivo le sue enormi mani massaggiarmi la schiena facendo distendere la contrazione dei muscoli. "Anch'io te ne voglio" Gli volevo tanto bene e confessarglielo mi riempiva di gioia. "Smettila o cosa penserebbero le femmine di noi?" Era bello, bellissimo e gli presi la faccia tra le mani iniziando a baciarlo ovunque e lui rideva ed era tanto bello il suo sorriso che d'istinto iniziai a baciare anche quello . "O cosa penseranno le femmine di noi?" Si era disteso sul materassino degli esercizi ginnici e non so per quanto tempo ci rimanemmo. A me venne da stringere le natiche come quando stavo al calduccio tra mamma e mia sorella … lui mi teneva la testa premuta sul suo collo stringendomi fortissimamente. Poi diede un sospirone e sciolse l'abbraccio … aveva negli occhi così tanta tristezza che mi fece sentire colpevole.

 

"Questa volta non devi dire a nessuno che te l'ho data" Se ne stette in silenzio per tutto il tempo e quando stavamo per salire in auto, raccolse un'altra ghianda e disse che quella volta sarebbe rimasta un segreto tra noi. "Non sono triste" Mi pareva come se facessi del male alle persone a volergli bene. "Adesso basta, si è fatto tardi e tua madre si preoccupa" Gli chiesi se potevo abbracciarlo prima di scendere dall'auto … avrei voluto stringerlo forte, ma lui non me lo permise.

Gettai via la collezione dei pacchi trafugati dai cataloghi delle vendite per corrispondenza della Zia perché nella mia testa si era impressa la forma fossile dello slip di Zeno. Trascorsi tutto il tempo a pianificare come avrei potuto svelare quel misterioso e attraente segreto. Le strategie si risolsero con sbirciatine in piscina che almeno a me parevano assai audaci, ma soprattutto ci rimasi malissimo quando seppi che non avevo più bisogno dello psicomotricista.

 

In effetti, stavo obiettivamente meglio e credo che questo accadesse anche per l'arrivo della maestra Rosa in quinta elementare. Andare a scuola divenne un piacere e anche la decisione di spiegarci come nascevano i bambini, ripulì dallo "sozzo" quello che portavamo celato nelle mutandine. Le crisi di nervi scomparvero e in quanto a parlare; beh, ero rimasto un ragazzino di poche parole, ma forse aver dovuto imparare a usarle m'insegnò a maneggiarle con cura, tanto che la maestra m'investì del ruolo di "poeta", che al solito presi molto seriamente innamorandomi perdutamente di Leopardi, il cui Zibaldone divenne una miniera inesauribile di discettazioni. Poi c'era il Circolo, dove Primo scalpitava affinché conquistassi una medaglia, che volevo anch'io e fui contento di sapere che ad aiutarmi a ottenerla sarebbe stato proprio Zeno.

 

Ero innanzitutto felice perché mi avrebbe seguito negli allenamenti e quindi l'avrei avuto accanto al Circolo, dove la mia socialità era pari a zero. Lui nel frattempo era cambiato moltissimo, anche fisicamente intendo. Aveva perso l'aspetto di ragazzo e acquisito quello di un uomo fatto. Capelli rasati e barba gli donavano una grande autorevolezza, senza contare della comparsa di un enorme tatuaggio che gli partiva dal polso sinistro e finiva sulla caviglia destra. Era un bellissimo dragone che gli colorava il corpo e sembrava prendere vita su quella sua schiena tornita. Sì, era diventato addirittura più seducente di come me lo ricordavo. Fu come rincontrare un amico cui non dovevo spiegare nulla perché mi conosceva meglio di me stesso.

 

Trascorrevamo molti pomeriggi insieme e la sera mi riaccompagnava sempre lui a casa. Fu così che meditai di riconsegnargli la ghianda che mi aveva dato in custodia l'ultima volta. Lui fece rimbrottare una delle sue risate e mi chiese se avevo tenuto il segreto. Come avrei potuto spifferare qualcosa che si era dimenticato di spiegarmi? "Meglio non sapere quanto non si può ancora comprendere" Cos'era, Laozi o Confucio? "E' solo buonsenso" Dunque il guru della Garbatella ora citava se stesso! "Sei solo un ragazzino" Ah, come detestavo quando mi liquidava con quella stupida considerazione. "Non sempre si è abbastanza furbi da imparare dall'errore altrui" Questo era Confucio … ma certi errori si riconoscono solo dopo aver sbagliato. "Si può sapere che ti sta ronzando in testa?" Volevo abbracciarlo, cos'altro se no?

 

Non mi rispose però a un certo punto uscì dalla circonvallazione Tiburtina e improvvisamente ci ritrovammo in mezzo a degli orti che pareva di stare in aperta campagna. "Avanti, vediamo che vuoi fare" Disse, dopo aver reclinato il suo sedile. Era buio e quel posto faceva anche po' spavento … lui non parlava più e per un attimo pensai che si fosse addormentato. Lo sapeva quanto mi mettesse ansia prendere qualsiasi decisione senza avere delle chiare cognizioni sul da farsi. Mi si affollavano in testa milioni di soluzioni, da cui non ne usciva mai una che fosse inopinabile. "Abbracciami" Non me lo feci ripetere due volte e infilai le braccia sotto il suo giubbotto e nascosi la faccia nella morbidezza della felpa che aveva il suo buon odore. "Vieni qua" Mi tirò sopra di sé e sghignazzò mentre cercavo di sistemarmi in quell'angusto spazio.

 

"Il mantra?" Sentii le sue labbra premersi sulla mia testa … mi aveva appena chiesto il mantra del chakra Sahasrara … allora mi tirai seduto su di lui e modulai il respiro per intonare un lungo OM. Avevo chiuso gli occhi per volgere lo sguardo ad Ajna con il Bijamantra KSHAM. Conoscevo il gioco dei sette chakra e la meditazione prevedeva che sgomberasi la mente da ogni pensiero. HAM … Visuddah … la sua mano mi si strinse sul collo … mi fidavo di lui e rimasi concentrato anche quando sentii l'altra mano infilarsi sotto la maglietta per carezzarmi sinuosamente il petto … YAM e poi scendere sulla pancia … RAM. "Vieni qua" Disse di nuovo, interrompendo la meditazione coprendomi il volto con la sua enorme mano e tirandomi su di sé. "Ecco fatto", ci fu un po' di trambusto alla fine del quale sentii la sua pelle nuda sotto la mia. "Sccc …" Non riuscii a intonare il LAM quando la sua mano mi scivolò tra le natiche e poi abbassò l'elastico della sua tuta. Non nego che mi fece impressione sentirmi scorrere nell'incavo tra le cosce il suo membro … forse non compresi bene neanche cosa fosse … almeno all'inizio … "Muoviti come ti piace" Beh, non so neanche se ci fu bisogno di dirmelo. Strinsi semplicemente le natiche e poi le rilasciai come facevo sempre per il pisellamento presonno. "Scccc …" Rispose così quando gli chiesi se gli stessi facendo male … mi strinse tra le braccia e allora continuai ancora più forte. Ansimavo forse per motivi diversi dai suoi, ma era una corsa coinvolgente e anche se faceva freddo, sudavo al contatto del suo corpo rovente. Io avrei continuato volentieri anche per un altro pochetto … ma lui mi fermò, mettendomi di peso sul sedile accanto. Senza spiegarmi cosa gli fosse preso, scese dall'auto e almeno a me, parve andare a far pipì.

 

Quando risalì in macchina, si sbrigò a rivestirsi e poi si fregò le mani … allora avevo paura che, come l'altra volta, mi avesse ridato un'accidenti di ghianda abbandonandomi di nuovo, quindi avrei voluto sussurrargli nell'orecchio un ti voglio bene, ma era troppo arduo come piano e riuscii solo a dargli un bacetto sulla guancia. Lui fece gorgogliare una risatona e d'impulso mi catturò, solleticandomi … ben sapendo quanto mi desse fastidio, ma allo stesso tempo mi piacesse. "Spanna i vetri" Mi passo una pagina di giornale per farsi aiutare ad asciugare il sudore che si era condensato contro il parabrezza dell'auto … Ripartimmo lentamente, ma giunti sulla strada prese a correre di brutto. Era preoccupato perché si era fatto tardi … prima di lasciarmi scendere, mi disse di raccontare che avevamo incontrato traffico.

 

Ci furono altre volte fino a quando non rifeci il gioco dei sette chakra con Pino e lui mi raccontò cosa gli capitava col padre. Solo allora comparai i gesti di Zeno a un atto sessuale … lo so che parrà incredibile, ma in un certo senso ero io a usare il suo corpo. Lo sguardo desolato di Pino mi dette una consapevolezza che mi spaventò e scappai via. Non avrei voluto rinunciare a Zeno perché era la sola persona al mondo con cui non dovevo nascondermi, ma oramai avevo perso l'innocenza e allo stesso tempo ero troppo piccolo per compiere una scelta. Visto che la medaglia l'avevo ormai conquistata, dissi a Primo che non avevo più bisogno di lui. Con il senno di poi posso dire che questa non fu per niente una buona idea perché Zeno era un punto fermo per me, senza il quale andai alla deriva insieme allo sfascio della mia famiglia.

 

Quarta Parte

 

 

La mia non era solo una curiosità per il corpo maschile come andavo ripetendomi, potevo solo far tacere le emozioni tenendole sotto vuoto. Quando incontrai Giada e stabilii con lei immediatamente una comunicazione empatica, fu come se tutte le mie irregolarità si fossero risolte. Se quello era l'amore, allora io non ero frocio! In fondo non era così difficile tenere sotto controllo la pulsione erotica che mi scatenava un corpo maschile. Lei era in un certo senso la mia medicina e mi accorsi di quanto fosse facile lasciare che il sentimento tra due giovinetti facesse il suo naturale corso. Si misero in moto gli ingranaggi di una macchina sociale ben oliata che ci rese agli occhi di tutti dei teneri fidanzatini e lei, figlia unica di un burocrate affermato, ritenuta lo stinco destro della santissima immacolata, in casa mia aprì subito delle prospettive di vita a lungo termine.

 

«Con te, sul ciglio del mondo, in trepidante attesa che sbocci quel domani di fausti auspici».

«Quest'aria senza il tuo anelito di gioia, mi soffoca di solitudine e mestizie».

«Ovunque volga il passo sul mio destino, incontro te …».

 

No, non sono delle frasi trafugate da uno di quei libercoli che si trovano nei fiorai a San Valentino. Sono solo un assaggio dei tanti pizzini che lasciavo nei quaderni di Giada. Lei mi piaceva sul serio, anche se con il senno di poi ho il dubbio che mi aggrappassi a quel sentimento per avere anch'io un'inarrivabile Lucia, cui dedicare un sentimento alto, cristallino, scevro da ogni mondanità e almeno all'inizio funzionò. Lei mi ricambiava con degli sconvolgenti "ti voglio bene" accompagnandoli con baci appassionati, ma tutto cambiò a seguito delle cene a casa della Zia Pina.

 

Lei ci inoculò anzitempo i precetti e le convenzioni dell'amore tradizionale, in cui avevo il ruolo del futuro genero che conquista la fiducia del suocero. Appena conquistai un posto a tavola nella famiglia di Giada, persi quello nel suo cuore. Al resto ci pensò Teresa, la sua invidiosa e stronzissima amica del cuore. Con lei condivideva le dinamiche relazionali del muretto di Piazza Cairoli, fatte di corteggiamenti adolescenziali, di rincorse e litigi o strazianti appostamenti per stare dietro a un sentimento quasi mai corrisposto. Un rimpallo di desideri che ai miei occhi appariva stupido con i suoi ruoli e regole come qualsiasi altro noioso gioco da tavolo.

 

Un sistema che andò complicandosi con l'avvento dell'eros viscerale, che attraverso le sue pulsioni convertiva in bisogni ogni archetipo romantico. Pur rimanendo seduti entrambi allo stesso tavolo di convenzioni, io iniziai incautamente a esplorare un eros omnicomprensivo mentre lei s'iscrisse ai giochi della gioventù. Ci provai a seguirla ma iniziò ad andare tutto storto fin dall'inizio perché ero già troppo alto per la mia categoria e fui passato tra i cadetti. Mi parve una cosa di cui vantarsi a pranzo con i suoi e lei commentò acida che ero uno stupido se pensavo di vincere con i ragazzi più grandi.

 

Oh, certo! Perché tra quelli c'era "Asdrubale" della famiglia dei burini di San Cesareo, figlio di Stronzio e fratello del ragazzo di Teresa. Ero dunque uno stupido a pensare di battere il mio rivale in amore? Sì, perché non lo sapevo mica che le regole dell'atletica cambiano nella categoria cadetta e i sessanta metri della corsa veloce diventano ottanta e quelli di resistenza salgono fino a trecento. Io a scuola mi allenavo poco perché francamente già mi facevo un mazzo tanto al Circolo col canottaggio e poi c'era la piscina di sera per entrare nella squadra di pallanuoto … di quegli stupidi giochi della gioventù ne avrei fatto volentieri a meno. Il giorno delle gare feci una tale figura di merda arrivando sempre ultimo in batteria, mentre lei al salto in alto si qualificò terza e arrivò fino alle interregionali!

 

Secondo la mia metrica di vita ero stato miseramente sconfitto e dovevo affrontare il patibolo con onore. Declinai ogni invito a pranzo dei suoi ed evitai come la peste il muretto di Piazza Cairoli, a scuola le rivolgevo a malapena il saluto e chiesi di essere spostato dal suo gruppo di lavoro a laboratorio di Tecnica. Ebbi anche uno scontro diretto con Teresa durante l'ora di ginnastica, la sua professoressa cercava sempre un ragazzo per schiacciare durante gli allenamenti della squadra di pallavolo femminile e fu allora che la presi a pallonate fino a stenderla … rosa dalla rabbia commentò ad alta voce che i maschi veri stavano a giocare a calcio, non come noi senza palle che gironzolavamo in palestra tra le ragazze.

 

Giada si era messa con Asdrubale e per me la nostra storia poteva essersi conclusa così, invece non so, forse si sentiva in colpa o per chissà quale di quelle regole sociali che vigevano tra le adolescenti, si sentì in dovere di "parlarmi". Dopo aver piegato le ossa a Teresa, me la vidi arrivare durante la ricreazione accompagnata dal solito drappello di ancelle adoranti. Io me ne stavo seduto al banco a terminare degli esercizi d'inglese. Lei mi chiese come mai non avevo svolto quei compiti a casa … feci spallucce. Allora mi domandò se era vero quello che si diceva in giro, cioè che i miei stavano divorziando. Teresa, quella malefica, squallida cagna rognosa … "No, non me l'ha detto lei!" si sbrigò a chiarire, perché impulsivamente il mio sguardo era scattato come una molla, fulminando la balorda che ci teneva d'occhio da lontano. "Perché non ricominciamo a studiare assieme?" E questa fu la fregatura … perché accettai la sua pietà?

 

Da quel momento fu uno stillicidio perché non si capiva più se stavamo ancora insieme. Asdrubale, come tutti i cinghialopodi della sua età, andava e veniva gettandola in quel patimento che tanto piace alle ragazze … ed io là a consolarla, addirittura a consigliarla come riconquistarlo! Ma non è che fossi masochista, perché nel frattempo il virile Asdrubale era arrivato dove io non ero riuscito, cioè aveva solleticato l'appetito viscerale dell'Eros attrattivo di Giada. Me ne sarei dovuto accorgere da quando non indossava più le solite gonne pantalone, che erano delle vere e proprie cinture di castità con il loro cavallo largo a gamba lunga antintrusione. Un giorno che mi abbracciava in lacrime, sentii le sue tenere e sensualissime labbra stringersi in dolci bacini sul collo … dopo avermi procurato quei brividi inaspettati, mi guardò aspettandosi una risposta, ma io ero … la buona letteratura direbbe "frastornato", ma per il vero ero proprio rincoglionito dal cocktail ormonale che si shakerava nel mio ipotalamo.

 

"Sei così carino quando fai questa faccia …" Eh, da rincoglionito … mi disse tante belle cose e poi mi chiese anche di ricominciare a scriverle i pizzini … quando le passavo i compiti in classe. "Ora cosa penserai di me!" Puttana … mi baciò stringendomi la mano al petto … e le zizze di Giada erano protagoniste dei sogni erotici di tutta la scuola … all'epoca bastava un soffio di vento per farmi "emozionare" e appena le sue labbra si posarono come ali di farfalle sul mio fiore … ne venne fuori una gran frittata. Lei rise divertita dell'impiastro che aveva combinato … e quando rideva anch'io ridevo ed era così bello ridere! Non ne potevo più di essere triste e arrabbiato col mondo. Lei, mimando un broncio da bambina, si preoccupò che non la giudicassi male per quel suo impellente bisogno da succhiacazzi … non era più la Giada che conoscevo, questa era molto meglio!

 

Giada si sentiva libera di compiere quei gesti con me ed era fuor di dubbio che non avevamo più l'età per permetterci di giocare al dottore e l'ammalato. Dopo i primi romantici baci alla francese, non perdeva tempo a tirarmelo fuori, salvo poi chiedermi di non salutarla in pubblico per timore che qualcuno sospettasse che le piaceva succhiarmelo. Tuttavia, si faceva corteggiare dagli altri, dicendomi che era solo per far scena. E quando le convenne trovarsi qualcuno che avrebbe frequentato il suo stesso liceo, s'innamorò di Asdrubale due. Difficile credere che l'amore delle femmine sia sempre così fortuitamente propizio, salve quando hanno bisogno di "romanticismo" e allora si fanno sbattere invocando la trascendenza dell'amore …

 

Sostanzialmente, non riuscivo a trovare quella ricchezza di una mancanza che mi guidasse nelle relazioni affettive, stabilendo un ordine di necessità tra i miei bisogni. Io non cercavo compagnia perché temevo la solitudine o cercavo qualcuno per distrarre la noia da me stesso. Usavo l'eros per stabilire un contatto con gli altri, senza imbastire le necessità legate alla paura dell'abbandono. Le mie emozioni non si proponevano in quelle traiettorie utilitariste che sillabano l'esperanto del linguaggio interpersonale. La mia emotività passava attraverso una pulsione empatica attraverso il corpo. Questo modo di esprimermi fece sì che non potessi mai avere degli amici, ma solo amanti.

 

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  • 1 month later...
Silverselfer

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Il dolore ci piega su noi stessi e con lo sguardo fisso nel nostro ombelico sarà facile convincerci che il mondo sia un buco oscuro. Dentro quest'antro cavernoso si cova l'amore nero ispirato dal desiderio di giustizia, un livore sterile che non tiene conto del nostro bene, ma solo del male altrui. La sofferenza c'innalza sul piedistallo del martirio, da cui inizieremo a guardare l'indifferente gioia del mondo con occhi pieni di sdegno. Foriere d'infausti auspici, le lacrime ci piombano nell'oblio al pari di luminose comete dal cuore ghiacciato.

 

 

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La luce che acceca e il buio che illumina

 

Prima Parte

 

 

La psicoterapeuta mi proibì di rimanere da solo per impedirmi di scivolare in quelli che chiamavo i pensieri senza parole. Mi succedeva d'iniziare a fantasticare e quello sragionare diveniva così rapido da perdersi per strada le parole, rapendomi in un gorgo emozionale. Allora rimanevo immobile con lo sguardo fisso oltre la parete invisibile della realtà … mia madre mi tirava certe sberle per farmi rinvenire! Quando mi accadeva durante il sonno, i sogni si trasformavano in incubi ed era molto difficile riuscire a svegliarmi. Fu per questo motivo che iniziai a prendere il Tavor e i brutti sogni divennero un po' meno spaventosi, però mi svegliavo più stanco di quando mi andavo a coricare ed ero come un mulo tuonato fino a mezzogiorno.

 

Zeno m'insegnò il trend autogeno per far addormentare solo il corpo con l'autoipnosi. Certo che poi mi addormentavo … ma in quel modo capivo che mi trovavo in un sogno o almeno, a un certo punto riuscivo a dedurlo. La cosa più inquietante succedeva quando credevo di essermi svegliato, invece era un brutto tiro che mi giocava la ragione e allora quella che credevo fosse la realtà, si animava delle paure più spaventose come le lampadine che non si accendevano quando le lunghe lingue di Loro cercavano di trascinarmi nell'ombra, con le urla che mi graffiavano la gola senza produrre alcun suono. Poi in campagna accadde che quel dobermann invece di mordermi, rimanesse a fissarmi per un attimo prima di andarsene … non so cosa quello spavento fece scattare nella mia testa, ma il nocciola degli occhi di quel cane s'impresse nella mia psiche e ogni volta che un incubo stava per avere il sopravvento, riuscivo a puntargli contro lo stesso sguardo fermo e deciso … dissipandolo.

 

Non so se crederci che il dobermann sia il mio animale totemico, magari se fosse stato almeno un lupo, avrei sperato che potesse trasfondermi qualche virtù di branco, invece, imparai a tenere il collare, ma tolto il guinzaglio, tornavo ramingo sulle tracce di un sentiero invisibile. Tutto questo ha un senso per via di una sessualità incapace di polarizzarsi su specifici bisogni attrattivi, in grado di trattenermi dentro orbite circoscritte. Provavo simpatie ed ero indubbiamente capace di voler bene a una persona, tuttavia erano bisogni compensati da altre necessità che allungavano le mie orbite fino a disperderle nello spazio siderale …

 

La mia vita sociale da ragazzino fu un continuo esercizio di emulazione dei desideri altrui. Dopo che Vanni si trasferì vicino da me, ebbi l'esempio di come sarei dovuto essere io. Con Lalla iniziò a frequentare il vicolo sotto casa, dove condividevano le loro esperienze con gli altri del rione. Le femmine erano numericamente soverchianti, ma erano i maschi a governare i loro desideri. "Ma non te stufi a sta sempre a qua loco!" Lalla sarebbe rimasta in strada per tutto il tempo e una volta sbrigate le faccende, mi costringeva a chiedere di scendere, così mamma le avrebbe affidato il compito di sorvegliarmi. A differenza degli altri maschi, io con le ragazzine ci stavo volentieri perché i loro giochi non erano competitivi e, anzi, non si capiva mai come effettivamente si dovesse vincerli.

 

In genere le ragazzine erano delle accanite saltatrici: saltavano su di un piede per giocare a campana, saltavano su due nel gioco dell'elastico, saltavano maldestramente alla cavallina, eccetera … Erano poi animate da paure incomprensibili come quando si giocava a mosca cieca e urlavano per timore di essere afferrate, quando era semplicissimo non farsi prendere. Si dilettavano anche in dei giochi particolarmente tediosi, tra cui quello delle belle statuine che consisteva nel prendere una posa graziosa e rimanervi imperturbabile per il maggior tempo possibile … che caspita di divertimento ci trovavano? Capivo bene perché i ragazzini si annoiassero a giocare con loro, ma solo molto tempo dopo intuì il motivo per cui lo trovassero anche infamante.

 

Al pari dei giochi maschili che allenavano gli istinti virili attraverso il confronto fisico, quelli delle ragazzine ammaestravano a un eros puramente attrattivo. Ecco dunque spiegato la forza espressa nel mantenere una posa nel gioco delle belle statuine o il brivido di essere afferrate dalla compagna bendata nella mosca cieca e il senso che si celava in quel saltare continuamente, cioè governare una spinta irrazionale. "Uffa, non è valido!" Era effettivamente imbarazzante prendere una posa durante la competizione tra belle statuine, allora assumevo una qualche movenza grottesca, inducendo in fallo le contendenti che scoppiavano a ridere. "Mi hai fatto male!" Lo stesso accadeva ogni volta che mi lasciavo prendere dalla competizione, così quelle si stancavano pretendendo che andassi a giocare con gli altri ragazzini ...

 

"Sali che devi prepararti per andare dalla principessa" La mia libera uscita aveva sempre i minuti contati e dopo un po', mamma mi chiamava dal balcone della cucina perché dovevo cambiarmi per andare dalla principessa. Il più delle volte era solo un pretesto e credo che lo facesse con il preciso intento di togliersi dall'imbarazzo di vedermi giocare con le femmine, tant'è che anche quelle per canzonarmi usavano l'appellativo di "principessa". Alla fine compresi il rischio che correvo e andai a giocare a pallone con Vanni.

Nel momento in cui entrai a far parte della piccola comunità dei ragazzini, iniziai a temere di essere definito frocio. Ricevere quello stigma significava perdere la virilità e quindi diventare l'ultimo degli iniqui, chiunque poteva schernirti e l'ostracismo era una conseguenza inevitabile. Quando ero con loro, evitavo con cura atteggiamenti equivoci, come mostrar poco interesse per quei pallosissimi giochi che si facevano con le figurine delle squadre di calcio. Per il resto piaceva anche a me arrampicarmi sugli alberi, però non m'interessava contendere un ramo fin troppo affollato di pretendenti. Preferivo giochi alternativi alla competizione, ad esempio, facevo degli esperimenti nascondendo bottiglie piene di miscugli con robe tipo detersivi, che poi tornavo a controllare … quello che mi dette una grande popolarità, fu una bottiglietta che esplose e la faccenda creò subito emulazione. Fin quando non giunse Panari Felice Marcello, nessuno mi aveva canzonato dandomi del frocio; anzi, molti invidiavano il dialogo che sapevo mantenere con le femmine, specie Vanni.

 

Lui e anche gli altri, venivano a giocare nel vicolo perché attratti da quel qualcosa di sconosciuto che si agitava nel loro ipotalamo. S'intrattenevano con qualche passaggio di calcio o roba del genere, ma si vedeva che ad animarli non era il solito istinto di prevaricazione. Cercavano il modo di mettersi in mostra e la cosa non sfuggiva alle ragazzine in posa da belle statuine. Erano amori che duravano il tempo di una rincorsa, tuttavia si fecero sempre più frequenti ed io ne rimasi escluso. Al contrario, l'esercizio del sesso era un gioco molto più semplice. L'eros attivo dei maschietti sapeva sillabare il proprio bisogno e si metteva a caccia delle emozioni capaci di sfamarlo. Per le femminucce era più complicato perché faceva parte del loro desiderio passivo trovare in un ragazzino la risposta alla propria soddisfazione. Era così che la loro sessualità sognava il grande incontro con il principe azzurro, sul cui tirso della cuccagna sarebbero rimaste impalate per tutta la vita.

 

Tuttavia, la curiosità sessuale era forte anche tra loro e Lalla mi mise a disposizione di tutte. Lei ne raccontava tante sulle sue prodezze sessuali e siccome non poteva raccontare con chi realmente le aveva, mi elesse suo cornutissimo fidanzatino dalle presunte capacità erotiche superlative. Nacque così la congrega del locale serbatoi. Lalla era entusiasta del suo ruolo di "maestra" e iniziò a usarmi come illustrazione animata. Mi piaceva essere al centro delle loro attenzioni e parevano non accorgersi della mia oscena panzona, anzi … mi lusingavano quelle risatine civettuole e ancora di più quando osavano toccare qualcosa di proibito, però quei gesti non rientravano nell'abbecedario usato nel dialogo amoroso tra cinghialopodi.

 

Non so in che misura quelle continue sollecitazioni furono responsabili, ma le mie ghiandole di  Cowper iniziarono precocemente a produrre il loro fluido resinoso … e non era certo una roba piacevole! Poteva succedere in qualsiasi momento, appena si affacciava nella mia mente un pensiero erotico, allora sentivo formarsi quel gocciolone di rugiada e quando tentavo di trattenerlo come con lo stimolo della pipì, finivo per spingerlo fuori imbrattando le mutandine. Sulle prime pensai che fosse del catarro e allora cercai di non ingoiare più la saliva, iniziando a sputacchiare ovunque … ma ovviamente il problema non si risolse e preoccupato mi rivolsi a mamma; quella esaminò Mr Wiggly e risolse che aveva la "boccuccia" infiammata e giù con bidè alla camomilla. La verità era che i cinghialopodi ne sapevano pochissimo di sesso e tutti erano convinti che si trattasse di una sorta di piccola eiaculazione. "Il mio ometto" Disse Primo grattandomi la testa, prima di misurarmi col metro contro lo stipite della sala da pranzo … quello fu il suo modo di spiegarmi i "fatti della vita".

 

Lalla fu la sola che volle toccare con mano la questione, sentenziando che si trattava effettivamente di «squacquerone» ma non cagliato. Bah, almeno lei seppe darmi una risposta, però anche nella sua educazione sessuale c'era molto di assurdo. Per esempio, non volle più dormire nel mio letto perché sosteneva che "lo verme cammina", cioè che durante il sonno i maschi eiaculano e le lenzuola rimangono intrise di spermatozoi in grado di fecondare. Io non avevo polluzioni notturne e neanche sapevo cosa fosse un'eiaculazione, quindi presi tutto per vero. Nel frattempo il mio fluido di Cowper divenne una croce e delizia, da una parte c'erano le ragazzine della congrega che me lo stillavano manco si trattasse di grappa, dall'altra dovevo stare attento a qualsiasi cosa mi solleticasse l'eros per non ritrovarmi con gli slip imbrattati … e quell'effetto non me lo facevano solo le ragazzine …

 

Quando Panari Felice Marcello mi dette dello stupido frocetto, fu come una rivelazione. La questione non era più se preferivo giocare con le femmine o con i maschi, c'era orami un'inconfutabile prova empirica a sentenziare la condanna. Non solo, ma Lalla e le altre avevano iniziato ad avere dubbi sulla mia mascolinità perché non ero all'altezza delle loro aspettative. Poi accadde che nel tentativo di spingere fuori un'eiaculazione che non potevo ancora avere, mi scappò la pipì e le odiai perché risero di me. Furono implacabili nelle loro canzonature e allora feci cacciare Lalla da casa. Per farlo mi bastò lasciar trapelare mezza verità di quanto succedeva tra lei e il garzone del fornaio, che forse odiavo ancora più di lei perché sapeva darle quello che non riuscivo a fare io. Capirai, Zia Pina non aspettava altro perché detestava Lalla e quell'impudente del fornaio con cui aveva avuto uno screzio per dei sospesi. Io ci rimediai solo un tremendo senso di colpa che pareva confermare ancora di più la mia infima natura maligna.

 

 

Seconda parte

 

 

Il luogo dove mi relazionai con la mia generazione non fu il vicolo sotto casa, ma in una parrocchia che non faceva neanche parte del Rione Quinto Ponte. La Zia Pina era una laica della Congregazione di Sant Paolo e volle portarmi nella sua chiesa barnabita di Sant Carlo ai Catinari di Piazza Cairoli.  Tra un accidenti e l'altro, iniziai a frequentarla durante il percorso di catechesi per la prima comunione. Di per sé non sarebbe stato un impegno gravoso. C'era da sedersi e ascoltare la lezione, niente di più di quanto succedeva a scuola, no? No … prima di tutto non c'era un'aula dedicata alla catechesi dei comunicandi e ogni volta non sapevo dove cazzo aspettare che iniziasse la lezione ...

 

La prima volta attesi davanti alla stanza in cui ero stato iscritto, scoprendo poi che la lezione si stava tenendo in chiesa ed è lì che mi sedetti la volta successiva, aspettando fino alla fine della funzione delle sei, accorgendomi solo dopo che quel giorno la lezione si era tenuta in sagrestia. Stanco di sentirmi un coglione, li sfanculai bigiando due lezioni e quando il parroco si lamentò con mia madre, quella giù a menar scappellotti perché secondo lei, io me ne andavo a divertire … ma con chi, se non conoscevo nessuno? La volta dopo mi fu detto di chiedere al sacrestano dove si tenesse la lezione, ma il buon uomo mi fece sedere in un tetro corridoio dietro l'abside, tra un cristo cadavere deposto e un altro pencolante su una croce e quando ripassò per puro caso disse: "Che ci fai tu qua?" manco fossi un ladro e prendendomi per un orecchio mi gettò nell'aula … o quello che era, tra le risa generali.

 

Dei comunicandi li avevo già visti durante la colonia estiva e iniziai a fare delle ronde per intercettarli prima della lezione. Si rivelò una buona tattica, dunque mi bastava avvicinarmi cautamente agli altri per sistemarmi in un angolino e aspettare. I problemi, però, proseguirono durante le lezioni … m'infastidiva parecchio l'indottrinamento inconfutabile che s'insegnava in quel posto. Mi aspettavo che ci avessero insegnato le sacre scritture; invece, ci facevano sfogliare dei libercoli con tanti disegni in acquerello a commento di ogni virtù sacramentale. L'iperbole della vita in comune catturava i catechisti pieni di fervore cristiano, che ci riempivano di chiacchiere edificanti sul buon pastore e l'etica delle pecore.

 

"Ma certo che non sei la zizzania!" Un tizio che aveva sostituito un'altra tizia, si era messo a raccontarci robe a mio avviso inaccettabili. "E' comunque da maleducati mancare di rispetto al catechista" Secondo lui avremmo trascorso l'eternità a cantare felici l'alleluia del Signore … cioè Dio ci avrebbe creati come trombe per la propria osanna? "Santi numi ... delle trombe … birbante, non sta bene farmi ridere di queste cose!" Il tipo, poi, ci raccontava la volontà di Dio ricavandola dalla successione degli accadimenti evangelici, ma in tal modo avrebbe agito per porre rimedio a delle sue mancanze, o no? "Mi stai annoiando" E la stessa resurrezione nella carne non poteva essere intesa come eternità, bensì un continuo morire per sempre perché attimo dopo attimo si continuerebbe a seppellire un passato, giusto? "Mi fai assaggiare il tuo gelato?" Il tizio chiamava Gesù «il portatore di luce» e ok passi … ma quando lo sentii definirlo anche stella del mattino, gridai alla blasfemia … e che cazzo! Era Lucifero il portatore di luce e la stella del mattino e no che non era vero quello che poi sostenne il gran puzzone con il parroco, raccontandogli che ero stato io a insinuare che Gesù era Lucifero, porca di quella miseriaccia.

 

Era la terza volta che quel catechista mi spediva dal parroco. Durante la prima, venne in mio soccorso la moglie di Zeno che mi fece passare per psicolabile. La seconda volta c'ero finito per la «teologia» di Dante Alighieri e quando il parroco telefonò a mia madre è proprio il caso di dire: apriti cielo! "Questo patto rimarrà un segreto tra noi" Mia madre risolveva tutto rifilandomi mezza pasticchetta di Tavor, ma evidentemente non bastava più per rintronarmi. "A noi interessa solo festeggiare la tua prima comunione" Con la storia di Lucifero, il prete aveva minacciato di rimandare la mia prima comunione e mamma diete di matto, così andò a chiedere alla Zia Pina di metterci una pezza. "Ora tu farai quello che ti dirò io" La zia indossò il tailleur giallo e marciammo attraverso la navata al ritmo dei tacchi delle sue scarpe in tinta. Non so cosa disse al parroco perché mi lasciò seduto in chiesa, ma non ci mise molto a sistemare le cose. "Dovrai solo frequentare l'oratorio e servire messa da chierichetto" Dopo mi riprese per mano e tutta contenta per il successo ottenuto, andammo come il solito a festeggiare mangiandoci uno di quei mega gelati di cui era ghiotta.

 

Il problema più grosso fu l'inevitabile confessione prima di servire messa … io commettevo atti impuri con Lalla! Entrato in sacrestia, andavo a salutare con l'inchino il parroco e rimanendo in ginocchio, mi chiedeva se ero degno di attendere al mio compito … e lì che avrei dovuto confessare la mia colpa, ma come facevo? In quella sede, solitamente bastava dire di aver disatteso i buoni propositi di mamma e papà, aver pronunciato le parolacce o roba del genere e il parroco ti assolveva con un atto di contrizione e un Padre Nostro. Una volta ci provai a confessare gli atti impuri e capirai … quelle due paroline fecero calare il gelo in sacrestia. Il parroco divenne tutto rosso in volto e m'interruppe chiedendomi se avessi solo guardato qualche rivista sozza … e che dovevo fare? Annuii e così aggiunsi alla mia colpa, la condanna di aver mentito al confessore …

 

"Ciao, sono Momo, ti ricordi di me?" All'oratorio mettevo in pratica gli insegnamenti della Zia, primo fra tutti salutare quando arrivavo e prima di andare via. "Come stai, ti vedo bene!" Sembrerà sciocco ma ogni «ciao» era come conquistare la vetta del K2. "Roberto … Anna … Vito … ciao … ciao … ciao" A tal proposito avevo selezionato un bouquet di frasi tipo per non essere ripetitivo ma, comunque, la cosa più importante in un saluto è ricordarsi il nome di tutti, così non penseranno che la tua sia solo cortesia. Mi proponevo poi volontario per ogni iniziativa, mostrando entusiasmo con faccine simpatiche e soprattutto ostentando modestia … ma che fatica! Lì dentro pareva essere in una Skinner box con tante levette invisibili e ogni volta che si abbassava quella buona, arrivava il rinforzo attraverso l'appagamento del bisogno … ma il condizionamento operante con me pareva funzionare solo nel senso coercitivo.

 

Il successo ottenuto in oratorio avrebbe dovuto farmi sentire amato o quanto meno accettato, ma nessuno stringeva amicizia con me perché non proponevo una personalità circoscritta nei propri bisogni. Il mio eros onnivoro era sfuggente nei suoi appetiti e il gusto lo prendevo in prestito da quanto piaceva al gruppo. In tal modo apparivo come un ragazzino modello, ma negli errori degli altri cresceva la loro personalità che stabiliva intese amicali. Nonostante l'impegno prodigato, finivo per essere guardato come un alieno anche un po' antipatico. Preferivo dunque gli impegni sportivi del Circolo, dove c'era un traguardo comune in grado di darmi una traiettoria chiara e non ambigua nell'interpretazione degli altri.

 

Nella mia logica di ragazzino freaky abbassavo le levette della mia Skinner box che servivano a soddisfare le aspettative degli adulti, senza preoccuparmi se corrispondevano a ciò di cui avevo bisogno. Fu così che fin da piccolo iniziai a sviluppare identità multiple da circoscrivere in esistenze a compartimenti stagni. Erano come le ghiande di Zeno, che consegnavo a quanti mi avrebbero spiegato il segreto che celavano attraverso il proprio desiderio. Mi beavo di questa scienza, anche se complicava progressivamente un labirinto da cui era sempre più complicato uscire. La Zia Pina mi riconosceva questo talento ed era la sola che poteva raggiungermi nel mio bozzolo … ma non ebbe riguardi nell'approfittarsi del privilegio che le concedevo. Forse commise lo stesso errore che facevano tutti, pensando che fossi come lei e fingessi quando mi chiedeva di diventare qualcos'altro.

 

Accadde anche quando mi portò a palazzo per presentarmi alla principessa. Disse che dovevo farle assolutamente una buona impressione, ma non dovetti assolutamente fingere nulla perché m'innamorai subito di lei … era una visione circondata da un'aura di grazia tale, da apparirmi come una fata proveniente dalla Sacra Isola di Avalon. Le era giunta voce del mio prodigo impegno nelle attività parrocchiali e lei stessa si era emozionata ad ascoltarmi leggere le sacre scritture durante le omelie … quelle garbate lusinghe mi ubriacarono e fui felice di arruolarmi tra le file del suo esercito, anche se la missione che mi affidava era assai meno onorevole di andare a combattere i draghi. Sua madre Amelia aveva bisogno di un paggetto da farle da bastone su cui appoggiarsi durante i ricevimenti del giovedì. Il rapporto tra le due consanguinee non era propriamente idilliaco e la figlia temeva che qualcuno potesse approfittarsi della svagatezza della madre.

 

Di nuovo, quando fui portato da Amelia fui travolto dalla sua personalità. Lei viveva in una camera da letto che era una vera e propria biblioteca. Capirai! Per me fu come entrare nella caverna del tesoro di Alì babà. "Sei la mia piccola opera d'arte" Mi ripeté la Zia, quando riuscii a superare la diffidenza di Amelia, che mi regalò una preziosa copia del Conte di Montecristo. Io però non fingevo e le volevo sinceramente bene ... mi piaceva tutto di lei: le sue scarpine con le frange sul dorso, le borsette a cofanetto e persino i fondi di bottiglia che portava per occhiali. Non mi dispiaceva neanche farle da paggetto perché al ricevimento del giovedì mi pareva di essere alla corte di Versailles!

 

Una corte si sa che è un ginepraio d'intrighi e quindi non mi sentivo in colpa quando, dopo il ricevimento, la principessa mi aspettava seduta alla sua toletta degna di una Maria Antonietta e mentre si spazzolava i lunghi capelli rossi, le raccontavo per filo e per segno le conversazioni intrattenute dalla madre. Io non fingevo con nessuno, ma forse era proprio per questo se riuscivo a fare il doppio gioco come nemmeno una piccola serpe avrebbe saputo fare meglio. Ero così professionale che la principessa mi affidò anche il compito di spiare il figliastro che la detestava profondamente.

 

A Matteo piacevano i maschi, anche se non lo avrebbe mai ammesso, tuttavia ci riconoscemmo fin dal primo sguardo. Con lui mi scoprii insolitamente diretto, parlavamo senza alcun filtro e alla fine del nostro primo incontro, mi aveva già confidato le sue più intime insicurezze. Dal punto di vista della Zia, fu un sucessone! Avevo conquistato la fiducia di tutta la famiglia della principessa, però non era ammissibile che volessi il bene di tutti, in quanto questi si detestavano vicendevolmente. Il rapporto personale con gli adulti era scevro da erotismo, ma con Matteo ci si mischiarono i miei confusi costumi sessuali da adolescente che cerca se stesso.

 

Nonostante fosse un malinconico che minacciava il suicidio almeno una volta al giorno, anche Matteo aveva la sua piccola confraternita della pippa. Io li chiamavo il club delle Madame ce l'ho moscio e come tali condividevano la stessa frustrazione. Suppongo che usassero le celie come surrogato della masturbazione e raggiungessero l'orgasmo attraverso i pettegolezzi più maliziosi. La cosa strana era che parevano starsi sulle palle reciprocamente e non mancavano battibecchi e litigi per qualsiasi stupidaggine.  Quando iniziai a frequentare il dopo scuola del collegio, fu inevitabile rimanere coinvolto nelle loro chiacchiere.

 

Nel club c'era Riccardo, un ragazzo sudamericano particolarmente brillante. Era anche un bel ragazzo moro dalla carnagione olivastra e se non fosse stato effeminato oltre il limite del grottesco, lo avrei potuto anche trovare attraente. Era molto spigliato e non si faceva scrupoli a calarmi le brache per approfittarsi della mia disponibilità. A me piaceva il cazzo, ora potevo ancora avere dei dubbi in che misura lo apprezzassi, ma era una consapevolezza difficile da negare almeno a me stesso e pensavo che lui e compagnia bella potesse comprendermi.

In collegio di confraternite della pippa ce n'erano a iosa e anche se non entrai mai a farne parte, approfittai degli effetti di quella promiscuità erotica. "Le voglio con le tette rifatte …" I ragazzetti più grandi mi chiedevano di portare nel collegio ogni sorta di materiale proibito, che andava dalle sigarette alle riviste pornografiche. Facevo una piccola cresta sulle commissioni che ritenevo dovuta per il rischio che correvo sia per acquistare la merce e sia per portarla lì dentro, ma niente di più. "A questa glielo infilerei in mezzo alle zizze …" Non nego che m'ingegnavo parecchio per trovare il pretesto di esaminare insieme le riviste porno, però se poi non se lo tiravano fuori, la cosa rimaneva  lì. "Porc … così è sensibile un botto!" Quei ragazzini ne sapevano pochissimo dell'anatomia del proprio cazzo ed io gli mettevo solo a disposizione la mia scienza. "Ehi, ci vediamo pure domani?" Su quel ben determinato bisogno, costruii molte «discrete» amicizie …

 

L'interesse per la biancheria intima maschile si era evoluto in una vera passione per l'estetica del cazzo. Aveva dello straordinario quante forme potessero avere dei genitali maschili e in quel periodo ne maneggiavo parecchi, che poi disegnavo sul mio sketch book con la stessa perizia di un naturalista. A ogni ragazzino riservavo un profilo del volto, uno del pisello e una della sua erezione. Probabile che fosse scorretto condividere quei disegni con il club delle Madame ce l'ho moscio, ma lo scopo non era deridere nessuno, anche se poi le battute di Riccardo arrivavano puntuali facendoci scompisciare dalle risate. Matteo mi aveva messo in guardia su quel mio hobby, però lui vedeva il male dappertutto e non compresi l'intenzione di proteggermi dalle maldicenze che andavano raccontando le Madame, tipo che prendevo soldi per tirare le pippe e la mia bocca era uno sboratoio collettivo.

 

Io mi fidavo di loro e non mi sarei mai aspettato che arrivassero a organizzarmi un tranello davanti a tutta la scuola, facendomi passare per una puttana ciuccia cazzi e dopo, con una tale perfidia che ancora oggi non so spiegarmi, mi fecero tabula rasa intorno. Sarei voluto sprofondare al centro della terra per la vergogna … e anche in quel caso, pensai che me lo meritassi perché ero effettivamente un essere disgustoso.

 

 

Terza Parte

 

 

Quando ricevetti in dono la mia bicicletta, trovai naturale pedalare fino a Piazza Cairoli invece di andare a giocare a pallone nei giardini di Castel Sant'Angelo con Vanni. Era là che dopo la funzione si fermavano gli amici dell'oratorio che poi si davano appuntamento per l'uscita pomeridiana. Ci andava anche Giada insieme alle sue fottutissime amiche del cuore … loro si sedevano sempre sulle panchine dei giardini, sul lato di Via Degli Specchi perché vi giungevano percorrendo quella strada. Le ragazze non si spostavano mai quindi dove usavano fermarsi si creava un punto di ritrovo anche per i maschi.  

 

L'altro polo di attrazione della piazza si formava intorno alle parrocchiane che si sedevano sulla gradinata del sagrato della chiesa che era fuori asse rispetto ai giardini, pertanto i due gruppi non si mischiavano. Questo lato della piazza stava in fondo a Via dei Giubbonari che portava dritti a Campo dei Fiori, quindi c'era sempre un via vai di turisti che disturbavano la vita sociale del gruppo. Quando l'assembramento di ragazzini diventava troppo numeroso e gli schiamazzi si facevano molesti, intervenivano subito i vigili urbani per disperderli.

 

Uno sparuto gruppetto alternativo usava invece incontrarsi nel tranquillo Largo dei Librari. Si trovava a metà di Via dei Giubbonari ed era più che altro un vicolo senza uscita a forma di spicchio, sulla cui punta c'era la chiesetta di Santa Barbara. Regina del Largo dei Librari era Lidia. Lei era la solista del coro ed esercitava un'indiscutibile fascino sull'intera popolazione di Piazza Carioli. I suoi cambi di look diventavano subito argomento di discussione tra le ragazze, mentre i maschi potevano solo guardarla da lontano perché lei, come tutti gli alternativi, pareva essere assorbita da bisogni estranei alle faccende dei suoi coetanei.

 

Io nel gruppo dove stava Giada non riuscii mai a integrarmi. Ci andavo solo quando c'era lei, che usava venirmi incontro per risparmiarmi l'imbarazzo che provocava la mia presenza. In quel posto erano molto settari e stavano sempre in guerra con i confinanti. Tolleravano diplomaticamente i ragazzi del sagrato, ma non quelli come me che provenivano da altri rioni. Per Giada la mia presenza era particolarmente ingombrante e le impediva il dialogo con gli altri. Succedeva allora che ci appartavamo su una panchina, ma dopo un po' iniziava un via vai di amiche che reclamavano la sua presenza e alla fine mi salutava, facendomi capire che non potevo seguirla nel gruppo.

 

Quando Giada si mise con Asdrubale I, non sapevo più dove andare. A palazzo da Matteo non ci volevo tornare dopo quanto era successo e lo smarrimento per la morte della Zia con gli accidenti che questo comportò nella mia vita, mi aveva piombato in uno stato di frustrazione in cui proliferarono tutti gli antichi demoni. Mantenere un contatto con la gente mi costava troppa fatica, ma allo stesso tempo era troppo umiliante restarmene chiuso in camera con mamma che mi esortava a uscire con Vanni. Allora gironzolavo con un libro in tasca e quando mi spaventava troppo sentirmi un emarginato sociale, andavo a sedermi sulla scalinata del sagrato per fingere di essere come tutti gli altri e chi se ne frega se non arrivava nessuno a darmi compagnia.

 

L'incapacità di produrre bisogni propri rende gli ermafroditi freaky incapaci di farsi crescere una pelle addosso, che li tenga insieme in una forma riconoscibile. La nostra pelle riflette il desiderio di chi ci ama e quando rimaniamo soli, iniziamo a vagare spauriti con le pudende dell'anima a vista. Forse fu proprio l'aspetto grottesco della mia anima che attirò Edo. Lui aveva circa quindici o sedici anni e non faceva nulla per piacere agli altri; anzi, pareva trovarci un particolare gusto ad assumere atteggiamenti riprovevoli come vantarsi di essere un cultore del satanismo. Le ragazze lo coccolavano tutte e forse proprio per questo era antipatico ai maschi, compreso me che gli affibbiai il nomignolo di «Signore delle Mosche». Era accaduto durante la colonia estiva, quando m'innamorai di Lidia e passavo da una grezza all'altra. Lui era il suo cavalier servente e me lo ritrovavo sempre tra i piedi così, durante uno scambio di opinioni sulla demonologia in cui si professava un seguace di Belzebù, gli avevo dato appunto del mangia merda. Poi diventammo amici con la storia dello «stoppolacessi» alla responsabile delle ragazze …

 

"Che stai leggendo?" Mi chiese Edo stravaccandosi sui gradini del sagrato. Si era rasato i capelli ai lati della testa, lasciandoseli lunghi sopra … come li portava ai tempi Cindy Lauper nel videoclip di Time After Time. Aveva abbandonato i suoi colori dark per un look smaccatamente punk: piercing, skinny, All Star e giubbotto di jeans corredato di patacche dalle scritte varie. Era molto diverso da come me lo ricordavo e se non fosse stato per la sua voce a trombone da alce siberiano, forse non l'avrei neanche riconosciuto. "Sei ancora un Luciferino?" Mi chiese … ma che cazzo stava insinuando? Ah, già! Durante il nostro diverbio sulla demonologia avevo difeso a spada tratta l'onore di Lucifero. "La più grande astuzia del diavolo è stata quella di convincerci che non esiste" Continuò a dire, passandomi la copia tascabile dei Fiori del Male di Baudelaire che stava leggendo … sfogliai qualche pagina del libro e poi gli chiesi se me lo prestava, lui mi rispose di no perché doveva ancora finirlo, ma poi mi offrì una sigaretta … però io ancora non fumavo … con la bocca fece una serie di cerchi di fumo che si rincorsero spandendosi nell'aria, figo! Gli sorrisi e questo parve spaventarlo perché mi disse che ci si beccava in giro, scomparendo tra la gente.  

 

La volta dopo e l'altra ancora, ci sperai che si riaffacciasse, ma non si vide più da quelle parti. Poi, una domenica mattina che avevo letto le sacre scritture durante la messa, me ne stavo seduto su una panchina della piazza per evitare di tornare troppo presto a casa, quando lo vidi comparire insieme a una ragazza paffutella con degli originali occhiali rotondi che si trascinava dietro un'enorme cartella … era Katty. Edo si sedette sulla spalliera della panchina e lei direttamente in terra. "Katty ti ha fatto il ritratto mentre leggevi" Edo era particolarmente concitato e facevo fatica a capirlo con quel suo trombone di voce che gli impastava le parole. "Ti piace?" Mi chiese Katty dopo aver sfilato il foglio da disegno dall'enorme cartella. "Allora, ti piace?" Continuò a chiedermi tutto eccitato Edo per sollecitarmi a parlare. "Ma glielo lasci guardare in santa pace!" Lo bacchettò Katty che si era accorta del mio sgomento.  

 

Che senso aveva quel disegno? Perché erano venuti ad ascoltarmi? Non riuscivo a cavarmi via dalla bocca una cazzo di parola. Quello nel ritratto non ero io … c'era un bellissimo angelo con due piccoli corni sulla fronte. "E' Lucifero … il cherubino con le corna, no?" Ah, ecco … era stato Edo a suggerire il soggetto a Katty, che forse in chiesa si era seduta troppo distante per ritrarmi fedelmente. "Lo puoi tenere … se ti va" No. Katty ripose mestamente il cartoncino insieme agl'altri, ma quello più offeso sembrava Edo. "Scusa … avevo pensato che …" Che mi avrebbe fatto piacere? No, odiavo la mia faccia e ancora di più con un paio di corna in fronte. "Andiamo dai …" Lo esortò Katty, quando era chiaro che non volevo parlare con loro. "Ce l'ho a casa …" Non volevo rimanere solo e allora richiamai Edo e gli chiesi se aveva finito di leggere quel libro. "Se vieni, te lo do subito" Sì, non volevo restare solo su quella panchina.

 

"Hai qualche spicciolo?" Edo ci lasciò a Largo dei Librari dove Katty mi scroccò una birra. Lì non c'erano panchine e neanche fioriere per sederci, quindi bisognava consumare qualcosa al bar per occupare un tavolo. "A Katty, ma che ti sei messa a fa' la maestra giardiniera?" Il boccale di birra si prosciugò presto passando di mano in mano al nugolo di gente che si aggiunse rapidamente trascinando le sedie dagli altri tavoli. "E' solo il mio modello" Era piacevole sentirli parlare di arte o altra roba a me completamente aliena. "Vai a rimorchio per parrocchie!" Le battute sul mio conto si sprecarono, ma non mi davano fastidio perché erano bonarie. "Cazzo, dovresti proprio esporre i tuoi lavori!" Tutti apprezzarono molto il suo Lucifero declamante dal presbiterio …

 

"La sola cosa somigliante sono le corna" La critica arrivò puntuale da Lidia e non si poteva darle torto perché il cherubino cornuto era troppo bello, ma la battuta delle corna poteva anche risparmiarsela. "Prima che gli spuntassero, era il ragazzo della principessa sul pisello"Lidia fu particolarmente perfida e mi fece avvampare dall'imbarazzo. "Non prendertela per quella montata" La pessima reputazione che Giada aveva da quelle parti, mi procurò molta solidarietà e alla fine persino Lidia pareva compatirmi. Tuttavia, dallo stupore con cui esclamarono «Lui era il ragazzo di …», compresi di essere inadeguato per Giada perché con Asdrubale si era emancipata sessualmente. La mia immagine stessa era guardata come quella di un ragazzino perché non raccontava nulla della mia personalità e soprattutto non manifestava intenzioni erotiche.

 

Solo quando tutti se ne volarono via allo stesso modo di com'erano arrivati, mi avvidi che Edo era tornato e stava riordinando le sedie sparse tra i tavoli. Non lo avevo notato perché indossava la divisa da barista e chissà quante altre volte ero passato là davanti senza accorgermi di lui! "Così puoi rimanere a leggerlo" Mi portò un succo di frutta in un bicchiere e poi mi passò il libro, invitandomi a rimanere. Era stato gentile, anche troppo direi, ma si era fatto tardi e dovevo tornare a casa per pranzo … senza contare che ero intollerante al succo di frutta alla pesca. Aspettai un po' … lessi qualche riga … ingoiai persino un sorso di quel vomito di cane, ma poi me ne andai. Certo che avrei anche potuto salutarlo, però era troppo complicato con lui che doveva dar retta ai clienti …

 

Lessi i versi di Baudelaire riconoscendoci il dandismo bohemien che avevo sfiorato quel giorno al Largo dei Librari. Avevo annusato l'odore della notte che quelle persone portavano ancora addosso con il suo carico d'interiorità. La luce del giorno mi parve il vestito di una vita borghese interessata solo a titoli e onorificenze, un sole intento a proiettare nell'ombra le stelle della notte … un intero firmamento di luci siderali nel cui abisso si celava la paura dell'ignoto. Io volevo passare al lato oscuro della forza perché la stella del mattino illumina senza accecare e in quel momento stava sorgendo su Largo dei Librari. Col pretesto di restituire al più presto il libro, mi sedevo a un tavolo di quel Bar a guardare la varia umanità che ci scorreva attorno … qualche volto lo riconoscevo, ma nessuno si accorgeva di me … poi Edo scomparve e non riuscii più a incontrarlo …

 

La seconda media fu un anno particolarmente funesto a partire proprio dall'arrivo di Lidia nella mia classe. Lei era stata bocciata per la seconda volta per un sette in condotta e i suoi colpi di testa erano temuti persino dai prof. Fin dal primo giorno di scuola, manifestò un atteggiamento critico nei miei riguardi, lo stesso che mi riservava anche in parroccia e al Circolo. Si era sentita ingannata nel vedermi tornare ad amoreggiare con Giada come nulla fosse accaduto tra noi durante la colonia estiva. L'attrazione che provavo per lei somigliava alla levetta della scossa elettrica di una Skinner box … ma nel frattempo il mondo mi era crollato addosso e la scatola si ruppe, il ratto che vi era stato richiuso scoprì dunque l'inganno in cui era cresciuto e aveva iniziato a disimparare …

 

"Ti vedo sempre gironzolare al Bar dei Librari …" Un giorno, durante la ricreazione, Lidia venne a sedersi sulla sedia vuota del mio banco … l'avevo appena sgomberata prendendo a calci quel lardone che mi costringeva a farsi toccare le palle. "Guarda che Edo non ci lavora mica più" Lidia aveva appena stupito il mondo tagliandosi i capelli cortissimi e si vestiva praticamente da uomo con tanto di giacca e cravattina di pelle … la trovavo sexy da morire e avercela a un palmo di naso, mi flashava in testa tutte le fantasie zozzissime che facevo su di lei. "Ti piacciono i ragazzi?" Che cosa? "Non c'è mica niente di male" Dopo aver pestato il lardone in palestra per difendere Miss Raffaella Carrà, per ringraziarmi costei si era messo a raccontare che lo stolkizzavo durante le ore di ginnastica, facendo apparire quel pestaggio l'effetto di un dramma della gelosia tra froci …

 

"A Edo gli piaci" Che! "E' dai tempi dell'oratorio che ti fa il filo" Cosa? "Che poi non capisco che ci trova la gente in te" Quale gente? "Sei così presuntuoso" Ah mbè, aveva parlato miss simpatia che la dà a tutti via. "Dovevo dirti una cosa, ma non lo farò" E chi se ne frega. La storia del lardone e Miss Raffa già mi aveva stranito di suo, ma scoprire cosa ne pensavano tutti, mi sconvolse. Quando Panari Felice Marcello iniziò a darmi dell'inutile frocetto, disertai le partitelle di calcetto a Castel Sant'Angelo, ma a scuola dovevo continuare ad andarci e non sapevo come lavarmi di dosso quell'infamia … risolsi quindi al solito modo: diventare invisibile, cioè rimanere piegato su me stesso a covare dei rancori che mi facevano guardare gli altri con sprezzante diniego.  

 

"E' venuto un delinquente a cercarti" Da lì a qualche giorno, tornando a casa dagli allenamenti, mia madre mi disse con tono inquisitorio che avevo ricevuto visite. "Te la fai con i drogati!" Edo si era presentato esibendo una rigogliosa cresta moho e a mia madre per poco non venne un infarto. Aveva gli occhi spiritati quando mi ordinò di non frequentare quel diavolo. Le spiegai che lo avevo conosciuto all'oratorio, che avevamo anche servito messa assieme e sicuramente mi aveva cercato solo per quel libro che dovevo restituirgli, ma non servì a calmarla e a suon di scappellotti mi costrinse a consegnarli il corpo del reato perché voleva andare fino in fondo a quella storia rivolgendosi al parroco. Il quale non ebbe mezza parola buona da spendere su Edo e s'incaricò personalmente di tenermi d'occhio per non farmi cadere in tentazione.  

 

"Che hai raccontato a quella stronza di tua madre?" Secondo round. E' mattina e davanti alla scuola c'è il solito assembramento di gente che aspetta la campanella d'entrata. "Sarai soddisfatto adesso" Io non lo sapevo cosa diamine andò a dire mamma al parroco e tanto meno potevo immaginare che quello si fosse preso la briga di andare a casa di Edo per riconsegnare il libro. "Te lo sei voluto sciacquare dalle palle" Lidia non poteva ritenermi responsabile della scarica di botte che il padre gli aveva rifilato e tanto meno mi sentivo in colpa se lo aveva cacciato di casa. "Lo hai inguaiato tu" Ma di che? Non ci voleva una cima di genio per capire come avrebbe reagito una mamma trovandosi davanti a cresta moho.

 

"Ora tu vai da lui" Ehi, se non la piantava di spingere, mi sarei dimenticato che era solo una stupida femmina in preda all'estro uterino e l'avrei spalmata per terra. "Aoh, damose 'na calmata" Questa poi! Panari Felice che si mette a fare da paciere … "Abbassa lo sguardo co' me o te faccio fa 'na figura de merda davanti a tutti" Se ne poteva andare affanculo lui, lei e pure quell'altro che non avevo mica cercato io. "Certo che a te bisogna paga' du' sordi pe' fatte parla' e tre pe' fatte sta zitto" Se ti presenti a casa della gente con una pinna di pescecane cromata in testa … "Monta e basta" Salire in moto! Per andare dove? E poi stava già suonando la campanella d'entrata … "Nun lo sai che oggi è la festa dei cornuti" E se pure fosse? Io le corna non le avevo, chiaro? "Aoh, sei peggio de 'na cambiale … e sali!".

 

Era la prima volta che bigiavo scuola … era la prima volta che salivo dietro a una moto … mi sa che era anche la prima volta che mi stringevo così forte a un ragazzo, che strizza! Marcello guidava come un pazzo … ma dove mi stava portando? Percorremmo un bel pezzo di lungo Tevere e svoltammo per Viale Trastevere. "Semo arrivati …" Di semaforo in semaforo mi rispondeva che eravamo arrivati, ma percorremmo anche tutto Viale Marconi e quando stavamo fermi al semaforo per superare il ponte e riconobbi l'architettura fascista dell'Eur, scesi e basta. "Ma 'ndo vai?" E visto mai che mamma non avesse tutti i torti? Quello con la pinna in testa, questo che si credeva Marlon Brando in Fronte del Porto, per non parlare di quell'altra tutta scema … Aoh, ma chi ve conosce!

 

"E sali, che stamo a fa' riggira' tutti" Ah mbé, adesso ero io lo strano, vero? "Mamma mia, quanto sei … e sali!" Perché? Dove cazzo mi stava portando? "Stamo annà da quell'altro scemo come te" Beh, forse non ero abbastanza scemo da volerci andare. "E' possibile che non te frega proprio un cazzo de nessuno?" Improvvisamente tutto il mondo mi conosceva abbastanza da accusarmi di menefreghismo e ci parlava proprio lui che mi aveva cacciato dalla squadra di calcetto "A bello, se te che sei sparito da Castel Sant'Angelo pe' fattela coi puzza al culo" Era possibile che la storia dello «stupido frocetto» fosse stata solo una mia fisima? "Annamo su …" Che proiettassi sugli altri le mie insicurezze, come quando non volevo spogliarmi perché ero convinto che gli altri non avessero di meglio da fare che guardare la mia pancia? "E do' ce l'hai sta panza?" Ecco, appunto …

 

"Edo non è come noi ... " Noi? "Lui non è capace a incazzasse" Cioè? "Bello che padre, io t'ammazzo se …" Ad avercelo un padre. "E te lo sta a di' che noi semo du' figli de puttana" Sì, questa faceva ridere. "Non te sta a crede che s'era 'namorato pure de me" Seduti su quel bordo di marciapiede, Marcello mi parlava con i gomiti poggiati sulle ginocchia, tirando fuori delle parole che non avrebbe mai pronunciato alla presenza di altri. "Glie devi fa capi' solo se te piace la carne de porco" Pareva quasi che stesse parlando a se stesso, cercando qualcosa con lo sguardo che rincorreva il traffico su Viale Marconi. "Veroka non se lo po' tene' a casa" Nella versione di Marcello, il padre di Edo non lo aveva cacciato, ma era stato lui a scappare e ora dovevo convincerlo a tornarsene a casa. "Dai su … annamo che dovemo arriva' fino all'Axa".

 

Marcello volle mostrarmi tutta la potenza della sua nuova Gilera e sulla Via del Mare ebbi modo di provare l'effetto del mitico «calcio in culo» superando la soglia degli 8000 giri. L'acuto della valvola parzializzatrice mi fischiava ancora negli orecchi, quando iniziammo un lento slalom tra le buche di una lingua d'asfalto, che si snodava per un paesaggio arso dalla brezza marina con ciuffi di canneti che spuntavano tra i cantieri edili. Ci fermammo davanti a una villetta semicoperta da un'alta recinzione. Appena il rumore del motore si accostò al cancello, una muta di Rottweiler si schiantò contro le lamiere facendone tremare l'intelaiatura. I latrati ci seguirono mentre percorrevamo il perimetro della recinzione per arrivare a un cancelletto laterale. Marcello rispose al citofono «Sono Io» e subito dopo la serratura elettrica si sganciò. 

 

"Francu me amassa!" Veroka ci aspettava sulla porta con la sua chioma rossa e un maquillage che pareva una laccatura. "Francu nun vuole mi amisci qui" Era molto in apprensione per un certo Franco che non doveva neanche sapere che Edo era là. "Lui è così tristo, nun manscia niente" Veroka era uno schianto di trans brasiliana che avrà avuto poco più di una ventina d'anni. Ci accolse con un corsetto nero, calza a rete autoreggente e stivale tacco dodici … si accorse subito dell'imbarazzo che mi faceva scivolare lo sguardo sulle sue curve mozzafiato. "Lui te amu tantu … tantu" Gesticolava e continuava a toccarmi con quelle mani grandi dalle dita affusolate, ma con le unghie non lunghe come mi sarei aspettato. "Tu ragassino buono, vero?" Ragazzino un cazzo! Edo stava riposando, ma non si decideva a dirmi dove. "Vieni" Quel seminterrato era proprio uno strano posto: luci soffuse su pareti nere, con strani oggetti che pendevano da rastrelliere e in mezzo alla stanza una grande croce di Sant'Andrea corredata di legacci ...

 

"Io lo vedu da tui oci" E ma che palle! Tutte quelle raccomandazioni iniziavano a suonare come minacce. Entrai in un piccolo privè con dei divani così ampi che potevano fungere anche da letti. Edo stava rincantucciato in un angolo e pareva che dormisse. Mi avvicinai nella penombra che filtrava da una finestra a bocca di lupo e mi sedetti in silenzio … solo in quel momento compresi quanto sarebbe stato complicato parlargli … in fondo era solo un tizio qualunque e non era mica naturale stargli a raccontare come funzionava la mia intimità … del resto neanche io avevo chiaro in mente i meccanismi del mio sconclusionato eros.

 

"Ciao" A un certo punto si voltò, salutandomi senza stupirsi che ero là. "Grazie di essere venuto" Beh, veramente mi ci avevano portato a calci in culo. "Me li ha sistemati Veroka" Gli chiesi dov'era finita la cresta moho che aveva creato tutto quel trambusto … ma il padre gliela aveva sforbiciata e al suo posto c'era una frangetta corta e squadrata. "E' solo colpa mia" Gli chiesi scusa per mia madre, ma lui fu gentile e si accollò tutta la responsabilità dell'accaduto. "Perché la gente non capisce?" Forse perché nella grammatica degli ideogrammi sociali, la cresta moho significa un vaffanculo alle tradizioni borghesi … tipo riconoscere l'autorità di un padre che pretende un taglio di capelli utile a mantenerti un lavoro da barista. "Non me ne frega un cazzo dei capelli" Allora di cosa stavamo parlando? "Don Angelo lo sapeva che mi piacciono i ragazzi" Che stronzo! Glielo aveva confidato nel segreto del confessionale e lo aveva spifferato lo stesso al padre. "Papà lo sapeva già" E allora? "Me le ha date perché molesto i bravi ragazzi" E chi aveva molestato? "Te ... mi sono innamorato di te" Ah mbè, io avevo molestato molta gente senza bisogno di innamorarmi … Edo sorrise amaramente.

 

"A te piacciono i ragazzi?" Domanda non pervenuta. "Lidia dice …" Lidia doveva farsi un pacco di cazzi suoi. "E' vero che stavi con Giada?" Cos'era quell'interrogatorio? "No, era giusto per capire …" Piuttosto, perché non mi spiegava la sua volontà di amarmi. "Certe cose non si decidono" Il desiderio precognitivo ci prescinde, ma non l'intento di porlo al centro della nostra vita. "E' normale che …" Normale sarebbe anche che si fosse innamorato di una ragazza. "Dovrei fingere come fai tu?" Ehi! Stavo solo esprimendo un elemento critico sull'amore. "Io ti amo … lo capisci questo?" Quale desiderio esprime l'amore romantico … che voleva da me? "Voglio stare con te, voglio che tu sia l'ultima persona che vedo la sera e la prima che guardo al mattino, voglio dividere ogni attimo della vita insieme a te …" Doveva piantarla di guardarmi con quell'aria stupita, ok? "L'amore è avere bisogno l'uno dell'altro" Ah, ecco … certo che era una roba piuttosto impegnativa. "Tu non ti sei mai innamorato?" Doveva convenire che alla nostra età, il suo decantato amore era solo una dichiarazione d'intenti. "Certe cose si sanno e basta" Immagino che avesse ostentato la stessa sicurezza anche quando si era innamorato di Marcello. "E si vede che ho un debole per le teste di cazzo" Beh, amore o no, non poteva negare che la testa di cazzo gli ... "Smettila di fare lo spiritoso e rispondimi" Se mi fossi mai innamorato? Sentivo una sintonia speciale con lo spirito di Giada e un trambusto viscerale esagerato per Lidia, ma entrambi parevano scomposti dal bene in sé. "I ragazzi?" Perché era così determinante cosa ci fosse nelle mutande? "Cazzo, sei bisessuale!".

 

Edo accolse la notizia peggio di un vaffanculo che dissolse subitaneamente la sua impellenza amorosa nei miei riguardi. "Perché fai cozì?" Edo era fuori di sé e andò dritto al mobile bar per versarsi una vodka. "Seja paciente, ele ainda é pequeno" Veroka cercò di difendermi da quella che pareva essere un'accusa gravissima, ma ci rimediò solo sdegno da parte di Edo che le rinfacciò di lasciarsi usare da mariti frustrati e stronzi che la trattavano da puttana. "Ti ho aiutatu … ho fato tudo que me chiesto" Veroka sbroccò di brutto e gli rinfacciò la sua disponibilità, scoprii così che tutta la storia era stata architettata per portarmi là e, chissà, magari indurmi ad accettare la sua proposta amorosa. "Vafanculu tu!" Edo se ne andò sbattendo la porta e Veroka risolse così il suo problema. "Froce di merdu" Esclamò esausta, quando rimanemmo soli.

 

Nel frattempo si era cambiata e indossava solo un accappatoio di spugna. Con i capelli bagnati, le infradito ai piedi e senza trucco … la sua mascolinità era riaffiorata non solo nel modo virile con cui aveva appena sfanculato Edo. Raggiunse Marcello sul divanetto davanti al bar correndo su dei passettini vezzosi e si ricompose in una posa aggraziata prima di adagiarsi sensualmente al suo fianco. "Sono stanca … devo dormiro" Liquidò così la proposta di Marcello che le aveva attrezzato una striscia di coca sul tavolinetto di vetro. Poi ci salutò sulla porta con un arrivederci a Roma …

 

 

Quarta parte

 

 

Quell'inverno si portò via tutte le consuetudini che solitamente scandiscono i ricordi dell'infanzia. Durante l'estate la mia famiglia si dissolse completamente e fu anche l'ultimo anno che frequentai la colonia estiva della parrocchia. Era prassi che al ritorno in città fossi spedito in campagna, però il nonno era morto e Primo ormai ci si era trasferito quasi definitivamente abbandonando casa. Mia sorella covava già il desiderio di rimanervi anche lei, mentre io a questo punto mi sentivo un ospite poco gradito. Mamma, invece, era appena stata folgorata dalle attività filantropiche di Paolo e da lì a poco sarebbe partita per il suo primo viaggio missionario in Africa, affidandomi sempre più spesso alle cure di Evelina.

 

Che le cose fossero cambiate me ne accorsi la sera del ritorno dalla colonia estiva, quando tutti pensarono che spettasse all'altro venire a prendermi. Alla fermata dell'autobus c'incrociai Edo che era arrivato per aiutare Lidia con il suo zaino da campeggio. "Benvenuto nel club degli scappati di casa" Mi disse, dopo avermi invitato a tornare in metro con loro. Lui ora faceva il barista al Dark Angel che era il locale della sorella di Lidia. Stava a due passi da casa mia e lo frequentavano le stesse persone che avevo visto a Largo dei Librari, così mi proposi di aiutare Edo a preparare i tavoli per l'apertura. Passava verso le sei del pomeriggio sotto casa e mi fischiava dal vicolo. A mamma dicevo che sarei tornato per cena, ma se poi in casa c'era solo Evelina, potevo anche tornare all'alba perché lei mi lasciava apparecchiata la tavola e se ne tornava a casa sua alle otto in punto.

 

"Divina Lilith, ti ho portato un nuovo adepto" Edo m'introdusse così nel gruppo di Lidia. "Avere un paio di corna non basta per stare alla corte della regina di Roma" Lidia era in piena fase gothic fantasy e si faceva chiamare Lilith. "Esiste qualcosa di più patetico di essere gelosi di un bisessuale?" Commentò sardonicamente Edo. Con Lidia flirtavamo parecchio, nel senso che ci piaceva fare le cose insieme e quando stavamo nello stesso posto, lei veniva a sedersi accanto a me. "Intanto il bocconcino sta con me" Il mio ego si doveva ancora abituare a gestire una fioritura fisica inaspettatamente attraente. "Ma non sei la sola che se lo scopa" Edo aveva ragione perché ancora non riuscivo a caratterizzare l'amore e la fedeltà sessuale. "Noi siamo una coppia aperta" Sì, Lidia anche aveva seri problemi con la fedeltà sessuale. "E Miss ce l'ho profumata lo sa?" Però non aveva dubbi sull'amore ed era gelosissima di Giada. "Rosica pure, frocetto" Guai a nominargliela! "Frocio ma non scemo a inguaiarsi con un bisessuale"Quella volta era furiosa perché Giada mi aveva telefonato dalla Sardegna.

 

Lidia passava spesso a casa e trascorrevamo assieme dei bei pomeriggi … anche se poi non si faceva sesso … almeno non sempre. Farlo con lei era totalmente diverso da Giada … erano sicuramente due schianti di femmine, ma esprimevano degli eros opposti. La bellezza di Giada era piena di vezzi che stuzzicavano con le loro malizie e ogni volta che me lo prendeva in bocca, era come se profanassi una reliquia sacra, facendomi arrapare come una bestia. Lidia era bizzosa e caparbia e doveva sempre prendere lei l'iniziativa. "Ora leccamela" Non che mi dispiacesse obbedirle, fatto sta che mi sembrava di essere tornato ai tempi di Lalla e se Giada stava ufficialmente con Asdrubale e mi usava solo quando era in astinenza di «romanticismo», pure Lidia si fidanzava continuamente con qualunque maschio le solleticasse l'appetito, anche se poi lo sapevano tutti che preferiva me e si logorava l'anima perché io non ero per niente geloso.

 

"Lui vuole uno dona veru" Sì, anche Veroka si faceva qualche uscita con noi e si divertiva a imbarazzarmi con la sua prorompente sensualità. "Zitta, puttana" Era una strana amicizia quella che la legava a Lidia, che usava pomiciarsela scatenando ogni volta il clamore generale. "Siete osceni tutti e tre" Edo ci aveva ribattezzato Lilith, la madre dei demoni, Echidna, la donna metà serpente e Lucifero, il cherubino cornuto … beh, diciamo che con me ci aggiunse un pizzico di perfidia in più. Il mio super potere fagocitava ogni tipo di erotismo, senza essere capace di produrre alcun desiderio, così pareva che gli altri si approfittassero della mia giovane età. Anche se oramai ero un tronco di pino che viaggiava verso il metro e novanta, tutti sapevano che ero piccolo e non mi ritenevano cosciente della mia disinvolta sessualità … specie quando Marcello mi si portava per un giro in moto, vantandosi poi che eravamo andati a puttane, ma sarebbe stato più giusto dire che io scopavo e lui si segava guardandomi.

 

Io mi sentivo come un cane cui è morto il padrone e non può fare a meno di continuare ad aspettarlo. Questo m'impediva di appartenere a qualcuno, costringendomi a rimanere un randagio. Quella di Capo dei Fiori era solo una delle mie esistenze e il fatto che fosse la sola in cui ero bisessuale, non mi ci faceva certo sentire a mio agio. Stare lì o da un'altra parte non era poi così diverso per me, anzi, avevo bisogno di cambiare ambiente per sentirmi libero e durante quell'estate m'iscrissi al Club Mykonos, che era un beauty center anche questo di proprietà del padre di Lidia. Stava proprio dietro Campo dei Fiori ed era frequentato da parecchia gente del Circolo. Lì dentro c'erano anche delle attrezzature di pesistica e nessuno badava all'età per fartele usare. Il Mykonos rimaneva aperto anche di Ferragosto e di pomeriggio spesso alle macchine c'ero solo io e un altro ragazzetto dall'aspetto particolare, la cui fisicità mi metteva decisamente in subbuglio l'epifisi.

 

"Mi vieni a tenere i pesi alla panca?" Era Carmelo e le potenti erezioni che dovevo dissimulare ascoltandolo gemere mentre pompava ai pesi, mi costringevano spesso a evitarlo. "Posso usare il tuo asciugamano?" Avevo accumulato una discreta esperienza negli approcci tra maschi in palestra, ma lui pareva compiere quei gesti senza alcuna malizia. "Guarda che deltoidi" Per tutti i demoni dello Zohar! Come niente se ne stava con l'asciugamano legato in vita a mostrarmi ogni muscolo in tensione … gli avrei fatto ben vedere quale muscolo metteva in tensione a me. "Te piacerebbe … brutto frocione" Aoh, e qualche apprezzamento pesante mi scappava di bocca, ma forse lui non li prendeva sul serio e comunque non gli dispiacevano … e via pure l'asciugamano, continuando a parlarmi senza badare a quel suo culetto cesellato e poi … quale cornucopia dell'abbondanza portava tra le cosce! "A pieno carico so' cinque etti de ciccia" E come gli piaceva vantarsene dopo la doccia che gli diventava barzotto! Oddio, il tono era sempre scherzoso, però era tutto decisamente ambiguo o no?

 

"Se passi a casa, ti offro da bere" Cioè? "Aoh, non te sta a crede …" E che dovevo credere? Non faceva altro che scodinzolarmi davanti! "Ma che ancora non m'hai riconosciuto?" Ah beh, questa certo non era originale come battuta d'acchiappo. "Da piccoli, da mi nonna …" Bah! "Nella la piazzarola" Oddio, la comare Nella! Mi veniva sempre il panico quando due esistenze parallele si cortocircuitavano. "Se poi me voi fa' 'n cappellotto, mica me tiro indietro" Scherzava, certo che stava scherzando. "T'ho visto che bazzichi in piazza" Quando giungemmo nella piccola corte dove abitava la comare, mi portò nella vecchia rimessa del carretto che era diventata una sorta di ludoteca. "Magari una sera di queste ce famo un'uscita assieme" C'era un vecchio divano davanti a un piccolo televisore poggiato su attrezzature varie di videoripresa e una panca di quelle con i pesi da culturista. "T'ho visto come te dai da fa" Dopo avermi offerto una birra dal frigorifero, iniziò un discorso strano sulle volte che mi aveva notato in piazza e alla fine di un lungo tergiversare, arrivò al dunque. "Me piaciono pure a me le trans" Aveva assistito a un bacio tra il cherubino cornuto con l'Echidna. "E' una gran figa" Si era innamorato di Veroka …

 

Carmelo era timido e come tale covava una sconfinata volontà di potenza. Era complessato dal suo metro e mezzo d'altezza e cercava di compensare sviluppando i muscoli. Sicuramente mi avvicinò perché gli piaceva Veroka, tuttavia tra noi s'istaurò un feeling erotico immediato. Quando eravamo soli, diventava un altro e rideva, era espansivo, si sbragava svaccando senza ritegno … era come se con me riuscisse a liberarsi di una vita di frustrazioni. Appena un paio d'occhi si aggiungeva ai miei, tornava a essere timido e rancoroso. Un paraculo che non si faceva scrupoli a fregarti per raggiungere i suoi scopi, specie quando doveva tirarsi fuori dai guai. Però a me piaceva e lo imposi anche alla Lilith e l'Echidna se ne innamorò pazzamente.

 

La nostra amicizia divenne qualcosa di famigliare quando servì a riallacciare i rapporti tra sua nonna e i miei. La comare mi trattava con i guanti di velluto perché riteneva che fossi una buona amicizia per il nipote. M'invitava sempre a cena e si scusava ogni volta per l'umile ospitalità che poteva offrirmi. Carmelo era di San Basilio, ma si era trasferito dalla nonna per darle una mano.

" … e questo chi è, un altro figlio che hai sparso per il mondo?" Dante era anche più bello di come me lo ricordavo. "Mannaccia a te!" Le rispose la comare quando, rientrando dal lavoro, mi aveva trovato seduto al tavolo a cenare con lei e Carmelo. "Non ti ricordi manco più la faccia del comparetto!" E sì, intanto nemmeno lei mi aveva riconosciuto subito. "Toh, se me te ricordo … porto ancora i segni" Di tutta risposta alla madre, si alzò la maglietta mostrandomi l'ombelico incoronato da un contrappunto di dentini. Cazzo! Gli avevo lasciato le cicatrici di quando lo morsi a sangue. "Madonna Santissima se eri impunito, a quella porella de tu madre la facevi uscì pazza" Che palle, poi la comare si mise a raccontare pure di una volta che le rifilai certi calci negli stinchi! Ok, avevo un carattere di merda, allora? "Guarda che faccia!" Sono una testa di cazzo, mbè … sono così antipatico che mi vado sul culo da solo, allora? 'amoriammazzati, erano riusciti a farmi arrossire …

 

Il fatto fu che quando rividi Dante con la tuta sporca di tinta d'imbianchino, mostrarmi quell'impronta fossile del mio passato sulla sua pancia … non so … desiderai per lui tutto il bene del mondo. Da pischello Dante era stato una piccola celebrità nel suo rione, dove lo chiamavano Tomas Milian per la somiglianza al mitico personaggio de' "Er Monnezza". Durante gli anni settanta Campo dei Fiori era il centro della vita culturale romana, ci si vedevano artisti del calibro di Pasolini e le star del cinema ci prendevano casa in affitto. All'epoca Dante covava velleità di attore e regista cinematografico e girò anche alcune pellicole «artistiche». La madre sosteneva che furono quelle cattive compagnie a iniziarlo all'uso dell'eroina … vero o no, a vent'anni si era già fottuto la vita e la comare lo aveva appena ripreso in casa dopo la riabilitazione in comunità.

 

Sono certo che la Zia Pina mi avrebbe ammonito di tenermi alla larga da quella manica di sfigati, altro che pietas di cui andai a parlare allo Zio Gerardo. "Tua Zia aveva un cuore così buono!" Sì, almeno quanto la sua piccola opera d'arte che lo stava blandendo con la presunta magnanimità della moglie. Avevo nel mirino il «cinquino» di suo figlio Tommy che da quando era a studiare all'estero, era rimasto a prendere polvere nel garage davanti casa. Sarebbe invece stato utile a Dante che guidava una Vespa tutta scassata. "Giuseppa era una santa …" Tutti in casa della comare avrebbero tratto beneficio da quella fiammante Cinquecento Abbarth con assetto ribassato, gonnelline e cerchi in lega. "Tanto per me quell'auto è solo un peso …" Fu così che andai dallo Zio e gli rifilai la balla che sua moglie aveva sempre aiutato la comare e le avrebbe certamente fatto il favore di usare l'auto di Tommy.

 

"A principi' … lo sai da quand'è che c'ho messo l'occhi sopra a sto gioiellino?" La trattativa andò oltre più rosea aspettativa e lo Zio Gerardo non solo gliela regalò, ma beandosi della memoria di una consorte dal cuore d'oro, era anche disposto a pagare il passaggio di proprietà. "Pigliatela e sparisci … e dimme pure grazie, perché se non eri tu, le cose non finivano certo così" Lo zio fu proprio generoso e ci disse anche che il garage era pagato fino alla fine dell'anno. Livio, il proprietario del garage, però mi disse sul grugno da quanto stava corteggiando lo Zio per comprarsi quel gioiellino e quanto si rodeva ad averlo tenuto sempre a lucido per farselo sfilare sotto il naso, quindi niente garage … pazienza.

 

"Io proprio non te capisco … ma semo amici noi due o che?" Arrivammo in macchina direttamente nella piccola corte e la comare uscì di casa ringraziando la Madonna e anche gli altri vicini scesero a festeggiare. Certo che non si trattava di una Ferrari ma Tommy aveva amato quella Cinquecento come solo un diciottenne sa fare con la sua prima auto … era proprio bella ed io ero strafelice di aver ingannato lo zio … Fare del bene a Dante era la cosa più inebriante del mondo. "Ce lo steccavamo noi il cinquino de tu zio, scemo!" L'unico che non la prese bene fu Carmelo, che mi mise davanti al valore della nostra amicizia. Ok, io avevo sicuramente le idee confuse riguardo ai sentimenti umani, ma secondo lui la nostra amicizia era da anteporre alle esigenze di tutti gli altri?

 

Dante si arrangiava a fare l'imbianchino e quando non trovava da lavorare, all'alba si metteva davanti a uno di quegli ingrossi di materiali edili, che a Roma chiamano «Smorzi», e aspettava che qualcuno gli offrisse una giornata di lavoro. Chiesi quindi a Luca, la cui famiglia era proprietaria di un grande smorzo sulla Flaminia vecchia, se avessero avuto bisogno di un operaio … e andò proprio così! "I pezzenti so' le sole come te …" Ma più le cose si mettevano bene per Dante e meno Carmelo ci andava d'accordo. In fondo non aveva tutti i torti nel sostenere che lo zio si era messo a comandare in casa. Credo che si fosse riappropriato della sua autostima. "Mica sei mi padre" A Carmelo non potevi chiedere di farsi vedere in giro come un pezzente … considerava umiliante sporcarsi le mani con dei lavori umili. "A nonna e non te ce mette pure tu, ce lo sai che la polvere me da fastidio!".  Le cose erano andate così. Durante i primi giorni che Dante aveva preso a lavorare nello smorzo della famiglia di Luca …"Ma vedi de fatte meno anabolizzanti che te se sta atrofizzà il cervello" … il capo in persona gli aveva passato un lavoretto di fiducia per un cliente molto particolare … "Senti chi parla … ma se porti ancora lo spadino attaccato ar braccio" … e a Dante serviva un manovale per riuscire a fare un lavoro con i fiocchi. "Ci vengo io" E che sarà stato mai imbrattare quattro mura! Dante accettò subito la mia proposta, ma la comare non gliela perdonò a Carmelo e sottolineò il suo disappunto infilzando sul tavolo il coltello con cui stava pulendo la cicoria.

 

Il lavoro consisteva nell'eseguire uno «spatolato» rosa per la cameretta di una bambina … non sapevo cosa fosse uno spatolato, ma il termine cameretta mi faceva pensare a uno spazio piccolo.

" A ragazzi', bagname sta marzocca" Quel giorno compresi il fastidio che provava Carmelo a prendere ordini dallo zio. "Abbassa la cresta che non sai manco che è 'na marzocca" E se magari l'avesse chiamata in italiano: pennello grande … "Mi scusi Signorino, ma quella in italiano si chiama pennellessa" Pure signorino adesso? "Se non vuoi che te sfotto, smettila de fa' l'impunito" Impunito in romanesco si dice del pupo che piagnucola sempre … io  non ero un impunito, cazzo! "Ohi, mado' … tiè, arimozzacame l'omblellicolo che è meglio de statte a sentì lamentà!". Eh, quasi, quasi … quella sua pancia pelosetta mi appariva appetitosa come un piatto d'insalata ai germogli di bambù …

 

"Che c'è, mo fai l'offeso?" Ma no, è che mi sforzavo tanto affinché mi considerasse abbastanza grande da essere suo amico. "Ah no, ma se non spiccichi più 'na parola?" E mi sa che era proprio così … ero un bamboccio viziato e m'impuntavo su questioni da borghesuccio. "I borghesi so' quelli come Carmelo che c'hanno paura de sporcasse le mani pe' non sembra' quello che sono". E allora io cos'ero? "Sei uno di quei damerini che le mani se le sporcano pe' sentisse come uno del popolo" Ah, ecco … pure peggio. "Ma piantala va … il guaio tuo è che c'hai le pigne in testa" Forse era meglio che non cercasse di consolarmi. "Oh, ma la tigna quella non te m'hai passata, eh!" Mi provocava, ecco cosa stava facendo e io ci cascavo ogni volta come un imbecille … ci godeva a farmi sbroccare indovinando sempre le cose che m'infastidivano di più.

 

Era indubbio che Dante mi piaceva, ma era difficile capire perché … il mio eros viscerale era troppo debole per imporsi nel roboante tamtam emotivo nella mia testa. "E sta roba da dove spunta?" Più che altro, sentivo un intimo bisogno che qualcuno si occupasse di me. "Te lo passa Carmelo per steccacce sopra!" Macché, Carmelo manco fumava, l'hascisc me lo passava Marcello. "Questo lo requisisco io" E no … intanto se lo stava fumando lo spinello che avevo confezionato per darmi arie da duro. "E che direbbe tu madre se sapesse ... " Mi stava forse ricattando? L'uomo del popolo … 'sto comunista del menga! No, mi stava solo provocando di nuovo ed io là a cascarci come un broccolo. "Che faccia da bronzo che c'hai" Ah, adesso sta a vedere che … "Tiè … fuma … accannate, basta che te stai zitto". Sì, però se me ne rimanevo in silenzio più di un minuto, tornava all'attacco … uffa! "Me fai morì … giurò che me fai morì" E va bene … poteva pure andarsene 'ammoriammazzato.

 

Arrivai alla sera che ero stremato dalla fatica, dalla polvere e dall'implacabile goliardia di Dante. "Annateve a lava' prima …" La comare ci stava preparando un fritto misto alla romana e mammole allo spilucchino … c'era da svenire per la voglia di azzannare quelle pepite d'oro sfrigolanti! "Ho acceso l'ho scaldabagno da 'n ora …" Proprio un trattamento extra lusso! L'acqua nello scaldabagno, però, bastava a riempire solo una vasca. "Prima i pupi …". Il bagno della comare era stretto e lungo con una finestrella che era un buco quadrato nello spesso muro di tufo. C'era sempre cattivo odore ma non credo che dipendesse dall'igiene perché era tutto strapulito. L'acqua bollente aveva impregnato l'aria di vapore e dilatato il mio sistema cardiovascolare … la lampadina nel lampadario ovoidale brillava opaca con il suo filamento incandescente … stavo quasi per addormentarmi. "Sbrigate che non me voglio lavà con l'acqua fredda" Mi stavo dilungando troppo e Dante bussò al vetro della porta. La vasca stava accanto all'uscio e mi bastò alzare il braccio per far scivolare il paletto fuori dal vincolo. "Aoh, ma stai ancora a mollo!" Dante si sedette sul water a rollare una canna … Ok, mi vergognavo un po' a farmi vedere nudo e speravo che se ne andasse per qualche attimo. "Strignete …" Lui, invece, non indugiò oltre, si calò le braghe e s'immerse nell'acqua ancora fumante. "Questa è maria …" La vasca era lunga, ma io ero alto e lui non era basso, così avevamo ognuno gli stinchi dell'altro sotto le ascelle. "Ispira direttamente quando soffio …" Aveva tra le labbra un cannone rollato alla Bob e mi stuzzicava dicendo che non era roba per bambocci … ma quando era rimasto poco più del «polletto», m'insegnò a fare il bacio: braciere della canna in bocca mentre ti soffiano il fumo direttamente in gola … la dolce maria va giù senza «raspare» e s'inizia a tossire solo perché non ti accorgi di essertene riempito totalmente i polmoni … un flash mi sdraiò contro lo scivolo della vasca e poi esalai l'ultimo respiro in una sensazione di rilassamento celestiale.

 

"Che è sta puzza!" E sì, adesso era proprio l'odore di maria che puzzava in quel cesso. "Io t'ammazzooo!" La comare irruppe nel bagno ed ebbe un eccesso isterico, che non ebbe però alcuno strascico. "Sbrigateve … e con te famo i conti dopo" Mannaccia a lei, mi rovinò quel piccolo momento di paradiso. "Lasciala sta che non lo sa mica er paraculo che sei" Che bello sentirsi suo amico. "Lavame la schiena, va …" Si alzò facendo sorgere impudicamente dall'acqua la sua nudità. "Sbrigate o senno la vecchia ritorna" Mi sollecitò ad alzarmi … non era certo la prima volta che lavavo la schiena a un maschio, però non rendeva meno imbarazzante far scorrere la schiuma sulle sue spalle e poi vederla fuggire via tra l'incavo delle natiche. "Avanti, girate" Andò ancora peggio quando sentii le sue mani sfregarmi energicamente la pelle. "Famo finta che non me ne so accorto" Eh che ci potevo fare? Mi ero emozionato e non potevo certo nasconderlo … sarei voluto sprofondare dalla vergogna.

 

"Questi so' i carciofi cimaroli veri …" Mentre mangiavamo i broccoli e le patate in pastellato con della croccantissima borragine, la comare friggeva le mammole alla giudia, illustrandomi con perizia come si riconosce un vero carciofo romanesco … che ne avesse infilato uno anche nelle mutande di Dante? Eppure in bagno non mi era parso così abbondante … ma perché lo sguardo cadeva sempre su quei dettagli sconci? "Deve averci il torso grosso …" La comare li conosceva bene i cimaroli perché ne aveva sempre venduti per il vicino ghetto, dove li acquistavano per le festività a seguito del capodanno ebraico … intanto Dante mi pizzicò a guardargli il pacco e precipitai fulmineo lo sguardo sulla mia deliziosa mammola fritta.

 

"Che fai, vieni?" Carmelo non ingeriva grassi idrogenati e aspettò che finissi di abbuffarmi per propormi di andare in piazza. "Dopo annamo in quel locale in centro" Aveva ragione a dire che era sabato sera, ma ero stanco e non avevo un cambio d'abiti … e poi lo spettacolo di Dante nel suo orribile pigiama di cotone, mi allettava di più. "E famo un salto a casa tua … che ce metti a infilatte un paio de pantaloni" Carmelo insisteva troppo e probabilmente stava al verde. "Ma che te insisti … lo vedi che è stanco" No, l'intervento di Dante non fu una buona idea. "Finitela de dà spettacolo … " Carmelo gli rispose che doveva smetterla di rinfacciargli la faccenda del lavoro e l'altro continuò a ricordargli i buffi che andava facendo. "Tiè … piate sti sordi e vatte a pià 'na pizza e tu piantala che lo so io e il padreterno i guai che m'hai combinato all'età sua" La comare risolse l'ennesima disputa sfilando un deca dal portafogli. "Tu che fai?" Carmelo prima di uscire mi domandò da che parte stavo … dunque mi alzai muto per andarmi a infilare i jeans sporchi di tinta. "Per Dio!" Dante imprecò intimandomi di restare seduto e non sapevo più che fare … "Tu si nuddu ammiscatu ccu nenti" Per fortuna Carmelo se ne andò sbattendo la porta di casa.

 

Ricominciai a sgranocchiare qualche foglia di carciofo cercando di masticarla senza rompere il silenzio imbarazzato in cui era piombata la cucina. "E tu lo difendesti ancora!" Dopo un po' Dante esplose di nuovo … presero a discutere in siciliano, forse proprio per non farsi capire, in ogni modo compresi che si domandavano come agire con Carmelo e se fosse stato meglio rispedirlo a casa per far risolvere la faccenda al padre. "Faije trovà 'na brava ragazzetta che glie mette la testa a posto" Ecco un'altra funzionalità dell'amore razionale: smorzare le intemperanze dell'aggressività propria all'eros attivo. "Arruso è … i puppi gli piacessi" Dante esortava la madre ad aprire gli occhi e che la piazza non parlava d'altro della sua relazione con Veroka. "U lupo de mala cuscienza comu opera accussì penza" Commentò al figlio la comare con una gestualità platealmente sarcastica, al che Dante gettò la forchetta sul tavolo e se ne andò fuori casa sbattendo anche lui la porta.

 

"Guarda la televisione che questo è lavoro mio" Avrei voluto aiutare la comare a sparecchiare, ma lei spostò il carrello del televisore fin davanti al divano e mi disse che avevo «travagliato» quindi ora dovevo riposarmi. Dante rientrò presto e si sedette accanto a me. "Li vuoi vedere?" Mi propose di guardare i suoi girati, di cui avevamo parlato durante il pomeriggio.  "Chissu picciotto ancora è!" Curiosamente la comare si mise a fare storie per non lascarci andare nella ex rimessa. "Ma che ne capisti mai!" Quando iniziai a guardare quel materiale, mi fu più chiaro il disappunto della comare. Il film che sarebbe dovuto venirne fuori, era sicuramente qualcosa di «artistico» … tipo ripresa di figuranti nudi che corrono o primi piani di corpi in movenze plastiche … insomma, di gente vestita non ce n'era.

 

"In piazza se ne dicono tante su l'amici tua" Distesi nel divano letto della cucina, Dante mi raccontò della sua età dell'oro come qualcosa di remoto. Parlava degli anni settanta, quelli degli ideali e della rivoluzione dei costumi, troppo diversi dalla mia generazione allevata nel consumismo, in cui tutti si vendevano come puttane all'incanto. "Roba tipo messe nere e orge …" Aveva un tono di voce caldo che presto iniziò a stridere con i pettegolezzi che andava citando. "… femmine co' femmine …" La diversità si veste di trasgressione quando si eclissa dalle regole. "… froci e viados …" Dovevamo stare attenti a irridere la paura della gente sempre pronta ad appiccare il fuoco alle pire. "Il grassone qua davanti dice che tu …" Le persone ti rendono protagonista delle proprie fantasie più perverse. "Prima nel bagno non m'è parso che te facesse tanto schifo …" Dove voleva arrivare?

 

"Ma che me 'nporta …" E lui ci credeva a quelle stronzate? "Sapessi le ammucchiate che ho fatto io!" Quindi ci credeva? "E che ne so se co' Carmelo stasera annavate a batte coi transoni …" Ma vaffanculo! "La faccia da puttana ce l'hai" Mi stava provocando e come al solito c'ero cascato. "Credi che non me ne so' accorto …" Mi passarono i brividi quando iniziò a guardarmi in modo strano. "Senno perché te daresti tanto da fa pe' me?" Era vero che mi piaceva, ma non era per intrufolarmi nelle sue mutande se … "Sei una tentazione pericolosa" Disse, arrendendosi alla mia ingenuità. "Dormi va …" Spense la luce e poi lo sentii tirare un gran sospiro. Rimuginai parecchio prima di tornare a guardarlo. "Dormi?" Gli chiesi in un sussurro … era molto bello con le braccia tirate sotto la testa e il petto in fuori. "Dante, mi senti?" La luce del lampione stradale entrando dalla finestra gli tagliava delle ombre decise sul volto spigoloso. "Dante!" Teneva gli occhi chiusi, ma era passato troppo poco tempo perché si fosse già appisolato. Il farabutto stava solo fingendo di dormire perché lo sapeva che lo avrei fatto … poggiai la mano sulla sua pancia piatta a percorrere la via che conduceva negli abissi.

 

Aprì gli occhi quando comprese che non avrei osato troppo. "Non l'hai mai fatto?" Si alzò sulle reni e si abbassò il pigiama, poi si sistemò più vicino a me. "Toccalo" L'estetica del suo cazzo si meritava un sette più: bel fusto eretto ma con una marcata torsione apicale, prepuzio spesso però morbido e completamente retrattile, glande pregevole ma privo di corona e senza frenulo. "Non mozzica mica" Non l'avevo mai preso in bocca, però le madame ce lo moscio avevano della pratica una grande considerazione. "Attento però che se glie fai girà le palle, te sputa in faccia" E non la piantava di parlare! "Da bravo, leccalo prima" Non era tanto il sapore, quanto l'odore che mi respingeva. "Aoh, ce semo lavati insieme" Ovvio che non puzzava, ma l'epitelio olfattivo è un neuroepitelio, cioè è formato da neuroni alternati a cellule di sostegno. "Riprova, dai …" Degli assoni del tratto olfattivo sinaptano direttamente con l'ipotalamo e i feromoni secreti dai suoi genitali mi provocavano repulsa. "Sputace sopra, così l'odore sparisce" Tuttavia l'ingegno della libido sa porvi rimedio e la saliva contiene bicarbonato che abbassa l'acidità. "Succhialo …" La salivazione è connessa anche al sistema nervoso ortosimpatico della sinapsi emozionale, fortemente coinvolto in un rapporto sessuale. "Mo te piace!" Beh, nel complesso direi di sì, ma era come guidare su una piccola carreggiata stretta fra due guardrail. "Lascia fa a zio" E sicuramente non mi piaceva quanto a lui. "Te faccio vede' come se fa …" Mi tirò via i boxer e lo agguantò in una stretta feroce, poi ci mancava poco che mi facesse venire segandomi rapidissimamente e soddisfatto di avermi fatto torcere tra le lenzuola, ci sputò sopra e lo ingoiò avidamente, senza alcun problema olfattivo. "Argh!!!" Una corsa che si concluse presto con una fuga al lavello per sputare il mio orgasmo …

 

Sollecitandomi con quel preliminare di mano, aveva provocato le mie prolifere ghiandole di Cowper. "Mi piacerebbe sape' che te frulla dentro sta capoccetta …" Non ero venuto! "Può succedere all'età tua" Dante si avvicinò con il volto al mio ed io mi allontanai di riflesso. "E mo non fa l'offeso …" Lui mi seguì nell'angolo del letto in cui mi andai a nascondere. "Ce abbracciamo stretti, stretti …" Mi cinse da dietro e le sue mani scivolarono sotto la maglietta. "Te piace fa l'amore?" Mi sussurrava negli orecchi mentre mi premeva con la foga dell'impeto sessuale. "Dimmelo che te piace …" Sentivo chiaramente la sua erezione strofinarsi si di me, mentre le sue mani s'intrufolavano fin dentro i boxer. "Dimmelo se non ti va più …" Era assai piacevole tenere le palle tra le sue mani, ma quell'insistenza mi stava infastidendo. "Buonanotte" Stanco del mio silenzio si ritrasse dalla sua parte del letto e mi sentii improvvisamente in colpa.

 

"Dante"Allora lo raggiunsi, ma non mi rispondeva più. "… tu sei frocio?" Cercando di tirarlo dentro a una conversazione, scoprii che era per timore dell'omosessualità che non volevo continuare a farlo. "Tra la rota e il metadone, m'ero pure scordato de aveccelo" Il suo tono di voce mi commosse e lo abbracciai da dietro. "Da ragazzino c'era un tappezziere a Via dei Banchi Nuovi che me dava mille lire pe' un cappellotto" Il tappezziere a lui o … "Me diceva che all'età tua non è peccato" Mi trascinò la mano sopra la morbidezza della sua intimità. "Col grassone che abita qua di fronte … certi infracoscia!" Lo stomaco mi si strinse a sentirlo inturgidirsi. "Però non me piaceva, invece co' Angelo, il pescivendolo due banchi più giù del nostro …" Poggiai l'orecchio contro la sua schiena e sentivo la voce formarsi dentro il suo corpo. "A un certo punto me s'era piantato in testa … me rintronavano il cervello giorno e notte le canzoni che cantava al banco … allora ho capito che quei giochetti erano diventati peccato pure pe' me". Avevo infilato le mani sotto l'elastico del suo pigiama e palpavo un'erezione che mi emozionava. "Non ho mai provato la stessa cosa pe' 'na ragazza" Qual è il nesso tra l'amore e l'attrazione fisica? "Te fa batte forte il cuore e non te stanchi mai de di' te amo" Le dolci emozioni ispirate dalla dopamina possono ingannare le parole dei pensieri neocorticali. "Se non me volessi bene, non me lo staresti mica a sgrullà, no?".

 

"… che porco che sei!" Ero stanco di comporre pensieri. "Se me lasciassi tira' giù l'elastico …" Avevo bisogno di dare stura alle emozioni che quel contatto fisico stava provocando. "Porc … devi fa piano … e sputace sopra." Ah, già! La prodiga saliva. "Se te staccassi 'n attimo …" No, umettai bene e col dito puntai il bersaglio. "Che testa di cazzo!" Presi come un complimento il suo insulto e dopo aver premuto, improvvisamente sprofondai nel risucchio delle sue carni. "Per Dio, me stai a fa male!" Non so in cosa sbagliassi, però mi respinse bruscamente e abbandonò il letto. Lo vidi andare al lavello a sciacquarsi il pisello, poi fece per tornare ma si bloccò. Camminava avanti e indietro per la stanza passandosi la mano tra i capelli riccioli e non parlava più … basta. "Aoh, mo m'hai stancato …" Lo volevo e lo raggiunsi, lui cercò di respingermi, ma era fin troppo facile vincere i suoi gesti fiacchi. "No … no … no!" Tenendolo per i polsi, riuscii a rivoltargli un braccio dietro la schiena e bastò spingerlo per farlo piegare sul tavolo della cucina e dopo fu tutto rapidissimo. "No … no … oddio!" Glielo piantai nel culo in un sol colpo … tirava su dei singulti mentre trattenevo gli affondi nei sui lombi … finalmente aveva smesso di parlare. C'era solo il rumore delle zampe del tavolo che scappavano via sotto ogni colpo di reni. "Che sta a succede?" Solo la voce agitata della comare Nella seppe farmi ritrarre, chissà da quando stava menando pugni sulla spalliera del letto. "Niente a Ma' … non sta a succede niente" La rassicurò Dante … io mi ero tirato su le braghe e aspettavo con il panico in volto. "Il gran maschio che c'ha paura de mamma" Commentò Dante, dopo avermi preso per il collo e costretto ad abbassarmi per dirmi quella fregnaccia. "Me lasci guida' a me?" Era diventato molto dolce e disse che se lo lasciavo fare, mi avrebbe insegnato la differenza tra fare l'amore e scopare. "Da bravo, così …" Si sedette sopra di me e poi mi passò le gambe dietro la schiena, tenendomi la testa stretta al suo petto … Le sue carezze si fecero pesanti e penetravano fin sotto la pelle costringendomi a trattenere il respiro. Il suo movimento era una risacca che s'infrangeva lieve sul mio petto … lo sentivo scivolare sulla mia pancia e poi tornare indietro, risucchiandomi nel suo gorgo … scavava un solco che mi faceva rabbrividire ogni volta e più si faceva rapido e maggiore era il cardiopalmo … sudavo e stavo per soffocare dal caldo quando un fiotto di spuma mi arrivò dritto sul mento, facendomi ritrarre d'istinto. M'imbrattò tutto e trovò la cosa pure divertente … rideva ancora sommessamente quando sobbalzai al contatto freddo della spugna presa nel lavello, con cui cercava di ripulire l'impiastro.

 

"Ce lavamo domani mattina, o la vecchia ricomincia …" Avrei dovuto andare in bagno, ma siccome la casa della comare aveva solo tre stanze senza corridoio, quindi l'una comunicava con l'altra, per raggiungere il bagno avrei dovuto attraversare la sua camera. "T'è piaciuto?" Figurarsi se Dante ne aveva avuto abbastanza di parlare. "E mamma mia, avemo appena fatto l'amore, almeno du' parole dille …" Beh, io l'orgasmo non l'avevo avuto … anche se poi non era colpa sua. "Io m'ero pure scordato quanto fosse bello fa l'amore!" Invece io senza andare in bagno a farmi una sega, l'indomani mattina avrei pisciato peperoncino. "Era la prima volta per te?" Con un maschio non ero mai arrivato fino in fondo. " E sì, mo scopavi già col pannolino" Ma dopo l'orgasmo agli uomini non dovrebbe arrivare una scarica di melatonina per precipitarli in un sonno ristoratore? Sì, a Dante giunse come un colpo in testa e si addormentò parlando …

 

Era mattina inoltrata quando mi risvegliai tra gli odori nefasti del soffritto del ragù. La comare mi disse che Dante era andato a finire il lavoro senza di me. "Ieri te sei affaticato e tutta quella polvere non te fa bene" Si prodigava in attenzioni esagerate senza guardami mai in faccia. "Va a casa e riposate" Le emozioni notturne si erano ritratte nelle ombre degli interstizi della vita diurna e la mia pelle rifletteva tutto l'imbarazzo della comare Nella. "Quando se sveglia Carmelo te faccio telefonà" Nelle sue premure era possibile leggere lo spartito che avrei dovuto recitare nella commedia della vita. Io però non lo volevo un abito di scena o se dovevo proprio sceglierne uno, preferivo quello spaventevole del cherubino cornuto. Mi piaceva fare l'amore, però sembrava come una luce che oscura ogni altra percezione emotiva … 

 

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Silverselfer

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L'adolescente guarda il mondo attraverso degli schemi riflessi dalla propria volontà di rappresentazione che poi trasfonde in azioni di veemente ortodossia, diventando così un inquisitore degli atteggiamenti anticonvenzionali.  L'adolescenza è la fase della vita in cui la diversità è stigmatizzata con maggiore ferocia e il desiderio di omologazione tende a sopprimerla anche fisicamente.

 

 

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Le Confraternite della Pippa

 

 

Durante la pubertà cercavo dei limiti che dessero anche a me una forma omologabile in un gruppo sociale. Mi mancava però l'attrazione sessuale da usare come contrappeso sul bilancino della regola che confinava il desiderio nell'alveo degli orientamenti di genere. Mi posi dentro la sfera bisessuale che di pragmatica si qualifica solamente attraverso la statistica delle relazioni intrattenute. Lasciandomi così ingannare ogni volta dal desiderio manifestato nei miei confronti, plasmavo dei bisogni impropri destinati a scomparire insieme all'affetto di chi se ne andava. Il mio eros muta forma imparava con la stessa rapidità con cui dimenticava, vivendo l'attimo senza poterne trarre alcun insegnamento per dedurre quello successivo. Questo comportamento mi condusse nelle confraternite della pippa, dove coglievo una sensualità capace di sperimentare formule nuove oltre a quelle rigidamente ortodosse dell'amore sentimentale.

 

Le confraternite della pippa si coagulavano all'interno delle più ampie combriccole volte alla condivisione empatica di situazioni non direttamente connesse alla sfera sessuale, come poteva essere il coinvolgimento emotivo di tifare per la stessa squadra di calcio. Lo spirito di aggregazione scaturisce dalle due energie vitali  della volontà e dell'erotismo. La prima è mossa dall'istinto utilitarista della ragione come per esempio studiare insieme, lavorare a un progetto o qualsiasi altra contingenza inerente a uno scopo logico. L'energia erotica fluisce invece dalla sfera precognitiva, generando la corrispondenza emozionale capace di unire attraverso una simpatia simbiotica. L'etica di massa teme questo tipo di affratellamento perché va a coagulare formazioni sociali in cui si stabilisce un legame potenzialmente eversivo.

 

Tutto quanto coinvolge l'energia erotica può stabilire un contatto fisico, succedeva così che delle predisposizioni maturate nell'infanzia portassero già nella prima adolescenza a condividere la propria intimità. Nell'ambito delle combriccole ci si sceglieva per un rapporto sessuale consumato a livello empatico. I circoli della pugnetta erano solitamente composti di due o tre elementi, ma quest'aspetto fisico presto andava a sostituire lo scopo ludico su cui si focalizzava la combriccola. In tal modo ci si orientava verso una corrispondenza emotiva capace d'intercettare l'eros viscerale, celebrato durante le bisbocce delle confraternite. In una sorta di baccanale dionisiaco la sperimentazione faceva cadere dei tabù millenari, compresi quelli inerenti all'omo-erotismo.

 

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La sinapsi dell'azione dei Sensi

 

La nostra fabbrica delle sensazioni si trova nella "Substatia Nigra". Posta sul confine del tronco encefalico, costituisce il nesso essenziale per moti vitali riflessi come la stessa respirazione o il battito cardiaco. Il nome deriva dal colore scuro dovuto al pigmento della melatonina contenuto nei suoi neuroni, i quali utilizzano dopamina per stabilire sinapsi con l'encefalo superiore. Le fibre della sostanza nera formano la via nigro striatale, dove si trovano i recettori D1 e D2, eccitanti o inibenti gli stimoli che dal sistema nervoso arrivano al cervello.

 

E' qui che agiscono le sostanze psicotrope come la cannabis o più in generale gli antidolorifici, che imitano quei neurotrasmettitori che fabbricano le percezioni in questa zona di mezzo tra corpo e mente. Fra questi neurotrasmettitori c'è la serotonina direttamente coinvolta nei processi sessuali. È causa d'inconvenienti come l'eiaculazione precoce maschile, ma la sua alterazione produce anche altre patologie come il disturbo bipolare, quello ossessivo compulsivo, la coazione a ripetere o dipendenze tipo le manie di ordine o pulizia. La stessa ansia e fame nervosa o la depressione sono direttamente collegate alla serotonina e avendo origine comune è facile credere che tutti questi effetti svolgano una relazione tra essi.

 

Poiché la serotonina stimola la produzione di melatonina, che è l'antagonista per eccellenza del testosterone, l'accumulo abbassa l'aggressività e predispone a sensazioni concilianti riconducibili a un eros passivo. Uno studio di laboratorio ha ipotizzato possibili implicazioni della serotonina con l'omosessualità. In realtà si è solo rilevato in dei topi privati di serotonina, che gli animali si accoppiavano prevalentemente fra individui dello stesso sesso. Reintrodotta la sostanza, questi tornavano a preferire rapporti eterosessuali. Invece, nell'essere umano si era già osservato che sostanze psicotrope come la MDNA, che agisce sull'accumulo di serotonina, inducono a una libido svincolata dall'orientamento di genere, che esso sia etero o omosessuale.

 

Il dato a parer mio rilevante è che il piacere sessuale dipende da un equilibrio chimico precognitivo mutevole a causa del fattore psichico direttamente connesso alla via nigro striatale, capace di alterare la percezione dei sensi. In altre parole, il piacere carnale è indipendente dall'orientamento di genere, su cui l'eros etico stabilisce il segregazionismo tra diversità. L'istinto sessuale, se lasciato libero da preconcetti sessuofobi, si regolerebbe principalmente sulla libido psichica degli eros attivi e passivi, poiché determinati dalla chimica precognitiva. Questo non sta significando che l'orientamento di genere non sia fondamentale nella determinazione dell'attrazione sessuale, ma solo che la sessualità è capace di esprimersi anche al di fuori di esso.

 

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Un ragazzino si predisponeva a entrare in una confraternita della pippa ancor prima di avere un'erezione, indagando il proprio corpo sensuale imparava a sillabare l'abc dell'eros precognitivo. Quanto sarebbe poi accaduto nelle proprie mutande, si svincolava in questo modo dal desiderio sessuale che eticamente avrebbe dovuto ispirarlo. Già questo andava a tracciare un solco con la maggioranza dei ragazzini educati alla pudicizia per il proprio sesso, caricandolo di significati morali edificanti. La malizia degli adulti rifletteva su di noi la sua carica omofobica e i primi circoli della pugnetta finivano dispersi dall'istinto riproduttivo per delle ragazzine, le cui pulsioni vaginali erano tutelate da royalty di stato che proibivano qualsiasi altro vincolo affettivo. La confraternita celebrava invece una voluttà il cui scopo era godere del proprio corpo in sintonia con quello altrui.

 

L'esperienza omo-erotica era intrinseca in ogni confraternita e cominciava spesso col masturbarsi davanti a uno specchio, cioè godendo di un erotismo compiaciuto del proprio sesso. L'altra pratica omo-erotica condotta in solitudine era la Manola, la mano che ti consola, da non confondere con Federica, la mano amica. La prima delle due era una scoperta che si faceva masturbandosi con la mano sinistra o destra per i mancini. Nel gesto c'era una percezione per cui pareva di ricevere un tocco estraneo mentre si provava l'emozione di ghermire un'erezione virile. A chi più o a chi meno, la Manola solleticava il desiderio di conoscere anche Federica. La mano amica, appunto, stabiliva quel contatto che apriva la strada verso una confraternita della pippa consapevole. Per realizzarsi era necessario che nel gruppo ci fosse un maschio abbastanza sicuro del proprio orientamento sessuale, da non temere il giudizio degli altri quando allungava una mano per saggiare la consistenza dell'amico.

 

Il mio percorso fu diverso perché non perseguivo scopi esclusivamente edonistici. Io detestavo la mia immagine riflessa e in quanto ambidestro non conobbi mai la Manola; tuttavia, un ermafrodito psichico è come un pipistrello cieco con enormi orecchie sensibili agli ultrasuoni emessi dall'eros precognitivo. Con questo non sto sostenendo che i miei istinti fossero diversi, ma non si può pretendere che un cieco si emozioni dinanzi a un tramonto allo stesso modo di chi sta usando gli occhi per guardarlo. Per lui quelle percezioni sono un tutt'uno con il suo corpo sensuale e riesce a proiettarlo fuori da sé attraverso l'empatia del punto di vista di chi gli è accanto. Nei confratelli cercavo essenzialmente una corrispondenza emotiva in cui riconoscermi, ma fu solo un continuo gioco al rialzo …

 

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Il linguaggio del corpo

 

Un muscolo, un tendine, un legamento eccetera, sono organi motori ma prima ancora sono organi di senso impegnati nella ricezione degli stimoli. Questa sensibilità si chiama propriocezione ed è fondamentale per molte funzioni del movimento, ma ci permette anche di percepire l'interazione fisica con gli altri. Per esempio, la sensibilità che insorge nella cute, in un muscolo o nei visceri, diventano informazioni erotiche quando svolgono una relazione con un'altra fisicità, instaurando un dialogo posturale attraverso sillabe precognitive dirette all'ipotalamo, dove saranno elaborate in emozioni dalla sinapsi limbica.

 

I riflessi nervosi (estero-propriocettivi) sono ritenuti secondari, ma buona parte delle azioni del corpo non sono subordinate alle attività cognitive; ad esempio, il dolore provocato da una distorsione alla caviglia rieduca immediatamente la postura spostando il peso del corpo sull'altro piede, ricostituendo repentinamente un equilibrio fisico senza coinvolgere la volontà razionale. Alla stessa maniera, anche nel dialogo erotico intrattenuto tra due corpi, i moti di questi recettori periferici inconsapevolmente mutano l'equilibrio emotivo. Tra queste sillabe percettive c'è anche quel batticuore attribuito a metafisiche trascendenti di anime gemelle. La memoria emotiva psichica colora le percezioni del corpo con cui la ragione cognitiva disegna i sentimenti. Averne consapevolezza sottrae alla casualità di posture sbagliate la possibilità d'interrompere un dialogo erotico, all'origine di ogni incomprensione emotiva e quindi anche sentimentale.

 

La volontà cognitiva dell'amore trascendentale può arrivare a rifiutare la propriocezione. La negazione induce a posizioni teoretiche fondamentaliste che proiettano immagini di sé storpie, in eterno conflitto con il corpo, percepito come un demone viscerale da imbrigliare col cilicio. La vita è movimento e questo è fonte di emozioni in armonia con il piacere dei sensi, goderne non è peccato bensì ragione di serenità. E' con queste sillabe emotive che si scrivono storie d'amore consapevoli.

 

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L'intesa erotica in una confraternita della pippa era equiparabile all'attrazione sessuale per l'orientamento di genere. Eccitarsi insieme scaturiva da una vibrazione simpatica tra delle erezioni tese come corde di violino. Senza questa corrispondenza si assisteva al solito show etero esibizionista: Che chiappe! Che tette! Che gnocca! Che noia! Argomentazioni che avrebbero dissolto la confraternita con il sopraggiungere dell'amore di coppia. Nel caso, invece, la vibrazione simpatica tra erezioni funzionava, rompeva gli indugi spianando la strada al sondaggio del pianeta omo-erotico maschile. Difficilmente i membri di una confraternita avrebbero dimenticato quelle sensazioni e presto o tardi sarebbero tornati a cercarle anche solo in frugali approcci occasionali.

 

Una confraternita si riuniva nell'ambito di un'azione condivisa come incontrarsi nel garage di qualcuno per smanettare con lo scooter. Ci si raccontava tutto per sentito dire per cautelarsi dallo scherno goliardico sempre in agguato, ma più la scoperta erotica era scabrosa e maggiore era il bisogno di condividerla con la confraternita. "Ma te rendi conto de che stai a di'?" Mi ricordo di Gianfranco, un ragazzetto un po' truzzo che se ne uscì dicendo che per lui succhiarsi il cazzo da solo non poteva definirsi un bocchino. "Aoh, stai sempre a succhiatte un cazzo!" La questione aprì un acceso dibattito. "E allora non te lo dovresti neanche prende in mano" Gianfranco, sentitosi confortato dal dubbio di alcuni confratelli, ammise di averlo fatto scatenando risa e sfottò. "Tutta invidia perché con quelle due dita de cazzo non riuscite manco a tiravvelo fori pe' piscià".

 

La fellatio era un gesto non catalogabile come prassi in una confraternita della pippa; tuttavia, non era eccezionale che qualche ragazzo trovasse piacevole praticarla. Essendo ritenuta roba da froci, si consumava nell'intimità di amicizie molto ristrette. In genere cominciava con il cauto «prima tu e poi io» e poi si continuava assecondo il piacere provato. Capitava che taluni trovassero così irresistibile il coito orale che finivano per esporsi al pubblico ludibrio. Questo causava l'ostracismo perché lo spettro dell'omofobia era molto sentito nelle confraternite. Invece, non suscitava alcun pudore il feticismo per la sborrata e quando se ne vedeva una schizzare per aria, si esultava come si stappasse dello spumante a capodanno. Oppure si assisteva a sfide del tipo che due pistoleri caricavano la propria arma e il primo che sparava schizzando sull'altro, vinceva fuggendo dalla rivalsa dell'amico.

 

L'omofobia fissava dei paletti invalicabili e costringeva i confratelli a procacciarsi quel genere di piacere in clandestinità. Capitava anche che dei gruppetti condividessero queste pratiche proibite in gran segreto, ma quando nella confraternita si subodorava un certo tipo di affezione, si additava subito con scherno come amicizia dedita all'incularella. A quel punto il dubbio costringeva il gruppetto a disperdersi o non sarebbe più stata sufficiente la discrezione per proteggerli dall'ostracismo. La pulsione omo-erotica era comunque sentita da tutti e spingeva a interrogarsi sul proprio istinto etero, per questo si tiravano dentro le confraternite anche le ragazze. Suppergiù succedeva verso i sedici o diciassette anni e mascherava il feeling erotico con l'interesse per la vagina.

 

Il motto delle confraternite si riassumeva col «Belle o brutte ce le scopiamo tutte». Il tacchinaggio era assoluto esibizionismo e gli approcci più audaci procuravano la stima degli altri confratelli. "Il merlo l'ha accannata" Questa era la notizia che correva rapida e si contavano i giorni di astinenza dal cazzo come un conto alla rovescia per cogliere la tipa in fallo. In genere era il ragazzo più figo che andava per primo a segno e informava gli altri sulle prestazioni ottenute. Non si curava della sensibilità della ragazza e una volta trombata la respingeva in maniera brutale. A questo punto, entrava in ballo l'amico che non era certo migliore del primo, eppure anche questo riusciva a scoparsela e così via, con la tipa che passava di mano in mano e quando poi trovava un fidanzato e poteva affrancarsi da quel circolo vizioso; beh, anche solo per sfizio, qualcuno della confraternita tornava all'attacco e quella ci ricascava.

 

C'erano poi le ragazze consapevoli di non poter fare più a meno dell'abbondanza di maschio, tanto che imparavano a riconoscere quelle dinamiche passando di confraternita in confraternita. Di queste ce n'erano di due specie: le faraone e le vacche. Le prime erano in genere bellissime e imparavano a trarre vantaggio dal proprio eros attrattivo. Spesso si vedevano in gruppi di tre, formati attorno a una veterana che introduceva le ancelle nei giri delle combriccole dei maschi più adulti e quindi con maggiori possibilità economiche. Sfoggiavano le regalie come trofei e al pari di vere faraone trattavano da servi i ragazzi della loro stessa età. Poi c'erano le vacche che perdevano ogni freno inibitorio e correvano dietro al cazzo disposte a ogni umiliazione pur di acchiapparlo. Non è detto che fossero meno belle delle faraone, tanto che non era escluso che una faraona fosse anche una vacca, tuttavia, diventando tali e quali a dei maschi allupati, perdevano l'attrazione esercitata dall'eros passivo.

 

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Il Conno Anale

 

Simbolo lubrico della lussuria più abietta, il conno anale è il pertugio dove s'insinua il maligno, l'antro in cui si celebra il sabba col demonio, di cui se ne fa incubo per generare l'anti Cristo Mammona (Mater Mammosa o grande mammella con cui s'identificava il culto della Grande Madre). La società patriarcale fondata sulla virilità dominante del Dio unico ha demonizzato i miti panteisti o dei riti dionisiaci, evocanti madre natura, scaraventando l'eros passivo nelle viscere della terra per imbrigliare la sessualità in un fondamentalismo ascetico liberato dal piacere della carne.

 

Il conno maschile si usurpa nell'onta della disfatta causando la perdita della virilità. Il solo nominarlo crea imbarazzo e i maschi si beano della gogna pubblica riservata ai sodomiti per gratificare la propria volontaria auto castrazione. Per inciso, non esiste una predisposizione anatomica per ricevere piacere anale e, tantomeno, la sodomia è un'arte amorale che erotizza impropriamente delle sensazioni altrimenti spiacevoli. Per un maschio etero il conno anale rimane una scomoda verità più facile da dimenticare piuttosto di complicarsi la vita dandovi un senso per goderne non si sa bene con chi.

 

Anatomicamente s'individua un conno anale nel retto perineale (ampolla rettale e ano). Nei tre centimetri dello sfintere si celano invece le colonne d'Ercole che conducono alla perdizione. Sono piccole fasce muscolari che costituiscono la croce e delizia di un amplesso anale. La corona esterna è formata da un muscolo ad anello molto sensibile che si congiunge con una seconda corona posta all'interno dello sfintere. Il muscolo esterno fa capo al sistema nervoso cosciente ed è quindi possibile distenderlo e contrarlo. Al contrario, della corona interna allo sfintere non possiamo avere il controllo perché si regola con i sistemi nervosi riflessi come il battito cardiaco. Emozioni da stress, ad esempio inquietudine o spavento, intervengono su questo muscolo contraendolo. Il dolore che potrebbe venire da una sua incauta forzatura rappresenta un ostacolo per il raggiungimento del piacere anale; tuttavia, il superamento di questa barriera psicologica indotta anche da millenni di sessuofobia non può essere considerato un'erotizzazione dell'ano.

 

Per quanti sono depositari di un eros attivo, accettare l'amplesso significa accogliere un'entità erotica estranea che compie un'azione fisiologicamente stravolgente. L'amplesso non deve essere frainteso come abdicazione del dominio sul proprio corpo, quindi è necessario conquistare la fiducia del partner guidandolo attraverso il proprio piacere. Il terrore emotivo va rimosso attraverso un'esperienza positiva, altrimenti predispone a un amplesso doloroso tale e quale a quello evocato dalle paure recondite. A tale scopo, l'iniziazione al piacere di un conno anale parte dalla stimolazione del bulbo prostatico. Si tratta di una penetrazione dolce che si pratica introducendo le prime due falangi del dito indice; con la falangetta ricurva e puntando il pollice sul perineo, s'inizia un massaggio lieve contraendo e distendendo le dita. La giusta frizione stimola la produzione di liquidi seminali che andranno ad aumentare gradualmente la pressione all'interno del bulbo prostatico. Il massaggio si accompagna con la manipolazione dei genitali, ma non di rado la pressione nel bulbo conduce da sé a un orgasmo spontaneo lento e prolungato.

 

Compiere il massaggio in posizione prona dispone all'accoglienza, favorendo una manipolazione più energica per sollecitare la ricettività anale. La lubrificazione aumenta l'elasticità del pertugio, le cui sensazioni si devono proprio alla dilatazione. Lo scivolamento della penetrazione deve essere accompagnato da una pressione lieve ma costante, di modo da permettere allo sfintere di rilassarsi e abbracciare gradualmente l'amplesso. Superate le colonne d'Ercole dell'orifizio, questo inghiottirà avidamente l'erezione nel ventre del conno. Le terminazioni nervose sono poste sull'ano, quindi il movimento sessuale è più efficace in questa zona. Il retto è invece un antro cavernoso molto flessibile che si adatta bene alle forme da contenere. Si sviluppa per una lunghezza tra i tredici e i quindici centimetri, che stando ai prontuari medici sono sufficienti ad accogliere un'erezione di media grandezza. Le pareti del retto sono sensibili alla pressione e la sua conformazione anatomica a esse adagiata ne favorisce la percezione.  

 

Quello che erroneamente alcuni definiscono «orgasmo anale» dipende dalla stimolazione del giunto retto-sigmoideo che distende l'ampolla rettale e rilassa le muscolature dello sfintere, un riflesso dovuto all'eiettare fecale. Il giunto retto-sigmoideo è una gola stretta posta su una curvatura che immette nel sigma dell'intestino crasso. Ci si predispone meglio alla sua sollecitazione coricandosi sul fianco sinistro perché è una postura che distende il giunto, mentre in posizione prona si ha un impatto brutale. Nel caso di un'erezione eccezionalmente possente, per evitare fitte dolorose si deve inarcare la schiena per stendere il giunto permettendone l'amplesso. Tuttavia, senza ricorrere a posture particolari, si può sollecitare «l'orgasmo» anche solo attraverso la pressione esercitata dai lombi.

 

 

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La vita consiste nell'ottemperare a una serie di necessità, dalla cui soddisfazione viene inteso il bene dell'amore come sacrificio. Il piacere viscerale precognitivo è un bisogno tollerato solo come mezzo attraverso cui ci trascende una volontà edificante, volta a preservare la salute fisica e spirituale; per il resto è rigettato come un pericoloso vizio che erode il corpo e disperde anima.  Il coito anale provoca un piacere non contestualizzabile in nessun ordine di necessità oggettiva ed è quindi proibito. Il suo peccato è stato perseguitato, la sua voluttà cancellata dalla memoria dell'uomo. Seppure la pratica sia sempre rimasta largamente diffusa, nel gergo popolare il suo stesso piacere è frainteso per un dolore lancinante inflitto come un insulto.

 

Il conno anale esiste ed è presente con la sua sensualità anche prima dello sviluppo dei genitali. La sua scoperta rientra in quell'erotismo tipico della fanciullezza. "Fa il solletico!" Vanni si scompisciava dalle risate mettendosi la cornetta della doccia tra le cosce e mi confidò che gli piaceva grattarsi il buco del culo. Mi sorpresi nell'apprendere le cronache di quanto accadeva nell'intimità delle stanze da bagno domestiche. L'impugnatura ergonomica degli spazzolini da denti pareva suscitare da sola quel misterioso istinto penetrante … mentre la vibrazione prodotta da quelli elettrici, trovava immediatamente utilizzi erotici alternativi e il manico della spazzola per capelli di mamma costituiva per molti una fonte inesauribile di soddisfazione.

 

Tuttavia, fin da piccoli, si evocava quel genere di piacere scagliandolo contro gli altri come un insulto. "Ficcatelo nel culo" Così rispose piccata Eleonora quando Massimo, il mio compagno di banco di quinta elementare, le rubò il pennarello Uniposca. Essendo avulsa ai processi procreativi, quella stimolazione non era associata alle pantomime sentimentali contemplate tra principi e principesse, che suscitavano casti bacini d'angelo e facevano sdilinquire mamma e papà. Il conno anale non distinguendo due gender, elude gli scopi logici dell'attrazione sessuale. La sua pratica era dunque ritenuta emotivamente sterile, incapace di generare emozioni edificanti e nei maschi appariva addirittura come un delitto compito contro il loro eros attivo.

 

Nel pensiero dominante il conno maschile rimaneva un mistero «impenetrabile», sconosciuto nell'ambito logico dell'attrazione sessuale. Nel quale ragionamento si contemplava il ruolo del coito anale come il surrogato dell'amplesso con una vagina riservato ai «femminielli» ovvero maschi ritenuti sessualmente impotenti. Non aveva alcun senso che un individuo dotato di un sano istinto riproduttivo si titillasse l'ano, come non lo aveva continuare a masturbarsi avendo a disposizione una figa. La sessualità era un riflesso condizionato dalla presenza di una femmina, punto e basta. Questi erano i presupposti che tenevano lontano i ragazzini dalle confraternite della pippa e costringevano chi ne faceva parte a negarlo persino con se stessi.

 

Questa sbandierata scelta di campo spingeva l'intimità tra maschi a fissare dei paletti di redenzione con cui si ridefiniva una virilità del tutto personale. In genere la stima per il cazzo rientrava in questi limiti mentre il coito anale si temeva attivasse l'eros passivo come una fame irrefrenabile. Quanti ne erano avvezzi, lo cercavano senza guardarti in faccia e se condividere l'orgasmo affratellava, consumare un coito anale spesso sostituiva l'amicizia con quel gesto frugale sentito come un delitto contro se stessi. La bisessualità erotica più che una scelta, pareva una condanna all'ostracismo di genere e nelle confraternite era una verità temuta e violentemente negata.

 

C'era poi da decifrare il ruolo di chi, come Giorgio, era talmente virile da trovare insopportabile vivere in mezzo alle femmine e riteneva mellifluo ogni aspetto dell'eros passivo. Le ragazze servivano per esaltare la potenza fallica e quindi andavano bene solo come piatto di portata durante la bisboccia. Giorgio desiderava usurpare un conno anale maschile come estremo gesto di virilità. «Geloso di culo, frocio di sicuro» Era il motto goliardico con cui mutuava le palpatine agli amici e appena trovava qualcuno piegato a novanta, ci si attaccava dietro mimando una sodomizzazione. Quando poi si era sotto le docce, trovava irresistibile infilarti rapido un dito tra le chiappe, aveva un talento innato nel centrare l'obiettivo e quella pressione produceva ogni volta il riflesso incondizionato di farti sobbalzare. Le risa e gli sfottò che scatenavano quel brivido sconvenevole erano un genere di goliardia che serviva solo a mascherare un interesse sconvenevole.

 

Io confluii in una confraternita nata sulle vestigia di queste premesse e di cui Giorgio ne fu l'ultimo decadente leader. Lui era molto più grande di me e non diventammo mai veramente amici. Volli bene invece a Luca che ne condivise per intero l'esperienza. Si conobbero al Circolo quando erano ancora dei ragazzini durante i corsi di canottaggio. Luca aveva una particolare propensione per il feticismo dello sperma e chi prova un tale trasporto, nutre solitamente anche una profonda stima per il cazzo. Il motivo che li trattiene dall'afferrarne a più non posso è che penzolano tra le cosce di altri maschi. Luca vide crescere quello di Giorgio sotto le docce … una salsiccia sempre turgida e pronta a levarsi in una mezzaluna gagliarda … come resistere a una tentazione così?  Giorgio prima d'incontrare Luca era stato un troll deriso da tutti e non si era mai reso conto di avere degli attributi invidiabili. Quell'intimità tra amici fu un balsamo per la sua autostima e gli diete consapevolezza della propria forza . Divenne un buon atleta e si trascinò dietro Luca quando entrò a far parte del glorioso equipaggio di un otto più, che doveva la sua fortuna proprio all'affiatamento raggiunto in una consumata confraternita. Fu durante la bisboccia organizzata per il congedo dello storico capitano, che i due ricevettero l'iniziazione per mano di Marisella.

 

Lei era la vacca più chiacchierata del Circolo e si raccontavano leggende del tipo che a una festa di capodanno, si fosse svuotata una bottiglia intera di champagne nella figa e poi tutti ci andarono a sorbire il brindisi di fine anno. Il suo corpo mi ricordava la dea della fertilità Ittita fotografata nel mio libro di storia. Aveva delle tette enormi sorrette da una bella pancia solida che curvava repentinamente tra le cosce. Il culo era tenuto su da due chiappe che parevano lievitare come mongolfiere e le grosse cosce con i polpacci cicciotti finivano in due piedini minuscoli, tanto che sembrava camminare sulle punte. La testa era perfettamente tonda e dall'ovale del volto sporgevano due zigomi così alti da stringerle gli occhi come fossero quelli di una porcellana cinese. Per ragioni di cui non saprei spiegare, era fottutamente sexy!

 

Durante la bisboccia, Marisella fece sistemare i festeggiati sul divano e li omaggiò cimentandosi in una personale interpretazione della danza dei sette veli, al termine della quale piroettava librando nell'aria l'enormi tette e come fossero corpose ali di farfalla, le fece posare di fiore in fiore. I ragazzi nudi e stretti sul divano si ubriacarono l'uno dell'eccitazione dell'altro mentre guardavano estasiati quel convulso sbatter d'ali avvolgere il loro stame gravido. In una marcia trionfale, Marisella ne stappò gaia la spumeggiante passione tra le ovazioni generali. Le vacche erano ragazze indipendenti e si divertivano convinte di poter continuare a farlo per il resto della vita ma, anche le più audaci, all'approssimarsi del primo quarto di secolo mettevano giudizio. Marisella non faceva eccezione e aveva scelto Agostino come suo futuro sposo. Era lui il capitano dell'otto più e leader della confraternita. Stava seduto con gli altri su quel divano e, com'era successo quella sera, usava condividere con gli amici le attenzioni della sua ragazza.

 

Agostino era un bel moro, occhi neri e vispi, barbetta rada ma scurissima, altezza media, fisico asciutto … era praticamente un fascio di nervi sempre pronto a scattare. Lui era un vero leader capace di coagulare attorno alla propria personalità una cerchia di seguaci. La sua confraternita aveva oramai attraversato ben due generazioni e raccoglieva anche chi, come lui, ragazzo non lo era più. La mia vicenda si consumò nella coda rarefatta della sua luminosa cometa mentre Giorgio e Luca ebbero modo di sedersi su quel divano a viverne gli ultimi scampoli di follia. Dopo quell'addio alla vita agonistica, Agostino tenne insieme la confraternita a discapito del canottaggio che gli aveva dato tanto, coinvolgendo le nuove leve come Giorgio e Luca nelle bisbocce che si tenevano nella sua casa al mare. Non so come si svolsero le cose, sta di fatto che Giorgio in particolare fu trascinato in un ménage a trois con Agostino e sua moglie Marisella. A detta di Luca fu proprio dopo quella relazione che Giorgio iniziò a essere fatalmente attratto dalla «passera dei maschi».

 

In genere, entrando in una confraternita consapevole si compiva uno step generazionale in avanti. I confratelli erano maschi adulti che si erano spinti molto oltre nelle esperienze di gruppo, intrecciandovi anche relazioni di tipo economico. Tra questi c'era l'avvocato Lollo, il padre di Mattia, un faccendiere che aveva tessuto la sua rete di conoscenze proprio attraverso le bisbocce e frequentava solo le confraternite dove si  consumavano i vizi privati di personaggi importanti. Era in confidenza anche con Agostino e lo convinse a usare i soldi della sua azienda di famiglia per sponsorizzare il progetto della squadra di pallanuoto.  Agostino ne divenne il Presidente ma fu sempre l'avvocato Lollo a deciderne le sorti e soprattutto a inserirla nel giro della «grande bellezza» capitolina. Putacaso Giorgio divenne capitano della squadra e anche Luca era tra i titolari nonostante fossero entrambi delle mezze seghe a giocare. Intorno alla squadra ci giravano un sacco di soldi e per gli atleti era come farsi un giro su un otto volante di mirabolante mondanità.

 

Siccome, però, nello sport c'è l'inconveniente di dover vincere almeno qualche partita o la gente inizia a irridere il tuo presunto e sbandierato successo, chiudere ultimi in classifica la stagione agonistica fece comprendere ai dirigenti che valutare le prestazioni atletiche dei giocatori durante le bisbocce invece che in piscina non era conveniente.   In questo frangente sopraggiunse Zeno, che al circolo si era fatto conoscere per essere il mio preparatore atletico, compiendo il mezzo miracolo di farmi vincere una medaglia. Gli fu affidato il compito di seguire la squadra e riuscì a rimetterla in gioco. Per Zeno fu un momento d'oro e ottenne la gestione del Mykonos, che era un altro pezzo importante nel giro della grande bellezza romana, soprattutto quello da cui lui poteva tirarci su un bel po' di soldi con il suo talento di scultore di corpi.  La squadra e il Mykonos divennero un tutt'uno e fu qui che Mattia intrecciò la sua amicizia amorosa con Carmelo e lo introdusse nella confraternita del Presidente.

 

Mattia era un disinibito argonauta dei sensi e amava talmente il suo corpo, che sono convinto abbia iniziato a penetrarsi il conno anale con il trasporto di chi ha un coito con se stesso. Nessuno pensava di mettere in discussione la sua virilità perché le ragazze gli cascavano ai piedi e lui non si risparmiava di benedirle tutte. Mattia era il figlio di primo letto dell'avvocato Lollo ed era il fratellastro di Toni, nato dal secondo divorzio dell'avvocato che nel frattempo era tornato con la prima moglie, celebre faraona conosciuta con il soprannome di Lady Campari per essere stata una testimonial della nota marca di alcolici.  Anche l'avvocato era stato un discreto atleta di tennis e, aggiungo io, aveva ancora un fisico della madonna! Non nascondo che uno dei miei passatempi preferiti al Circolo era guardarlo giocare: che stile e che eleganza con i suoi impeccabili calzoncini bianchi e pullover e poi … quando accaldato se lo toglieva il pullover e il sudore gli scarmigliava l'onda fonata dei capelli … sempre con il colorito della pelle del giusto tono d'abbronzatura artificiale a mettergli in risalto gli occhi verdi e come non citare la sua fossetta sul mento! Insomma, era uno strafigo e non c'era da stupirsi che dai suoi geni fossero venuti fuori Mattia e Toni.

 

Tuttavia, loro tre non si somigliavano per niente. L'avvocato era moro, fisico alto e slanciato con i lineamenti del volto mediterranei mentre Mattia era di altezza media, il suo corpo nonostante fosse allenato conservava delle morbidezze e aveva una pelle completamente glabra candita come panna. Toni non arrivava al metro e settanta e fin quando la madre gli tagliò lei i capelli, portò in testa un casco di banane gialle canarino. Lui aveva ereditato i begli occhi del padre, ma la bocca era quella larga con le labbra carnose della madre, un po' a becco da paperino … però non ci stava male e anzi, aveva un bel sorriso con i denti piccoli. Fisicamente era minuto ma la ginnastica artistica gli aveva cesellato un fisico dalla muscolatura ben definita … e poi aveva una peluria dorata che d'estate si ossidava facendolo dannare con cerette estreme che poteva ben risparmiarsi perché secondo me era molto sexy.

 

Sono molti i volti e le coincidenze che potrei elencare, ma in fondo si tratta sempre di una predisposizione personale che ti fa conoscere determinate persone e compiere con loro delle scelte. E' impossibile individuare la tesserina del destino che cadendo per prima innescò l'effetto a catena che mi condusse nel giro delle confraternite. Certamente commisi l'errore di credere che l'appagamento dei propri bisogni conducesse automaticamente a una consapevolezza di Sé. Invece, incontrai solo persone che continuavano a usare la propria volontà di omologazione per emettere sentenze dagli scranni dei loro limiti. La sensualità precognitiva crea un bisogno e la volontà di soddisfarlo ne fa un sentimento, l'amore svincolato da questa logica è ritenuto libertinaggio e non ci sono gruppi sociali capaci di sussistere attraverso un legame affettivo svincolato dalla necessità di stare insieme.

 

 

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  • 1 month later...
Silverselfer

 

Pubblicherò questa sezione in due parti perché è un po' troppo lunga per stare in un solo post. Si succederanno a breve, non trascorreranno mesi XD.
Aggiungo un brano musicale d'epoca che aiuta a far sentire l'odore di quei guorni

 

 

 

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Il desiderio erotico è la turbina che produce l’energia con cui si tiene in moto il meccanismo economico-sociale. Lo sport è l’esempio più chiaro di come si convoglia l'energia dell'eros in una finalità non sessuale. L'agonismo deriva direttamente dall'istinto di prevaricazione insito nell'eros attivo che, manifestandosi attraverso l’azione, esprime un moto educabile a diversi scopi. Gli archetipi sociali impegnano l'eros in una continua gara meritocratica, ripagandolo con dei surrogati del piacere sessuale, riconducibili al premio che appaga l'istinto di prevaricazione, come possono essere intesi dei beni di lusso o il potere riconosciuto nei titoli elitari. Questo schema sostituisce il piacere di soddisfare il proprio desiderio con lo sforzo espresso per raggiungere lo scopo.

 

Secondo questi crismi, il desiderio dell’eros passivo è poco appetibile perché ha già in Sé l’afflato naturale che lo devia sull’istinto di conservazione della specie. La società virile usa dunque il «sesso debole» per stimolare il moto dell'eros attivo. Chiunque non esprima una sessualità volitiva sarà tacciato di scarsa intraprendenza, per cui riceve il biasimo sociale di essere dei perdenti. Tant’è che per lungo tempo il femminismo ha confuso le proprie rivendicazioni paritarie con l’emancipazione dal proprio desiderio poco dinamico.

 

 

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Così fan tutti

 

 

"Non ti sedere o sgualcirai la piega dei pantaloni" Si concepiscono i figli sicuramente per molte nobili ragioni, tuttavia, anche loro sono uno strumento per raggiungere l’encomio sociale. "Hai lavato bene i denti?" Si sfoggiano come il cane di casa col pedigree. "Sbrigati che se papà non ti trova pronto …" Fu con questo spirito che Primo m'iscrisse al Circolo, ma poi la malattia me ne allontanò e quando ci tornai, gli altri ragazzini della mia età sapevano già tutti vogare. "Fa sentire l'alito" Avevo la testa incasinata e come se questo non bastasse, ero gonfio di ricostituenti che mi facevano puzzare l'alito. "Ancora con ste scarpe ortopediche!" Un giorno Primo ordinò di tirarmi a lucido perché sarebbe passato a prendermi per un pranzo di lavoro. "Me sembra handicappato" Poi se la prese con mamma perché non mi aveva messo i mocassini della divisa del Circolo, ma credo che fosse tutto l’insieme a non soddisfarlo … parevo proprio un citrullo.

 

Il pranzo di lavoro era con il nonno di Vanni e lo scopo della mia presenza era stringere amicizia con suo nipote. "Ora lo vedi così perché si vergogna, ma sapessi che lenza …" Ogni volta mi sentivo una merda ad ascoltarlo parlare di me come se fossi un'altra persona. "Mio nipote sta nella categoria pulcini" Suo nipote non era meno citrullo di me con quegli occhiali e le orecchie a sventola, ma era anche secco allampanato e questo bastava per farmi pesare ancora di più la mia oscena panza. "Ti va una partita a biliardino?" Vanni sarà stato anche un reietto però era molto determinato nelle sue scelte e gli serviva un amichetto. Per me fu un banale «barbatrucco» trasformarmi in quello che stava cercando ...

 

Sempre per la gloria di Vanni, mi lasciai iscrivere alle gare riservate ai pulcini del circolo, questo perché era «matematico» che insieme saremmo entrati negli esclusivi corsi riservati ai ragazzi dell'agonistico. Nei fatti però rimasi nei corsi base mentre lui stava in quelli avanzati. Mi feci un mazzo tanto per passare di livello e quando ci riuscii, Vanni aveva oramai trovato un compagno con cui gareggiare col due senza e finii in barca con un ragazzino paffutello quanto me. Poi un giorno il padre di questo qui si presentò agli allenamenti e lo fece scendere dall'imbarcazione in maniera brusca perché, secondo lui, ero io la schiappa che avrebbe impedito a quel campione del figlio di vincere. Ci rimasi di merda, tanto che anche l'allenatore se ne accorse e forse fu per consolarmi che mi spostò in equipaggio con Vanni.

 

Fu così che Vanni iniziò a ritenermi responsabile di ogni suo insuccesso.  Io non riuscivo a raggiungere un tempo di battuta alto, ma avevo lavorato tanto per mantenerlo costante, mentre lui partiva a razzo, ma poi si spompava fino a diventare un peso morto sul traguardo. Era evidente che dovessimo armonizzare la nostra vogata, ma secondo lui era solo colpa mia, cazzo! Il giorno che lo sostenne davanti a tutti, ci prendemmo a botte e poi Primo mi costrinse a chiedergli scusa davanti al nonno … che umiliazione! Da allora il mio unico scopo fu dimostrare quanto valessi. A tale scopo m'iscrissi al premio Tiber del gruppo culturale. A scuola c'era la maestra Rosa che mi chiamava «Il poeta» ed era figo, così mi dissi «Credi nelle tue possibilità» e presentai la mia composizione. "Ora lo prenderanno per culo a vita" Avrei dovuto domandarmi perché i partecipanti non li avevo mai visti agli allenamenti. Quelli non si mischiavano con gli altri del circolo e non si capiva bene se non lo facessero per spocchia intellettuale o perché erano gli altri a schifarli. Dopo aver conquistato il premio, Primo imboccò a casa con una cera da funerale. Mi chiese di vedere il nastro e poi lo gettò sul tavolo come fosse stato l'inequivocabile prova della mia imbecillità.

 

Dovevo vincere una medaglia per riscattare il mio onore e non potevo contare sull’aiuto di Vanni che nel frattempo aveva tirato i remi in barca e al Circolo ci veniva solo per diletto. Mi venne dunque il colpo di genio d’imbucarmi al ritiro pre-gare dei ragazzi dell’agonistico. Siccome questo si teneva al Circolo Canottieri di Sabaudia che avevo sentito dire essere collegato alla Marina Militare, chiesi direttamente alla principessa di metterci una buona parola col marito ammiraglio. Fu così che finii nella scuola remiera della Marina Militare con tanto di convitto in caserma mentre gli altri del Circolo se la spassavano in un complesso sportivo di lusso, usando le strutture militari solo per allenarsi nelle acque del lago.

 

A casa la mia intraprendenza lasciò tutti di stucco. Per mia madre fu come se dovessi partire militare e si oppose con tutte le sue forze screditando la mia salute psicofisica. Ci volle Zeno per convincerla che, invece, quel mio desiderio era il sintomo di una volontà ristabilitasi dopo una lunga convalescenza. Partii dunque per l’addestramento e a condurmi in caserma fu Paolo, sì perché la principessa chiese a lui di mettermi nelle «liste di coscrizione». Abbandonato in un camerone stracolmo di ragazzini in mutande, iniziai anch’io a dubitare della mia salute psicofisica. Mi tolsi i vestiti contrastando con dei gran sospiri l’apnea ansiogena che gravava sul mio diaframma. “No” Scivolai continuamente fino in fondo alla fila. “Le ho già detto che non li ho” Quando entrai nell’ambulatorio per attestare il mio stato di sana e robusta costituzione, avevo i nervi a fior di pelle e iniziai a rispondere con fin troppa determinazione alle domande. “Mt simpatia, stammi dietro e avanti march” Mi disse il militare infermiere, cui avevo impedito di controllare se avessi i pidocchi.

 

I figli degli ufficiali seguivano una trafila diversa e l’infermiere mi lasciò in consegna a un altro militare che a sua volta mi condusse non so bene in quale ufficio e quando ormai stavo per confessare l’imbroglio di non essere manco parente di un graduato, mi fu assegnato il posto in branda e incontrai Toni. “Ciao, come ti chiami?” Fracazzo da Velletri ... sì, mi scoprii indisponente oltre il limite della maleducazione. “Sono iscritto anch’io al Circolo” Eccome no, era una damerina di quelle che se la spassavano sui campi da tennis. “Perché sei così antipatico?” E vallo a capire. Il padrigno di Toni era un ex ufficiale dell’aviazione e lo scodellava in quella caserma per andarsene in vacanza con la madre. “Non è vero!” E allora che senso aveva lasciarlo lì se manco era iscritto ai corsi di canottaggio? “E’ perché il mio vero padre deve lavorare” Che vita di merda! Anche «il suo vero padre» lo parcheggiava al Circolo quando gli toccava tirarselo dietro nei fine settimana. “Sei cattivo” Aveva parlato la principessa che credeva nel potere dell’amore e quanti non ne erano convinti, dovevano ancora conoscere la magia custodita nello scrigno del proprio cuore ... a starlo a sentire c’era da strapparsi le vene a morsi.

 

Quel posto era una sorta di porto di mare con ragazzini che andavano e venivano per via di una convenzione con le scuole primarie e secondarie, senza contare gli atleti che arrivavano per allenarsi. Solo i figli degli ufficiali si fermavano più allungo, a tutti gli altri capitava di conoscersi giusto il tempo di salutarsi per nome. In quella comunità di maschi pareva non esserci il bisogno d’imporre il rigore militare, nel senso che erano regole ispirate proprio alla logica di branco tipica di una società virile. Era naturale ubbidire a un superiore e quando si trasgrediva un ordine, il superiore puniva con magnanimità perché capiva quell’esigenza. Il sistema gerarchico fungeva da parafulmine per scaricare ogni sentimento nefasto, unendo tutti in uno spirito cameratesco. Persino un antipatico cronico come il sottoscritto dovette arrendersi a quella vita che mischiava uniformemente ogni individualità. “Scusa, non credevo che ti dispiacesse” E ma a tutto c’era un limite! In un regime di stretta convivenza, la branda diventava l’unico scampolo d’intimità e ognuno ci stava come se gli altri non lo potessero vedere. Invadere quello spazio era un dispetto bello e buono, tant’è che si compiva sempre con l’intento di provocarti.

 

I letti erano a castello e i posti in branda più ambiti erano quelli in quota, proprio perché l’altezza proteggeva meglio dagli sguardi indiscreti. La sopra ti potevi persino segare senza destare l’attenzione di nessuno. A tal riguardo c’era una cattiva abitudine che andava a discapito di chi dormiva sotto. Il materassino era fatto di gomma piuma e traforato a nido d’ape per migliorarne l’arieggiamento. Solo che quei fori sembravano essere creati proprio della misura giusta per accogliere un amplesso ed erano comunemente usati come dei sexy toys. Era soprattutto per quest’abitudine che nessuno voleva dormire sotto e all’approssimarsi del mattino, si sentiva ogni tanto qualcuno che scalciava la rete del letto superiore per bloccarne un sospetto cigolio. I miei compagni di camerata erano ancora troppo piccoli per avere di queste esigenze e quindi non ci trovai nulla di male ad occupare il lettino in basso a ridosso della parete, così che potevo rivolgere le spalle al mondo e rimanere da solo.

 

“Vado via subito” Non era strano che due ragazzini dormissero insieme, anche se io proprio non riuscivo a spiegarmene il motivo. “Scusa” Era importante riuscire a stabilire una connessione emozionale e tra me e Toni era accaduto proprio questo. Condividevamo gli spazi vitali più intimi senza vergogna e affrontavamo insieme ogni altro aspetto della quotidianità, ma io proprio non riuscivo a interpretare le sillabe sensazionali emesse dal corpo. “Perche lo fai?” La volontà si esprime con uno scopo razionale invece il desiderio precognitivo si manifesta con un’attrazione empatica. Era inutile interrogare la ragione di Toni che percepiva solo il bisogno di non interrompere la nostra simbiosi emotiva. “Allora prenditi una mia scarpa” Interpretava la paura del distacco con il timore di addormentarsi e morire, senza poter rivedere le persone che amava ... disse che aveva bisogno di sentire il mio rassicurante odore e allora gli misi in braccio una puzzolentissima scarpa da ginnastica, rispedendolo nella sua branda ... ero proprio un ragazzino insensibile.

 

Io convogliavo tutta la mia energia nello sforzo di migliorare le prestazioni sportive affinché potessi conquistare del consenso sociale utile per procurarmi l’affetto delle persone, ma era evidente che la faccenda non funzionava così. Il rispetto conquistato a colpi di pagaiate non si tramutava in comunicazione affettiva e quindi giù con le autoflagellazioni a causa di quel mondo che si rifiutava di amarmi. «Wo! I feel good, I knew that I would now» Non capivo che le persone si accordano attraverso i bisogni e finché non avrei mostrato i miei, non potevo iniziare quello scambio di reciproche necessità capace di tessere un dialogo emotivo. «So good, so good, I got you» Rapportarmi nel confronto vincente, mi metteva in competizione sempre con il migliore, facendomi sentire inadeguato anche con il resto del mondo. «Wo! I feel nice, like sugar and spice» Mi piaceva pensare di essere cinicamente logico come il Dottor Spock, ma in realtà ero follemente passionale e in quel momento l’attività fisica stava caricando il mio corpo di sensazioni che esigevano di essere scaricate ...

 

Zeno mi aveva spiegato che dovevo sfamare il mio corpo e siccome non ci riuscivo con l’interazione con gli altri ...  io usavo il ritmo infuocato di James Brown. «Get it together, right on, right on» Avevo portato con me il mangianastri del corso d’inglese e sul principio andavo a sfamare il mio corpo dietro l’edificio delle camerate, ma stando di rimpetto al bel vedere di Sabaudia, non era propriamente un luogo discreto e allora decisi di ballare direttamente in camerata, almeno c’era meno gente che mi avrebbe preso per scemo. «Stay on the scene like a sex machine» Beh, sulle prime fraintesero il mio intento per voglia di far baldoria e si unirono al ballo scatenato, ma poi compresero che ero proprio scemo perché tutti i giorni dopo pranzo, puntuale come un orologio, partiva la sex machine ... ma esprimevo un mio bisogno e mandando affanculo chi se ne lamentava, intrapresi un dialogo emotivo con gli altri.

 

Altra debolezza che mi aiutò a trovare un dialogo fu la mia fisima delle latrine ... già dal principio rimasi obnubilato alla vista delle turche al posto dei vasi di ceramica ma poi, accoccolati con dei separé che non arrivavano fino in terra, si poteva comodamente tenere una conversazione con il vicino di cagata, dunque fui costretto a farla sempre di notte. Fin dalla prima volta scoprii che non sarei stato da solo. “A ragazzi’ bada che sgancio gas mostarda” Era il caporal maggiore Desco che soffriva di aerofagia. “Ridi, ridi ... la senti che fanfara?” Quelle scorregge mi facevano montare una ridarola pazzesca ... non riuscivo proprio a trattenermi e nel silenzio della notte, lui che sbreng ed io giù a ridere ... si trattava di un dialogo emotivo piuttosto originale.

 

Le uscite in lago erano molto limitate dal numero inadeguato d’imbarcazioni, così si trascorreva metà della giornata a prepararsi per raggiungere il campo di regata e poi a riposarsi per la mezz’oretta di voga. “Fa come ti dico io” Le formazioni erano gli standard di coppia con cui s’insegnano le basi del canottaggio e se non ti presentavi con un amico, capitavi in equipaggio con le schiappe che rimanevano sistematicamente spaiate sul molo. “Sai almeno contare fino a tre?” La prima volta finii con quello che soprannominai «Skeleton Key». C’eravamo conosciuti durante gli esercizi ginnici. «Stupido, hai il remo sinistro a pelo d’acqua!» Io non potevo fare a meno di fissarlo perché era il primo albino che incontravo. Era alto e talmente magro che gli si vedeva il movimento delle vertebre dorsali e non solo, ma aveva gli zigomi scavati e le labbra sottili che mettevano ancora più in evidenza una dentatura esagerata, per non parlare poi degli occhi infossati intorno a cui c’era una strana aura violacea ... faceva proprio spavento! «Uno, su; due, piega le gambe e tre, affonda i remi e distendi all’indietro» Con un attrezzo del genere capii subito quale sarebbe stato l’andazzo e disubbidii all’ordine di salire a poppa, dove solitamente si posiziona il meno esperto. “Uno, due e voooga ... uno, due e voooga ... inspira, trattieni, espira» Era un disastro e coordinando male l’alzata dei remi, piegava a sinistra la traiettoria della barca, ma non era stupido e recepiva bene gli ordini che gli davo, così riuscimmo a compire l’intero campo di regata e rientrando al molo ci togliemmo anche la soddisfazione di mettere la nostra prua davanti  a tutti... wow!

 

“Ah!” La mattina dopo, mi vidi la sua testa di morto pendere dal lettino sopra il mio che mi rivolgeva il buongiorno. “Aoh, angora non ce pozzo grede e no!” Skeleton Key era di Sezze e parlava ciociaro, lo stesso idioma di Lalla, quindi lo capivo benissimo. “E com’ si locco, immo a basce o stimme freschi se vu magnà” Io non ci volevo stare con lui, uffa! “Me so schiattato dallo callo, e no!” Ma quanto poteva essere brutto con quelle cosce rinsecchite che lasciavano le mutandine appese agli ossi sporgenti delle anche. “ Aoh e tu pia che poi me lo magno io” Skeleton Key mangiava come un reggimento di soldati, s’inzeppava il cibo in bocca e lo ingoiava quasi senza masticarlo. “A serge’, ieri io e l’amigo mio ve semo stracciati e no!” Forse era per i suoi difetti che era simpatico a tutti? O magari perché nessuno gli guardava il culo secco. In ogni modo, lui fu il mio passe-partout per entrare in contatto con tutte le comitive.

 

La palestra era il regno di Toni che stupiva tutti con i suoi salti mortali. Oh, ma quanto lo potevo invidiare! Gli chiesi d’insegnarmi qualcosa, ma nonostante l’impegno profuso, non riuscii mai a migliorare il mio salto a frittata rivoltata con arrivo a frittella spiaccicata. “Non ti si stufato de fatte li bozzi!” Il fatto che Skeleton Kay stesse in equipaggio con me non lo costringeva mica a starmi appiccicato acca ventiquattro. “E mo non te sta a fa pia’ d’aceto, stavo giusto pe’ dì” Ma sì, certo che non mi dispiaceva quando mi veniva a cercare. Avevo bisogno del modo franco con cui era capace di abbattere tutte le mie timidezze. “Dì mpo, ce volete veni’ a fa n’gularella?” Skeleton Key era in una comitiva e propose a me e a Toni di divertirci insieme alla sua confraternita della pippa.

 

L’idea che i ragazzini siano privi di desiderio sessuale prima di maturare dei genitali fertili, facilitava molto l’esercizio del pisellamento. Per esempio, Vanni ed io ci intrufolavamo nel solarium del Circolo aspettando ansiosamente che qualche avventrice si mettesse a prendere il sole in topless e fingendo di giocare a carte, ci infilavamo furtivamente la mano nello slip per una rapida ravanata emozionante. Era tuttavia qualcosa di diverso dal pisellarsi insieme, quindi quella che ci propose Skeleton Key fu la prima vera esperienza di masturbazione comune. Ci disse che la cosa si sarebbe tenuta dopo cena, quando ci mandavano in camerata e si rimaneva liberi fino al silenzio.

 

Era proibito spostarsi da una camerata all’altra o sostare nel corridoio, tuttavia il controllo arrivava solo se si faceva baccano. “Tranquilli, so’ amichi mia e sanno stasse zitti e mosca” Scivolammo lungo il corridoio a passo lesto. Fummo fermati da due ragazzini che parlavano tra loro. Uno dei due era tornato in camerata quando l’altro ci stoppò chiedendo a Skeleton Key chi eravamo. Avvertiti dal palo, entrammo che gli altri si erano tutti ricomposti sulle loro brande, inscenando un fermo immagine di normalità. Ci volle parecchio per superare l’imbarazzo della nostra presenza.

 

Nessuno fece le presentazioni e al solito non trovavo il coraggio di avvicinarmi a qualcuno, seguii dunque Toni che, invece, con la sua faccia da schiaffi, si era intrufolato in un gruppetto che sfogliava riviste porno. Quella roba non era difficile da reperire perché in caserma se ne trovava nascosta un po’ ovunque. “Lo conosci Supersex?” Toni ne sfilò una e ci appartammo su una brandina per esaminarla. Lui ed io condividevamo l’estetica del cazzo e già nei lungi pomeriggi trascorsi a bordo del campo da basket, avevamo avuto modo di discettare sulle possibili qualità dei genitali che vedevamo ballonzolare. “Secondo me il tenente Guttazzi ce l’ha così grosso” Il Tenente era un gran figo, ma dai suoi succinti pantaloncini non trapelava una simile abbondanza. “Ma che centra, non lo sai che prima di farsi duro è piccolo come il nostro?” Per un attimo mi beai all’idea che un giorno anch’io avrei avuto un’alabarda spaziale come quella di Supersex.

 

“Ma che te stai a fa ‘na pippa!” Il pisellamento non era poi così diffuso o almeno pochi potevano vantare di aver avuto un maestro come Nando. Lo avevo già insegnato a Vanni e proprio in quei giorni lo andavo spiegando a Toni che però preferiva esercitarsi sul mio pisello. Fu così che anche quella volta mi sacrificai al dovere divulgativo. “Ah!” Non so se Skeleton Key lo facesse solo per scena. “Uh!” Quando arrivavo a sfiorarglielo, lui si sottraeva manco gli dessi la scossa elettrica. “Ooooh” La faccenda richiamò subito l’attenzione di tutti ed era effettivamente esilarante guardare le facce che facevano quegli scemi. “Si fa così” Il pisellamento era una roba seria e allora mi calai gli slip e tirai spavaldamente fuori la testa a Mt Wiggly, mostrando come lustrargliela con cura.

 

Quelli neanche sapevano di avercelo un glande perché avevano il baccello ancora chiuso. Per loro era del tutto misterioso il piacere che provavano strofinandosi l’uno contro l’altro. “Si deve bagnare con la saliva” Dovevo ammetterlo, la variante adottata da Toni per umettarmelo era preferibile allo sputo insegnatomi da Nando. “Aoh e me fa puro no poco schifo!” Beh, era una questione di punti di vista perché dal mio era un paradiso sentire le labbra carnose di Toni. “Ce sta a fa ‘na pompa!” Ora non esageriamo, era più un pisellamento a bocca. “Prova ‘n bo’ collo mio” E no, la storia di condividere le labbra di Toni non mi piacque per niente. “Pure Giovannino!” Succedeva sempre così, se qualcuno trovava il coraggio di farlo, poi si scopriva che pure a qualcun altro piaceva e Giovannino si sedette accanto a Toni sul ciglio della brandina con gli altri che ci formarono un capannello attorno.

 

“Aoh, ce strusciamo no poco?” Io me ne stavo beatamente disteso sulla branda a gustarmi lo spettacolo e a ridere delle cavolate che si dicevano, quando Skeleton Key si sfilò dal gruppetto saltando sul letto. “Eddai, strusciamoce no poco” Col baccello chiuso non tutti potevano apprezzare quella raffinatezza e una volta provata la novità, accolsero l’invito di Skeleton Kay di tornare alle vecchie abitudini. “No, voijo sta a ecco” I ragazzini si scelsero per appartarsi sulle brande e uno di loro venne da Skeleton Kay che però voleva restare con me. “Te aggusta?” Mi abbracciò da dietro e lo sentivo premermi e non era spiacevole, almeno in quella posizione non ero costretto a guardarlo in faccia. Quando però anche Giovannino e Toni se ne andarono e rimasi solo con lui, iniziai ad annoiarmi. “Voi fa’ no poco tu?” Era strano perché io confrontavo quanto accadeva con l’esperienza delle ragazzine nel locale serbatoi. Prima di tutto loro si strofinavano da davanti e poi si calavano sempre le mutandine mentre questi si abbracciavano da dietro e tenevano lo slip.

 

“Spigni che me aggusta” Premere su cosa, se al posto delle chiappe si ritrovava due speroni? “E tu si bravo solo a rema’ ... uno, due e spigni su!” Mi provocava pure! “Aoh, ma che stai a pazzià” Quella roba così non aveva senso. “Ma te si imbazzido?” Era o no un’incularella? E allora piegarsi a novanta, giù le mutande e pisello in buca. “Aoh ... oh ... oh!” Che poi il suo culo secco, piegato in quel modo rivelò un comodo anfratto. “Aoh ... oh ... oh!” Mt Wiggly ci stava dentro con tutti i gioiellini di famiglia. “Maaammaa ... miiaa!” Preferivo sicuramente sbattere piuttosto di spingere e mi fermai solo perché grondavo sudore. “Ma che mi si sburato n’gulo!” Certo che no, lo avevo solo bagnato un po’ e poi, se lo stavano sfottendo, era solo per i versi che aveva fatto. “Tu co’ me si chiuso e mo facce veni’ iju ciucciacazzi a rema’ co’ tia, vabbeh?”.

 

Era l’archetipo sessuale costruito sull’erezione del pene maschile che permetteva alle ragazzine di calarsi le mutandine per strofinarsi perché questo non mimava alcun amplesso sbagliato. I ragazzini sentivano di doversi tenere gli slip per proteggersi dall’infamia di un coito passivo. Il gioco dell’incularella era più diffuso del pisellamento perché il conno anale non aveva bisogno di aspettare lo sviluppo ormonale per dare sensazioni. In quel gesto ci si allenava al movimento sessuale e allo stesso tempo si traeva piacere dalla sollecitazione dell’eros passivo. Le cataratte culturali gli impedivano di osare di più e la reazione di Skeleton Key doveva essere proporzionale al piacere che aveva appena provato, se non voleva perdere l’onore di maschio ed essere ostracizzato dal gruppo.

 

Fu per assolvere se stesso che Skeleton Key iniziò a dare del «puzzafiato» a Toni e Giovannino, appuntandosi al petto quel limite che non aveva superato. Con me abbassava lo sguardo perché dentro di lui si torceva l’onta di un piacere che subdolamente continuava a solleticargli l’ano. “Oh ma me si svergognato davanti a tutti!” Da lì a poco, iniziai ad allenarmi col singolo insieme agli atleti e mi sganciai da tutti perché avevo un programma giornaliero con turni di riposo fissi, i quali solo casualmente coincidevano con quelli del resto della mia camerata. “Te pozza pia’ no gorbo, n’gulo mi si sburato e no!” Tornato dal campo di regata, mangiavo e poi rischiavo lo svenimento per stanchezza, per cui me ne rimanevo in branda fino alle cinque. “Me te si scordato come niente pe’ fatte l’amichi novi” Qualche giorno prima che partisse, Skeleton Key sentì il bisogno di tornare amici, ma a quel punto che senso aveva? “Infrattamose dendro glio cesso, te va?” Non gli importava tornare a essere amici, anzi, era rassicurante che rimanessi un estraneo nella sua vita, giusto per continuare a farsi sbattere senza contraccolpi sociali.

 

“Ragazzi’, te ne mancano ancora dieci all’alba” Dopo Skeleton Key partì anche Toni e mi sentii perso. Nel frattempo cambiavano a ritmo esagerato anche tutte le altre facce. “Mangi e dormi e fattela una bella risata delle tue” Da solo non ero capace di mettermi in contatto con gli altri e rimasi per diversi giorni in silenzio prima di cominciare a scivolare dietro i miei bulbi oculari. “La vogliamo fare una telefonata al generale?” Non so perché, il caporal maggiore Desco una sera mi portò con lui in libera uscita. Di ritorno, in camerata si sedette in branda con me e parlammo parecchio. Gli raccontai perché mi allenavo con tanta dedizione, ma non capì quanto fosse importante per me vincere una medaglia. Lui mi spiegò che non poteva stare un giorno senza telefonare a casa per sentire la voce della sua famiglia. Mia madre oramai si era rassegnata al fatto che io non la chiamassi, ma non era per cattiveria ... non riuscivo a parlare alle persone in carne ed ossa, figurarsi attraverso un pezzo di plastica.

 

Mi sentii in colpa quando compresi che mi credeva figlio di un generale e mentre glielo lasciavo pensare, ebbi una sensazione estraniante nel riconoscermi in quel ritratto che mi andava raccontando. In caserma si erano fatti tutto un film sul mio conto e non so se era poi così sbagliato perché Paolo lo divenne sul serio mio padre ed effettivamente era vero che mi si erano dimenticati lì dentro. Quell’esperienza fu profetica su quanto mi stava per accadere e decretò la fine della mia infanzia. Già, ma è facile lasciarsi ingannare dai ricordi ... rileggendo il passato s’incorre sempre in una tesi precostituita dal senno di poi, in cui si uniscono dei puntini con lo scopo di disegnarci quello che vogliamo dimostrare.

 

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Ho letto in qualche luogo che i ragazzi tra i dodici e i quattordici anni, sono proclivi all'incendio e all'assassinio. Ricordando la mia adolescenza comprendo assai chiaramente la possibilità del più terribile delitto, senza scopo, senza desiderio di nuocere … così, per curiosità, per incosciente bisogno di azione.

 

Vi sono momenti in cui il futuro appare all'uomo in una luce così tenebrosa che egli ha paura di fermarvi lo sguardo, sospende interamente in sé l'esercizio della ragione e si sforza di persuadersi che l'avvenire non sarà e il passato non è stato.

 

Quando il pensiero non controlla ogni determinazione della volontà e gli istinti carnali rimangono le sole molle della vita, un ragazzino incline a tale condizione, senza esitazione o paura, con un sorriso di curiosità dia fuoco alla propria casa e con essa a quanti lo hanno accudito in questa vita.

 

Sotto l'influenza di questa eclissi del pensiero, un uomo trova una certa soddisfazione a fermarsi proprio sul limite di un precipizio a pensare: " … e se mi gettassi giù?".

 

("L'Eclissi" estratto da: Adolescenza di Tolstoj).

 

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“Guarda che baffetti!” Quell’orribile peluria che a una certa età ci cresce sul labbro superiore fa esclamare a tutti le solite frasi fatte. “Pare ieri che era un pupo” Nessuno lo ammetterebbe mai, ma in realtà stanno parlando dei tuoi peli pubici. “E’ adesso che iniziano i guai” Nel senso che da quel momento le tue gonadi si ritengono ispiratrici di ogni volontà razionale. “Appena sentono la puzza ... addio!” Ogni amicizia o altro scopo nella vita si finalizza all’andare dietro a delle ragazzine che iniziano a tirarsela perché depositarie dell’unico interesse che muoverebbe il mondo. Il mio ermafroditismo psichico mi permetteva d’interpretare qualsiasi tipologia di eros, ma forse proprio per questo non mi riusciva d’intercettare i canoni della normalità. Ai miei occhi quell’amore divinizzato era il nuovo oppio dei popoli, un artificio teso a condurre l’energia della copula in una turbina d’interessi sociali.

 

Ero seriamente convinto che l’amore fosse roba da femmine e siccome mi ritenevo anche misogino, con quelle stronzette non volevo avere niente a che spartire. Solo che seguire la linearità dei maschi era difficile quanto confrontarmi con gli arzigogoli femminili e poi tutte queste laboriosità si risolsero nel momento che incontrai Giada. Tuttavia, l’amore non sopiva l’empatia emozionale che s’intrufolava in ogni amicizia. Successe pure con Vanni e i nostri incontri di lotta si arricchirono di propositi sessuali mascherati dall’istinto di prevaricazione. Fin quando giunse quello schizzo di sperma che chiudeva l’era del «giochiamo a fare finta». Da quel momento i gesti compiuti realizzavano una soddisfazione consapevole, riscontrabile nello speroncino che ci si faceva duro negli slip.

 

Sento spesso parlare di educazione sessuale ma questa maschera la volontà di negare l’erotismo anticonvenzionale. Dovremmo, invece, preoccuparci di divulgare una consona informazione sessuale e curarci meglio delle affettività che ne interpretano i bisogni. Io sapevo tutto sul sesso ma nulla dell’affettività che ne scaturisce. Fu così che, mentre gli altri ragazzini erano intenti a tessere nuove relazioni emozionali, la mia volontà tendeva ancora a conquistare l’affetto genitoriale.  Tornato a Roma, convogliai di nuovo tutte le mie energie nell’intento di conquistare una medaglia, per farlo chiesi di allenarmi sul barchino del singolo, ma l’istruttore mi spiegò che dovevo completare lo sviluppo fisico per accrescere la massa muscolare necessaria a gareggiare da solo. Figurarsi se un adolescente può aspettare il domani, invece mi apparve subito davanti il logo rotondo impresso sulle tute da ginnastica indossate da Zeno: BodyEvolutionLaGarbatella.

 

“E’ troppo pericoloso ... ” Non m’importava quanto fosse rischioso. “Torna quando ti saranno cresciuti i peli sul pisellino” Da un pezzo che a Mt Wiggly erano cresciute le treccine da rasta. “Hai provato ad allenarti di più?” Come facevo se il barchino me lo davano due volte a settimana? In fondo si trattava solo di pompare su un cazzo di vogatore indoor. “Lo sai che dovresti seguire una dieta iperproteica?” A quale altro scopo servivano gli integratori? E poi mamma non aspettava altro di ricominciare a ingozzarmi di pillole. “Ora hai un equilibrio ormonale delicatissimo” Lo sapeva che avrei seguito le sue istruzioni come nessun altro sapeva fare. “Dovrei starti dietro tutti i giorni” Non chiedevo di meglio. “Ragazzino, io c’ho famiglia ...” Lo poteva dire subito che era una questione di soldi. “Tu padre c’ha il braccino corto” Beh, se avesse combinato un buon prezzo, poi avrebbe avuto il pass al Circolo come mio personal trainer e lì dentro avrebbe trovato un sacco di potenziali clienti col portafogli gonfio ...

 

Sicuramente fu provvidenziale uno sviluppo fisico dovuto a dei super geni ma per il resto, se il mio corpo iniziò a fiorire fu solo per merito della scienza di Zeno. I promettenti tempi che iniziai a ottenere mi fecero accedere agli agognati corsi avanzati riservati ai ragazzi dell’agonistico. Avrei dovuto sentirmi soddisfatto di pisciare in testa a tutti quelli che mi avevano irriso eppure non cambiò niente. Ogni volta che tagliavo un traguardo, continuavo a scappare per nascondermi nello sgabuzzino. Ero sprovvisto di quell’abbecedario con cui comporre le sillabe sensazionali pronunciate dal mio corpo. Le mie emozioni riuscivano a sintonizzarsi solo a un livello erotico sulla frequenza empatica degli altri e fu quello che accadde con Luca. Facevamo rowling uno accanto all’altro e i nostri corpi emettevano una vibrazione simpatica, così diventammo amici senza bisogno di parlarci. Lui era di cinque anni più grande e mai avrei pensato che volesse formare un circolo della pippa con un moccioso.  

 

Luca non era troppo alto e già potevo permettermi di guardarlo negli occhi. Fisicamente era snello ma compatto, nel senso che il suo corpo non aveva rientranze o sporgenze ... eccezion fatta per delle natiche piuttosto pronunciate che lo costringevano a camminare un po’ a papera. Aveva dei gran begli occhi verdi, continuamente spalancati in un'espressione esterrefatta. C'era poi il naso che dava alla sua testa una forma vagamente aerodinamica. La bocca bellissima era sempre aperta in un sorriso luminoso … «sempre» nel senso che quel sorriso lo portava stampato in faccia e facendo il paio con lo sguardo dall'espressione esterrefatta, non gli donava un aspetto molto intelligente, ma le sue tare intellettive stavano tutte nell’incapacità di concepire il male. Gli amici lo prendevano in giro quando non riusciva a capire al volo una battuta sarcastica o dell'ironia velenosa. La sua idiozia aveva il sapore di una tenera innocenza … al limite dell'arrapante.

 

Terminate le sessioni al vogatore, ero solito scendere sul greto selvaggio del fiume per riprendere fiato. Un giorno, mi accorsi del sopraggiungere di Luca perché la cima di genio si era avventurato tra le sterpaglie a piedi nudi. "Devo cambia' l'acqua alle olive" Era venuto fin là solo per pisciare! Cioè, si era appena flagellato i piedi per non usare i comodi bagni della palestra? Ascoltai il suo scroscio nell’acqua e quando si voltò, gli vidi chiaramente la forma turgida del pisello sotto la lycra dei pantaloncini. "E' bello qua" Disse guardandosi attorno, prima di sedersi accanto a me. "E’ tutto un magna magna" Luca parlava per frasi fatte e usò una di queste per prendersela con chi voleva cementificare quegli argini selvaggi. "Ammazza se era bella!” Tutto quel discorso era servito per parlare della mia poesia ambientalista dell'anno prima. “So’ invidiosi” Fu carino a prendersela con chi usava ancora quella storia per sfottermi. "Mi piacerebbe scrivere versi così belli” Concluse, cogliendomi una malinconia dal lento scorrere delle acque del fiume.

 

“Gioca’ in squadra è più bello” Aveva appena ricevuto la proposta di entrare nella squadra di pallanuoto, ma perché me ne stava parlando? “Mi dispiace lascia’ l’equipaggio” Ogni tanto strofinava energicamente la mano sul mio ginocchio. “Ci parlo io col coach” Mi stava proponendo di occupare il suo posto nell’imbarcazione più figa del Circolo! “Allora ti va?” Intendeva la proposta sportiva o quell’altra insita nella sua mano che era salita su per la coscia? “Te la sei mai fatta una calzetta?” Questo era un altro termine per indicare la Federica, ma in quel caso era improprio chiamarla così perché la variante consisteva nell’infilare l’erezione in un calzino per non toccarsi il cazzo. “Sbrighiamoce” Me lo metteva in mano per un nanosecondo e poi se lo rinfilava nei pantaloncini sempre più nervosamente. “Hai sentito?” Che paranoia! Lo rassicurai che in quel posto non ci avevo mai incontrato nessuno. “Fermo!” Dopo neanche due minuti di trambusto ansiogeno, tornò sul punto dove aveva pisciato e finì da solo ...

 

Io poi non riuscii a conquistare il posto in equipaggio, in compenso Luca mi prese sotto la sua ala protettrice e quando la mia vita famigliare iniziò a dirupare, per starmi ancora più vicino, mi propose di entrare con lui nella squadra di pallanuoto. Ogni tanto ci toccavamo sotto le docce, ma a lui piaceva qualcosa che a me sfuggiva. Luca temeva la solitudine in cui soffocava nel momento che il mondo smetteva di comunicare con lui. La sera si addormentava con la radio accesa e non andava a coricarsi prima di aver buttato giù il programma del giorno dopo, che prevedeva andare a salutare gente dalla mattina alla sera. Persino quando camminava per strada rivolgeva frasi di convenevole a chiunque e se non incontrava nessuno, allora s’infilava in un bar per scambiare quattro chiacchiere. Non riusciva ad appartarsi neanche per tirarsi le seghe. Iniziò a farlo durante la ricreazione nei bagni della scuola, poi proseguì in quelli pubblici, dove entrò in contatto con la popolazione maschile avvezza al cruising in quei luoghi.

 

Primo esaudiva ogni mio capriccio sportivo e fu entusiasta d’iscrivermi anche ai corsi di pallanuoto. Tuttavia, siccome gli allenamenti occupavano l’intera piscina, questi si tenevano nel preserale e lui dovette prendersi l’onere di venirmi a riprendere, ma se mi fossi allenato con la frequenza con cui era disponibile, in squadra non ci sarei mai entrato. "Sali che ti diamo un passaggio" Toni aveva lasciato la ginnastica artistica per i tuffi dal trampolino e abitava al quartiere Prati che stava sulla via di casa mia, così dicevo sempre che mi riaccompagnava sua madre, ma era vero solo quando i nostri turni di allenamento coincidevano.  Per tornare dal Circolo dovevo prendere due autobus per quasi un’ora di viaggio. Luca abitava sulla Flaminia Vecchia e mi dava volentieri uno strappo in scooter, ma non potevo pretendere che arrivasse fino a Castel Sant’Angelo. Così non mi parve vero quando Marcello cominciò a venirmi ad aspettare fuori dalla piscina. Fu allora che iniziò a chiedermi dei favori sessuali, ma io lo facevo volentieri e poi abbracciarlo in moto mi arrapava moltissimo.

 

Era già capitato che Marcello venisse al Circolo per caricarsi Vanni e questa cosa a me faceva un’invidia mortale. “Beh, io sto a torna’ a casa, se voi ‘no strappo ...” Disse così la prima volta che mi dette un passaggio. “Se poi te va de annà co’ sto trabiccolo de l’amichetto tuo, fa pure ...” Io ero già salito dietro lo scooter di Luca e non fu gentile preferirgli la moto di Marcello. “Ma vedi d’annattene e voi che c’avete da guarda’, puzza n’culo de granosi de merda” Quando Luca seppe che Marcello mi faceva fumare le canne, lo affrontò coraggiosamente rimediandoci una capocciata. La verità era che Marcello mi faceva sangue fin dai tempi delle partitelle a Castel Sant’Angelo e mi mandava in bestia che Vanni se lo fosse preso come faceva con ogni cosa che mi apparteneva. Quella sera tentai di sedurlo con gesti millimetrici, tipo far scorrere sinuosamente i pollici dietro la sua cintura per aggrapparmi alla fibbia ... colse eccome quei gesti e mi si gelò il sangue quando a un semaforo sistemò la mia mano sulla poderosa erezione che gli avevo procurato.

 

Il problema tra me e Luca era un’incompatibilità erettile, a lui non veniva duro se non stava in mezzo alla gente e al contrario a me rimaneva moscio in quelle situazioni imbarazzanti. Era comunque troppo buono e mi rimase vicino anche dopo che accettai i passaggi di Marcello. Panari Felice per quanto stronzo, faceva parte della mia vita e quando lo stringevo in moto, mi figuravo la sua immagine in costume durante la colonia estiva ... mingherlino con dei muscoli tesi, il ventre scavato con un ombelico piccolino, i fianchi stretti, i capezzoli puntuti, la schiena con delle scapole che parevano i moncherini di due ali perdute. Era come aggrapparmi a un pezzo di passato, in quel momento in cui tutti mi stavano abbandonando.

 

Pur non avendone le prove, ho sempre sospettato che Marcello e Vanni scopassero in modo regolare, cioè tipo baci e tutto e non robetta come nei circoli della pippa. Finché rimasero amici, lui mi chiese di non dire a Vanni che veniva a prendermi e quando stavano insieme, mi salutava appena o peggio, mi trattava di merda. Insomma, una volta o due passi, ma non era mica normale quel comportamento neanche per uno stronzo della sua risma. Era una situazione imbarazzante e glielo dissi, almeno cercai di farlo perché il bastardo sapeva come incasinarmi il cervello facendomi il verso al primo accenno di balbuzie emotiva. “Ma sttt tta zi zi zizitto e monta” Sosteneva che tanto era sempre in giro a quell’ora e quel rompicoglioni di Vanni gli si era solo appiccicato come una cozza. Intanto, fin dalla prima sera, svoltò su per il vicolo accanto a casa, dove era sicuro che nessuno ci potesse vedere.

 

“Beh, penso de essemelo meritato un grazie” Si era disteso su un gomito sul sellino della moto e tenendosi il cavallo dei pantaloni, disse di meritarsi almeno un grazie. “Da quant’è che t’ho capito a te” Fosse stato anche solo per non arrendermi a quel suo modo spavaldo di chiedermelo, non avrei dovuto farlo, invece, gli aprii la patta dei pantaloni mentre lui si accomodava poggiandosi su entrambi i gomiti. La mia mano scivolava fin tra le sue cosce, mentre con l’altra sentivo la sua pancia irrigidirsi. Nonostante il buio e la felpa, avevo un’immagine chiara del suo corpo fremente attraverso il contatto della mano. Percorrevo ogni spigolatura, seguendone i sentieri e palpandone la consistenza dei muscoli che si contraevano. Ogni volta il suo affanno stentato mi coinvolgeva empaticamente e quando si mozzava di colpo, il cuore mi si bloccava per qualche istante.

 

Rimanevo a guardarlo mentre si puliva con quella spugnetta lorda che teneva infilata nel parabrezza della moto. Prima di andarsene usava salutarmi stringendomi la testa nell’avambraccio. Mi diceva che ci saremmo rivisti la mattina dopo a scuola, ma io lo sapevo che non mi avrebbe rivolto neanche il saluto. Quello che facevo non mi lasciava strascichi, sensi di colpa o altro. Mi piaceva e basta, iniziava e finiva esattamente quando iniziava e finiva. Nemmeno la mano sporca m’infastidiva e l’odore che ci lasciava sopra, mi piaceva mischiarlo col mio, quando a casa m’infilavo nel bagno, con mamma che bussava per la cena che lasciavo raffreddare. Filò tutto liscio fin quando la madre di Toni non si preoccupò di domandare a Primo come mai non mi vedeva più. Apriti cielo! "E' così che ripaghi la fiducia che ti diamo?" E vaffanculo! Si preoccupavano solo che la gente non si accorgesse quanto fossero stronzi e certo non potevano capire perché mi andava alla grande tirare le seghe a Marcello in cambio di un passaggio.

 

Anche quella volta mia madre avrebbe preferito rimettermi in naftalina e farmi sparire in qualche cassetto, per fortuna Primo si oppose e giurò di venirmi sempre a prendere … non lo fece neanche la volta dopo che lo promise. Quella sera ci allenavamo al Foro Italico e non mi sarebbe costato nulla prendere un autobus per tornare a casa, invece lo aspettai inutilmente sotto la pensilina del centro sportivo, poi iniziò a piovere e rientrai per guardare gli allenamenti della squadra che finivano alle undici. Aspettai fino a quasi mezzanotte e neanche mia madre pensò di dubitare della promessa di un uomo che aveva atteso invano a ogni festa comandata. "Posso dormire a casa tua?" Chissà cosa pensò Luca quando mi vide sotto la pioggia accanto al suo scooter ...  "Telefona o i tuoi si preoccuperanno" Entrai in una cabina telefonica e finsi di avvertire i miei, volevo dargli una lezione o vedere fino a che punto erano capaci di dimenticarsi di me?

 

Ero confuso da quel continuo vorticare che era diventata la mia esistenza e girando come una trottola, quella notte mi ritrovai nel letto di Luca. La sua cameretta era totalmente anonima, poteva essere appena uscita da una vetrina di qualche mobilificio. Non trovai nulla che potesse identificarlo, tranne la radiosveglia sul comodino e una caraffa d'acqua che ci teneva accanto. Luca era vistosamente imbarazzato e anche la sorella, che lo aspettava fino a quell'ora per preparagli il latte caldo e metterlo a letto come fosse suo figlio. "Ti disturba la radio?" Prima di spegnere la luce sintonizzò la radio su un canale in onde medie, dove si leggeva un audio libro: "L'Amante di Lady Chatterley" Era il romanzo preferito di Giada! Mi commossi ad ascoltare la voce di Connie soffrire a Dresda per quell'uomo perduto in guerra che l'aveva iniziata all'amore. Poi, inaspettatamente, il timer della radiosveglia piombò la stanza nel silenzio, da cui subito emersero i rumori della città … solitudine.

 

"Sei sveglio?" Il fracasso del pensiero di mia madre che schiantava sul pavimento le suppellettili di casa non mi lasciava riposare. "Ti riaccompagno a casa?" No, in quel momento avevo solo bisogno di qualcuno che mi volesse bene. "Luca, ti va una calzetta?" Lui non mi rispose e allora gli salii sopra. “Aspetta!” Voleva fare tutto da solo anche quella volta? “Io non sono gay” Aveva proprio ragione Lele a detestare tutte le fisime dei bisex per non essere scambiati per froci. “Mi piace solo divertirmi un po’” E chi se frega! Non avevo intenzione di psicanalizzarlo, io volevo solo sfamarmi col suo affetto. “Che penserebbe tua sorella se entrasse in questo momento?” Ecco cosa gli piaceva: il brivido. “Ti sentisse gemere e ... ” Schizzare come un porco, appunto ... non feci in tempo a dirlo che soffocò qualche stentato singhiozzo imbrattandomi la mano.

 

“Scusa” E di cosa? Scemo io che mi ero aspettato qualcosa di più. Continuai da solo cercando di focalizzare l'immagine di Connie col volto di Giada che perdeva la verginità. "Ti va ancora di fare l’amore?" Dopo qualche minuto che mi coccolavo nel frusciare della mano sotto le lenzuola, Luca mi sorprese chiedendomi se volevo fare l’amore con lui. Io non avevo mai fatto l’amore con nessuno. Mi salì sopra e fece aderire la sua carnosità alla mia. Piegato su di me, iniziò un intenso e affannato massaggio. "Sccc …" Faceva per zittirmi, quando uno strappo più violento mi faceva trasalire. Finalmente non pensavo più a nient'altro mentre con un braccio mi teneva stretto a sé, fin quando fece schizzare via la mia anima. Lui durò moltissimo ed ero stremato quando mi stritolò in un ultimo e intenso abbraccio. Morimmo istantaneamente un attimo dopo, senza rendercene conto, mentre i nostri corpi continuarono a comunicare nel sonno, intonando una serenità infinita. 

 

"Dove vai a quest'ora di mattina?" Non volevo costringere Luca ad accollarsi quel mio colpo di testa. "Vado a scuola" Mamma venne fino a scuola per prendermi a ceffoni davanti a tutti. "Che penserà la gente?" Diceva. "Mi farai morire!" La sensazione era che a spaventarla fosse quel recondito desiderio che aveva sempre covato di potersi liberare di me. In quel periodo c’era anche Bea che m’ingozzava di benzodiazepine con l’intento omicida di allontanarmi da Marcello e infine commisi quell’altra cavolata il giorno delle audizioni per entrare riservista in squadra. Fu Zeno a soccorrermi dopo aver ingollato non so quanto Valium diluito in una boccetta d’acqua. Lui rimise tutte le cose al loro posto: strigliò mamma e prese di petto Primo, fraccò di botte Marcello e qualcosa di molto incisivo lo fece anche con Bea perché non mi si avvicinò più. Zeno mi portò al mare e ce ne restammo soli per tutto il ponte pasquale. Parlammo tanto e rimettendo uno in coda all’altro gli eventi catastrofici che si erano succeduti, la vita non mi apparve più come una lenta deflagrazione. 

 

Non so come, ma la storia del tentato suicidio iniziò a risuonarmi attorno come un tam tam bisbigliante. Accaddero cose spiacevoli come a scuola, dove al rientro dalle vacanze di Pasqua, mi usarono l’accortezza di riservarmi un banco singolo sistemato accanto alla cattedra ... non sapevo neanche che esistessero dei banchi singoli. Avrei voluto spiegarlo a tutti che era accaduto esattamente come per Anna Karenina: un passo avventato giunto rotolando insieme a una vertigine di disorientante dolore, ma nei loro sguardi c’era solo la paura del contagio della morte. Rimasi chiuso in casa per parecchio tempo, ma dopo Zeno venne a cavarmi via dal buco per darmi un posto come riservista, quindi avrei iniziato immediatamente ad allenarmi con la squadra. Devo dire che i ragazzi mi accolsero calorosamente, però si vedeva che erano stati ben istruiti. Solo Luca se ne rimase in disparte e non mi rivolse neanche una parola. Sul principio lo odiai perché lui non se lo poteva permettere di essere come gli altri ... dopo, però, prevalse la sofferenza di essere stato rifiutato e gli telefonai.

 

Passò a prendermi per andare alla piazzetta davanti a Ponte Milvio, ma poi mi portò nella stazione di servizio di Corso Francia. Mangiavo dell'insalata e lui faceva cigolare la sua scarpa da ginnastica agitando il ginocchio in uno spasmo nervoso. Lo faceva spesso, ma quella volta c'era qualcosa che lo infastidiva. Rispondendo al telefono aveva esclamato "Chi non muore si risente sempre!" C’era un livore mal sopito in ogni suo gesto e neanche sorrideva. "Oh, ma che t'ho fatto?" Mi ringhiava di tanto in tanto, se non rispondevo prontamente a qualche domanda. "Ma ce l'hai con me?" Implorava dopo, preoccupato perché rimanevo in silenzio. Come potevo avercela con lui, se era la sola persona al mondo che mi aveva aiutato senza mai abbandonarmi. Glielo dissi quando mi aveva esasperato con il suo comportamento. "Grazie della gratitudine" Forse usai dei modi troppo bruschi perché peggiorai la situazione, tanto che mi scusai, ma non bastò.  

 

A quel punto rinunciai a capire, attribuendo tutto al mio noto carattere di merda e stop. “Perché non me lo hai detto?” Quando iniziò a computare pensieri originali, rimasi spiazzato. “Sei sparito dalla circolazione” Luca non capiva che, nonostante l’aspetto, ero ancora un ragazzino e non potevo certo fare come mi pareva. “Agli allenamenti neanche mi saluti” Al solito pensavo che fosse un incomodo importunare le persone con la mia presenza. “Noi due siamo stati insieme!” Esclamò in un sussurro, sgranandomi gli occhi in faccia. “Ti rendi conto di come mi sono sentito?” Forse no. “L’avrei dovuto capi’ quando quella mattina te ne sei andato con la morte in faccia” Era solo il senno di poi che lo stava ingannando. “Me volevo ammazza’ pure io quando ho saputo che avevi fatto” Adesso stava proprio esagerando! “Me lo dovevi dì” Che cosa? "Prima ci dicevamo tutto" No, io lo usavo solo come spalla su cui piangere i miei guai. "Come se po’ esse così egoisti!" Lui improvvisamente si era messo a pensare e intanto a me mancava il respiro … mi sentivo in colpa perché ero solo una puttana che scopava in cambio di un po’ d’affetto che poi non sapeva restituire. 

 

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Archetipi sociali costruiti sulla negazione dell’evidenza comportano l’esaltazione di virtù usate come grimaldelli per divellere i capisaldi della naturalezza umana. L’appetito dello spirito si tramuta dunque nel digiuno del corpo e la bellezza dell’animo comporta l’amputazione del bisogno fisiologico. Una deformazione sfigurante, quando colpisse la maggioranza di un popolo, essa determinerebbe una normalità che cambia il canone di bellezza percepito, finendo per far ritenere disgustosi tutti quelli che non ne sarebbero colpiti. Nel corso dei secoli i bisogni inderogabili del corpo sono stati immersi nel lordume e le soddisfazioni tratte dagli stessi, condotte in un piacere postribolare da cui redimersi continuamente. Questa concezione del bene passa attraverso un giudizio negativo che richiede il peccato carnale per legittimarsi di volta in volta, finendo per autorizzare un così fan tutti che assolve nell’ipocrita rappresentazione di una realtà incorporea.  

 

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“Perché non vieni mai nei fine settimana?” Ah, no! Io il sabato e la domenica al Circolo non ci andavo. “Ci sono tante cose divertenti da fare” Infatti, Vanni preferiva andarci di sabato, ma io no. “Perché?” Avevo bisogno del mio spazio vitale di solitudine. “Certo che sei strano forte” Al rientro dalle vacanze estive, Toni prese a telefonarmi e insisteva per vederci, ma l’avvocato Lollo portava il figlio al Circolo solo durante i giorni prestabiliti dall’affido condiviso, cioè due fine settimana al mese e io il sabato e la domenica me ne stavo per fatti miei. “Chissà che dovrai fare tutto solo” Sta cosa della solitudine era diventata un assillo, avevo mille impegni ma tutti si preoccupavano solo di quel poco tempo che riservavo a me stesso. “Non ti annoi?” No, in quelle poche ore ritrovavo il piacere dell’ozio, in cui surfare sull’onda di nuovi e interessanti ragionamenti. “Non ti va di stare insieme?” Forse la gente si annoia a stare sola perché sono individui assai poco interessanti da frequentare anche per se stessi ...

 

“Possibile che non ti sei fatto manco un amichetto?” C’era mamma che a casa proprio non mi ci poteva vedere. “All’età tua uscivo sempre a passeggiare” Ecco cosa intendeva, dovevo esercitare il mio istinto di accoppiamento? “Vanni ha sempre qualcuno che lo viene a cercare” Uffa! “E’ normale che ... ” Fu per mimare la normalità che iniziai a frequentare il belvedere del Circolo con Toni. “Vediamoci al Bar, c’è anche Vanni” Ok, non sto sostenendo che mi dispiacesse andarci, ma non percepivo quella frenetica attesa che succedesse qualcosa. “E’ la figlia del sottosegretario alle infrastrutture ... piove sempre sul bagnato” Ah, già! Era cominciato il balletto dei primi amori e Primo ragguagliava mamma su ogni cambio a giro di valzer. “Vanni è un ragazzino sveglio” Vanni cercava di fidanzarsi fin dalle scuole primarie e fece molto scalpore il suo invaghimento per Carlotta, un potenziale matrimonio che avrebbe ridisegnato la mappa del potere tra i palazzinari romani.

 

 “Ma che stai ad aspetta’?” I genitori tenevano un vero e proprio borsino su cui quotavano i punti dei propri rampolli. “Diglielo pure tu che le femmine non te salutano mai per caso” Le mie quote erano salite da quando ero entrato nei corsi riservati all’agonistico. “Per Dio, ti dico che glie stanno appresso tutte e non me credi!” Il disinteresse che mostravo per l’arte dell’incontro stava iniziando a suscitare seri dubbi sulla mia virilità. “Lascialo sta che sembra grosso, ma è ancora un ragazzino” Mamma provava a difendermi e l’età per un po’ mi mise al riparo dai dubbi, ma aveva ragione Primo. “Questo è proprio un citrullo” Fin quando ero stato un bambino malaticcio dall’indole malinconica, le mie quote sul borsino riflettevano un andamento previsto, ma con la prova data alla scuola militare poi coronata dai risultati ottenuti con Zeno, la mia indole schiva diventò un attraente mistero da svelare: perché mi sforzavo tanto per acquisire crediti, se poi non li spendevo per ottenere del consenso sociale?

 

“Ma te piacciono le ragazzine, sì?” Ogni padre vorrebbe che il figlio ne seguisse le orme e anche Primo sperava che diventassi uno sciamannato puttaniere della sua stessa risma.“Eppure da piccolo non te se poteva para’!” Mi accorsi, invece, che il consenso delle femmine era solo un effetto collaterale della virilità che è di per sé una questione giocata tutta tra maschi. Avere tanti amici e confrontarsi con loro in una continua sfida vincente, ti conferiva quella patente di virgulto senso di prevaricazione necessario al successo personale. Disprezzare il gentil sesso diventava persino una virtù, allo stesso modo di come l’impegno profuso nel merito, ti teneva lontano da tutti gli altri vizi della carne.

 

“Io mi siedo dietro con Mommo” Al ritorno dagli allenamenti, Toni saltava sul sedile posteriore perché aveva sempre da raccontarmi qualcosa. “Sono stanchissimo!” Esclamava, prima di sdraiarsi sul sedile. “Che angioletti!” Gli faceva eco la madre al volante, quando lo vedeva accoccolarsi con la testa sulle mie gambe. Seduto dietro di lei, non poteva certo accorgersi che suo figlio me lo stava ciucciando. “Io te ne voglio di più” Quando parlai a Toni dello sgomento che avevo provato sentendomi dire da Giada: «Ti voglio bene», mi abbracciò asserendo che lui me ne voleva di più. Da allora mi sentii in colpa a farmi spompinare e cominciai a evitarlo. “Quello mi sa che è frocio” Nonostante avesse avuto già due fidanzatine, da più parti si vociferava di un’eventuale omosessualità di Toni. Il problema di “Fiatella” era che non gli piacevano solo i piselli, ma anche i ragazzini da cui ciondolavano, finendo per avere per loro attenzioni sconvenevoli.

 

“Gnomo, sciacquati dalle palle” Erano proprio quelli cui lo aveva succhiato che lo trattavano peggio, specie il fratello Mattia e me ne avvidi durante il torneo di doppio «Padri & Figli» che l’avvocato Lollo vinceva ogni anno in tandem con l’amato primogenito. Toni era bravissimo a farsi scivolare tutto addosso e fingeva di non accorgersi che anche suo padre non lo poteva soffrire. “Sei tu il ragazzino di Zeno?” Del resto, l’avvocato Lollo trattava tutti con distaccata deferenza e ci rimasi di stucco quando venne verso di me e con una mano sulla spalla, mi tirò via dalla compagnia degli altri raccattapalle. “Dove ti eri nascosto per tutto questo tempo!” Ma che era scemo? Ammesso che non si fosse accorto che ero il miglior amico di Toni, ma al Circolo sapevano bene chi era il figlio di quel gran puttaniere di Primo. “Ho sentito belle cose sul tuo conto” Attraversammo tutto il belvedere fino ai salottini del pianobar. Sapevo di dover intrattenere una conversazione, ma lui era un personaggio mitologico ed io non riuscivo proprio a parlarci ...  

 

“Ciurma, guardate che pesciolino vi ho pescato” Seduti tra quei divanetti c’era il gota del Circolo, comprese delle celebrità tipo un noto parlamentare e una conduttrice televisiva. “Lui è la passione segretissima del nostro Zeno” Suppongo che fosse una battuta di spirito perché risero tutti, prima di tornare ognuno alle proprie celie. “Così hai frequentato la scuola remieri della marina” Mi fece accomodare al suo tavolo e continuava a rivolgermi dei ganci per iniziare una conversazione. “E’ vero che ci torneremo anche quest’anno?” Meno male che sopraggiunse Toni a raccontare la nostra entusiasmante avventura dell’estate scorsa. “Suo padre è un generale dell’esercito” Chi! Perché ne stava sparando di ogni? E l’ultima balla era stata certamente fuori luogo. “Qui siamo tutti delle coppie moderne, vero amici?” E giù a ridere, perché in quel lavatoio dei panni sporchi c’era da scommetterci che circolavano già i pettegolezzi sulla mia vicenda familiare.

 

“Lui è un individualista” L’avvocato Lollo chiamò al suo tavolo anche Zeno e iniziarono a parlare di me come se non ci fossi. “Ora lo segue il team dell’agonistico” Mi aveva mollato altro che! “ Ma lo tengo sempre d’occhio” Col cavolo! Ora pensava solo a fare il personal trainer dei VIP. “Ago, lo sapevi che questo piccolo insolente ambiva alla poppa del tuo glorioso equipaggio?” E che ne sapevo io che Luca aveva ereditato il posto di Giorgio che a sua volta era stato designato direttamente dal mitico Agostino? “L’avvocato Lollo è un grandissimo cornuto” Primo volle sapere ogni parola di quella conversazione. “Così è stato lui a non farti avere il posto in equipaggio” Che palle! Quella era una storia vecchia. “La battuta sulle coppie moderne me la paga” Eccome no, aveva parlato cuor di leone, uno che era famoso solo per come sapeva scodinzolare. “Ancora non l’hai capito che Zeno è un ruffiano?” A sentirlo pareva che tutto il mondo stesse tramando contro di noi. “L’avvocato Lollo cala la carta solo quando può fa’ il suo gioco” Primo aveva ragione e solo dopo quello strano incontro, l’allenatore mi rese finalmente titolare di un barchino iscritto alle prossime competizioni ufficiali. 

 

Fu così che partii per il ritiro delle gare di canottaggio, cui partecipavano anche alcuni ragazzi delle altre discipline sportive. Su quell'autobus molti si stavano domandando se facevo parte della nota confraternita di Agostino perché Luca mi aveva riservato un posto sul sedile posteriore del torpedone, dove regnavano Giorgio e Mattia con tutti gli altri atleti che provenivano da quella parrocchia. Io ero appena rientrato dalla colonia estiva, dove il mio cuore era impazzito per Lidia e attraversavo una fase di rientro nei canoni etero formanti, causato dal gorgo dell’innamoramento che risucchiava ogni altra energia erotica eversiva. Mi si drizzarono tutti gli aculei d’istrice appena Luca mi abbracciò, trascinandomi in mezzo alla comitiva, che mi accolse fin troppo calorosamente, finendo per pungersi.

 

“Sono ebreo anch’io perché ce l’ho circonciso” Mattia fu particolarmente velenoso e non si fece scrupoli a tirare fuori, insieme al pisello, la storia della mia nascita illegittima. “Ti si è inacidito lo sburro?” Avrebbe fatto arrossire chiunque con quella fogna di bocca che si ritrovava. “E piantala, non vedi ch’è un ragazzino?” Luca peggiorò le cose cercando di difendermi dalla gaffe di asserire che io non «sburravo». Il mio corpo si era chiuso a riccio bloccando ogni vibrazione empatica con quei ragazzi che, invece, erano abituati a lasciar fluire tra loro un’intensa comunicazione emotiva. “Ma chi si crede di essere?” Mattia non riusciva ad accettare di essere rifiutato e prese la faccenda come un affronto personale. “St’ebreo infame” Non lo so ... forse riteneva che gli dovessi qualcosa per via del padre che aveva perorato la mia causa? Riteneva che il mio comportamento fosse una scelta di campo nella rivalità tra lui e Toni? Bah, di certo c’è che se la legò al dito e con Giorgio me ne combinarono di ogni ...

 

“Oh, con questo non ce salgo più ... è proprio matto!” C'era un’incongruenza tra il mio Sé percepito e quello che gli altri mi proiettavano addosso. “Cazzo, s’è sganciato e prima de alzasse in piedi!” Quella per loro era una vacanza simile a un giro su una giostra del Luna Park, dove il divertimento sta nel provocare un riflesso delle sensazioni che dal corpo scatenano un subbuglio emozionale. “Riannamo, dai che te voglio vede’ a fallo” Quei ragazzi condividevano allegramente l’esperienza spaventevole di sfigurarsi sconvolgendo temporaneamente i propri istinti precognitivi. “E piantatela, guardate piuttosto che strafiga!” Dopo lo shock, l’attrazione sessuale creava un punto di ripristino comune, su cui tornavano automaticamente gli equilibri dei bisogni sensazionali. “Oh, la moretta t’ha guardato!” L’uniformità degli intenti scaturita dalle comuni necessità, creava una corrispondenza simpatica. “Famose ‘na vasca in mezzo alle bancarelle” Le loro identità sessuali gli permettevano di riconoscersi, quindi a distinguere la normalità dalle sciocchezze compiute durante uno stato alterato della propria coscienza. “E dai, vieni pure tu” Invece, per me era disorientate rientrare da quelle esperienze eccezionali, che tendevano a stabilizzarsi fino allo shock sensazionale successivo, finendo per farmi apparire temerario solo perché incapace di ristabilirsi su un equilibrio normale.  

 

Anche dopo l’alterco avuto sul torpedone con Mattia, avevo sperato che Luca mi prendesse in camera con lui ... invece i ragazzi della pallanuoto non venivano in ritiro, ma in una sorta di vacanza premio e quindi dormivano ammucchiati in una specie di dependance. Io, oltre ad essere la matricola del gruppo, gareggiavo in singolo e non potevo contare su dei compagni di equipaggio. “Chi dorme con gli infami resta sveglio” Aveva intonato Mattia uscendo dalla Hall del circolo, dopo aver appreso che loro erano stati alloggiati da un’altra parte. “Lascialo sta a quel montato” Francamente non mi ero accorto che l’anatema era stato lanciato contro chi avrebbe condiviso la stanza con me. “Mister, lui sta con noi” Luigi era l’atleta più anziano e aveva l’autorità di opporsi alla spavalda goliardia dei ragazzi della pallanuoto. “Quelli sanno fa’ solo gli sbruffoni” Non li poteva soffrire e cercava lo scontro quando disse al Mister che avrei dormito in camera con lui e il fratello.

 

“Ti piace Claudio Baglioni?” Il fratello si chiamava Nino e avrà avuto l’età di Mattia o poco di più. “I Pooh?” Appena mi accodai a Luigi per andare in camera, mi cominciò a parlare con molta enfasi. “Pino Daniele è proprio forte!” Ci conoscevamo solo di vista perché lui e il fratello erano molto riservati. “Lo hai visto Roky tre, io due volte e Rambo?” Luigi parlava con tutti sempre in modo formale mentre Nino stava zitto e ubbidiva diligentemente. “Di che squadra sei?” Solo sul tifo calcistico divergevano e quando Nino seppe che ero romanista, mi diede il cinque e canzonò il fratello Laziale. “Allora sei davvero ‘n infame!” Commentò Luigi, ma solo per sfottere.

 

I fratelli Menegoni erano due bei ragazzi mediterranei: carnagione olivastra, fisico snello e tonico e capelli neri un po’ crespi. Avevano dei begli occhi nocciola, ma guardavano un po’ sbilenchi seppure non fossero strabici. Luigi aveva sul naso una gobba che glielo piegava a destra. Portava sempre un filo di barba perché gli ricresceva a vista d’occhio e anche sul petto aveva una bella moquette. Nino era più basso del fratello e aveva dei tratti meno spigolosi, addolciti da un incarnato più robusto. Ero affascinato dalla sua pelle dal colore uniforme e senza una qualsiasi imperfezione. La sola peluria che gli cresceva, gli sporcava giusto il labbro superiore, il mento e il pube. Aveva un bel naso importante, ma almeno non era storto e le labbra sottili usavano aprirsi in sorrisi accoglienti. Erano belli entrambi come si conviene a dei maschi esserlo, cioè senza concessioni all’eros attrattivo.  

 

“Un’estate al mareee ... voglia di remareee” Qualcuno dei due intonava sempre il tormentone di quell’estate che sembrava fatto apposta per vogare. Avevano dei gusti molto nazional-popolari e dei modi di vivere fermi agli anni cinquanta; per dire, Luigi rimase basito dinanzi alla mia schiuma da barba spray e lametta bilama usa e getta. “Puzzi come una mignotta” Per non parlare del mio aftershave che a Luigi faceva storcere il naso più di quanto non fosse già. “Siete proprio due scemi” Nino era curioso e provava tutte le mie novità, compreso il moonwalker di Micheal Jackson che aveva da poco sostituito la passione per James Brown.

“Porco disse, che zizze!” Prendersi in camera un UFO come me sconvolse la loro visione del mondo e del sesso. “A bei capelli, tu manco l’hai mai vista ‘na figa!” Luigi rimase senza parole a guardare il mio materiale per pippe. “Sta roba è proprio pe’ pervertiti!” La sua fidanzata era sicuramente carina, ma evidentemente gliela aveva fatta vedere al buio e solo di sfuggita perché non si capacitava proprio che esistessero tante variabili di un coito sessuale. “Te voglio vede’ quando hai sparato tutte le cartucce” Per me, invece, conoscerli significò apprendere tutti quei precetti sessuofobici che la tradizione popolare usa per inibire l’eros maschile. “Se sburri troppo, te ammali de prostata” Sì, come no ...  “Ma che c’avrete da ride” Ogni mattina alle sei, prima che ci preparassimo per andare agli allenamenti, Luigi sfilava una delle mie riviste e se ne andava in bagno ... quindi lo sentivamo grugnire, sospirare e dopo un colpo di tosse finale con scaracchio nella tazza del cesso, tirava lo sciacquone e tornava. “Siete proprio due scemi” Nino saliva in piedi sul letto e inscenava un grottesco mimo in perfetta sincronia con i versi del fratello ... ogni volta mi faceva sbellicare dalle risate.

 

Il gavettone di piscio che mi fecero una sera, fu davvero troppo e il Mister aveva redarguito Giorgio, minacciando di rispedirli a Roma se non la smettevano con le loro continue vessazioni. “Se po’ sape’ che t’ha fatto Mattia?” Quello che non sapevo era che Luigi poi aveva preso di petto Giorgio e in particolar modo aveva umiliato Mattia con un ceffone ... tutto era accaduto dopo pranzo, quando ero solito ritirarmi nel mio spazio vitale di solitudine. “Io credevo che ti piacesse sta con noi” Verso le sei scendevo in piscina con Nino, dove tutti aspettavamo la cena cazzeggiando. “Invece stai co’ quella testa de cazzo de Luigi” Io non mi ero messo con nessuno, era semplicemente successo ... come potevo conoscere le faide che covavano tra di loro? “Lo sai chi ha messo una buona parola per te?” Luca mi avvicinò a bordo piscina e dalla serietà di come mi parlava, pareva minacciarmi con un ultimatum.

 

“Mi hai fatto fa’ una figura di merda col’amici” Nel circolo esistevano due partiti, quello tradizionalista legato esclusivamente al canottaggio e l’altro progressista che voleva aprire il club ad altri tipi di sport. L’avvocato Lollo che, provenendo dal tennis, era un progressista, tramava affinché il canottaggio non incassasse troppe medaglie ... almeno così pensavano quelli come Luigi. “Devi scegliere” Primo figurava nell’area tradizionalista e mi aveva fatto compiere un percorso atletico esemplare da questo punto di vista, tuttavia dovevo le mie prestazioni al fattore Zeno che nel Circolo divenne un alfiere dell’avvocato e poi iniziai anche a fare calzette con Luca. “Gli infami sputano nel piatto ‘ndo mangiano” L’ex equipaggio dell’8+ era rimasto nella sfera d’influenza del suo ex capitano storico, che parteggiava per l’avvocato Lollo e quando Luca mi propose per sostituirlo, inavvertitamente aprì una questione di Stato. Forti dei miei crediti, i tradizionalisti perorarono la mia causa per riprendersi la poppa dell’imbarcazione ... non ci riuscirono solo per via della mia giovane età, tuttavia era solo una questione di tempo e l’avvocato stava provando a mettermi la sua casacca.

 

“Non ce credo che ti diverti co’ sti crucchi” Invece non mi dispiaceva quell’ordine e disciplina che mi conteneva in una forma stabile. “Fidati che ti piacerebbe sta con noi” Che intendeva con quel «noi»? Sì, intendeva proprio quello perché prima di pronunciarlo, si era avvicinato al bordo piscina dov’ero seduto e mi aveva messo la mano sulla coscia. “Allora?” Ora che avevo Luca così vicino, mi accorgevo di quanto mi mancasse l’omoerotismo. “Non qua che ce vedono tutti” Già, proprio come piaceva a lui. “Oh, e sta bono, dai!” Avevo allungato un piede sotto il pelo dell’acqua, tra le sue cosce, iniziando a titillarlo con l’alluce. “Smettila!” Mi stavo gustando il suo imbarazzo quando mi tirò in acqua e alla fine mi convinse anche a chiedere scusa a Mattia.  

 

“Posso veni’ pure io?” Mattia accettò le mie scuse a patto che fornissi la prova di stare dalla loro parte, il che si risolveva con un’uscita alla festa che si teneva in paese. Io ero in ritiro e quindi dovevo scappare, ma Luca disse che non era difficile calarsi dal loggiato e scavalcare il cancello. “Tanto Luigi se sveglia alle sei pe’ anda’ a piscia’” I ragazzi mi aspettavano a mezzanotte giù in strada e avevo così tanta voglia di stupirli, che non mi resi conto di stare tradendo la fiducia di Luigi. “Ti prego, voglio veni’ pure io” Lui appena si coricava iniziava a ronfare come un trombone, invece Nino si svegliò mentre trafficavo al buio per vestirmi e mi lasciai commuovere dalla sua voglia di vivere. “Faccio subito” Ci mise un attimo a infilarsi la tuta e un attimo dopo, ci stavamo calando giù dal loggiato. “Guarda, guarda chi c’hai portato!” Solo in strada mi resi conto di cosa avevo fatto. “Sei diabolico” No, ero solo un’infame all’ennesima potenza. Mattia accolse Nino come un satiro che pregusta di pasteggiare con una tenera animella.

 

Nino divenne il protagonista dell’uscita ed era bellissimo con quell’entusiasmo che gli brillava negli occhi. “Oh, con questo non ce salgo più ... è proprio matto!” Il suo candore mi fece impazzire d’invidia e sulla nave del pirata, una giostra che oscillava ben oltre i centottanta gradi, sul punto in cui tutti urlavano atterriti, mi sganciai le cinture di sicurezza e per qualche attimo fu come un’esperienza extracorporea. “Cazzo, s’è sganciato e poi s’è alzato in piedi!” Non lo avevo fatto per manie di protagonismo o perché cercavo il consenso con quella prova di coraggio, avevo solo bisogno di uno shock emozionale che rimescolasse quell’equilibrio soffocante. “Riannamo, dai che te voglio vede’ rifallo” Attrarre l’attenzione come un fenomeno da baraccone era umiliante ... io volevo essere semplice e normale come Nino. “E piantatela, guardate piuttosto che strafiga!” Spinsi in malo modo dei ragazzi che volevano trascinarmi di nuovo sulla barca e ... non so che mi prese, mi azzuffai con uno di loro e in realtà fu solo per bontà sua se non mi stese con un cazzotto. “Oh, la moretta t’ha guardato!” Fraintesero tutto per un estemporaneo bisogno di scaricare le emozioni accumulate ... tanto che dopo quel ragazzo si comportò come se fossimo un po’ più amici di prima. “Famose ‘na vasca in mezzo alle bancarelle” Oramai volevo solo andarmene da quel baccano di scimmie. “E dai, vieni pure tu” Nino voleva restare e allora gli dissi che la strada per tornare la conosceva. Ogni volta che non riuscivo a divertirmi come gli altri, mi sentivo come una spora aliena in un corpo sconosciuto.   

 

“Che cazzo gli sarà successo?” Così facendo commisi la terza «infamata» perché lasciare Nino nelle mani di Mattia, significò dargli carta bianca per la sua vendetta. “Portamolo in infermeria” Coma etilico? Bah, forse stava solo dormendo quando lo ritrovammo sul patio apparentemente privo di sensi. Luigi era venuto a chiedermi lumi sull’assenza del fratello, dopo che i suoi flussi urinari lo avevano puntualmente svegliato alle sei del mattino. “Non so niente” Gli risposi candidamente, fingendo stupore dinanzi al letto vuoto. Io lo andai a cercare sul loggiato pensando che fosse caduto rientrando o qualcosa del genere, ma poi Luigi lo trovò sul patio. Era bagnato come se fosse caduto in piscina quindi si pensò subito a un incidente durante una bravata. Il medico rassicurò tutti asserendo che era solo un po’ sbronzo. “Sono cazzi mia” Nino rispose proprio così alla preoccupazione del fratello che effettivamente doveva smetterla di trattarlo come un bambino.

 

Da quella notte Nino iniziò a rispondere di traverso al fratello che non si dava pace per quel suo repentino cambiamento. Che si trattasse solo di emancipazione? No, era Mattia che lo aveva in qualche modo sedotto, come del resto sapeva fare con tutti. “Gli abbiamo solo insegnato a divertirsi” Ghignò maliziosamente Mattia quando gli chiesi spiegazioni. L’ultimo giorno prima della partenza per le gare, si svelò il senso di quella vendetta. Si era organizzata una cena di commiato che proseguì intorno alla piscina con tanto di bagno di mezzanotte. Mattia, dopo aver fatto la prima donna esibendosi in tuffi acrobatici, andava in giro tra i capannelli di gente inscenando approcci con un reggiseno raccattato chissà dove. “Ho la figa bagnata ... datemi tanto cazzo” Recitare battute da attrice porno era uno dei suoi numeri più gettonati. “Voglio bere la tua sborra” Arrivava a dire robe oscene ma in un modo talmente caricaturale da sbellicarsi dal ridere. “Siete tutti froci?” Mentre a turno respingevamo le sua sperticate avance, Nino gli si fece sotto dicendo "Troia, ciucciati sto cazzo".

 

Pensammo tutti alla provocazione per un regolamento di conti. “Vieni bel maschione” Però Mattia non lo prese sul serio e lo coinvolse in una sciarada del kamasutra porno. “Posizione del traforo della san bernarda” Era veramente spassoso indovinare i fantasiosi nomi che s’inventava Mattia. “Posizione del Cappuccetto Rotto” La scena si arricchiva progressivamente di figuranti. “Biancaneve sotto i sette nani” Era goliardia e anche parecchio divertente, però Nino rimase appiccicato a Mattia anche dopo. Uno teneva un braccio sulla spalla dell’altro, che a sua volta gli poggiava una gamba sulla sua. Una postura amicale che tra ragazzi ci si scambiava solo condividendo una certa intimità, che evidentemente avevano raggiunto in quella notte trascorsa insieme.

 

“Nino, ci vediamo a Roma” Quando Luigi venne a chiamare il fratello per andare a dormire, Mattia lo trattenne inducendolo a rispondere che sarebbe rimasto ancora un po’. Era quello il vero regolamento di conti tra Mattia e Luigi e stava a Nino decidere chi sarebbe stato il vincitore. Al che il fratello lo tirò via di peso dal divanetto, intimando a Mattia di stare alla larga dal fratello. Lui non gli rispose perché sapeva bene di rischiare un paio di cazzotti, ma quando si furono allontanati abbastanza, chiamò Nino dandogli appuntamento a Roma. “Nino, ci vediamo a Roma” Gli urlò salendo in piedi sul divanetto e dopo mi saltò addosso, ridendo in quel modo scemo in cui sapeva coinvolgerti. “Sei dei nostri?” Decisero di aspettare l’alba e se fossi rimasto, sarei entrato ufficialmente nella loro combriccola ... invece, tornai in camera con il senso di colpa che mi costringeva a salvare Nino, anche se non sapevo bene da che.

 

Stetti per un bel po’ a fissare la sua sagoma dormire nel letto, poi si voltò e mi rivolse la parola come se si fosse accorto che ero rimasto sveglio solo per aspettare la sua confessione. “Io non me credevo che ...” Quella notte alla fiera non era stato difficile farlo ubriacare per indurlo a perdere i freni inibitori. “Invece, m’è piaciuto” E’ sconvolgente per un maschio etero formato, scoprire di potersi eccitare anche in un contesto omoerotico. “M’è scattato il fattore animalesco” Nel momento in cui si getta lo sguardo oltre i propri limiti, si sono, di fatto, già superati e rimanendo con loro anche dopo che iniziarono a toccarsi, finì per farsi coinvolgere. “Me vergogno pure a dillo” Lo costrinsero a fare cose che normalmente avrebbe trovato schifose, scoprendo poi un gusto lascivo nel ripeterle, tanto che, dopo, per ripulirsi dalla vergogna che gli imbrattava i vestiti, si era infilato sotto la doccia della piscina prima di addormentarsi stremato sul patio.

 

“Adesso che succederà?” Io non sapevo rispondere a quella domanda, ma capivo che per uno cui la sessualità era stata spiegata come l’effetto di una trascendenza amorosa, ora si ponessero interrogativi inquietanti. “So’ diventato frocio?” Come se si facesse sesso con un ornitorinco, poi ci si dovesse domandare se siamo mammiferi o ovipari. “M’è venuto duro solo a parlanne!” Dipende tutto dal piacere scaturito dalla simbiosi sensazionale che continua a sillabare in un desiderio quella pulsione erotica. “Non m’era mai successo prima!” Prima non sapeva computare quella porzione di eros latente. Per esempio, la sottomissione al fratello a me era parsa subito un sottile piacere erotico e ne ebbi conferma quando gli ordinai di masturbarsi davanti a me. “Che?” Beh, se lo stava continuamente strizzando mentre ci sussurravamo tutte quelle porcherie ... “Ti piace guardarmi?” Suppongo di sì, anche se nel buio della stanza dovevo ricorrere a molta immaginazione. “Posso guardarti anch’io” Hai capito il porcello! Si era detto solo guardare, ma un attimo dopo me lo ritrovai a carponi accanto a letto con il passero in bocca. E no, Mattia aveva solo intuito quello di cui anch’io avevo sospettato fin dal primo momento ... rimaneva solo da capire come Nino ora avrebbe gestito quella sua passione per il cazzo. 

 

(fine parte 1 di 2)

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  • 1 month later...

 

 

 

 

In questa seconda parte conclusiva della sezione precedente, mi sento di ribadire che questo è solo un romanzo e quindi chi scrive usa delle bugie per raccontare la sua verità, quindi ogni riferimento a fatti, cose, nomi o persone è puramente casuale. Lo so che affermarlo può sembrare esagerato fino alla presunzione di chissà cosa ... ma non si sa mai ... Ora inserisco un altro pezzo musicale per ricreare la giusta atmosfera vintage ... lo so che nel racconto cito Boy George, ma la sua musica non rientra nel mio background musicale ... invece questo pezzo sì ...

 

 

 

 

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Considerando il corpo umano come una macchina che impiega calorie per tutte le sue funzioni biologiche, potrebbe divertirci applicare alla sessualità il secondo principio della termodinamica. Il quale sostiene che in un sistema isolato l'entropia aumenta sempre, innescando una criticità risolvibile con un travaso termico. Nel mio assunto ipotetico è l’erotismo a costituire il fluido diatermico capace di scaricare l’energia accumulata in una volontà cinetica riequilibrando il sistema.

 

Si potrebbe applicare al flusso erotico il moto perpetuo di seconda specie della termodinamica che indica come il calore si trasmetta solo da un corpo caldo a uno più freddo, raggiungendo un punto di equilibrio. Il fluido diatermico erotico, quindi, ha bisogno di un corpo freddo per attivare il suo moto. In tal caso, l'equilibrio termico di coppia è possibile solo alla presenza di un eros che scarica l’accumulo di fluido diatermico in un’altra tipologia di eros capace di dissiparlo in scopi terzi ... come il pistone fa con la biella in grado di trasformare l’energia scaturita dalla sua camera a scoppio in funzioni alternative, stabilendo dunque un’integrità ontologica di sistema tra i due eros e gli ingranaggi sociali derivanti.

 

Definiremo dunque «attivante» l’eros che accumula desiderio sessuale e «attrattivo» quello che ne cattura la potenzialità cinetica. S’ipotizza una criticità esplosiva nella volontà scaturente dall’accumulo di desiderio nell’eros attivo mentre in quello attrattivo, la dominanza dello scopo funzionale innescherebbe una dissipazione dell’individualità.  Nel mondo animale gli eros puramente attivi e attrattivi dominano i ruoli bio-logici del maschio e della femmina, ma nell’autodeterminazione umana essi si combinano in ogni sessualità solo con delle prevalenze. Se la sessualità coincidesse con degli eros netti, non potrebbero esserci maschi capaci di scaricare l’accumulo di desiderio in finalità non sessuali come femmine in grado di accumulare del desiderio per esprimere una volontà propria. L’equilibrio di coppia umano è invece regolato da una risacca d’imperfezione determinata da vuoti e travasi tra le mutevoli proporzioni degli eros individuali.

 

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"Si fa così …" Il giorno del mio «Non compleanno», quando Marcello venne a portarmi le marionette del teatro delle ombre comprate durante il suo viaggio in Thailandia, Lidia mi regalò, invece, una spazzola da borsetta color fucsia. Ci fu un gran ridere quando mi spiegò come funzionava. Nel manico ci andavano due batterie stilo poi, magia delle magie, la parte della spazzola si svitava via e rimaneva un corpo metallico ogivale. Premendo la testa del manico, il cilindro iniziava a vibrare. Sì, era proprio un vibratore camuffato da vezzosa spazzola per signore ...

 

Prima di allora non sapevo cosa si nascondesse tra le pieghe della mia carne perché avevo sempre esercitato un eros attivo, cioè tendevo ad accumulare desiderio cercando poi il moto per scaricarlo all’esterno di me. Quell’aggeggio, invece, mi costringeva ad aspettare passivamente la sollecitazione di un meccanismo invisibile, capace di farmi perdere il controllo del corpo. Il respiro si faceva stentato in quella corsa braccata da una volontà estranea, che forzava degli ingranaggi in grado di stritolare il desiderio di resistervi. Era un tipo di piacere che somigliava a una resa e mi lasciava con una specie di cicatrice sull’orgoglio. Le sensazioni cambiavano quando era Lidia a manipolare quell’affarino. Il suo gesto non somigliava al mio che era in cerca di qualcosa. Al contrario, sollecitava pazientemente un piacere che gemmava, fiorendo al calore del desiderio di chi lo coglieva.

 

Lidia era una femmina il cui bi-erotismo consisteva in una dicotomia netta tra eros psichico attivo e delle potenti pulsioni viscerali passive, da cui scaturiva una personalità instabile dominata da scopi razionali terzi al piacere sessuale in sé. Preferiva dare all’amore una ragione che non dipendesse dal volubile capriccio delle proprie tendenze erotiche e quando la mia epifisi diete di matto, reagì male perché essere desiderata, la faceva sentire una preda sessuale. Poi non so perché accettò d’iniziare una storia con me ... tra noi non si formava tanto una risacca emozionale di vuoti e travasi, quanto invece c’era una partecipazione empatica a delle comuni attitudini sessuali. “Ve piace anda’ ‘n giro con un cesto de lumache in testa!” A guardarci dall’esterno pareva che facessimo una gara di corna, ma in realtà c’interrogavamo reciprocamente sul come contenere in degli alvei i nostri flussi diatermici ermafroditi.

 

 

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“Insieme siete come due otto di denari rovesciati” Nel linguaggio dei tarocchi significa che eravamo delle persone instabili. “La dovete pianta’ de fa i fanti di spade” Cioè condurre azioni contro il senso comune. “Funziona come per l’asso di bastoni rovesciato” Questa è una carta che simboleggia creatività e buoni auspici, ma quando esce capovolta, racconta di obiettivi mancati e decadenza morale. “Io sono il vostro re di coppe” Alfio amava dispensare consigli attraverso la lettura dei suoi tarocchi. “Sensitivi ci si nasce” La magia è una volontà passiva che aspetta l’azione di quella fisica tentando una divinazione per influenzarne gli esiti. “Il due, il tre e il quattro di coppe sono le carte dell’amore” La coppia, la condivisione e la stabilità formano la mescita contenuta nel prolifico asso di coppa, cioè lo scopo terzo che tramuta «magicamente» l’eros in un elisir edificante: «l’amore». “Saccente che non sei altro, questi tarocchi sono antichissimi” La magia non legge il futuro ma giudica il presente, soppesandolo sulla bilancia della saggezza del passato. “E allora fa come ti pare, ma sappi che la perderai come stai già facendo con Giada” L’etica dell’eros razionale ha in spregio il presente e misura la bontà di un’azione unicamente sull’effetto che se ne otterrà in futuro. “Come fai a sostenere che sto sbagliando!” Scopavo con entrambi. “Sei un superficiale e meriti di rimanere solo come un cane” La volontà passiva invoca la legge per lo stesso intento con cui pronuncia le formule magiche, cerca di tutelarsi dal caos entropico distruttore di certezze.

 

 

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Io la figa l'avevo vista e non solo in foto, ma l'immagine mentale che ne conservavo corrispondeva all'impressione ricevuta davanti a quella ritratta da Gustave Courbet. "Rappresenta dei genitali femminili con uno stile realista" Ci disse la Prof d'artistica, però io quei genitali non li vedevo … eppure all'apparire sul muro della diapositiva, i miei compagni esplosero in un tripudio di meraviglia.  “Leccamela” La figa di Lidia altro che se la vedevo! Un pube gonfio di fremente passione che si offriva voluttuoso al mio sguardo. "Non la vuoi assaggiare?" Ecco cosa mi mancava quando non vidi L'Origine du Monde: la fame … il bisogno che mi strinse lo stomaco da quando iniziai a cibarmene. Accadde un po’ come quando iniziai a tirare giù le mutande ai ragazzini del collegio, anche con la figa non mi bastava mai. Tutto era iniziato da quando Marcello cominciò a portarmi a mignotte. Mischiare i miei umori con quelle prostitute attivò una strana alchimia, che mise in moto delle vibrazioni erotiche in grado di percepire quelle degli altri corpi.

 

Per il vero, era opinione comune che fossi già un erotomane, a causa di quel paio di occasioni in cui mi avevano pizzicato a brache calate con le amichette d’infanzia, ma se fosse stato così, a Primo non sarebbe venuto il dubbio che non mi piacessero le femmine. In me non c’era la prevalenza netta di uno dei due eros che solitamente innesca le criticità tipiche dell’erotomane. L’inquietudine sensuale tipica dell’ermafrodito origina da un travaso diatermico interno alla propria bipolarità. Per un ermafrodito psichico trovare il/la depositaria di una combinazione di vuoti con cui stabilire una risacca emozionale è una questione di adattamento, quello che agli occhi di un’etica tutta proiettata a questo scopo, appare come dissolutezza. Fu così che, quando nel palazzo mi videro bazzicare Lidia, si fece uno più uno e si levò un brusio di pettegolezzi. A questo si aggiunse il rientro di mamma e un passerotto si sentì in dovere di andarle a cinguettare all’orecchio quanto stava accadendo. Lidia rimase ferita dalla mia indifferenza, però io mi sentii persino sollevato dalla fine di quel nostro gioco sempre in perdita.

 

La mia dirupata vita famigliare incrementava il cinismo con cui guardavo il miraggio delle relazioni umane. Per quanto ci volessi disperatamente credere, tutto appariva come un allestimento scenico con tanti ruoli in cui entrare e uscire con un cambio d’abito. Il mio era un personaggio malinconico che rifiutava gli schemi, un bel tenebroso che madre natura coccolava di doni come usa sempre fare con i suoi fauni più diabolici. Dalla mia carne fiorivano profumati effluvi viscerali e in ogni gesto fruttificavano saporite bacche di cui tutti parevano essere ghiotti. Io ero il figlio dell’ex portinaia e da allora erano rimaste alcune abitudini, come quella di citofonare a casa per farsi aiutare a portare al piano le buste della spesa in cambio di una mancetta. Essendo diventato grande e grosso, le signore iniziarono a chiedermi altri servigi, tipo cambiare lampadine fulminate, sgorgare sifoni o magari semplicemente tirare giù le coperte invernali dal soppalco di casa. Erano sempre molto gentili, ma non pensavo che dietro a quegli sguardi compassionevoli si celasse un secondo fine ... Quando rimanevo solo in casa con quelle signore, avvertivo l’opportunità di un’avance sessuale, ma non mi azzardavo a coglierla, così mi rimaneva in testa come una fantasia erotica. Iniziai a collezionarle tutte in un romanzo porno: «Il re del sexy condomino» e dare delle parole a quelle pulsioni, m’istigò a tentare qualche piccola galanteria.

 

“Te le batto a macchina io” Siccome il personal computer non si era ancora diffuso, possedere un Commodore 64 collegato artigianalmente a una stampante, mi rendeva un esperto in materia e oltre a chiamarmi per installare qualsiasi marchingegno elettronico, mi pagavano per dattiloscrivere documenti, lettere o, appunto, tesine scolastiche. Giovanna era più grande di me, ma era pur sempre una ragazza e con lei fu più semplice affrancare il mio eros attivo dal senso d’inferiorità puberale, così le offrii gratis i miei servigi. Lei era fidanzata con un futuro medico, insomma, un buon partito che tutte le invidiavano. Potevo mai sperare che si concedesse a un ragazzino? “Ti ricordi?” Era sempre ben disposta nei miei riguardi e si fermava a casa per dettarmi i suoi manoscritti. “Eravamo proprio delle sceme!” Poi, mentre trascrivevo una versione di latino assai complicata, accennò a quando c’incontravamo nel locale dei serbatoi. “Lalla era proprio una gran bugiarda” Nessuno di noi menzionava più quegli eventi imbarazzanti. “Che ridere quel giorno ... ” Non era carino ricordarmi la figuraccia di quando Lalla pretendeva di farmi eiaculare a manco dieci anni. “Guardati, ancora arrossisci!” La scema si divertiva a mettermi in impaccio. “Sono sicura che adesso te la cavi meglio” Ok, potevo anche essere duro di comprendonio, ma quando arrivò quel chiaro ammiccamento ... la sua versione di latino andò a farsi benedire.

 

“Attento!” Giovanna era una di quelle che si preservava vergine per la prima notte di nozze. “Attento!” Trattava il suo imene come un tesoro nazionale. “Attento!” Si faceva toccare solo attraverso le mutandine e anche così era terrorizzata che una pressione troppo intensa potesse comprometterla. “Tocca a me” Preferiva fare sempre lei. “Ti piace?” Potevo forse dirle che non era brava a fare le pompe? “Dimmelo che ti piace” Ok, ma doveva ciucciarmelo e smetterla di parlare. “Attento!” E basta, volevo solo assaggiarla! Nel romanzo porno definivo il re del sexy condominio: un degustatore di figa, un gran sommelier da sbrodo e quello di Giovanna aveva un retrogusto fruttato dall’acidità alcalina molto intensa ...

“Scusi signora se la disturbo a quest’ora ... ” Imparai presto che il desiderio dell’eros passivo produce un gorgo di bisogno incolmabile. “Devo dirgli una cosa sulla versione dell’altro giorno” Giovanna non aveva alcuna intenzione di lasciare il suo buon partito, ma dopo che quello la molestava per scaricare il proprio desiderio ... “Facciamo in fretta” ... passava da me e ansimando dietro qualche angolo dell’androne, si faceva sgorgare il sifone da quegli umori che il fidanzato era stato solo in grado di sollecitare. “Benedetto figlio, ce n’avemo già abbastanza de guai!” Quando un bisogno si fa così pressante, diventa impossibile celarne allungo gli effetti e Mamma mi lanciò subito il suo monito. “La gente mormora” Giovanna convenne con lei che dovevamo interrompere i nostri incontri, anche se poi continuò a venire dettandomi le sue versioni di latino ...

 

 

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“Il cinque di spade è una brutta carta” Alfio abitava in un attico dalla cui terrazza si scorgeva Campo de’ Fiori. “Significa impulsività nefasta ... ” La combriccola del Largo dei Librari gravitava intorno alla sua casa. “... che ti porterà dolore e preoccupazione” Con il pretesto dei tarocchi, veniva a sapere i fatti di tutti, compresi i miei. “In questo momento hai la sensazione di non avere via d’uscita” In quel momento così buio della mia vita, trovavo confortanti anche le sue divinazioni più negative. “Oddio, è uscito pure il quattro di spade!” Qualunque futuro sarebbe iniziato solo dopo essere disceso da quella terrazza. “Solitudine e abbandono” Era così desolante guardare oltre i coppi secolari, tutte quelle miniature disegnate nelle finestre dei palazzi, che formavano i quadretti di luce di una baluginante serenità. “Attento ai colpi di testa” Mi sembrava di essere rimasto chiuso fuori dal mondo ed era strano perché stavo bene appollaiato su quel tetto tra le ombre argentate della luna. “Non chiuderti in te stesso” Forse era una premonizione quello spavento che mi prendeva da bambino, quando guardavo atterrito il riflesso della mia faccia tra le ombre scure di Loro, tutte ammassate nel buio dietro i vetri della finestra del bagno?

 

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“Quelli fino al 79 vanno buttati ...” Il Ragioniere lavorava al ministero, ma si era attrezzato in casa il doppio lavoro con la moglie che gli faceva da capo ufficio. “Sposta quelli dall’80 sugli scaffali sgomberati” La moglie del Ragioniere aveva sempre richiesto i miei servigi, per esempio da bambino mi faceva umettare lettere e francobolli per gli auguri di Natale. “Ci rimangono quelli di quest’anno” Fu così che approfittò subito delle mie nuove portentose braccia. “Ma come sei sudato!” E certo, avevo appena svuotato uno scaffale pieno di vecchi faldoni! “Tienimi, mi raccomando” Lei era nata con una gamba più corta dell’altra e quando era sulla scala, aveva bisogno che la tenessi per le caviglie. “Ora puoi lasciarmi ... ” Ogni volta che scendeva, facevo scivolare le mani sulle sue gambe. “Ora puoi ... lasciarmi” Di gradino in gradino, il suo diniego giungeva sempre più tardi. “ ... ” Fin quando violai il confine segnato dall’orlo della gonna del tailleur.  

 

“Tienimi, mi raccomando ... ” Indossava degli stivaletti ortopedici, sotto a quello sinistro si nascondeva la suola maggiorata. “Oramai tu non ne hai più bisogno” Mamma mi aveva costretto a indossarne di simili fin dai primi passi e li acquistava dal suo stesso fornitore. “Che bei piedoni che hai!” Sì, i piedi furono la prima cosa a crescermi. “Sono degli eccellenti esemplari egizi” La moglie del ragioniere se ne intendeva proprio di piedi e mi spiegò che ce ne sono di tre tipologie: Greca, romana ed egizia. “In quello greco il melluce è più lungo dell’alluce” Invece nel piede romano le dita sono lunghe tutte uguali. “Sono bellissimi” I miei erano perfettamente scalati dall’alluce al mellino. “Dovresti tenerne più cura” E’ vero, non avevo mai pensato che dei piedi potessero essere considerati avvenenti. “Mettiamoci comodi” Inforcò gli occhiali da Rottermaier e mi fece accomodare sul divano. “Questa è una cremina miracolosa” Mi fece una vera e propria pedicure. “Oh, mio dio, come si è fatto tardi!” E lo credo bene, non la finiva più di massaggiarmi i piedi.

 

Era un fatto che la moglie del ragioniere si arrapasse con i miei piedi e a me non dispiaceva poggiarli sulle sue cosce. “L’aroma di un piede è così intenso!” Oramai non si tratteneva neanche di commentare la puzza dei miei calzettoni sportivi. “Ah, superlativo!” Quando li premeva sul naso, un brivido la scuoteva quasi stesse sniffando una droga. “Chissà cosa penserai di me” Disse il giorno che mi legò al polpaccio delle giarrettiere da uomo. “Non vorrei che credessi ... ” Continuava a dire mentre ammirava la calza in filo di scozia che m’inguainava la caviglia, slanciando il piede dall’incavo perfetto per carezzarle la guancia. “Cosa mi fai fare!” La moglie del ragioniere aveva il sifone del desiderio parecchio intasato. “Il diabete è una gran brutta malattia” Lo sapevano tutti che intendeva l’antipatica Rottenmeir, quando in un sospiro di rammarico pronunciava il nome della malattia che affliggeva il marito. “Sono disgrazie difficili da accettare” Il ragioniere era diabetico e non gli si drizzava più. “Una moglie dovrebbe rassegnarsi ma ... ” Quello che desiderava lei era chiaro, ma io cos’è che volevo? Da quando era iniziata la storia dei piedi, si dimenticò pure di corrispondermi la mancia dei lavoretti per cui mi chiamava! “ Ti piace?” Ero un feticista? Se anche fosse, non sarei stato certo attratto dai suoi piedi storpi ...

 

“Lui ha dei piedi greci!” Le dissi, quando mi presentai a un incontro «hot» con Carmelo. “Ah!” Rispose lei, imbarazzata nell’apprendere che avevo parlato a qualcuno della sua passione segreta. “Finché non glie dai la ciccia, non sganciano il grano” Ne parlai fin dall’inizio a Carmelo perché lo consideravo un luminare del feticismo. “Sono molto comuni in Italia meridionale” Minimizzò la Rottenmeir, cercando di umiliare la spavalda intraprendenza di Carmelo. “Prova a minimizzare questo” Quei suoi pantaloni da spogliarellista che andavano via in uno strappo, ti davano un pugno nello stomaco, svelando improvvisamente il pacco sempre infiocchettato in perizomi da infarto. “ ... ” Povera Rottenmeir, era rimasta gelata con lo sguardo fisso sul completino tutto cinghie e borchie di Carmelo. Io avrei voluto un approccio più soft, ma lui era certo di sapere quello che voleva lei. “Lasciaci soli” Per un po’ non sentii provenire nulla dallo studio, tanto che sbirciai cosa combinavano. Carmelo stava carponi leccandole gli stivali! Tutto qua? No, poi gli diede anche la ciccia, ma le cose andarono così per le lunghe che li lasciai continuare tornandomene a casa.  

 

Carmelo seppe realizzare tutte le sue fantasie erotiche più recondite, alcune delle quali coinvolsero anche il marito, che poi mi ritrovai prono sul tavolo della sala da pranzo mentre lo prendeva in culo da Giorgio. Il Ragioniere non era impotente ma solo frocio. Le combinazioni erotiche sono pressoché infinite e costringerle in un unico cliché etico innesca delle criticità di sistema.  Il Ragioniere si era annullato nel proprio eros passivo, diventando il più severo giudice delle proprie mancanze mentre sua moglie accumulava una feroce libido che scaricava sull’intero genere umano. Fornirgli un bel pistone rimise in moto i loro flussi diatermici che stavano marcendo in un’innaturale introversione. Fu evidente a tutti il beneficio che ne traevano perché sempre più spesso sui quei volti grigi fiorivano dei sorrisi conciliati con le necessità altrui.  

 

Accadde lo stesso con lo zio Gerardo che si era chiuso nel dolore della perdita della zia Pina. In rispetto di quell’equilibrio di coppia che tanto gli aveva dato, si era imposto di rispettarne il lutto per il resto dei suoi giorni. Aveva tentato di rivolgere il proprio flusso diatermico sull’affetto per i propri figli, ma quelli non potevano corrisponderlo perché erano ormai grandi e avevano stabilito degli equilibri che quel suo bisogno finiva per minacciare. Gli riservarono un amore filiale che per quanto benevolo non impedì la sua rapida deriva. Usciva da casa solo per recarsi sulla tomba della moglie che lo vincolava a un passato ormai sterile. Ebbe un infarto e questo gli procurò un po’ di attenzione da parte di tutti, compreso da me che non lo andavo a trovare dal giorno del funerale di zia. “Ti ricordi quando ... ” La puntina sul disco di vinile della sua vita si era incastrata nel solco graffiato dal destino infausto e ripeteva continuamente la stessa solfa. “Ti ricordi quando ... ” Era diventato proprio una pippa e starlo a sentire avrebbe messo a dura prova anche l’affetto di un santo.

 

“Gli puoi dare un’occhiata?” Lo trovai nel letto circondato da centinaia di foto di famiglia. “Almeno nei filmini poteva ancora vederla” Fui felice di rendermi utile quando sua figlia mi chiese di dare un’occhiata al proiettore. Quel vecchio trabiccolo non aveva nulla di rotto, era lo zio che prima riavvolgeva male le bobine, facendo bloccare la pellicola davanti alla luce del proiettore che ne bruciava un fotogramma; poi le riparava con del nastro adesivo così quelle s’incastravano meglio. Trovai un groviglio di celluloide tutto rattoppato e allora convinsi la figlia a darmele per registrarle su delle moderne videocassette. Era un lavoro perfetto per Dante che aveva tutto quello che serviva a farlo nella vecchia rimessa che Carmelo usava come palestra.

 

Dante era felicissimo di lavorare con quella che considerava la sua arte e si accontentava anche di rimontare vecchi girati di comunioni e matrimoni. Certo non gli capitava tutti i giorni di vedersi recapitare due valige piene zeppe di vecchie bobine e ci si mise subito a lavorare. “Certo che tu zio ce dà dentro” Più della metà di quelle bobine contenevano filmini hard! “Guarda un po’ te” E’ proprio vero che non conosci un uomo finché non guardi il porno con cui si sega. “Quest’altri sono girati amatoriali in Super Otto” Esistono due immagini di noi: la prima è quella razionale cucita insieme al ruolo sociale che interpretiamo, la seconda si nasconde sotto pelle ed è quella filtrata dalle sensazioni del corpo e vestita dall’eros psichico. Quel pomeriggio, con gli occhi premuti contro il binocolo della macchina da montaggio, vidi per la prima volta quanto diverse tra loro possano essere queste due proiezioni di noi stessi. “Te piace la tardona?” Ci misi un po’ a capirlo, anche perché non ci volevo credere ... quella in guepiere e mascherine di pizzo era proprio la zia Pina!  

 

“Che vergogna!” C’era anche sua figlia quando andai con Dante a montargli il videoregistratore nuovo e mentre cercavo di sintonizzarlo sul canale 36, lo zio mi fissava dalla poltrona senza proferire parola. “Che bella che era, vero papà?” C’infilai il filmino in bianco e nero delle loro nozze e sì, la zia era bellissima ... lo zio invece era magro allampanato con un naso enorme. “Vorrei parlarti da solo” Aveva una faccia funerea quando mi chiese di seguirlo nello studio. “Sai di cosa si tratta?” Se non me l’avesse chiesto, avrei fatto finta di nulla risparmiandogli quell’umiliazione ... cercavo solo di sdrammatizzare quando gli ammiccai che la tettona tirolese era la mia preferita, invece lui si coprì il volto con le mani iniziando a piangere. “Che vergogna!” No, non li avevo guardati quelli amatoriali girati con la zia ... sarebbe stato come un incesto per me e a Dante non avevo detto che era lei. “Che vergogna!” Certo che anch’io mi sarei vergognato, se lui avesse saputo cosa combinavo a casa di Alfio, però era successo ed io non lo stavo giudicando anzi, lo invidiavo moltissimo per aver vissuto un amore così intenso con la zia.

 

“Avrei dovuto distruggerli” Sì, pensare di continuare per il resto dei suoi giorni a consumare un eros necrofilo lo avrebbe logorato, causando chissà quali guasti nei propri sensi. “Pina aveva ragione a dire che eri la sua piccola opera d’arte” Beh, anche quella volta non era sicuro che si trattasse di un complimento, però condividere un fatto così intimo, ci permise di guardarci spogliati dei nostri ruoli sociali. “Dorina è fantastica” Lo zio, come ogni vedovo, aveva bisogno di una governante così andai in metro fino al capolinea di Laurentina, dove presi un autobus e finalmente raggiunsi Via di Porta Medaglia, era là che batteva Dorina. “Tu stare a scherzare con me?” Lei era la puttana ucraina con cui persi la verginità. Avevo ascoltato la sua storia ed era perfetta per lo zio perché prima di finire per strada, faceva la badante e poi avevo pensato subito a lei quando vidi un’attrice porno di cui lo zio possedeva l’intera produzione «artistica». “Signor Gerardo è troppo buono!” Dorina fu bravissima a intrufolarsi nel suo letto rispettando la memoria della zia. Io ero il solo che sapeva come stessero le cose e a lui serviva condividere quel segreto con qualcuno. “Pina aveva ragione a dire che eri ... ” Un grandissimo figlio di puttana come lei? Lo zio mi ripagò in molti modi, per esempio regalando il cinquino di suo figlio a Dante e poi onorandomi delle chiavi del magazzino segreto della zia, ritenendomi degno di ricevere anch’io quella piccola eredità che sua moglie mi aveva negato, seppure avesse sempre lucrato indegnamente sulla mia difficile condizione famigliare ...

 

 

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“Il cavaliere di bastoni è una persona che ti vuole bene” Ogni rione del centro storico romano ha tutta una serie di figuranti con cui si rappresentano i copioni de’ La Comédie Humaine. “E’ tuo zio, certo che lui te ne vuole ... io parlavo di quell’altro cavaliere” Il ruolo di Alfio era la checca del Rione Regola e come tutti conoscevano «Fefè», allo stesso modo lui ti sapeva raccontare vita, morte e miracoli di ognuno. “Santa ingenuità, porta l’orecchino a destra!” Fefè era vecchio, almeno così ci appariva a noi adolescenti che popolavamo la sua corte dei miracoli. “Non te sta a crede che era pure più bello de te ... con tutti quei capelli riccioli e la gioia de vive che glie sbrillucicava dentro l’occhi” Figurarsi se Fefè non aveva conosciuto anche Dante. “L’ideologia è peggio dell’eroina” Negli anni settanta gli omosessuali mettevano l’orecchino a destra per riconoscersi e tenere alla larga le ragazze a caccia di marito. “Noi cagionevoli di cuore finimo pe’ innamoracce sempre delle persone sbagliate” Ascoltare gli anni settanta attraverso i racconti accaduti sulla sua terrazza, mi faceva sentire importante come i nomi di quanti si erano alternati sulla stessa sedia dov’ero seduto. “Io glielo detto che non sei cosa pe’ lui” Rimasi sorpreso di come la notizia dell’omosessualità di Dante non fosse mai trapelata a casa mia. “Devi smettela de giocacce o quello fa ‘na pazzia” Improvvisamente pareva che tutti volessero scoparmi e non riuscivo proprio a capire perché non potevo avvalermi di quel super potere ...  

 

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Cristina Orioli dell’interno otto era una mia coetanea. Suo padre faceva il tranviere e la madre, bellissima, era la donna più corteggiata del Rione Quinto Ponte. Eravamo stati nella stessa classe delle primarie, poi alle medie lei finì nella sezione A. Era una ragazzina minuta con un visino a triangolo e una piccola scucchia che si appuntiva quando stringeva le labbra per trattenere un sorriso. Non aveva una grande personalità, se ne stava sempre zitta e forse non prestava neanche ascolto a chi le stava accanto. “Sei una bambina dolcissima” Diceva di lei la maestra per consolare qualche suo pianto improvviso. Piangeva per un nonnulla, tanto che a volte era difficile capire il motivo di quelle lacrime. Le altre ragazzine la canzonavano chiamandola «Pisciotta» perché le capitava di bagnarsi le mutandine e forse era questo il motivo di molti suoi insensati languori d’animo.

 

Ci rincontrammo in seconda media durante le ore di ginnastica. Lei se ne rimaneva per tutto il tempo seduta dietro il tavolo della palestra insieme al compagno di classe Max. “Ciao!” Le dissi cercando di attaccare bottone per alleviare il tedio di quelle ore trascorse girovagando. Lei arrossì fuggendo il mio sguardo e a rispondermi fu Max, che ancora non conoscevo. “Io amo Candy Candy!” Lui la seguiva come un’ombra e trascorrevano il tempo tra gli album di figurine e i gadget degli anime. “Ho i capelli biondi come Raffaella Carrà” Sì, Max era gay, anche se ancora non lo ammetteva, ma era anche molto carino e non mi dispiaceva trascorrere il tempo con lui. “Cri ed io ci siamo iscritti a danza classica” Difficile a credersi, visto che avevano entrambi l’esonero dalle attività ginniche. “Anche a te piacciono i libri!” Essere uno sportivo non significa che ami praticarli tutti. “Cri collezione gli Harmony, ma io preferisco le grandi firme come Liala” Quei due erano dei patiti dei romanzi rosa, che per le ragazze corrispondono alla pornografia maschile.

 

Ogni tanto Max ed Io facevamo una passeggiata lungo il perimetro della palestra, invece Cri si alzava dalla panca solo per tornare in classe. Lei crescendo era diventata ancora più graziosa! Ora portava i capelli lunghi e una frangetta sbarazzina. Me la ricordo sempre con dei completi da collegiale, tipo gonna a scacchi e pullover senza maniche ... sì, la trovavo molto sexy, ma non c’era verso di farle sputare due parole. Poi ebbi la disgrazia d’incontrare l’amico di pippa di Juri, che era un compagno di banco cui tiravo le seghe durante le ore di lezione. Quel lardone dalla voce stridula aveva saputo delle novità praticate con l’amico e si era messo in testa che dovevo farle anche con lui. “Se no, lo dico a tutti” Il bastardo prima aveva ricattato Juri per sedersi al suo posto e dopo prese a ricattare anche me. Io non avevo certo intenzione di cedere alle sue continue molestie ... “Prof, mi ha toccato il pisello!” ... ma quello aveva il culo in faccia e ogni volta che alzavo la mano per richiamare l’attenzione del prof, mi anticipava mettendomi alla berlina davanti a tutti.

 

Fu proprio durante le interminabili ore di ginnastica che cedetti alle sue avance. “Godo!” C’eravamo appartati nel ripostiglio degli attrezzi e gli concessi di strofinare quel suo vermicello flaccido tra le mie chiappe, quando mi accorsi che Cri ci stava sbirciando. Probabile che avesse sentito dei rumori e si fosse solo incuriosita, tuttavia la vidi chiaramente con la mano sotto la gonna mentre si toccava spiandoci. Ci guardammo negli occhi per tutto il tempo e la cosa mi eccitò sicuramente più di avere addosso quel cinghialopode arrapato. La faccenda si complicò perché non riuscendo a parlarne con Cri, commisi l’errore di coinvolgere anche Max. All’inizio fu bellissimo perché tutti e tre riuscimmo a confidarci cose che non avevamo mai detto a nessun altro. Max si vestiva da donna per gioco fin da quando aveva memoria e ci mostrò la piccola trousse da viaggio che portava sempre con sé, ma il segreto più intrigante lo confessò Cri. Lei era la prova che dei genitali femminili possono avere una sensibilità difficile da gestire e soprattutto non devono aspettare la maturità sessuale per attivarsi. Cri si ricordava che da bambina, quando per esempio saltava a corda o comunque pestando forte sui piedi, veniva percorsa da dei brividi divertenti, che insistendo le facevano scappare la pipì. Indossare dei pantaloni per lei era sempre stata una deliziosa tortura e praticare qualsiasi attività ginnica le procurava degli orgasmi multipli.

 

Nel momento stesso che ci stavamo facendo quelle confidenze ... “Succede anche a me” ... lei si bagnò le mutandine e quando si stava alzando per andare in bagno, le dissi che era appena accaduto anche a me. “Vuoi vederlo?” Tornammo nel magazzino degli attrezzi e mi abbassai l’elastico della tuta, mostrando l’impiastro combinato da Mt Wiggly. “Si fa così” Lei aveva la mano che tremava mentre mi stava sfiorando, ma poi Max salì in cattedra mostrandole come si faceva una sega. “Posso fare io?” Le chiesi con un filo di voce mentre si stava toccando. Lei si alzò la gonna ed ebbe un sobbalzo appena feci scivolare la mano tra le sue cosce. “Ancora ... ” Stetti per toglierla perché sembrava che le facessi male, ma lei mi bloccò il polso e con degli occhi traboccanti, implorò: «Ancora». Da quel giorno le ore di ginnastica trascorrevano in un baleno. Il nostro triangolo di amorosi sensi funzionava meravigliosamente, però quella vescica di grasso ci scoprì quasi subito.

 

Cri era spaventata a morte dal pericolo di essere sputtanana e ancor di più per le richieste oscene avanzate da quel botolo di bile, così si chiuse in un silenzio sepolcrale. Decidemmo dunque di disperderci con il giuramento d’ignorare il ricatto negando sempre l’accaduto. Max però venne meno alla promessa data e ottemperava fin troppo volentieri alle richieste del bastardo, tanto che quello furbescamente gli tolse l’uccello di bocca pretendendo che si adoperasse per costringere Cri a cedere alle sue avance. Non sapevo né da quando avessero iniziato a incontrarsi, né come si svolgessero le cose tra di loro, tanto che fui indotto a credere fischi per fiaschi e per difendere un giuramento ormai infranto dagli altri due, rischiai il sette in condotta prendendo a calci la palla di lardo e non solo, per pararsi le chiappe Max si mise a raccontare storie strane che mi ridicolizzarono davanti a tutti.

 

“Sfacciato!” Fu anche per quella vicenda che mi convinsi di quanto sia cedevole la volontà dell’eros passivo. “Sei uno sporcaccione!” La signora Orioli mi dette un sonoro schiaffo, quando le sfiorai il culo mentre era china a sistemare i barattoli dei pomidoro che le stavo passando. “Non ti permettere mai più” Lei non aveva un marito malato di diabete ed evidentemente sapeva ancora soddisfarla. “Vattene e non farti più vedere in questa casa” Aveva minacciato fuoco e fiamme per quel mio gesto avventato. “Cri è così sola” Dopo un paio di settimane dall’accaduto, cioè dopo che non salivo più a casa sua neanche per vedere Cri, la signora Orioli tornò a citofonarmi per farsi aiutare con la spesa. “Sei il suo unico amico” Era veramente preoccupata per la figlia che non aveva amici? “E’ stata colpa mia” Mi chiese addirittura scusa per quanto accaduto. “Ti ho provocato involontariamente” Disse che ero ormai un uomo ed era stata colpa sua se le avevo toccato il culo.

 

“Che ti guardi, lazzarone!” E che guardavo? Lei mi accoglieva ogni volta con certe vestagliette tutte discinte! “Cri è così triste oggi” Sua figlia era scivolata dal mondo fantastico dei romanzi rosa a quello impossibile delle pop star e sognava di far innamorare il suo idolo «Boy George». “Ahia!” La signora Orioli mi dava certi pizzicotti ogni volta che mi sorprendeva a sbirciarle le tette. “Sono stata troppo dura con te” S’incazzava se mi arrapavo ma se la ignoravo, le venivano incomprensibili sensi di colpa. “Hai la stessa età di Cri!” Che palle, poteva anche smetterla di fingere di preoccuparsi per la figlia. “Lei ti è così affezionata” Io e Cri non avevamo certo una storia e non era neanche più solitaria come sosteneva la madre, invece era diventata popolarissima tra i miei confratelli ...

 

“Non fare così!” La Signora Orioli voleva scopare e dovevo solo trovarle un pretesto che non la facesse sentire responsabile delle proprie pulsioni vaginali. “Sarei una pazza se ... ” Piansi tutte le mie lacrime di giovane Werther sul dorso della sua gelida manina. “No ... ti prego ... no!” Scattò via quando audacemente la strinsi a me. “Vattene” Disse istericamente nel tentativo di ricacciare dentro di sé quella volontà che mi aveva concesso troppo. “Se ti avvicini, urlo” Si era rincantucciata in un angolo della cucina e a ogni passo che compivo verso di lei, stavo già forzando il chiavistello di un desiderio che voleva essere aperto. “Cri ci potrebbe sentire!” No, Cri in quel momento stava intonando «Do you really want to hurt me, do you really make me cry” chiusa in camera con Juri. “Sei tremendo!” Esclamò, quando ebbe l’ultimo di una serie di orgasmi pirotecnici ... esattamente come succedeva alla figlia. “Questa sarà l’ultima volta” Ripeteva sempre quando mi citofonava per farsi aiutare con la spesa. “Non dovrà succedere mai più” Sì, diceva anche questo dopo avermi spaccato le reni saltandomi addosso.

 

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“Tu sei il più porco” Fefè soppesava la vita assecondo il metro della porcaggine e Carmelo doveva sempre sentirsi il migliore di tutti. “Mi sento in paradiso in mezzo ai miei porcellini” Era bello starsene mezzi nudi nel suo lettone a guardare le stelle attraverso il lucernaio. “Voi siete le mie ancelle porcelle” La sua corte era popolata soprattutto da ragazze che lo coccolavano come fosse la loro regina. “Farò di voi delle star” Sì, Fefè aveva una fitta rete di conoscenze nel mondo dello spettacolo. “Che porcate a quei tempi!” Il Mykonos lo aveva aperto lui durante gli anni sessanta e all’inizio era stato solo un negozio di acconciature «artistiche». “Certi articoli li potevi comprare solo da me” Il negozio divenne poi un bazar di articoli esotici e stravaganti sexy toys. “Roba da Santa inquisizione!” Fu arrestato molteplici volte dalla buon costume, ma in prigione ci finì per spaccio di droga. “I soldi della mala hanno rovinato tutto” Secondo Fefè a compromettere quegli anni rivoluzionari furono gli interessi della malavita. “Se so’ comparato pure gli ideali” Perse tutto ed anche la terrazza era diventata una delle tante scatole cinesi in cui il padre di Lidia nascondeva un enorme flusso di denaro sporco. “Con la tua età e la mia faccia conquisterei il mondo” Usava dire quando uno di noi rifiutava di concedersi a qualcuna delle sue porcate ...

 

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Un peeling periodico è necessario per chi fa sport in piscina. “Ehi, Bobby ... bau, bau” Vero o no, Mattia mi prendeva in giro perché quando uscivo dall’acqua sembravo un cane bagnato . Oramai mi spuntavano peli dappertutto! Iniziai a raderli con la lametta, ma ricrescendo spesso marcivano schifosamente sottopelle. E’ così che mi lasciai coinvolgere nella cerimonia della ceretta integrale che si teneva a casa di Alfio. Quel dolore estremo esaltava i sensi che Fefè c’insegnava a incanalare nell’energia sessuale attraverso il nitrito di amile. All’inizio lo mischiava a essenze odorose e i neofiti come me neanche capivano il senso di quelle furiose erezioni, ma come tutti anch’io imparai a godermele con un vasto assortimento di giocattoli. Standomene sdraiato su quella specie di altare sacrificale, unii tutti i puntini della logica che mi stava tessendo la sua trama attorno. Fefè aveva sempre avuto un debole per gli adolescenti imberbi e questo spiegava il suo impegno all’oratorio parrocchiale e la fissa per le cerette estreme. Dietro allo scherno che gli riservavano i ragazzini, si celava il giro di mancette che usava per adescarli. Più di violenza, credo che si trattasse di plagio perché Fefè era depositario di un eros totalmente passivo e quindi incapace di far male a una mosca.

 

La cerimonia della ceretta si celebrava nella stanza dei piaceri proibiti, posta negli ex lavatoi condominiali del sottotetto, dove era stata attrezzata una vera SPA con tanto di vasca idromassaggio a filo pavimento. Lì accanto c’era il privè del Mykonos, per andarci bisognava uscire sul terrazzino della SPA e scendere per un’angusta scala a chiocciola fino al piano del sottotetto di un altro edificio. Erano gli avventori del Mykonos che lo affittavano per ricevere dei trattamenti molto speciali, per i quali spesso selezionavano loro stessi il personale addetto.

 

Le sedute di bellezza si concludevano sempre in un orgia dei sensi o, come diceva Fefé, in delle porcate pazzesche. Il cliente tipo era un cinghialopode alle prese con la crisi di mezza età, che voleva realizzare tutte le fantasie erotiche di una vita sprecata ad ammucchiare denari. Erano tutti eterosessuali e quindi la richiesta della manovalanza femminile era soverchiante, tuttavia, i più assidui intraprendevano un percorso di scoperta dei propri sensi, sollecitato proprio dall’ambiente sessuale molto rilassato. La condivisione del privè era il primo segno di un’evoluzione da cinghialopode ad argonauta dei sensi. Per lo più si fermavano a questo stadio, gli altri si avviavano verso una bisessualità inconsapevole, i cui limiti erano sempre molto difficili da decifrare.

 

La clientela straniera era di estrazione culturale molto alta e ci trattavano come se fossimo dei pastorelli ritratti in qualche quadro rinascimentale. Per loro l’Italia rappresentava una terra esotica dalla bellezza classica, una cornucopia di voluttà perdute da riscoprire. Con questa clientela si doveva curare particolarmente la rappresentazione. C’era sempre della frutta fresca, vino pregiato, fiori e per esempio, al contrario degli italiani che preferivano l’aria condizionata, gli stranieri volevano le finestre aperte anche d’inverno. Un’altra stravaganza che non accadeva mai con gli italiani, era quella dell’intersessualità delle prestazioni. Spesso affittavano il privè in gruppi misti di maschi e femmine, tra cui sovente c’erano anche omosessuali e tutti si godevano i trattamenti senza alcuna malizia.

 

Sulla clientela del Mykonos c’era un distinguo da fare tra eros attivo e passivo. Quello passivo aveva bisogno di esercitare l’attrazione sessuale. Gli stessi trattamenti estetici avevano questa finalità e acquistare poi una prestazione sessuale significava vanificarli. Per questo motivo era raro che affittassero il privè. Loro preferivano consumare gli orgasmi negli angusti spazi dei camerini del Mykonos, dove c’era tutto un vasto assortimento di sexy toys mascherati da trattamenti estetici, come per esempio i massaggi con dei vibratori terapeutici. Non c’era una contrattazione palese e solo dopo lunghe manipolazioni, erano loro che ti tiravano giù l’elastico dei pantaloni e si attaccavano all’uccello.

 

L’eros attivo non si faceva scrupoli a esercitare il potere del proprio denaro. Ovviamente non erano solo dei maschi etero ad affittare il privè, anche se le donne che lo facevano, cercavano soprattutto colte e raffinate esperienze saffiche. Gli omosessuali maschi erano in stragrande maggioranza non dichiarati e usavano il privè per liberarsi per qualche ora dell’opprimente maschera della normalità. Solitamente si accontentavano dei servizi convenzionali, ma capitava anche che affittassero il privè per festini con tanto di spogliarellisti. C’erano poi degli insospettabili signori che si facevano addobbare come alberi di Natale solo per andare a battere sui marciapiedi della città. Infine, c’era una vasta gamma di sfumature bi-erotiche che compravano trattamenti con stimolazioni anali. Le loro richieste del personale erano molto dettagliate, pretendevano età specifiche e spesso indicavano anche l’estrazione sociale eccetera. Non di rado c’erano dei travestimenti e quasi sempre volevano inservienti di entrambi i sessi.

 

Chi entrava a far parte della corte di Fefè, iniziava a guardare il mondo attraverso la lente della dimensione erotica e l’opulenza dei sensi offerta da nostri giovani corpi, la rendeva uno sfavillante mondo fantasmagorico. Molti consideravano la terrazza come una scorciatoia per raggiungere il successo, anche se poi nessuno avrebbe saputo dirti a cosa ambisse. Ci credevamo tutti depositari di un esclusivo talento che qualcuno avrebbe scoperto trasformandoci in delle pop star. Chi non aveva un solido attracco famigliare rischiava di perdersi nella notte e non riuscire più a riemergere nel mondo diurno. Fefè conosceva i suoi polli e quando ti vedeva su una brutta china, i suoi tarocchi iniziavano a dare saggi consigli e se non li seguivi, ti allontanava dicendo a tutti di lasciarti stare. Successe così con Carmelo che non avrebbe mai preso in casa, se non fosse stato amico mio e di Mattia, perché diceva che i ragazzi di borgata erano dei presuntuosi arrivisti. Lidia non la poteva soffrire perché lo metteva sempre nei casini con suo padre, invece Mattia era solo il figlio del suo miglior committente e lo trattava con i guanti di velluto. Di me diceva sempre che ero «il ragazzino di Zeno» e poiché quello era diventato il suo capo, mi considerava come una specie di apprendista cui insegnare i segreti del mestiere, ma che doveva tenere lontano dai guai.

 

La vicenda dei soldi sporchi che avevano ucciso il padre di Marcello, in qualche modo coinvolgeva anche Fefè e lui era terrorizzato ogni volta che lo vedeva comparire sulla porta di casa. Alla terrazza viveva anche Giacomo, un ragazzo gay che suo padre non sopportava avere in casa, quindi la madre lo aveva sistemato da lui. Quel padre era il tizio che Marcello accusava di aver truffato sua madre e quindi lo riteneva responsabile anche di tutte le proprie sciagure famigliari. L’omosessualità aveva riportato quelle due carte nel mazzo dei tarocchi con cui Fefè azzardava delle rischiose previsioni. Dietro a quell’ometto dalle camice vistose, si celavano interessi pericolosi e del resto, dopo una decina d’anni da quando lo conobbi io, su quella terrazza che tanta vita aveva scorso, dei presunti amanti lo avrebbero strangolato. Tutta la sua vita avventurosa ridotta a due righe di un articolo di cronaca nera, che liquidava la vicenda come un omicidio consumatosi nel torbido mondo omosessuale.

 

Esistevano due dimensioni parallele che si sovrapponevano in maniera indistinta. C’erano i diurni con il loro eros utilitarista, docile da educare alla razionalità dei ruoli sociali con le loro voluttà surrogate dalle pulsioni viscerali. Nella notte si celavano invece il limbo delle emozioni precognitive, vibrazioni sensazionali prive di ogni ragion d’essere, impossibili da imbrigliare in nessun’altra logica che non fosse quella elementare ispirata ai bisogni fisici. Il diurno razionale illuminava la bellezza di un rassicurante ordine simmetrico replicabile all’infinito, ma non poteva strappare di dosso alle persone la propria ombra, che si proiettava lunga tanto quanto si stagliava in alto l’etica che la voleva negare. 

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  • 1 month later...

 

Nel quadro di una scrittura "entropica" devo tenere conto dell'esperienza che provoca il ragionamento ... quindi mi ritrovo ogni tanto a dover acchitare di nuovo il punto di vista sul bersaglio con alcune considerazioni di carattere generale. Confesso di temere questo metodo di procedere "quantistico" perché non so dove mi porterà e soprattutto ho paura che se non chiudo questo capitolo presto, è capace che mi manderà a pallino l'intero romanzo. Già da parecchi capitoli a questa parte, avevo aggiunto dei cappelli introduttivi che somigliavano parecchio a quanto sto facendo ora ... però, dopo si sono aggiunti i capitoli dei coriandoli d'esperienza aleatoria che ora, con queste ultime considerazioni, hanno sovvertito completamente la logica della vecchia struttura ... non vorrei aver rovinato tutto ... in ogni modo, lo scoprirò solo andando avanti ... bah, speriamo bene.
PS: Stavolta niente musica, ma la prossima volta doppia razione XD.

 

 

 

Affiliazione asessuale degli Sphairos (Neikos e Philìa)

 

Il fluire del movimento vitale si avverte nell’incontro e scambio di elementi naturali diversi, che ai nostri occhi appare come una miscela di forme in transizione fra nascita e morte. Empedocle d’Agrigento (Presocratico) sosteneva che le forme scaturiscono dallo scambio termico originante l’afflato vitale e progrediscono nella miscela degli elementi naturali determinata nell’incontro casuale col bisogno (Morfogenesi). Le forme (Sphairos) sarebbero dunque tenute insieme da una retroazione ad anello (Termodinamica), cioè una risacca di vuoti e riempimenti tra necessità (diallaxis), generanti un campo d’azione tra un massimo e un minimo (Philìa/amicizia, amore). La forma di uno sfero è mantenuta stabile tra due criticità che ciclicamente ne invertono il bisogno (Neikos/contrapposizione, discordia).

 

Pensando a Eraclito che definisce l’armonia come un estremo che rimbalza costantemente su un altro estremo (Palintonos/Palintropos) dando luogo a un movimento di eterno ritorno (Palindroma), individuo il moto vitale in una frequenza armonica scaturente da una contrapposizione alternante un segno + (più) e uno – (meno). Ogni individualità si concreta nelle proporzioni diverse di questi rapporti, che allo stesso modo agiscono formando delle sintonie in sferi superiori (Affiliazione), contenenti sempre almeno due elementi in risonanza.  

 

La bipolarità empedoclea può essere applicata anche al desiderio erotico come già fece Freud con Eros (Philìa) e Thanatos (Neikos), palindroma armonico riconducibile all’immagine di uno yoyo che allontanandosi genera il desiderio attrattivo ritornante. In questo schema si contempla il fattore volontario di allontanare l’oggetto del desiderio per rinnovarne la necessità, cioè una coazione a ripetere di tipo psichico, stimolata dalla paura della perdita. Io ipotizzo invece che l’affiliazione erotica derivi dalle proporzioni di eros attivo e passivo contenute nella sinapsi chimica dell’ipotalamo. Il campo d’azione erotico individuale si muove sul massimale del desiderio attivo (+) o sul minimale del desiderio passivo (-). Scaricandosi o caricandosi reciprocamente, generano una simbiosi che tende a equilibrarsi (Zero potenziale). 

 

Il talamo nuziale è lo Sphairos dove il desiderio congiunge due individui in uno scambio erotico tra pieni e vuoti. Il successo dell’affiliazione amorosa sta nello sfero erotico spezzato tra due individualità separate, che provoca il bisogno appagante (desiderio) della ricongiunzione (attrazione sessuale).  Al contrario, la diversità della philìa scaturisce da un’armonica interna allo sfero, dovuta a due neikos che fissano un movimento interno privo di bisogno (desiderio). La frequenza armonica genera una vibrazione di risonanza nell’incontro casuale con altri individui, ma non lo scambio necessario a tenere stabile una forma. Questo tipo di affiliazioni amicali sono state rimosse dal computo degli insiemi sociali perché considerate variabili aleatorie in rapporto alla simbiosi erotica tra due gender bio-logici.

 

Affiliazione lineare e le complessità aleatorie

 

L’affiliazione lineare configura la sessualità in un olismo organico nella propria funzione, in cui l’eros coincide con l’istinto riproduttivo. Quest’idea trova conforto nella logica degli insiemi che accomuna in misure standard ricavate da un riduzionismo statistico e quindi contempla solo geometrie simmetriche. Una visione che ci arriva dal determinismo classico, in cui vige la tesi che identici effetti scaturiscono sempre dalle stesse cause. La progressione entropica rende possibile questo concetto solo nel brevissimo periodo di perturbazione, in cui si circoscrive una casualità debole negli effetti. L’esistenza dei sistemi non lineari è sempre stata nota, anche se considerata scaturente da cause aleatorie riconducibili nelle regole della fisica deterministica.

 

Il progresso tecnologico dei sistemi di misura e di calcolo, oggi permette di tracciare una geometria degli eventi asimmetrica, grazie proprio all’acquisizione informatica dei movimenti aleatori.  Tuttavia, il comportamento del pensiero generale rimane fisso a quel riduzionismo che semplifica la complessità per individuare delle caratteristiche fondamentali da raccogliere in insiemi escludenti quanto più la diversità particolare. Questo metodo di ragionamento ha forgiato la logica con cui guardiamo il mondo. La linearità tra una causa e il suo effetto è tracciabile solo su un periodo di breve scansione, per prolungarla serve il fattore educativo della volontà etica, che ci fa rifiutare gli effetti dei movimenti aleatori e apparire disgustoso un orizzonte degli eventi multiforme.

 

Genesi dell’attentato alla famiglia tradizionale

 

La narrazione storica segue lo stesso pensiero lineare di causa ed effetto tra fattori riconducibili in un progresso cronologico di prevaricazioni vincenti. Il successo nella contesa proietta una visione in cui scompaiono le dinamiche dell’affratellamento, che pure coprono archi temporali assai lunghi. L’illusione prodotta è quella di una philìa fragile alla mercé di un neikos caotico. In questa logica si è portati a proteggere la volubile philìa tra le mura di un neikos etico da contrapporre a quello malvagio. La conservazione di una sola forma di affiliazione ha per il vero generato guerre di civiltà tra dei neikos etici che volevano imporsi agli altri, nel cui scopo c’era sempre la sterilizzazione delle nuove forme di affiliazione percepite come il malevolo disordine.

 

L’affiliazione etica vincente fu la congiunzione carnale a scopo procreativo, una linearità da cui si ricava il legame di sangue, in un progredire di ramificazioni genealogiche formanti le etnie. Questo modello è applicabile solo su una linea di discendenza storicamente patriarcale. Un successo che portò alla fine del paganesimo delle trinità procreative, poiché includenti l’elemento femminile che minacciava la purezza etnica con l’animismo dei culti legati alla madre terra, il quale favoriva la promiscuità insensata dell’imbastardimento «democratico» del sangue. La successione del Pope romano al trono dei cesari determinò l’affermazione di un neikos etico che riunì in un monoteismo patriarcale la trinità pagana, epurandolo della questione sulla purezza del sangue femminile cui si congiunge. La verginale philìa cattolica non è consustanziale alla trinità e vi transita unicamente la volontà procreatrice di un Dio patriarca geneticamente affine a tutte le etnie.

 

Il pragmatismo romano cancellò il diritto etnico stabilendo un nuovo vincolo di sangue discendente dal divino. Impose le virtù ascetiche all’erotismo con un sacramento matrimoniale finalizzato ad accogliere il dono di Dio (Figli), quindi mantenendo il principio del sangue impuro scaturente da affiliazioni illegittime (Figli del peccato). I paletti del neikos morale fissano una sola affiliazione terrena (Fin che morte non separerà) tenuta insieme dal legame di sangue (Famiglia) mentre il neikos erotico trascina nel disordine della successione di forme tra nascita e morte. La contrapposizione di questi due neikos genera l’antagonismo sessuofobo. L’educazione al peccato erotico proietta sui ruoli sessuali la virtù dell’istinto procreativo e la tentazione del desiderio carnale, ripartendo il bene nell’eros volitivo maschile e il male nell’eros ammaliatore femminile, conciliabili unicamente nell’inderogabile scopo riproduttivo, ma senza alcun’altra concessione all’erotismo che affilia in forme abiette (Transitorie).

 

La philìa attrattiva non è volubile ma solamente funzionale al campo d’azione che la esprime. Si è così modellata tra i neikos sessuofobi in forma di tabù, in cui è proliferata una libido psichica che ha interiorizzato il peccato sovrapponendolo al desiderio erotico. L’erotismo corrotto dalla depravazione suscitata dai tabù etici traeva gusto dal postribolo dov’era stato condotto. Si è dovuto attendere un rimescolamento dell’ordine sociale costituito per rivedere affiorare alla luce del sole forme di affiliazione alternative a quella della famiglia tradizionale. Nell’anonimato delle masse urbanizzate, l’amore sensuale ridiede dignità al frugale meretricio del peccato, facendo emergere relazioni tipo il «matrimonio bostoniano» della convivenza tra due donne.

 

Un matrimonio bostoniano era formato da signore borghesi favorite da un diritto ereditario democratico, che le rendeva economicamente indipendenti e quindi libere di esprimere la propria sessualità. L’affiliazione erotica tra donne rispettava la forma del talamo nuziale, in cui prevalgono la cura e la conservazione di un legame escludente tutti gli altri. Il timore della perdita innescava il movimento erotico della coazione a ripetere di origine psichica spiegata da Freud. Si allontanava l’oggetto del desiderio per ritrovarne il bisogno, la cui conservazione esigeva l’annullamento individuale nel progetto di coppia. Quelle signore importavano il neikos morale procreativo in un rapporto mancante del vincolo di sangue, sostituendo il figlio (Dono di Dio) con la trascendenza dell’amore (Grazia di Dio), in ragione della cui funzionalità si sacrifica l’attrazione erotica scemante.

 

Il percorso che riscrisse il ruolo della donna nelle relazioni sociali andò di pari passo con la riconquista del diritto al proprio desiderio erotico, arrivando a infrangere l’indissolubilità delle promesse matrimoniali scolpite su un ruolo femminile asessuato. La soddisfazione dell’eros passivo entrò in concorrenza con il vincolo del legame di sangue, in quanto capace di dissolvere il talamo nuziale. Un monologo erotico in cui manca la voce degli uomini, convinti dal millenario sciovinismo maschilista di poter esercitare la propria sessualità anche al di fuori del matrimonio. Il vincolo coniugale riformato si fonda sulla trascendenza di un legame erotico da conservare nell’affiliazione di coppia, favorendo così una coazione a ripetere psichica attraverso il timore della perdita, esattamente come succedeva nel matrimonio bostoniano tra signore.

 

L’affiliazione tra donne trovò supporto nella battaglia dei diritti civili femministi, al contrario, quella maschile rimase imbrigliata in una successione di guerre che esigevano del machismo gallista pronto a servire patria e famiglia. Nel millennio appena scorso, agli inizi degli anni ottanta del ventesimo secolo, comparve una nuova definizione per l’affiliazione tra maschi: Il Bromance. Il termine fu coniato per descrivere l’affratellamento tra i ragazzi skaters, cultura metropolitana legata al punk anarcoide che contestava ogni ruolo borghese anche nei doveri del maschio. Vivevano in delle comunità simili a piccoli branchi, votati alla sensualità fisica stimolata dall’azione adrenalinica. Questo tipo di affiliazione ha sicuramente pagato il ritardo storico con cui si è manifestata.

 

Il bromance si richiama al branco primitivo dei cacciatori, che nelle scorribande esaltava il proprio eros attivo in una continua sfida volitiva.  L’eros attivo è un generatore di desiderio che disperde energia in una progressione entropica. Il giovane maschio non è attratto dal sacrificio compiuto per conservare un’emozione che esclude tutte le altre.  La sessualità di coppia tende a uno zero potenziale che da ristoro «catastematico» e giunge con la maturità insieme alla saggezza di una lunga corsa nel mondo. L’eros attivo di qualsiasi gender stabilisce una sintonia empatica con cui condivide l’emozione di gruppo. E’ un doppio binario erotico su cui corrono dei bisogni paralleli. Il desiderio di possesso conduce nel talamo nuziale, da cui rimane distinta la sensualità emozionale spesso condivisa col branco.

 

Il percorso di autocoscienza dei due eros fu interrotto dalla diffusione del virus dell’HIV, che si manifestò come «la peste del nuovo millennio». I fondi elargiti per la prevenzione miravano al controllo dei rapporti sessuali occasionali, specie quelli maschili per via del loro sperma potenzialmente infetto. La pandemia era favorita dalle affiliazioni di gruppo e in particolare era la sodomia che mieteva vittime. Al fine di evitare una caccia alle streghe, era necessario un coming-out degli omosessuali, che per natura erotica erano i più esposti al virus. Lo step successivo fu legittimare l’amore tra due persone dello stesso sesso sul modello del matrimonio bostoniano. Una rivoluzione sociale che minaccia la concezione di famiglia procreativa, tenuta insieme dal legame di sangue ispiratore dell’istinto riproduttivo «naturale».

 

Le unioni civili tra persone appartenenti allo stesso gender, pur facendo riferimento al matrimonio riformato, hanno bisogno del vincolo di sangue per contestualizzare una logica lineare di causa ed effetto. E’ così che anche i figli sono diventati un diritto civile, accessibile mediante riconoscimento legale di una relazione purificata dall’eros trascendente. In cui il dono di Dio non nasce più nella sessualità dell’istinto procreativo bensì si rivela con il desiderio genitoriale effetto di una simbiosi erotica esclusiva. Seppure i precetti sessuofobi inorridiscano, si tratta comunque di una nuova moralizzazione dell’erotismo, mossa a escludere forme affilianti non conformi alla sessualità di coppia tramandata dal vincolo di sangue. Due o più individui che decidono di vivere in regime di comunità non sono riconosciuti come sfero affettivo finché non stabilizzano una simbiosi erotica di coppia. La famiglia tradizionale si sente attentare nei propri principi fondativi da una riforma che giungendo in coda a tutte le altre, cancellerebbe definitivamente il rapporto diretto tra sessualità e procreazione a favore di un erotismo trascendente disgiunto dal legame di sangue.

 

Discettazione sull’affiliazione amicale e società.

 

L’attrazione sessuale scaturisce dalla predominanza erotica in cui si crea una criticità, causando un travaso del desiderio attivo nel gorgo che lo stesso suscita in quello passivo - due travasi o due vuoti non innescano il moto sessuale. E’ logico dedurre che anche in un matrimonio bostoniano non ci si trovi dinanzi all’unione di due uguaglianze, bensì all’incontro tra prevalenze diverse capaci di scaricarsi in un bisogno reciproco. Ne consegue che le nuove tipologie di affiliazione erotica ereditano la visione lineare di un legame logico che lega causa ed effetto nella soddisfazione di un bisogno reciproco. Interrotto il quale è doveroso rompere anche la relazione amicale per ristabilire altrove un legame sensualmente utilitarista.

 

Aristotele spiegava il sentimento amicale in una relazione tra individui, dove ciascuno ama l’altro desiderandone il bene incondizionato. Questa indistinta visione di amicizia e amore deriva nell’era classica dalla percezione di un ruolo biologico non determinate nella qualità dei rapporti umani, aprendosi alla possibilità di affiliazioni di diverso genere. Nel rapporto amicale tra due uguaglianze, la sessualità viscerale è un elemento inerte (dielettrico/isolante), che reagisce come qualsiasi materiale immerso in un campo magnetico esterno, cioè dando luogo a fenomeni di polarizzazione. I greci usavano dell’ambra gialla (Elektron) per osservare i fenomeni dell’elettricità statica, mediante sfregamento questa si polarizzava scintillando. In tal senso l’ipotalamo posto nel cuore dell’encefalo potrebbe essere paragonato alla nostra ambra gialla la quale, dal punto di vista riproduttivo, diventerebbe la pietra della follia illogica che scarica la differenza di potenziale accumulata nel sistema erotico a essa collegato.

 

La sessualità viscerale nei suoi meccanismi chimici offre un’energia attrattiva permeante alla pari di quella gravitazionale che tiene insieme lo sfero cosmico; tuttavia è un’energia debole specie se confrontata con quella elettromagnetica. La propriocezione del corpo umano si trasmette per impulsi elettrici che creano del relativo magnetismo. Il nostro stesso cervello è paragonabile a una dinamo che produce circa trenta watt di elettricità. Ogni essere umano può essere considerato un accumulatore elettrico che emana onde elettromagnetiche fino a ottanta milioni di cicli al secondo.  

La tensione armonica individuale crea una vibrazione in grado di accordarsi per simpatia tonale con la frequenza di percezione altrui, permettendo di condividere la medesima esperienza (Empatia). L’eros psichico, che si basa sull’esperienza emozionale, influisce sul campo d’azione stabilito dall’attrazione sessuale, quindi anche il rapporto amicale può stabilire delle simbiosi sensuali, determinando quei movimenti aleatori non semplificabili in una logica lineare di causa ed effetto.

 

L’affiliazione amicale tra individui necessita di uno scopo, quello che usualmente scaturisce dall’attrazione sessuale fisica. Lo scopo è essenziale al fine di creare un magnete catalizzante sull’effetto dell’esperienza empatica. L’ambito scolastico per esempio dà modo di condividere allungo la quotidianità con altre persone. Si tratta però di un tipo di esperienza che non crea particolare empatia e quindi coinvolge il corpo solo di riflesso: si studia nella stessa scuola, ma l’attività è individuale. Manca il gioco di squadra, dove si persegue lo stesso fine perché il successo è un effetto dell’insieme mentre l’empatia degli alunni di un’aula scolastica è condizionata dai differenti successi individuali. Ne consegue che lo sport fornisce un campo d’azione più adatto a stabilire affiliazioni amicali. In una palestra il corpo è stimolato nella sua propriocezione e la sinapsi limbica (Emozionale) è lasciata libera di esprimersi senza troppi condizionamenti dell’intelletto neocorticale. 

 

Nell’era classica l’omoerotismo era di casa nelle palestre e nelle caserme, cioè in luoghi dove c’era un’esaltazione del neikos maschile o parimenti in altri luoghi preposti all’arte più affine a della philìa femminile. Distinguo dunque il campo d’esperienza come il magnete catalizzatore, dal luogo con le sue regole di scopo che dà forma al conduttore di energia. In tal modo gli individui si dispongono nei fili di rame (regole) e tutti insieme avvolgono il magnete (campo d’esperienza) che inizia a far girare il rotore (scopo comune). Un modello di società di successo funziona come una dinamo che converte l’energia erotica di un’affiliazione nell’esperienza empatica del successo di squadra.

 

La mia ipotesi di affiliazione erotica non determinata dall’attrazione sessuale è che in luoghi specializzati in campi d’azione, in cui si esercita un effetto d’insieme riconducibile a qualità esclusive di neikos (azione e contrapposizione) o philìa (attrazione e conservazione), avvenga una sorta di polarizzazione dell’eros viscerale, disponendolo a esercitare una scintilla sessuale. Che questa sia omoerotica o no dipende da una complessità che è sempre sbagliato semplificare. Sono le cosiddette componenti aleatorie a determinarle e che i modelli educativi rendono edificanti o abiette. Nel caso dei greci, per esempio, i ruoli di erastès ed eromenos rientravano in una tradizione capace di elaborarli dentro una normalità mentre ora sarebbero sanzionati per legge. Oggi che si ricava l’orientamento sessuale dalle pratiche erotiche cui si è avvezzi, si usa il riduzionismo matematico degli insiemi, applicando un segregazionismo tollerante tra diversità, mosse da un genere di amore trascendente in grado di tenerle distinte. 

 

La meccanica di un motore elettrico (Dinamo) è in grado di agire anche al contrario, cioè la funzione che gira il rotore muove a sua volta il magnete che per induzione crea un flusso di energia nell’avvolgimento di rame. Possiamo dunque immaginare connessi ai due capi di una dinamo due tipi di scopi, da una parte c’è quello dinamico che tiene in moto il progresso delle forme sociali, mentre dall’altra parte c’è il carico passivo funzionale dello status quo, nella cui logica deve conservare integra la macchina da cui si alimenta. Una società vincente è una libera associazione tra individui che si scelgono traendo energia vitale nel comune scopo di darsi piacere. I neikos etici inducono coattamente dei modelli meccanici mossi col sacrificio ripagato con la moneta della speranza. La storia dell’umanità è una diretta conseguenza dei suoi modelli di affiliazione amicale mentre la discordia e la prevaricazione sono solo il prodotto di uno scontro tra modelli sociali etici

 

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  • 3 months later...
Silverselfer

 

Nel precedente post ho ricalibrato il punto di vista focalizzandomi sugli insiemi invece che sugli individui ... questo mi ha costretto a gettare uno sguardo indietro. E' un excursus rapido ma indispensabile in cui ritratteggio una storia già raccontata. Cerco quindi di farlo in maniera light, usando dei personaggi che avevo lasciato marginali e introducendone di nuovi che avevo eliso ... come Juri e suo fratello Nikita, i quali erano stati accorpati nel personaggio di Vanni.

 

Posto solo le prime due porzioni di questo paragrafo che al solito sta crescendo in maniera ipertrofica, quindi sto sfrondando il superfluo per tenere l'essenziale e siccome nel farlo, torno e ritorno indietro per modificare eccetera ... ho bisogno di liberarmi di un po' di zavorra e postare qui ha il potere di fissare in maniera inderogabile il punto della situazione ...

 

Avevo promesso una doppia razione di musica ... ok, la prima scelta non può che ricadere sulla sigla di Goldrake, visto che lo cito ...

 

 

Chiudo l'arco temporale del racconto intorno all'anno d'uscita di questo film ---> Paradise ---> Versione per l'Europa del grande successo soft erotic dell'americano Laguna Blu. Il protagonista maschile era uno dei figli della Famiglia Bradford, con cui sono cresciuto da bambino e vedergli il pipino fu qualcosa di speciale ... :rolleyes:

 

 

Conto di postare il resto delle sezioni di questo paragrafo in maniera più celere ...

 

 

 

 

Gli insiemi sociali si aggregano per similitudini, ma rimangono uniti per differenze complementari. Gli interessi comuni fanno incontrare le persone che ne interpretano lo scopo assecondando delle necessità individuali. La percezione del gruppo diventa in questo modo una visione volitiva in concorrenza con le altre, perseguendo un mero desiderio di soddisfazione. Sono le dinamiche del contrasto che forniscono energia all'insieme, diventando attrattive nella ricerca del consenso tra diversità complementari.

 

La contrapposizione vincente rivela una nuova visione d’insieme che produce entusiasmo per il cambiamento. Il dispotismo della volontà individuale attrae in questo modo il consenso del gruppo, formando una gerarchia dove l’accondiscendenza diventa il carisma con cui il leader trasferisce la sua energia volitiva all'insieme. Questo modello «verticale» è di tipo distruttivo, cioè si proietta in avanti attraverso successive volontà individuali vincenti nella contrapposizione con l’esistente.

 

Nel modello orizzontale, l’individuo è circoscritto in dei canoni di principio escludenti, tipo in un club calcistico dov'è possibile criticare la formazione della squadra ma non tradirne i colori. Il valore della similitudine unisce nella condivisione degli scopi e si contrappone all'individualità traendo forza dalla tradizione. L’orizzontalità è un modello conservatore, in cui le visioni volitive provocano scissioni, scismi o secessioni, ma non il cambiamento che inficerebbe il valore etico degli scopi comuni.

 

 

 

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L’insieme degli insiemi che non appartengono a se stessi, appartiene a se stesso solo non appartenendovi (Paradosso di Russell).

 

Il primo giorno che misi piede a scuola, mi accorsi che i ragazzini si cercavano per condividere delle similitudini. Era un genere di piacere istintivo sulla cui base si costruivano dei rapporti interpersonali. Un bisogno che avevo anch’io, ma la solitudine in cui ero cresciuto mi aveva insegnato ad appagarlo attraverso l’osservazione. Fino a quel giorno avevo potuto conoscere le persone guardandole dalle finestre di casa, correndo da una stanza all’altra per accompagnarle in un segmento di vita più lungo. Già ne ero intimidito quando le vedevo attraverso il sottile vetro del gabbiotto della portineria, figurarsi lo spavento di finirci improvvisamente in mezzo.

 

Mi rapportavo con la classe attraverso il fedele rispetto degli scopi imposti dall'insegnamento scolastico. Era per incapacità comunicativa che finii per essere associato alla sola mafia più temibile dei bulli dei gabinetti, cioè quella dei primi della classe. Mi sedevo tra loro per il diritto sancito dai voti scolastici, tuttavia rimanevo isolato dall'incapacità di trovare dei bisogni chiari con cui rapportarmi con gli altri. Era per questo motivo che mi sentivo un reietto e avrei volentieri fatto gruppo con gli altri emarginati, ma essi non esprimevano una consapevolezza d’insieme perché non avevano particolari originalità da condividere, se non lo scopo di compiacere chi li vessava. Cercavo così di combattere la solitudine infamante ponendo le mie similitudini con gli altri in termini di un continuo confronto vincente. Diciamocelo, ero proprio un ragazzino antipatico e questo mi faceva dannare.

 

Quando la malattia iniziò ad allontanarmi da scuola sempre più spesso, rimasi molto colpito dal comportamento di Juri. La maestra aveva chiesto chi era disposto a portarmi i compiti a casa e nessun altro aveva alzato la mano. “Attacca?” Chiese solamente per cautela se la mia malattia fosse contagiosa, ma poi si sedette sul bordo del letto e iniziò a spiegarmi cosa c’era scritto in quegli appunti. Juri aveva un aspetto arruffato, con dei capelli che ogni mattino portavano una piega diversa, probabilmente dovuta al cuscino del letto. A scuola spesso veniva senza grembiule e la maestra ogni volta lo chiamava alla cattedra per segnargli una nota sul diario. Gli altri alunni si rafforzavano nella loro normalità deridendolo mentre io stavo attento che il mio grembiule non si sgualcisse, che avesse sempre il colletto ben inamidato e quel ridicolo fiocco di raso bianco non si ammosciasse mai.

 

In un rapporto a due non avevo alcun problema a tirare fuori dal mazzo tutte le similitudini necessarie per costruire un’amicizia. Con Juri fu molto facile perché era un bambino curioso e stava ad ascoltarmi per ore. Mi accorgevo che era in disaccordo su qualcosa, solo quando la continuava a fare come riteneva giusto. All’inizio facevamo solo i compiti, ma poi imparai a divertirmi a modo suo. Lui conosceva tanti giochi da fare con carta e penna, tipo quelli che si trovavano sulla settimana enigmistica. Ero confortato soprattutto dal fatto che mia madre approvava la nostra amicizia. “I comunisti ci vogliono rubare le nostre cose” La Zia Pina invece riteneva pericolosa la provenienza politica della sua famiglia. “Sono atei!” Juri rimaneva seduto quando la maestra ci faceva alzare per recitare la preghiera del mattino. “Vivono nel peccato” Per l’esattezza, la Zia diceva che vivevano come animali, credo alludendo a una copula sfrenata.

 

Juri era il nipote di «Peppone Er Fornaro», il panificatore del nostro rione che per il vero nessuno conosceva bene perché lavorava di notte e dormiva di giorno. Peppone era rimasto vedovo molto giovane perché la moglie era morta donandogli due gemelli. Questi si chiamavano Romolo e Remo in onore dell’AS Roma, di cui Peppone era uno sfegatato tifoso e lo stadio era il solo motivo che lo spingeva ad allontanarsi dal suo forno. Dalle finestre di casa avevo osservato la magica somiglianza di altri due ragazzini che giocavano nel vicolo sotto casa. Scoprii, dunque, che Sergej e Dimitri erano i fratelli maggiori di Juri e insieme a Nikita, il fratellino più piccolo, formavano la nidiata di Romoletto, detto «baffone» per l’appassionata militanza nella sezione del partito comunista e, tanto per dire, nella panetteria di famiglia, accanto allo scudetto dell’AS Roma, campeggiava il ritratto di Stalin e quello sì che aveva dei gran baffoni.

 

Le signore si servivano da Romoletto perché lui le faceva innamorare del suo fervore politico ... beh, chiamiamolo così. Il fratello Remo al contrario era schivo di carattere e preferiva lavorare di notte insieme al padre, forse per questo motivo era ancora scapolo. La genia di Peppone Er Fornaro produceva bei mori dal fisico asciutto e gagliardo e vivendo tutti nella stessa casa con una sola donna, scatenavano le fantasie erotiche dei ben pensanti come la Zia Pina. Entrare la mattina nella loro bottega era un inno alla gioia con quel tepore aromatizzato dal pane appena sfornato che ti entrava nelle ossa ficcandosi su per il naso. Romoletto serviva le signore con numeri istrionici e quelle chiocciavano ubriache delle sue premure. “Mi moglie è ‘na santa” Rispondeva a chi si chiedeva come potesse star dietro a una lenza del genere. “E vattene, va ... ” Diceva invece lei, quando il marito la tirava in mezzo per mostrare a tutti quanto fosse bella.

 

Juri andava a scuola con i fratelli ed io avrei tanto voluto lasciare la mano di mamma per raggiungerlo. Sergej camminava un passo avanti a tutti in compagnia di Nando, mentre Dimitri portava per mano il riluttante fratellino Nikita. Juri li seguiva con lo sguardo nascosto tra i piedi che di tanto in tanto scalciavano qualche pensiero molesto. Anche Juri e Nikita erano gemelli, il cui fratellino però era stato abortito costringendoli a nascere entrambi settimini. I gemelli beta mostravano una certa docilità di spirito e la propensione a lasciarsi guidare dal fratello alfa. Nikita mostrava già un carattere dispotico e nonostante fosse piccolo, dominava con i suoi capricci i fratelli beta mentre si scornava continuamente con il padre e Sergej. Credo che Juri fosse un beta e nel suo carattere introverso c’era lo smarrimento di aver perso l’altra metà.

 

Nando era figlio unico e forse era per colmare questa solitudine che, quando Sergej lo lasciava per andarsene con Dimitri, lui saliva in casa mia arrampicandosi dal balcone della cucina. Io ero abituato a concedergli tutto e anche a scuola gli cedevo la mia merenda. Siccome lui e Sergej facevano a gara di paraculaggine, anche questo pretendeva di fare lo stesso con Juri, ma lui si baruffava col fratello anche per concedergliene un solo morso. Un giorno che Sergej era riuscito a strappargli la merenda di mano, venne a rubare la mia, cacciandosi il maritozzo in bocca tutto in una volta per non farselo prendere da Nando. L'inappetenza era una delle stranezze che provocavano l'effetto di allontanarmi dagli altri, compreso Juri che mi tolse il saluto.

 

Juri mi evitava di proposito e avrei strisciato ai suoi piedi pur di ottenerne il perdono. A lui piaceva disegnare e durante la ricreazione, capitava che sfidasse qualche compagno a chi lo faceva meglio. “Io preferisco Goldrake” Quella mi sembrò la battuta migliore per attaccar bottone perché stavano disegnando dei robot manga. “Lo sai disegnare!” Esclamò l’altro. “Non ci credo” replicò Juri, sfidandomi a dimostrarlo. Inavvertitamente avevo appena proferito una spacconata vantandomi di saper disegnare una roba ritenuta difficilissima. Me ne resi conto mentre abbozzavo le doppie corna ricurve di Goldrake che non venivano mai perfettamente simmetriche. “Sembra ricalcato!” No, era un complimento sperticato, però ci avevo messo tutto l’impegno possibile e solo per dimostrare di avere qualcosa da condividere con Juri ... invece gli strappai il primato di miglior disegnatore di robot.

 

Il clan dei più bravi faceva gruppo con l’insegnante, per questo erano percepiti come i cocchi della maestra ... ma io no e volevo dimostrarlo a Juri quando mi tirai via il grembiule per offrirglielo mentre andava alla cattedra a beccarsi un’altra nota. “Maleducato!” Avevo fantasticato un plauso generale a quel mio gesto eroico, invece ci rimediai lo spintone con cui Juri rifiutò di farsi strumento della mia gloria. “Domani verrai accompagnato” Lo sapevano tutti cosa si rischiava a toccare un cocco della maestra. “Io non c’ho tempo da perde” La madre di Juri si presentò in classe con propositi belligeranti. “Chi se crede de esse” Si sentiva offesa dagli appunti che la maestra le scriveva nelle note sul diario del figlio. “Questa è ‘na scuola pubblica” Sì, oramai indossare il grembiule era facoltativo, ma non al «Viscontino» che seppure fosse un istituto pubblico, non era propriamente una scuola «proletaria». “Ce li dovrebbe passa’ lo Stato” La maestra pretendeva che comprasse un terzo grembiule oltre quel cambio che non riusciva sempre a lavare e asciugare. “Sei solo ‘na sporca borghese” Urlò furiosa mentre maliziosamente la maestra osservava che sui grembiuli di Juri c’erano ricamate le iniziali dei fratelli maggiori.

 

Davanti ai miei occhi si stava consumando una tragedia di cui mi sentivo responsabile, ma perché un grembiule donato col cuore stava causando tutto quel livore? I comunisti forse avrebbero preferito rubarmelo? “Mo vado dalla direttrice e vedemo se poi insegna’ che i comunisti so’ ladri” Che disastro! Volevo solo assumermi le mie responsabilità, quando iniziò a uscirmi da bocca una serie d’invettive. “Grazie per aver provato a difendermi” Io volevo aiutare Juri e non offendere pure sua madre. “Sono degli ingrati che non meritano la nostra benevolenza” La maestra la pensava esattamente come la Zia Pina che si scornava continuamente con Romoletto ogni volta che andava a comprare il pane. “A da veni’ baffone” Le urlava dietro il padre di Juri quando la salutava polemicamente. Ero troppo piccolo per comprendere cose che neanche gli adulti sapevano spiegarsi, finendo per prendersi a sprangate nelle piazze. L’effetto di quella divisione che stava lacerando l’Italia separò anche Juri da me. Lui fu spostato nella classe della maestra Rosa, nota per i suoi metodi di studio socialisti.

 

Juri scomparve tra le nebbie con cui la malattia offuscò la mia mente. Mi ricordai di lui quando in fila aspettando la campanella dell’uscita, lo vidi pisciarsi addosso tra l’imbarazzo generale. “Nei gabinetti non posso entrarci” Qualche giorno dopo trovai il coraggio di andare nella sua classe durante la ricreazione. Stava disegnando e fu facile attaccare bottone. “Alessandro l’Unno ... ” Aveva litigato con il ras della mafia dei gabinetti e non poteva più contare sulla protezione dei fratelli che erano passati alle scuole medie. Lo presi, dunque, a parte della mia strategia basata sui corridoi d’invisibilità, cioè usare i gabinetti in quel lasso di tempo che avevo osservato rimanere sguarniti. Lui, la sua amica Fabiana ed io fondammo la tribù delle chiappe scottate dal termosifone davanti ai cessi e, per quanto tenuto insieme da una necessità meramente fisiologica, quello fu il mio primo insieme d’appartenenza. Forse sarebbe potuta diventare un’amicizia anche fuori dall’ambito scolastico, se nella mia vita non fosse entrato anche Vanni.

 

Vanni divenne il mio unico amico ... gli volevo bene e tutto, però era un rapporto obbligato dalle circostanze. Suo nonno era troppo importante per gli affari di Primo e poi lo divenne anche per lo Zio Gerardo, quando comprarono lo stabile dove abitavo e mia madre divenne anche la sua governante. Poi iniziammo a frequentare la stessa scuola e anche lui entrò a far parte della mia tribù. “Sono degli sfigati” Sì, in effetti eravamo una manciata di reietti senza sale, ma lui non era certo migliore se aveva dovuto usare l’influenza del nonno per procurarsi un amico. “E’ matematico che ci sfottono” Vanni mi sfilò l’amicizia di Juri perché giocavano insieme nel vicolo sotto casa. “Loro devono stare con le femmine” Lo tirò dalla sua parte per convincermi a cacciare le due ragazzine della tribù. “Nessuno le vuole” Fabiana era una ragazzona cicciotta con degli occhiali tutti incerottati perché le facevano infiammazione a contatto con la pelle. I compagni la canzonavano e le compagne non la volevano nei gabinetti dandole della scorreggiona. L’altra ragazzina, la chiamavano capra o la lucertola, perché ruminava pezzettini di carta ed era magra allampanata. “O loro o noi” Vanni era diventato il fratello alfa di Juri, ma se non volevano pisciarsi addosso, dovevano per forza aspettare il mio via e quindi sopportare anche le ragazzine.

 

In quinta elementare finii in classe insieme a Juri. A causa di un decreto ministeriale che prevedeva classi di venticinque alunni, la mia intransigente maestra decise di abbandonare la scuola pubblica. Noi eravamo sopravvissuti solo in tredici al fuoco di fila delle sue bocciature e fummo accorpati nella sezione della maestra Rosa. Lì si viveva in un collettivo socialista e soprattutto vigeva il sei politico, niente più insufficienze o medie di rendimento, basta note sui diari e banchi disposti per ordine di merito. La cattedra della maestra era stata unita ai nostri tavoli che formavano una lunga tavolata conviviale. Non c’erano distinzioni gerarchiche e tutti dovevamo svolgere un servizio utile per la comunità. A tale scopo, ogni mese si tenevano le elezioni democratiche per far ruotare le competenze, in cui non era permesso candidarsi, ma era il collettivo a investirti del ruolo pubblico.

 

Le cariche da assegnare erano solo dieci e in genere erano ricoperte da chi era più popolare. Mi sentii molto lusingato quando inaspettatamente una buona quota dei compagni di classe infilò il mio nome nell’urna. «Addetto ai giochi ricreativi» Quella carica se la passavano come un manico durante il ballo della scopa. Il compito era organizzare dei giochi di gruppo durante i venti minuti di ricreazione ... cioè quando esplodeva una baraonda e neanche con il lazzo riuscivi a catturare l’attenzione di qualcuno. Il solo a rimanere inchiodato al suo dovere era l’addetto che aveva da leggersi un tomo enorme su cui c’erano le regole dei giochi. Era palese che fossi vittima di un complotto, ma fecero male i conti a riconfermarmi per quattro mandati. Con la mia piccola tribù iniziammo un tamtam tra tutti i reietti, riunendo intorno alla mia carica pubblica una bella corte dei miracoli. Riuscivamo a realizzare giochi divertenti che finivano per attirare sempre più gente. Avevo coagulato un considerevole consenso e al quinto mandato, conquistai la carica che più ambivo: L’addetto ai cessi.

 

Rivoluzione tra le rivoluzioni, con la maestra Rosa si poteva andare in bagno durante le lezioni. L’addetto ai cessi controllava il traffico con quattro portachiavi colorati, che ognuno riconsegnava al ritorno dal gabinetto. Ora se quello stronzo di Alessandro l’Unno voleva trascorrere ore nel suo habitat naturale, doveva chiedere il permesso a me. “Tu sei frocio” Appena ricevuto in consegna i portachiavi colorati, Alessandro l’Unno mi fece cenno di seguire il suo labiale. Mi dette del frocio gettandomi nel panico perché, proprio in quei giorni, avevo iniziato a bagnarmi le mutandine collezionando le foto di biancheria intima maschile. Si trattava di un insulto generico oppure mi stavo trasformando in una ridicola checca? Lo spavento di essere canzonato, mi fece diventare accondiscendente con la mafia dei gabinetti. Per me, Juri e la lucertola, il problema non esisteva più, ma per il resto della tribù la situazione non era cambiata. Avendo perso d’occhio le abitudini dei bulli, un giorno sbagliai a dare l’ok per entrare nei bagni. Successe che Vanni fu messo in mezzo e Fabiana combinò un guaio cercando di fuggire. Cercai di salvare capra e cavoli ma in finale mi preoccupai soprattutto di parare le chiappe ad Alessandro l’Unno. Vanni in particolar modo la prese come un tradimento e da lì a poco ci azzuffammo anche al Circolo per la storia del canottaggio. Rimanemmo amici ma da quel momento s’insinuò tra noi una certa diffidenza che si riflesse anche nelle dinamiche sociali nel vicolo sotto casa.

 

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Genesi ed Evoluzione del Pisellamento

 

Fino al 1968 in Italia esisteva l’articolo 599 del codice penale che puniva l’adulterio femminile fino a due anni di reclusione con l’aggravante dell’abbandono del tetto coniugale. In tal modo l’amore durava tutta la vita nonostante l’adulterio fosse una pratica discretamente esercitata da tutti. Chiunque dava scandalo con un nuovo amore dopo il matrimonio, imboccava la via dello sdegno sociale, sempre messo in carico alle donne: «sfascia famiglie». Quasi mai le vedove bianche riuscivano a costruirsi una vita altrove e com’era successo a mia madre, tornavano sui loro passi nel rispetto dei costumi sociali. I genitori di Nando erano separati, ma al contrario dei miei non si erano più rimessi insieme. Sulle ragioni di com’erano andati i fatti, se ne raccontavano tante e sempre a carico della moglie scellerata. Siccome però mia di madre conosceva il travaglio interiore che conduceva a una tale decisione, la difendeva a spada tratta e aveva in spregio quell’uomo che l’aveva causata. Era soprattutto per questo che non vedeva di buon occhio neanche Nando, per cui la gente del rione provava compassione.

 

Nando era cresciuto nella falegnameria del padre, vivendo la sua quotidianità nel vicolo sotto casa. Somigliava a quei gatti randagi cui tutti nella città eterna riservano un piattino di avanzi sul davanzale, senza curarsi di prenderli in casa. Me l’ero visto arrivare sul balcone della cucina, tale e quale agli altri gatti con cui condividevo le mie giornate solitarie. “Che c’è Nandi’?” Sergej, Dimitri e Nando erano cresciuti insieme e a scuola finirono anche nella stessa classe. “Er gatto te s’è magnato la lingua?” Potevo capire il suo desiderio di entrare a far parte della loro famiglia numerosa. “Sali e di’ a mi moglie che te fa il piatto pure a te” Quando tornavano da scuola, nel momento di salutarli si sentiva abbandonato e aspettava che Romoletto intuisse la sua malinconia. Probabile che furono Sergej e Dimitri a iniziarlo ai piaceri del pisellamento, anche perché in quel clan di maschi dov’erano cresciuti, era qualcosa che non procurava scalpore.

 

Nando andava a caccia di un boccone d’affetto e con piglio felino, svicolava agilmente i colpi di scopa di chi, come mia madre, non voleva la sua storia tra i piedi. Io lo capivo e lo attirai come facevo con gli altri della sua specie. Sapevo che non c’era rancore nei suoi sbuffi bisbetici e se lo volevo carezzare, dovevo sempre fargli trovare il piattino degli avanzi bello pieno. Il pisellamento venne insieme all’intimità con cui mi aveva anche insegnato a sputare lontano, a bere a gargarozzo o a pisciare in piedi. Era comunque un gesto diverso dagli altri e solo dopo averlo compiuto, iniziò a parlarmi in maniera diretta, senza la paura di mostrarmi le sue debolezze. “Non lo devi di’ a tu madre” I segreti come quello del pisellamento avevano tessuto un filo invisibile che ci univa anche quando eravamo in mezzo agli altri ragazzini, fu così che si sentì in dovere di comportarsi da fratello maggiore.

 

Quando Juri iniziò a venire a casa, scoprii un rapporto diverso di amicizia. Da coetanei condividevamo lo stesso punto di vista mentre scoprivamo la vita attraverso il gioco. Tuttavia, l’intimità raggiunta con Nando era qualcosa da cui non potevo divorziare e quando lui saliva dal balcone della cucina, Juri capiva da solo che doveva andarsene. La malattia e la lunga convalescenza che seguì, recisero di netto tutti i rapporti amicali. Nando era entrato ormai nell’età puberale, scoprendo dei bisogni che lo portavano lontano da me. Quando mi vedeva sul balcone della cucina, mi faceva quel fischio che una volta serviva a dargli il segnale per salire, invece ora era diventato un saluto affettuoso che ricambiavo con un’alzata di mano mentre lo vedevo andarsene in compagnia di Sergej e Dimitri. Fu per sfuggire alla solitudine, se trovai il coraggio di scendere anch’io nel vicolo.

 

La malattia somiglia per molti aspetti alla sessualità perché condiziona i sentimenti con i bisogni del corpo. Mia madre l’aveva sempre usata per esprimere quell’affetto che non riusciva a provare nei miei confronti. Io stesso la usavo per costringere gli altri a restarmi vicino, ma quando il gioco sfuggì di mano a tutti, scoprii quanto sia pericoloso giocare con la salute. Il valore della normalità divenne qualcosa di concreto, riscontrabile con delle analisi cliniche e tutto l’insieme delle cure obbligavano il rientro in quegli standard, inseguendo una sorta di eugenetica della felicità. Imparai come nelle secrezioni biologiche delle nostre viscere non risieda solo il benessere del corpo, ma nell'esercizio delle loro funzioni risiedeva lo stesso segreto del pisellamento, cioè la capacità di rendere intimi e la condivisione di quegli scopi inderogabili, tesseva rapporti umani solidi e duraturi.

 

Durante la convalescenza fui costretto a ricostruire ogni ponte elementare di comunicazione, e trovai un valido appoggio nella visione volitiva di Vanni. Me lo ritrovai in casa, a scuola e poi come come compagno di vogata, fino a dividerci anche l’affetto di mamma. Con lui si formò naturalmente la condivisione degli spazi vitali che porta all'intimità dei bisogni fisiologici. “Può venire anche Momo?” Ad esempio, a causa dei suoi problemi intestinali, lo obbligavano quotidianamente a lunghe sedute al gabinetto. “Giochiamo ad asso piglia tutto” Si annoiava e allora gli davo compagnia giocando a carte sul piano del cesto della biancheria sporca. “Fa male!” Lo vedevo strizzarsi in volto e diventare tutto rosso fino alle lacrime per riuscire a fare una noce di cacca.

 

“Infilane un po’ dentro col dito” Vanni soffriva di stitichezza cronica che gli causava pruriti intimi. “Ahhhhhhh” Portava sempre in tasca una scatolina rotonda con sopra ritratta una foglia verde pastello. “Ahhh Ahhh Ahhh” Dentro c’era una cremina vischiosa dal profumo balsamico con cui si umettava per alleviare il prurito. “Siete impazziti!” Me la fece provare e dava una sensazione intensa di freschezza. “Infilane un po’ dentro col dito” C’era anche un modo improprio di usarla spingendone un pochino dentro l’orifizio. “Ahhh Ahhh Ahhh” In quel caso il fresco intenso diventava irresistibile e cominciavamo a correre in preda a crisi esilaranti. “Siete impazziti!” Mia madre certo non poteva capire il motivo per cui ci vedeva improvvisamente correre per tutta casa tra gli strepiti di un’apparente follia. La condivisione di questa intimità costituiva il segreto che rendeva esclusiva la nostra amicizia.

 

Pisellarsi con Vanni era un gesto naturale come quando mi passava un pezzettino della cicca che stava masticando. Nel frattempo mamma divenne la sua governante e fece venire Lalla dal paese per aiutarla nelle faccende. I suoi bambolotti: «Miss Rose e Mr Wiggly» dettero un senso fin allora sconosciuto al pisellamento. “A ‘mo simme fidanzati” Toccarmi con lei aveva uno scopo diverso dell’amicizia. “Ce duvimm’ vasà” Comportava tutta una serie di regole ed erano soprattutto quelle a far diventare il rapporto esclusivo. Vanni mi aveva espropriato di ogni interesse, ma non riuscì mai ad imporsi su Lalla proprio perché tra noi due c’era quel sodalizio. Una cosa però accumunava quei due ed era l’incomprensibile smania di andare a giocare giù nel vicolo.

 

In strada s’incontravano gli altri ragazzini con cui non riuscivo a comunicare, così rimanevo sempre un passo dietro a Lalla. Non mi passava neanche nell’anticamera del cervello di scendere in strada da solo, come invece faceva Vanni, che usò Juri per inserirsi nelle dinamiche di gruppo. Appena lo vedeva, gli andava incontro per salutarlo e non aveva alcuna remora a lasciarmi per partecipare alle sue faccende. Io ero condizionato dallo stato di convalescenza che m’imponeva dei vincoli solitamente riservati ai bambini più piccoli. Vanni e Juri se ne andavano a esplorare il circondario, mentre io ero coinvolto da Lalla nei giochi stanziali delle ragazzine. Fu così che strinsi amicizia con Nikita che mi era di due anni più piccolo.

 

“Non ci giochiamo con te” Nonostante l’età, Nikita era già animato da virgulti sensi che facevano dannare le ragazzine. “Vattene” Appena lo vedevano sopraggiungere, scattava un allarme generale, che scatenava in Nikita uno strano istinto. “Scappiamo!” Si lanciava nella mischia in una rincorsa eccitata dal panico delle pollastrelle svolazzanti. “Devi rispettare le regole” Quando le ragazzine lo includevano nei giochi, lui si divertiva a fare il guastatore. “E chi se ne frega!” Stanco dei loro ammonimenti, si metteva in disparte a guardarci giocare. “Momo e fa il serio!” Io cercavo di imitarlo, ma non mi riusciva essere altrettanto antipatico. “E dai, vieni a giocare” Le ragazzine con tutte le loro regole avevano bisogno di un maschio per ribadirle ed io mi ero stancato quanto Nikita di quel ruolo. “Lo dico a mamma!” Invidiavo il suo spregiudicato coraggio. “Ah, sozzone!” Se qualche avventata, scendeva in strada con la gonna, doveva aspettarsi le sue continue incursioni per sollevarle le sottane. “Smettila!” Mi faceva morire dal ridere e quando Lalla iniziò a fare comunella con le ragazzine più grandi, anch'io lasciai i noiosi giochi da femmine per saltare dalla parte della barricata di Nikita.

 

Quando si autoescludeva dai giochi, Nikita usava buttarsi su un muretto e distribuiva linguacce a quante non potevano fare a meno di gettare uno sguardo dalla sua parte. “I froci giocano colle femmine” Con questa velata minaccia mi costringeva a fermarmi sul muretto con lui. “Sei laziale o romanista?” Non guardavo le partite di calcio ma conoscevo la fede giallorossa della sua famiglia. “Se sei romanista, te le devi compra’” Intendeva le figurine Panini dei calciatori del campionato. “Ce l’ho, me manca, ce l’ho, ce l’ho, me manca ... ” Andammo insieme a comprare il mio primo album con l’investimento di un piccolo capitale in bustine di figurine. “Lo scudetto vale doppio” M’insegnò tutte le regole dello scambio dei doppioni, indicandomi quali valevano doppio. “Ce li giochiamo?” C’erano poi le scommesse di abilità come far scartare una figurina dal mazzo per farla cadere in terra dalla parte dell’immagine. “Sei una schiappa” Sì, ero una schiappa, ma non credo che a Nikita dispiacesse sfilarmi le figurine.

 

“Domani ce stai?” I continui impegni m’impedivano di annoiarmi sul muretto sotto casa come succedeva agli altri. “Posso veni’ a casa tua?” Ecco, questa richiesta mi faceva sempre gelare il sangue nelle vene perché temevo lo sguardo di spillo di mia madre. “Mommo sta facendo i compiti” Nikita era troppo impertinente e lo respingeva senza neanche interpellarmi. Lui però era della stessa pasta di Nando e alla terza volta che si vide respingere, disse: “Si lo so, me deve aiuta’ a fa’ ‘na ricerca”. Si presentò con un quaderno dalle pagine stropicciate e scritte da far spavento. Era già in terza elementare ma leggeva ancora sillabando le parole, così mi sentii in dovere di aiutarlo, ma a lui i fumetti della Marvel non interessavano. “Lo conosci Lando?” Gli chiesi dunque di leggere insieme qualcosa che gli piacesse. “A me piaciono le zizze grosse” I suoi supereroi erano: Il Tromba, Il Camionista e appunto Lando, i protagonisti dei fumetti pornografici dell’epoca.

 

“Sb ... sba ...sbattimelo” Preferivo fare gli esercizi di lettura nel gabbiotto del portierato perché Nikita non aveva percezione della sozzeria che stavamo facendo e alzava la voce per superare l’impuntatura su qualche sillaba difficile da pronunciare.“Fammi ... godere ... fammigodere” Nello striminzito gabbiotto c’era solo una sedia davanti alla finestrella che dava sull’androne e Nikita leggeva restando in piedi accanto a me. “Comp ... come se legge questa?” Tenevo il giornaletto dentro a un libro che chiudevo quando passava qualcuno e non tanto per il condomino che a malapena si accorgeva di noi, quanto per interrompere Nikita che era totalmente preso dalla lettura. “Ma fica se dice figa o fica?” Spianava i gomiti sulla mensola davanti alla finestrella e premeva con i piedi nello sforzo che stava compiendo. “E’ passato ... ricominciamo” Non era certo il posto giusto per pisellarsi, ma dopo un po’ diventava inevitabile. Gli passavo un braccio sulle spalle mentre iniziavo il delizioso massaggio. “Succ..chia..aamelo” Quando gli concessi un angolino dello sgabello per sedersi tra le mie gambe, per pisellarmi non avevo più bisogno della mano. “Faccio più forte?” Anche a lui piaceva premersi contro di me e dovevo incastrare le rotelline dello sgabello contro l’angolo della parete per resistere alla sua pressione.

 

Il pisellamento formò anche con Nikita quel filo invisibile che univa nell’intimità. “Aspetta che te apro la porticina” Iniziai così a frequentare il magazzino della farina dietro al forno del pane. “Dai entra!” Ci si accedeva da un uscio ritagliato in un enorme portone. “Non ce sta nessuno” Di giorno era disabitato. “Salimo sopra” C’era anche un soppalco, costituito da una stanza con una finestra che dava nel magazzino. “Scegli quello che te pare” In quella stanza si accatastavano stratificazioni geologiche di riviste e giornaletti. Non era tutto materiale pornografico, c’erano anche settimanali di enigmistica o gazzette sportive, di cui alcune pagine memorabili facevano bella mostra di sé attaccate alle pareti. “A regazzi’, ma ve la trovate que’ a nocciolina?” Nikita non era il solo che frequentava quel posto e nessuno dei maschi di casa si stupiva a trovarci scartabellare con una mano nei pantaloni.

 

“Te va de abbracciacce?” Io ero attratto solo da quei giornaletti. “Mettemoce sulla branda” Nikita invece voleva soddisfare un bisogno che per lui era chiaro come correre ad acchiapparella o saltare alla cavallina. “Strignemoce forte” Mi si attaccava al collo ed io lo tenevo stretto nello sforzo di bloccare il suo frenetico movimento pelvico. “Annamo a fa la piscia insieme?” Finimmo così il nostro primo incontro, ma ce ne furono altri in cui ci toglievamo anche i pantaloni. “Ah regazzi’, che state a combina’?” Romoletto ci pizzicò a braghe calate. “Sti sozzoni!” Ci menò certi scappellotti e poi minacciò di raccontarlo a mamma! “A piccole’ com’è che nun entri?” Dopo quel brutto quarto d’ora, mi tenevo alla larga dai guai e la mattina chiedevo a Vanni di comprare la merenda anche per me. “Te c’ho messo il maritozzo colla cioccolata” Romoletto allora uscì dalla bottega per portarmi il sacchettino di carta bianca. “Rimane ‘na cosa tra noi, va be’?” Il cacao mi faceva lo stesso effetto della caffeina, perciò mamma non voleva che prendessi il maritozzo con la cioccolata ... ma l’occhiolino sornione che quella mattina mi fece Romoletto, alludeva a ben altro.

 

Nikita aveva reagito senza alcun pudore agli scappellotti del padre e all’appuntamento successivo, si era ripresentato puntualmente come nulla fosse accaduto. A casa sua c’era una diversa percezione dei bisogni erotici del corpo. Da me il peccato riduceva tutto a un’innominabile sozzeria e dovetti aspettare che la maestra Rosa ci spiegasse chiaramente come nascessero i bambini, per riuscire a distinguere il pisellamento dalla sessualità riproduttiva. “Tu rimani abbasce, capì?” Quello fu anche il momento in cui le zizze di Lalla rivoluzionarono la mia vita sociale. “Accuort, m’araccomanno!” I suoi fidanzati immaginari divennero reali e a me toccava farle da palo. “Tando faccimme ‘mpress” Nel frattempo Dimitri aveva terminato le medie e siccome Romoletto sosteneva che il mondo lo mandavano avanti gli operai, era stato messo a lavorare in bottega. “Statte quieto, ce penza Mommo allo banco” L’infatuazione di Lalla per Dimitri era una storia vecchia, ma aveva preso una piega più seria da quando s’incontravano clandestinamente nel retrobottega. “Annamo a vedelli” Io ero curioso di vedere cosa combinassero, ma ci volle la sfacciataggine di Nikita per convincermi a spiarli. “E tu che nun ce credevi” Io pensavo che facessero cose tipo nel pisellamento, invece Dimitri glielo metteva proprio dentro e mi parve anche che a Lalla facesse parecchio male ... invece dopo si baciarono a lingua di fuori come io non le avevo mai voluto concedere ...

 

“Cucete la bocca sa ... ” Lalla intuì subito il mio disappunto quando le dissi che l’avevo vista con Dimitri. “ ... o dico a tu madre che fate co’ Marinella” Mi stupì la cattiveria con cui minacciò di cantarsela su come il pisellamento tra me e Nikita aveva iniziato a coinvolgere Marinella. Era accaduto quando lei e altre consorelle del locale serbatoi erano diventate signorine, da quel momento avevano cominciato a fare comunella tra loro, tagliando fuori le ragazzine più piccole. “Facemoce fa’ l’amore tutti assieme” Le attività di porno barbie durate le riunioni di casalinghe avevano perso Lalla e di conseguenza anche Vanni. “A Big Jim piaciono le zizze” Fu così che coinvolsi Nikita. “Ce abbracciamo pe’ davero?” Marinella e Nikita erano coetanei e lei era molto diffidente nei suoi confronti perché a scuola lui si comportava esattamente come nel vicolo sotto casa. “Sì, però uno per volta” Tuttavia accettò subito la proposta di Nikita e iniziammo ad abbracciarci veramente.

 

“E’ squacquarone non cagliato” Lalla chiamò così l’esagerata emissione di liquido delle mie ghiandole di Cowper. Nikita anche era convinto che si trattasse di un’eiaculazione perché il liquido schizzava via prima del flusso di pipì. Insomma, ero convinto che si trattasse di sperma e di conseguenza mi sentivo in competizione con i ragazzini più grandi. Volevo che Lalla mi trattasse come i suoi amanti e le feci credere che sapevo schizzare col piccolo trucco di spingere fuori un pochino di pipì. Lei mi riammise nel circolo del locale serbatoi, ma non potevo sostenere il ruolo di sua cavia per esperimenti sessuali e quando me lo prese in bocca, tentai qualcosa d’impossibile finendo per farle la pipì in faccia ... risero di me e questa cosa mi ferì profondamente. A questo si aggiunse la frustrazione di vedere l’eiaculazione di Vanni, lo invidiavo e gli detti a credere di avergli squagliato le palle durante i nostri incontri di lotta, ma poi un giorno si presentò con uno dei giornaletti de’ Il Tromba e compresi che Juri lo aveva condotto nel magazzino della farina ... da quel momento le nostre strade si divisero. C’era qualcosa che iniziava a sfuggirmi perché quel filo d’intimità che imbastiva il pisellamento, si spezzava nel momento che qualcosa di molto misterioso subentrava, accomunando in degli scopi ritenuti da adulti. Per quanto mi sforzassi d’imitare il bisogno che ispirava quella nuova regola esclusiva, ne rimanevo sempre fuori per delle mie mutevoli diversità dalla consistenza eterea.

 

[Fine prima parte]

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  • 1 month later...
Silverselfer

 



Non so se ne sia valsa la pena estrapolare i personaggi di Nikita e Juri ... temo che non aggiungano molto, anche se tornare indietro nel passato del protagonista, mi serve per delineare meglio lo sviluppo della sua sensualità. Una parte questa che avevo trascurato a favore di una cronistoria più oggettiva. Pensando ad un riordino di tutta la struttura del romanzo, queste parti andrebbero spostate indietro ... ma forse non devo più preoccuparmi di queste >>amenità<< e proseguire nella riflessione entropica della --> nuova esperienza ---> Beh, diventa ancora più importante il proposito di scrivere ogni sezione come fosse un piccolo racconto assestante che si apre e si chiude e poi si coordina con gli altri ... in tal senso il punto di vista del lettore cambia effettivamente quanto scrivo ... mi stoppo prima che mi scatti l'embolo quantistico :fie:

Meglio dedicarsi all'operazione vintage e inserisco un video musicale e la sigla di un'anime d'epoca .--> Sarà una coincidenza che Rettore cantasse ---> Lamette (?)



L'anime è Gattiger ... fu un must per poco tempo e la qualità dell'animazione era veramente pessima, tuttavia i gadget della macchinine che s'incastravano tra di loro erano fighissimi e probabilmente dettero poi lo spunto alla saga dei trasformers, In ogni modo, la sigla è stata ingiustamente dimenticata ...



Per ora ... tutto qua ...



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Inconsistente Dualità

Dischiudere il cuore mi provocava un impulso sensuale che dal limbo psichico del cervello si riverberava come luce riflessa su una dualità contrapposta, proiettando inconsistenti figure come all’interno di un prisma caleidoscopico. In quelle psichedeliche simmetrie era possibile rintracciare ogni genere di bisogno, tranne quello che avrebbe potuto fornirmi il punto di fuga di una prospettiva unica. Negli altri, invece, la sensualità era concentrata dalla lente degli univoci bisogni dentro il prisma delle emozioni, filtrandosi nello spettro luminoso dei colori conformi all’arcobaleno sentimentale. Rintracciare questa chiave cromatica presto costituì l’oggetto stesso del mio desiderio perché si confondeva nella mia variegata e cangiante tavolozza di colori, da cui venivano fuori solo dei guazzabugli informi.

Guardavo i sentimenti capaci d’interpretare le aspirazioni del cuore, come dei prestampati per bambini da colorare. Dipingevo quelle maschere con l’istinto di un camaleonte, concretando un’identità nel consenso che ottenevo. Non c’era l’intenzione di un inganno perché quei volti scaturivano da diversi ordini di percezione emotiva. Incamminarmi nelle regioni del cuore era come avventurarsi in un roveto che mi trasfigurava. Ogni spina s’innestava sull’anima facendo germogliare un’altra dualità, in cui scorgevo un ultimo riflesso di me stesso con nuove cromaticità da stendere sulla biacca neutra del mio viso. L’amore che mi attraeva negli altri pareva un gorgo che mischiava i miei colori, trasformandoli in debordanti tonalità da riordinare tra i neretti escludenti di un altro prestampato.

Il desiderio è un vuoto che colmandosi travasa in un altro bisogno, concatenandosi sulla prospettiva dei sentimenti unici. Questi cicli di riempimento costituiscono dei fatti concreti, in cui gli individui riconoscono la cronologia di una narrazione comune. Feci quindi del mio primo amore una stella fissa e ricambiarlo divenne la logica del sestante che usavo per navigare nei limiti dei sentimenti convenzionali. Tuttavia, quell’afflato amoroso era un artificio in cui si celavano le moltitudini ramificazioni del ginepraio nel mio cuore. Il desiderio che doveva essere una bandiera sventolante su un pennone fissato dentro una necessità stabile, diventava invece la vela dell’albero maestro di una nave, i cui ormeggi si consumavano con la pulsione sensuale del porto in cui entrava. La mia narrazione somigliava a quella di un diario di bordo, i cui scopi si rinnovano a ogni viaggio, interpretabili solo dalla cinica morale dei bucanieri.

Presi presto a navigare in rada con la mia barca a remi «Prosperina» e poi v’issai la bandiera dei sentimenti convenzionali che divenne subito una randa con cui iniziai la navigazione di diporto. Il natante cominciò a incrociare le rotte dei bucanieri, nelle cui vele soffiavano i desideri più disparati. La mia inconsistente dualità confuse in se stessa gli scopi dei nuovi compagni di ventura, trasformando Prosperina in un veliero capace d’imbrigliare ogni soffio del desiderio per navigare su rotte esotiche. Ero diventato il Capitano Lost, salpato alla ricerca di quel cappello che una folata di vento aveva rapito, privandolo di ordine e grado. Fin quando ebbi il sestante di Giada, scrivevo la storia di una progressiva deriva. Quando abbandonai ogni punto di riferimento affettivo, scomparve la terra ferma sul mio orizzonte e con essa il senso di un ritorno. Ero solo insieme alla mia libertà senza bandiere, con una strana nostalgia nel petto che mi continuava a far perdere su ogni rotta e ritrovarmi continuamente in nessun luogo.
 

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Il mio amore era una Chimera sul cui corpo spuntavano continuamente teste di animali diversi.


Il primo approccio che ebbi con l’amore fu di profondo e sentito odio. Quando sopraggiungeva, aveva il potere nefasto di spezzare le amicizie, devastare le famiglie e con sprezzante arroganza, trasformava in merda ogni altro tipo di affetto. Non esisteva la cornucopia di cui si favoleggiava, ma non per questo era meno reale di ogni altra aspirazione umana. L’amore era come Dio che non sta nei grandiosi miracoli bensì negli scopi dei bisogni che ispira. Allo stesso modo l’amore esisteva nella fede e per questo andava celebrato nei suoi riti. Il tempio era la casa dove l’alcova nuziale diventava il tabernacolo contenente il miracolo della vita, nel cui calice si versava il virtuoso sacrificio del desiderio della carne. Innescando così il moto della ruota esistenziale, nei cui cicli si scandisce il futuro prevedibile.

“Un signorino non indossa abiti confezionati” La Zia Pina costruiva ingranaggi sociali che poi assemblava con la perizia di un orologiaio. “Sciocco, queste hanno le stringhe!” Il ticchettio degli eventi subì un brusco acceleramento prima della sua dipartita, come il mio debutto in società che richiedeva un guardaroba adeguato. “Dopo le otto, solo scarpe da soirèe” Avrebbe seguito la faccenda personalmente, se non fosse stata costretta nel calvario della malattia. “Sarò io a occuparmene” Fu così che il principino prese a darmi lezioni di etichetta. “Cresce a vista d’occhio!” Il sarto si lamentava perché crescevo tra una posa e l’altra. “Non m’importa, chiaro?” L’entusiasmo di Matteo stava dando adito a maldicenze. “Spende troppo ... ” L’ammonimento della Zia Pina scattò come una tagliola. “E’ colpa di quella megera!” Matteo ebbe una crisi nervosa quando seppe che il mio ingresso in società era stato posticipato.

“Ti è caduto qualcosa dalla tasca” Matteo aveva un animo delicato e lo doveva proteggere dai propri sensi. “Sei dunque anche tu dedito a certe squallide letture” Questo si traduceva in un’ostentata formalità bigotta che lo mandava sul culo a tutti. “C’è di meglio di simili volgarità” Zora la Vampira non era un fumetto dal formato tascabile come gli altri e mi cadde malauguratamente dalla tasca interna del cappotto durante la prova degli abiti. “Vedresti cose che neanche puoi immaginare” Avvampai dalla vergogna quando m’indicò con deferenza quella merda che mie era caduta sul pavimento e non avrei mai pensato che volesse pisellarsi con me. “Ti va di venirci?” Sfogliare Zora la Vampira insieme gli dette il pretesto che forse aspettava.

“E’ sempre stata chiusa al pubblico per l’alto contenuto erotico” Come suo solito anche quella volta sublimò una banale sega in scopi intellettuali. “Pare che il Duce vi conducesse le amanti per sedurle” Organizzò una visita privata alla storica collezione di bronzetti pompeiani tenuta sotto chiave presso Palazzo Venezia. “Non ti eccita?” Obiettivamente erano delle gran sozzerie, ma io continuavo a preferire i fumetti. “Questa è arte erotica!” No, quelli erano maschi che s’inchiappettavano o raffiguravano vere e proprie orge che comprendevano satiri della cui umanità rimaneva ben poco. “A me pare che tu ne sia eccitato” A beh, per farmelo venire duro bastava molto meno. “Non curarti di quell’inetta” Mi tirai giù le braghe nel magazzino ammuffito, senza badare alla custode che doveva essere avvezza a quel genere di visite guidate.

Matteo era un bel ragazzetto e anche se in collegio gli rifilavano epiteti per le sue fisime poco virili, a me non pareva effeminato. Avrà avuto l’età di Nando ma dubito che prima di me avesse mai osato tanto con qualcuno. Gli tremavano le mani se lo trattenevo in un gesto sconveniente e per poco non svenne quando glielo misi in mano. “No” Mi diceva deglutendo una sensualità che rifiutava. “Non così” Mi parlava di patemi d’animo ispirati a desideri insoddisfatti. “Saremo uniti per l’eternità” Io ritenevo fatuo tutto quel sentimentalismo. “Ti vergogni di noi!” Gli spiegai solo come le sue premure erano diventate motivo di conversazione. “Allora è bene che tu sappia anche il resto” Mi lasciarono senza fiato le maldicenze sull’ebrea convertita e il suo piccolo mostro. “Adesso sai chi di noi è sulla bocca di tutti” Quei pettegolezzi si facevano per il modo come la Zia mi usava al fine di manipolare le faccende che si sbrigavano nelle anticamere del palazzo della principessa.

Matteo si adoperò affinché tutti si accorgessero quanto fossi puttana. “Sé que te gusta” Fui proprio un idiota e non me ne accorsi neanche quando mi gettò tra le braccia di Riccardo. “No seas tímido” Commissionò delle riviste pornografiche col proposito di attirarmi nello stanzino del collegio. “Quieres que me detenga?” Si presentò invece Riccardo che sarà stato pure una checca, ma era bello come il sole del Sud America da dove proveniva. “Joderme, cabron!” Si prendeva da solo quello che voleva e m’insegnò a darglielo. “Arrojarlo en el culo” Mi mandavano fuori di testa quelle sue natiche sode. “Eres un cerdo!” Era la gioia estemporanea che si trae dal piacere del corpo ... qualcosa che non ha bisogno di trovare delle ragioni per esistere. Iniziai ad afferrarla da qualsiasi parte arrivasse e fu un errore commentare quelle scandalose memorie con il club delle madame ce l’ho moscio. Iniziarono a mettere in giro chiacchiere e non so se lo fecero contro di me o per antipatia verso il pisellamento tra maschi.

Nonostante tutto, con Matteo continuammo a volerci bene, anche se lui era convinto che fossi senza anima come Dorian Gray. Poi la Zia Pina calò nella fossa lasciandomi in eredità qualcosa di troppo complicato da gestire. Nella contingenza di quei giorni che detonavano uno dietro l’altro, credo di aver commesso ogni errore possibile per sabotare il marchingegno in cui la Zia mi aveva incastrato e precipitai senza avere un luogo in cui ricadere. Da casa mia stavano scappando tutti, tranne me che invece mi aggrappavo a ogni relitto di quei sentimenti allo sfascio. La vita appassisce senza qualcuno che v’infonda del desiderio e la mia iniziò a puzzare come un cadavere putrefatto. Ero stanco di nutrirmi di sentimenti necrofagi quando vidi Marcello presentarsi sulla porta di casa e lui mi usò per smarcarsi dalla promessa d’amore che aveva fatto a Bea. Un mènage à trois era compatibile con il mio eros spongiforme che assorbì le sagome bizzarre di quei due.

La smodata attività erotica con cui Bea usava consumare la volontà dei suoi aguzzini, impegnò ogni stilla del mio desiderio metamorfico, che divenne uno specchio da cui si riverberarono i suoi sogni. La nostra gioia era dolorosa da sostenere perché non costituiva una soluzione alle problematiche che ci affliggevano. Ero cosciente di fare un uso improprio delle benzodiazepine con cui ci stordivamo, ma erano indispensabili per rimanere con lo sguardo tra i rami fioriti di una primavera irreale. Ci stendevamo per ore sotto gli alberi di Villa Borghese, rapiti dalla vita che ci scorreva sopra, senza però spostarci di un millimetro dai nostri dubbi. Forse Bea mi stava proponendo di morire insieme, seguendola in quel dissennato sogno romantico, ma non fummo mai amanti bensì compagni di gioco durante un’infanzia fuori stagione. Presto la mia vita tracimò in altri rivoli di esistenza e ingollai quella bottiglietta d’acqua al Valium facendo intervenire Zeno, che pure non era estraneo a quanto mi era appena accaduto.

La maturità sessuale acquisita prematuramente mi coinvolgeva nelle dinamiche delle necessità superiori che dominano un adulto. Un genere di bisogni difficili da conciliare con una dinamo erotica in continuo sovraccarico ormonale, che mi obbligava a convivere tutto il giorno con uno speroncino piantato di traverso nei pantaloni. I ragazzini avvezzi al pisellamento si trovavano a gestire un bisogno simile al mio perché titillarsi continuamente il desiderio, induceva una chimica erotica priva di attrazione sessuale, soddisfatta dall’autoerotismo attraverso una sensualità endocrina. Questo monologo si traduceva in un dialogo tra erotismi affini capace di coagulare un insieme nelle confraternite della pippa. Il mio ermafroditismo di giovane bucaniere, privo di limiti oggettivi, interloquiva in questa intesa traducendola in un rapporto di necessità superiori.

Calato di nuovo nel mondo adolescenziale, dovevo colorare un prestampato con le giuste emozioni. Ero ormai consapevole che il pisellamento debordava sui neretti di qualsiasi maschio e ogni sbavatura dell’erotismo ti relegava nell’insieme dei ridicoli. Tuttavia, l’originalità non era un problema fin quando non si palesava in anticonformismo e l’esperienza con le madame ce l’ho moscio, mi aveva insegnato come anche la diversità si conformi in una norma escludente, affilando il vomero del giudizio necessario a tracciare il solco oltre cui espellere le stranezze non omologabili. Tornai dunque a navigare con il sestante del Capitano Lost, ma nel porto della sua Milady era ormeggiato il bucaniere Asdrubale, da cui fu ingloriosamente sconfitto nella battaglia dei Giochi della Gioventù. Fu durante quello scontro epico che ritrovò un vecchio compagno di ventura: Sir Juri Romanov Visarionovic, che nell’occasione compì un’impresa persino più miseranda della sua e andò a sedersi con lui alla locanda scolastica per smaltire l’umiliazione.

Con Juri non c’eravamo mai pisellati e anche se sapevo che in qualche modo lui e Vanni lo avevano fatto, era il tempo in cui si fingeva che non fosse mai accaduto. “Fajiela aperta” Un po’ tutti durante le ore di lezione si scarabocchiava robe. “Dammelo che lo finisco a casa” Per lo più erano cazzi che riflettevano il perenne arrapamento celato nelle mutande. “Ho finito il disegno” Per Juri disegnare era sempre stato un mezzo espressivo. “Lo v’oi vede’?” Juri aveva uno stile fumettistico e inconsapevolmente aveva inventato un alter ego, cui io detti il nome: Jack. Iniziò così a parlarmi con delle vignette ed era molto più facile in questo modo dirsi cose altrimenti complicate da pronunciare. “Te piace?” Iniziammo un timido pisellamento in punta di matita durante le ore di lezione. “Finisco dopo da solo” Mentre aggiungevamo dettagli a quei disegni, tenevamo una mano in tasca per massaggiarci discretamente. “Basta!” Quando poi sentiva impellente l’insorgere di un’eiaculazione, ammucchiava tutto e diceva che avrebbe completato l’opera da solo ...

Il pisellamento non comportava automaticamente diventare amici di pippa e ci si poteva eccitare insieme senza mai tirarselo fuori. A me quel limite non era mai piaciuto e in collegio avevo appurato che bastava superare il piccolo imbarazzo iniziale, non lasciarsi intimidire da qualche sfottò e aspettare. Quelli che avevano ostentato più goliardia erano i primi a tornare sull’argomento. “ ... ” Allungai dunque una mano mentre si stava strizzando il cavallo dei jeans. “... ” Sobbalzò sulla sedia manco avesse preso la scossa elettrica e avvampò dal pudore. “... ” Poi rimase con lo sguardo piantato sulla cattedra, senza proferire parola. “... ” Molte volte in collegio avevo temuto che il rifiuto preludesse a uno sputtanamento, invece imparai che dovevo lasciar decantare l’emozione prima che trovassero il coraggio di consumarla.

“Ciao Mr Wiggly ... ” Mi disse Jack la mattina seguente ... avevo creato anch’io un alter ego per interagire con il suo. “Oggi ti girano le palle?” Il mio stile era più da vignettista e Mr Wiggly era proprio un pene antropomorfo che camminava sulle palle. “Non fare la testa di cazzo!” I doppi sensi che ne venivano, ci facevano scompisciare dalle risate. “Perché sei moscio?” Ricominciammo a parlarci sul foglio da disegno. “Vuoi un grattino?” Il mio personaggio non parlava e si esprimeva come fosse un cagnolino. “Pensavo che i grattini ti piacessero solo dalle belle fiche” Era difficile continuare con le sciarade di Mr Wiggly e per la prima volta parlò in un fumetto dai contorni esplosivi: «Belle o brutti sputo in faccia a tutti». Era chiaro che se era tornato a sedersi al mio banco ... “Tu sei tutto matto!” Sussurrò, quando la testa di cazzo del vero Mr Wiggly gli fece capolino dalla tasca dei jeans. “Che schifo!” Indirettamente gli avevo già spiegato tutto su come farmi i grattini ... “Damme ‘n fazzolettino” Appena gliene fece uno sotto il mento, a Mr Wiggly venne l’acquolina in bocca ...

“Ma non s’i venuto?” Se anche fosse, non mi sarebbe comunque passata la voglia di dargli una sbirciatina. “Aoh, ce vede!”Voleva forse insegnarmi qualcosa sui corridoi dell’invisibilità? Ero seduto in quel banco proprio perché sfuggiva al campo visivo della prof. “Annamo ar bagno” Mi propose di andare in bagno al cambio dell’ora di lezione, ma anche dopo esserci chiusi in un gabinetto, continuava a non tirarselo fuori. “Che c’è?” Juri era come Luca che voleva sempre fare lui? “Voi vedello!” Perché si stupivano tutti di questa cosa? “Però nun me toccà” Pensai che per lui fosse troppo disorientante venire duro con un ragazzo. “E no, dai!” Indossava degli slippini blu da cui venne fuori un ciuffo di peli arruffati come i suoi capelli, in cui intravidi appena un timido funghetto. “Smettila” Smettila un corno! Almeno una paccatina doveva concedermela. “Spetta, spetta e aspetta!” Forse gli scappava perché si voltò rapido verso il water come per pisciare. “Oddio, ma che c’hai?” Avevo i minuti contati e non volevo sprecarli. “Me stai a fa male!” Ma quando mai ... lo avevo solo abbracciato da dietro, passandogli le mani sotto la maglietta. “Spetta, spetta e voi aspetta!” Doveva pisciare di nuovo? “Sto a venì ‘n altra volta, oddio!” Lo dovetti sostenere mentre invocava Dio piagnucolando e dopo quasi non mi sveniva tra le braccia ...

“M’avete rotto le palle!” Quel pomeriggio stesso dovevamo vederci a casa sua per preparare una verifica di matematica. “Dovemo studia’ e lui no” Juri era introverso e accumulava stress che gli provocava esplosioni nevrasteniche. “Vattene ... andatevene tutti!” Lo trovai già inquieto e me ne accorsi perché quando gli succedeva, non ti guardava mai in faccia. “Porco Dio!” Era anche incline alla bestemmia e questa cosa m’infastidiva troppo ... quando iniziò a litigare con Nikita perché s’intrometteva sempre e questo lo denigrò dicendomi che pisciava ancora nel letto, Juri ebbe una delle sue esplosioni di rabbia e allora intervenne pure la madre che per placarlo lo prese a scappellotti, quindi arrivò anche la bestemmia e fui io a prendere la via della porta. “Per la Madonna!” E ma vaffanculo e poi ero io quello che aveva bisogno della psicoterapeuta? “Mimmo aspetta ... eppure ce lo sanno da che famiglia vieni” Cioè? La madre mi rincorse per le scale, ma fu Romoletto a fermarmi prima che uscissi dalla bottega chiedendo il motivo di tutto quel trambusto. “Famme sto favore, torna sopra che sennò a quer capoccione a tortorate me tocca piallo” ...

Sì, ci tornai di sopra. “Me raccomanno Mimme’, fa finta de niente o ricominicia” Si raccomandò la madre prima di bussare alla porta della cameretta. “Che voi?” Si era chiuso dentro. “Ce sta Mimmo e vedi quello che poi fa” Aprì giusto il tempo di farmi entrare, poi sprangò di nuovo la porta incastrando la spalliera della sedia sotto la maniglia. “Siedete” E dove se c’erano solo due sedie e quella rimasta libera stava sotto le sue chiappe? “Prenditela che io me metto sul letto” Continuava a non guardarmi in faccia, ma che aveva? “Io so’ brutto?” Se magari avesse badato un po’ di più al suo aspetto ... “Io so brutto” Ah, non era una domanda, ma un’amara considerazione. “Non è giusto” E lo so, anche a me sarebbe piaciuto avere capelli d’oro e occhi color cielo. “Non so fa niente ... ” Credevo che avesse superato l’umiliazione subita ai giochi della gioventù. “Nun me se fila nessuno” Cos’era che lo aveva di nuovo gettato in quello stato di frustrazione?

“E nun fa er finto tonto!” Sì, ero effettivamente idiota davanti alla normalità ... non ero capace di vederla e quindi non esisteva come termine di confronto e ... “La pianti de dì fregnacce!” E’ proprio vero che non conosci un maschio fino a quando non gli hai calato le mutande. “L’hai visto o no?” Temeva che quella mattina si fosse reso ridicolo. “Vorrei veddette al posto mio” Stava esagerando, in fondo quel suo trambusto emotivo era stato persino arrapante. “Tu me sa che nun te ne sei accorto” Di cosa mi sarei dovuto accorgere? “E nun me lo fa di’” Sì, quella mattina non avevo visto le sue due copiose eiaculazioni. “Me vergogno da morì” E’ possibile che l’autostima di un maschio dipenda esclusivamente dalle prestazioni del suo pisello? “Lo voi capì che so’ mezzo impotente!” Come la buttava giù brutta ... allora cosa dovevano dire le madame ce lo ho moscio? “Beato a te che te va de scherzacce” Mi si spezzava il cuore a sentirlo così amareggiato. “Lo voi vede’?” E c’era da domandarmelo?

“Allora?” Dove stava scritto che dovessi iniziare io? “... ” Se ne restava in piedi ... muto ... con gli occhi neri come due carboncini che mi stavano disegnando in testa tutte le saette del suo spavento ... che dovevo fare? “... ” Tra tutti e due non saremmo stati capaci di sputare un’altra sillaba e allora lo abbracciai ... era stato quel moccioso di Nikita a insegnarmi come rompere con un contatto fisico, quel pack glaciale in cui rimanevo piantato. “... ” Tra le braccia mi si era rimpicciolito ... intendo Juri, perché il resto si era subitaneamente ingrossato di brutto. “... ” Quel gesto non rientrava in alcun catalogo del pisellamento e lo sentii irrigidirsi ... allora provai a farlo sedere sul ciglio del letto, ma lui ci rimbalzò sopra tornando a stringermi e dopo sentii bagnarmi la camicia delle sue calde lacrime ... ma perché? “E che ne so!” Mi rispose scocciato mentre tamponava gli occhi con il dorso della mano.

“Aspe’!” Pensai di smetterla prima che ricominciasse a tirare giù moccoli dal calendario. “E nun te ne ann’a ‘n altra vorta” Ok, se dovevo svuotargli le palle, tanto valeva prendermi quello che volevo ... lo spinsi sul letto, ma subito dopo mi stupì con la sua foga! “... ” Si liberò con un solo gesto di felpa e maglietta della salute per poi pestare via i jeans. “... ” Era già duro e mi guardava atterrito col petto gonfio di paura manco stesse davanti al plotone d’esecuzione. “Oddio!” Deglutiva il nome di Dio ogni volta che riprendeva a respirare. “Spetta, spetta e aspett ... ah!” Ero così infervorato dal suo impaccio che non ebbi più riguardi. “Dio ... così, no ... oddio!” Cercavo di premerlo sotto di me come avevo sempre fatto con i miei compagni di pippa. “... ” A tratti si divincolava per interrompere delle apnee che lo facevano irrigidire come un pezzo di legno ... tanto che alla fine mi tirai su, temendo che si stesse veramente per sentire male. “Mamma mia ... oddio!” Ma fu inutile perché continuò ad ansimare in una corsa che non poteva più fermarsi se non nell’orgasmo ... che arrivò da solo, in uno spasmo che lo fece torcere come uno straccio.

“Che schifo” Ne aveva fatto proprio uno sproposito! “No ... faccio io” E perché? Non mi faceva schifo ... tanto stavo usando la sua maglietta della salute per pulirlo. “Aoh ... attento!” Era ancora duro! “Nun lo tocca’ e dai ... nun ... ” Aveva un cazzetto non tanto grosso ma solido come non so cosa e formava un archetto con la punta che gli si piantava nell’inguine. “ Ah!” Non era possibile toccarglielo senza farlo scattare come una molla e se glielo trattenevo in mano, si torceva diventando paonazzo in volto. “Vaffa ... culo!” Poi arrivava puntuale una sorta di travaso spermatico ... e con quello uno spasmo come manco a Marcello durante le sue crisi epilettiche. “Te prego ... te prego ... ” M’implorò di fermarmi tra i singulti delle lacrime ... al che, anche se a malincuore, interruppi quella deliziosa tortura. “... ” Scesi dal letto e volevo aiutarlo a rialzarsi. “No, no ... no” Lui mi respinse neanche gli dessi la scossa elettrica. “Nun te annà, capito?” Tirò via le lenzuola inzaccherate e mi chiese di aspettare che tornasse dal bagno ...

“Resta ancora un po’ ... te va?” E certo, non volevo lasciarlo flagellarsi per quello spettacolo super eccitantissimo. “Ma davero te piace?” Urca! “Certo che sei strano” Detto da lui ... “Ma te piaciono i maschi?” Gran parte della popolazione terrestre mi lasciava indifferente, anche se poi avrei potuto scopare con tutti. “Allora te piaciono pure i maschi” Cos’è, temeva che m’innamorassi di lui? “Boh ... ” Con Juri si comunicava per monosillabi. “Lo sai che me sento proprio bene?” Disse prima di cominciare a ronfare ... rimanemmo distesi sul letto ... c’era solo l’illuminazione stradale che dalla finestra allungava le ombre della mobilia fin sopra al soffitto. “Aoh, me fate entra?” Mi prese un colpo quando Dimitri iniziò a prendere a calci la porta. “E’ così che studiate?” Juri aprì senza curarsi di essere in mutande però Dimitri non ci trovò nulla di strano ...

Una strana sensualità mi rimase appiccicata addosso per tutta la notte e la mattina seguente ebbi una curiosa tachicardia appena lo rividi. “A Mr Wiggly girano le palle?” Mi chiese per mezzo di Jack. Quell’inopportuno batticuore mi metteva in imbarazzo. L’ora successiva c’era laboratorio, in cui tutti si faceva un po’ quello che ci pare. “Annamo ar bagno” Mi sussurrò, senza aspettare una mia eventuale risposta negativa. “Sbrigate” Si raccomandò prima di andare a chiedere il permesso di uscire ... la sua determinazione ispirata da una certa impellenza, mi fece tornare la tachicardia e allora compresi che non si trattava di un dettaglio da romanzo rosa. Stavo solo assorbendo il suo erotismo al cardiopalmo e quella mattina andammo in bagno per ben tre volte ... e non ci bastava mai. Tornavamo in classe con il volto stravolto, tanto che quel botolo di lardo del suo amico ci sgamò e me lo ritrovai seduto al banco a pretendere lo stesso trattamento ...

Non ho mai ben capito come funzionava la faccenda tra Juri e il suo abietto compagno di pisellamento. Juri si tenne tutto nel gozzo e anche la storia del ricatto, la venni a scoprire per bocca di quel figlio di puttana. La bassa autostima lo rendeva una vittima predestinata e le persone fragili diventano egoiste per necessità. Per colpa sua mi ritrovai a dover combattere con quel disgustoso individuo e fino a quando non riuscii a liberarmene, gli tolsi il saluto, fornendogli un ulteriore motivo per disprezzarsi. Tuttavia, il rancore nei suoi confronti era una spina nel fianco che mi tolsi il più presto possibile. Questa vicenda m’insegnò a guardarmi dai complessi d’inferiorità sia miei, sia degli altri. Dopo Juri avevo scontato anche quelli di Mary che mi aveva ingannato anche lei in combutta col cinghialopode. Tutti e tre c’eravamo lasciati traviare solo perché ci vergognavamo di una voluttà fuori dall’ordinario.

Ci escludeva un piacere del corpo percepito come mezzo attraverso cui si esprimeva la morale dei sentimenti. Lo scopo bio-logico della sessualità diventava il prestampato romantico dai cui neretti debordavano le emozioni attinenti a un piacere fine a se stesso. Questi presupposti rendevano le nostre inutili secrezioni, un problema di ordine sanitario. Il medico di Juri gli aveva prescritto degli antibiotici con la raccomandazione di non incedere nella masturbazione perché avrebbe favorito l’infiammazione delle vescicole seminali. Le sue abbondanti polluzioni erano sostanzialmente delle emissioni di fruttosio, che serve ad alimentare gli spermatozoi durante la loro missione riproduttiva. Juri veniva anche senza toccarsi ed era stato convinto che si trattasse della degenerazione di una malattia che lo avrebbe reso impotente. I suoi saranno stati anche degli inutili spari a salve, ma era solo un presupposto congetturale a ritenere dannosa una libido deviata dall’alveo del romanticismo.

I prontuari medici fissano la quantità giusta di sperma da un minimo di un cucchiaino da zucchero al massimo di un cucchiaio da minestra. Fuori questa tolleranza si ravvede una disfunzionalità a livello riproduttivo ... ma non sessuale. In particolare, l’iperspermia indicata nella misura di una tazzina di caffè, dal punto di vista riproduttivo comporta solo un rischio statistico mentre è guardata con sospetto per i suoi riflessi comportamentali. Esattamente come per secoli è stato considerato inutile l’orgasmo femminile, il quale avrebbe indotto le donne alla ninfomania, quando non a fantomatiche sindromi isteriche, allo stesso modo la libido del maschio è ritenuta pericolosamente deviante. L’erezione funziona un po’ come un pistone idraulico e la sovrapproduzione di liquido nel sistema procurava a Juri erezioni involontarie o comunque frequenti polluzioni. Questo aveva indubbiamente dei riflessi comportamentali, ma da qui a temere delle turbe psichiche è lo stesso atteggiamento che un tempo faceva ritenere la circoncisione del prepuzio, una pratica che induceva all’erotomania.

Un adolescente come me, ma con una sessualità mite e conformata alle proprie funzioni edificanti, non era disturbato da altri stimoli che non fossero quelli di una sana attrazione sessuale. Riuscivano a impegnarsi nello studio e quant’altro, trovando poi ristoro in un erotismo romantico capace d’identificarli in una narrazione comune. Seppure avessero un orientamento sessuale delineato, Juri e Mary erano dei freaky e come me dovevano guardarsi dallo scandalo di come quelle diverse necessità potevano palesarsi in atteggiamenti anticonformisti. Condividere le nostre stranezze non ci metteva al riparo dal giudizio che ci escludeva perché la diversità coagula insiemi del genere che non appartengono a se stessi. Su Prosperina imbarcavo freaky di ogni sorta, ma quando una particolarità trovava il modo di uniformarsi a un prestampato sentimentale, mi abbandonavano e lo stesso accadde con loro due, le cui necessità iniziarono a dialogare tra loro conformandoli in un rapporto tra fidanzatini.



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“Devi ritrovare la fiducia negli altri” Dopo lo shock per la morte della Zia Pina, fui rispedito dalla psicoterapeuta che mi aveva seguito da bambino. “Sei deluso dai tuoi genitori” Loro pensavano solo a copulare come maiali. “L’amore a volte finisce” Ah, già! L’amnistia dell’amore. “Accetta che le cose cambino” Troppo comodo. “Il rigore con cui li giudichi sta soffocando i tuoi sentimenti” No, riuscivo perfettamente a odiarli. “Ora provi del rancore perché ti hanno nascosto la verità su tuo padre” La Zia Pina mi aveva insegnato che non sempre sapere è una buona cosa. “Non puoi far finta di nulla” La magia del Natale sta nella concretezza dei regali e se solo la Zia non fosse morta, l’albero di Natale sarebbe rimasto acceso ... invece l’incantesimo della strega stava deflagrando come una bolla di cristallo in milioni di frammenti acuminati. “Vorresti conoscere il tuo vero padre?” No. “Lo hai detto tu che ti senti come se ti stessero strappando la faccia” La mia identità stava scomparendo anche per altre ragioni. “I genitori hanno dei doveri nei confronti dei figli” Era così umiliante costringerli ad amarmi ...

“Stai continuando a nasconderti in uno sgabuzzino” Col tempo le cose andarono sempre peggio e la psicoterapeuta aveva ragione, non aveva più senso restare barricato in cameretta a presidiare una casa vuota. “Non è normale ... ” Ogni difformità è uno sfregio sul canone della bellezza. “Vogliamo tutti essere amati” Non tutti desiderano essere fottuti. “Cos’è che ti tieni dentro?” Veramente era lei che avrebbe dovuto spiegarmelo. “E con Giada come va?” Le avevo raccontato di Asdrubale solo per fare conversazione. “Stai interiorizzando il rifiuto” Forse aveva ragione lei e dovevo smetterla di compiacere tutti. “Solo se accetterai le tue debolezze, riuscirai a perdonare quelle degli altri” Dovevo imparare a sbagliare per compatire gli errori altrui ed essere così ricambiato nel perdono. “Ti tieni tutto dentro perché temi di non essere accettato” Quanta sagacia! “Quello che stai provando deve trovare delle parole per uscire fuori” Se le parole vanno a caccia di emozioni, i pensieri diventano dei retini per farfalle.

“Credi che toglierti la vita sarebbe di sollievo per qualcuno?” Poi sopraggiunse anche la bottiglietta d’acqua al Valium, ma si sbagliava a credere che avessi abbastanza palle da uccidermi. “Se riuscissi almeno ad ammetterlo” A certo, avrebbe fatto comodo a tutti pensare che fossi matto. “Facendoti del male non costringerai i tuoi genitori a restare insieme” Era lei che trovava questo nesso logico a delle coincidenze. “Da bambino ingurgitavi antibiotici quando assistevi a una loro litigata, ti sei buttato da un trampolino perché tua madre si baciava con il padre del tuo miglior amico, hai inscenato il suicidio nel lago per punire Zeno e ora la boccetta di valium, questi sono dei fatti” Erano fottute coincidenze. “Se non ne prenderai coscienza, queste coincidenze accadranno ancora” La mia colpa da bambino era andare a vomitare di nascosto per non farmi intossicare dai sensi di colpa di mia madre. La storia dei baci era una delle tante bugie che scrivevo sul diario che la psicoterapeuta mi aveva dato mentre la storia del lago era stata tutta un malinteso. Forse col valium, sì ... per un attimo pensai di farla finita, ma fu solo un momento di distrazione ...

“Ce ne andiamo al mare, tu ed io, ok?” Mossi dal senso di colpa, i miei tentarono una riconciliazione. “Andiamo a correre in spiaggia ... ” Primo ne aveva subito approfittato per scodellare in casa la nonna rimasta vedova e se non si sbrigava a riportarla in paese, mamma l’avrebbe tirata giù dalla finestra. “ ... a pasquetta prendiamo il traghetto per Ponza ... ” Poi Angela scappò in paese per stare col padre e mamma avrebbe accettato qualsiasi compromesso per riportarla a casa. “Farebbe comodo anche a me staccare la spina” Le vacanze pasquali servirono a questo scopo, ma io non avevo alcuna voglia di vederli ancora azzannarsi, allora mamma accettò la proposta di Zeno di portarmi nella casa al mare. “Si può sapere che ti ho fatto?” L’estate scorsa, mentre insegnavo l’incularella a Pino, lui mi raccontò di come il padre usava il suo coso e quella storia mi piombò nella consapevolezza dell’insulto con cui lo offendeva: «femminiello». Io non volevo esserlo e forse Zeno lo pensava anche di me perché gli chiedevo di abbracciarmi ...

“Che ti cova in gozzo?” Siccome Vanni si segava tipo regolare con Marcello, pensai che quello si potesse fare senza diventare froci. Mi trovai anch’io un compagno di pippa e l’amicizia di Luca mi fece sentire meno la mancanza di Zeno. “Li ho allontanati per il tuo bene” Tuttavia, ci rosicavo parecchio a vederlo in giro per il Circolo, senza dispiacersi di non allenarmi più. “Marcello e Bea volevano farti del male” Mi alleai con Bea e poi anche con Vanni per rendergli la vita difficile. Loro erano gelosi di Zeno perché sostenevano che avesse un’ascendente malevolo su Marcello. Bea quando lo chiamava: «quel frocione», lo diceva con un tale odio e disprezzo che mi si gelava il sangue a pensare che avrebbe detto la stessa cosa di me. “Marcello non ti vuole bene” Sono certo che fu Luca ad andare da Zeno per spifferargli che Marcello mi faceva fumare eccetera ... “Lui vuole allontanarci” Dopo non mi venne più a prendere agli allenamenti e ci vedevamo in bisca. “Dai, metti la roba nello zaino e andiamocene al mare” A seguito dell’incidente col Valium, Zeno prese di nuovo a occuparsi di me e scoprii che non mi era passata per niente la voglia di abbracciarlo.

“Non sei un po’ troppo grande per sta roba?” In macchina mi misi a disegnare una battaglia tra supereroi e di tanto in tanto mi scappava di bocca un effetto speciale sonoro. “Fa strano vederti così grande e grosso ... ” Per sua informazione, la prof di disegno del doposcuola al collegio diceva che avevo delle grandi potenzialità. “Ti va di farci una chiacchierata?” No. “Credevo che volessi essere trattato da adulto” Accartocciai quel disegno e lo gettai dal finestrino. “I ragazzini fanno il broncio” Non volevo difendermi dalle conclusioni della psicoterapeuta. “Invece lei ha una grande considerazione di te ... ” Allora perché m’incasinava la vita facendomi trattare da malato mentale? “Ora non lo farà più perché le ho detto che ti seguirò io” Si era fatto male i conti perché i miei alla strizzacervelli la pagavano con la mutua. “Lo farò gratis perché ti voglio bene” Poteva anche risparmiarsi quella messa in scena. “Devi fidarti” Avrei voluto tanto poterlo fare! “Chi ti conosce meglio di me?” Nessuno. “Io ti capisco, stiamo tra uomini, giusto?” Sì, era figo quel «tra uomini». “Noi abbiamo bisogno dei nostri spazi” Era figo che m’insegnasse a fare il maschio.

“Tirati a lucido che ti porto al ristorante” Porca puttana, quei posti nauseabondi mi facevano lo stesso effetto di una latrina pubblica. “Mangiare non è come cagare, ok?” Che il cibo entrasse o uscisse da un orifizio, non lo faceva puzzare di meno. “Ti devo fare ‘na seduta psicanalitica per convincerti?” Vaffanculo. “Ordina quello che ti pare, io torno subito” Era proprio un bel dispetto lasciarmi da solo con un cazzo di menù in mano. “Ah, ci trattiamo bene!” Non sapevo neanche cosa avevo nel piatto. “Che te ne pare della bella gnocca alla cassa?” La signora Lina! “Le donne non fanno le difficili con gli sconosciuti” Ma io la conoscevo la Signora Lina e avrà avuto l’età di mia ... ah, già, Zeno si era scopato pure mamma. “Ragazzino, non te lo puoi permettere di guardarmi così” Sporco corruttore di madri. “E ti pare bello che le donne chiudano bottega dopo aver partorito delle teste di cazzo come te?” Puttane. “Caterina è mia moglie” Appunto ed era bella e simpatica, lo dicevano tutti all’oratorio. “Lei è la madre di mia figlia” Cos’è, lo attizzavano solo le madri dei figli altrui? “Quella gonna attillata, il trucco pesante ... mi stanno dicendo scopami” Che avesse ragione la psicoterapeuta e non accettavo che dei genitori potessero avere delle pulsioni sessuali?

“Torna a casa e fatti qualche compito delle vacanze che domani passeremo tutto il giorno in spiaggia, ok?” Zeno era pure peggio di Primo e se per diventare un uomo avrei dovuto somigliare a loro, preferivo essere una madama ce l’ho moscio. “La birra grande la puoi prendere dal frigorifero” Le avevo lasciate nel piatto quella specie di aracnidi di mare tutte zampe, ma avevo fame e allora comprai pizza, patatine e birra sulla via del ritorno. “Una rielezione di Margaret Thatcher porterà a uno scontro sindacale con la Trade Unions” Sbocconcellai di gusto la mia cena privata in compagnia di un dibattito politico alla televisione, confortato dal vecchio divano su cui avevo trascorso l’infanzia ... eravamo stati entrambi impietosamente esiliati nella solitudine di quel luogo. “Sto gran figlio de buona madre!” Mi addormentai con la bottiglia di birra in mano e una cicca di sigaretta tra le dita dell’altra. “Sccc ... non lo svegliare che sembra un angioletto” Non li avevo sentiti rientrare ma poi mi ero accorto subito di loro ... a quel punto era meglio fingere di dormire per evitare una strigliata.

“Oh, tesoro ... mi hai spaventata!” La Signora Lina emetteva uno strano pigolio quando scopava. “Credevo che dormissi ancora” Fecero prestissimo ed ebbi giusto il tempo di andare ai secchioni della spazzatura per eliminare le prove del mio reato. “Sta bene mamma?” Al rientro trovai già la Signora Lina che trafficava in bagno ed ebbe un soprassalto quando m’incrociò sulla via della porta di casa. “Zeno dice che sai tenere i segreti” Eccome no, io stesso ero un’ombra segreta nella vita rispettabile di tutti gli altri. “Passa al Bar del ristorante che c’hai birra e sigarette pagate” Mi disse facendomi l’occhiolino attraverso lo specchio dell’ingresso mentre si rassettava i capelli. “Ma lo sai che sei diventato proprio un bel ragazzo!” Mi salutò con un complimento, poi spianò in basso le pieghe della gonna stretta come per nascondere qualcosa e prese la rincorsa per raggiungere il cancelletto del giardino. La seguii con lo sguardo mentre dissimulava la fretta saltellando sui tacchi, allontanandosi tra le ombre create dall’illuminazione stradale.

“Mi sa che è rotta” Lasciai Zeno ronfare tra un paio di lenzuola gettate malamente sul letto e me ne andai in cameretta ... tirai giù il materasso che si lasciava in piedi per non farlo ammuffire durante l’inverno e sventolai alla finestra le lenzuola che puzzavano di stantio. Tra le pieghe con cui ricomponevo il letto, ci trovavo i ricordi delle stagioni scorse dal sapore di un tempo ormai perduto. Non riuscii a coricarmi tra quelle spinose memorie e allora aprii i quaderni di scuola. “Ho messo le lenzuola in lavatrice” Verso l’una del mattino, lo sentii pisciare scrosciando nell’acqua della tazza e poi scaricare lo sciacquone manco stesse prendendo a pugni il pulsante della vaschetta. Ciabattò avanti e indietro per il corridoio e infine si udirono chiaramente gli scatti della rotella dei cicli di lavaggio della lavatrice. “Mi sa che è rotta” No, prima di chiudere casa in autunno, staccavamo le spine di tutti gli elettrodomestici.

Tornato in camera, lo trovai a dormire nel mio letto. Spensi la luce della scrivania e mi coricai accanto a lui e allora disse: «Vieni qua», stringendomi ... finalmente mi aveva abbracciato. Il letto della casa al mare era di una piazza e mezza e credo di non averci mai dormito da solo. Tuttavia, anche questo faceva parte del passato perché ormai con i piedi toccavo la sponda e non riuscivo a trovare una posizione comoda accanto al corpo di Zeno. Esausto, alle sei del mattino andai al bar della pasticceria sul lungo mare per prendere dei cornetti caldi e un cappuccino. “Sei peggio de ‘na cambiale, eh!” Volevo solo farmi perdonare e non gli avevo portato la colazione a letto per costringerlo a mantenere la promessa di andare a correre. “Hai ancora paura degli incubi?” Non era per quello se non riuscivo a dormire. “Levati quel broncio e infilati i pantaloncini” Dopo aver mangiato di gusto, mi sorrise tirandosi con uno sforzo giù dal letto “Avanti, forza!”, non era arrabbiato con me per la birra e le sigarette?

Purtroppo a Nettuno non c’erano spiagge adatte per correre. “Andiamo a sederci?” Ci facemmo due o tre volte il lungo mare davanti al porto turistico, ma poi il marciapiede iniziò a popolarsi e fare lo slalom tra la gente divenne fastidioso. “Ce la facciamo questa chiacchierata?” Allora gli proposi sdraio e granita al Miami Beach dove andavo sempre. “Io mi padre neanche me lo ricordo” Parlare con un maschio era diverso dal farlo con una femmina. “Ha stirato le zampe che c’avevo sei anni” I maschi si attengono ai fatti e non divagano mai sui sentimenti. “Mamma aveva il mutuo di casa da paga’ e mi sorella su una sedia a rotelle” Il loro ragionamento tende a ridurre tutto alla logica di causa ed effetto. “Così m’ha messo dai Salesiani” Al contrario delle femmine che deducono i fatti da una complessità imprescindibile, nella loro concretezza c’è l’intento di ottenere risposte pratiche. “Sono entrato in seminario solo per porta’ un pezzo de carta a casa” Sono poco propensi ad ascoltarti, ma ti offrono sempre volentieri la loro soluzione.

“E’ servito a qualcosa che ti ubriacassi?” La sera prima, non avevo comprato la birra per fargli un dispetto. “Anch’io ero come te, ma esse arrabbiato te complica solo la vita” Quello che mi stava proponendo non era la solita cura che mi obbligava a rientrare in dei parametri di normalità. “Credevo che far del bene agli altri mi avrebbe rimesso in pace col mondo” Lui si era costruito una nuova realtà cercando il consenso delle persone. “Ora però ho capito che è proprio Dio ad avercela con me” Improvvisamente il tono della voce divenne amaro e non riuscivo più a sostenere il suo sguardo inferocito. “Senza soldi non se canta messa” Sembrava un guerriero trafitto da una volontà avversa. “Tutti usano tutti e allora niente più scrupoli pe’ nessuno” Avrei voluto trovare delle parole per confortarlo. “Sei la cosa più bella che m’è capitata e io per te ci sarò sempre” Invece le pronunciò lui tutte quelle che volevo sentirmi dire.

“Non dobbiamo permettere a sti quattro stronzi di rovinarci la vita” Zeno promise di non abbandonarmi. “Noi ci si capisce al volo, giusto?” Sì, lui era sempre stato capace di spiegarmi com’ero fatto. “Da oggi niente più stronzate” No, ‘fanculo mamma e papà ... non mi sarei fatto rovinare la vita da quegli stupidi coglioni. “Ci diremo tutto e ci perdoneremo a vicenda” Sì, avevo tanto bisogno di essere accettato con tutti i miei peccati. “Nessuno di questi pecoroni ha il diritto di giudicarci” Da quel momento lui sarebbe diventato il faro da guardare nei momenti di tempesta. “Siamo una squadra?” Sì, il nostro scopo era vincere insieme. “Tu ed io da soli, neanche il padreterno ci dividerà” La forza di quelle parole riempiva la voragine che mi stava inghiottendo nell’oscurità dell’incertezza.

“Per oggi basta” Suggellammo il nostro patto con una serie di corse a scatti che mi spezzarono il fiato e spazzarono via i pensieri molesti. “Andiamo o il vento ci gelerà il sudore addosso” Il cuore mi rimbalzava nelle orecchie, ma non mi sarei fermato senza il suo permesso. “Facciamoci una bella doccia” I maschi entrano in sintonia attraverso il movimento quindi non c’era bisogno di trovare delle parole a quelle sensazioni. “Non conoscevo questo tuo talento casalingo” Dopo la doccia ero andato a stendere la lavatrice in terrazzo. “E’ bello qua su ... è il tuo posto segreto?” No, d’estate ci faceva un caldo mortale. “Che vuoi mangiare per pranzo?” Non avevo fame. “Ti senti male?” A calorie stavamo apposto con il tramezzino mangiato prima di rientrare. “Avevamo già affrontato questo discorso, vero?” Sì, bisogna mangiare anche per dare piacere al corpo. “Ci sarà qualcosa che ti piace mangiare” Gli snack contavano? “Quelle sono schifezze” Beh, a me erano le carcasse di animali morti a fare schifo. “Neanche un piatto di pasta?” Ok, ma io l’avrei presa senza frattaglie.

“Che ne dici di andarci a fare un pisolino in quel letto con le lenzuola fresche di bucato?” Zeno mangiò uno sproposito. “Sta notte ti sei rigirato nel letto tutto il tempo, dovrai pur dormire!” Avrei avuto sonno se come lui mi fossi appena procurato uno shock glicemico. “Sarai almeno stanco” Sì, ero a pezzi e non mi sentivo più le gambe. “Non mangi, non dormi, non ... ” Ok, avrei fatto trend autogeno mentre lui ronfava ... basta che la smetteva di farmi sentire un alieno. “Meno male che non c’avevi sonno!” Invece mi addormentai come un sasso e se non mi veniva a svegliare, avrei fatto tutta una tirata fino al mattino. “E’ ora di cena” Oh, mio Dio, basta mangiare! “Ti ho preso supllì di riso, mozzarelle panate e patatine fritte” Che infingardo, mi voleva sedurre con i grassi idrogenati ... “Vuoi un sorso della mia birra?” C’era da domandarlo? “Che pace!” Dopo andammo anche a prenderci un gelato al molo e penso di non aver mai parlato tanto in vita mia.

“Ti senti meglio adesso?” Sì ... al ritorno c’eravamo seduti sul dondolo del giardino a guardare la strada deserta. “Sapessi quello che succedeva in seminario!” Gli parlai anche dei dubbi sulla mia sessualità e quanto mi era accaduto con le madame ce l’ho moscio. “Fanno solo finta de non sape’” Zeno era la mia fonte alternativa di conoscenza. Mi parlò dell’era classica e di quanto l’omoerotismo avesse permeato anche le culture orientali. “Pure al Circolo ... ” Il guru della Garbatella sapeva un sacco di cose e le raccontava con quella sua voce bassa e suadente, da farmele risuonare in petto prima che nella testa. “Ora che ci sono io, non ti devi più preuccupa’ di niente” La sua sicurezza finì per insospettirmi. Perché mi stava dicendo tutte quelle cose? “Dai, annamo che sennò ce facciamo mattina qua fuori” Rientrai con un venefico dubbio che iniziò a strisciare tra le parole entusiaste di quella santa alleanza. “Che ti ronza in testa?” Rifiutai l’invito di dormire insieme nel lettone di mamma e papà. “Ancora non ti fidi di me?” Primo diceva di lui che era un opportunista senza scrupoli. “Fa un po’ come ti pare” E no ... avevo di nuovo rovinato tutto!

“Non riesci a dormire?” Un po’ per il rimorso che mi mordeva la coscienza e un po’ per il mega pisolino del pomeriggio ... “Che stai combinando?” Ok, ero in bagno per vomitare, ma perché mi sarei dovuto tenere in corpo i rutti acidi di quel frittume? “Si era detto niente più segreti” Infatti glielo stavo dicendo. “Da quanto tempo va avanti questa storia?” Non mi succedeva, se mangiavo a modo mio. “Non ti sto controllando” Ah, no e allora perché si era alzato per seguirmi in bagno? “Sei proprio un capoccione” Lo abbracciai perché era troppo complicato trovare delle parole a quanto stavo provando in quel momento. “Dai, asciugati le lacrime e andiamo a letto” Mi ero commosso perché avevo in pancia tutta l’emotività degli abbracci di Juri. “Ora chi sarebbe questo Juri?” Gli parlai anche di Mary. “Ti dai da fare!” La logica del bucaniere sapeva vedere solo dell’interesse nell’arrembaggio sessuale. “Sta zitto che me le ricordo quante te ne inventavi per rimane’ da soli” Beh, era stato lui a insegnarmi il gioco dei sette chakra ...

“Non importa con quanti scopi, ma di chi t’innamori” Tecnicamente come si distingueva l’amore? “Ce l’avevi la fidanzatina, no?” Perché non mi veniva duro solo con lei? “E’ il diavolo che ci mette alla prova” Sarebbe stato tutto più semplice se Dio ci avesse fatto come dei pinguini imperatore. “Il Signore ci ha dato il libero arbitrio” Lui commetteva spesso peccato d’adulterio? “Caterina è troppo santa per me” Non lo scopava abbastanza? “Il talamo nuziale non è mica un’alcova da garconniere” Dunque l’amore e il sesso non erano la stessa cosa? “La passione è ingannevole ... è un fuoco di paglia” Allora non era saggio usarla come misura dell’amore. “Quando succederà, capirai da solo perché quella persona ti è indispensabile” Lui perché aveva scelto Caterina? “E’ la persona con cui voglio crescere dei figli” Non mi sembrava convinto. “Fai troppe domande, lo sai?” C’è altro modo per trovare delle risposte? “Il Diavolo le usò per attentare alla fede di Gesù nel deserto” Ecco, ora anche lui mi aveva dato del demonio.

“Dormi?” Macché, credevo solo che ne avesse le scatole piene dei miei dubbi. “Puoi farmi tutte le domande che vuoi” Anche indiscrete? “Spara” Con la Signora Lina aveva fatto prestissimo! “Che?” Non avevo guardato l’orologio, ma era stata una roba di pochi minuti. “Ero bello carico” Cioè? “Può capitare quando è da tanto che non lo fai” Le ghiandole di Cowper confondevano parecchio la mia eiaculazione. “E’ un po’ come quando ti capita di venire mentre dormi” Detestavo le polluzioni e mi chiedevo proprio come evitarle. “Le pugnette non te le fai?” Questo non mi evitava di bagnarmi le mutande. “Le polluzioni notturne sono normali alla tua età” Mi succedeva sempre, anche di giorno. “Cioè ... sempre?” Non c’era neanche bisogno che mi venisse duro ... bastava che mi passasse per la testa qualche fantasia e splash ... “Da quando ti succede?” La prima volta tipo a dieci anni. “Ti facevi le pugnette a dieci anni!” Mi pisellavo anche da prima, ma succedeva con o senza mani, non come vedevo fare agli altri. “Come succederebbe agli altri?” Gli diventava duro, ansimavano e poi stramazzavano. “A te, invece?” Succedeva di rado e mi ci dovevo mettere di buona lena. “Non ti diventa duro?” Andava su e giù continuamente senza farmi stramazzare. “Ti va di farmi vedere?” A beh, ce l’avevo duro da quanto ero entrato nel suo letto ...

“Non ci riesci?” E certo, se continuava a mettermi fretta ... “Devi andare su e giù con la mano” Uffa! Sarò stato padrone di segarmi come mi pareva? “Lo vedi che così si sta ammosciando” Aoh, ma potevo pure essere un attimo imbarazzato, o no? “Fa come ti ho detto” Bada che non mi stava allenando ... “E’ così che ti succede?” Sì, alla fine si ammosciava schiumando in una pozzanghera. “Devo fare un discorsetto a tu madre” Ecco, altri guai ... cercare di negare non dissuase Zeno dalla certezza che prendevo ancora il Tavor perché dava proprio di quei problemi. “Senti bruciore perché non riesci a venire” La mattina dopo, avrei pisciato peperoncino. “Ti fa male il testicolo sinistro?” Qualche volta ... era fastidiosissimo. “Si gonfia?” Boh, non ci avevo fatto caso. “Lo vuoi imparare un trucco?” Cioè? “Passami i lacci delle scarpe da ginnastica” Ne fece un nodo scorsoio e poi, dopo avermi premuto l’inguine per far scendere meglio i testicoli, ci cinse tutto l’apparato genitale che strozzò vigorosamente. “Fa male?” No, tutt’altro! Mr Wiggly pareva apprezzare parecchio il trattamento terapeutico. “Guarda ... guarda” Mi si era ingrossato e appena lui lo scappucciò, mi sentii salire una contrazione che dal fondo spinse su un consistente pisciatello di liquido resinoso.

“Questo non è sperma” Ne avevo avuto il dubbio da quando vidi quello di Vanni. “Si chiama liquido pre-eiaculare” Zeno mi spiegò che era per via della mia passione per il pisellamento, se ne producevo in quantità industriali. “Proviamo a stimolare la ghiandola prostatica?” Attraverso la sola sollecitazione del glande, provavo quel brivido sensuale che stimolava le ghiandole di Cowper. “Devi far affluire il sangue nei tronchi cavi” La sua stretta energica rimise subito in piedi Mr Wiggly. “Arriva fino in basso per tendere il frenulo e poi stendi il fusto per sollecitare la prostata, lo senti?” Altro che ... “Mettiti prono e premi forte nella mia mano” Il movimento pelvico contrae i lombi che concentrano la loro pressione sulla ghiandola prostatica. “Ti piace?” Conoscevo quelle sensazioni, ma la consapevolezza mi permetteva di accentuarne gli effetti. “Adesso rilassati” Mi penetrò con il dito e in quel modo dovevo abdicare il controllo dei sensi. “Mi sa che dobbiamo caricare un’altra lavatrice” Mi feci una sborrata come mai avevo avuto prima, che mi stramazzò in degli spasmi orgasmici liberatori. “Come ti senti?” In paradiso ...

“Com’è andata?” Ottimamente, ero stato in bagno e avevo pisciato dritto come manco il puttino di una fontana. “Vieni qua” Ma anche no, l’orgasmo mi aveva sparato in circolo tanta di quella serotonina che ora volevo solo dormire. “Per questo non ti stancavi mai di tirarti le seghe” Probabilmente sì, non raggiungendo l’acme eiaculatoria, la mia tensione erotica continuava a crescere. “E adesso?” Ora mi dava fastidio anche parlarne e avrei preferito che non mi stesse così addosso. “Ok ... allora spengo la luce?” Sì, grazie. “... ” Almeno per me, fu positivo trovare un maschio adulto che mi spiegasse con la dovuta competenza la naturalezza di certi gesti. Zeno non era come il padre di Pino che lo usava per il proprio piacere. Lui era il mio mentore come in un rapporto di paiderastia greca di erastès ed eròmenos. Mi riservò lo stesso tipo di omoerotismo rituale, senza farlo tracimare in un rapporto che offendesse la mia virilità. Conoscevo il piacere attraverso il suo, non spingendoci mai oltre del sesso intercrurale. Zeno ebbe cura di cogliere solo quanto ero pronto a donargli, anzi, mi sentivo colpevole e soffrivo quando mi allontanava.

“Buongiorno” Risvegliarsi con un fulgido fervore nelle mutande è il miglior viatico per il nuovo giorno. “S’è svegliato pure Johnny” Anche Zeno usava un appellativo fraterno per la propria erezione. “Certo che è normale!” Gli avevo domandato se fosse salutare svegliarsi a pisello dritto. “Stanotte mi hai lasciato con l’asso di bastoni in mano” E’ difficile da spiegare, ma Zeno mi aveva sempre messo le mani addosso ... nel senso che fin da bambino mi aveva fatto dei massaggi terapeutici e anche gli abbracci e la storia dei chakra, mi avevano sempre coinvolto emotivamente con il suo erotismo, tuttavia non mi aveva mai permesso di fargli cose e tantomeno mi aveva mai parlato in modo sessualmente esplicito. “Marcello m’ha raccontato tutto ...” Più di quanto era appena accaduto quella notte, fu disorientante il modo come iniziò a parlarmi al risveglio. “Adesso non vorrai farmi crede d’esse pure timido!” Era disorientante sentirlo parlare in quel modo. “Sicuro che non ti va ?” Faceva il cascamorto come gli avevo visto fare con la Signora Lina!

“Devi fare solo quello che vuoi” Mentre mi parlava poggiato su un braccio, mi titillava distrattamente il capezzolo sinistro. “Facciamo insieme?” Tirò via il copriletto, mostrandomi una gagliarda erezione messa di traverso negli slip. “Allora?” Quante decisioni tutte in una volta! Lui non mi aveva mai permesso di guardarglielo e meno che mai toccarlo ... mi sentivo il cuore in gola ... insomma, per me le sue mutande avevano sempre celato un totem erotico. “Se non vuoi ... ” Come no! La mano mi tremava mentre la tendevo, allora lui l’accompagnò. “Avviciniamoci ... ” Con Marcello non avevo mai provato tutto quel tumulto d’animo. “Tiramelo fuori” Forse il mio cuore non poteva reggere a tanto. “Ti piace?” Non riuscivo a guardarlo, se non la piantava di far trillare i miei campanellini. “Abbracciami” Parlava con dei sussurri che la sua voce bassa mi faceva vibrare nel petto. “Sccc ... stringi le gambe” Lo infilò nell’incavo tra le cosce e sentii il suo inguine caldo premermi sulle natiche. “Ti piace?” Non tanto ... cioè, sì ... ma non tanto. “Avanti ... che vuoi fare?” Io lo volevo abbracciare!

“Ti piace guardarmi?” E sarò stato pure matto, ma di spalle non riuscivo a godermelo. “Non sono più quello di una volta” Beh, ora aveva una crapa pelata, ma anche una bella barba e sì, non era smilzo come un tempo. “Guarda che panza!” Ma quale pancia! Era solo diventato più doppio e largo e gli si era ingigantito tutto. “Allora mi trovi bello?” Nella misura in cui lo può essere un maschio. “Facciamo il gioco dei sette chakra?” No, volevo scoparlo e iniziai a premerlo sotto di me. Le sue mani mi trattenevano in una morsa infervorata dalla passione e rotolavamo tra le lenzuola. Facevo fatica a respirare quando mi vinceva costringendomi sotto di sé. Era una specie di lotta per conquistare il dominio dei sensi dell’altro e dopo un po’ non m’importava nulla di trarre piacere, quanto infliggerne a lui. Solo quando si arrese, abbandonandosi ai propri sensi, potei scatenare la furia dei miei colpi e ancora e ancora. Gli tenevo la testa stretta nell’avambraccio e mordevo il collo mentre il puledro galoppava sulla sua prateria ... fino a quando i nostri sospiri presero a correre all’unisono ... una sintonia emozionale ci coinvolse in un’estasi chimica ... lui trattenne un grugnito prima di esplodere ed io stramazzai nella morsa omicida del suo abbraccio ...

Mi tirò via da sé con un gesto violento ... avevo il cuore che mi collassava nelle orecchie ed espellevo sudore da ogni poro della pelle. “Cazzo, m’hai fracicato!” Il respiro mi si strozzava in gola e tossivo, mentre lui rideva a guardarmi torcere tra le lenzuola. “Sei un animale!” Sì, me lo dicevano tutti. “Vie’ qua, ‘ndo vai?” Dovevo respirare! Ora capivo cosa provava Juri quando mi respingeva. “Se qualcuno ti tocca, l’ammazzo ... capito?” Mi costrinse sotto di lui e anche se mi soffocava, ci stavo bene e mi sentivo al sicuro. “Lo vuoi ancora quel posto in squadra da riservista?”... in quel momento, l’agonismo sembrava attentare alla mia riconquistata pace con il mondo. “Ti porto con me” Aveva accettato la proposta dell’avvocato Lollo di allenare la squadra. “Intanto potresti ave’ il barchino per la tua medaglia” All’epoca non capivo quello che stava succedendo, ma col senno di poi, era chiaro che l’avvocato Lollo stava manovrando Zeno per bypassare Primo, che invece voleva che entrassi nell’equipaggio dell’otto. “Ci parlo io con tuo padre” Un riservista non era come un titolare, però mi sarei allenato con la squadra e tutti ammiravano i ragazzi della pallanuoto ...

Non riuscivo a smettere di sudare e andai ad aprire la finestra ... che ci faceva sua moglie ferma davanti al cancelletto di casa? “Porca puttana, mi hai fatto un succhiotto sul collo!” E chi se lo ricordava cosa cazzo gli avevo fatto. “Dio bono, sbrigati!” In trenta secondi Zeno tirò via le lenzuola sporche e mi gettò in bagno insieme a loro, poi ebbe una crisi di panico per i segni che gli avevo lasciato addosso, ma a quel punto doveva per forza andare ad aprire perché il citofono era rotto e Caterina aveva cominciato a chiamarci. “Guarda com’è contento papà della sorpresa che gli hai fatto!” Margherita non aveva ancora l’età della ragione, ma avvertì lo stesso il disagio di suo padre e iniziò a piangere. “C’è anche Mommetto, hai visto!” La figlia di Zeno era orribile con quel labbro leporino che le apriva uno spacco profondo sulla bocca, ma sarà stato che tra freaky ci si riconosceva perché Margherita era pazza di me. Appena mi vedeva, apriva le braccia per farsi prendere a piroettare insieme e anche quella volta placò il suo pianto dirotto.

“Oggi è la Santa Pasqua e le famiglie la trascorrono insieme” L’improvvisata della catechista aveva il suo perché e poi c’era anche la tradizione della scampagnata fuori porta che ci stava con la gita al mare. “Sono stanca di fingere di non vedere ... è tua figlia e non riesci a guardarla negli occhi ... non riesci più a guardare neanche me ... non è colpa di nessuno ... è Gesù Cristo che ci chiede di alleviare il peso della sua croce” Quella notte litigarono nel letto di mamma e papà, non potevo starli a sentire e presi Margherita perché non volevo che soffrisse. Non faceva freddo ma la coprii bene lo stesso, neanche si era svegliata. Andai solo a sedermi in giardino, ma loro si spaventarono in maniera esagerata. “Sono tornate a Roma” La mattina dopo non c’erano più. “Non è colpa tua” Caterina pensava che potessi far del male a sua figlia? “Ti dispiace se ti riporto a casa?” Della gita all’isola di Ponza non se ne fece nulla, ma lo capivo ... la cosa che mi dispiaceva era dover raggiungere i miei in campagna.

“Abbiamo stretto un patto” Lui fu onesto e mi raccontò tutte le balle rifilate alla moglie, anche perché avrei dovuto confermarle. “Mi perdoni?” Le aveva detto che avevo avuto una crisi di nervi e per questo lo avevo morso sul collo. “Non ne farà parola con nessuno” Cazzate. “Caterina ha fatto un voto alla Madonna” Era lei quella svalvolata, se pensava di tenersi il marito nel letto senza scopare. “Margherita ... è colpa mia” Il labbro leporino era una malattia genetica che ritornava spesso nella famiglia di Zeno. “Io non sono abbastanza forte” Era solo orgoglioso e gli rodeva sottostare al suocero per i soldi che elargiva a causa delle spese mediche. “Le cose cambieranno” Sì, sarebbero cambiate parecchio da lì a poco. Entrare nelle grazie dell’avvocato Lollo gli procurò parecchi denari e poi colse l’opportunità di prendere in gestione il Mykonos. Tutto questo, però, non credo che giovasse al suo matrimonio ... ma del resto, bisogna sempre capire cosa s’intende per amore di coppia, perché agli occhi del popolo, la sua famiglia era baciata dalla Grazia di Dio.
 

[Fine seconda parte]

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  • 3 months later...

 

Spoiler

L'ultimo aggiornamento risale al 18 maggio e da allora è trascorsa tutta un'estate passata a scrivere in situazioni piuttosto di fortuna ... Ho trascorso gli ultimi dieci giorni a mettere ordine a degli appunti scritti un po' a vanvera e soprattutto senza mai rileggere a che punto ero arrivato ... insomma "pura entropia" :rolleyes: 

Sostanzialmente, qui ho finito di raccontare la remota estate del 1982. Senza ritornare sulle parti già scritte, ho seguito altre linee narrative che parevano minori, ma che in realtà erano indispensabili per spiegare come quei mesi cambiarono radicalmente la vita del protagonista.

Ora inserisco quella che è l'introduzione al resto delle cose che seguiranno a stretto giro, anche perché da lunedì devo assolutamente tornare a procacciarmi da vivere.  Ribadisco che le mie elucubrazioni mentali sono contestualizzate in un romanzo e quindi vanno prese come spunti di riflessione. 

Riguardo invece a questo spazio, che mi piace sempre di più, vorrei farne una sorta di mercatino delle mirabilie vintage anni ottanta attinente ai riferimenti all'interno del racconto. Soprattutto musica ma anche roba tipo storia del costume. Purtroppo in questa sezione introduttiva c'è poco da mostrare, se non la passione  per il fitness e dei centri benessere che segnava l'inizio di una società edonista e allora , direttamente dal 1982 ---> Olivia Newton John e il suo celeberrimo hit single  >>Physical<<

 E' in questi anni inizia a diffondersi anche in Italia l'walkman della Sony che ha rivoluzionato il modo di ascoltare la musica ...

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Da questo momento la cassettina musicale fatta in casa con la playlist dei pezzi preferiti si scambia con gli amici, praticamente l'inizio del P2P

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C'è poi il dilagare dello SMILEY che diventa il vero imperativo categorico dell'ottimismo. La tristezza inizia ad essere considerata una malattia e curata dal medico della gioia, cioè lo psicanalista che diventa anche il pusher degli psicofarmaci legalizzati.

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Questo nell'immagine è il primo prototipo dello smiley face. Ancora lungi dal diventare una emoji, era usato esclusivamente a fini commerciali e nei negozi che lo esponevano vigeva il dovere per i commessi di sorridere sempre. 

Per ora può bastare ... Ah! Mi sono accorto che la formattazione dei post precedenti è andata a pallino con la ristrutturazione del nuovo forum ... non ci posso far niente :( 

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La Virtù dei Vizi

Il vigore morale è un imperativo categorico posto al di fuori dell’individuo, su cui cala come un costume conforme ai doveri formali di un gruppo sociale. La virtù attiene all’intelletto e si contrappone alle necessità sensuali, questa bipolarità forma un neikos il cui moto oscilla tra la caduta all’interno del corpo e l’altruismo relazionale che attrae fuori da esso. Una virtù scevra da sensualità è improponibile poiché nell’egoismo degli istinti viscerali l’anima sopravvive mentre il corpo perirebbe cibandosi solo di spiritualità.

Aristotele definiva «veste del male» l’abitudine che conduce nei vizi del corpo, di cui si può individuare la giusta misura in cui incedervi con Epicuro, che distingueva la virtù catastematica della soddisfazione dei bisogni primari. Questa morale ci dà il metro con cui circoscrivere il piacere in una ritualità edificante. Fin dalle prime civiltà si usava sospendere l’ordine virtuoso con un calendario di festività che scandivano il tempo del “divertimento”. Ad esempio, tra il sesto e l’ottavo mese del calendario attico si tenevano le dionisie rurali, cui succedevano le gamelie per gli sposi novelli e culminavano con le antesterie dedicate al vino. Le orge circoscritte mantenevano vivo il prolifico piacere della carne, senza che questo diventasse un cattivo costume. 

Sono invece ancestrali i riti dedicati alla trasgressione dell’ordine costituito, le cui follie si tenevano durante il capodanno. La cosmogonia di cui erano intrise queste celebrazioni si trasfuse nei culti monoteisti. Il buio e la luce divennero gli stereotipi della lotta tra il male e il bene, dove l’avanzata della notte sul giorno si arrestava con l’avvento del solstizio d’inverno. La contesa si regolava nel calcolo dei calendari lunisolari, che allungava o accorciava la stagione fredda, rendendo incerta la risurrezione primaverile.  Nelle follie della notte invernale persino i Re potevano essere irrisi e nel capodanno celtico la morte stessa perdeva l’autorità sui defunti. Durante i saturnali romani, schiavi e padroni si mischiavano nella crapula dei baccanali. La follia di Babilonia culminava nella parata per l’avvento del figlio del sole, il momento in cui il bene rigenerava l’ordine di un nuovo ciclo astrale.

Il calendario solare giuliano fornì un metro più esatto con cui circoscrivere la notte invernale e le sue follie. Le orge di capodanno culminarono regolarmente nelle parate purificatrici dei lupercali, poi divenuto periodo quaresimale con l’Editto di Tessalonica, che convertì le feste pagane in commemorazioni evangeliche. Il cristianesimo individuò la veste del male negli otto peccati capitali che insieme alle virtù teologali, finirono per porre la misura etica del bene fuori da qualsiasi piacere del corpo. La cristianità s’ispirava a un ascetismo formale che legittimava l’ipocrisia del «Panem et Circenses» necessario al governo dei popoli. Fu così che il mercimonio delle vanità distinse una classe sociale bandita dalle mura dei castelli. Nelle civitas dei borghi vigeva la morale del metro di tolleranza sul consumo del piacere, utile a circoscrivere periodi di festeggiamento, in cui tutti si confondevano mascherati da folli.

I moti della Rivoluzione Francese rivelarono l’ipocrisia, affermando quanto fosse indispensabile il consumo dei piaceri viscerali: «Il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare» (Vizi Privati e Pubbliche Virtù di Bernard de Mandeville). I peccati capitali divennero i capisaldi dell’economia fondata sul lavoro necessario alla compravendita dei beni mondani. Al vigore morale finalizzato all’accumulo di ricchezza, era complementare la continenza dai vizi che depauperano il patrimonio. La virtù borghese divenne la boria di un’opulenza esibita come Grazia di Dio durante le celebrazioni dei bisogni edificanti. Venezia era stata la prima a formalizzare il piacere carnascialesco, facendo del suo festeggiamento un modello economico basato sul consumo della ricchezza, che si rigenera attraverso la produzione di beni e servizi. Le città del piacere come Las Vegas o Dubai s’ispirano a quel sistema che si resse per secoli confezionando con lusso «La veste del male».

Quando l’industrializzazione catalizzò nei suoi processi produttivi la forza lavoro, si formò la classe operaia, i cui diritti civili ottenuti con la forza contrattuale della manodopera, strutturarono una società fondata sull'etica del lavoro. Il vigore morale del lavoro dipendente rifletteva la virtù borghese regolata sul merito dell’arte e la continenza sensuale necessaria all'accumulo di ricchezza (risparmio economico). Il successo di questo modello di sviluppo incrementò le masse operaie che acquisirono potere d’acquisto, diventando i principali acquirenti dei beni materiali prodotti nelle fabbriche. La saturazione di questo mercato è stata impedita con la stimolazione delle sue vanità, allargando progressivamente la misura morale del consumo dei vizi.

La prevalenza dell’aspetto consumista si è determinata a seguito del progresso tecnologico, che ha diminuito la manodopera nei processi di produzione. Questo ha fatto crollare la forza contrattuale del lavoro dipendente, riportando il merito dell’arte a una condizione artigianale preindustriale, inadeguata a ridistribuire la ricchezza nell'organizzazione sociale. Lo Stato Azienda per tenere in circolo il denaro su un mercato che impiega sempre meno manodopera, deve scongiurare ogni sorta di morigeratezza, elevando il divertimento a una forma etica di lavoro. Come in un grande carnevale veneziano, questo modello economico si basa essenzialmente sul consumo della ricchezza che si rigenera in beni e servizi.

L’economia edonista premia i superbi che piegano le regole a proprio vantaggio, esibendo poi il lusso a riprova di un merito che emenda l’illecito. L’avarizia è l’anima del consumismo perché instilla l’insoddisfazione che legittima la vana gloria dell’opulenza. La lussuria è il sangue che scorre nel corpo morto delle voglie soddisfatte, una cupidigia di emozioni che si consuma a ogni giro di giostra nel parco dei divertimenti. L’invidia, la quale indica il bene altrui a causa della propria disgrazia, ispira la giustizia sociale invocata dagli iracondi tribuni, che al posto del metro usano la livella per innalzare le pire su cui infiamma la virtù dei mediocri. Del vizio della gola, in cui si diceva germogliasse il peccato, si è fatto un indicatore di appartenenza sociale e quello in offerta negli hard discount ingrassa la fame mentre alla mensa dei ricchi ci si ubriaca dell’esclusivo profumo del successo.

La Democrazia edonista affratella nella socialità delle pulsioni viscerali, in cui l’arte dell’incontro sostituisce l’etica del lavoro, rivelandosi un genere di merito empatico capace di trasformarsi in un ascensore sociale.  La misura edonista della virtù è data dall'ottimismo del baccante che si ubriaca del boccale di vino mezzo pieno, usando la sete insoddisfatta come vigore morale per versarsene dell’altro. L’opulenza ostentata nelle feste è una liturgia che procura consenso nella misura in cui instilla il desiderio di partecipazione nell'ottimismo degli esclusi. Da questa grande fiera dei divertimenti è bandito solo l’ottavo vizio capitale: la tristezza. Evagrio Pontico indicava la malinconia come il peccato che contraddice il dono prezioso della vita. Fu poi interpretata come l’accidia, preferendo sottacere quel demone che al solo nominarlo ispira l’abulia nel baccante. Gli infetti ne sono imbruttiti perché perdono il gusto per le vanità, diventando sgradevoli gorgoni, sotto il cui cinico sguardo si rivela l’ipocrisia barocca del niente.  

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La Giusta Misura del Peccato

“Che bell'orologio!” Sì, certo ... le celebrazioni religiose servono per purificarci, ma poi si risolve tutto col solito banchetto luculliano. “Quando sei sul leggio non dimenticare di guardare in camera” La Zia Pina riuscì a organizzarmi l’ingresso in società persino da morta. “E ridi, falli vede’ sti bei denti” Occasione che fece coincidere con lo sfarzo dei festeggiamenti per la mia Cresima. “Facciamo la foto con il compare” Il padre di Vanni mi accompagnò in chiesa ma per l’ingresso in società fu Amelia, la madre della principessa, a tenermi a battesimo. “Rifacciamo tutto per le riprese del filmino” Scoprii quanto odiassi farmi fotografare e ancor di più filmare, per non parlare dello sforzo d’incontrare lo sguardo di ognuno. “E’ un ragazzo d’oro!” Erano tutti venuti a offrirmi la loro approvazione partecipando al banchetto in cui iniziavo a consumare simbolicamente i piaceri della vita in comunità. “A me sta un po’ antipatico” E no, le cose non andarono benissimo. Eppure i giorni che precedettero la festa mi avevano ben disposto all'evento come quando il dentista mi tolse l’apparecchio fisso per i denti ...

Quella mattina mi sentivo veramente un principe e non ce n’era per nessuno con quel cazzo di vestito grigio, che alla luce del sole sbrilluccicava manco fosse un’armatura d’argento. Era stato tutto organizzato alla perfezione ed io ero pronto a sostenere quel ruolo ... sapevo farlo come sapevo che per farlo avrei dovuto tenermi alla larga dal demone dell’ottavo vizio capitale. Ci riuscivo bene fin quando gli impegni di protocollo mi sottraevano alla vaghezza delle conversazioni formali. Al ristorante però la festa entrò nel vivo e tutti iniziarono a reclamare la mia attenzione. Fu allora che le infauste malinconie presero vigore insieme allo sforzo di onorare un divertimento che mi escludeva dalla spensieratezza del gozzovigliare. L’ebbrezza del baccante astemio si affievolì, cominciando a intimidire i commensali con lo sguardo della malinconica gorgone.

Odiavo lo sguardo attonito dei miei famigliari perché era umiliante sentirmi incapace di renderli partecipi alla soddisfazione che mi stavano regalando. Fin nella culla, mamma e papà sdilinquiscono nel riconoscere in quel corpicino i semini di un bisogno che gli chiede soddisfazione. Che gioia guardare l’infante tendere le manine verso l’agognato balocco e che dire dell’allegria che provoca la sua faccetta entusiasta quando assapora il gusto di un bocconcino saporito. Puniscono severamente le marachelle, ma solo per imporre il rispetto della giusta misura del desiderio. Io non gli concedevo nulla di tutto questo, rimanendo un corpo estraneo nella loro esistenza. Quella festa era stata un ultimo tentativo di ricostituire la nostra famiglia intorno alle necessità di un figlio. Dopo il fallimento, i miei rinunciarono a capire cosa desiderassi, iniziando a escludermi dalla loro vita.

Se fossi stato capace di gustare il sapore di quel divertimento, la mia esistenza si sarebbe sincronizzata con le altre celebrazioni del piacere. Io fraintendevo la festa per un’imposizione conformista, quando invece serviva a purificare il desiderio dal proprio scopo egoistico, condividendo la gioia dei suoi frutti con gli altri. Una diversa percezione della carnalità compromette la partecipazione empatica ai bisogni del corpo, facendo diventare sgradevole il sapore di quel desiderio offerto ai commensali. Un genere di piacere che fa perdere l’appetito è percepito come un vizio disgustoso che attenta alla tradizionale ricetta della buona cucina di famiglia. In tal modo i desideri difformi non potranno purificarsi con la condivisione dei loro piaceri, questo innescherà il rancoroso rifiuto delle reciproche necessità che inizieranno ad accusarsi dei rispettivi egoismi.

Se fossi stato almeno in grado di dare un’univoca soddisfazione al mio desiderio, avrei potuto ricavare il suo nome attraverso l’equazione logica tra similitudini con altre identità di genere. Era la mia confusa dualità a impedirmi di solidificare in una forma concreta. Lo sconforto di non avere un volto con cui essere riconosciuto, mi spinse a cercare corrispondenza tra le mille maschere con cui la libido celebra le sue follie carnevalesche. Quando l’ultima maschera in cui avevo ingenuamente creduto di riconoscermi si scioglieva sul mio volto, mi ritrovavo nuovamente a banchettare con dei bisogni incapaci di concretare un’identità. La mia fame somigliava a quella di un vampiro, costretto a saziare l’irrealizzabile desiderio di riconoscersi nel riverbero di luce riflesso da uno specchio.

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La libido è un tratto fondamentale della sensualità e l’erotismo di una persona ne può essere completamente sfigurato. L’intelligenza psichica elabora le sensazioni tessendole in trame emozionali simili a dei pensieri, questi rimangono sospesi nell'inconscio come fossero dei ricordi. Un genere di sinapsi in cui il sistema nervoso del corpo costituisce un prolungamento della trasmissione neuronale. A differenza della coscienza neocorticale che ci proietta in un ambiente extra corporeo, quella limbica rimane innervata nel corpo e reagisce a degli stimoli riflessi provenienti dalla memoria emotiva. Il piacere della libido cerca delle emozioni per ricordare, usando la sessualità per sollecitare di concerto i sensi e non come scopo relazionale.

“Ti piace stuzzicarmi!” La libido di Zeno mi forniva le briglie per condurre via la sua ragione dagli scopi virtuosi. “Che devo fare con te?” Niente ... gli uccelli hanno le ali e i pesci respirano dalle branchie, ma i cormorani nuotano sott’acqua e alcuni pesci volano, la natura è strana ed io ero nato così. “Ho delle funi nuove” C’erano sicuramente maestri bondage più bravi di me nello shibari. “Stringi più forte” Non era una questione di conoscere i legacci, io avevo sempre saputo interloquire con la sua identità erotica. “Ancora un po’” Si deve essere accorti quando si supera la soglia del piacere perché si sconfina nella percezione del dolore. “Basta così!” La benda sugli occhi acceca la cognizione razionale, favorendo la ragione dei sensi. “ ... ” La propriocezione reagisce in modo riflesso con scariche di endorfine ... un po’ come capita con il solletico. “Piano!” Non si vuole smettere ma riuscire a riprendere il controllo. “No!” Quando i Sì si mascheravano con dei No, stappavo una fialetta di nitrito di amile per attivare il rush finale. “... ” Faceva spavento guardare il volto del suo inconscio rivelarsi in quei grugniti bestiali. “... ” L’orgasmo sessuale funzionava come un interruttore chimico che dall’ipotalamo disinnestava la sinapsi limbica. “Vieni qua e abbracciami” L’eiaculazione lo lasciava esanime e allora mi regalava il suo più tenero affetto.

“Ho un regalo per te” Zeno aveva tante cose da insegnarmi. “Ti piace?” Mi regalò una tuta con scritto «Staff» e il logo del Mykonos perché ci teneva un corso di Hatah Yoga cui partecipavo. “Che ti è preso il giorno della Cresima?” Mi chiedeva di andare a preparare la saletta e dopo mi fermavo a sistemare i tappetini. “E’ salita di nuovo la marea nera?” Fin da bambino avevo annodato un filo d’intimità alla sua libido. “Come faccio ad aiutarti se non mi parli?” Questo fece sì che non mi fidassi mai completamente delle sue buone intenzioni. “Mi stai nascondendo qualcosa?” Gli omettevo solo delle verità come avevo sempre fatto con tutte le ghiande che mi aveva insegnato a tenere in tasca. “Ehi, ci sei, a cosa rimugini?” Avevo bisogno della sua forza e stavo scoprendo che si trattava solo di una maschera.

“Forse dovrei rimandarti dalla psicoterapeuta” Ero matto quando lo mettevo davanti a delle oggettive necessità che fingeva di non vedere. “E’ normale alla tua età sentirsi confusi” Era pretestuoso usare il limite cognitivo di un adolescente per educare la sua libertà. “Tu non ci vai più a casa di Fefè, chiaro?” Perché, se a me piaceva quel variopinto carnevale di coriandoli di vita? “Quel frocio fa il ruffiano per campare” Però i suoi clienti erano tutta gente che frequentava anche lui. “Lo vedi che con te bisogna sempre pararsi il culo?” Qualcuno avrebbe potuto pensare la stessa cosa di lui. “Ragazzino, stai scherzando col fuoco” Si sentiva minacciato quando si accorgeva che sapevo leggere il racconto che sta sotto la copertina delle persone. “Allora sai anche come Carmelo si paga la bella vita” Per quanto mi riguardava, era il nipote della comare Nella. “Troppo comodo vedere solo quello che ti fa comodo” Io navigavo a vista, manovrando per non farmi speronare dalle verità altrui. 

“Ho delle responsabilità!” La redenzione trae dal peccato la forza della propria virtù. “Tu sarai la mia disgrazia” Ogni volta che Zeno si arrendeva alla libido, poi era logorato dal senso di colpa. “E’ sbagliato” Io non sopportavo sentirlo lamentarsi. “La famiglia” La sua misura etica del peccato serviva solo a incedervi con trasgressivo sollazzo. “Devi trovarti una ragazzetta” Gli abbracci di Zeno non mi consolavano più. “C’entra qualcosa quel tuo compagno di classe?” Temeva il mio insano interesse per i ragazzi. “Tu non sei frocio” Cercava d’impormi il suo costume virtuoso. “Ai froci non piace la figa” L’educazione morale serve a sfrondare le escrescenze dell’omoerotismo per rafforzare il ramo edificante dell’attrazione sessuale. “Mi preoccupo per il tuo bene” Era disorientate scoprire i limiti delle persone perché significava che li avevo appena superati.    

La maturità sessuale comporta la creazione di un’ampolla d’intimità, in cui consumare e far crescere il proprio erotismo. Cercare la sua condivisione conduce fuori dall’ambito famigliare e gli effetti derivanti sono misurati dagli adulti con lo stesso metro della loro esperienza. Mi ero già accorto con Giada come fosse rassicurante sentirsi parte di un meccanismo capace di condurti sul binario comune delle celebrazioni del piacere. Allo stesso modo, era spaventoso prendere atto di essere depositario di bisogni le cui soddisfazioni erano ritenute disgustose. Fino a quel momento mi ero ritenuto fortunato ad aver trovato Zeno perché avrebbe dovuto capire una sessualità che andava oltre la distinzione di genere. Secondo lui invece era solo una questione di libido che andava risolta circoscrivendo la sensualità condivisa con i ragazzi in una dimensione di divertimento. Il vigore morale pretendeva la forza di rimanere nel giusto e seppellire nel limbo delle memorie adolescenziali le cattive esperienze. Cercai di farlo, ma avrei dovuto accecare anche la mia ragione per non vedere come quella virtù si teneva in equilibrio su un filo di normalità immaginaria ...

>>continua<<

Edited by Silverselfer
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Spoiler

Ovviamente "stretto giro" va tarato secondo i miei soliti tempi biblici :rolleyes: E' che ogni volta che rileggo, trovo qualcosa da cambiare, fino a quando si disgrega tutto e allora è meglio postare, anzi, credo che ste robe si salveranno solo perché le ripongo in questa specie di cassetto della mia scrivania. 

Veniamo invece al mercatino vintage. Non posso che iniziare con il pezzo dei Depeche Mode che da il titolo a questa serie di episodi >>New Life<< Si tratta del loro primo pezzo di debutto che risale al lontanissimo 1981. Fu una grande hit, anche se io gli preferivo altri pezzi contenuti in Speak & Spell ... album importantissimo soprattutto perché segnò l'inizio del sinthpop che rivoluzionò il modo di fare musica. 

Un'apoteosi di tastiere sibilanti onde elettromagnetiche condite con versi ermetici a tratteggiare estemporanei flash di vita, questi erano i Depeche Mode di Vince Clarke, molto diversi da quelli che diventeranno dopo quando i pezzi li scriverà Martin Lee Gore.

Proseguendo con la citazione dei brani che sono nei racconti, ci sono i Duran Duran; anche loro al debutto di Rio del 1982. Inserisco il brano di quell'album che ancora mi capita di ascoltare ---> Say a Prayer

Basti il fatto che Renzi avesse un loro poster in cameretta, spiega bene quanto i Duran Duran fossero più popolari dei Depeche Mode. In ogni modo, anche loro aprirono un nuovo filone musicale il New Romantic ... facciamo il gioco delle differenze? La band New Romantic aveva una formazione tradizionale in cui spiccavano le tastiere con sintetizzatore. Il Sinthpop arriva invece dalla musica elettronica tedesca che si proponeva di sperimentare nuovo modi di fare musica, andando oltre le stesse regole di scrittura tradizionali. Quindi era tassativamente proibito usare degli strumenti classici. Il Sinthpop ne era la versione corrotta dal pop inglese che poi proseguì con un'ulteriore iniezione di pop che la fece diventare New Wave, che potremmo definirlo il genere che fece convergere il New Romantic col Sinthpop.

Ok , la lezione di musica è finita e passiamo al costume e società ---> Break Dance ---> C'entra ancora la musica e allora puntiamo l'occhio del passato sulla New York dei primi anni ottanta.

Come si canta nel pezzo, la break dance era la street dance nata e cresciuta nelle strade della grande mela durante tutti gli anni settanta. Faceva parte di tutta una controcultura che germinò nei boroughs di Queens e South Brox insieme ai graffitisti e una guerra tra bande criminali. Durante gli anni ottanta sbarcò a Manhattan che le dette un riconoscimento artistico attraverso la Pop Art. Tuttavia, erano gli anni più bui della storia di New York che aveva un tasso di criminalità mai conosciuto prima. Infatti, quell'esperienza ispirò film apocalittici tipo quello di Carpenter che immagina Manhattan come una grande Alcatraz ---> Fuga da new York

  

Per fortuna le cose poi andarono in modo diverso, ma per rendere meglio l'idea di quella che era la New York di allora c'è un altro film, una commedia nera molto bella di Scorsese, in cui mostra la notte pericolosa, bizzarra ma anche molto creativa della Manhattan anni ottanta ---> Fuori orario  --> non trovo il trailer in italiano, ma in questo dialogo iniziale c'è tutto il film.

Ok, basta così.

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New Life

“C’e Toni a telefono” Durante l’ultima estate ero riuscito a condividere il mio erotismo con Toni. “Ti ha cercato quel tuo amichetto del mare” Trovammo una certa corrispondenza nel divertimento, tipo commentare i ballonzolanti pacchi dei ragazzi. “Rispondi, tanto sarà per te” Il nostro dialogo continuò anche dopo essere tornati in città. “E’ Momo che passa le ore al telefono con Toni!” All’inizio mi chiedevo perché mi telefonasse tutti i giorni, ma poi le nostre chiacchierate divennero indispensabili anche per me. “Ora basta, ci metto il lucchetto” Era scomodo parlare in corridoio, così mi procurai una prolunga per rispondere in cameretta. “Ma è colpa sua!” Faceva comodo anche ad Angela, ma alla prima esosa bolletta lei scaricò la colpa su di me. Fu così che dovemmo trovare un altro modo per frequentarci e non era semplice perché lui abitava nel quartiere Prati ... 

“Oggi vado al centro benessere con mia madre” Il Mykonos aveva riaperto da poco perché Fefè aveva risolto i suoi guai con la giustizia. “Sta vicino casa tua” La nuova proprietà aveva sostituito quell’insegna troppo esplicita con una come tante altre che offrivano i confort di una SPA. “Allora ci vediamo?” Con Toni c’incontravamo nella reception. “Ti va di venire dentro?” Senza il filtro della cornetta telefonica, le parole si cortocircuitavano in dei silenzi imbarazzati. “Non dicono niente se entri con me” Avevamo entrambi voglia di condividere nuove esperienze. “Fatti anche tu la pulizia del viso” Lui aveva la fissa dei brufoli e se li faceva togliere ancora prima che gli spuntassero. “Eccoli qua, vedi che li hai anche tu” Non mi ero mai accorto di avere dei disgustosi puntini neri tra le pieghe delle narici!

“Andiamo nella sala pesi” Anche con Vanni usavamo intrufolarci nel solarium del Circolo per sbirciare le signore in topless, ma nella sala pesi del Mykonos c’erano soprattutto dei gran manzi. “Posso provare anch’io?” No, l’interesse di Toni non era suscitato dalla voglia di sviluppare gli adduttori delle cosce. “Sei ancora troppo piccolo” Lo sapeva benissimo che era ancora troppo basso per riuscire a muovere i divaricatori di quella macchina. “Posso restare a guardare?” Il suo interesse era solo un espediente per ammirare quei pacchi che si rivelavano spavaldamente a ogni apertura di cosce. “Il suo è enorme” Fu sbirciando i ragazzi in sala pesi che m’imbattei in Carmelo. “Delle volte deve smettere o gli viene fuori dai pantaloncini!” Io lo preferivo sulla panca degli addominali, quando ci dava dentro con dei piegamenti che lo facevano gemere mentre contraeva quel vitino da calabrone tornito come il capitello di una cattedrale gotica ... che roba!

“A bei capelli, perché non me dai ‘na mano invece de sta a guarda?” Carmelo fu subito il mio preferito e lui si accorse del pugno nello stomaco che mi dava quando si tirava via la maglietta. “Blocca bene le gambe e tienimi forte per i fianchi” Eh! Avvampai dall’imbarazzo la prima volta che mi chiese di assisterlo alla panca. “A bei cape’, ‘ndo vai ... tocca a te andà sotto” No, preferivo stare sopra, ma solo per sentire il suo nerboruto corpicino contrarsi nella mia morsa. “C’hai na polenta de panza” Sì, gli addominali erano il mio punto debole, però sarebbe potuto essere anche meno diretto e che cazzo! “Abbassa la cresta e spigni” Succedeva sempre così ... con delle persone non riuscivo mai a stabilire un contatto e con altre, che magari non mi stavano neanche simpatiche, dopo un nanosecondo raggiungevo livelli d’intimità addirittura imbarazzanti. “E’ solo uno gnomo presuntuoso” Ma non era solo per questa la ragione che Carmelo stava sul culo a Toni.

“Sta per uscire il nuovo album dei Duran Duran!” Un’altra passione che condividevo con Toni era quella della musica pop. “Nick Rhodes è più bravo” Lui era un duraniano e ci scornavamo continuamente perché io sostenevo che il sintetizzatore di Vince Clarke dei Depeche Mode era il migliore. “Come hai fatto ad averlo!” Toni era molto orgoglioso di compiere gli anni il primo giorno di primavera e siccome in Giappone si festeggia intonando versetti haiku sotto i peschi fioriti e «momo» significa pesca ... lui e la madre organizzarono un picnic a Villa Borghese, solo noi tre e le nuvole rosa degli alberi fioriti. “E’ il più bel regalo del mondo” Solo qualche settimana prima ero sotto gli stessi alberi accanto all’amore tossico di Bea ed erano trascorsi pochi giorni dall’incidente con la bottiglietta al Valium ... c’era da scommetterci che Toni lo aveva spifferato anche alla madre perché mi usava delle attenzioni come se fossi io il vero protagonista di quel picnic.

“Mamma, questo è l’ultimo album dei Duran, è introvabile!” Sì, era «Rio» appena pubblicato in Gran Bretagna ed ero riuscito ad averlo grazie a Massimiliano, l’elettrauto del garage davanti casa che aveva la fissa per gli impianti stereo da auto e quindi anche per la musica. “Li conosce tutti lui quelli più strambi” In effetti, Massimiliano era proprio strambo, ma non era colpa sua se aveva tipo mille tic nervosi e dava di matto al solo sospetto che si ridesse di lui. “Portalo con te alla mia festa” Quell’anno il compleanno di Toni cadeva nel giorno di carnevale e figurarsi l’orgia di sangue che avrebbe compiuto Massimiliano in mezzo a una pletora di adolescenti armati di coriandoli e lingue di suocera.  “Almeno tu ci devi venire” Il regalo glielo avevo portato apposta al picnic perché neanche io ci volevo andare. “Ma come, perché?” E sì, mi sfuggiva il senso della mia indispensabile presenza. “Tu sei mio amico o no?” Con gli amici si condivide il divertimento, ma era anche vero che io e lui si andava d’accordo solo sui pacchi dei ragazzi.

Questa tipologia di festeggiamento era la palestra che fin da bambini si usava per imparare a condividere le prime emozioni. All’inizio quel piacere era costituito dai regali da scartare o dalla deliziosa torta con le candeline da spegnere con tutti che applaudivano partecipando alla tua gioia. Siccome però il mio compleanno cadeva di ferragosto, quando pure la torta se la squagliava, mi ero rotto le scatole di partecipare a quel gioco in perdita. Le cose però erano cambiate dopo la maturità sessuale e le feste di compleanno diventarono degli appuntamenti formali in cui mostrarsi e creare relazioni. Se con la Cresima sarei stato accolto nella comunità parrocchiale e dalla Principessa potevo essere introdotto in un esclusivo salotto della capitale, il debutto nella società dei miei coetanei fu alla festa di Toni ... 

“Se vieni, ti faccio mettere i dischi” Toni sapeva come raggirarmi e quella volta m’ingannò con la storia della musica, ma sarei dovuto arrivarci da solo che nel locale dove si teneva la festa ci sarebbe stato un DJ professionista. “Dreams are my reality ...” Reality, della colonna sonora del Tempo delle Mele, era un tormentone ciclico che ogni volta segnava una nuova tornata di estemporanei fidanzamenti. “... the only kind of real fantasy ...” Invitavo una ragazzetta a ogni giro di ballo. “... illusions are a common thing ...” Nessuno mi aveva informato che se una tipa accettava di ballare un lento, poi si aspettava la proposta di mettersi insieme. “Dreams are my reality ...” E se non lo facevi, ma la invitavi per una seconda volta, significava che eri timido ma il filarino era ormai ufficiale. “ ... a different kind of my reality” Al terzo lento insieme, la tipa ti dava del citrullo e se ne cercava un altro. “E’ ovvio che sia così!” Ovvio un par di palle, io avevo invitato tutte a ballare proprio per non apparire come il solito citrullo che fa da tappezzeria alle feste.

“Avete visto come balla!” Solitamente le feste si tenevano in casa, ma era più cool affittare la sala di un locale e l’Avvocato Lollo usava regalare ai figli l’Insomnia. “Balla ... come si dice?” Il privè faceva parte di una grande discoteca che iniziò presto a scaldare i subwoofer per la serata speciale del carnevale. “Break Dance!” Mattia si era portato dietro i suoi amici perché dal privè si poteva partecipare di straforo a quell’altra festa. C’era anche Luca che mi presentò agli altri e con loro andavo nella sala da ballo grande. “Rifacce vede’ la scossa” La break dance aveva sostituito la mia passione per il funk di James Brown. “Aoh, che non me riconosci?” Con le luci stroboscopiche e ballando come un invasato per tutto il tempo, non avevo riconosciuto Carmelo. “Da che saresti travestito?” Da mandarino cinese che non c’entrava un cazzo con la frutta. “A me sembra più da sellerone cinese” Ci rimasi male quando quell’ignorante rise del mio vestito da carnevale.

“E tu non dargli spago” Toni aveva ragione, ma alla sua festa non mi si filava nessuno. “Se te ne stai sempre zitto ... ” E con chi parlavo, se anche lui pendeva dalle labbra canterine di Dodo. “Vuoi essere sempre al centro dell’attenzione” Intanto aveva detto anche a lui che il suo era stato il regalo più bello. “Ma che c’entra!” Una cassettina su cui aveva inciso delle stonatissime cover dei Duran. “Smettila!” Per non dire che si era presentato con la chitarra, vestito da romantico hippy dai fluenti capelli biondi ... e poi ero io il vanitoso? “Sei solo un rosicone” Questo mi meritavo dopo aver fatto i salti mortali per procurarmi l’album originale dei Duran. “Devi sempre far diventare tutto una gara” E detestavo perdere. “Prova a metterti in gioco alla pari con gli altri” Avevo paura di essere rifiutato. “Sei proprio uno scemo” Toni sosteneva che le mie quote sul borsino dei fidanzabili erano altissime. “Devi solo sceglierne una” La mia scelta amorosa ricadde sulla ragazza dai capelli d’autunno.

“Chi, Concettina?” E poi uno non dovrebbe citare per danni i propri genitori? “Non puoi!” Toni non volle farmi da sensale. “Lei sta con uno del liceo” Però aveva ballato con me due lenti e poi mi aveva seguito anche al buffet. “Dreams are my reality ...” Dopo uno scambio di sguardi sibillini, mi giocai il terzo lento in barba agli ammonimenti di Toni. “Ti piace questa canzone?” Come no, stavo rischiando un’overdose glicemica! “Ho visto il film due volte” Io non riuscivo a sputare la parola giusta per iniziare il discorso del mettersi insieme e bla bla bla. “Ci andiamo a sedere?” La canzone non era venuta a noia solo a me e durò pochissimo. “ ... quella sua maglietta fina tanto stretta che m’immaginavo tutto ...” Baglioni era un altro must del pomiciamento. “La pianti di guardarmi le tette!” Non erano quelle di Concettina, ma di una sua amica con cui era alla festa. “Si sono lasciati, ma è ancora stracotta” La tettona senza reggiseno era molto più diretta e preferii domandarlo a lei come stavano le cose con Angelo, il temibile fidanzato liceale.

“Che bel braccialetto” Stranamente mi rassicurava l’idea che fosse innamorata di un altro. “Sembra da femmina” Quando tornò dal bagno, le chiesi se voleva allontanarsi da quel baccano. “Mettiamoci là in fondo” Uscimmo nel parcheggio e al momento di sederci, lei salì cavalcioni sulle mie gambe e ci baciammo. “Solo sopra” Mi disse bloccando la mia mano che tentava d’intrufolarsi dentro i suoi jeans. “Copriamoci col cappotto” Si aprì la camicetta, offrendomi il suo minuscolo seno dai capezzoli saporiti come delle Pringles. “Tirartelo fuori” Aveva detto «solo sopra» quindi pensavo che intendesse niente roba sotto la cintola per tutti e due. “Com’è duro!” E certo, mi stava cavalcando tipo da un quarto d’ora. “Ti piace?” Mi sussurrò nell’orecchio, quando il suo tocco leggero come una brezza prese a sfiorarmi. “Ti piace, vero?” A lei sicuramente di più ... ansimava e mi mordeva il collo mentre m’inebriavo del profumo dei suoi capelli.  

“Hai un fazzolettino?” Il repertorio erotico di Concettina finiva lì e alla fine mi stuzzicai con una fantasia per riuscire a sporcarle la mano. “Non guardare” Mi ordinò di voltarmi per permetterle di liberarsi del salvaslip bagnato. “Perché porti un braccialetto da femmina?” Quella sera se lo erano domandato tutte le ragazze con cui avevo ballato, sospettando che fosse il pegno d’amore di un’ipotetica fidanzata. “Me lo fai provare?” Era invece un ricordo di nonna Mela. “Che bello!” Sì, mi piaceva il colore ramato di quell’oro vecchio, lo trovavo molto virile e contrastava con le grosse maglie tonde femminili. “Mi sta bene, vero?” Concettina era così entusiasta quando se lo provò, che mi dette una gioia immensa regalarglielo. “Grazie!” In casa non lo aveva voluto nessuno, quindi pensavo che potesse piacere solo a me, invece ... “Torniamo dentro che lo voglio far vedere alle altre” ... invece avevo appena combinato un altro dei miei casini.

“Un braccialetto d’oro!” Sì, ma di poco valore. “Era di tua madre!” No, era stato di mia nonna. “E’ comunque un gioiello di famiglia” Uffa, che palle! “E’ una roba tipo seria, una cifra ufficiale, capito ora, scemo?” Ok, avevo proprio bisogno di un cazzo di manuale. “Concettina è stracotta di Angelo” E allora perché mi aveva appena tirato una sega? “Ti sta usando per farlo ingelosire” Ah beh, mi ero scelto proprio una bella zoccola. “Hanno litigato perché lui ha baciato una strafica del liceo” E perché me lo stava dicendo solo ora? “Sei tu che non sei capace di tenertelo nelle mutande” Ah ecco, ora ero io la zoccola. “Che hai intensione di fare?” Potevo forse andare a chiederle indietro il mio pegno d’amore? “Quel poveraccio di Angelo ti ammazza!” Aoh, ma perché ero sempre io quello cattivo? “Spero proprio che te le dia di santa ragione” Credeva forse che mi sarei spaventato di una minaccia?

Sì, poi venne a cercarmi, anche se io ero andato preventivamente a sedermi nella comitiva dei ragazzi più grandi. “Posso parlarti?” Lui e quell’altro erano dei bei cristi, ma con due facce da polli che non avrebbero spaventato nessuno. “A pische’, occhio che questo è amico mio” Gli imbruttì Luca, prima di lasciarmi andare. “Stamose calmi che so cose de regazzini” Si trattava di una vera e propria imboscata perché quelli con la faccia arrabbiata ci stavano aspettando nel parcheggio. “E’ chiaro che non lo poteva sape’” Per mia fortuna, Luca sapeva bene come andavano queste cose e mi aveva seguito portandosi dietro i rinforzi. “Ma come cazzo lo poteva sape’?” In qualità del padrino dello sfidante a duello in quella surreale parata in maschera, fu lui a parlamentare con il suo omologo, ingaggiando un minaccioso balletto recitato con gestualità spavalda a petto in fuori. “So’ sempre le femmine a combinà sti casini” Sicuramente si stava giocando una partita pericolosa; tuttavia, pareva una forma di celebrazione della virilità, il cui scopo era far salire l’adrenalina e la contesa della femmina era solo il pretesto di un divertimento fra maschi.

“Dateve la stretta de mano e non parlamone più” Luca si rivelò un ottimo mediatore e alla fine ci stringemmo la mano, poi lui scambiò un saluto con tanto di pacca sulla spalla ad Angelo e quell’altro fece lo stesso con me, quindi i due schieramenti si allontanarono guardinghi. “Aoh, ma che te la volevi sposa’?” Mattia ci andò proprio a nozze con quella storia e non la smise più con i suoi sfottò. “Lo riaccompagno io a casa” L’adrenalina messa in circolo dallo scontro suscitava una curiosa emozione empatica che ci affratellava. “Mi dispiace ma ho promesso a sua madre ... ” Avevo fatto partecipare quei ragazzi al banchetto dei miei sensi e ricambiarono accettandomi nella loro comunità. “Attento che mamma mena” Da quel momento la festa di compleanno di Toni era rimasta come uno sfondo scenografico e quando si concluse, Luca si offrì di accompagnarmi a casa per farmi restare con loro, ma la madre di Toni fu irremovibile nel mantenere la promessa di ricondurmi all’ovile entro le dieci.

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“Ma tu non esci la sera?” Dopo le vacanze di Pasqua, Zeno mi tolse il Tavor e quindi ricominciai a fare scintille con mia madre. “Diglie che stai a cena da mi nonna” Io mi ostinavo a non accettare che le cose cambiassero. “Così ce famo un giretto in piazza” Lei non voleva che parteggiassi per Primo e arrivò a schiaffeggiarmi, da quel momento tra noi qualcosa si ruppe per sempre. “Te stai a rincoglionì co’ tutti sti libri” Diceva che mi sarei accorto da solo quanto mi odiasse e che fino ad allora avrei dovuto chiedere a lui per ogni mia necessità. “Lascia fa’ a me” Sarà stato per il clima creatosi alla festa di Toni che poi Carmelo iniziò a chiedermi di uscire. “Glie faccio telefona’ da mi nonna” Con lui iniziai a esplorare le relazioni create dall’intimità erotica. “A ndo’ magna uno magna pure due” A mia madre bastava una telefonata della Comare per lasciarmi andare. “Noi rimanemo in giro” E alla Comare non interessava se poi non tornavamo neanche per cena. “A Carme’, vedi de non me fa passa’ ‘n guaio!” Cominciai a fermarmi anche a dormire e allora la Comare ammoniva il nipote quando ci vedeva rincasare al mattino.

“Me l’appoggi ‘n deca pe’ la pizza?” Carmelo restava a Campo de’ Fiori solo quando era al verde. “Nun me va de sta a senti’ quell’imbriacona de mi nonna” Bighellonare in giro aveva il suo costo e alla fine ebbi il sentore che Carmelo si approfittasse del mio portafogli. “Annamo dal frocio che te faccio vede’ come se svolta facile” Non ricordo quando fu la prima volta che salimmo da Fefè. “C’è sta pure il ragazzino de Zeno!” Fefè mi riconosceva lo stesso titolo con cui mi aveva chiamato anche l’Avvocato Lollo. “Andiamo di là” Carmelo non faceva parte della corte di Fefè, il loro era un rapporto d’affari e lo accoglieva con circospezione senza farlo mischiare con i suoi ospiti abituali. “Adesso te la fai pure con Carmelo?” A casa di Fefè ci passava un po’ tutta la varia umanità di Campo de’ Fiori e Lidia era un ospite abituale. “Tu resta che poi ripasso pe’ torna’ a casa assieme” Se Fefè gli procurava un lavoretto, Carmelo spiccava il volo e non lo rivedevo prima dell’alba.

“Bada che lo sanno tutti che succede a casa di quel frocio” Mi redarguì Toni, dopo che al centro benessere vide Fefè rivolgermi le moine riservate ai suoi cortigiani. “L’ho fatto per te!” Toni non si faceva mai i fatti suoi e andò a soffiare la notizia nell’orecchio di Zeno. “Lo sta usando per allontanarti da me” Toni vedeva complotti ovunque e secondo lui, Carmelo era manovrato dal fratello. “Tu non puoi capire quant’è perfido!” Era assurdo che uno popolare come Mattia si potesse sentire minacciato da uno zero come me. “Intanto al belvedere non ci vieni più” Era ovvio che bazzicassi Carmelo che viveva a due passi da casa mia. “E allora che bisogno c’è di dormire da lui?” Che palle! “Potresti fermarti da me quando andiamo al Circolo, No?” Che voleva saperne lui dei miei casini. “Allora invitami a casa tua” Non ci credeva che una madre potesse scomunicare il figlio. “E’ solo una scusa” Credo che ci mise di mezzo il padre che chiese al mio qualcosa di troppo e apriti cielo! “Vado dall’avvocato, almeno finisce sta farsa del cazzo!” Primo ci teneva a salvare le apparenze e minacciò sicuramente il divorzio perché era la cosa che più terrorizzava mia madre. “Io non posso pensa’ a tutto” D’altro canto, così mia madre lo poteva tenere per le palle e se ci teneva tanto all’opinione dell’Avvocato Lollo ... “Bisogna prende ‘na domestica” Avrebbe dovuto smetterla di fare lo spilorcio e pagarci un tenore di vita adeguato, fu così che Evelina giunse da noi.

La prima eiaculazione di Toni portò nella nostra amicizia le regole di un astruso manuale sociale. “Ora sto con Susy” Intrecciava continui filarini con le sue compagne, anche se poi era stracotto di Dodo. “Sei solo invidioso di lui” Dodo di qua e di là, si era preso una cotta eccome per quel biscottino danese. “Stai fuori di testa!” Aveva persino trovato il coraggio di dire a suo padre quanto detestasse suonare la fisarmonica. “Io amo suonare le tastiere” Pronunciava la parola «amore» per dare legittimità inconfutabile a ogni sua scemata. “Sei il solito maligno” Certo che era un caso se con Dodo stessero progettando di mettere su una band. “Dodo non è Gay!” Solo io dovevo preoccuparmi di cosa pensava la gente, mentre l’etereo menestrello celtico poteva farsi desiderare senza mai tirarlo fuori con nessuna? “Tu sei una bestia!” Se gli facevo tanto schifo perché continuava a cercarmi? “Ti meriti di rimanere solo come un cane” Usava le identiche parole di mia madre per colpirmi, ma nonostante litigassimo continuamente su tutto, alla fine ci perdonavamo sempre.

“Con me hai chiuso” Quella volta faceva sul serio perché la storia di Dodo lo stava mettendo davanti a una verità sconvolgente. “Tu hai il cuore nelle mutande” E allora avrebbe dovuto smetterla di ravanarci dentro. “Sei proprio una grandissima testa di cazzo!” Frequentando delle sessualità già mature, avevo perso la sensibilità propria a un erotismo ancora in formazione. “Non rivolgermi più la parola” Sottovalutai la sua incazzatura. “Addio per sempre!” No, non fu per sempre, però alla mia cresima non ci venne e mi tolse il saluto per un sacco di tempo. “Era ora che te lo sciacquavi dai coglioni” Ghignò soddisfatto Carmelo, quando fu libero di venire a casa mia senza rischiare d’incontrarlo. “Toni è una pettegola” Sottolineò Lidia ed era vero, però mi mancava lo stesso. “A che servono gli amici?” Io non lo sapevo a cosa servivano perché non ci facevo niente della loro compagnia in piazza. Avevo bisogno di trovare qualcuno quando rientravo in quella casa vuota e nessuno mi aveva mai dedicato tanto tempo quanto Toni. L’improvvisa solitudine mi gettò nel panico e per trovare conforto, divenni come una fiera affamata pronta ad azzannare l’affetto di chiunque.

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Durante i preparativi della festa per la Cresima, ritrovai delle amabili abitudini che mi avvicinarono di nuovo al forno di Romoletto. Mamma aveva sempre lavorato dal Sor Peppone per fare i dolci durante le feste comandate, quindi fu naturale che per il rinfresco si rivolgesse a loro. Fin da bambino era sempre stata una festa scoprire che stava in bottega perché al ritorno da scuola andavo a mangiare alla trattoria della Sora Gina. Seduti alla tavolata, ci trovavo Angela con tutti i figli di Romoletto e spesso anche Nando si fermava con noi, la Sora Gina si dannava per farci stare fermi. In realtà fu una delusione costatare anche quella volta che il passato non si ritrova mai. La grande tavolata dei miei ricordi si era rimpicciolita. Sergej, Dimitri e Nando avevano iniziato a lavorare e anche Angela non c’era più.

Con Juri non c’eravamo più parlati dopo lo scorno avuto per il suo ributtante compagno di pippa. “Me lo regali l’apparecchio dei denti che t’hanno levato?” All’uscita da scuola gli avevo chiesto di fare la pace, ma durante il cammino verso casa se n’era rimasto sempre con lo sguardo nascosto tra i piedi. “Scemo, c’aveva quello fisso” Apriva bocca solo per rintuzzare Nikita. “Mimmo, dopo resti pe’ gioca’ a figurine?” A tavola mi lanciò una frecciatina. “Che non ce lo sai che il principino se la fa solo coi borghesi” La storia del principino me la rinfacciavano apposta per mandarmi fuori dai gangheri. “Piglia foco chi c’ha la coda de paglia” Intanto era mia madre che lavorava nel suo forno comunista. “Ma sta zitto che stai sempre a vantatte dell’amici tua” Era Vanni quello che si vantava e non io. “E perché tu co’ chi esci?” Che c’entrava ora con chi uscivo?

Solo Nikita pareva ricordarsi dei nostri pomeriggi trascorsi nel vicolo. “A me nun me va de gioca’ a nomi, cose, animali e città!” Juri aveva sempre preferito i giochi con carta e penna e anche a me non dispiacevano, ma escludevano Nikita perché perdeva sempre. “Città con la effe Fichenze, animale con la ti topolona” Dopo mangiato salimmo in camera e Nikita iniziò a fare il guastatore come suo solito. “Piantatela de fa comunella” Oramai conoscevo a memoria il campionario di nomi, cose e città da scrivere per ogni lettera dell’alfabeto. “E allora che famo?” Gli attimi di giovinezza cadevano a rallentatore nello stagno di quel pomeriggio. “C’ho ancora ‘na giustifica pe’ Storia” Brandelli di conversazione annegavano nella noia. “Allora secondo te i dinosauri erano alieni rettiliani?” Dalla finestra della camera di Juri, mi sembrava di guardare la Roma di un quadro ottocentesco. “Ve va de parla’ zozzo?” Se fossimo stati soli, Nikita ed io saremmo già scesi nel magazzino della farina.

“Ma sta zitto, sei proprio ‘na pappola” Nikita iniziò a raccontare di presunte fidanzate e anch’io credevo che fosse una spacconata. “Annamo a fa le zozzerie sopra al palazzo tuo” Lo presi sul serio solo quando nominò il ben noto locale serbatoi. “Marinella e Mary” Lo convinsi a sussurrarmi all’orecchio il nome segreto delle sue fidanzate. “Se levano pure le mutandine” Dopo aver visto dove riponevo le chiavi del locale serbatoi, le due infingarde erano tornate a prenderle per usarle per conto loro. “C’hanno pure i peli!” Ci rimasi male nello scoprire che mi avevano tagliato fuori, preferendo farsi titillare da quel moccioso di Nikita. “Se fanno mette pure il dito nel culo!” Aveva ragione Juri e Nikita era un grandissimo racconta balle. “Quanto ce scommetti che è vero?” Neanche un soldo, ben sapendo quanto fossero allupate quelle due matte.

 “A Mimmo, me lo misuri?” Io da piccolo avevo la fissa dell’altezza, Nikita invece era totalmente concentrato sulla misura del suo pisellino. “Siete pervertiti” Avevo disegnato due assi cartesiani su cui annotavo data e millimetri. “Aspetta che me lo ingrillo” Era da qualche mese che non aggiornavamo il grafico, ma la linea ascendente non si era impennata come sperava Nikita. “Giuro che m’era diventato grosso quasi come il tuo!” Mi voleva dare a credere che il pastorello davanti a due fighe aveva ricevuto il tanto agognato miracolo? “E vabbe’, però so’ sempre quasi quattro centimetri!” Alla fine barai stirandogli il prepuzio. “Tu non ce capisci proprio niente” Juri pareva essere invidioso dei progressi erotici del fratellino. “Diglielo a sto scemo come se dice” Avevo definito «sviluppo potenziale» l’escamotage statistico che gli avevo applicato. “Quanti centimetri mancano pe’ famme le seghe?” Con Nikita trascorrevo il tempo a rispondere alle sue curiosità, che poi erano sempre le solite, ma come ogni bambino adorava sentirsi ripetere la stessa favola.

“Ma statte zitto che te fai ancora le pippe col dito al culo” Juri temeva che gli iniziasse a sgocciolare, per questo motivo non gli piaceva il gioco del parlare zozzo. “Sempre meglio de pisciasse nel letto” Juri si difendeva da quell’infamia appellandosi al precetto medico. “Perché me sto a piglià la medicina” La masturbazione era un gesto virile cui non ci si poteva sottrarre. “Allora femmelo vede’ come te le fai” In quella comunità di maschi tirarsi una sega era come soddisfare qualsiasi altra necessità fisiologica. “I froci se segano tra de loro” La ritrosia di Juri lo faceva diventare un bersaglio. “Tra fratelli se pò fa” In deroga a questa legge famigliare era stato incluso prima Nando che poi aveva coinvolto me e a mia volta lo avevo fatto con Nikita. “Tu fai le seghe a Dimitri” Iniziarono a rinfacciarsi le pratiche ritenute infamanti. “Io però non le faccio le pompe” Il rilancio di Nikita provocò una delle crisi nevrotiche di Juri. “T’ammazzo!” Si azzuffarono dandosele di brutto e il più piccolo ne uscì con le ossa rotte, fuggendo via frignando.

“E tu che c’hai da guarda?” Niente, ma piglia fuoco solo chi ha la coda di paglia. “Mettemose a fa matematica che è meglio” E perché? Avevo già svolto gli esercizi anche per lui. “Grazie!” Ora che c’eravamo liberati dello gnomo, poteva fare di più per sdebitarsi. “Ma non te facevo schifo?” Sapeva bene perché gli avevo tolto il saluto. “Se n’era accorto da solo” Cercò di spiegare com’erano andate le cose, ma non mi rispondeva quando insistevo nel sapere il motivo di quel ricatto. “Non te lo posso di’” Se voleva i miei esercizi di matematica, avrebbe dovuto sbottonarsi di più. “Te posso fa ‘na sega se me li dai” A casa di Juri, le seghe parevano essere una comune merce di scambio. “A Mimmo, t’ho detto che non se po’ dì e basta” E vada per la sega, ma avrei continuato a indagare su quel segreto. “Metti l’asciugamano sopra al letto” Era la prima volta che venivo preso a parte di quei riti tra fratelli. “Quella se chiama Manola e questa Federica” Mi disse indicando prima la mia mano sinistra e poi con un gesto eloquente il suo pugno destro.

“Lavatelo prima” Casa di Juri era di quelle con un unico bagno striminzito ricavato da un balconcino, così aveva in camera una toletta di ferro battuto con bacile e brocca dell’acqua. “Che c’hai?” Juri aveva in mano il tubetto in alluminio del sapone da barba. “Non te va più?” Era tutto così impersonale che pareva stessi dal medico. “Te vergogni?” Non aveva neanche bloccato la porta con la sedia incastrata sotto la maniglia. “Tanto che ce vo?” Più di quanto pensasse perché in quel modo non mi sarebbe mai venuto duro. “Raccontamose le zozzerie” Sì, potevamo provare in quel modo. “Giada t’ha fatto tocca’ le zizze?” Il seno di Giada era il sogno erotico di tutta la scuola. “Scommetto che te ce sei fatto pure ‘na spagnoletta” Non volevo condividere delle intimità che sarebbero potute diventare pericolosi pettegolezzi. “Che c’è, non te fidi?” Perché avrei dovuto farlo, se era la stessa ragione per cui mi aveva lasciato nelle mani di quel lardoso ricattatore del suo amichetto?

“Te posso di’ ‘n altro segreto” Accettai lo scambio perché mi avrebbe comunque rivelato di che genere di mistero stavamo parlando. “Vanni se fa le seghe co’ Marcello” L’avevo capito da solo quello che accadeva durante la partitella della domenica.  “Vanni è proprio ‘no stronzo” Gli avevo chiesto il motivo per cui aveva smesso anche lui di andare a giocare a pallone a Castel Sant’Angelo, ma al solito Juri si schiuse in un silenzio tombale. “E dai, non fa lo scemo!” Dovevo scuoterlo e ci azzuffammo così che quel contatto fisico ci coinvolgesse in un’empatia muscolare. “Tu sei come loro” Loro chi e perché? “Voi solo fallo pe’ poi sparlanne in giro” Sapeva che non era vero. Quello era un modo sibillino per dirmi cos’era successo con Vanni? “No, non me va e basta!” Perché non voleva farsi toccare? “Non lo faccio più coi maschi” Tra di noi poteva ben valere la regola della fratellanza, No? “Lo voi capi sì o no che non posso!” Mi faceva arrapare troppo quando cercava di nascondere lo sguardo ferito sotto un cipiglio.

“E piantala!” Ma Sì, meglio non impegolarsi con i suoi stupidi complessi d’inferiorità. “A ‘ndo vai?” Avevo versato dell’acqua nel bacile per sciacquarmi le palle oramai incrostate da tutta quella schiuma da barba rinsecchita. “E i compiti?” Non so come funzionasse a casa sua, ma il sottoscritto non la pagava una marchetta lasciata a metà. “Te lo dico se me li dai” Che altro dovevo sapere che non avessi già dedotto da solo. “Vanni se fa le seghe col dito al culo” Sai che novità e poi la malizia con cui lo disse m’indispettì ancora di più. “E allora lui che dice che so’ frocio?” Perché avrebbe dovuto dire una roba del genere? “Pure a lui glie piaceva a fa’ incularella” Però Juri eiaculava in quel modo e questo lo aveva compromesso. “Solo i froci godono col culo” Era forse questo il segreto con cui lo ricattavano? “Tutta colpa de mi fratello” Dimitri prima di scoprire le gioie della figa, s’inculava in batteria lui e Vanni. “Pure er dottore ha detto che me devo cura’” Che c’entrava la spermatorrea con la sodomia? “C’ho paura de diventa’ frocio” Non dipendeva dal suo culo se era così stupido. “Io so’ normale, capito?” Non doveva dirlo a me. “Quelli come te so’ tutti pervertiti” Poteva pure sputarmi addosso tutte le sue certezze, se questo lo faceva sentire più normale, ma era con il suo culo che doveva fare pace. “Vattene!” Mavaamorìaammazzato, perché non imparavo a starmene alla larga dai complessati come lui?

“Sta facendo i compiti, ma sali pure” Avevo bisogno di conferme e giunto davanti al portone di casa, il diavolo citofonò a casa di Mary. “Ciao” No, Mary stava solo fingendo di studiare seduta alla scrivania, ma sotto il quaderno teneva uno dei suoi romanzetti Harmony. “Mi aiuti con gli esercizi d’inglese?” La sua media scolastica era pessima quanto quella di Juri. “Chi te l’ha detto?” Le chiesi se era stata quell’intrigante di Marinella a tirarla dentro la storia con Nikita. “Dopo le rimettiamo apposto”Si spaventò quando le accusai di trafugare le chiavi dal gabbiotto della portineria. “Io preferisco te” Ero salito da lei proprio per ascoltare queste parole. “No, adesso, No!” A Mary piaceva sentire la pressione di un assedio che le infiammava il sangue. “Non possiamo!” Anche in quel momento stava fremendo per l’imminente resa cui l’avrei costretta. “Aspetta!” Qualsiasi cosa fosse quello che ci attraeva, a noi stava bene così. “Ah!” Adoravo l’opulenza sensuale che traboccava dal suo corpo. “Facciamolo” La costringeva ogni volta ad arrendersi al gustoso salasso del mio avido morso.

“Fai che tu sei il cavaliere, come si chiamava?” Lancillotto. “E lei?” Ginevra e il Re cornuto era Artù ... ma non c’era tempo per i giochi di ruolo e non ci stavo con la testa per declamare frasi galanti in medievalese. “Vuoi che te lo succhio?” Sì, mi andava benissimo una ciucciatina al volo. “Sai di menta!” Era il mentolo del sapone da barba. “E’ buono!” Se lo diceva lei ... basta che faceva in fretta perché temevo che la madre potesse entrare da un momento all’altro. “... ” Guardarla era persino più eccitante del suo risucchio. “... ” Aveva tirato sopra la gonna e si stringeva la mano tra le cosce. “... ” Continuavo a masturbarmi da solo quando cedeva agli ansimi sofferti di un orgasmo impellente. “Continua!” Le piaceva troppo farsi strizzare i seni ed io strabuzzavo gli occhi a vederle le mutandine impregnarsi di umori ... “Momo, ceni con noi?”Cazzo! Trattenni lo schizzo mentre la madre stava per entrare e continuai a colare nelle mutande mentre mi stava parlando. “Ti senti bene?” Chissà che faccia avevo fatto perché la madre si ricomposte il corpetto della vestaglia.

“Ci lasci in pace che stiamo finendo gli esercizi d’inglese?” Oramai io avevo bello che finito da solo. “Fammelo vedere” Il guazzetto in cui mi stavano galleggiando le palle? “Mi piace il profumo muschiato del maschio” Mary parlava come le eroine dei suoi romanzi quando si masturbava e venne annusando le mie mutande. “Me le regali?” Cosa! “... ” Arrossì per l’audacia della sua richiesta, anche se di me non aveva più vergogna. “Eccola, sbrigati!” ‘fanculo, l’avevo messa a far da palo sulla porta mentre mi tiravo via i pantaloni per darle gli slip e si divertiva a farmi scherzi da prete. “Quando ci rivediamo?” L’indomani mattina prima di entrare a scuola per darle gli esercizi d’inglese svolti. “Ma io dicevo qui a casa” Mary aveva bisogno di un fedele Re Artù che le dedicasse tutto il suo tempo e non potevo essere io. “Preferisco Lancillotto” E Nikita? “...” Mary mi rispose facendo spallucce e io feci sparire le chiavi del locale serbatoi dalla bacheca della portineria.

Rientrato a casa, fui preso dallo sconforto di quel silenzio tombale e calai la puntina sul solco dei Depeche. “I stand still stepping on the shady street” Perché non riuscivo a camminare sulla retta via comune a tutti gli altri? “Complicated, circulating ... New Life, New Life” Non mi veniva naturale attenermi ai precetti sessuali dei prestampati romantici. “Operating, generating ... New Life, New Life” Seppure fosse esistito quell’amore che mi avrebbe dovuto chiarire ogni dubbio, non sarebbe stato diverso dagli altri affetti che scorrono via insieme al tempo. “So the time to will pass more slowly” Dovevo trattenere un attimo di felicità e farlo durare per sempre, ma per quanto ci volessi credere che la speranza diventasse acqua per nutrire quel fiore reciso, questo finiva per avvizzire nell’ombra scheletrica di un cimitero di memorie. “So the question answers nowere” Non c’era romanticismo nel pavimento che mi sosteneva, nelle mura che mi proteggevano dal freddo o nel timor di Dio delle imponenti cattedrali, tutto era impastato nel sacrificio delle passioni tratte via dalla voluttà transitoria del tempo e squadrate in solidi mattoni dallo scalpellino delle virtù. “And the road just leads to nowere”  Avrei dovuto riporre il mio fiore reciso tra quelle ammalianti lapidi per commemorare il sacrificio di un sentimento edificante? “New Life New Life” La mia titubanza rischiava di sfaldare la malta che teneva ancora insieme la mia famiglia. “New Life New Life” Lo compresi solo allora il valore della festa che mi stavano organizzando, quello era il momento in cui avrei dovuto accettare che l’illusione fosse reale anche per me ... New Life New Life New Life New Life New Life ...

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Spoiler

Ok, con il prossimo contributo dovrei completare la pubblicazione degli appunti estivi ... sto in deroga a tutti gli appuntamenti con la vita e devo sbrigarmi! 

E niente, qui ci sono degli episodi che descrivono meglio i personaggi che poi sono la chiave di lettura essenziale affinché i capitoli si possano leggere come dei racconti assestanti. Non mi dilungo oltre perché le guide alla lettura servono un po' come alle barzellette che non si sanno raccontare bene.

Per il mercatino della mirabilia ... beh, c'è ovviamente Vicius di Lou Reed! Il pezzo è del 1973 ma questo album fu così importante che segnò la cultura pop di tutto il decennio successivo ... 

Per il costume e società ora non mi viene in mente nulla da mostrare ... la prossima volta razione doppia;)

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Le Rondini

 

Quando da bambino sbirciavo Nando giocare nel vicolo, la mia identità erotica rilasciava nell’aria una sorta di ultrasuono che faceva vibrare per simpatia il suo diapason emozionale e d’improvviso si voltava verso di me, anche quando non poteva vedermi. Che cosa produce una tensione capace di rilasciare vibrazioni? Forse è generata dalla particolare oscillazione che forma il nostro Sfero Erotico? Di certo esiste solo questo particolare effetto simpatico che sfugge alla nostra ragione cosciente. Entriamo dunque nell’ambito della sinapsi limbica e quindi la libido sarebbe in grado di alterarne la modulazione di frequenza. La stessa individualità del gusto sensuale ne sarebbe influenzata. Che cosa accadrebbe se questa vibrazione dell’identità erotica esprimesse un’antinomia dell’Io cosciente razionale, calatoci addosso con la veste virtuale dei modelli educativi?

Vivendo la mia prima infanzia in completa solitudine, volgevo lo sguardo in fondo al vicolo e attraverso l’osservazione, la mia feconda dualità catturava delle spore iniziando a fiorire. Con il senno di poi, posso individuare l’origine di quel vento che spirava dalla direzione del magazzino della farina del Sor Peppone. Si trattava di un particolare tipo di fratellanza tra maschi che poi conobbi quando Nando rispose al mio misterioso richiamo, scalando il balconcino della cucina di casa. Lui ne aveva già regolata una con Sergej e m’insegnò per gioco quei gesti intimi che li univano, senza però esprimermi della particolare affettività. Furono gli abbracci di Nikita a introdurmi nel soppalco del magazzino della farina. L’erotismo tra maschi si esprimeva prima in una dimensione sociale, solo in seguito potevano coagularsi dei rapporti di tipo esclusivo dagli aspetti più indecifrabili.

Quando andai con Dante a montare il nuovo televisore a colori che il Sor Peppone mi aveva commissionato per l’imminente mondiale di calcio, Romoletto m’invitò a guardare le partite con loro, ma io rifiutai perché in quella casa avevo sempre avvertito delle vibrazioni che mi spaventavano. Preferii vedere la mitica finale Italia – Germania sullo schermo venti pollici in bianco e nero della comare Nella e poi andai a festeggiare la vittoria con Carmelo e Dante. Noi eravamo sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda e stando insieme era come se il piacere trasmesso dai baluginanti colori della festa si amplificasse. Era impossibile trattenere quella gioia che traboccava dai nostri corpi in esagitati schiamazzi, scorazzando intorno a Piazza Venezia con la bandiera dell’Italia mentre cercavamo di raggiungere il delirio generale sporgendoci dalla cappottina e dai finestrini del cinquino. Dopo partii per il ritiro delle gare di canottaggio e con queste tornò a calarmi sopra la veste dell’Io cosciente. Le affilate virtù mi costringevano a circoscrivere il divertimento della festa appena vissuta, secondo la foggia di un costume finalizzato all’affermazione sociale.

Alle gare riuscii ad agguantare un secondo posto e anche se tutti dissero che era un ottimo esordio agonistico, avevo perso la possibilità di entrare nell’equipaggio dell’otto. “Deve farsi le ossa” Primo era troppo orgoglioso di sedere nel gruppo del presidente e sapevo che lo avrei deluso se non fossi riuscito a mettere la prua davanti a tutti. “Gli manca ancora qualcosa” Appena superata la linea di arrivo, lo cercai sugli spalti con lo sguardo ... non avevo ancora capito come mi ero piazzato, ma sapevo di aver perso perché a nessuno importava di me. “Complimenti, hai ottenuto quello che volevi” Primo era convinto che avessi perso di proposito perché Zeno gli aveva riferito la mia intenzione di abbandonare il canottaggio. “Il migliore vince e tutti l’altri glie baciano il culo, chiaro?” Cercai di spiegare che non avevo perso di proposito però ci rimediai solo un’altra ramanzina sul mio scarso senso agonistico. Che fosse la particolare vibrazione percepita durante la festa a formare un’antinomia del piacere razionale, restituendomi sul palato un gusto amaro dell’acclamato successo pubblico?

“Chiama mamma perché io non posso starti appresso” Primo mi scodellò in paese da Angela, ma lei non voleva avermi tra i piedi ed io volevo tornare a Roma. “Evelina si ferma a dormi’ dal martedì al giovedì” Mamma era in partenza come ausiliaria in Africa e organizzò tutto affinché me la cavassi da solo. “Poi vai a sta’ dalla Comare Nella, ma i panni sporchi li porti a Evelina” La Comare non poteva affaticarsi per via dei suoi problemi alla schiena. “Pe’ soldi e bollette chiedi a tu sorella” In finale presi a fare come mi pareva. “Tu dormi al posto de Dante e lui se aggiusta co’ me” Nel basso della Comare c’era penuria di letti ed io avrei preferito sistemarmi come sempre con Carmelo che dormiva nella rimessa del carretto. “Ma che semo matti, capace che te prendi qualche malanno!” La Comare non volle sentire ragioni e spodestò il figlio dal divano letto della cucina. “A Mimmo, strignete che non me va de anda’ a dormì con que’a scureggiona de mi madre” Finii per dividere il letto con Dante e fu così che le insidiose lumache oscure della libido iniziarono a strisciare le loro appiccicose emozioni tra di noi.

Le correnti di deriva della baia famigliare mi conducevano verso casa del Sor Peppone. “Noi de’ Rione Quinto Ponte semo gagliardi e forti” Mi pareva un porto franco dove trovar riparo e anche quando rientrai dalle gare, loro accolsero con entusiasmo la notizia della mia medaglia. “Questa è una vittoria del proletariato” Romoletto al solito esagerò con la sua retorica politicizzante. “Un figlio del popolo vince sempre du’ volte perché non c’ha santi in paradiso” Ero arrivato solo secondo e senza l’intercessione dell’avvocato Lollo non avrei mai avuto un barchino per gareggiare. “La collettività rende onore ai figli dei compagni” Ogni punto di vista coglie la sua verità e per Romoletto mia madre era una proletaria che combatteva gli effetti dell’imperialismo americano in Africa. “Questa l’incorniciamo” Al Sor Peppone vennero i lucciconi agli occhi quando gli regalai la mia medaglia e mi costrinse a indossarla per una foto di gruppo da appendere in bottega ... erano questi gesti che mi avevano sempre fatto entrare in sintonia con la loro particolare affettività di gruppo.

Riuscii a entrare nella loro comunità per la particolare propensione di Sergej a formare coaguli affettivi, che si succedevano escludendo di volta in volta le vecchie fratellanze. Si era allontanato anche dal fratello quando gli aveva preferito Nando, che però accantonava appena s’invaghiva di qualche ragazzina. Nando si consolava salendo in casa mia, invece Dimitri lo sostituì con il fratello più piccolo. Io ero convalescente quando Vanni cominciò a scendere da solo nel vicolo e mi accorsi dello sbocciare di una fratellanza tra lui e Juri quando questa proseguì anche a scuola, però non mi avvidi del ruolo che vi svolgeva Dimitri. Posso solo supporre come si svolsero i fatti dagli indizi raccolti dopo che la loro piccola confraternita si era già sciolta. Tutto si svolse mentre io ero coinvolto nei giochi delle ragazzine e poi conobbi Nikita, ricominciando da capo un sentiero erotico che loro avevano già percorso.

La «pippa col dito al culo» era una pratica che appresi essere piuttosto comune tra i ragazzini durante la fase prepuberale, cioè quando il processo ormonale attivava il piacere della carne anticipando dei genitali ancora acerbi. E fu proprio in quinta elementare che Juri e Vanni abilitarono sessualmente la loro fratellanza, migrando assieme verso la partitella domenicale dove, in qualche modo, la sessualità più consapevole di Dimitri e Marcello li coinvolse in una confraternita di ragazzini più grandi. Furono dunque rotti a un genere di sensualità superiore che li condusse dritti alla loro prima eiaculazione. Da questo momento Vanni mi escluse dalla sua vita e l’affetto amicale che ci univa divenne sterile, consumandosi in fretta per dei rancori che fino a quel momento avevamo superato attraverso le nuove esperienze in comune. Mi avvidi della fratellanza che aveva intrecciato con Marcello, ma non del fatto che per realizzarla aveva allontanato meschinamente Juri dalla partitella della domenica.

Nello stesso periodo, Sergej si fidanzò con una compagna di terza media, figlia unica e con un padre in cerca proprio di un ragazzo volenteroso cui trasmettere la sua professione di tornitore, il che lo fece accasare prematuramente togliendolo dal suo ambiente famigliare. Dimitri rimase solo e cercò di fare lo stesso con Lalla, ma s’imbatté nel diniego di Zia Pina. Al contrario del rapporto convenzionale di Sergej, Dimitri scoprì con la sensualità disinvolta di Lalla, quanto le femmine desiderassero del suo corpo. Imparò a curare di più il suo aspetto e per esempio, si lasciava crescere un ricciolo sbarazzino che gli cadeva sulla fronte, portava sempre la camicia aperta fuori dai jeans e indossava magliettine attillate, mentre Sergej si rasava i capelli per non doverli pettinare e si cambiava i vestiti solo quando erano sporchi. Dimitri divenne un tombeur de femme e al contrario del fratello, preferiva volare di fiore in fiore, traendo soddisfazione dalla conquista sessuale piuttosto di usare il proprio desiderio allo scopo di stabilire una corrispondenza affettiva duratura.

A quel punto la loro piccola confraternita non esisteva più. Tra tutti quanti, Nando fu quello che rimase tagliato completamente fuori a causa di una particolare libido che lo isolava. Dopo che se ne andò a imparare il mestiere nel forno del Sor Peppone, la sua quotidianità andò fuori sincrono con quella dei coetanei. Fu allora che Nando ricominciò a scalare il mio balconcino. Evelina usava lasciare la porta finestra della cucina abboccata e lui s’intrufolava in casa quando non c’era nessuno. “Mica t’ho rubato niente” Mangiava dal mio frigorifero, guardava la mie riviste e poi si lavava usando le mie cose. “Non me va de sta a casa da solo” Allora perché veniva nella mia quando non c’ero, curandosi poi di non lasciare traccia del suo passaggio? “Non te voglio dà fastidio” S’intrufolava nella casa della gente per usare gli oggetti personali di chi aveva su di lui un qualche ascendente affettivo. “Non faccio male a nessuno” Romoletto era stato costretto a mettere una grata alla finestra interna della corte del forno per impedirgli d’intrufolarsi in casa sua. “Volevo dormi’ pure io insieme a loro” Così andava a coricarsi nei loro letti ... “Davero ce posso veni’!” Poteva pure rovistare tra le mie cose o farsi una sega usando il mio bagnoschiuma, se questo lo avrebbe tenuto lontano dai guai. “T’ho visto l’altro giorno co’ Mary” Ecco, gli proibii invece di spiarmi ... ma temo che il divieto rese ancora più seducenti le sue inclinazioni voyeuristiche.

“A Dimitri, sicuro che non c’è sta ‘n posto pure pe’ me?” La televisione annunciava il fine settimana del bollino rosso per le partenze vacanziere. “Il camper è pieno” Quel giorno Dimitri si era offerto di cucinarmi da pranzo per trascorrere l’ultimo pomeriggio d’estate insieme. “Almeno lasciame lo scooter pe’ anda’ a Ostia” Dimitri era in partenza per il campeggio con lo Zio Remo, io invece avrei trascorso il Ferragosto con Romoletto e così Carmelo sarebbe rimasto solo in città. “Lo scooter mio non se tocca” Da quando gli avevo fatto da palo con Lalla, Dimitri mi aveva continuato a chiedere di reggergli il gioco con le signore che corteggiava in bottega. “Datte da fa’ colla vedova Bigozzi, c’ha casa a Ladispoli e quella senza merlo non ce sa sta” Lui aveva una predilezione per le donne sposate e le ragazze degli amici. “Mica so come te che me piaciono le vecchie” A Dimitri lo eccitava mettere le corna a chiunque. “E certo, tu preferisci quelle col pisello” Quest’abitudine aveva finito per fargli tabula rasa attorno.

“Senti chi parla, uno che se fa le seghe a guarda’ la madre” Io fui così sciocco da presentargli Lidia e non si sa a chi dei due venne prima la voglia di farmi becco. “Almeno io non me lo faccio butta’ in culo” Dimitri mi venne dietro al Dark Angel, dove rischiò le botte da un cameriere quando lo pizzicò nei bagni con la sua fidanzata. “Ma sta zitto, sto suca minchia” Poi se la fece con Katty e fu tutta la comitiva di Campo de’ Fiori a scoparsi lui. “Il più maiale de tutti è Mimmo” Non serbare pregiudizi erotici e con una casa a disposizione per sperimentarli tutti, aveva sparso in giro questa diceria. “Semo i Tre Piccoli Porcellini!” In realtà eravamo solo tre sfigati e non era vero neanche che fossimo amici. “Mimmo mi sa che oggi ancora non se l’è presa la pasticchetta” Dimitri era solo un cinghialopode che aveva imparato a usare il bel faccino per soddisfare i suoi istinti da porco. “A Dimitri, certo che tu nun sputi mai per terra” Come con le femmine, usava la fratellanza solo per svuotarsi le palle.

“Siete du’ rosiconi perché il sottoscritto se ne va a scopa’ in Versilia” Pensava solo a quello. “E a che dovrei pensa’?” Era una muffa con l’unico intinto di riprodursi. “Aoh, ma chi è quello!” I tre porcellini non sapevano di essere in realtà i Fantastici Quattro. “Acchiappalo!” Potevo capire la sorpresa di Carmelo, però Dimitri lo conosceva bene Nando. “Non lo fa scappa’!” Invece era lui che lo braccava con più foga. “Che stavi a fa’... brutto zozzone!” Mi faceva una gran pena, chiuso in un angolo del corridoio a prendersi certi schiaffi in testa. “Ma chi è?” Era Nando, porca miseria! “Sto maniaco ... dillo che stavi a fa” Invece di rientrare a casa sua, si era andato coricare nel mio letto e quando si svegliò, ci aveva trovato a pranzare in cucina. “Pervertito!” Io non lo so che caspita aveva potuto combinare Nando in casa di Romoletto per meritarsi un simile disprezzo. “Questo s’infila a casa tua e lo difendi pure!” Certo che sarebbe stato meglio se avesse fatto come tutti gli altri che suonavano il campanello prima di venire a fare i loro comodi, però io gli volevo bene lo stesso e doveva piantarla d’insultarlo in quel modo.

“Me fa schifo!” Dimitri era come Juri che per sentirsi normale doveva dare del pervertito a qualcuno. “Ma che me stai a paragona’ a sto zozzone?” Non era lui quello che s’intrufolava nei letti d’ignari mariti? “Ma che c’entra?” Certo che lo faceva per scoparsi le mogli e questo rientrava in un fine razionale, mentre Nando non aveva il permesso di nessuno per violare un’alcova. “A scemo, quelle zozze me mettono er tappeto rosso per famme entra’ a casa loro” Nando era stato costretto a rubare l’affetto per così tanto tempo, che probabilmente la sua libido lo costringeva a ripetere quel gesto.  “Se non lo cacci, me ne vado io” Dimitri voleva impormi la sua etica del peccato. “Guarda che se la gente s’accorge che lo fai entra’...” Ecco l’ostracismo per chi non si conforma alla norma. “A Dimitri, lascia sta ‘sto poraccio” Ogni identità erotica apparirebbe perversa, se fosse esibita senza un fine razionale condiviso. “A Dimitri, me stai a fa’ gira’ le palle pure a me” Quando anche Carmelo gli intimò di smetterla e doveva scegliere se andarsene o rimanere, comprese che ci veniva anche lui a casa mia perché non poteva essere se stesso in nessun altro luogo. “C’hai ragione tu, Mimmo, semo ‘na manica de perdenti” Già, perché non si può vincere nessuna partita, senza prima aver accettato le regole del gioco.

 

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La pubertà innescò nel mio corpo un mutamento radicale. Crescevo di giorno in giorno e pareva che non dovessi fermarmi più. Il sole estivo incrementò la trasformazione e già quando tornai dalla colonia estiva, avevo guadagnato altri quattro o cinque centimetri e un numero di scarpe in più. Durante le gare di canottaggio, forse a causa degli allenamenti, oltre che a continuare a crescere, divenni anche robusto e con certe spalle che mi accorciavano le maniche delle magliette. Il mondo intorno a me andava restringendosi a vista d’occhio insieme a tutti i miei costosi vestiti, che andai a rivendere per scambiarli con roba nuova e anche questo contribuì a far trapelare la mia identità erotica sulla pelle del mio Io cosciente. Tanto che non riuscivo più a riconoscermi nel ricordo di me serbato nello sguardo delle persone.

Avevo imparato presto a cavarmela da solo grazie agli insegnamenti di quella maestra di vita che era stata la Zia Pina, che mi aveva lasciato in eredità tutti i suoi contatti e fu la cosa più naturale del mondo usarli per pagarmi quanto mi serviva senza sottostare al permesso di nessuno. Tuttavia, le fisime che mi perseguitavano fin da bambino, quelle non se ne andarono via e superarle era la cosa più difficile, anche se si trattava di robe apparentemente sceme ... tipo andarmi a comprare le mutande da solo. Tutti abbiamo le nostre pudicizie … molti s'imbarazzano a comprare la carta igienica e solitamente si preferisce acquistare i preservativi da un distributore automatico. Io, invece, mi vergognavo di comprare le mutande. Rimandai il più possibile, ma oramai l’elastico degli slip mi stringeva al punto da levarmi la circolazione sanguigna! Cercai dunque di affiancare quella necessità a un altro genere di acquisto e in quel momento avevo bisogno anche di un paio di costumi da bagno nuovi. Quando però mi ritrovai a girare a vuoto intorno alle vetrine dei negozi, compresi che gli slip da bagno somigliano troppo a delle mutande.

Ero appena tornato dalle competizioni agonistiche quando la biancheria intima non mi saliva più oltre il ginocchio. Mi vidi costretto a chiedere aiuto a Carmelo ... per evitare la cattiveria dei suoi sfottò, feci cadere il discorso sul bisogno di trovare dei costumi da bagno a buon mercato in qualche grande magazzino. Lui disse subito che conosceva il posto giusto e organizzò per andarci assieme. Ci rimasi con un palmo di naso quando all’appuntamento del giorno dopo si presentò con Mattia. Certo che avevamo approfondito la nostra conoscenza durante il ritiro sportivo, ma da qui ad avere la confidenza per andare a comprarci delle mutande assieme ce ne passava. Lui era fin troppo espansivo e ogni volta che mi coinvolgeva in qualcuna delle sue grasse risate, mi tornavano in mente tutti gli ammonimenti di Toni, riguardo al fatto che Mattia non faceva mai nulla senza aver premeditato un secondo fine.  Come se tutto questo non bastasse già a intimidirmi, attraversammo la città per andare nell'ingrosso di abbigliamento dove mai e poi mai sarei entrato.

Per fortuna alla cassa non c'era chi volevo evitare d'incontrare e cominciammo a gironzolare per gli stand. Mattia aveva la fissa per i costumi della Speedo e mentre me ne parlava e parlava, ancora e ancora ... io facevo cadere furtivamente qualche scatola di mutante nel mio cestino. "Ma che ti metti sta roba!" Ti pare che Mattia non mettesse becco nei miei acquisti? “Porca vacca!” In effetti, nel cestino c'era caduta della roba proprio imbarazzante e soprattutto avevo esagerato con delle taglie troppo grandi. “Ti piace questo?” Mi scelse lui dei boxer strafichissimi, ma al solito non tirava giù nulla che non costasse uno sproposito. “Prendi pure questo” Alla fine glielo dissi che avevamo largamente superato il mio budget, ma lui di tutta risposta andò a pigliarmi il costume della Puma a bande larghe bianconere che mi ero fatto girare per le mani senza trovare il coraggio di prenderlo. "Andiamo a provarceli" Cosa! Io manco credevo possibile che si potessero provare quel genere di acquisti. Mattia fece un cenno a Carmelo e ci avviammo in un camerino separato dagli altri. Stava in un angolo e aveva una pesante tenda al posto di una rassicurante porta e questo già non me lo faceva gradire.

Mattia c’entrò senza tirarsi la tenda dietro, quando lo vidi calarsi i pantaloni, lo feci io per lui ... Dopo qualche istante, riaprì la tenda e mi chiese come gli stava un costumino Speedo nero. "Bello" dico io e lui, come nulla fosse, se ne andò a passeggiare tra le corsie degli stand per guardarsi in quegli specchi tondi che si usavano per controllare i furti. Dopo essersi rimirato sotto lo sguardo attonito dei clienti del negozio, se ne tornò insoddisfatto e stringendosi il pacco in una mano mi fa "Naaa, il nero sfina", quindi rientrò nel camerino ed io là a richiudergli la tenda dietro. Giusto il tempo di cambiarsi e rifece lo stesso defilé con indosso un altro Speedo, ma stavolta arancione. Quando ritornò, sghignazzava esibendo una poderosa erezione nel costume … gli era diventato duro per il fatto di andare in mezzo alle corsie del negozio mezzo nudo? Non ebbi il tempo di capirlo perché mi tirò dentro il camerino con lui. "Avanti, provati la roba che hai scelto" Il camerino era abbastanza grande per entrambi, certo che non avrei dovuto avere pudori, tuttavia era diverso denudarsi in uno spogliatoio sportivo dal farlo tet-a-tete nel camerino di un negozio … il contesto conta, no? "Dai, provati quello che ti piace tanto" E va bene, mi tirai su quello della Puma e mi piaceva, cioè mi stava da Dio! Mattia mi guardò con sospetto e poi nicchiò uno stentato "Non ti sta male". Solo che dopo mi spintonò fuori dal camerino e mi ritrovai mezzo nudo tra la gente!

Lui non poteva capire perché reagii in maniera esagerata al suo scherzo. "Almeno provati l'altra roba" Mi dispiaceva perché pareva che lo stessi giudicando, però avevo lo stesso intenzione di andarmene via subito da quel negozio ... purtroppo non ebbi il tempo neanche di rivestirmi che di punto in bianco la tenda si spalancò facendomi venire un colpo. Era Carmelo che animato da una fretta indemoniata, tirò al centro del camerino lo sgabello e ci salì sopra calandosi la tuta a metà coscia. "C'è sta Chicca!" Chi era Chicca aveva poca importanza perché fui subito preso dalla sua proboscide che stirava verso il basso con una manualità da massaia con lo stenterello. Il pisello di Carmelo compiva un mezzo miracolo per ingigantirsi e per farlo in breve tempo aveva bisogno di un certo trasporto emotivo, così c’era Mattia che lo sollecitava istigando il suo ego. "Dai, alza sto cazzone" Carmelo si teneva a lui con un braccio, mentre Mattia gli menava degli schiaffi sul sedere ... la parte degli schiaffi mi turbò particolarmente. "Piano che ci sentono!" Gli menai anch'io un paio di poderose manate su quelle sue chiappette sode e Mattia mi redarguì di non far schioccare troppo forte i colpi … però a Carmelo il mio trattamento lo eccitava eccome, a ogni colpo aveva tirato su il fiato tra i denti, guardandomi minaccioso, poi mi afferrò per il collo tirandomi vicino a lui.

Se Carmelo si teneva a noi con entrambi le braccia, chi gli stava tirando la sega? "Brutto porco, sborra!" Era Mattia che con un vigoroso massaggio continuava a stendergli il pene ormai lievitato a dismisura. “Spruzza sta sborra, cazzo!” Ammiravo estasiato attraverso lo specchio gli addominali di Carmelo contrarsi mentre mi tenevo alla sua coscia tornita di puro muscolo per non svenire. “Sto a veni’” Poi lui allontanò bruscamente la mano di Mattia e digrignando i denti, fece un gesto come con una frusta per lanciare il fiotto di sperma contro lo specchio. “AH!” Un solo schizzò ma denso che segnò il vetro dal basso in alto. Appena il cadeau per Chicca fu servito, Carmelo discese dallo sgabello e con Mattia frugarono in fretta nel suo cestino. "Anche questo, prendi" Mattia aveva fatto la spesa anche per lui e Carmelo iniziò a indossarla sotto i pantaloni della tuta. Stavano rubando! Quella storia non mi piaceva e non lo volevo fare … non in quel negozio!

"Pagherai quello che ti puoi permettere, il resto è mancia" Mi disse Mattia. "Non fare lo stronzo!" Continuò, ma io proprio non lo potevo fare ... quei grandi magazzini erano di una cugina di Primo. "Cosa?" Non si trattava di una balla per mascherare la mia codardia, fin da piccolo mi era toccato vestirmi lì dentro, sorbendomi ogni volta i pizzicotti sulle guancie a meletta del cavolo. "Ma perché non lo hai detto prima?" E che ne so … feci spallucce e abbassai lo sguardo. "Hai dei fazzolettini di carta?" Che? "Non vorrai lasciare sto schifo nel negozio di tua zia" Ecco che significa avere un amico più intelligente di te. "Dammelo, te lo porto fuori io" Mattia mi chiese se avevo i soldi per il costume della Puma e senza aspettare che gli rispondessi, mi disse di sfilarlo così se lo sarebbe messo indosso lui per rubarlo. "Tranquillo che esco da solo" Non era per quello … è che in tutto quel trambusto di prima … ecco … mi ero un attimo emozionato … "Che porco!" Non ero venuto, ma solo un po' bagnato … un po' tanto. Mattia trovò la cosa parecchio divertente e sghignazzò in quel suo modo simpaticone prima d'indossare lo stesso il mio costume.

Mentre mi rivestivo, mi accorsi di quanto quella situazione stava eccitando Mattia. “Visto che roba?” Si vantava impudicamente dell’erezione che aveva appena avuto nel mio costume. “Ti piace?” Era umiliante non riuscire a distogliere lo sguardo dal suo pacco. “Lo vuoi sentire?” Come negarlo se era esattamente quello che avevo immaginato per anni collezionando i pacchi dei modelli sul PostalMarket? “Tocca, senti quant’è duro” Lo carezzai e non riuscivo a smettere. “Che puttana che sei!” Avvampai in volto come un fiammifero acceso. "Zitto ... sta zitto che tanto lo so che ti piace" Beh, non so se volessi essere stuprato nel camerino del negozio di zia. “Dillo che ti piace” Mattia mi spinse in un angolo e dopo avermi sbottonato la patta dei jeans, c'infilò dentro il cazzo. “E sta fermo!” Essendo più alto di lui, mi tirava verso il basso, costringendomi a scivolare. “Lo senti come me l’hai fatto venire duro?” Dovevo puntellarmi con i piedi spingendomi contro la parete per non scivolare in terra. “Allora ti piace, porco!” Mi arresi alla sua prepotenza e le ginocchia tremavano mentre lui non voleva sentire ragioni e continuava a premere e ansimare, fino a quando sentii il suo calore umido colarmi sul pube.

"E adesso dillo che non t’è piaciuto” Dopo aver tirato su con il naso un paio di volte, levò la faccia dal mio collo e si rivestì in fretta senza guardarmi. Prima di uscire mi dette un buffetto sulla guancia ma senza proferire parola. Passai dai bagni per darmi una rassettata e mentre cercavo di pulirmi con le salviettine di carta, realizzai che sì, mi era proprio piaciuto! Me lo dissi sul grugno, davanti allo specchio della toletta mentre mi masturbavo sentendo ancora l’impronta del corpo di Mattia sulla pelle. Cercai di sporcare persino lo specchio come avevo visto fare a Carmelo, ma ci voleva più pratica di quanto pensassi. M’infilai sette paia di mutande una sull’altra e alla cassa filai dritto. Gli altri mi stavano aspettando su una panchina del parco, li raggiunsi trattenendo la felicità di un Edmond Dantes al funerale di Gerard de Villefort. Avevo finalmente seppellito quello stupido ragazzino pieno di timor di Dio e quando dissi loro che avevo ancora i soldi e potevamo andarceli a spendere per far bisboccia, Mattia mi saltò addosso festeggiando la mia vittoria ed era bellissimo sentirmi come lui.  

Ce ne restammo in giro fino a sera senza bisogno di cercare altro tipo di compagnia. "Poi non ti lamentare se stai antipatico alle ragazze" Mattia si vantava di aver comprato un regalino sexy per una sua recente conquista e ci stava facendo una testa tanta sul come ci si deve comportare in un rapporto galante. "Ce vole la ciccia, altro che" Se fosse stato vero quello che sosteneva Carmelo, lui avrebbe dovuto avere uno stuolo di donne ai suoi piedi. “Ce vedemo domani?” Salutammo Carmelo a Campo dei Fiori e proseguimmo verso casa mia, allora Mattia riprese il discorso sullo sballo avuto dalla sua ultima conquista amorosa. “E come m’abbracciava mentre glie venivo addosso!”Alla fermata del bus a Piazza della Chiesa Nuova, rimasi a dargli compagnia mentre aspettava il mezzo che lo avrebbe portato fino a Piazzale Clodio. “Pure a te sarebbe piaciuto ... o No?” Concluse quel suo logorroico discorso con una domanda che non colsi subito ... poi mi porse il pacchettino che si era scorazzato per tutto il pomeriggio. "Non lo apri?" Cioè, erano riferite a me tutte le sozzerie porno romantiche che gli erano uscite da bocca? "Aoh, se non lo vuoi, me lo riprendo … con quello che m'è costato!" E non lo sapevo se volevo accettarlo. Era disorientante!

"E apri sto cazzo di regalo!" Era più facile ubbidire che capire e lo aprii. Era un altro costume della Puma, identico a quello che ancora portava sotto i jeans. "Ci faremo un figurone" Senza pensare alle conseguenze, accettai il suo invito per andare in piscina, dove avremmo indossato lo stesso costume strafico a bande bianconere. Chissà a quali stratagemmi ricorse per far sì che quel giorno in piscina insieme a suo padre ci fosse anche Toni. Alla fine l’aveva avuta vinta lui e mi esibì come il suo ennesimo trofeo di caccia. Carmelo era semplicemente stato una sua pedina e del resto non esisteva nessuna Chicca che lavorava nell’ingrosso d’abbigliamento di mia zia. Possibile che avesse finto per tutto il tempo? Eppure avrei giurato che i suoi occhi fossero sinceri! La verità era che mi ero imbattuto in un altro della mia stessa specie, ma molto più capace di me a controllare la sua dualità. Era da molto che mi osservava e quel giorno mi aveva solo permesso di specchiarmi nel suo erotismo metamorfo.

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“Spiegami com’è che t’incontro dappertutto?” Mi disse sul grugno Lidia quando c’incontrammo la prima volta sulla terrazza di Fefè.  “Non farci caso, è una stronza” Lidia poteva considerarsi una sorellastra di Toni. “Assolutamente, No!” Beh, almeno parenti acquisiti. “Lei non è figlia di mio padre, chiaro?” E’ giunto il momento di spiegare la complicata genealogia della famiglia Lollo. Quel gran manzo dell’avvocato aveva avuto una giovinezza piuttosto alternativa, del resto l’aveva trascorsa nei rivoluzionari anni sessanta. Dopo essere stato una giovane promessa del tennis, mollò tutto per entrare in una sorta di ashram dalle parti della tuscia viterbese. La religione però non c’entrava nulla perché il guru era un mecenate inglese che allestiva mostre di arte concettuale; tuttavia, dubito che fosse per il sacro fuoco dell’arte che l’aitante Pier Ferdinando Maria Lollo, già marchesino Scrocchi da Pietradura, decise di spogliarsi dei propri beni per andare a vivere di spiritualità ...

Ora non posso certo testimoniare che genere di vita si conducesse in quella comune, ma l’impressione che si coglieva era di una situazione poliamorosa, immagine che si attagliava parecchio al personaggio del giovane Piffi. In quella comune non era il solo a provenire dall’alta società romana, tanto che la famiglia prese il suo gesto per un capriccio modaiolo e non si aspettavano che decidesse di rimanerci per metter su famiglia con la bellissima Lady Campari. A quel punto c’erano gli interessi famigliari da dover tutelare, prima che quella diversa sensualità celebrasse dei riti riconosciuti legalmente. Fu allora che i Lollo ingaggiarono una battaglia legale in nome del nascituro in arrivo e quale giudice non avrebbe ritenuto insalubre l’ambiente di quella porcilaia di viziosi? Riportarono a casa figlio e nipote, ma non riuscirono a impedire che con loro arrivasse anche Lady Campari ...

Era inconcepibile che una cortigiana di tale risma sedesse alla loro onorata tavola, fu dunque sistemata in un attico di Via Vigna Stelluti, a un passo dalla loro dimora sulla Camilluccia. Le garantirono ogni lusso affinché rimanesse confinata in quella torre d’avorio. Da parte sua, Piffi si ritrovò dottore in legge e maritato a Lory, una pulzella d’estrazione borghese, diplomata in lingue e bon ton nonché moderna donna in carriera che serviva pasticcini sui voli intercontinentali. La povera Lady Campari assisteva inerme alle fortune famigliari del proprio amato, combattuta nel dilemma di buttarsi di sotto dalla torre e fare un piacere a tutti o continuare a vivere da cortigiana accogliendo nel proprio letto quello che rimaneva di un sogno d’amore. Scelse di godere il più possibile della vita condividendola con i vecchi amici artisti. La sua casa divenne un variopinto teatro, di cui però rimase attore principale Piffi che ne fece il centro delle sue relazioni sociali.

Quel proscenio attirava i nuovi ricchi in cerca di affermazione nella Roma degli anni settanta e tra questi c’era anche il padre di Lidia. Ciro era un personaggio in ascesa che però soffriva la zavorra della sua inadeguata famiglia. Come accade a chi ha il potere di cambiare la propria vita, ma non ha una chiara percezione del proprio desiderio, ripeté gli stessi errori da cui cercava di affrancarsi. S’innamorò ancor prima delle grazie di Lady Campari, dell’aura rifulgente che sapeva dare al successo del suo amico Piffi. Esattamente come aveva fatto con la moglie, le riservò il suo focoso fascino partenopeo a base di cazzo e cazzotti, al fine di metterla incinta e legarla a sé per sempre. Ai suoi occhi, per ambire a vestire gli abiti dell’avvocato Lollo, Lady Campari avrebbe dovuto dare anche a lui un erede maschio e quando si vide recapitare l’ennesima femmina, sfanculò amante e figlia per tornarsene dalla sua vecchia giovenca assai meno bizzosa. 

Il maleficio che gravava sulla torre d’avorio non era ancora parco di tanta sventura e la neonata morì misteriosamente nel sonno. L’ennesima traversia fece sfiorire anzitempo Lady Campari e quello stesso appellativo che un tempo le procurava prestigio, divenne motivo di dileggio perché non c’era momento della giornata in cui non tenesse in mano un bicchiere d’alcol. Forse fu per pietas nei suoi confronti che Ciro le affidò Lidia, una delle sue numerose figliolette. Si formò così un tipo di famiglia alternativa fuori dagli schemi di una sessualità regolata a norma di legge. Lidia e Mattia crebbero come fratello e sorella, tant’è che vennero su tali e quali in pregi e difetti. Nei loro racconti si coglieva un’infanzia vissuta in una sorta di Eden, dove fiorivano emozioni dai profumi esotici, almeno fino a quando non sopraggiunse anche Toni che gettò di nuovo nella frustrazione Lady Campari.

L’avvocato commise l’errore di mettere in cinta la legittima moglie perché quel figlio rimetteva in discussione l’asse ereditario del casato. Per il suo bene e quello di Mattia, Piffi abbandonò definitivamente Lady Campari. Forse fu per disincanto che divenne il cinico Avvocato Lollo, un faccendiere capace di arrivare ovunque manovrando le fila dei vizi altrui. Lidia rimase vittima di questa conclusione perché fu rispedita da quell’orco del padre per condividere il triste destino di tutte le sue sorelle. La provvidenziale morte del capofamiglia ridiede forza all’avvocato che lasciò la moglie, ma oramai Lady Campari era completamente vinta dalla sfiducia nel genere umano. I membri di quella casa si trincerarono dietro il rancore che li divideva, ingaggiando una guerra di posizione per rivendicare ciascuno il proprio Eden traviato dalle circostanze. Ogni vittoria arricchiva di un soldo di rancore tutti i vinti e nessuno si rendeva conto che era diventato quello il bottino da spartire.

Con Lidia ci conoscevamo fin da piccoli, anche se poi iniziammo a frequentarci solo dopo che m’iscrissi all’oratorio. “Palle mosce, stammi alla larga” Volermi bene la riempiva di emozioni contrastanti perché a volte le apparivo come la sofferente Lady Campari e in altre, ero identico all’aguzzino che la teneva in ostaggio del suo amore. “Schiarisciti le idee, bello” Quando il suo miglior amico Edo s’invaghì di me, insieme cominciarono a domandarsi cosa fossi. “Marcello è a pezzi per la tua stronzata” Lidia s’infilò anche nel mio tormentato rapporto con Marcello, terminato con il cocktail venefico secondo il più classico dei copioni drammatici. “Con me non devi fingere” Dopo aver picchiato il lardoso amico di Juri, lei non dubitò un solo istante del racconto paraculo fatto da quella checca di Max. “Mi fai pena”Avrebbe voluto ammazzarmi per essere tornato a fare il cavalier servente di Giada, cioè il modello di ragazza che più avversava perché somigliava troppo a tutte le Lory del mondo.

“Adesso te la fai pure con Carmelo!” Ci ritrovammo a frequentare le stesse persone ed era sempre più disorientata dai miei atteggiamenti contraddittori. “I maschi pensano solo a quello” Prima di conoscermi non si era mai avveduta della sua bisessualità. “Le femmine sono stupide come capre” Solo dopo iniziò a riconoscersi nelle mie incertezze. “A me piaceva giocare coi maschi e a te colle femmine” Condividere il ricordo di qualche pomeriggio trascorso nel vicolo, ci permise di guardarci l’uno con gli occhi dell’altra. “Che porche!” Le spiegai i giochi erotici che intrattenevo con le ragazzine. “Ma che maiale!” Mi accorsi che nei suoi sferzanti giudizi si celava un mal sopito interesse per i dettagli più scabrosi. “L’avevo capito che Lalla era una zoccoletta” Trovata la combinazione segreta per accedere al suo erotismo, tra noi iniziò a tessersi un filo d’intimità. “Pure con Pisciotta!” Da quel momento le riservai solo quanto voleva ascoltare. “Non ci credo!” Lidia era depositaria di un eros attivo che sviluppava una potente volontà. “Voglio vederla con i miei occhi” Mi bastò raccontarle di Mary per mandarla in ovulazione e raccolsi subito il suo scetticismo per coinvolgerla.

“Ciao” Il problema era convincere Mary, cui stava molto antipatica Lidia. “Non mi va” Quando le dicevo di scendere da me, arrivava già con le mutandine bagnate ma quella volta la vidi raggelarsi quando si accorse che non ero solo. “Ti prego, non voglio” Il mare di eros passivo contenuto nel suo ventre rendeva volubile ogni sua volontà. “Mi vergogno” Dovevo sacrificarla per far cadere in tentazione Lidia. “Ho paura” Sapevo quanto seducente fosse per lei arrendersi. “Ah!” Le alzai la gonna e abbassai le mutandine dopo averla fatta piegare sul tavolo. “AH!” Conoscevo la sua libido e quell’imposizione sarebbe bastata da sola a farla sciogliere. “...” Quella volta però era Lidia che volevo eccitare e iniziai a sculacciarla. “Oh!” Al primo scrocchio sulla sua natica, Mary trattenne quel gridolino che preludeva sempre un gemito. “Uh!” Al secondo scrocchio, le sue gambe si piegarono stringendosi sulle cosce. “...” La terza pacca sul sedere innescò un fremito che crebbe fino a farla sgocciolare sul pavimento. “No!” Lidia assisteva basita, senza il coraggio d’intervenire. “Ti prego!” Sollevai Mary e divaricandole le gambe, offrii la sua coppa d’ambrosia alla mia ospite.

Come un vampiro che assapora per la prima volta del sangue, Lidia prosciugò avidamente gli orgasmi della sua preda. Quando poi Mary partì per le vacanze estive, iniziò subito a torcersi dalla fame e azzannò Katty, che da parte sua le andava bene chiunque fosse disposto a leccargliela. Fu allora che iniziammo insieme a esplorare i limiti della nostra bisessualità. Lei rincorreva un desiderio superiore ed era sempre convinta di averlo trovato, solo dopo scopriva ogni volta che non le bastava. Rifiutava con disprezzo l’idea che la bisessualità fosse diversa per ognuno di noi e proprio per questo arrivava a odiarmi quando soccombevo alla mutevolezza della mia dualità. La sua insaziabile fame la faceva sempre più somigliare a quei maschi che aveva sempre criticato. Edo mi accusava di traviare i suoi sentimenti, ma io le permettevo solo di specchiarsi nel mio erotismo. Dopo che Veroca iniziò a frequentare regolarmente Campo De’ Fiori, con Lidia formò una specie di fratellanza spartendosi con lei anche l’aria che respirava.

“In che senso devo imparare a fare le uova?” Durante una notte che era ormai quasi alba, con Lidia c’eravamo incontrati casualmente all’inaugurazione di una discoteca. All’epoca ero diventato un nomade e lei mi offrì il suo letto da Veroca. “Perché dovrei diventare una gallina?” Ricordo che teneva in punta al naso gli occhiali da vista ed era molto sexy. “Sei sempre il solito perverso!” No, non le avevo detto quella cosa della gallina perché in quel momento mi stava sopra e pareva proprio che covasse le mie palle. “Vuoi farcire la mia gallinella?” E poi ero io il vizioso. “Ti ammazzerei di baci quando fai il verginello” Mi aveva invitato a leggere la tesina di maturità perché le avevo suggerito delle robe, però una volta nel letto iniziò a parlarmi dei dubbi sul fidanzamento ufficiale con Mattia. “Sbrigati a venire che devo dormire almeno un paio d’ore prima dell’esame” Dovevo parlare, trombare e pure sbrigarmi a venire? “ E dai, lo sai che mi piace ascoltarti” Doveva riuscire ad addormentarsi con della cocaina in circolo, ecco perché voleva ascoltare le mie soporifere teorie. “La tua voce ...” Le facevo l’effetto del Valium, specie dopo aver scaricato i suoi umori vaginali ... ma sì, piaceva anche me coccolarla mentre si abbandonava all’abbraccio di Morfeo.

Le avrei voluto spiegare che non bastava avere delle piume per dire che tutti gli uccelli erano uguali e quelli come noi non erano capaci di sopravvivere ai rigori invernali. Ora che aveva trovato ricovero nel cuore di qualcuno, doveva solo badare a restare con i piedi per terra per razzolare affinché dimenticasse di avere delle ali che l’avrebbero fatta soccombere all’istinto migratorio. Un uccello stanziale si nutre di quotidianità e scandisce la propria esistenza con le stagioni della vita. Per lei ogni giorno sarebbe stato un uovo che si schiudeva per donarsi alla comunità del suo pollaio. Era un destino diverso da quello di una rondine che trascorreva la vita rincorrendo la primavera. Erano uccelli come lo eravamo noi che andavano cozzando contro la gabbia della nostra giovinezza, in cerca di un destino capace di spiegarci chi fossimo veramente. Lidia si era addormentata e non ascoltò mai la mia strampalata teoria, ma del resto neanche io all’epoca sapevo ancora di essere una rondine ...

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“Oggi se schiatta dal caldo!” Agosto si aprì con l’attentato alla Stazione di Bologna dei terroristi neri e si chiuse con la Strage di Salerno per mano di quelli rossi. “Che vita de merda!” Carmelo e il resto dei romani si preoccupava solo di come abbandonare la canicola della città. “Vorrei sape’ che gli ho fatto” Era impensierito dal comportamento di Mattia che se n’era andato senza neanche salutarlo, dopo averlo lasciato a casa anche durante il ritiro estivo della squadra di pallanuoto. “Se dev’esse accorto de Veroca” Carmelo mi fece il terzo grado per essere certo che non mi fossi lasciato scappare qualcosa sulla sua storia d’amore. “Tu non lo conosci a Mattia” Beh, grazie a lui avevo avuto anch’io un assaggio delle sue astuzie. “Adesso che te ne vai pure tu ... ” Per il vero non mi sentivo in colpa di lasciarlo solo in città. “Sicuro che non ce sta un posto?” Non mi era passato neanche per l’anticamera del cervello di portarlo con me a Nettuno.

A dargli compagnia sarebbero rimaste le immancabili lamentele della nonna. “M’ero raccomandata de mette i ceci a mollo colla calce” Guai farle mancare i ceci da tostare che insieme al vino erano la medicina contro ogni suo malanno. “Te possino ammazza’!” Il caldo la rendeva insofferente e ce ne tenevamo alla larga chiudendoci nella rimessa del carretto. “Finisce che l’accappotto a sta imbriaca” Le spesse mura di tufo ci davano ricovero dalla calura e anche Dante, quando tornava da lavoro, ci raggiungeva prima ancora di entrare in casa. “A Zi, perché non ce famo un po’ de mare a Ostia Beach?”  Quelle erano le ultime ore d’estate che trascorrevo a casa dalla Comare. “In fatti ce vado co’ l’amici mia e tu rimani a mette la calce  ai ceci della vecchia” Rispose laconico Dante mentre espirava una zaffata di marijuana. “Vorrei sape’ che v’ho fatto a tutti pe’ esse trattato come ‘n cane!” Mi piaceva l’odore della tinta da parati che aveva addosso ed era troppo bello starmene sdraiato con la testa sulle sue gambe, la musica di Lou Reed sul piatto del giradischi e lui che mi concedeva di tanto in tanto una tirata di maria mentre mi arricciolava distrattamente i capelli.

«Vicius, You hit me with a flower …»

“E se te venissi a trova’ a Nettuno?” Mi disse Dante prima di andarsi a lavare via la fatica di dosso. “Lascia sta, ho già capito tutto” Il problema era che Romoletto disapprovava il loro stile di vita e aveva da ridire anche sulla libertà che mi davano. «La chioccia fa l’uovo e non il pulcino» La Comare non si sentiva responsabile delle azioni del figlio o del nipote e quindi neanche delle mie. «Al Re non far sapere della Regina» Lei era compiacente con le debolezze altrui come lo era con le sue. «Non mettere il cane nel pollaio e il maiale nell’orto» Si trattava di un comportamento che le proveniva da un fatalismo atavico, secondo cui le virtù non si potevano inculcare e i vizi innati andavano solo ben gestiti. «Il soldo fa sempre peccato quando non cade nella saccoccia del prete» Alla Comare andava bene anche la mia ambiguità sessuale, da cui traeva profitto nella misura di quanto l’avesse assecondata segretamente.  

«Vicius, you want me to hit you with a stick …»

“Ammazzate aoh, me fa quasi pena quel recchione de mi Zio” Sfilai a Dante la sua bustina di marijuana per continuare la serata con Carmelo. “Che dici de fumaccela col bong?” Trascorrendo molto tempo insieme, Carmelo pensava di guardare il mio stesso orizzonte, finendo per dare la ragione dei suoi scopi al mio punto di vista poliedrico. “Tu sei una grandissima zoccola” Credeva quindi che mi prostituissi con lo scopo di procurarmi lo stesso genere di piacere per cui lo faceva anche lui. “Ma che vor di’ de che colore so’ i camaleonti?” Tutti pensano che siano verdi perché è la regola che abbiano un solo colore. “Stai proprio fori come ‘n balcone” Loro possono assumere qualsiasi tonalità quindi i camaleonti non hanno colore. “A Matto, te s’è intrecciato er cervello!”  L’urlo di Carmelo fece diventare tutto così assurdamente esilarante, che fui travolto da un'improvvisa euforia e quando la puntina sul vinile iniziò a graffiare le note di Vicius, saltai in piedi sul divano letto e iniziai a saltare, cantare e spogliarmi, fingendo di suonare una chitarra immaginaria …

«But all I've got's a guitar pick …»

Credo che sulle prime Carmelo tentasse di contenere quella mia follia, ma poi ne rimase contagiato e condividerla fu ancora più divertente …

«Oh baby, you are so vicius …»

Eravamo felici come se ci fossimo appena innamorati uno dell’altro, ma poi Carmelo cercò di afferrare quel momento per trarlo via dall’acciottolarsi degli attimi di vita e ci ritrovammo di nuovo a guardare un mondo di colore diverso. Da fuori giunse la voce d’oltretomba di qualche zombi che si lamentava del chiasso … Carmelo gli urlò parole che ascoltai solo nel loro accento stridente, poi corse ad alzare la puntina dal disco e l'incanto divenne solo un ricordo alla deriva.

Quando si rimaneva soli, Carmelo iniziava a raccontarmi dei ricordi che trovava scritti tra le zaffate di fumo aleggianti a mezz’aria. Erano per lo più cicatrici che il passato ancora recente gli aveva lasciato sull’anima. Lui era cresciuto a San Basilio che era una borgata romana venuta su con l’edilizia popolare post bellica, talmente essenziale da degradarsi rapidamente insieme al popolino chi vi abitava. “Mi padre è metà de niente pieno de niente” Suo padre era un fruttarolo figlio di NN e i suoceri che avrebbero preteso per la figlia diplomata un partito migliore, lo accettarono solo molto tempo dopo che la Comare se li era messi in casa a seguito di una fuitina d’amore. “Mi madre invece è ‘na stronza diplomata” Fu la giovane sposina in rotta con la suocera che convinse il marito a lasciare il banco della verdura. “A casa mia ha sempre comannato mi nonno” Il padre scaricava la propria frustrazione sui figli. “Mi frate c’ha visto giusto” Quando il fratello maggiore riuscì ad arruolarsi nell’arma dei carabinieri, il padre si sentì ulteriormente umiliato dal successo del figlio e iniziò a guardare Carmelo come un rivale. “Quel bastardo me diceva che ero nano” Oltre alle cinghiate, iniziò anche a schernirlo per la sua esile statura.

“Pe’ lei esiste solo mi frate piccolo” La madre non ebbe mai particolari riguardi per Carmelo ed era invece innamorata del figlio più piccolo, di cui era molto orgogliosa dei successi scolastici. “A casa se fa tutto pe’ lui” Carmelo, prima dell'arrivo del terzo maschietto, dormiva insieme al fratello più grande in uno stanzino pieno di barattoli di conserve varie. “Ce semo appuzzati de muffa là dentro” Quando però il fratello maggiore uscì di casa e a quello più piccolo serviva una scrivania per studiare, le conserve finirono in cantina e Carmelo invece fu messo a dormire sulla piccola branda di un mobile a libreria. “Me trattano come ‘n handicappato” Da allora coricarsi fu sempre un problema a causa del gabinetto in fondo al corridoio. “Co’ quel piscione de mi nonno che faceva avanti e indietro tutta la notte” Senza una porta da frapporre tra lui e il mondo, la sua privacy fu azzerata nel momento in cui ne avrebbe avuto più bisogno. “Pe’ famme ‘na pippa dovevo scrive al papa!” Tuttavia, la sua condizione era comune a tutte le famiglie del quartiere e anche gli altri ragazzini vivevano la propria sfera privata sul muretto sotto casa.

“Ce facevano pure le messe nere!” Tra i ragazzini riecheggiavano le storie paurose provenienti dalle rovine di uno scheletro di cemento armato che nessuno ricordava più cosa sarebbe dovuto diventare. “Noi ce annavamo pe’ gioca’ a pallone” Vicino al rudere c’era un campo di sterpaglie usato per improvvisate partitelle di calcio. “La attorno ce giravano i zozzoni” Gli adulti che si aggiravano nel rudere si fermavano a guardarli giocare. “Io me credevo che annavano a piscia’” Durante le partitelle c’era sempre qualcuno che si sfilava dal campo di gioco. “Poi ho cominciato pur’io a famme le pippe” I ragazzini si appartavano tra quelle rovine per soddisfare la loro intimità. “I zozzoni ce venivano appresso per guardacce” Gli spettatori delle partitelle li adocchiavano per seguirli discretamente quando ne vedevano qualcuno defilarsi. Era così che nello scheletro di cemento armato i ragazzini incrociavano dei sentieri erotici già battuti, sui quali rischiavano di perdersi nell’eclissi di una libido spettrale.

“Dopo eravamo noi a sceglieli” Alcuni di questi adulti sapevano ricambiare quell’intimità con un affetto particolare. “Sto tizio era pure amico de papà” Carmelo si era affezionato a un signore che lo copriva di attenzioni. “Al baretto suo glie scroccavo sempre i soldi” Gli piaceva farsi toccare da lui perché era come una carezza che lo faceva diventare indispensabile. “C’aveva sto cane che pareva ‘n orso” Spesso giocava col suo cane che portava a passeggiare. “Non poi capi’ quanto ce so rimasto male” Di punto in bianco il tizio non lo seguì più quando gli faceva cenno durante la partitella e prese ad andare dietro agli altri ragazzini. “Quei bavosi m’hanno fatto ‘n imboscata” Carmelo cercò le stesse attenzioni con ognuno di quei signori. “Non riuscivo a scappa’” La disinvoltura con cui pretendeva i servigi di quegli uomini, stuzzicò il loro interesse. “Piovevano schiaffi da tutte le parti” Fu messo in mezzo tra sberleffi e scappellotti, fin quando gli arrivò un man rovescio che lo tramortì. “Non c’ho capito più niente” Si ritrovò piegato su un muretto con i pantaloncini da calcio a metà coscia e poi sentì sulla pelle nuda l’umidità ammuffita dentro il vecchio rudere. “Lo so che è strano, ma non m’ha fatto male” Uno di loro lo sodomizzò mentre gli altri restarono a guardare. “C’avevo solo paura de resta’ da solo là dentro” Improvvisamente le ombre del rudere parvero nascondere dei fantasmi ben più minacciosi degli orchi che aveva avuto la sfortuna d’incontrare. “Dopo, era come se non fosse successo niente” Nascose tutto sotto l’accogliente tepore delle mutandine e se ne tornò a casa a guardare la televisione per il resto della giornata.

“Da qualunque parte andavo, alla fine i piedi me portavano sempre là dentro” Carmelo non era il primo a finire sotto e come tutti gli altri continuò ad avventurarsi nel rudere. “Se te lo facevi mette dentro troppe volte, finivi pe’ sculetta’” Tra «I pupi» vigevano delle regole di ordine etico per circoscrivere quel tipo di piacere infamante. “Inghiotti’ lo sburro te faceva veni’ la voce da frocio” Era la seducente sconfitta che spingeva Carmelo a spostare sempre più in alto l’asticella dell’umiliazione. “Non conveniva a nessuno mettese a parla’” C’era un incantesimo posto sul confine dello scheletro di cemento armato che tratteneva ogni vergogna. “So’ stato proprio stupido!” Carmelo ruppe inconsapevolmente quella tacita ipocrisia quando tornò ad accettare i favori del tizio del baretto. “Glie piaceva sbatteme mentre giocavo ai videogiochi” All’occhio del popolo non sfuggì quella serranda del bar che si abbassava e rialzava giusto il tempo di far entrare e uscire Carmelo. “M’hanno cominciato a chiama’ Chiappetta” Rimase vittima dello stesso sdegno riservato agli alcolisti quando iniziano a ubriacarsi pubblicamente. 

 “Me so’ innamorato de’ sto transone” Quel genere di erotismo perse ogni appeal su di lui. “A volte stavamo solo abbracciati” Fecero invece breccia nel suo cuore le attenzioni di un travestito che batteva in un camper. “Era lei che me trovava i clienti” Lo scopo razionale della prostituzione gli restituiva la dignità perché esibire quel denaro diventava una vittoria sui propri aguzzini. “M’hanno cacciato de casa” Quando neanche le cinghiate del padre lo trattenevano più, lo allontanarono, sistemandolo a casa della Comare Nella. “Qua stamo a tutto ‘n altro livello” Agli occhi di Carmelo non ci volle molto a notare il movimento intorno alla terrazza di Fefè e gli bastò agganciarlo per entrare nel giro. “Se ce sai fa’ arrivi da per tutto” Sulla bacheca degli annunci del Centro Estetico, tra i volantini delle scuole di portamento o dei corsi di teatro, c’erano i composit fotografici di chi voleva conquistare la grande bellezza romana. “Col talento che c’ho, posso svolta’” S’inforcava sulla puntina un primo piano del volto, ma sul retro c’era l’immancabile foto in topless per le ragazze e in costume da bagno per i ragazzi.

“Me fanno ride quelli che se danno arie da artisti” In genere, era proprio l’audacia delle foto poste sul retro del composit ad attirare i PR dei locali. “Io il talento lo porto nelle mutande” Il suo enorme talento gli procurò anche l’amicizia di Mattia. “Io non so’ nato colla camicia” Chi partiva da zero doveva sfruttare ogni possibilità che aveva a disposizione e questo spesso significava approfittarsi delle fortune altrui. “Lui m’ha cambiato la vita” Conoscere Mattia gli permise di riconquistare la spensieratezza di un adolescente che studia e si diverte, e quei due si divertirono come pazzi a riconoscersi ognuno nelle debolezze dell’altro. “Te giuro che a volte me fa paura” Mattia aveva fagocitato l’eros spregiudicato di Carmelo, elevandolo all’ennesima potenza con tutte le opportunità che la sua posizione sociale poteva offrire. “Io non lo capisco più” Carmelo era però legato a una particolare libido e non poteva diventare qualcosa di diverso come invece stava facendo Mattia. “Tu non sai che po’ arriva’ a fa” Mattia non riusciva a sopportare l’abbandono e la relativa perdita d’interesse nei suoi riguardi. “Sto arriva’ a odiallo” Era capace di architettare tali raggiri da imbrigliarti in una tela di ragno e piuttosto di lasciarti andare, ti avrebbe ammazzato.

“Aoh, scemo … non sto a scherzà!” Quella sera Carmelo mi fece la proposta di diventare amici come lo era con Mattia … e non capii cosa stesse significando nei fatti quel paragone. “La capoccia mia colle conoscenze tue ... ” Ancora con la storia del Principino? “Te faccio vede’ come se svolta” Che ci fai con i soldi se poi non sai cosa comprarci. “Aoh, mica t’ho chiesto de sposamme” Forse mi parlava dello spirito di affermazione che Primo mi rimproverava di non avere? “Dimme almeno se semo amici” In quel momento volevo solo uscire da quel buco e gli proposi una birra a Campo de’ Fiori. “Ciao, matto ... ” Non tornammo più sull’argomento e qualche ora dopo ci salutammo davanti all’ingresso della corte della Comare. “Aoh ... non fa che sparisci!” Quand’ero già sull’incrocio della Strada del Pellegrino, dove Via dei Cappellari piega leggermente obliandosi nelle sue tetre oscurità, ascoltai il sopraggiungere di una corsa scavezzacollo che lanciava i suoi passi su per le pareti dei palazzi a strapiombo come fossero sassate. Fu un bello spavento, tanto che ero certo si trattasse del Diavolo ... invece era Carmelo che mi rincorse saltandomi addosso e alla fine di un tira e molla di sfottò, ci salutammo di nuovo ma stavolta lui ci aggiunse una raccomandazione che mi lasciò perplesso. “Non fa che sparisci” Si era accorto che l’estate stava per finire e con l’autunno le rondini sarebbero ripartite ...

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  • 1 month later...
Spoiler

Questo è un piccolo nucleo narrativo che continua a rimbalzarmi tra le dita senza mai riuscire a trovare la posizione congeniale dove cadere. Decido d'inserirlo qui perché altrimenti finirebbe alla fine di questa sezione, andando dunque di nuovo posticipato. 

Si tratta di una storia marginale ma che trovo comunque importante per spiegare la complessità del protagonista. Tratta dei figli del disonore che nel costume meschinamente cattolico del patriarcato italiano sono stati tenuti a margine della società fino ad appena un paio di anni fa, quando alla legge Letta che li equiparava a tutti gli effetti a dei figli legittimi, risposero i soliti Adinolfi di turno evocando una sorta di legalizzazione dell'incesto (Lo disse la Binetti).

In Irlanda e ora anche in Scozia, sono state rinvenute delle vere e proprie fosse comuni negli orfanotrofi, dove scomparivano questi poveri bambini/e. Qui da noi non si è mai fatta chiarezza su come funzionavano gli Istituti di Carità che li accoglievano incassando ricchi oboli dai benefattori. Ci volle Gioacchino Murat per impedire che a questi sfortunati italiani disconosciuti, venisse impresso lo stigma di un cognome riconoscibile tipo Esposito o Proietti, poi diventati cognomi di fantasia altrettanto riconoscibili come Pregadio o Laudadio. Sempre meglio della marchiatura a fuoco che era in uso ancora prima! 

Oggi la questione è tutt'altro che risolta e la destra identitaria italiana continua a premere su questo tasto del riconoscimento dei figli illegittimi, in cui secondo loro non rientrano, oltre alla prole adottata specie quella extracomunitaria, neanche i bambini nati con l'inseminazione eterologa che a loro dire sarebbero bastardi come quegli altri nati fuori dal tradizionale matrimonio cattolico. 

Ovviamente io racconto solo delle piccole storie inerenti al racconto generale e sfioro solamente questa triste e antica realtà e mi piacerebbe far capire quanta fortuna si dà per scontata nascendo nei crismi di una famiglia omologata e allo stesso tempo come questi privilegi siano invece dolorosamente negati con troppa leggerezza ...

I Figli del Disonore

Prima Parte

Quando incontrai Evelina, mi accorsi subito del segreto celato nell’acquiescenza dei suoi grossi occhi tondi. Guardava il mondo da una realtà al cui confronto ogni tristezza pareva darle conforto. Riannodai pazientemente le smagliature sull’arazzo del suo passato, tirandole via dalla pelle i dolorosi punti d’imbastitura di quel vestito da sposa che l’aveva uccisa. Come la storia di ogni fantasma, la sua sventura era il riflesso di una verità negata. Evelina c’era stata raccomandata dalla Sora Gina e conservava tra le sue cose una medaglietta di bronzo con l’immagine dell’Annunziata, esattamente come tante altre che avevo già visto in un cassetto nel soppalco del magazzino della farina del Sor Peppone ...  

Ogni oggetto custodito da Evelina possedeva una storia che lo impreziosiva. Lei me le raccontava intonando la lingua arcaica dai toni coloriti propria dei bassi napoletani. Quando ripose nella mia mano la sua medaglietta, mi sfiorò prima le palpebre con le dita dalle nocche gelide affinché non violassi la pudicizia di quel gesto. Non compresi subito il valore del prezioso gioiello, allora lei m’indicò l’iscrizione sul rovescio della medaglietta. C’era il suo nome preceduto da un numero e si trattava in pratica del solo documento che la attestava ancora in vita. Evelina proveniva dalla Rota degli Esposti di Napoli e quello era il codice che un tempo s’imprimeva con un marchio a fuoco sul piedino degli orfanelli. Aveva trascorso l’infanzia pregando la Madonna dell’Annunziata affinché ispirasse il voto a una famiglia che la accogliesse in casa. I maschietti erano avviati a un mestiere, ma alle femminucce era preclusa l’indipendenza economica e dovevano sperare solo nella clemenza di chi le prendeva a servizio o nell’interesse di un marito, che trovasse conveniente l’umile dote di cui l’Istituto di Carità le muniva.

Uno scoiattolino come Evelina non aveva molte speranze di essere scelta per lavorare in cambio di vitto e alloggio, però il suo incarnato esile fiorì con la grazia del Bucaneve dopo il lungo inverno, catturando l’attenzione di un benefattore giunto in Istituto per adottare dei fanciulli da avviare al mestiere del panificatore. Evelina varcò così il confino dell’orfanotrofio e il giorno che giunse a Roma, il mondo parve talmente grande da farle venire una vertigine di spavento. Il sogno di aver trovato una famiglia s’infranse sulla montagna di biancheria sporca ammucchiata nel sottotetto del forno del suo benefattore. L’unico calore ad accoglierla fu il fumo della carbonella usata per i ferri da stiro che rendeva l’aria irrespirabile. Il forno lo mandavano avanti le braccia degli Esposti tolti dall’orfanotrofio che dormivano nel magazzino della farina, sorvegliati a vista dalla stanza del soppalco mentre le ragazze, di numero inferiore, erano recluse nel sottotetto a fare le lavandaie.

Nonostante il ferreo controllo, c’era sempre qualche ragazza che finiva misteriosamente con la «pagnotta in forno» e allora erano portate ad abortire in un bordello di Via Cimarra. Le poverine non campavano allungo e allora scomparivano senza destare troppa curiosità perché più di qualcuna riusciva anche a scappare. L’unico modo di sottrarsi a loro triste destino era infatti convincere un ragazzo del magazzino della farina a fuggire insieme. Per questo motivo erano tenute sottochiave e controllate con una fitta rete di pettegolezzi, di cui la Sora Gina seppe farsi delatrice, conquistando così la fiducia del Padrone. Era lei il loro kapò e le governava dalla cucina dei Signori, in cui era la custode delle chiavi della dispensa, un potere che le permetteva di affamarle.

Cesira era un’altra orfanella educata per stare a servizio e viveva in casa con i Signori. Io la conoscevo bene perché abitava ancora col Sor Peppone. Nonostante l’età era ancora una bella donna e immagino che all’epoca avesse già imparato a trarre vantaggio dalla propria avvenenza. Ogni volta che il Padrone portava una ragazzetta per i suoi comodi, Cesira aveva il tacito compito di ammansirla allo scopo di farle accettare le sue attenzioni. Si finse dunque amica di Evelina facendole da mentore, ma lei era particolarmente sprovveduta e il Padrone si stancò di aspettare, così una notte che rincasò alquanto avvinazzato, salì nei lavatoi e Cesira trattenne la ragazzina con una mano sulla bocca mentre lui deflorava il suo fiore. Il Padrone tornò anche la sera successiva e quella dopo ancora, pareva proprio non saziarsi mai di quell’animella sparuta e quando lei si ammalò tanto da non riuscire più a sollevare il ferro da stiro, se la portò a servizio in casa.  Da quel momento Cesira divenne la sua peggior nemica e faceva di tutto per metterla in cattiva luce con la Signora. Evelina sopportava ogni genere di angheria pur di non tornare nel purgatorio del sottotetto e accettò di buon grado anche le visite notturne del Padrone.

Lui si era invaghito e quando la rivale tentò di deturparla fingendo un incidente con una padella d’olio bollente, non esitò a difenderla spedendo Cesira a lavorare nella pasticceria. Il giorno stesso, Evelina fu ricevuta dal Padrone per avere in custodia le chiavi della porta di servizio, usata per andare a fare le commissioni. Appena il tempo di prendere in mano le preziose chiavi di quella piccola liberà, lui gli menò un tale schiaffo da sbatterla in terra e poi continuò a prenderla a calci fino a farle implorare pietà. Minacciò di farla scomparire se solo avesse pensato di scappare e quindi la abbandonò sul pavimento. La soccorse Gina ma non per rincuorarla bensì per ammonirla ulteriormente affinché imparasse a tenere la bocca chiusa col Padrone. Solo dopo aver ripreso i sensi, Evelina si avvide che nella stanza era giunta anche la figura altera della Signora. La ragazzina le abbozzò una riverenza, ma quella le volse le spalle con dispetto, scomparendo insieme al fruscio inamidato delle sottovesti. Il favore ricevuto del Padrone rese Evelina una seria minaccia per la Signora che nascondeva la vergogna di essere sterile. Dopo ogni incontro con il Padrone, al mattino le faceva portare da Gina un intruglio che le procurava crampi lancinanti, al fine di espellere ogni possibile embrione dal suo ventre.

Intanto l’Italia fascista occupava l’Albania e il Padrone ricevette dal partito un importante incarico nel protettorato. Ogni volta che lo vedeva partire, Evelina temeva che la Signora ordinasse di farla scomparire, com’era accaduto alla ragazza cui aveva tolto i gemelli per iscriverli all’anagrafe come i suoi figli legittimi. Il coraggio della paura la spinse a tentare l’azzardo di rimanere in cinta con la speranza che il Padrone le permettesse di diventare la madre dei suoi figli. La Signora svenne dal dolore a sapere di quella nuova sciagura e poi urlò con suo marito per convincerlo a disfarsi della prole bastarda, ma lui di tutta risposta la offese davanti alla servitù dandole della «canna vuota». Fu chiamato invece un medico che dopo averla visitata, accompagnò Evelina in montagna, dove l’avrebbe fatta partorire. Il Padrone era intenzionato a ripetere quanto aveva fatto per riconoscere la prima coppia di gemelli, però la moglie si opponeva minacciando di denunciare alle autorità anche l’altro imbroglio cui l’aveva già costretta.

Fu così che la Signora si ammalò gravemente di una misteriosa febbre nervosa che la condusse in manicomio. Il provvedimento fu motivato da una ninfomania isterica probabilmente causata dalla sterilità di cui era afflitta. Gli incontri adulterini furono testimoniati da Gina e Cesira, che riferirono dell’irrefrenabile incontinenza sessuale della Signora con tutti i lavoranti del forno. La pazzia della consorte mise al riparo il Padrone sia dal disonore delle corna ricevute, sia da ogni possibile denuncia da parte della moglie. Questo accadde durante il confino di Evelina che rimase all’oscuro di tutto, persino del matrimonio per procura che le fecero firmare. Sposando formalmente uno dei figli legittimi del Padrone, la sua prole sarebbe rimasta tutelata nel proprio diritto di sangue. Il raggiro si concluse con l’atto di morte che attestava la dipartita di Evelina per delle complicazioni durante il parto gemellare. Il documento fu firmato dal medico che l’aveva assistita per tutta la gravidanza e di cui lei aveva imparato a fidarsi cecamente.

Evelina scomparve sepolta viva nella camera di un bordello a Napoli, dov’era confortata dalle saltuarie visite del Padrone che le concedeva di vedere le foto dei suoi gemelli. Lei credeva che quella fosse una sistemazione temporanea perché le era stato detto che la Signora stava per tirare le cuoia in manicomio e dopo la sua morte, avrebbe potuto sposare il Padrone e riavere i propri figli. Invece sopraggiunse la guerra e il Padrone non andò più a farle visita, mancando di pagare la matrona del bordello che la mise a lavorare come tutte le altre. Evelina si ammalò ripetutamente ed ebbe anche un’altra bambina da chissà quale cliente. In fine la sifilide le tolse quel poco di bellezza che le era rimasta e si ritrovò a lavorare a servizio nel bordello dove prima esercitava la professione, ma poi anche quello fu chiuso per legge e non ebbe neanche più un tetto sulla testa. Fu allora che tornò a Roma dov’era iniziato tutto, ma a stento riconosceva quel forno che nella sua memoria di ragazzina ricordava grande come un castello.

Lei era un fantasma senza documenti e brutta com’era diventata, non poteva neanche sperare che qualcuno la riconoscesse. Trascorse un giorno intero davanti alla bottega guardando da lontano quella che a torto o ragione era la sola famiglia che aveva. Poi se ne tornò alla pensione dove stava con la sua bambina, ma non aveva i soldi per restarci un’altra notte, così mise le poche cose nella valigia di cartone e con una manciata di fotografie dei suoi gemelli, si addormentò davanti la saracinesca chiusa della bottega. A riconoscerla fu la Sora Gina che le strappò di mano le fotografie dei figli, promettendo in cambio del suo silenzio quanto aveva bisogno per vivere. Della famiglia del Padrone era rimasto vivo solo Er Sor Peppone, di cui tutti giuravano di ricordarsi una moglie mai esistita. I suoi figli erano ormai ragazzetti e già lavoravano al forno, chiamando papà il fratello maggiore. Non c’era motivo di rivangare il passato, ora che avevano rimesso insieme la bottega e cominciavano a campare bene. La Sora Gina si era sposata con il padrone di una trattoria e Cesira aveva preso in mano le redini di casa ... anche lei avrebbe potuto vivere con loro, ma solo come il fantasma che era diventato.

“A Romole’ e lascialo respira’!” C’era da scommetterci che alla Zia Pina non erano sfuggiti i torbidi trascorsi della famiglia del Sor Peppone. “Ce stai sempre azzeccato come non so che”Gli scorni con Romoletto probabilmente nascevano proprio dal fatto che lui non si spiegava perché si trovavano nella necessità di farle continui favori. “Tu non sai quello che sta a pati’ sto poro figlio” Evelina non possedeva un’etica di vita capace di confrontarsi con le malefatte ricevute, che le apparivano invece come la malasorte riservata a tutte le figlie di nessuno. “Capisce più lui de te” Fui io a individuare per lei i protagonisti della sua sfortuna. “Sto ragazzo c’ha pure troppo giudizio” Usai lo stesso ricatto della Zia per imporre il compenso in grado di scambiare un presente migliore con le pene del passato. “Mimmo è come noi, capito Romole’?” Ero un figlio illegittimo alle prese con la verità nascosta della sua origine disonorata. In sostanza la Sora Gina convenne con quello che mi aveva insegnato la Zia Pina riguardo al maneggiare i segreti: «Sono come la smagliatura di un maglione che quando la cominci a tirare, sfila tutta la trama fino a disfarlo».

Seconda Parte

Le Bave Oscure

Le lumache oscure della libido disegnavano con le loro bave degli indecifrabili arzigogoli tra una riga e l’altra della realtà, affrescando un mondo apparentemente invisibile.  I frammenti di quei ghirigori iniziano solo ora a riannodarsi sulla trama disfatta dal tempo e riguardando i volti sbiaditi ricomposti sulla tela di questo quadro, mi sorprendo a riconoscerci anche il mio.

Quando la Zia Pina lanciava i suoi strali contro il concubinato che diceva essere in uso tra quei comunisti degeneri, li giudicava usando come termine di paragone il peccato circoscritto nei filmini che girava per il marito. L’intuizione razionale non compete all’intelligenza emotiva che si basa sull’esperienza, in tal modo alla Zia sfuggiva ogni libido non pertinente ai vizi e alle virtù di un talamo nuziale.  Il segreto celato era più scabroso del concubinato minacciato di svelarsi e lei ne coglieva solo dei frammenti che poi ricuciva sul modello del proprio peccato, ricavandone l’abito che meglio si attagliava agli scopi delle sue speculazioni.

Gli Esposti erano considerati degli individui destinati a rimanere al margine della società ed era opinione comune che la loro natura malevola si sarebbe riflessa in un comportamento amorale e per questo motivo era disonorevole apparentarsene. A tale scopo gli orfanelli ricevevano la stessa marchiatura a fuoco riservata alle prostitute o ai ladri. Questi bambini affamati di carezze iniziavano a scambiarsele nel buio delle camerate, costruendo affettività anticonvenzionali. Nel forno del Sor Peppone ristagnava quel genere di affettività, di cui si vergognavano perché la loro libido era spesso viziata dalle cicatrici di esperienze traumatiche. Vivevano dunque segregati in una parvenza di normalità che li esponeva al ricatto di chi minacciava di svelare le loro innominabili perversioni.

Era impossibile aspettarsi una consapevolezza capace di raccontarsi perché gli unici valori morali che avevano ricevuto, erano gli stessi che li accusavano senza appello. Un fossile di quelle relazioni oscene lo recuperai sul comò della camera di Cesira. Stava in una cornicetta ovale di onice come fosse la preziosa reliquia conservata in un sacrario. Dietro al vetro c’era l’immagine di una fanciulla con dei capelli crespi, sulla testa si distingueva appena una piccola coroncina fiorita e alle mani giunte in preghiera portava dei guantini bianchi. La minuscola fotografia era attraversata da due cicatrici che la dividevano in quattro parti uguali formando una croce, come se avesse trascorso molto tempo piegata nella tasca di qualcuno. Domandai a Cesira chi si era presa tanta cura di quella tenera immagine, sperando che nella sua testa non si formassero quei pensieri con cui era abituata a mistificare la verità.

Cesira mi guardò con malizia, però sapeva di poter trovare in me un porto franco perché Evelina vi aveva già riparato le sue confidenze. M’invitò a sedermi accanto a lei sul ciglio del letto con il crine del materasso che continuava a cricchiare perché lei andava avanti a dondolarsi con l’immaginetta stretta in grembo, aspettando che delle emozioni sillabassero le parole da pronunciare. Iniziò allestendo una scenografia convenzionale in cui muovere i suoi personaggi quindi mi raccontò della prima comunione e di quanto fosse un evento tanto atteso dalle orfanelle. S’inventò che fu per quell’occasione speciale che Lucia, la ragazzina ritratta nella foto, le chiese di aiutarla a prepararsi. Quel gesto aveva un valore particolare perché in tal modo la ragazzina più grande la stava scegliendo per una sorta di matrimonio di sorellanza. Da quel momento l’avrebbe protetta dalle angherie delle più grandi, sostenuta nei momenti di sconforto e ogni sera avrebbe trovato ricovero nel suo abbraccio materno. Nella commozione che quei ricordi le evocavano, era facile intuire l’intimità che le aveva unite, tanto da rendere ancora sanguinante il lacerante dolore della separazione.

Fin da tenera età, la scaltra Lucia aveva compreso quanto fosse importante mostrarsi docile con le sovraintendenti che iniziarono a mandarla a servizio in casa dei benefattori. Lucia sapeva fare una graziosa riverenza e non perdeva occasione per dimostrare la sua laboriosità, tanto che le famiglie la richiamavano sempre e già ai tempi della prima comunione, lei in istituto ci tornava solo per dormire. Le altre la guardavano con invidia perché ogni sera rincasava con gli avanzi della cucina dei padroni, che lei però divideva solo con la sua protetta. Dopo cominciò a impietosire i benefattori con storie lacrimevoli affinché invitassero anche quel tenero passerotto magro e smunto di Cesira. Usava darle un calcio nello stinco quando doveva compiere la riverenza che le aveva insegnato e si portava dietro uno sgabello per farle raggiungere l’acquaio dei piatti sporchi. Le bacchettate delle sovraintendenti da allora non facevano più male perché loro due condividevano un sogno. Pianificavano continue fughe con i denari ottenuti dai piccoli furtarelli che compivano nelle case dei benefattori, ma erano solo fantasie perché ogni volta spendevano tutto in stupidaggini.

Le ragazzine usavano spesso provarsi gli abiti delle signore prima di stirarli e quando la vanità di Cesira la faceva innamorare di qualche piccolo accessorio, Lucia le diceva «Te lo regalo» anche se poi lo stava rubando. Fu così che un giorno, per ricambiarla delle sue premure, Cesira la costrinse a sedersi per spazzolarle l’indomabile criniera e farsi bella con le sue chincaglierie. Lucia, dopo essersi guardata allo specchio, corse improvvisamente a tirare fuori due soldi di carta da dentro la federa del suo cuscino. «Facciamoci la fotografia» le disse entusiasta con la gioia negli occhi e il giorno stesso la portò nel negozio del fotografo, dove a turno indossarono entrambi la stessa coroncina di fiori e i guantini bianchi. Si misero in posa come le Sante che vedevano appese alle pareti della chiesa, cercando di trattenere le risa per la follia che stavano compiendo. «Così non ti scordi più di me» Disse Lucia quando le chiese di scambiarsi le immaginette.

Cesira era convinta che Lucia già sapesse della sciagura che le sarebbe accaduta da lì a poco. La sua amata sorella scomparve nel nulla e non poteva essere fuggita abbandonandola. Purtroppo capitava spesso che qualche orfanello uscisse dall’orfanotrofio senza farvi ritorno. S’imputava alla loro natura malevola una fuga dall’Istituto che voleva redimerli, pensando che riparassero in quelle corti dei miracoli in cui li ricettavano per farne dei delinquenti. A Cesira s’inumidivano gli occhi ripensando alle disgrazie che erano potute accadere alla sua Lucia perché era diventata una bella ragazzetta, diceva, e i brutti ceffi con cui era solita trafficare la piccola refurtiva avevano iniziato a guardarla con occhi diversi. Nessuno poteva sapere cosa le accadde veramente, ma quel dolore indurì il cuore di Cesira e solo ora che si avviava alla vecchiaia, riusciva forse a capire che aveva messo in conto a tutto il mondo quella sua pena. Ripose la fotografia sul comò prima di cacciarmi via perché aveva da sbrigare certe faccende, probabilmente cercando nel lavoro quell’assoluzione che si era sempre data per ogni malefatta compiuta in vita sua.

Anche sui muri del magazzino della farina avevo scorto alcune iniziali di nome graffiate sui mattoni con una punta di chiodo, allineate come a voler certificare un’unione che il tempo non avrebbe più potuto separare. “Non te ne anda’ subito ... ” Mariano era stato uno di quei ragazzini che poi divenuto mastro fornaio, era rimasto a vivere nella casa del Sor Peppone. Era alto e segaligno con una crapa pelata piccola e un naso così grosso che gli faceva protendere il collo in avanti. “Resta un po’ a facce compagnia” Il suo sorriso stretto tra delle labbra sottili, mi faceva paura nonostante capissi che voleva essere solo gentile. “Dicce qualche storia che leggi sopra ai libri” Mariano sarebbe stato per ore a sentirmi parlare. “Racconta quella dei Tre Moschettieri” Comprava tanti libri, ma dubito che li leggesse perché tra quei titoli si mischiavano romanzetti erotici piuttosto scabrosi a testi tipo una critica ai dialoghi filosofici del Renan, appartenuta a qualche studente di teologia che l’aveva commentata con delle piccole postille scritte con una calligrafia minuta.

“A Mariano, non lo vedi che glie stai a mette paura?” Lo rintuzzava Er Sor Peppone quando mi si tirava tra le gambe lunghe e mi massaggiava la schiena con le sue mani ossute. “Mica me lo magno” La sentivo in un brivido sulla pelle la sua brama di conoscermi fin nell’intimità ed era questo che causava la mia repulsa, facendomi drizzare i capelli in testa prima ancora che mi si avvicinasse. “Pigliatelo che poi me lo venghi a racconta’” I suoi libri me li prendevo, ma dopo non ci tornavo a raccontarglieli, allora lui mi faceva chiamare dal Sor Peppone per dei lavoretti stupidi come cambiare le batterie alla sua radiolina a transistor. “Ammazza, se si bravo a racconta!” Dopo gli riassumevo le storie come fossero delle fiabe con una morale che trionfava sempre sul male. “Quanto me piacerebbe sta dentro a ‘na bella storia” Guardava il mondo con lo sguardo del fanciullo affacciato alla finestra dei suoi vecchi occhi. “Te immagini che poi tu me racconteresti all’altri” Avrei ascoltato volentieri la sua storia, però come Evelina, anche lui non aveva una cognizione chiara del proprio passato ed era forse per questo che i loro occhi non potevano invecchiare.

Non vorrei fare cattivo ufficio alla sua speranza di essere raccontato da me, però la sessualità di Mariano era rimasta ibernata a quando la condivideva con gli altri ragazzini del magazzino della farina. Forse non aveva avuto neanche modo di svilupparla perché Er Sor Peppone lo teneva al guinzaglio e non lo faceva mai allontanare dal forno. Lui non si rendeva conto di essere invecchiato e quando ci vedeva giocare a pallone nel vicolo, proprio non resistiva alla tentazione di gettarsi nella mischia. Chiedeva a gran voce la palla ed era uno spasso vederlo con i gomiti alzati mentre correva tutto dinoccolato, dandosi arie da gran centroavanti. Mi faceva solo delle carinerie, tuttavia non so se lontano dall’occhio vigile del Sor Peppone avrebbe tentato anche un approccio sessuale. Di certo c’è che quel tipo di affratellamento ebbe modo di trasmettersi alle nuove generazioni di garzoni del forno; ad esempio, c’era Simone, un giovane uomo dalla carnagione olivastra, occhi verdi e un sorriso che pareva illuminare di gioia ogni parola che gli usciva da bocca, ebbene, lui era affratellato a Remo e certo che se mi avesse rivolto Simone le stesse attenzioni di Mariano, forse sarei stato io stesso a calargli le brache ...

La fratellanza assumeva l’aspetto di una libido dalle sfumature diverse assecondo dei costumi generazionali. La più tenebrosa e sofferta arrivava direttamente dal magazzino della farina ed era tenuta segregata in casa dal Sor Peppone. Quella tra Remo e Simone era interpretata in maniera solare, ispirata ai rivoluzionari anni sessanta e continuavano a viversela andando in giro col camper, con Simone che ogni domenica rivendeva a Piazza Navona gli scorci delle loro esperienze ritratte su degli acquerelli. Sergej, Dimitri e Nando si erano invece imbattuti nel cinico disincanto di una generazione cresciuta negli anni di piombo del terrorismo, in cui il tuo compagno di banco te lo ritrovavi a manganellarti in piazza. Juri ed io appartenevamo agli effimeri anni ottanta, in cui il fallimento delle ideologie coinvolse anche gli affetti personali. Per noi tutto diventava un vezzo e anche le bave oscure della libido potevano essere esibite, a patto che rimanessero l’accessorio di un folle costume carnascialesco.

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  • 1 month later...

 

Spoiler

Allora .. questi dovevano essere gli ultimi appunti buttati giù durante l'estate scorsa ... poca roba, erano tre o quattro paginette dedicate ad un arco temporale brevissimo ... ma ci ha rimesso lo zampino l'effetto entropico dovuto allo sragionamento posto in testa a questo che poi è diventato una porta su un nuovo modo di leggere la realtà. 

Ho scritto troppo e lo posto quasi per metterci un punto definitivo, in modo da poter proseguire sugli altri appunti che avevo preso precedentemente. La struttura dello scritto è chiusa in sezioni brevi proprio per cercare il più possibile la sintesi o d'avvero ci veniva fuori un altro romanzo invece di uno dei racconti come gli altri che formano i capitoli di questo. 

Ok, non aggiungo altro ... passo al mercatino della mirabilia vintage con questo esempio di archeologia informatica --- > Lo ZX Specrtum ---> Nel video ci sono alcuni dei videogiochi mitici degli anni ottanta.

Sicuramente c'era già di meglio in circolazione ma questa tastierina faceva dei veri e propri miracoli con la manciata di memoria che disponeva, la prima versione possedeva solo 16 kB espandibile a 48 con il modulo esterno . Il più grande merito di questa tastiera era l'aver abbattuto i costi che si aggiravano intorno alle 500.00 lire del vecchio conio (250 €).

Ci tenevo a dire sta cosa perché mi è capitato di ricevere un post su FB in cui c'era un tizio che descriveva nostalgicamente quegli anni come gli ultimi di una verginità informatica e come s'è incazzato quando gli  ho ricordato che non era così ...

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Quella che pubblicizza Pelè in questa gif è una console Atari che costava un occhio della testa, ma a quei videogiochi si poteva giocare nei bar introducendo una monetina di 200 lire ...

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Viene da commuovermi a rivedere sta roba!!! Insomma, internet ancora non c'era nelle case, ma la realtà virtuale già popolava l'immaginario collettivo degli adolescenti ...

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Poi magari chi viveva nelle province più remote d'Italia si sarà sentito meno coinvolto da questa rivoluzione in atto, tuttavia al cinema e in televisione spopolavano le storie che coinvolgevano i computer e la rete globale ancora in mano ai militari e alle società finanziarie. Gli eroi delle serie TV erano come questo Automan che aveva >>cursore<< che materializzava la realtà virtuale ...

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Solo un decennio prima ste robe le faceva un genio nella lampada di aladino ... insomma eravamo sicuramente agli albori, ma in un certo senso in quegli anni stava germinando la cultura pop che ancora permea i nostri giorni ... con la sostanziale differenza che oggi è diventata per buona parte realtà che, curiosamente, sembra aver sterilizzato la fantasia. Oggi è la tecnologia che si è impadronita dell'immaginazione e ci racconta come sarà il nostro futuro .. ok. la pianto qui o chissà dove vado a parare ...

Il secondo contributo è come al solito musicale e siccome li ho citati nel racconto ecco il trio gay meno velato della storia ---> Gli Imagination e la loro Just Illusion

Le atmosfere  di questo video mi ricordano che sempre in questo momento il genere horror diventa un fenomeno pop e iniziano alcune saghe che rendono mitici i loro serial killer come Halloween, Venerdì 13 o Non aprite quella porta per non dire degli eroi dei B movies come la Bambola Assassina ... 

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Tutta roba che gira ancora oggi come lui che è tornato proprio in questi giorni al cinema ...

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Senza contare Blade Runner o anche l'intera saga di Alien che iniziò proprio nei primi anni ottanta ... a pensarci bene, quelli della mia generazione vivono incastrati in un presente imperituro proprio come in  una sorta di film che continua a riavvolgersi ... ok, me ne vado a dormire che è meglio.  

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La Ricerca del Tempo Dimenticato

Ogni volta che si recide un grappolo di ricordi e s’inizia ad assaporarne gli acini, i nostri sensi rigenerano in maniera riflessa delle sensazioni che l’intelligenza emotiva colloca nella bacheca dei pensieri accaduti. La memoria razionale invece fa una cernita degli eventi includendoli in insiemi di analogie condivise con gli altri. Gli eventi interiori che non producono effetti sul piano collettivo sono elisi dalla sinapsi razionale, ma sussistono nell’interpretazione del presente attraverso la memoria emotiva.

Il tempo storico basato sul sillogismo tra individuo e insieme sociale procede con una statistica che forma unità mnemoniche addizionabili tra loro, questa logica conserva i ricordi di un calendario fatto di appuntamenti condivisi. Tale ragionamento elide i decimali emotivi individuali scanditi da un asse temporale asincrono. Il minutaggio delle emozioni funziona come un orologio ad acqua che procede per dei pieni che si svuotano e la sensibilità individuale ne accelera o diminuisce il moto. Si formano così delle antinomie epifenomeniche che aumentano le quantità di memoria emotiva costituenti l’individualità tra similitudini.

L’orologio fa del presente un denominatore comune, ma per ognuno questa stessa cifra assume un valore quantitativo di decimali emotivi diverso. La memoria razionale ricorda l’appuntamento condiviso che si somma a quello successivo, causando un grappolo di effetti sul proprio insieme sociale, Tale logica dimentica i decimali emotivi che formano linee di futuro aleatorie all’interno della percezione del presente condiviso. L’asincronia individuale coagula un’identità interiore nell’ombra di quella scaturita dal riverbero del tempo collettivo, finendo per essere percepita disarmonica nei suoi bisogni irrazionali.

Il tempo collettivo è il buon pastore di un gregge che procede in avanti unitamente. In questi termini, la società premia gli individui dotati di scarsa sensibilità emotiva capaci di omologarsi a uno scadenzario di appuntamenti condivisi; una selezione in grado di riflettere degli imperativi etici concepiti per le masse e non per i bisogni dei singoli. I ricordi emozionali non sono solo d’impaccio, ma diventano un’ingloriosa fonte di debolezza e per tale ragione vanno nascosti e per quanto possibile anche dimenticati.

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I

 

“E che ce dovemo fa co’ sto video coso?” Il giorno in cui avevo portato con Dante il televisore nuovo dal Sor Peppone, lui gli aveva poi fatto venir voglia anche di acquistare un videoregistratore, scatenando le proteste di Romoletto. “Le partite ‘na volta viste che te le rivedi a fa?” L’antipatia tra Romoletto e Dante era scattata il giorno della festa della mia medaglia. “Porchetta d‘Ariccia e vinello de frascati e che voi di più?” Dopo la festa della Cresima avevo sviluppato una certa idiosincrasia verso le celebrazioni collettive, però Romoletto aveva organizzato tutto nella saletta della sezione del partito e pareva che ci tenesse più di me a quella serata. “Perfino Er Sor Peppone ha detto de Sì!” Provai ad accampare qualche scusa di circostanza, ma a cose fatte non potevo certo rifiutare tanta premura. “L’anarchici non c’hanno voglia de lavora’” Io chiesi a Dante di accompagnarmi perché il solo pensiero di mettere piede là dentro, mi faceva salire il panico e lui avrebbe potuto aiutarmi nel sostenere eventuali conversazioni a sfondo politico.

“Che cazzo c’entra la proprietà privata, è ‘na questione de onesta!” Romoletto e Dante presero a guardarsi storto fin dal primo momento e dire che invece col Sor Peppone le cose erano andate benissimo. “L’anarchici non ‘c’hanno voglia de lavora” L’occasione di beccarsi arrivò con l’argomento delle occupazioni di alcuni locali nella zona del Gazometro della Magliana. “A questi ‘na volta che li fai entra’ dentro casa, poi ce tornano a fa la spesa proletaria, ce semo intesi, Sì?” Romoletto aveva avuto da ridire già sull’acquisto del televisore e sbottò quando sentì che Dante sarebbe tornato ancora per il videoregistratore. “Per Dio, c’ha pure ‘na faccia da drogato!” Era la stima per Bakunin ostentata da Dante che lo rendeva così antipatico a Romoletto?

“Quello è ‘n borghese de merda” No, quei due si presero a guardare in cagnesco fin da prima che aprissero bocca. “Lo so io perché te gira attorno!” Si trattava proprio di una questione di vibrazioni erotiche subliminali. “Sapessi quanti ce ne stanno come lui” Dante aveva intuito anche della fratellanza in uso nel forno del Sor Peppone, ma gli dava un nome diverso e comunque era solo con Romoletto che si traduceva in antipatia. “Quello ha visto sto bocconcino, te lo dico io!” Secondo Dante, Roma era infestata di mariti che nottetempo si trasformavano in orchi dal portafogli gonfio quanto le proprie mutande, per andarsi a comprare i ragazzini sui marciapiedi di Piazza Esedra. “Allora spiegame perché non se fa li cazzi sua?” Tutti son portati a riflettere sul mondo l’immagine dei propri bisogni e Dante era come Fefè, che vedeva froci ovunque.

“Io vorrei sape’ che cazzo c’ha tu madre in testa pe’ lasciatte co’ certa gentaglia” Il senso di colpa mi faceva invece temere che Romoletto avesse intuito che genere di vita sregolata avevo intrapreso. “Me serve ‘na mano in bottega” Cercavo di dissimulare le notti brave e quant’altro, però quando mi costringeva a stare in bottega alle sette del mattino, il collirio non mi toglieva certo l’aria da mulo tuonato. “Se esci co’ Dimitri, poi dormi qua da noi, no?” Mi stava col fiato sul collo, però un po’ era anche piacevole avere qualcuno che si preoccupasse di me. “A Romole’ e lascialo respira’ a sto poro ragazzo” La Sora Gina e specialmente Er Sor Peppone lo rintuzzavano quando esagerava con le sue premure. “Ve pare normale lasciallo co’ quell’handicappata mentale de Zi’ Evelina?” Riuscivo a dribblare il suo controllo grazie proprio al loro appoggio, ma alla fine Romoletto trovò il modo d’incastrarmi per le ferie d’Agosto.

II

 

“Va al mare co’ Romoletto” A mia madre venne l’idea di affittare la casa al mare, ben sapendo le condizioni in cui era. “Ci sta Patrizia che non glie va bene mai niente” Si era intascata metà dei soldi prima di partire per l’Africa. “Tanto che ce stai a fa a Roma” La nostra sussistenza dipendeva da una continua contrattazione diplomatica con Primo. “Devi solo da’ ‘na mano colle faccende” Sì, mi piaceva quando mamma mi lisciava il pelo e il titolo di «Uomo di Casa» era proprio fico! “Così te fai pure un po’ de mare” Portai con me la pesantissima cassetta degli attrezzi che un tempo serviva per le riparazioni condominiali. “La madre è ‘na sciroccata!” La moglie di Romoletto mi accolse con una certa freddezza. “L’ha lasciato da solo a Roma pe’ anda’ a puli’ er culo ai bingo bongo!” La storia dei bingo bongo fu un’astuzia dialettica. “E non fa il razzista che poi ce lo sai come sta messa qu’a porella” Sapeva che Patrizia lo avrebbe ripreso su quel punto, dimostrandosi comprensiva con la scelta di mia madre. “E secondo te perché me lo so portato?” In questo modo la fece convenire sulla necessità di avermi invitato a trascorrere le ferie al mare con loro.

“Nun ce posso pensa’, l’ha lasciato co’ Zi’ Evelina!” Ora però stava esagerando, non ero andato fin là per farmi compiangere. “A Romole’, te preoccupassi de noi come te preoccupi dell’altri” Patrizia era particolarmente polemica perché era da due settimane che stava al mare da sola con Juri e Nikita. “L’hai detto te che er sole fa bene ai regazzini” Mi trovavo nel bel mezzo di una crisi matrimoniale. “E certo, tanto ce sto io qua col cesso che non scarica” Ogni anno la casa al mare aveva bisogno di manutenzione prima di essere nuovamente abitata. “Te credi che me so divertito a mannà avanti la bottega da solo?” I loro problemi non stavano certo in quelle questioni pratiche. “I mariti dell’altre lo trovano il tempo e io invece sempre sola come ‘na scema” Patrizia aveva bisogno di sfogarsi e gli fece una bella sfuriata. “Mimmo damose da fa che tanto con sta matta non ce se ragiona” Avevo già con me la presa elettrica da cambiare alla lavatrice e poi avrei riparato anche la pulsantiera del citofono.

“Perché Mimmo non vie’ a mare co’ noi?” La salsedine aveva scolorito il casco di banane che Nikita portava in testa, tale e quale a quello della madre. “Andamo a gioca’ al baretto?” Stava per compiere undici anni e il suo corpo iniziava a sfilarsi verso l’alto. “Mimmo c’ha da pensa’ a cose più serie” Trascorsi i primi due giorni dietro a Romoletto. “Basta apri’ er pozzetto de decantazione” Era interesse mio limitare le spese che sarebbero state detratte dall’affitto, ma fu davvero troppo ravanare la merda secca che intasava il pozzetto delle acque reflue.  “A Romole’ arrangiate da solo che oggi Mimmo viene co’ me al mercato” I proletari avevano uno strano concetto di vacanza. “Stasera faccio contento Romoletto” Alle normali incombenze aggiungevano quelle del divertimento e Patrizia si sobbarcava anche il compito di paciere famigliare. “Aoh, me credevo che non tornavate più!” Il marito però non coglieva i suoi tentativi di conciliazione. “Tu mi sa che te sei portato er passatempo” Iniziavo a pensare anch’io che mi aveva invitato per evitare di restare da solo con la moglie.

“Andateve a lava’ che tra un po’ la cena è pronta” Pomodori ripieni al forno con le patate ... solo una pazza come lei poteva pensare di accendere il forno con quel caldo! “E mannaccia la pupazza, nun se ponno magna!” Apparecchiammo in veranda perché in cucina ci saranno stati quaranta gradi. “E’ colpa mia se sto forno avvampa?” Lottavamo con le zanzare perché Juri aveva usato gli ultimi due zampironi. “Certo che è troppa fatica fasse usci’ er fiato che erano finiti” Romoletto era molto insofferente con Juri perché quell’anno era stato bocciato. “Annatevene affanculo!” Avevano tutti i nervi a fior di pelle. “E pure tu, glie stai sempre azzeccato come nun so che!” Juri lanciò le posate in mezzo al tavolo e ribaltò la sedia mentre si alzava svicolando un man rovescio del padre. “Solo chi lavora c’ha diritto de magnà” Romoletto impedì alla moglie di portare il resto della cena a Juri, così lei iniziò polemicamente a sparecchiare.

III

 

Mentre aiutavo ad asciugare i piatti, Patrizia si mise in testa anche di pulire il forno. “La voi pianta’ de fa rumore che non riesco a senti’ il telegiornale” Il marito se ne stava sbracato sul divano con una mano sul telecomando e l’altra infilata sotto la cintola a pisellarsi esattamente come Nikita che gli stava accanto. “Per la Madonna, mica potemo fa tutti la vita del beato porco!” Patrizia sclera di brutto e dopo aver sbattuto lo sportello del forno, scappa via in lacrime. Se fossi rimasto in cucina, era facile che a Romoletto venisse in mente di propormi un lavoretto per il giorno dopo e allora riparai anch’io in cameretta. “Ma che voi?” Mi sentivo responsabile della bocciatura di Juri perché lo avevo abbandonato a se stesso. “Mo stai pappa e ciccia co’ Dimitri, No?” Alla fine gli chiesi chiaramente se era arrabbiato con me e lui mi rinfacciò le uscite con suo fratello. “Sta sempre a di’ quanto ve divertite” Prima di frequentare Campo de’ Fiori, Dimitri non era mai uscito dall’ambito del nostro rione. “Voi due siete proprio uguali e non ve ne frega niente de nessuno” Dimitri c’era venuto da solo al Dark Angel e poi aveva intrecciato delle relazioni che ci avevano avvicinati ... ma io e lui non avevamo nulla a che spartire.

“Bada che mi fratello non se sa tene’ ‘n cecio in bocca” In effetti non mi sarei aspettato che si fosse vantato dei nostri pomeriggi «alternativi». “A Dimitri glie piace fa lo spaccone” Che raccontasse i fatti suoi ci poteva pure stare, ma non era carino sparlare dei nostri incontri a tre. “A quattro e pure a cinque col transone” Porca miseria! Avvampai dall’imbarazzo al pensiero di quanti sapessero dei miei pomeriggi hot. “Ma è vera la storia de’ sto nano che glie tocca pe’ terra?” Se Carmelo avesse saputo cosa Dimitri andava a dire in giro di lui, gli avrebbe come minimo segato le gambe. “Allora non è nano?” Certo che no! “Allora non ce l’ha così grosso?” Gli stereotipi a volte sono veramente perfidi. “E che la trans brasiliana se lo incula?” Sì, era vero come lo era che Dimitri le aveva succhiato l’uccello. “Certo che siete proprio ‘na manica de zozzoni” Ma se un attimo prima si stava lamentando perché non lo portavo con me. “Che c’entra, la fica piace pure a me” Com’è, gli era passata la paura di diventare impotente? “Vaffanculo” Io non volevo offenderlo, ma doveva smetterla di giudicarmi.

“Voglio mori’” Ecco che ricominciava con i suoi piagnistei. “Io so’ basso, brutto e pure stupido!” Era solo un frustrato cronico. “Zitto va, che m’hanno pure bocciato!” In effetti, si era infognato in una situazione piuttosto meschina, ma non poteva aspettarsi che le cose cambiassero attraverso l’opinione degli altri. “Manco er pisello me funziona” Doveva cominciare a mettere un piede davanti l’altro per spostarsi da quel brutto momento. “...” E frignare non serviva a niente! Insomma, dormiva su una traversina incerata per bambini che si pisciano nel letto, solo perché aveva paura di farsi le seghe. “Tu stai sempre a pensa’ a quello” Doveva imparare a soddisfare i suoi bisogni, solo così avrebbe potuto scambiarli con gli altri, imbastendo degli equilibri interpersonali. “A Mimmo, io so’ stupido e non te capisco” Se quel giorno prima della Cresima non mi avesse mandato via, non lo avrebbero bocciato e poi magari sarebbe venuto con me a Campo de’ Fiori. “Ma te piace così tanto famme le seghe?” No e non gli stavo neanche chiedendo una marchetta.

“Me faccio schifo da solo” Il suo pisello non me lo ricordavo così disgustoso. “Il dottore dice che me lo devono taglia’” Che? “Prometti che poi non me sfotti” L’avevo mai fatto? “Puzza un po’” Mary l’avrebbe definito un aroma muschiato di maschio. “Guarda” Se lo strizzò nella garza che portava nello slip e dal prepuzio stillò una pappina maleodorante. “Me lo devono taglia’” Ma quale circoncisione, gli avrebbero reciso solo il frenulo. “Non me se apre bene, perciò me fa male” Se non si masturbava, l’iperspermia gli causava quella spermatorrea che formava una ricotta acida e maleodorante nel prepuzio. “Quando vengo de notte, me fa male da mori’!” Colpa delle vescicole seminali gonfie come degli pneumatici che s’infiammavano di brutto. “Me devo piglia’ le pasticche” Poteva approfittare degli antiinfiammatori per darsi una bella spurgata. “Te dico che me fa male e non me voi crede” Il frenulo era fatto per rompersi da solo . “ E se poi ...” Al Diavolo, tutto era meglio di quella situazione di merda!  

IV

 

“Che glie stai a fa’ da attendente?” Juri aveva bisogno di un supporto morale, solo per questo lo avevo accompagnato in bagno. “Manco le pippe te sai fa” Io l’avrei chiusa la porta, ma per loro usare la chiave nella toppa era considerato una specie di offesa. “A papà e non rompe!” Così, senza neanche bussare, entrò Romoletto che mi fece una battuta, ma non ci trovò nulla di strano a vedermi in bagno col figlio mentre cercava di masturbarsi. “A Mimmo, faccelo tu er disegnino de come se fa a ‘sti impiastro” Romoletto pisciò tranquillamente accanto al figlio cavalcioni sul bidè che armeggiava col suo pisello e quando questo gli intimò di farsi i fatti suoi, lui lo denigrò ancora prima di tornarsene a dormire. “Lo odio” Certo che non era rincuorante sentirsi prendere per culo in quel  modo. “Ecco, quando è così che inizia a famme male” Aveva un glande piuttosto grosso che forzava sul foro del prepuzio. “Non se apre di più” Magari se lo avesse forzato un po’ ...

“Basta, io smetto” Fanculo le buone maniere di casa, chiusi la porta a chiave e provai a dargli piacere. “Aspetta?” M’inginocchiai dietro di lui e abbracciandolo da dietro, iniziai a fargli un massaggio sensuale. “Oddio!” Non gli piaceva forse? “Così me piace, ma non me lo tocca” Quando gli titillai i capezzoli, cominciò a farmi le fusa come un gattino. “Eccolo!” Non veniva, aspettava semplicemente di avere dei copiosi travasi che gli mettevano un tremore pazzesco addosso. “E dai, pe’ stasera basta” Il fine era godere e non un trattamento terapeutico. “Quando diventa duro, me fa male!” Lo bloccai tenendogli una mano sulla bocca e strinsi forte il suo cazzo per spremergli fuori la cappella. “...” Difficile capire se stesse gemendo o tentasse di urlare dal dolore, ma io continuai perché doveva succedere qualcosa. “...” Juri lo aveva insaponato parecchio e quindi scivolava e allora lo riafferravo con più vigore ... fino a quando con uno strappo deciso riuscii a tirargli indietro il prepuzio che finì per incastrarsi dietro la corona del glande. “...” Nonostante piangesse come un capretto, ebbe simultaneamente un lungo e copioso fruscio di sperma che gli dette sicuramente sollievo perché smise di divincolarsi. “Piuttosto me ammazzo, piglia la lametta” La situazione si era tutt’altro che risolta perché il suo glande strozzato in quel modo, era anche trattenuto dal frenulo che lo tendeva piegandogli la testa fino a farla diventare livida.

“Lo faccio io, damme la lametta” Il frenulo formava un filetto così teso da diventare bianco e quasi trasparente, sembrava facile reciderlo ma al dunque mi mancò il coraggio di farlo. “Sbrigate, damme la garza” Ma quali garze e cerotti, zampillò del vivido sangue sullo smalto della ceramica e bisognava portarlo a un Pronto Soccorso, così tirai giù dal letto Romoletto e dopo neanche un’oretta erano di ritorno dall’ospedale. “Voi veni’ a dormi co’ mamma e papà?” Gli propose Patrizia ancora vistosamente sotto shock. “No!” Le rispose Juri che era invece al settimo cielo. “Me s’è aperto da solo!” Sì perché lui in bagno si era semplicemente punto con la lametta e il resto lo fece la mia crisi di panico. “Che ne so che m’hanno fatto” La parte apicale del prepuzio gli era rimasta suturata in una sorta di baccello prenatale che finì di lacerarsi durante il percorso in ospedale, dove i medici si limitarono a disinfettarlo perché oramai il suo pistolino scarrellava meglio del caricatore di una pistola automatica.

V

 

“Sveglia che il sole ve vole saluta’!” La classe operaia si tirava giù dal letto alle sei del mattino anche in vacanza. “Su, poltroni che v’aspetta il primo giorno del resto della vita” Bello slogan per chi si sveglia riposato. “A Ma, smettila che me piscio sotto” Per Patrizia entrare nella camera dei figli di primo mattino costituiva uno dei piaceri della vita. “Bello piselloto de mamma” Nikita era il suo preferito da torturare con dei pizzicotti. “A magna’ su!” Il solo modo di sottrarsi alle sue torture era abbandonare il letto. “Juri, tu cammina a fa la medicazione” Ogni mattina Patrizia si curava personalmente di lavare il pisello del figlio. “A Ma, te dico che so’ asciutto” Io lo avrei trovato terribilmente imbarazzante. “Ma che te sei ammattito!” Patrizia lo rimproverò perché le disse di essersi tirato una sega nottetempo. “M’ha aiutato Mimmo” Poteva risparmiarsi quel dettaglio, ma tanto lì dentro non ci faceva caso nessuno. “Che t’ha detto er dottore?” Gli aveva forse prescritto di farsi spurgare dalla madre?

“Er Te se dà all’ammalati” Oramai mi ero abituato alla loro inopportuna intimità famigliare e abbandonai madre e figlio per andarmi a preparare la colazione. “Pure col limone, ma c’hai la cacarella?” Sì, mi succedeva ogni volta che non bevevo acqua imbottigliata. “E lo potevi di’ che la facevamo compra’ a Patrizia” Fare colazione con Romoletto era un tormento perché non ce la faceva proprio a starsene in silenzio. “A Mimmo, nun te lo vorei di’ ma prima de affitta’ ‘na casa, almeno ‘na romanella a bagno e cucina ce se deve da’” Se lo scordava che mia madre gli avrebbe detratto dall’affitto il costo della pittura. “Una mano lava l’altra e tutte e due ... ” Lui ci metteva i soldi della tinta in cambio della mia manodopera. “A Romole’ e piantala che il mestiere dei ragazzini è divertisse” Epicuro li chiamava piaceri cinetici del copro e se i borghesi praticavano sport estremi, la classe operaia si divertiva a sgobbare anche in ferie.

Romoletto aveva intenzione d’incastrarmi un’altra volta, ma per fortuna Patrizia non pareva essere d’accordo. “Almeno ‘na volta al mare ce potresti pure veni’” Quei due non avevano ancora risolto i loro problemi di coppia. “Ce sto solo io che me paro ‘na vedova!” Patrizia era invidiosa dei quadretti famigliari che vedeva allo stabilimento balneare della Signora Lina. “Quelli so’ tutti borghesi che non c’hanno ‘n cazzo da fa’” Era evidente che la loro risacca emozionale languiva in un invaso di lacustre quotidianità. “Io non ce la faccio più!” Patrizia sperava di sostituire l’amore sensuale con delle abitudini sociali in grado di farla sentire come tutte le altre mogli frustrate dalla loro vita coniugale. “Mimmo vie’ al mare e tu rimani a fatte li cazzi tua da solo” Compresi che Patrizia ce l’aveva proprio con me dal modo brusco come mi ordinò di seguirla.

“Fatte guarda’ come te sei fatto bello!” La Signora Lina mi accolse con dei gran complimenti che ricambiai e non certo per cortesia, perché era la prima volta che la guardavo come la bella e avvenente donna che era. “Sì, sì ... tu zio t’ha insegnato bene a fa il cascamorto” Intendeva Zeno e a tal proposito dovevo ancora intascare il prezzo del mio silenzio. “Signora mia, occhio a questo che è figlio di un gran filibustiere” Aveva dunque scopato pure con Primo. Era come se stessi guardando per la prima volta un mondo che fino a quel giorno era rimasto invisibile a degli occhi incapaci di vedere l’identità erotica degli adulti. La carnalità di quei corpi seminudi mi titillava i sensi che scoprivo capaci di comunicare senza alcun bisogno di elaborare pensieri razionali. La mia intelligenza emotiva faceva tutto da sola pescando frasi già impacchettate e pronte all’uso, cui gli altri rispondevano con la naturalezza dei pensieri impulsivi, il tutto formando un flusso erotico che si accordava simpaticamente ... la socialità è in fondo un po’ come fare all’amore.    

“Va a vede’ tu fratello che se ce vado io faccio raduna’ tutta la spiaggia” Mandare Juri a cercare Nikita era solo un pretesto che Patrizia usò per rimanere da soli. “A Mimmo, io so una che non c’ha peli sulla lingua” Aveva poco tempo e andò dritta al punto. “Gira all’argo da mi figli” Mi riteneva una cattiva compagnia. “A tu madre glie sta bene fatte fa come te pare” Mi accusò di portare Dimitri sulla cattiva strada. “Sei troppo sveglio pe’ i gusti mia” Cioè? “A regazzi’, non so mica nata ieri e non ce vieni a mette legge a casa de sta stupida” La mia presenza stava mettendo in crisi gli equilibri della sua famiglia. “Juri è delicato de salute e non te po’ sta appresso” Scoprire che il figlio si era segato con me aveva fatto traboccare il vaso della sua pazienza. “Lo so io come cura’ mi figlio” Masturbandolo tutte le mattine? “Fino a quando stai a casa mia, fai quello che dico io” Tecnicamente era lei che stava in affitto nella casa dei miei. “Te credi tanto furbo?” Era lei che pretendeva di esserlo più di me solo perché era più vecchia e se quella era una sfida, allora decisi di perdere la prima battaglia e mirare direttamente alla vittoria.

Ovviamente ci rimasi di merda a sentirmi dire quelle cose e me ne andai sul patio a riscuotere la ricompensa che mi doveva la Signora Lina. “E’ sempre così, chi c’ha il pane non c’ha i denti” Verso l’ora di pranzo ci raggiunse anche Romoletto con un costume di maglina che sarà stato degli anni cinquanta. “C’avessi io ‘n marito così, sarebbe ‘n fiore” Condividere un segreto ti rende intimo amico di una persona e successe proprio questo con la Signora Lina. “Se damo alla bella vita!” Romoletto non resse molto sulla sdraio accanto alla moglie spalmata al sole e mi raggiunse sul patio. “Che è sto flipper?” Ma quale flipper? Era un bellissimo ZX Spectrum con ben 16 kB di RAM e scheda grafica a 15 colori grazie all’extra bright, ci stavo giocando con Pietro o Peter, era il figlio della Signora Lina. “Ma non ve stufate qua dentro co’ ‘na bella giornata del genere?” No, Peter aveva caricato il videogioco The Hobbit ed era troppo fico!

“Quello è mi marito che lo vizia” La Signora Lina era scesa in trincea con un pareo dalle trasparenze mozzafiato. “Noi abbiamo un ristorante in Inghilterra ma d’estate veniamo in Italia” L’avevo caricata a pallettoni ragguagliandola sull’astinenza sessuale cui lo costringeva la moglie acida. “Sa’ questo stabilimento è di famiglia e ci sono affezionata” Romoletto si era subito ingalluzzito, sfoggiando tutta la sua arte oratoria da panettiere di bottega. “Abbiamo aperto anche un ristorantino nel borghetto che è una bomboniera, se viene glie faccio lo sconto” Brava Signora Lina, non vedevo l’ora che mettesse un corno in testa a Patrizia. “Mamma quant’è simpatico, lo vuole vedere il retro?” No, la Signora Lina era un mito e ci mise giusto il tempo di comprendere le indicazioni della mappa di Gandalf il Grigio e uccidere il primo Troll, che la vidi già uscire dal magazzino facendo quel gesto inconscio di tirarsi in basso la gonna, anche se indossava solo un pareo.

“Statte zitto ... zitto!” E chi stava fiatando, solo che non potevo certo far finta di non essermi accorto che dopo un attimo anche Romoletto era uscito dal magazzino. “Ma che stai a fa’ ancora a gioca’ co’ sto coso” Mi venne da sorridergli e mi sa che il banner sulla mia fronte fu molto eloquente perché mi esortò al silenzio e poi, tutto elettrizzato, mi sfanculò per gettarsi nella vitalità della sala del bar a scambiarsi sguardi infuocati con la Signora Lina seduta alla cassa. “Sta roba non è pe’ i ragazzini” La Signora Lina era raggiante e anche un sacco sexy! “Tiè, piglia ... che paraculo che sei!” Io le avevo solo fatto un complimento e magari, Sì, forse mi era caduto lo sguardo sul suo procace seno ... ma non dissi altro. Fece tutto da sola, prima mi redarguì che la sua avvenenza era riservata a degli uomini fatti e poi mi allungò di soppiatto un altro pacchetto da dieci di Marlboro Light.

VI

 

“Mimmo ... ho deciso” La pennichella al mare era la parte che preferivo delle vacanze a Nettuno. “Me voglio innamora’!” Juri come tutti gli adolescenti era un idealista. “Se de anima gemella ce ne sta una sola in tutto il mondo, ce vo’ ‘na bella botta de culo pe’ trovalla qua a Nettuno!” Finalmente il piacere sensuale stava generando in lui una serie di desideri volitivi. “Io ce voglio prova’ lo stesso pure se non è l’anima gemella” Avevo quindi segnato due punti a zero con la povera Patrizia che si ritrovava un corno in testa e un figlio pronto a spiccare il volo dal nido. “Tu quante pippe te fai al giorno?” Io non dovevo certo recuperare mesi di astinenza. “Tipo dieci?” Che! “E’ troppo?” Poteva continuare fin quando gli si drizzava. “Perché non se possono fa col pisello moscio?” Io non ci riuscivo ma il suo era una specie di tetta di vacca e magari si poteva anche mungere. “Tu dici che me fa male?” Un poco di morigeratezza magari gli avrebbe risparmiato di prendere gli antinfiammatori. “Allora me le faccio solo quanto diventa duro” Ecco, basta che mi lasciava leggere in pace ...

“Mimmo ... te posso chiede ‘na cosa?” Questo era Nikita che fino a un attimo prima aveva finto di dormire, ma in realtà aveva origliato la conversazione. “Mo te fai le seghe co’ Juri?” Che c’è, aveva qualcosa da ridire anche lui? “Allora non semo più amici?” Nikita temeva che la nostra fosse una fratellanza che lo avrebbe escluso. “Quando me diventa grosso, ce le famo le seghe insieme?” Sveglio com’era, alla prima erezione si trovava una fidanzata e non avrebbe avuto bisogno di un amico di pippa. “Mimmo” Che c’era ancora? “Perché se c’hai la fidanzata, dopo non poi fatte più le seghe?” Era così che funzionava e stop. “Io me le voglio fa le seghe co’ l’amici” Questo perché aveva già conosciuto la fratellanza, ma il resto del mondo maschio la ignorava e quindi ne faceva bellamente a meno. “Che significa bellamente?” Porca miseria, non la finiva più con i suoi perché. “Mimmo” Finsi di dormire per interrompere la conversazione. “Mimmo” Che voleva ancora? “Te posso abbraccia’?” C’era un caldo che non sto a dire ... ma tanto non aspettò che gli dessi il permesso per avvinghiarsi come una cozza al suo scoglio.

“Dopo cena non se esce” Patrizia tentò una rimonta impedendomi di uscire con Peter. “A Patri’ e uscimo pure noi, no?” La proposta di Romoletto la colse impreparata. “E ma ... ” Non si spiega perché accampò una serie di scuse tipo i capelli in disordine e il classico «non ho nulla da mettermi», tanto che alla fine Romoletto rinunciò a capire e si sbracò sul divano davanti al televisore. “La conosci Gioia?” Quella storia di dover rimanere in casa dopo cena mi aveva messo di malumore e non aiutai Patrizia a lavare i piatti. “No, giusto pe’ sape’” Andai a sedermi sul dondolo del giardino. “Sta affianco all’ombrellone nostro” Juri mi raggiunse per chiedermi di una certa ragazzina. “Non serve a niente dillo a loro” I figli pensano sempre ai propri genitori come a dei matusa. “E’ ‘na battaglia persa” Se gli avesse detto di quella ragazzina, magari sarebbero usciti per fargliela incontrare.  

“A Mimmo, così li fai solo incazza!” La libertà se aspetti che ti sia concessa, sarà sempre frutto di compromessi. “Mimmo, ma do’ vai?” Avevo solo intenzione di andare da Peter a dirgli che non potevo uscire ... ma quando fui allo Stabilimento Balneare. “Sei capace de porta’ un vassoio?” Il bar era pieno di clienti e trovai Peter intento a servire ai tavoli. “Se te voi guadagna’ qualche soldo, domani ci stanno pure le sdraio da aprire” Al Dark Angel mi era già capitato di aiutare ai tavoli e la Signora Lina apprezzò molto la mia disponibilità. Il guaio fu che a furia di correre, si era fatta l’una del mattino e obiettivamente mi sentivo in colpa per aver disobbedito in quel modo così smargiasso. “C’ha ragione tu madre a di’ che nun te se legge in testa” Al rientro trovai Patrizia e Romoletto ad aspettarmi. “A Patri’ e lascia perde, l’hai visto pure tu che stava a lavora’” Erano venuti a cercarmi forse armati delle peggiori intenzioni, ma poi mi avevano visto servire ai tavoli. “Beh, ce lo potevi di’ che t’eri trovato un lavoretto” Se fossi scappato per andare a divertirmi, quella sarebbe stata la veste del male da cui dovevo essere educato, al contrario, il sacrificio del lavoro mi assolveva dalla colpa di aver disobbedito.

“Che ce stava pure Gioia?” Me ne andai in camera senza colpo ferire e mi spogliai al buio per non svegliare Juri. “E com’era vestita?” Lui attese che mi coricassi e poi iniziò a interrogarmi sulla sua anima gemella. “Stava co’ qualcuno?” Continuava a biascicare sussurri, anche se Nikita si era parcheggiato nel lettone di mamma e papà. “Voglio usci’ pur’io” Doveva mettere alla prova la forza dei propri bisogni per imporre la necessità di soddisfarli. “Allora insisto?” Sì, ma doveva lasciarmi riposare. Dopo non so quanto tempo, fui svegliato dal rumore dello sciacquone del bagno e poi vidi Juri rientrare in camera e sedersi pensieroso su ciglio del letto. “No, è asciutto” Gli domandai in un sussurro se aveva avuto qualche guaio col pisello. “Io me sento triste a famme le pippe da solo” Io lo chiamavo «gelo post orgasmico». “Ma tu e Vanni ...” Avrebbe voluto propormi una fratellanza. “Io me credevo ...” Iniziò a sussurrarmi domande sulla mia amicizia con Vanni. “Però è strano ... ” Vanni si era sempre dovuto difendere dalle ingiurie di chi trovava equivoca l’amicizia che ci legava. “Io non lo vado a di’ in giro” Stava cercando di farmi ammettere l’intimità che intuiva esserci stata tra noi. “Giusto per sape’” Sentii la sua mano adagiarsi cautamente sul mio pacco ... contraccambiai la cortesia, ma lui strinse subito i pugni sul lenzuolo per trattenere un sussulto.

“Devi fa piano che è ancora un po’ rotto” Mi spiegò come lo dovevo toccare. “Non me guarda’” Mi ero poggiato su un gomito proprio per guardarlo meglio. “Se deve fa a occhi chiusi e immaginasse che a fallo è una che te piace” Non me ne importava niente delle regole di una fratellanza, la metà del piacere che provavo io stava negli occhi. “Ce sta troppa luce” Sì, i lampioni del condominio accanto a casa illuminavano a giorno la cameretta. “Ma perché te piace guardamme?” Quante domande ... affondai la mano nei suoi slip e gli strinsi le palle. “Aoh!” Voleva essere un dispetto per zittirlo, invece a lui piacque e si tenne di nuovo forte al materasso. “Passame l’asciugamano” Accesi la luce dell’abatjour, ma lui si voltò timidamente. “E piantala!” Lo aveva ancora duro e a me oramai non sarebbe più venuto sonno. “Che c’avrei da ride” Non stavo ridendo di lui e non gli pizzicottavo i fianchi per indispettirlo. “E dai che me fai zompa’!” A me non bastava averglielo tenuto in mano, avevo bisogno di un contatto fisico ...

“Allora lo soffri pure tu!” Il solletico? Da morire e averglielo fatto scoprire, mi costrinse a una resa incondizionata. “Me sarebbe piaciuto ave’ ‘n fratello come te” Mi fece questo complimento appena ci passò la ridarola ... eppure di fratelli ne aveva una caterva. “Voglio bene solo a mi madre” Come ogni adolescente, anche Juri sosteneva che in casa nessuno lo poteva soffrire. “A Dimitri lo odio più de tutti” Gli insulti che gli rivolgeva Nikita, li ascoltava proprio da Dimitri. “Ma è vero che l’ha ciucciato al transone?” Dimitri me l’avrebbe fatta pagare cara, se fornivo al fratello quell’arma di ritorsione. “Ma quanto ce l’ha grosso?” Mi rimangiai tutto, sostenendo che aveva tenuto in mano solo per curiosità la proboscide di Carmelo. “Davero!” Esclamò, quando gli appuntai un dito sul petto per indicargli fin dove gli sarebbe arrivato il pisello di Carmelo. “E come fa a cammina?” Da moscio non era così lungo e usava metterselo tra le cosce. “Se ce l’avessi così grosso, te lo  ciucceresti?” Era l’insinuazione che Carmelo si sentiva fare di continuo. “Mi sa pure io” Juri ammise che non avrebbe resistito alla tentazione di succhiarselo. “Ma davero se po’ fa?” Carmelo il suo pisellone riusciva persino a premerselo dentro. “Non ce credo!” Rispetto a chi si faceva le pippe col dito al culo, lui aveva sempre unito a quel sollazzo un pisellamento più gustoso.

“Ma tu l’hai mai fatto?” Io non avevo mai provato l’istinto di titillarmi l’ano, ma conoscevo bene il piacere che dava un massaggio prostatico. “Che è?” La maggior parte dei maschi non sa neanche di avere una prostata. “Allora sarebbe normale, tipo che tutti i maschi ce godono?” Juri voleva essere rassicurato per il gusto che ci provava lui. “Sicuro che poi non me fa male?” Era da un po’ che gli passavo distrattamente la mano sulla coscia e poi gli disegnavo ghirigori intorno ai capezzoli per sollecitare le sue audaci curiosità. “Usa solo un dito, OK!” La madre gli aveva rasato la giungla di peli pubici e fu tutto più semplice. “Piano!” Esclamò, ancor prima che scivolassi in fondo al suo delizioso incavo. “Sì che me piace!” M’incuriosiva il suo trambusto perché lo titillavo senza ancora penetrarlo con il dito. “Aspetta che così è meglio” Mi sorprese tanta foga nello sbarazzarsi degli slip per tirarsi le ginocchia al petto e pormi meglio la sua fichetta in estro. “Aoh!” Si spaventò quando lo afferrai per i fianchi, alzandolo fino a metterlo quasi a testa in giù. “Mamma mia!” Sì, profumava proprio del detergente intimo della madre e non resistetti alla tentazione di annaspare con la faccia nella morbidezza delle sue chiappe.

“Basta, non ce la faccio più!” Persi la cognizione del tempo, tanto mi piaceva quello che stavo facendo. “Lasciame ... non ce la faccio più!” Mi stupii nello scoprire quel sapore dolce in punta di lingua. “E’ troppo ... non lo resisto!” Una volta umettata, la sua rosellina tentava di sbocciare e si ritraeva timida quando le carezzavo i petali turgidi. “Oddio ... te prego!” Sentivo la sua prostata agitare tumultuosamente il muscolo della minzione, ma non capivo che stesse scaricando ogni volta. “Basta!” Lui aveva preso a piagnucolare i suoi gemiti fin dall’inizio e continuai anche quando implorava seriamente di fermarmi. “Basta!” A un certo punto smise di sussurrare e tirò giù un moccolo prima di dare un paio di colpi di reni per divincolarsi dalla mia presa ... solo allora lo lasciai andare. “Dove sta l’asciugamano?” Mi chiese arrabbiato perché si era inzaccherato fino in faccia. “Che razza de maiale, aoh!” Voleva insultarmi sul serio, ma lo trovai esilarante lo stesso.

Gli strappai di mano l’asciugamano in segno di sfida che però lui non raccolse e se ne rimase a guardarmi mentre asciugavo la mia erezione dall’abbondate succo delle ghiandole di Cowper. “Faccio io” Disse afferrandomelo e mi lasciai spingere all’indietro. “Te bagni proprio tanto” Osservò con la mano imbrattata. “Proprio tanto” Bea diceva che mi bagnavo come una femmina. “... ” Capii solo dopo cosa stava pensando di fare, quando mi salì sopra cavalcioni e con la mano sporca si lubrificò prima di penetrarsi con il mio fallo. “... ” Tornò a respirare solo dopo esserselo infilato tutto dentro. “... ” Se ne stava seduto sopra di me muovendosi convulsamente avanti e indietro ... teneva la testa china e lo sentivo inspirare tra i denti e poi gemere come in uno sforzo ... sembrava quasi stesse patendo un indicibile patimento.

“Inculame a passo de cane” Esasperato da quella posizione in cui non riusciva a trovare la soddisfazione che cercava, si mise alla pecorina implorando d’essere sodomizzato. “... ” Lo abbattei con dei colpi forsennati e a ogni affondo tratteneva una specie di guaito che fomentava ancora di più il mio rapace istinto omicida ... non mi accorsi neanche di venire, continuando a menare quei fendenti nella sua carne che sfrigolava nel mio olio bollente. “Stai bene?” Disse lui a me, quando mi vide cadere esanime col petto sconquassato dai singulti di un affanno che m’impediva di respirare. “Dovemo cambia’ il letto” I nostri umori puzzolenti avevano imbrattato anche il materasso e lo rovesciammo prima di tornare a dormire. “Non ha detto niente” Avevo sentito Patrizia in bagno quando Juri era andato a mettere le lenzuola in lavatrice, ma era una cosa abituale che il figlio lo facesse e non s’insospettì. “So’ stanco” Sì, lo potevo capire perché era venuto non si sa quante volte per un paio d’ore di fila.

VII

 

“Mamma non vole” Al mattino mi svegliai in tempo per andare a sistemare gli ombrelloni allo Stabilimento Balneare. “Ma perché ce devo veni’ pure io?” Se voleva cambiare la sua vita, non poteva rimanere attaccato alle sottane della madre. “A Mimmo, tu sei ‘na testa calda e a me non me sta bene!” Patrizia scese in spiaggia incazzata come un picchio perché al risveglio non ci trovò nel letto. “Me dovevi avverti’!” Infatti le avevo lasciato un bigliettino sul cuscino. “Lo devo di’ io se ‘na cosa se po’ fa’, chiaro?” Le mancava non aver potuto segare il suo pupetto? “A Patri’ e piantala che almeno se da’ ‘na svegliata quel rimbambito de tu figlio” L’intervento di Romoletto fece inviperire ancora di più la moglie che dopo avermela giurata, raggiunse Juri che si era spiaggiato sotto il sole. “La madre è la rovina del figlio”Commentò laconico Romoletto, guardando la moglie che trascinava all’ombra Juri a suon di scappellotti.

Tutta quella storia fece comprendere a Patrizia che non poteva controllare i miei bisogni come fossero quelli di un ragazzino. “Sembra ieri che giocavi con Luigi!” Nonostante l’età anagrafica, andavo accumulando enormi quantità di esperienze che mi facevano crescere molto di più di qualsiasi coetaneo. “Ma quanto sei alto!” La statura e la fiducia accordatami dalla Signora Lina con il lavoro allo Stabilimento, mi rendevano un adulto agli occhi di tutti. “Mamma non c’è?” Scoprii che Gioia era la cugina di Luigi e quindi nipote del Ragionier Ramponi della Tesoreria di Stato. “In Africa, che coraggio!” La Signora Franca Merini Ramponi era un’insegnante di Liceo e dopo averla conosciuta al mare, ero stato a casa sua per le riunioni di vendita di casalinghi che teneva mia madre. “Ciao Momo!” Luigi era uno che a giudicarlo dall’aspetto non l’avresti pagato due soldi, ma sotto gli occhiali e i vestiti da nerd, c’era una cintura nera di karate e quel fisico apparentemente scialbo, era invece appesantito da chili di ciccia soda e muscolosa. “Andate con Momo che vi fa conoscere gli altri ragazzini” Con Luigi tirai in barca anche sua cugina e appena quel citrullo di Juri si sarebbe smarcato dalla madre, avrei potuto farli incontrare.

“E a do’ la faresti sta festa de compleanno?” Mancava ancora una settimana al mio compleanno, ma decisi di anticiparlo per costringere Patrizia ad allentare il guinzaglio a Juri. “Ma chi li conosce a sti Richetti” Era colpa mia se dopo quasi tre settimane in spiaggia non aveva stretto amicizia manco coi vicini d’ombrellone? “Non esiste che i regazzini escono de notte da soli” Avremmo mangiato semplicemente una pizza nella saletta del Miami Beach con Peter, Luigi e Gioia che portava un’amica. “E quanto ce costerebbe?” Se era questo a preoccuparla, doveva solo mettersi le mani in tasca per Juri perché ci saremmo pagati ognuno il proprio, altrimenti detto alla romana. “Hai capito il dritto!” Beh, io pagavo la torta di tasca mia e non avrei ricevuto regali in cambio, oltre all’allegra compagnia e poi nella saletta c’erano dei videogiochi, il jukebox e il bigliardino con tanta gente della nostra età. “A Patri’ e stanno a ‘no sputo da casa, lasciali sciolti che so’ ragazzi” Da quando Romoletto l’avevo fatto trombare con la Signora Lina, mi reggeva sempre il gioco.

“A me non me va de’ usci’” Nikita col cavolo che dava ascolto agli ammonimenti della madre e anche quella volta Patrizia ebbe il suo bel da fare per impedirgli di venire alla mia festa. “Chi se ne importa che ce sta Gioia” Invece Juri si mise a far storie. “Er cugino me sta sulle palle” Questo era un motivo sufficiente per rifiutare di unirsi alla nostra combriccola? “Me devo pure cambia’” Ma se stava in mutande! “C’ho caldo” Veniva voglia di prenderlo a calci in culo. “Posso sceglie quello che me pare?” Alla fine accampò la scusa di non avere nulla da mettersi, esattamente come avevo sentito fare alla madre! “Avevi detto tutto” Per convincerlo, gli concessi di pescare qualsiasi cosa dal mio zaino. “Allora?” Ma era ridicolo con i bermuda della Nike che gli stavano così grandi che parevano dei pantaloni troppo corti! “So’ cazzi mia” Ok, ma in cambio si sarebbe rasato l’orribile peluria sulla faccia. “Non so capace” Beh, il sapone da barba non serviva solo a farsi le seghe. “Me la posso fa pur’io?” Al contrario Nikita rimase affascinato dal mio necessaire da viaggio. “E’ gelatina!” Il gel per capelli era un must del look degli adolescenti e uscimmo di casa tutti e tre lisciati come lontre vestite a festa ... sì, proprio tre perché tanto alla fine dei conti anche Nikita venne alla mia festa.

 “Auguri!” La notizia del mio compleanno si era sparsa tra gli altri inservienti dello stabilimento che mi organizzarono una festa a sorpresa con la complicità della Signora Lina. “Perché è un bravo ragazzo ... ” Porca miseria, riuscirono a commuovermi ... avevano addobbato la saletta con festoni e palloncini e c’era pure un buffet! “Buon diciassettesimo compleanno!” La cosa strana era che la Signora Lina non ci aveva creduto alla storia dei miei diciassette anni eppure fece mettere quel numero sulla torta. «Immagination ... just an illusion» La musica del jukebox coinvolse anche chi non mi conosceva e improvvisamente ero diventato popolarissimo. «Follow your emotions anywhere» Festeggiavo il compleanno di una persona inesistente ma a nessuno interessava saperlo e neanche io volevo ricordarmi chi ero. «Is It really magic in the air» Ero quello che desideravo essere. «Never let your feelings get you down» C’è più verità in una bugia o nella realtà in cui concretiamo solo i compromessi con la vita? «Could It be that It’s just an illusion» Ero reale perché la gente mi riconosceva. «Putting me back in all this confusion» Sarebbe stato difficile riprendermi da quella sbornia ...

“A Mi’ ... vaffanculo, glie piaci tu!” Quella sera l’intero universo era innamorato di me.  “Ma che devo fa?” Se Gioia gli dedicava del tempo, era perché lo teneva in considerazione come boyfriend. “Yes, It’s Sure!» Come no! A quel pelle e ossa di Peter l’avevo sgamato da un pezzo e se Juri non si sbrigava, gli avrebbe sfilato Gioia da sotto il naso. “E’ troppo bella pe’ me” Doveva piantarla con la sua bassa autostima. “Magari domani a mare ... ” Ma come domani! Non lo vedeva che Peter la invitava continuamente a ballare? “Ma che glie dico?” Non sapeva ballare, non riusciva a fare conversazione e se lo lasciavo da solo, scompariva in mezzo alla mobilia. “Che ce devo fa co’ sto foglio?” Disegnare, visto che era la sola cosa che gli riusciva da Dio. “Io so’ capace a disegna’ solo i fumetti” Avevo mandato Peter a procurare carta e matita. “La disegno manga?” Si doveva solo preoccupare di farla bella.  “Aspe’ e famme fini’, No!” Erano quasi le dieci e temevo che Patrizia sarebbe piombata come una sciagura in mezzo alla festa da un momento all’altro. “Ma no, così me vergogno!” ‘fanculo, tracciai sul suo bel disegno dei ghirigori fioriti tra cui scrissi «Love».

“Oddio, che bello!” Oddio, che voce stridula! “Gioia, guarda che bello!” Porca zozza, il disegno fece colpo su Morena, l’amica che aveva portato alla festa. “Che bello!” E va bene, ma doveva mollare il disegno a Gioia, chiaro? “Che bello!” Manco sotto tortura l’avrebbe più mollato. “Lo sai che anche a me piace tanto disegnare?” Morena, se non fosse stato per quell’orribile voce da papera, sarebbe stata anche una bella ragazzetta ... parecchio bassa, ma cazzo, c’era da accontentarsi. “Grazie è bellissimo!” A Juri fece corto circuito il cervello, ma almeno sapeva ancora muovere le dita e regalò un altro disegno a Morena. “Nessuno mi ha mai fatto un regalo così bello” Cos’altro doveva fare quella poverina, tirarsi giù le mutande? “Sei tu che sei bellissima” Ma che tenero! Era pure arrossito ... c’era solo da sperare che non se ne venisse nei miei bermuda della Nike. “Io so’ de Roma” Bella mossa! Le burine stravedono per i ragazzi di città. “Io faccio la terza media” Non dirle che sei stato trombato in seconda, menti spudoratamente che tanto tra una settimana non vi vedrete mai più.

“Domani vengo al amare con Gioia” Sia lodato il Signore, finalmente si dettero appuntamento per il giorno dopo e potei interrompere l’idillio dei due piccioncini. “Oddio, è tardissimo!” Ecco, appunto e dovevamo levare le tende. “A Mi’ è proprio bello esse innamorati” Sulla via del ritorno, Juri camminava a un metro da terra. “Aoh, non ce posso crede!” In fondo basta poco per essere felici. “Grazie Mi’” Perché mi ero dato tanto da fare per lui? A che era servita la mia popolarità se ora me ne stavo tornando a casa da solo? Lontano dagli sguardi degli altri, la popolarità non serviva a un cazzo. Proseguimmo in silenzio fino a casa con Juri che contava le stelle in cielo ed io che sputavo il fumo della sigaretta cercando di liberarmi dall’ansia che era tornata a ottenebrarmi l’anima. “C’ho sonno” Mi caricai cavalcioni Nikita che cascava dal sonno e passo dopo passo discesi nella mia strana realtà che mi faceva amare tutti e nessuno in particolare.

VIII

 

“A Ma, me so’ innamorato!” Fu la prima cosa che Juri disse rientrando in casa. “Bello de mamma, so contenta pe’ te!” Lo invidiavo moltissimo e anche quella cosa di dirlo alla madre senza alcun pudore ... li avrei voluti uccidere. “A Ma, pur’io me voglio innamora’” Frignò subito Nikita, geloso soprattutto delle premure che Patrizia stava avendo per Juri. “Cammina va, vatte a dormi’ insieme a papà” Patrizia si liberò del figlio più piccolo per ascoltare i particolari della storia d’amore. Scomparvero in cameretta ed io preferii sprofondare sul divano ... c’era il televisore acceso e m’infilai la mano sotto la cintola come faceva Romoletto. “Mimmo ... io te devo chiede scusa” Dopo non so quanto tempo, Patrizia era tornata e si era messa a spadellare, allora le domandai  per chi stava cucinando a quell’ora della sera e lei mi chiese scusa. “Sergej oramai sta sempre dai suoceri e co’ Dimitri non ce se po’ parla’ ... ” Si era messa a preparare da mangiare per il giorno dopo perché era il modo con cui amava la propria famiglia.

“Adesso Juri che s’innamora ... fra un po’ se vanno e ... ” Non le piaceva la prospettiva del suo futuro. “Vorrei esse come tu madre che parte e se ne va” Le presi una birra fredda dal frigo per aiutarla a sfogarsi. “Mi sa che so’ proprio gelosa” Aveva messo i figli al centro della sua vita sentimentale e ora si stava accorgendo che in questo modo sarebbe rimasta sola. “Parli bene tu che c’hai ancora tutta la vita davanti” Le consigliai d’innamorarsi di nuovo di suo marito perché spettava a lui il posto in prima fila nel suo cuore. “A Mimme’ dopo tanti anni che se sta insieme, le cose cambiano” Aveva solo bisogno di sentirsi corteggiata affinché si riattivasse il suo eros attrattivo. “A quest’ora!” Non era ancora mezzanotte e nel borghetto c’era un mercatino etnico che le sarebbe piaciuto. “Sto tutta messa male” L’avrei aiutata io a sistemarsi. “Non c’ho niente da mette” Poteva infilarsi quel pareo fiorato che le stava d’incanto. “Dici che me sta bene?” Certo e nell’occasione avremmo anche fatto shopping. “Romoletto già sta a dormi’” Doveva scegliere se continuare a dire «Noi» quando intendeva «Io» o ricominciare a fare le sue scelte autonomamente.

“Ma Sì, annamoce” Le bancarelle illuminate e la gente che faceva lo struscio per i vicoli del borgo medievale insieme al sapore umido della salsedine, rendeva quella notte una scenografia perfetta per sentirsi in festa. “Me ricordo che ce ne avevo uno uguale!” Comprò orribili chincaglierie da una bancarella, ma le piacevano ed era un vezzo che si meritava. “Mimme’, mi sa che qua ce spellano vivi” Prendemmo uno squisito gelato al vetro ricoperto di liquore di cacao in un caffè all’aperto dell’affollata Piazza Colonna. “Che bono!” Poi le feci portare un mega cocktail alla liquirizia. “A regazzi’, ma tu come le conosci tutte ste cose?” Era il cocktail preferito di Bea. “Oddio, il cesso c’ha un buco che arriva fino ar mare!” Tornò dal bagno con la ridarola per lo spavento di ascoltare il mare dal fondo della tazza del gabinetto. “Era pure alto!” Sì, le spiegai che quella piccola rocca era l’antichissima Antium, una città volsca antecedente persino Roma e aveva appena pisciato nello stesso buco dov’era scivolata qualche millennio di merda.

“C’ho i piedi come du’ pagnotte, però me so’ divertita” Patty aveva bisogno di evadere dalla solita fatica con cui si stordiva quotidianamente. “Sapessi che ho combinato io da giovane!” Usava l’alibi dell’età perché non voleva rimettersi in gioco. “La vita è proprio ‘n mozzico” Rientrati in casa, ci mettemmo a celiare sul divano mentre l’aiutavo a intrecciarsi i capelli con degli assurdi nastrini. “Volevo viaggia’ pe’ vede’ er mondo, invece eccome qua” Regalò una treccina anche a me, allora per ricambiare le offrii un pediluvio da SPA. “Scotta!” Le misi i piedi nell’acqua bollente con del bagnoschiuma profumato al pino silvestre. “Me sento ‘na regina!” Dopo averle grattato via gli orribili duroni con della pietra pomice ... “E’ gelata!” ... cambiai l’acqua per creare uno shock termico con del ghiaccio solvente. “Se so sgonfiati!” I capillari dei piedi si restrinsero e con un massaggio drenai via il pregiudizio che la costringeva a soffocare la ragazzina sopita nel suo corpo.

“A Mimme’, mi sa che so’ proprio imbriaca” Le frizionavo le caviglie affondando le dita fin nella carne soda dei polpacci. “Oddio, come fa caldo!” Iniziò a sventolarsi con il pareo scoprendo le cosce. “Aoh, accenni il ventilatore che me sto a senti’ male” Dimitri aveva ragione, la madre aveva proprio delle belle gambe. “A Mimme’ e statte fermo co’ ste mani!” Disse con la ridarola che le sconquassava i prosperosi seni. “Annamose a dormi’ che è meglio” Concluse, stringendosi la veste fiorata tra le gambe ma dopo un tentativo di alzarsi, ricadde seduta ridendo ancora come una pazza per il capogiro. “A Mimme’, beata chi te se sposa a te!” Nella sua voce c’era l’amarezza di un’occasione perduta. “Sei proprio un angelo” Continuò a dire mentre l’asciugavo con il telo di spugna. “Tanto lo so che fumi” Ghignò, allungandomi una sigaretta dal suo pacchetto di MS blu.

“Oddio, ma tu non lo senti come fa caldo?” Riprese a sventolarsi con il pareo e le riuscivo a vedere le mutandine bianche. “Che goduria!” Raccolsi del ghiaccio nella bacinella d’acqua e glielo passai sulle gambe. “Ecco, il tempo se dovrebbe ferma’ adesso” Mi sfilò la sigaretta tra le labbra e disse questa stronzata. “Non c’avevo pensato che sarebbe come mori’” Scegliere un solo attimo da vivere per l’eternità. “Detta così, la morte non sarebbe poi così brutta” Ebbe un sobbalzo quando afferrai in una mano il suo monte di Venere. “... ” Tentò di respingermi soffiando delle urla in un sussurro di voce, ma quando cominciai a spremere il suo pomo gravido di umori, le implorazioni si confusero a dei gemiti sofferti.

“... ” Mi tratteneva il polso con entrambi le mani serrando le cosce ... sentii chiaramente il momento in cui si arrese alla mia carezza e allora le strappai via le mutandine. “... ” Lo spavento la fece rinsavire e mi tirò uno schiaffo, ma parve fare più male a lei. “No!” Si disse un altro No e come tutti gli altri cadde nel nulla quando tornai a toccarla. “No!” Fino a quel giorno avevo sfiorato solo dei boccioli con i petali ancora accartocciati su se stessi, mentre la sua era una peonia completamente fiorita ... in cui fu facilissimo sprofondare con tutte le dita. “... ” Patty ebbe un sussulto e mi morse selvaggiamente il collo ... compresi di aver forzato troppo la mano e preferii continuare in maniera più creativa.

«Beh, adesso siete a casa finalmente» Con quel morso mi fece proprio male e istintivamente la spinsi contro la spalliera del divano ... lei divaricò oscenamente le cosce arrendendosi. «Rilassatevi e chiudete gli occhi» Si stava abbandonando a delle pulsioni sensuali che la dominavano completamente. «Provate a pensare una radura tra gli alberi, tra l’erba alta, verdissima e tenera» Afferrai la bottiglia del bagnoschiuma, quella con il tappo a forma di pigna che durante lo spot pubblicitario la camera zumava ripetutamente. «Lo sentite, riuscite a vedere il meraviglioso cavallo bianco, possente, armonioso e libero?» Stringevo le briglie dello stallone nel pugno e lei si teneva ai miei capelli mentre lo galoppava. «Libero come il vento che gli agita la criniera» Disarcionata, cadde all’indietro nuovamente a gambe all’aria. «E’ una prorompente carica di vitalità» Tratteneva le urla in dei singulti mentre cercava di non scivolare via tenendosi a qualsiasi appiglio con mani e piedi. «Una carica di giovinezza ... uno scrosciare d’acqua sulla pelle» Non voleva più resistere e mi correva incontro con impeto crescente. «Una schiuma morbida che cancella ogni stanchezza» Venne via in un lungo scroscio che come un tuono primaverile, lavò via il cielo da ogni nube temporalesca.

«Bagnoschiuma Vidal Pino Silvestre Vitaminizzante» Patty mi teneva col volto nascosto sul suo collo, quasi non trovasse il coraggio di tornare a guardarmi. “Che m’hai fatto fa ... che m’hai fatto fa!” Dopo mi prese per le orecchie e mi guardò dritta negli occhi. “Dimme che non è successo!” E non era successo, basta che la piantava di tirarmi le orecchie. “Altro che angelo che sei!” Un cherubino cornuto rimane pur sempre un angelo. “Mo ce ne annamo a dormi’ e domani sarà tutto passato come un sogno” Un bel sogno, da come l’esperienza l’aveva tutta elettrizzata.

IX

 

“Te odio” Cercai di coricarmi con delicatezza per non piegare il materasso, visto che Juri non dormiva più nella sua brandina da campeggio con la traversina cerata. “Te odio” Feci appena in tempo a chiudere gli occhi, quando sentii provenire direttamente dal limbo, il ringhio di qualche arconte mefistofelico. “Te odio” Era proprio Juri che si era accorto di tutto. “E’ mi madre!” Stava piangendo come un capretto. “E’ mi madre!” Mi resi conto solo in quel momento di aver infilato la bottiglia del Vidal nella figa di sua madre. “Ve odio a tutti!” Lo capivo per aver patito anch’io quella situazione, quando scoprii che Zeno si trombava mamma. “Non me tocca’!” Ero cambiato così tanto in così poco tempo. “Mo che fai, te scopi pure papà?” Che razza di abominio ero diventato?

“E’ mi madre e non è Patty” Mi era scappato di dirgli le stesse robe che Zeno aveva rifilato a me. “Non te n’è mai fregato niente de nessuno” Si mise a spararmi addosso tali sentenze! “Pure alle elementari, te lo ricordi?” Mi stava facendo salire l’ansia. “Quando te sei messo co’ Alessandro l’Unno” Non ci avevo mica scopato con Alessandro l’Unno. “Altroché se c’ha ragione Vanni!” Che cosa diceva Vanni? “Hai scopato co’ l’allenatore pe’ fregaglie la barca” Che figli di puttana, passavano il tempo a sparlare di me come due frustrati del cazzo. “Sei un fintone” Non ce la facevo più a starlo a sentire e lo menai.

“Bastardo” Ero più grosso e non ci volle molto per costringerlo all’impotenza. “Lasciame o urlo” E allora gli tappai la bocca con una mano. “... ” Non la smetteva di divincolarsi. “... ” Non fu neanche una scelta razionale ... quel trambusto mi aveva fatto salire l’adrenalina. “... ” Eravamo già nudi e i nostri corpi avvinghiati dalla rabbia, compirono da soli la mia volontà di prevaricazione. “... ” Lo iniziai a premere e lui, stritolato nel mio abbraccio mortale, non si mosse quando allentai la presa per tirarmelo fuori. “... ” Si abbassò da solo l’elastico degli slip e poi tirò su le reni per permettermi di entrargli meglio dentro. “... ” Non ci volle molto e lui emise solo un rantolo quando lo ritirai fuori. “... ” Mi staccai rivoltandomi sulla mia parte del materasso ... Juri rimase immobile.

X

 

“A pisellotto, noi annamo in spiaggia” La mattina rimasi collassato di sonno nel letto e dopo aver mancato l’appuntamento di lavoro allo Stabilimento Balneare, Patty venne a svegliarmi con una delicatezza infinita. “Mimmetto, tu resta a dormi’ che sei stanco” Effettivamente mi sentivo a pezzi. “T’ho lasciato la colazione e magna che non poi campa’ d’aria” Il sesso è proprio una strana droga. “ Ah Mimmo, dici che è presto pe’ faglie la proposta?” Prima di andare in spiaggia venne pure Juri e come la madre, mi parlava con una voce mite e sottomessa. “E dai, vie’ pure tu che giocamo a bigliardino” Invece Nikita mi saltò addosso, iniziando a ballarmi sulle palle. “Lo stai amazza’ a sto porello” Era proprio strano accorgermi quanto il mio pisello fosse diventato caro a Patty e Jury. “Annamo e lasciamolo in pace” Finalmente se ne andarono tutti e in casa rimase solo il suono del televisore acceso.

Mi rivoltai per un po’ nel letto ... ma oramai il sonno era scemato e decisi di approfittare della colazione lasciatami in caldo, ma per una volta che mi sarei preso volentieri un cagotto con latte e biscotti, trovai il Te freddo che avevo chiesto vanamente da quando ero arrivato. “Io e te ce dovemo fa un discorsetto” Mi prese un accidenti quando scoprii che era Romoletto che stava guardando la televisione. “Ma a casa tua se va in giro a cazzo dritto nelle mutande?” No, a casa mia non era neanche permesso nominarle le mutande e figuriamoci il pisello! “Beh, allora vatte a vesti’ che dovemo anda’ in ferramenta” Perché aveva quella faccia da funerale e non mi aveva neanche chiesto se mi andava di tinteggiare bagno e cucina?

“Non fa quella faccia con me, chiaro?” Era lui che ordinava con il gusto di provocarmi. “Porta dentro i bidoni e non fiata’ che me potrebbero girà i coglioni” Continuò così per tutto il tempo. “Che te sei cecato?” Covava qualcosa nel gozzo. “Ripassa quella parte che fa schifo” Ce l’aveva proprio con me. “I soffitti falli tu, che sei più alto” Possibile che si fosse accorto di tutto? “Dovemo aspetta’ prima de daglie la seconda mano” I muri arsi dal caldo asciugavano l’umidità della tinta troppo in fretta. “Che altro c’hai da fa?” Non volevo rimanere solo con lui senza nulla da fare. “Lo sai invece che te dico?” Cosa? “La seconda mano ce la damo verso sera, quando rinfresca” Porca zozza, mi stava incastrando per tutto il giorno!  

Accampai ogni sorta di scusa per evitare il rischio d’intraprendere conversazioni pericolose. “Glie ‘o dice Patrizia che oggi c’hai da fa co’ me” Gli ricordai i miei impegni allo Stabilimento Balneare. “Lina è una navigata e nun vole impegni seri” Tentai di allettarlo con le grazie della Signora Lina, ma lei già gli aveva esposto la filosofia di non farlo troppe volte con lo stesso uomo per tenersi lontano da relazioni pericolose. “Te l’ha imparato Dimitri come se fanno becchi i mariti?” Stava insinuando che gli avevo presentato la Signora Lina per distoglierlo da Patrizia. “ Da chi te credi che l’ha imparato Dimitri?” Dove cazzo voleva arrivare? “Una cosa non so’ riuscito a ficcacela in testa a quel capoccione de mi figlio” Avevo paura di chiedere cosa. “Le mogli dell’amici nun se toccano” Si era scolato già la seconda birretta gelata e temevo che la lingua gli si sarebbe sciolta sempre di più.

“Voi regazzini de oggi ve credete d’esse nati colla scienza ‘n saccoccia” Se n’era accorto e del resto quella pazza di Patty aveva guaito come una cagna per tutto il tempo. “Te senti tanto furbo pe’ ave’ giocato ar gatto er topo co’ me?” Ma perché quella notte non era intervenuto subito? “La passeggiata romantica, te sei fatto paga’ pure la seratina ar bar dei granosi!” Ma era stata Patrizia a raccontargli tutto? “Er coccottail e poi zac!” Basta, cercai di riparare dietro la porta della cameretta col proposito di recuperare lo zaino e filarmela dalla finestra passando dal vialetto del condominio adiacente a casa. “A do’ scappi?” Però tentare la fuga fu come ammettere ogni accusa. “Questo me so’ meritato pe’ avette voluto bene come a ‘n figlio” M’incastrò nell’angolo tra le porte del bagno e la cameretta, che sarebbe successo ora? “Lascia sta mi moglie, ce semo intesi?” Non potevo rispondere perché mi teneva la mandibola stretta in un a mano. “Non t’ho sentito” Io invece sì ... con l’altra mano mi stava stritolando le palle! “Allora?” Mugolai qualcosa e appena mollò la presa sulla bocca, vuotai il sacco ... ammisi tutto ... anche quello che aveva solo immaginato!

“Porco Dio, a Mi’ vattene ... vattene o t’ammazzo!” Lo spavento mi fece imboccare la porta sbagliata e rimasi incastrato nel bagno che non aveva finestre da cui squagliarmela. Stavo sperimentando le pericolose implicazioni sociali che comporta ogni volta toccare una fica e mentre rimuginavo, ero stupefatto nel ritrovarmi nelle spiegazioni di Zeno o nella filosofia di Carmelo, scoprendo per la prima volta le tante teste spuntate sul corpo della mia anima. Romoletto aveva scorto il volto di Dimitri tra le tante facce della chimera che ero diventato e dovevo in qualche modo tornare a mostrargli il volto che preferiva. “Regazzi’ apri ‘sta porta che devo piscia’” Dunque si era scolata un’altra birretta. “Dai, apri che non te faccio niente” Aveva tenuto la maniglia abbassata mentre giravo la chiave nella toppa e mi spinse la porta contro appena si aprì. “Spostate” Mi scansò con un braccio e si rivoltò il pisello fuori dai pantaloni iniziando a pisciare.

“Mica te ne vorrai anda’ tutto zozzo” Era la birra ad averlo ammansito o cosa? “Pur’io all’età tua stavo sempre a cazzo dritto” Non mi voleva più ammazzare? “So’ le femmine che so tutte mignotte” Aveva deciso qualcosa che ancora non sapevo. “Mi moglie è la più zoccola de tutte” E se Dante avesse avuto ragione sullo scopo celato nel suo interesse nei miei riguardi? “A Mimme’, lascia sta che le bugie nun si proprio capace a raccontalle” Gli ripetei il mea culpa per scagionare Patty da ogni colpa. “Te la faccio abbassa’ io la cresta a te!” Cazzo, mi tirò una tale sberla che rimasi intontito e se non mi tratteneva, istintivamente sarei scappato chissà dove. “Vie’ qua, a do’ vai?” La cosa l’aveva divertito parecchio perché nel trambusto stavo per cadere e dovette trattenermi. “E’ bastato ‘n fringuelletto come te pe faglie aprì le cosce” Stava parlando di qualcosa in cui la Patty non c’entrava niente. “Mettete dentro la vasca che famo prima” Con la manichetta della doccia cercava di lavarmi via la polvere di addosso e allora gli passai io la spugna per insaponarmi. “Co’ te mica è strano mettese strani grilli in testa” Dunque capiva perché la moglie l’avesse fatto becco? “Aoh, piantala de sfotte che me potrebbero ancora girà le palle” Sapesse cosa stava succedendo alle mie se non la smetteva di toccare ...

“Stasera la porto a cena al ristorante de Lina e manno giù il rospo” Ecco, questa era una buona idea. “Girate” No, questa non era una buona idea. “Nun te devi mica vergogna’” Neanche del fatto che lui mi arrapava più della moglie? “E m’ha fatto becco pe’ sto cosetto” Aoh, respect! “Senti qua, c’hai due pallette come Cicciobello” Facevano bene il loro lavoro e doveva piantarla di tastarmi i coglioni. “Ma statte zitto ... queste le poi chiama’ coglioni” Obiettivamente si tirò fuori due palle da bigliardo. “Nun pe’ di’, ma so’ i gioielli de famiglia del Sor Peppone” Allora doveva sperare che non gli venisse un’elefantiasi com’era successo a lui. “Tutta invidia, sapessi come godono quando gliele sbatto sulla fica” Avevamo forse iniziato il gioco del parlare zozzo? “Spostate che me do ‘na rinfrescata pure io” Lo stava facendo perché lo volevo anch’io? “Non sapevo che fa” Perché quella notte ci aveva sentito senza intervenire? “So cose che a raccontalle non ce se crede” Si era masturbato spiando lo stallone bianco del Vidal che si faceva la moglie. “Godeva proprio come ‘na maiala” Non quanto me in quel momento che approfittavo per toccarlo ovunque. “Aoh!” Osai troppo quando tentai un’incursione tra le sue natiche. “Regazzi’, tu sei pericoloso!” Disse, dopo essere scattato come una molla.

“Te lo imparo io un giochetto” Si allargò il prepuzio e ci spinse dentro la testa di Mr Wiggly ... non l’avevo più fatto dai tempi di Nando e ora era tutta un’altra roba! “Che stai a fa?” Ce l’aveva barzotto e allora presi l’elastico per capelli di Patty e con un rapido giro di dita ci feci un nodo a papillon a doppio cappio scorsoio. “Non stringne che famo la frittata” Gli infiocchettai il pacco per trattenere il sangue caldo nei tronchi cavi del pene. “Fermo a Mi’ che me stai a scoppia’!” Gli si era gonfiato uno sproposito e le vene parevano stare per esplodere sul serio. “Piano che sennò casco come ‘na pera” Gli rinfilai la testa di Mr Wigly nel prepuzio e lui ebbe un tremore alle gambe. “Eccolo!” Cercò di non venire trattenendo un sosprio tra i denti, ma poi il prepuzio si gonfiò fino a esplodere come un palloncino. “Nun sai da quanto che c’avevo sto schiribizzo” Dante non si era sbagliato. “Altro che, se te piace” Gli stavo solo offrendo la parte di me che voleva vedere.

XI

 

“Come se fa a fallo?” Mi chiese d’insegnargli il nodo a doppio cappio mentre lo liberavo dalla deliziosa morsa. “Chi te l’ha imparata sta robba?” Affari miei. “E’ stato l’anarchico?” Allora si era accorto anche lui di Dante. “Porta l’orecchino a destra” Non erano affari suoi sapere chi era il mio mentore. “Mi sa che a te non te se deve impara’ niente” Non volevo che si spaventasse, ma successe lo stesso e si ammutolì. “Aoh!” Allora gli feci schioccare l’asciugamano sulle chiappe e finalmente riprese a parlarmi. “A Pise’ che dici de annacce allunga’ cinque minuti” La scarica di serotonina iniziava a farsi sentire. “Sto da Dio!” Disse stiracchiandosi dopo esserci sdraiati uno accanto all’altro nel letto di mamma e papà.

“Lo voi sape’ ‘n segreto?” Condividere i segreti è il primo passo di una fratellanza. “Patrizia non m’ha mai amato” L’aveva tradita anche lui e non per questo l’amava di meno. “Una donna che tradisce è diverso” Andiamo! Eravamo negli anni ottanta e non mi poteva fare il sessista con la lupara. “Aoh, le corna nun fanno piacere a nessuno” Era il solito maschio latino. “Se ero geloso, sai da quanto che c’eravamo lasciati” Non ci credevo che Patrizia fosse una fedifraga seriale. “Nun me voleva sposa’, so’ io che l’ho messa incinta” Era accaduto tipo sedici anni prima e dopo tanto tempo insieme ... “E’ che pure io me so stufato de abbozza’” Era chiaro che c’era del rancore che stava marcendo nel petto di entrambi. “A lei glie so’ sempre piaciuti quelli strani come te” Ah beh, grazie per lo strano. “Glie piaciono le poesie” E’ importante sillabare bene le proprie emozioni. “Mi fratello ce sa fa” Sì, scriveva dei sonetti in romanesco molto belli. “A Mi’, Patrizia è sempre stata innamorata de Remo” Bah, in fondo erano uguali come due gocce d’acqua.

“L’avemo conosciuta a Capracotta” Spiaggia nudisti! “Eravamo du’ pischelli appena congedati” Che bella tonalità aveva preso la sua voce. “Prima de parti’ militari, nun avevamo mai cacciato fori la testa dal sacco” Tirò su le ginocchia, accavallando una gamba per toccarsi le dita del piede destro. “Co’ Remo conoscevamo solo lo sborratoio del magazzino della farina” Il concetto era abbastanza chiaro. “Sotto le armi ce semo proprio divertiti co sto tizio de Guidonia” Mi poggiai su un gomito per poterlo guardare in faccia. “Uno pensa che so’ tutti zozzoni, ma non è mica vero” Il naturismo si rifà a una delle prime eresie del cristianesimo, in cui il nudismo adamitico rappresenta la mitezza del raccoglitore della grazia di Dio. “Boh, però ce se ammucchiava pure, mica che no!” L’amore libero era stato il motore della rivoluzione degli anni sessanta. “Patrizia non la volevo perde” Però Patty gli preferiva la versione poetica di Remo. “Io non gliela volevo frega’” Siccome però quei due non perseguivano un rapporto esclusivo, ci pensò lui a fare il gioco sporco. “Potevamo resta’ noi tre, senza tutta quella manica de zozzoni” La mise in cinta e poi la portò all’altare col proposito di continuare con un mènage a trois. “All’occhio del popolo ero io il marito e quelli erano figli mia” Però divenne geloso del fratello. “Io geloso de’ Remo, ma che te stai a rappresenta’?” Dormivano forse in un letto matrimoniale a tre piazze? “Certo che mi moglie dormiva co’ me, però le cose annavano bene” Ovvero fin quando fu lui a dirigere l’orchestra. “Aoh, co’ Segej e Dimitri in giro pe’ casa, mica ce potevamo fa’ vede’!” Presumibilmente il fratello si stancò di quella situazione. 

“Oramai le cose stavano così” Remo preferì tornare nel limbo notturno del forno. “Mi padre c’ha imparato a fa a meno delle femmine” Parlava della fratellanza perché il fratello ne intrecciò una con Simone. “Se lo sai, che me lo fai spiega’ a fa?” Era talmente geloso di Simone che lo avrebbe volentieri licenziato in tronco. “Ma te diverti a famme passa’ pe’ stronzo?” La famiglia gli aveva fatto dimenticare la particolare intimità avuta col fratello. “Allora dillo che te piace girà er coltello nella piaga” Sulla soglia della mezza età, quelle nostalgie iniziavano a gettare dei dubbi sulle scelte fatte. “E’ tutta colpa de quella testa de cazzo” Accusava Simone di essersi intromesso nel loro rapporto. “Mi fratello è un pezzo de me” La Zia Pina non aveva tutti i torti sul concubinato in uso a casa del Sor Peppone. “Non me la doveva fa quella zozzata” Remo aveva condiviso l’amore di Patrizia con Simone. “Juri è figlio suo” Però, come tutti i discendenti del Padrone del forno, anche Juri aveva avuto un gemello nel grembo materno “E chi l’ha visto?” Nessuno, però ... “Io so quello che c’ho davanti l’occhi” Intendeva l’inclinazione per il disegno che somigliava alla passione di Simone per la pittura.  “Te ne sei accorto pure tu!” Juri era sicuramente molto diverso dai fratelli caciaroni. “Vedi che nun so’ matto!” Però aveva le stesse bocce da biliardo di famiglia. “E’ pure impotente!” Aveva dei problemi solo perché pisciava sperma e a quanto avevo appena visto, pareva anche quello essere un tratto ereditario. “Nun me somiglia pe’ niente” Sì, ma poteva anche essere stato Remo a mettere la pagnotta in forno. “Ogni volta che me passa davanti, me se rivolta lo stomaco” Che cattiveria!

XII

 

“Annamo bene!” Patrizia ci sorprese nel letto a ronfare. “Avete lasciato sto macello in giro e ve siete messi a dormi’!” La conosceva la fratellanza e aveva subodorato quanto stava per accadere fin dal momento che mi aveva visto arrivare. “E certo, tanto ce sta la schiavetta che pulisce!” Avrei rimesso in ordine io, ma per fare un buon lavoro Mary Poppins porno avrebbe dovuto prima cantare quant’è facile mandare giù l’amara pillola della verità con un po’ di zucchero. “Che?” L’ipocrisia in cui vivevano scaturiva dalla reticenza verso dei ricordi divenuti in tal modo segreti impronunciabili. “Ma te sei ammattito!” Dovevano imparare a dire: Supercalifragilisticexpialidocious.  “Zitto, che ce sentono i regazzini!” E io cos’ero? “A Mimme’, non fa pazzie” Dovevano ascoltare la verità dei folli. “Questo ce manna carcerati!” Mostravano una maschera da così tanto tempo, da aver dimenticato il volto reale dei loro bisogni. “Guarda che stamattina non te volevo mica mena’ sul serio” Certo che lo avrebbe fatto, se non fosse intervenuta la sua libido. “A Romole’, me fai proprio schifo!” L’intelligenza emotiva emette sentenze attraverso la schifezza ed è proprio svicolando questa sensazione che si arriva a scambiarla per una forma etica d’ipocrisia.

“Senti chi parla, ma statte zitta!” L’attrazione di Romoletto per le mogli degli altri somigliava al desiderio di Nando che andava a rubare nei letti altrui un’affettività incapace di costruire da solo. “Solo sto stronzo te poteva sposa’” Traviare il talamo nuziale di qualche irreprensibile signora, gli pareva confermare quanto fosse impossibile trattenere il desiderio di una moglie. “Tu sei come quel pervertito de Mariano” Forse fu quando mi sorprese a brache calate con Nikita che nella psiche di Romoletto s’innescò il ricordo emotivo di una libido apparentemente dimenticata. “E’ colpa tua e de mi fratello” Lui però non era mosso da un infantilismo erotico come succedeva a Mariano. “Noi te lo dicevamo de anda’ via da casa de tu padre” Non si può scappare da se stessi. “E chi v’ha costretto a fa le porcate co’ quello?” Certo che non l’aveva spinta lui tra le braccia di Simone, però non poteva pretendere che anche Remo gli fosse rimasto fedele. “E’ colpa tua se mi fratello è diventato così” Remo aveva rielaborato la fratellanza quando conobbe Patrizia che lo introdusse nell’ambiente poliamoroso naturista in cui viveva. “Te credi che sto scemo non ce l’ha un core?” Messa in questi termini, non si capiva bene se Romoletto premeditò di mettere incinta Patrizia per incastrare lei o trattenere il fratello.

 “Tu m’hai chiuso dentro ‘na casa a sforna’ figli” Patrizia non si aspettava di rimanere ingabbiata nel ruolo di moglie perché aveva scambiato la famiglia del Sor Peppone per una piccola comunità. “Ma se ho campato pure la pagnotta al forno che t’ha messo quell’altro!” E’ presumibile che il primo a rompere l’esclusività del loro triangolo amoroso fu Remo e Patrizia scelse di seguirlo nel nuovo ménage a trois con Simone. “Se fosse suo, t’avrei lasciato da ‘n pezzo” Si poteva dedurre dai caratteri ereditari che Juri non era figlio di Simone, ma non era altrettanto facile escludere che fosse Remo il padre, vista la promiscuità sessuale intrattenuta con entrambi i fratelli gemelli. “Stai co’ me perché sto scemo lavora e paga quanno quell’altri du’ scemi so boni solo annà ‘n giro a fa i figli dei fiori” La verità era che Romoletto l’aveva messa di nuovo incinta di Nikita quando temette che lo lasciasse. “Ho rischiato de’ mori’ pe’ colpa tua” I medici le avevano sconsigliato una nuova gravidanza. “Io te amo troppo, ecco qual è er peccato mio” Quando si vuole possedere una persona, si deve uccidere la sua libertà.

“Ma che te credi che nun lo vedo quello che succede?” Romoletto esibiva platealmente l’amore per la moglie da dietro il bancone della bottega, affinché nessuna delle clienti che si trombava si mettesse strani grilli in testa. “E’ quasi ‘n anno che non me tocchi e io scema che me credevo che avessi affittato sta casa ...” Per l’esattezza era da più di dieci anni che la loro risacca emotiva andava impantanandosi in una palude di reticenze. “ Invece ecco ch’è successo” Avevano incontrato Mary Poppins Porno con il suo specchio magico, in cui si stavano riflettendo con le loro identità erotiche. “Te rendi conto de quello che avemo fatto a sto ragazzetto!” La storia del tentato suicidio col Valium era risaputa nel rione. “Dovemo pensa’ a lui” Patrizia non mi avrebbe usato per sottacere la sua libido. “C’hai ragione Patri’” Come no, così tra non molto si sarebbe ritrovato ad acquistare sesso a Piazza Esedra. “E che dovessimo fa?” C’era una chiave nella serratura della camera e Mary Poppins era pronta a mettere il papillon allo stallone del Vidal. “Mannaccia a te” Basta col rinfacciarsi le date di un passato nefasto, era tempo di pucciare una madeleine nella sensualità per rigenerare le emozioni del tempo ritrovato. “Oddio, Romole’ te ricordi quella volta ...” L’estate della scoperta finisce con l’inverno della maturità, durante il quale continuerà a sbocciare con dei ricordi emozionanti in primavere di gioventù risorta.

XIII

 

“Al massimo le dieci e mezza ... ce semo capiti?” Mary Poppins badava a Juri e Nikita che trascorrevano con me tutto il giorno allo Stabilimento Balneare della Signora Lina. “A Romole’ ... te possino, aoh!” L’egoismo del piacere faceva gravare meno il sentimento genitoriale sui figli. “Me sembrano du’ scemi” Secondo Juri erano ridicoli perché non somigliavano più a degli adulti fossilizzati nei loro ruoli. “Sta zitto che te sei fatto pure mi padre” Era per questo che li vedevo come dei miei coetanei. “Ma so’ du’ vecchi!” Considerando che Juri voleva morire prima di compire trenta’anni, a quaranta per lui erano tutti dei matusalemme. “Io non te capisco proprio” Intrecciare relazioni con degli adulti allungava la mia memoria storica, quando poi si formavano dei fili d’intimità, anche la memoria emotiva si arricchiva delle loro esperienze e questo sicuramente mi creava un certo disorientamento nei rapporti con gli altri coetanei.

“Morena è ‘na zoccola” La contraddizione più forte si creava con il fondamentalismo teoretico tipico dell’adolescenza. “Io amo Gioia ma sta co’ Peter e l’ho persa pe’ sempre” L’inderogabile logica dell’amore unico e trascendentale finiva per renderci degli intransigenti moralisti. “E da infami frega’ l’amici” Doveva smetterla di credere che l’amore calasse dal cielo come una volontà inappellabile. “Però dovrebbe esse così” Gioia stava con Peter solo perché si erano pomiciati mentre lui aspettava che Cupido le parlasse al posto suo. “Come facevo a diglielo se me stava sempre a di’ de te?” Era stato un comportamento poco virile non tentare di imporre la sua volontà di amarla. “Io me credevo che glie piacevi tu!” Juri pretendeva che l’amore agisse su di lei allo stesso modo di come stava facendo con lui e quindi aspettava di coglierne i medesimi effetti. “Che significa?” La volontà dell’eros attrattivo è sollecitata dall’interesse di quello attivo, se entrambi si mettono in stand-by per godersi l’alba dell’amore, non si farà mai giorno.

“Me stai a di’ che so’ frocio!” La volontà di Juri era distratta dal piacere che sapeva trarre dal suo corpo, diversa da quella rapace di chi ha fame della sensualità altrui. “Me piaciono le femmine, capito!” Lui giocava di rimessa e aveva bisogno di una ragazza capace di lanciargli la palla. “E doveva stamme a spiega’ quanto sei più figo de me?” Però dopo si era messa con quelle quattro ossa brufolose di Peter. “Lui te copia sempre” Sì, lo aveva notato persino la Signora Lina che però se ne compiaceva perché finalmente si era staccato dai videogiochi e ci aiutava con i clienti. “E allora?” Allora un cazzo! Si doveva dare da fare e sfilargli la fidanzata, “A Juri, guarda che Gioia s’è litigata co’ Peter” L’amore delle pulzelle era proporzionale alla volontà suscitata in quello dei loro cavalieri. “A Mimmo, é stata Morena che ha fatto ‘na sega a Peter” Le ragazze erano costrette a contendersi quei pochi maschi capaci di esprimere dei chiari bisogni sessuali.

Al contrario del fratello maggiore, Nikita aveva tutti i suoi ammanchi sensuali al posto giusto. “Juri ce deve regala’ i fiori così se innamora” Erano quei bisogni ad ispirargli il corteggiamento utile a conquistare l’interesse del gentil sesso. “Ma che ce voi capi’ tu?” Romoletto e Patrizia si alzavano all’alba per andare alla spiaggia nudista della vicina Torre Astura. “Se non te crescono prima i peli sul pisello non lo poi sape’” Così mi davano un passaggio col furgoncino fino allo Stabilimento Balneare, dove bisognava aprire le sdraio prima delle sette per le nonne che portavano i nipoti piccoli a respirare l’aria buona. “I bambocci non se possono innamora’” Avevo spuntato quel lavoretto perché il turno di mattina non lo voleva fare nessuno, ma dopo arrivavano gli inservienti e potevo tornare a casa. “Voglio ride quando succede pure a te” Mary Poppins non tradiva la fiducia dei suoi padroni e puntualmente preparava la colazione ai pupi che trovava già a discutere di fica appena svegli.

“Io te voglio solo aiuta’!” Siccome ora il lettone dei genitori gli era precluso e lui non riusciva a dormire da solo, Nikita si era sistemato nella brandina con Juri. “Te dico che ce devi regala’ i fiori” A Mary Poppins non sfuggì il tubetto del sapone da barba riposto insieme all’asciugamano con cui Juri era solito pulirsi dalle polluzioni. “E chi me li dà i soldi?” Juri aveva iniziato a farsi una Federica col fratellino che oltre a smetterla di sbertucciarlo, ora gli dimostrava un affetto smodato. “Usamo quelli della pizza” Era anche la fratellanza a fiaccare la volontà erotica di Juri. “E’ finita per sempre e basta” A differenza di Peter che si segava in solitudine e morigeratamente per via della sua disgustosa acne, lui si consolava con la mano di Nikita. “La odio!” Quando vide Gioia flirtare di nuovo con Peter, ricominciò a menarsi sui coglioni senza fare altro perché soddisfaceva i propri bisogni in altra maniera, invece Peter se non avesse trovato il modo di riconquistare la fiducia tradita della fidanzata, sarebbe tornato a contarsi le pustole in faccia.

 

XIV

 

Dopo la festa del mio non compleanno, tutti in spiaggia mi chiamavano Mimmo. “Chiedilo a Mimmo ...” Clienti e inservienti avevano sempre qualcosa da domandarmi in cambio di una mancia. “Grazie Mimmo” Non avevo il becco di un quattrino e dovevo pagarmi la vacanza. “Mimmo, ci siamo capiti?” Di Mary Poppins ci si poteva fidare e oltre alla Signora Lina, anche gli altri mi usavano per coprire le loro liaison estive. “Mimo, amico mio ...” Guadagnavo bene con Said, il bellissimo ambulante marocchino del cocco fresco, che mi lasciava vendere la sua merce nel tempo che si appartava con delle clienti. Lui era il prototipo del maschio da monta che preferivano le donne sposate perché potevano dare stura alle proprie pulsioni vaginali sicure di non esserne condizionate. Un po’ come la Signora Lina che la dava a tutti per non innamorarsi di nessuno e le ragazzine, seppure animate da alti ideali come lo era Juri, alla fin fine stavano cercando solo di tarare un istinto sessuale promiscuo.

 “A Mi’ ... me so innamorato!” Quella fu una settimana molto impegnativa e non mi accorsi come andarono le cose, però a un certo punto Juri s’innamorò di nuovo. “E se poi me dice de No?” Loretta era una ragazzina grassoccia con la faccia lentigginosa e non aveva certo uno stuolo di pretendenti tra cui scegliere, quindi poteva contare su una buona probabilità che fosse infoiata quanto lui. “Dici che la posso pure bacia’?” Contava forse qualcosa la mia opinione? “E che ne so io!” Lei nutriva le sue stesse aspettative e quindi voleva essere baciata. “A Mi’, ho fatto er filotto!” Significava: bacio alla francese, paccata e sega. “Lo sento che è lei l’anima gemella mia” Aveva trovato una ragazzina con le idee chiare e alla prima occasione se lo spolpò. “Sto proprio bene co’ lei” Allora perché continuava a intrufolarsi nel mio letto per farsi trombare? “M’ha detto che le manco” L’amore eterno di Juri e Loretta durò fino alla fine delle vacanze ...

XV

 

 “E dai che te lo ricordi” Luigi abitava a Monte Verde e in città era capitato d’incontrarci solo in occasione delle riunioni per la vendita di prodotti domestici. “Vuoi fa’ il finto tonto?” Mia madre era ormai da parecchio che non faceva più la casalinga mentre io mi ero messo a rincorrere una medaglia, perciò non ci vedevamo da un paio d’anni ed ero cresciuto moltissimo da quando giocavamo ad azzuffarci. “T’insegnavo le tecniche ukemi” Lui avrà avuto l’età di Mattia ed era già grandicello quando in quei pomeriggi m’infliggeva le sue mosse di karate. “Come ti arrabbiavi durante i bloccaggi waza!” Luigi era piuttosto timido ma appena lo conoscevi meglio, diventava fin troppo espansivo. “Come la chiamavi quella tua mossa di catch?” Aveva l’aspetto di un bravo ragazzo e difatti era un ottimo studente senza grilli per la testa. “L’artiglio dell’Uomo Aquila, giusto?” Si curava poco del suo aspetto e si vestiva come il padre. “Se non ti lasciavo, mi avresti stritolato le palle!” I nostri diapason erotici si erano subito accordati e trovavo sexy persino i suoi occhiali da nerd.

“Ti ricordi poi ... ” Fu un piacere insegnargli come attivare i chakra. “Non è mica passato tanto tempo” No, me lo ricordavo bene il suo serpente kundalini come si drizzava liberando un copioso pràna. “Ero proprio un soggettone” L’apertura dei chakra è un esercizio di consapevolezza della propriocezione del corpo, un tipo di autoerotismo che ti connette con le energie cosmiche, tutt’altro dal mero gesto compensatorio di una masturbazione. “Non sapevo neanche tirarmi una pippa” Il suo bel salsicciotto fu il primo vero pisello che vidi e all’epoca non avevo neanche ben chiaro che cosa fosse una pippa. “Caspita se ci sapevi fare!” Mi bastava toccarlo a torso nudo per individuare i suoi chakra e per quelle poche volte che lo avevamo fatto, non ci arrivai mai ad aprire il muadhara posto nelle sue mutande. “Me ne venivo come uno stupido” La timidezza lo rendeva molto severo con se stesso, ma era solo una questione di sensibilità dei propri ricettori, se di punto in bianco era costretto a tirarselo fuori per far sgorgare il flusso dalla radica kundalini. “Mi fai morire, quando parli così!” Perché aveva ripreso quei discorsi che in genere i ragazzini dimenticano pudicamente tra i ricordi dell’infanzia?

“A stento mi rivolgevi il saluto” Nella casa al mare ci andavo sempre in compagnia e non me lo filavo, anche perché lui se ne rimaneva sulle sue. “Quest’anno sei diverso” Era il ruolo nello Stabilimento Balneare che mi permetteva di comunicare con tutti. “Non è per questo” Ero anche cresciuto e non solo fisicamente. “Non è neanche questo” Sarà stato che i filarini venutosi a creare, ci avevano coinvolto in una vera e propria combriccola che si riuniva anche la sera durante lo struscio cittadino? “Non me ne importa niente di quegli stupidi” Sì, Luigi non legava con nessuno, tant’è che era il cruccio dei suoi genitori vederlo sempre in disparte. “Quelli non si fanno mai gli affari loro” Come succede con i figli unici, i suoi finivano per schiacciarlo sotto le loro aspettative. “S’impicciano sempre” La madre faceva la rappresentate di classe fin da quando frequentava la prima elementare ed era stato suo padre a iscriverlo a karate per insegnargli a difendersi dai bulli. “Lo sai perché hanno portato Gioia?” Gli pianificavano la vita e quell’anno si erano portati dietro la sua lontana cugina acquisita perché speravano che s’invaghisse di lei.

“Io mi voglio divertire” Era un bel ragazzo e anche parecchio brillante, se solo avesse permesso anche agli altri di conoscerlo come faceva con me, avrebbero cambiato idea sul suo conto. “Mi sta simpatico solo Niky” L’atipicità di Nikita si poteva ben vedere dalle forme dei suoi castelli di sabbia, le cui torri finivano immancabilmente per diventare delle tette. “Niky, sei un mito!” Riconoscevo in Luigi le qualità che lo potevano mettere in sintonia con una fratellanza. “L’ho mandato a chiederle la taglia del reggiseno!” Però doveva smetterla di fomentare Nikita o quel testone si sarebbe cacciato nei guai. “E’ solo un gioco” E allora doveva metterci lui la faccia invece di rimanersene a fare castelli di sabbia dalle torri a forma di testa di cazzo. “Com’è che oggi sei così acido?” E’ che non era normale starcene spalmati al sole mentre Peter si faceva lisciare il piffero da sua cugina e persino Juri aveva trovato una pulzella con cui amoreggiare. “Ti è venuto duro?” Sì, la sabbia calda ci faceva a tutti lo stesso effetto rassodante.

“Niky, sbrigati, va a rubare le sue patatine” Ecco che lo aveva fatto di nuovo e non doveva usare Nikita per i suoi ... “Zitta Mary Poppins porno” Sì, era stato lui ad affibbiarmi quel nomignolo del cavolo. “Niky, sei un grande!” Si trattava di un semplice sfottò o ci nascondeva dietro qualche sottile malizia?  “Sentite come scrocchia la sua patata!” Era un caso se Mary Poppins in quel momento interpretava in un film il conte polacco Victor Grezhinski, un uomo che si travestiva da donna? “A Lui’, mi sa che ce l’ha larga come er sacchetto de patatine” Quello scemo aveva chiesto a Nikita di trafugare il sacchetto di patatine di una tipa. “Cazzo!” Poi ce lo aveva infilato dentro senza tener conto dei bordi taglienti delle patatine fritte e soprattutto del sale. “Come brucia!” Ci scompisciammo dalle risate a vederlo zompettare tenendosi il pacco in mano mentre correva in acqua per sciacquarsi.

“Chiedilo a Mary Poppins se posso venire” Quando mi chiamava in quel modo, intendeva proprio Mary Poppins o alludeva a Victor Vittoria? “A Mimmo, ce po’ veni’ pure Luigi a mangia’ a casa nostra?” I soldi che ci lasciavano per la pizza finivano regolarmente prima di pranzo e allora tornavamo a casa, dove preparavo spaghetti per tutti. “Se m’inviti, vi cucino io qualcosa di commestibile” Sì, ero un pessimo cuoco. “All’aglio devi togliere il germoglio e poi schiacciarlo così” Luigi non lo volevo intorno perché c’era qualcosa nei suoi sguardi, da cui non riuscivo a difendermi. “Si fa scaldare prima l’olio” Sentivo il suo erotismo innestarsi pericolosamente sulla mia dualità. “Con lo stuzzicadenti si vede quando l’olio è pronto per soffriggere” Non m’importava un cazzo di come si preparano gli spaghetti all’aglio, olio e peperoncino. “Scusa, non volevo annoiarti” Forse mamma aveva ragione e da bambino mi era entrato un diavolo in corpo incapace di farsi voler bene. “Come fanno le persone ad amarti, se non gli permetti di fare qualcosa per te?” Lui che mi veniva a spiegare l’amore? Lo stesso che aveva appena avuto un rapporto intimo con un’altra persona attraverso un cazzo di sacchetto di patatine?

“Stai diventando anche acida come quella zitella di Mary Poppins” Doveva smetterla di parlarmi al femminile. “Non conta con quante lo hai fatto” Detto da una verginella che non era riuscito a quagliare neanche con quella zoccola di sua cugina ... “Sono io che non voglio farlo con lei” O non era riuscito a tirarselo via dalle mutande prima di venire? “Sei proprio una stronza!” Vaffanculo, se non la piantava di sfottermi, gli avrei messo la pentola per cappello. “...” Così, di punto in bianco mi stampò un bacio sulle labbra. “...” Approfittò del momento di perplessità per rifarlo. “...” Cazzo, aveva una lingua che pareva quella di Camaleonte degli X-Men! “...” Non riuscivo a cacciarmela via dalla bocca ... mi sentii defluire ogni energia dal corpo e lui ne approfittò per impadronirsene ... esattamente come mi era capitato con Mattia. “Zitto, non devi dire niente” Luigi non era Mattia e voleva da me qualcosa di diverso o comunque in modo differente. “Pensaci con calma, ora ti sembrerebbe troppo assurdo” Mentre lui parlava, io stavo cercando di levarmi di dosso quella brutta sensazione d’impotenza. “Promettimi solo che ci penserai, ok?” Quale decisione avrei dovuto prendere? Preferii chiamare quegli sfaccendati di Juri e Nikita per apparecchiare la tavola. “A te non piace?” No, la sua pasta era troppo piccante per i miei gusti.

XVI

 

“E’ come se me sto a sveglia’ da un brutto sogno!” Patrizia riuscì a riallacciare immediatamente i rapporti con Silvana e suo fratello Dino, con cui aveva vissuto in una comune durante gli anni sessanta. “Me aiuti a preparamme?” Sicuramente non li aveva persi di vista per via di Radio Lambda Stereo. Avevano fondato insieme quella radio pirata che trasmetteva da Testataccio, ma erano rimasti loro due a mandarla avanti, anche se poi per campare lei faceva la segretaria d’azienda e lui addirittura il vigile urbano. “Queste me l’ha regalate Silvana” Accipicchia, delle guepiere rosse! “Giù le mani!” Quei due erano sessualmente molto aperti e a Silvana piaceva carezzare il pelo alla marmotta di Patty. “Me devo mette a dieta, guarda qua!” Per il resto non so come si regolasse la loro storia a quattro. “Mannaccia a te, adesso me devo rifa’ il bidè!” Patty si era imputtanita in maniera esagerata ed era un toccasana per la mia virilità in cerca di conferme.

“Sei bella come ‘na regina!” Romoletto sapeva sempre pronunciare le parole giuste, ma era evidente che stava mandando giù un amaro boccone. “Aoh, ‘ndo vai ... che a me nun me aiuti?” Potevo forse chiedere di più? “Me metto sta camicia?” Stampa a motivi hawaiani, che orrore! “Forse sto a sbaglia’ tutto” Quella camicia sicuramente, riguardo invece a Dino e Silvana, non funzionava perché loro tre stavano rigenerando delle emozioni estranee ai suoi ricordi. “E se poi me lascia?” Era proprio l’insicurezza che lo stava facendo preoccupare di cosa mettersi come un adolescente al primo appuntamento. “L’eschimo!” Certo, ma l’aveva vista Patty con la gonna da gitana? “Però so’ ancora un gran figo, eh!” Altro che, e non doveva temere nessuna concorrenza. “Aoh, vacce piano!” Mary Poppins porno concluse la sua magia spartendogli le bocce da bigliardo sul cavallo dei jeans ... aveva un pacco che era un’opera d’arte! “Mamma mia, a Romole’ ma dov’eri finito pe’ tutto sto tempo!” Esclamò Patrizia quando lo vide. “Patri’, se semo persi pe’ strada” La trasgressione della vacanza sarebbe finita presto e allora la loro storia matrimoniale avrebbe potuto ricominciare con dei nuovi ricordi.

“A Romole’ guarda quanto so’ belli!” Era la sera di Ferragosto e tutti si preparavano ad uscire per una passeggiata prima di cena. Loretta venne a citofonare a casa per andare alla festa insieme a Juri. “Ma che sta a succede?” In effetti, guardare Juri allontanarsi tenendo romanticamente per mano la sua fidanzatina e soprattutto accettare di portarsi dietro Nikita senza bestemmiare, era la prova di quanto fosse sconvolgente la potenza dell’amore. “Voi tre state sempre a parla’ de lavoro, dai che è tardi!” Io, Silvana e Dino non discutevamo di lavoro, ma della comune passione per la musica e non vedevo l’ora di andare in radio. “Sei sicuro di non voler uscire?” Silvana era sempre molto premurosa, ma si sbagliava a credere che soffrissi come lei di agorafobia. “Secondo me non vuole incontrare qualcuno” Saranno pure stati cazzi miei, o no? Comunque, Sì ... aveva ragione Dino e non volevo incontrare Luigi, tanto che quel giorno non mi ero recato neanche allo Stabilimento Balneare.

Mi si agitava ancora in corpo quella strana sensazione d’impotenza. Ora riuscivo anche a capire perché le ragazze passassero tanto tempo a fare il m’ama non m’ama contando i peli al culo dei loro pretendenti. Era sconvolgente come l’eros attivo riusciva a imporsi, insinuando nel corpo la sua volontà come fosse una spora aliena. Che fosse quello l’amore di cui tutti si dicevano incapaci di resistere? Avrei dovuto cedere alle sue rinomate voluttà? E se io non desideravo farlo? La dualità confondeva il piacere che stava nell’abbandono di se stessi nell’abbraccio di qualcun’altro. In quel momento percepivo solo lo spavento e preferii la parte della damigella arroccata sulla torre, però non avevo tenuto conto del principe che puntualmente arrivò sotto il balcone ... trovavo tutto assurdamente imbarazzante.

“Scusa, pensavo che il citofono fosse rotto” Lo avevo riparato con le mie dolci manine di fata. “Credevo che non mi sentissi” Stavo fingendo di non ascoltare i suoi miagoli da gatto in estro. “Si è rotto?” Vaffanculo, tirò una sassata sul portone che pareva una cannonata! “Non riesco più a pensare a nient’altro” Anch’io, ma era chiaro che ne traevamo emozioni diverse. “Ti chiedo solo di darmi una possibilità” Ma quando mai; No, non se ne parlava proprio. “Capisco che sei spaventato” Ma veramente credeva che fossi una verginella di primo pelo come lui. “Non c’è bisogno che ti sforzi per farmi sentire una merda” Oh, Odino! “Sono stato un pazzo a credere che uno come te potesse solo prendermi in considerazione” Invocavo il sacro martello di Thor affinché calasse sulla sua zucca dura. “Tu non sai la sofferenza che mi spinge a espormi così” Avrebbe potuto usare i suoi patemi d’amore per scrivere versi come facevano tutti i poeti. “Ho scritto questa poesia per te” Oh, Gesù, Giuseppe e Maria! “Non saranno bellissimi, ma li ho scritti col cuore” L’aveva scritti con i piedi, ma erano belli lo stesso ... perché mi sentivo con un orco senz’anima?

E che dovevo fare? Mi cambiai e uscii con lui. “Sei bellissimo” Ma vaffanculo. “Ti va lo zucchero filato?” Era la questione dei ruoli che mi disorientava. “Un gelato?” Mi sentivo ridicolo ad accettare il suo impudico corteggiamento. “Sto così bene con te!” Quella roba non c’entrava nulla con la fratellanza perché io a lui me lo sarei trombato volentieri, ma in quel modo mi sentivo intrappolato nello schema del suo sentimento. “Dimmi in cosa sbaglio e cambierò” Lui stava facendo tutto nel modo giusto, ero io che ero nato storto e non mi meritavo il bene che voleva donarmi. “Perché dici così!” Io amavo Giada e anche quella pazza di Lidia, ok? Lo avevo fatto con una caterva di ragazzi e non aveva mai cambiato questo dato di fatto, ok? “Quello che provo io non conta niente per te?” Gli volevo bene e mi piaceva anche, ma proprio per questo non volevo ingannarlo. “Raccontami tutte le bugie che vuoi, ma resta ancora un po’” Che bugie? Il mio eros multiforme si stava già forgiando sul suo, dandomi quel nuovo volto che mi spaventava. “Fidati di me” Forse aveva ragione lui ed era normale sentirsi in quel modo. “Io non ti farei mai del male” Ma che cazzo ne sapeva lui di me? “Sei una persona dolce e sensibile” Oh, certo! Ero proprio un fiore candido senza peccato... maledetto lui, era riuscito a commuovermi come una stupida fichetta! “Ti amo, lo capisci questo?” No e scappai via, stando attendo a non perdere le scarpine di cristallo durante la fuga.

XVII

 

Mi proteggevo dalle emozioni annichilendo la percezione dei sensi, era un istinto riflesso per impedire la repentina esondazione dell’animo. Quella cinica freddezza costituiva il baluardo con cui riuscivo a difendere i confini della mia labile identità. Sulle prime potevo anche apparire forte, ma stavo solo combattendo l’infezione che innestava i bisogni degli altri sulla dualità capace di farmi diventare qualsiasi cosa. Me ne tornai a casa con il timore di vedere spuntare sul corpo della mia Chimera una nuova testa da checca, ma non ebbi il tempo di preoccuparmene perché le mie vacanze estive stavano per concludersi. 

“E tu che stai a fa’ qua?” Riconobbi fin da lontano il BMW parcheggiato davanti casa e anche il modo sciatto con cui Primo usava lasciare aperto il cancelletto del giardino. “Spunti sempre fuori come l’asso de coppe quando comanda denari” Aveva le maniche della camicia rivoltate, il colletto sbottonato e addosso portava la puzza di stantio, un misto di sudore, fumo di sigaretta e alcol, tipico di bisca che si protraeva da qualche giorno. “Ma ‘ndo so’ andati questi?” Era entrato in casa e si era servito dal frigorifero una birra poi lasciata ancora tappata sul tavolino della cucina. “Io non posso mica sta ad aspetta’ tutta la notte” Perché, quali importanti appuntamenti di lavoro lo reclamavano la sera di Ferragosto? “Risparmiati l’umorismo da ebreo” Aveva bevuto troppo, ma non era per l’alcol se era così nervoso.

“Tu e tu madre fate ‘na bella coppia” Gli avevo detto che mamma mi aveva mandato per dare una mano in casa. “I veneti e l’ebrei ce l’anno nel sangue l’istinto da servi” Alludeva ad Arlecchino servo di due padroni per via delle origini veneziane di mia madre. “Così adesso tutti già sanno che siamo finiti colle pezze al culo” Volevo recuperare punti raccontandogli del lavoro che mi ero trovato allo Stabilimento Balneare della Signora Lina, invece peggiorai la situazione. “Un paio di mano e mi sarei rifatto, ma quando la iella ce se mette!” Aveva perso al tavolo verde dei soldi che non aveva e dovevano essere tanti perché prima di allora non lo avevo mai visto in quelle condizioni. Gli stappai la birra e lui dopo averla ingollata in un solo sorso, ruttò via dell’acidità che gli fece torcere lo stomaco infiammato dalla bile ... poi si appisolò su quel vecchio divano, dove c’era impressa l’invisibile postura del suo riposo casalingo.

Mi piaceva guardarlo mentre dormiva. Non erano molti i compleanni che mi ricordavo di aver trascorso con lui e non potevo certo sapere che sarebbe stato l’ultimo. “Inutile che mi guardi così, tanto stiamo sulla stessa barca” Mi disse ridestandosi da qualche incubo. Mia madre lo aveva lasciato in un’occasione simile. Lui aveva continuato a perdere al gioco firmando cambiali a strozzo dal suo compare «Ciro o’ Pazzo» cioè il padre di Lidia. Quello alla fine si era stancato di aspettare e passò all’incasso e mia madre, incinta di nove mesi, quando si vide l’ufficiale giudiziario sulla porta di casa con il sequestro esecutivo in mano, sclerò di brutto minacciando fuoco e fiamme ... ma ci rimediò solo un aborto che la stava per uccidere. Io non sarei mai nato se quel bambino non fosse morto e se ora stavo guardando quell’uomo, lo dovevo allo stesso vizio che lo aveva di nuovo messo sul lastrico.

“Stappami un’altra birra” Primo non sapeva usare il cavatappi, si faceva male ogni volta ed era sempre mia madre che gli apriva le bottiglie. “Ti ho detto di non guardarmi così” Sarebbe stato bello se si fosse ricordato da solo che era il giorno del mio compleanno. “Ti ricordi quando facevo le intacche contro lo stipite della porta?” C’era molta amarezza nel suo tono di voce. “Guarda che spalle, sei diventato il doppio de me!” Avrei preferito che la smettesse di parlarmi in quel modo truce. “Non c’ha mai creduto nessuno che eri figlio mio” Sì, al Circolo si stupivano tutti quando lo dicevo, ma avevo sempre creduto che fosse per le balle che raccontava sul mio conto.

“Ti hanno portato in clinica di Ferragosto perché non c’era nessuno” I segreti che ci riguardano non li possiamo scoprire da soli perché ci viviamo dentro. “Se aspettavano ‘n altro po’, ci andavi camminando da solo” Serve sempre qualcuno che te li racconti guardandoli da fuori. “Ora sei abbastanza grande per sapere come sono andate le cose” Voleva farmi del male per trarre un po’ di sollievo dalla situazione di merda in cui si era cacciato. “Neanche tu madre si ricorda quando sei nato” Che ci trovava da ridere? “La megera ci ha fatto un bel pacco a tutti quanti” Intendeva la Zia Pina che alla fine aveva rimesso ordine nel caos che si era venuto a creare. “Tu non l’hai riconosciuto, ma c’era pure lui al funerale” Quando mi sentii male il giorno in cui andai a far visita alla salma della Zia, fu mio padre a soccorrermi.

“Stavamo tutti là pe’ controlla’ che la strega avesse davvero stirato le zampe” Questo lo avevo capito da solo. “Tu non sai proprio niente” Aveva ragione lui. “Il sangue non è acqua e tu sei ebreo, non c’è sta niente da fa” Secondo lui era per questo che volevo tanto bene alla Zia Pina. “Non giocavi mai, stavi sempre zitto colla faccia in mezzo ai libri ancora prima de sape’ legge!” Beh, come dargli torto. “Me sei costato più de strizzacervelli che altro” Forse gli si rivoltava solo lo stomaco quando mi aveva davanti. “Ma dove so’ andati questi?” Era Ferragosto e le famiglie «normali» uscivano a fare lo struscio tra le bancarelle, portavano i figli alle giostre e poi ascoltavano la musica in piazza ... alla fine dei fuochi pirotecnici sarebbero tornati a casa. “Lo so che sono stato un pessimo padre” Beh, ora non doveva essere troppo severo con se stesso, conoscevo chi aveva fatto anche peggio di lui.

“Piantala di guardarmi così” Come cazzo lo dovevo guardare? “Eri piccoletto e già co’ sto occhietti da ebreo stavi sempre là a giudica’ tutti” Dunque mi odiava come sosteneva mamma? “E’ colpa mia se non sei stato capace de fatte vole’ bene neanche da tua madre?” Lo sapevo di essere nato storto, era lei che me lo ripeteva sempre. “L’ebrei devono sta co’ l’ebrei, mi’ padre non se sbagliava mai” Peccato che neanche gli ebrei mi volessero bene. “Non sono io che ti odio, sei tu che non sei capace di farti amare” Gli dovevo passare un coltello per ammazzarmi direttamente? “Ti voglio solo far capire che stiamo sulla stessa barca e dobbiamo remare insieme, non abbiamo scelta” Cioè? “Cioè un cazzo, stiamo nella merda, OK?” Mi sembrava di udire le rotelline del suo cervello mentre concepivano una soluzione che non aveva il coraggio di illustrarmi.

XVIII

 

Fu un sollievo sentire la voce gioiosa di Nikita irrompere in quell’invaso di rancore putrefatto. “Romoletto, amico mio!” Per fortuna tornarono a casa per cena e Silvana avrebbe voluto portarmi in camera con Patty e i figli, ma io rimasi in cucina con Dino mentre Romoletto fu spinto in giardino da Primo per parargli in privato. Leggevo le parole che stava pronunciando dalla gestualità plateale con cui le recitava. “Certo che tu e tu madre fate sempre come cazzo ve pare!” Rientrando, Romoletto andò dritto in camera a prendere i soldi dell’affitto e rimanemmo da soli in cucina. “Questa è casa mia” Probabile che aveva scoperto solo in quel momento che mamma aveva intascato già metà dell’affitto. “E certo, la santa sta in Africa a fa i bocchini ai preti in ginocchio” Il demone del bisogno si stava manifestando battendo i pugni sul tavolo e tirando via le sedie rumorosamente.

“Ma che me stai a fa l’elemosina?” Grugnì il demone rifiutando i soldi di Romoletto. “Io ti offro un affare d’oro!” Gli aveva proposto di comprarsi la casa. “Questo è il sudore della fronte mia!” No, l’aveva vinta a qualche disgraziato come lui. “Non capisci proprio un cazzo!” Dino provò a ricondurre alla ragione Primo, ma in quel momento neanche il padreterno lo avrebbe intimidito. “Cammina e vatte a prende la roba che mio figlio non ha bisogno di fare il servo a certi pezzenti” Lo conoscevo lo sguardo con cui mi guardarono tutti, un misto di commiserazione e spavento che li faceva rimanere inermi davanti a qualcosa di cui avevano solo sentito parlare, forse convinti che il diavolo fosse solo una leggenda.

XIX

 

Mary Poppins porno se ne volò via aprendo il suo ombrello, portando con sé solo le emozioni che potevano stare nella sua buffa valigia. “Che facciamo?” Primo guidò lentamente fino alle porte di Roma, poi accostò sulla corsia d’emergenza e spense il motore. “Lo so io dove abitano” Il ticchettio incessante delle quattro frecce scandivano un conto alla rovescia inesorabile. “Non t’ho mai chiesto niente” No, non era il demone del bisogno che mi stava parlando, era proprio la sua ragione ad essere bacata. “Nella vita l’orgoglio te lo devi mette sotto i piedi” Questa era la sua vita che razzolava nel fango dei propri vizi. “Pe’ quell’ebrei so’ du’ soldi!” Io non ci andavo a bussare alla porta di un padre che non avevo mai conosciuto, per di più a piangere miseria.

“Chi credi che paga’ il mutuo a tu’ madre?” Non avevo le palle per fare una roba del genere. “C’ho già debiti a strozzo e se non ci andiamo, quelli se la prenderanno co’ tutti” Meno male che non ero femmina o mi avrebbe chiesto di andare a battere. “T’ho campato da signore, c’avrò pure il diritto d’esse risarcito!” Se stavano così le cose, i soldi glieli facevo trovare a modo mio. “Allora andiamo dall’ebrei?” Vaffanculo, lo avrei portato da qualcuno della sua stessa risma. “Mommo, dove cazzo mi stai portando?” Da Brusco, aveva talmente tanta liquidità che si era appena comprato un vecchio centro sportivo dietro Collina Fleming.

“Guarda chi m’è venuto a trovare!” Brusco con quelle gambette corte, il ventre calato e la testa pelata con lunghe orecchie pendule, pareva una miniatura di qualche divinità indù. “Questo è un principe pe’ da vero, mica stamo a scherza!” Forse ci credeva veramente a quell’emerita stronzata che gli aveva raccontato Marcello ... insieme a quell’altra che mi era parente. “Lo sai che il tuo cugino mi ha fatto una sola?” Ecco, non era mio cugino. “Mo che torna dalla Taicosa ‘ndo è annato, tu me fai il favore de dille che glie manno sotto Elton John, chiaro?” Brusco non si capiva se mi parlava scandendo le parole perché pensava che fossi scemo o era convinto che in tal modo riusciva a esprimersi in italiano corretto.

“E chi sarebbe questo signore?” Il signore rimasto basito in quella porcilaia che un tempo doveva essere stata la sala di un ristorante, era un pidocchio degno figlio di un fascista antisemita che per tutta la vita aveva lucrato sulle disgrazie del figlio bastardo. “E allora?” Si era appena giocato pure il buco del culo e poteva chiedergli qualsiasi cosa. “Seratina sfortunata?” Sghignazzò uno dei maiali seduto alla tavolata in festa, facendo grufolare allegramente anche tutti gli altri. “ Che ce dovrei fa co’ sto zammammero?” Gli era rimasto ancora qualcosa che mi aveva rubato. “A Brusco, niente refurtiva” Ammonì il maiale con gli occhiali. “Ce lo so, ma vojio sape’ de che se tratta” Niente di materiale che altrimenti si sarebbe già giocato.

“E manaccia la sventrata, lo volete fa finì de parla?” Disse Brusco per placare i commenti sdegnati che si levavano dalla porcilaia. “Raccontace Principi’” Grazie alla mia vilipesa medaglia, quel signore era entrato nel gota del direttivo sportivo del Circolo e poteva intercedere per un eventuale nuovo socio del club. “...” Brusco stava cercando di uscire dall’anonimato della borgata, altrimenti perché avrebbe comprato quel posto nei quartieri nord della capitale? “Mo avete capito perché me piace sto ragazzetto?” Primo avrebbe avuto il suo bel da fare per convincere quegli snob a prendersi un lercio come Brusco. “A Brusco, so’ ‘n bel pacco de’ sordi!” Osservò il maiale occhialuto. “So’ ‘n investimento” Precisò Brusco prima di sottoscrivere quel contratto. “I bari co’ me fanno ‘na brutta fine” Appose una clausola di non recessione piantando la forchetta con cui stava mangiando nel dorso della mano che Primo gli aveva allungato per sigillare l’accordo preso.

“Come cazzo li conosci a sti mafiosi di merda?” Brusco non era un mafioso e una volta si era persino candidato alle elezioni politiche. “Mi sento male!” Vomitò un paio di volte e il ghiaccio non bastava a bloccare il sangue. “Quelli fanno troppe domande” Al pronto soccorso non ci voleva andare e allora lo portai da Fefè, con cui scendemmo al Mykonos, dove c’era il necessario per disinfettarlo. “Questa è la volta buona che smetto de gioca’” Balle. “Attento che brucia!” Fefè si rivelò un’ottima infermiera e gli fece una bella fasciatura. “Dio, mi sento svenire!” Fefè stava tenendo una festa in terrazza e ci congedò frettolosamente, anche se fu proprio gentile e prima di lascarmi andare, si raccomandò di chiamarlo il giorno dopo per darmi il numero di un medico fidato. “Portame a casa che me devo riposa’ dieci minuti” Mi trascinai Primo fino a casa a piedi e richiudermi quella porta alle spalle, fu come turare un’emorragia di vita che mi stava dissanguando.

XX

 

“Fammi un caffè” Il diavolo si era messo sul divano della sala da pranzo, ma poi mi aveva seguito in cucina e mi fissava dopo essersi seduto al tavolo aspettando che il caffè uscisse dalla moka. “Quant’anni ha fatto?” Nessuno, visto che il mio compleanno non era mai esistito. “Com’è che conosci sta gente strana?” Erano freaky come me. “Ma tu madre lo sa?” Che doveva sapere? “Io glielo ho sempre detto che non te doveva lascia’ con quella megera” La Zia Pina mi aveva solo insegnato come trattare con i diavoli come lui. “Pensi veramente questo di me?” Era un maiale che dava ascolto solo alla sua fame.

“Quella maledetta riesce ancora a impicciasse pure da morta” Non era forse vero che era grazie ai suoi raggiri che aveva fatto i soldi e se l’era giocati appena lei non aveva più potuto vigilare sui suoi vizi? “Quella era una strozzina e non ha mai fatto niente per niente” Sì, la Zia mi aveva insegnato anche questo. “Con l’affare della Principessa a noi ha lasciato solo le briciole” Il caffè rimbrottava nella moka. “Tu eri ancora un bambinetto e non te lo puoi ricorda’” Erano trascorsi a malapena un paio di anni. “Com’è che ti chiamava?” La sua piccola opera d’arte. “T’ha rovinato per sempre” Gli versai il caffè e almeno per un po’ se ne rimase zitto.

Speravo che si fosse fermato a dormire ... avevo paura di rimanere solo con i ricordi di quella sera. “Devo ancora sistema’ qualche faccenda” Ripose la tazzina del caffè sul tavolo e alzandosi tirò indietro la sedia rumorosamente. “Angela sta a Fiuggi” Tanto non ci sarei tornato lo stesso in paese. “Passo domani per riportarti al mare?” Tanto mi avrebbe dato buca come suo solito. “Stai qua da solo?” Rimanevo a casa mia ... ma tanto, prima di morire riuscì a fottermi anche quella. “Ci stanno ancora le intacche!” Perché non se ne andava insieme a tutte le sue malinconie del cazzo? “Parlo con Zeno, così ti fa entrare in squadra” Non glielo stavo chiedendo. “Allora, vado?” Primo aveva smesso di essere mio padre, succede quando i figli ti guardano dritto negli occhi costringendoti ad abbassare lo sguardo. La cosa strana è che diventare più forti dei propri genitori t’infligge una vertigine d’insicurezza ...  

XXI

 

Mi chiusi in casa e scivolai progressivamente in un’inerzia sempre più immobilizzante. Mi assalii la fobia del mondo esterno perché la fuori c’erano le emozioni capaci di far impazzire l’orologio ad acqua che invecchiava di secoli la mia anima. Rimasi fermo ad aspettare sorgere un desiderio capace di darmi la forza di muovermi. Morì appena nato il giovane della festa del mio non compleanno e con lui caddero come foglie morte i germogli di una primavera adolescenziale. Il telefono, il citofono e infine il campanello di casa emettevano i loro richiami dal mondo, ma io non rispondevo perché i ragli che ne provenivano erano diventati incomprensibili. Avevo mangiato anche le ultime briciole raccolte nella credenza della cucina, quando ritornò mia madre, ma ormai nessuno avrebbe più potuto raggiungermi al centro del dedalo di segreti in cui mi nascondevo perché era la verità che gli altri temevano di pronunciare.

Ricominciai lentamente a sincronizzare il mio tempo con l’orologio della realtà, quando questo si rimise a scandire i suoi inderogabili appuntamenti. Di quell'estate rimasero i fatti accaduti che sedimentarono con le loro date e quei granelli di memoria formarono la battigia su cui camminare lungo l’orizzonte dei ricordi. Le emozioni cresciute prive di un corpo fisico diventarono invece un grumo volatile di polvere, che continuò a depositarsi sull'immediatezza delle scelte quotidiane. Scomparvero nella risacca del tempo tutte le forme di quei castelli di sabbia tirati su con la fragile malta delle sensazioni e con loro dimenticai le ragioni dell’anima mia.

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  • 7 months later...
Silverselfer
Spoiler

Eccomi tornato al mio esperimento di letteratura entropica ... l'avevo sospeso perché sentivo il bisogno di scrivere delle storie e sta cosa mi stava allontanando dai principi che mi ero dato qui ---> ripartire sempre da un'analisi del presente che cambia sostanzialmente la percezione del passato.

Avevo abbandonato degli appunti iniziati a scrivere tra gennaio e febbraio di quest'anno ed è stato sorprendente ritrovarci quello che poi sta accadendo oggi. Prendevo in analisi la retorica dello schifo e quindi l'ho approfondita in queste piccole discettazioni sull'omeostasi fisiologica. 

Ripartirò dunque da questa nuova consapevolezza per scrivere il prossimo capitolo ... che ripercorre qualcosa di già raccontato nella prima parte del romanzo, ma sono certo di cavarne una storia radicalmente cambiata dal nuovo punto di vista ... anche perché parlo di personaggi che avevo obliato nel primo progetto ---> Entropia VS Omeostasi ---> vedremo che ne verrà ...

Omeostasi del Corpo Intrapsichico (istinto fisiologico e pulsione psichica)

 

Nel mio ragionamento distinguo tre ambienti di sinapsi (razionale, psichico e viscerale) in relazione a un intelligere che rapporta azione e reazione. L’ipotesi di un quarto ambiente di sinapsi vuole porre una tipologia d’intelligenza estero encefalica innervata nel corpo fisiologico neuro vegetativo.  Vi farebbero parte tutte quelle funzioni involontarie attinenti a una complessa sinapsi che va a sollecitare il sistema endocrino delle ghiandole come l’ipofisi posta nell’ipotalamo, ma anche di altre che sono appunto estero encefaliche.

 

La sinapsi del corpo corre lungo dodici nervi che giungono al tronco encefalico. I loro attivatori della sinapsi vengono secreti in quantità superiore in relazione alla frequenza con cui si sollecitano. Tecnicamente siamo in presenza di una memoria capace di distinguere l’ambiente fenomenico in cui agisce il corpo attraverso la periodicità di una sollecitazione somatica. E’ una memoria cellulare prettamente basata sull’omeostasi, dove ogni differenza di potenziale sarà tendenzialmente riportata in un equilibrio sostenibile (istinto fisiologico).

 

L’omeostasi interna ad ogni organismo ne conserva la forma biologica attraverso meccanismi di retroazione. Nel caso che il sistema nervoso autonomo rilevi un’anomalia negativa, attiverà di riflesso una serie di alterazioni contrapposte, tipo il rilascio d’insulina per abbassare livelli glicemici troppo alti. Se, invece, esso rileva un feedback positivo, la sinapsi endocrina avvierà un rinforzo degli effetti sullo stimolo ricevuto, tipo durante la sollecitazione sessuale (pulsione psichica). Questo intervento endocrino inibente e rinforzante è alla base dell’evoluzionismo.

 

In che modo il quarto ambiente di una sinapsi estero encefalica influisce sull’Io cosciente?

 

Freud identificava nell’Es quell’afflato fisiologico costituente un’istanza intrapsichica pulsionale contenete gli istinti atavici dell’essere umano, quali l’erotismo, l’aggressività o qualsiasi effetto endocrino non riconducibile ad una volontà conscia. Gli istinti endocrini (fame, sessualità ecc ...) sono dovuti al rilascio di neurotrasmettitori che dominano lo stato di percezione con l’omeostasi viscerale. Possiamo dunque dedurre che gli istinti generati dall’omeostasi del sistema endocrino costituiscono la forma fossile dell’inconscio, che si riflette in delle pulsioni rinforzanti o inibenti capaci di persistere attraverso la memoria emozionale psichica (libido). 

 

Omeostasi del Corpo Sociale (rigetto fobico)

 

Se consideriamo il quarto ambiente di sinapsi quello sviluppato dalle funzioni endocrine del corpo, possiamo individuarne un altro nel corpo sociale in cui l’individuo è immerso. Ovviamente qui non si parla di sinapsi neuronale ed è l’esperienza a innervare nel telencefalo una trasmissione d’informazioni di tipo semiotico. Parimenti alle pulsioni del corpo intrapsichico, le informazioni semiotiche dovranno corrispondere a una retroazione che rinforza o inibisce l’istinto fisiologico.

 

Le funzioni dell’apparato digerente fanno capo al sistema nervoso enterico capace d’intelligere tra le parti che lo compongono in maniera autonoma attraverso cinquecento milioni di neuroni, tanto da essere definito il secondo cervello nel corpo umano. Le funzioni dei visceri gestiscono una propria attività nervosa che comportano una risposta epiteliale o endocrina ghiandolare, in modo da condizionare buona parte degli istinti fisiologici.

 

I primi istinti percepiti da un neonato provengono proprio dal sistema enterico, che lo guidano attraverso la sensazione della nausea a rigettare del cibo avariato o comunque dannoso per il proprio corpo. Lo spasmo del vomito è continuamente sollecitato per tutelare le funzioni dell’apparato digerente. Questi istinti reconditi persistono nelle pulsioni psichiche che si riflettono nella sinapsi semiotica del corpo sociale, originandone la fobia del rigetto (disgusto/schifo).

 

Jurij Lotman definì l’ambiente culturale un organismo capace di esprimere un’omeostasi che si contrappone all’entropia. L’Istinto di conservazione è indispensabile per formare un’omeostasi d’insieme capace d’interconnettere il tessuto sociale sullo stesso tipo d’informazioni (empatia). Un feedback negativo innescherà dunque un rigetto capace di segregare e poi espellere il fenomeno alieno che minaccia la forma del corpo sociale. L’Omeostasi del corpo sociale avversa le diversità semiotiche attraverso le fobie inconsce, pulsioni riflesse dagli istinti endocrini dello schifo e del vomito che conducono al rigetto.

 

Più in generale, le fobie possono essere interpretate come delle sentinelle che preservano la forma del corpo sociale dal caos entropico. Si tratta di pulsioni inconsce; tuttavia, parimenti a quelle erotiche in grado d’indurre lo stimolo fisiologico, anche le paure fobiche possono corrispondere una volontà capace di evocarle (omeostasi razionale). Per esempio, quando un capo popolo arringa la folla di una piazza, sovente ricorre a parole come schifo, nausea o vomito perché inducono la percezione del disgusto, innescando le reazioni riflesse delle pulsioni fobiche.

 

L’omofobia o la xenofobia eccetera ... non stanno ad indicare una paura oggettiva, quanto il timore per un cambiamento in grado di minacciare la forma del corpo sociale (disordine asimmetrico). La tolleranza necessaria alla convivenza tra diversità, mutua l’etica della ragione capace di regolare il rigetto fobico, sostituendo l’empatia corrisposta all’interno di uno stesso insieme sociale con della solidarietà razionale rispetto a dei bisogni fisiologici. Riconoscere dei diritti civili ad altri insiemi d’informazioni semiotiche affratellanti ed escludenti, consente di preservare delle diverse forme antropologiche culturali all’interno della stessa società, evitando che s’inneschi la fobia del rigetto.

 

Quando nella narrazione pubblica ricorre la repulsione fobica dello schifo, ci si arrocca su posizioni difensive, stimolando la sensazione di una minaccia imminente irrazionale. Si tratta di uno stimolo impulsivo rinforzante dell’istinto fisiologico di attacco/fuga, che conduce verso un irrigidimento della tolleranza etica. In tal modo s’interrompe progressivamente la solidarietà tra i diversi insiemi sociali con il conseguente rigetto fobico per i reciproci bisogni. I diritti civili diventeranno dunque una concessione resa a quanti non minaccino gli schemi etici imposti dall’insieme sociale dominante. Per esempio, la solidarietà sarà riconosciuta solo agli omosessuali che non esibiscono i propri usi e costumi perniciosi, nel cui caso sarà lecito evocare il naturale schifo di un’omeostasi che rigetta dei bisogni inquinanti la trasmissione delle informazioni semiotiche del gruppo sociale dominante (attentato ai bambini).

 

L’errore in cui non si dovrebbe incorrere è fraintendere queste pulsioni viscerali come espressione di una genuinità non corrompibile. La retorica dei bambini, per esempio, suscita un sentimento affratellante per contrapposizione a una minaccia inconscia. L’istinto di preservare l’integrità dei propri fanciulli si percepisce come il più genuino degli istinti, anche se è sistematica la sua strumentalizzazione: In occidente i comunisti mangiavano i bambini mentre a est era il capitalismo che li traviava, gli zingari rubano ancora oggi i bambini e gli omosessuali li insidiano sessualmente ... gli esempi del genere sono pressoché infiniti. Lo scopo è stimolare razionalmente un istinto fobico per rigettare semiotiche culturali concorrenti ...

 

Omeostasi della Normalità (bigottismo scientifico)

 

Ogni identità si distingue nell’omeostasi capace di conservarne la forma (normalità). In tal senso, l’impronta fossile lasciata dai bisogni viscerali nelle pulsioni dell’Es intrapsichico, fornisce una matrice percepita come naturale, che diventa il metro del disgusto con cui si attiva l’omeostasi della retroazione negativa nel corpo sociale (rigetto fobico).  

 

L’ordine logico dell’istinto si realizza nella risposta retroattiva dell’omeostasi che reagisce a una sollecitazione, una percezione positiva lo rinforza con l’emozione piacevole. L’istinto viscerale ha dunque un’origine somatica che si riflette nella forma psichica di una pulsione. Essa persiste anche in assenza della sollecitazione fisiologica ed è in grado d’indurla volontariamente (desiderio della libido). L’ordine naturale trova dunque giusto mangiare quando si ha lo stimolo fisiologico della fame mentre incedere nella pulsione della libido induce nell’insalubre crapula. Allo stesso modo, la sessualità naturale è mutuata dall’istinto di riproduzione, rigettando ogni altra sua funzione sociale nella perniciosa copula della libido. Questa logica ha permeato l’ordine normalizzante del corpo sociale, ispirando per molto tempo anche l’insegnamento medico.

 

Più di ogni precetto morale, fu la scienza medica attraverso l’osservazione statistica ad avvalorare l’esistenza di un modello biologico naturale savio, capace di fornirne un insieme di misurazioni che preservava da pericolose infezioni sociali. Non di rado le grandi pandemie venivano ricondotte alla corruzione dei costumi e nel recente passato, il triste avvento dell’HIV riconfermò questa tendenza, ristabilendo la morigeratezza di una sessualità a scopo riproduttivo nel savio costume monogamo, fino a tornare a dare valore persino alla virtù della castità.

 

La libido del corpo intrapsichico è sempre stata considerata dannosa e in tal senso è illuminante osservare come l’informazione scientifica individuò nell’autoerotismo l’origine di un largo ventaglio di malattie. Contrariamente a quanto sia facile credere, la religione è sempre stata piuttosto indulgente verso l’autoerotismo e fino al diciassettesimo secolo, la masturbazione era una pratica usata persino dalle governanti per indurre il sonno nei fanciulli. La prima associazione dell’autoerotismo al peccato biblico di Onan, apparve nel 1712 in un opuscolo medico titolato: Onania, in cui si metteva in guardia dai deleteri effetti dell’auto polluzione.

 

Il concetto fu ripreso e approfondito dal medico svizzero Samuel Aguste Tissot, il quale coniò il termine Onanismo (Onanisme) per il suo celebre trattato in cui si elencavano osservazioni scientifiche riguardo ai danni derivanti dall’auto polluzione. Solo l’edizione francese di Onanisme ebbe ben sessantatré ristampe, l’ultima della quale risalente al 1905. Si devono a questo testo alcune discettazioni mediche come quella che relaziona la masturbazione alla cecità ...

 

Contemporanee alle teorie di Tissot fiorirono altri trattati medici che partivano dall’assunto teoretico di una normalità ispirata ai moti naturali degli istinti fisiologici. Alla perniciosa pulsione si fecero risalire un ampio ventaglio di malattie fisiche e cerebrali come l’epilessia, la catatonia e più in generale la pazzia e il suicidio. Tutto scaturiva dalla sollecitazione volontaria di un istinto endocrino che corrompeva la fisiologia dell’attrazione sessuale, inducendo così alle pulsioni contro natura (ninfomania/isterismo, sodomia/omosessualità). La masturbazione fu combattuta con mezzi drastici come l’amputazione della clitoride per le donne e la cauterizzazione dell’uretra negli uomini, per curare da questa insalubre pratica si ricorse persino all’elettroshock ...

 

Ancora oggi il modello naturale persiste come media statistica, in cui s’individua un range d’istinti fisiologici normali, al di fuori dei quali c’è la corruzione degli istinti in cui si ravvede sempre una probabile psicosi da curare. Il computo statistico della normalità diventa di fatto un modello etico sanitario, in cui rimane indispensabile trovare una legittimità fisiologica di partenza. Oggi che la scienza medica rintraccia nella masturbazione un istinto naturale, lo fa rientrare nell’ordine di quelle medie di normalità savia, fuori dalle quali diventerebbe di nuovo un pericoloso istinto compulsivo.

 

L’orgasmo femminile ha trovato una legittimità fisiologica, che ha permesso la riforma delle informazioni semiotiche da cui era stato escluso anche per motivi sanitari, poi sconfessati dalla medicina moderna. Possibilità da cui è stato interdetto il coito anale, in cui non si ritraccia alcun istinto fisiologico ed è dunque ritenuto ancora una pulsione erotica del corpo intrapsichico. Seppure non è più considerato sintomo di gravi devianze psicotiche e alle relazioni sociali che forma sono stati riconosciuti ampi diritti civili, rimane comunque precluso dall’ordine di una sessualità normale.

 

Nonostante l’omosessualità origini nel medesimo corpo sociale che esprime lo stesso insieme d’informazioni semiotiche, ne viene rigettata l’integrazione per il timore fobico che preserva un modello etico naturale. Per millenni il coito anale ha convissuto con il coito riproduttivo senza ledere alcuna natura fisiologica e l’omosessualità stessa non ha mai avuto bisogno di creare un proprio insieme d’informazioni semiotiche culturali per sussistere in un differente insieme sociale, quello che è cambiato da allora è la percezione scientifica del mondo con i suoi paradigmi biologici che stabiliscono un nuovo ordine di normalità.

 

Omeostasi di ordine razionale (istinto fisiologico monogamo)

 

Le stesse ragioni che promuovono statistiche sulla normalità di un’attrazione sessuale univoca, spingono degli odierni studi universitari a individuare nell’ossitocina l’istinto fisiologico alla monogamia. Questa ipotesi biologica escluderebbe dalla normalità qualsiasi formazione sociale affettiva che non rispetti l’istinto monogamo, compreso il celibato, in cui finirebbero per agire delle insane pulsioni caotiche asimmetriche.

 

Tralasciando quali siano le funzioni fisiologiche primarie svolte da questa secrezione endocrina, l’ossitocina è un antagonista biochimico dell’acitilcolina e al suo rilascio s’inibisce l’aggressività, favorendo la predisposizione a carezze ed effusioni. La sua attivazione può precedere lo stimolo somatico, basta infatti la vista di un tenero cuccioletto affinché si provochi un rilascio di ossitocina. Siccome accade lo stesso quando si guarda un compagno o una compagna, se ne deduce l’istinto naturale che tiene uniti in un rapporto di coppia.

 

L’istinto fisiologico generato dall’ossitocina non attiene esclusivamente al sentimento monogamo e per esempio, il suo rilascio maggiore si verifica tra una puerpera e il suo pargoletto. La misurazione dei livelli di ossitocina all’interno di una coppia dipende anche dal rinforzo emotivo suscitato dal riflesso dei propri bisogni nel corpo sociale (empatia). Alla presenza di un feedback negativo, si alterano i benefici dell’ossitocina a causa del disgusto percepito per i propri bisogni soddisfatti.

 

Non esiste una fisiologia che apparenti la monogamia tra gli esseri umani a quella degli albatros o ai pinguini ecc ...  La monogamia tra i primati non esiste in natura, la varietà delle formazioni sociali da cui discendiamo sono tutte derivate da dinamiche famigliari di gruppo, in cui la socialità non è regolata in rapporti sessuali escludenti. Da quando nel matrimonio è stato riconosciuto il diritto alla felicità di padri e madri, in assenza della quale l’unione coniugale si scioglie, si è di fatto tornati a una poligamia diacronica di gruppo.

 

Le informazioni scientifiche di ordine statistico sono attendibili fin quando rimangono nell'ambito dell’assunto teoretico di causa ed effetto preso in esame. Diventano invece una retroazione fobica di ordine razionale, quando si applicano come modelli sanitari ad ogni tipo di formazione sociale. L’omeostasi naturale non osteggia la dinamicità delle differenze semiotiche, bensì conserva solo un equilibrio sostenibile, adattando la sua forma all'ambiente in cui si sviluppa.

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  • 1 month later...
Spoiler

L'estate sta finendo ... un altro anni se ne va ... 

Non ho molto da aggiungere a questo nucleo narrativo ... forse avrei dovuto rileggerlo qualche volta di più, ma ho voglia di cominciare un progetto a cui penso da parecchio e idealmente potrebbe essere il proseguo di questo romanzo ---> come si fa a scrivere il seguito di qualcosa non ancora terminato? Beh, cambio struttura ... anche perché vorrei dedicarmi a qualcosa di più leggero. Ci avevo provato con il romanzo Fantasy, ma anche quello ora si è complicato ... vorrei scrivere a random ... una raccolta di racconti ... un po' come faccio anche qui, ma senza nessun proposito di analisi ... ho già il nome ---> Reminiscenze ---> Faccio schifo con i titoli, lo so ... 

Passo ai contenuti speciali di questo racconto iniziando con il pezzo musicale citato nei versi ---> Led Zeppelin - Whole Lotta Love

Questo pezzo fu uno dei più grandi successi degli inizi degli anni settanta e il suo riff di chitarra aprì la strada a quello che poi si chiamerà hard rock e il successivo Heavy Metal degli anni ottanta, di cui gli Iron Maiden furono gli assoluti ispiratori ... di cui nel racconto cito l'album Piece Of Mind del 1983 ... un disco in cui ogni traccia fa riferimento a un libro o un film ... in particolare, il pezzo che apre la B-side del 33 giri in vinile è ispirata a un racconto di Clark Ashton Smith (Genius) di cui cito una poesia in questo racconto, quindi ci casca a fagiolo ---> Still life ...

Clark Ashton Smith era un pupillo di Lovecraft e quindi parliamo di racconti dell'orrore che negli anni ottanta ebbero un grande seguito anche cinematografico, basti pensare a tutti i film tratti dai romanzi di Stephen King ... l'horror divenne un vero e proprio fenomeno pop e vi propongo questa top ten dei maggiori successi ... Mi sento in dovere di avvertire che i contenuti del video potrebbero spaventare delle persone particolarmente sensibili.

Qui si mischia un po' tutto, ma alcuni di questi titoli si guardavano come fossero commedie tipo Chucky la bambola assassina ... al contrario,  per The Fly o Shining stiamo ai livelli di film d'autore ... Poi ovviamente c'è anche tutta la scuola italiana che però fu sempre bistrattata e fatto salvo Bava o Argento che trovavano mercato all'estero, si trattava di film girati proprio con pochi soldi ... quasi amatoriali. 

Sì, in questo racconto parlo del Diavolo ma non c'è nulla da far spavento, anche se ho trovato doveroso citarlo ... siccome distinguo Lucifero da Satana, vi inserisco due immagini  che scelgo per rendere al meglio l'idea di come si tratti di due culture radicalmente diverse --> Lucifero

600px-Lucifero_(Rapisardi)_p021.png

----> Satana

baphomet.jpg

Ovviamente non sto insinuando nulla e quindi nessuno si senta in alcun modo offeso ... 

Ok ... tutto qua ... a presto!

Declinazione d’Identità:

Io ti schifo (Io sono poiché diverso da te.)

Tu mi schifi (Tu sei poiché diverso da me)

Egli ci schifa (Lui è diverso da me e te.)

Noi vi schifiamo (Noi siamo uguali poiché diversi da voi.)

Voi ci schifate (Voi siete uguali poiché diversi da noi.)

Essi ci schifano (Loro sono qualcosa di diverso da noi e voi)

 

***

 

Il Diavolo - διαβάλλω (separare, dividere, disperdere).

 

Il piacere ricavato dalla soddisfazione di una necessità permette di replicare dei comportamenti in grado di riconoscersi e formare così un’onda empatica di emozioni affratellanti. Quando in una famiglia nasce il Diavolo, esso vi conduce delle necessità che, concretando delle soddisfazioni asimmetriche, dividono con la stessa sgradevolezza d’ingoiare un boccone di merda.  

La diversità esiste nell'incomunicabilità di bisogni che si percepiscono come perversioni comportamentali. La tolleranza ispirata dall'affetto famigliare non produce una risposta empatica fin quando il piacere alieno non si conformerà a dei comportamenti affini.

L’intervento del Diavolo è complementare all'azione affratellante di Dio poiché divide attraverso uno schifo contrapposto: il bianco col bianco, il nero col nero, garantendo uno sviluppo simmetrico. Lo scandalo prodotto dal lubrico demone della carnalità è respinto anche dall'inferno poiché crea la confusione tra bianco e nero nell'alcova del vizio, da cui verrà l’illegittimo frutto deforme del caos.

I

Beh, la merda faceva schifo anche a me però, riguardo ai comportamenti non riuscivo a provare un istintivo senso di repulsa. In me non interveniva mai una retroazione di disgusto a indicarmi ciò che era buono o cattivo, bensì entrava in gioco il dualismo che imbastardiva progressivamente i miei bisogni, rendendoli sempre più deformi. Mi accorgevo di un costume nefasto solo dopo averne subito la risposta negativa dall’insieme sociale. Riparare al danno diveniva poi la falsa necessità che andavo ad appagare.

-        E se lo fossi veramente?

Se credi ai santi o alle madonne, è logico credere nell’esistenza anche dei demoni e Edo pensava seriamente che fossi un’emanazione del Diavolo. Io stesso fui portato a credere di essere posseduto da qualche demone, scambiando lo sguardo poliedrico della dualità per una virtù mefistofelica. Lo sosteneva persino Fefè che era un satanista e di Diavoli ne conosceva a pacchi, cioè faceva proprio parte di una setta con cui teneva messe nere e altre porcate del genere.

-        Su strade più non procedi, verso rive dove non sei mai andato, vai avanti benché la fremente selva e l’acque increspate di serpi giungano, qual trasudate pozze di Acheronte  ...

Spesso si dimentica che i fluorescenti anni ottanta furono la fucina del demonio, nel senso che Satana tornò di gran spolvero insieme alla musica Heavy Metal e ai film dell’horror. In camera di Edo campeggiavano le immagini di Eddie, l’alter ego con la testa di morto degli Iron Maiden. Piece of Mind era il titolo dell’ultimo album degli Iron e quell’estate Edo mi aveva invitato ad ascoltarlo nel suo angolo di stanza tappezzato di ogni cosa che facesse spavento ...

-        Tra i distorti cannicci, recinto logoro come quello di una strega, ti cingono le ginocchia e s’aggrappano e stringono, come vipere avviluppanti; benché il tocco dell’aria impenetrabile sia umido e bagnato ...

Questo era invece Clark Ashton Smith, l’ultima infatuazione letteraria di Lidia. Lei aveva stretto amicizia con Edo durante una messa in scena parrocchiale di Piccole Donne di Louisa May Alcott. Lidia era rimasta folgorata dal personaggio di Jo mentre Edo s’immedesimò così tanto nella dolce Beth che si scoprì gay. Siccome Fefè faceva il costumista per diletto, iniziò a procurargli qualche particina nel contesto delle attività dei piccoli teatri rococò del centro storico, divenuti teatri off durante gli anni settanta. Entrarono in tal modo in contatto con un giro di satanisti che a loro dire comprendeva persino alti prelati. Io conoscevo solo quello che era una sorta di padre spirituale, cioè Er Sor Onofrio, il proprietario della Grotta del Libro di Via del Pellegrino.

-        E benché si levi l’irrisione del rospo, come uno stridere di sataniche pene, e gli spettrali salici, macilenti e grigi, borbottino lungo la tua via nascosta, ove aspidi coi dorsi lividi giacciono ...

Er Sor Onofrio lo conoscevo bene perché veniva spesso a casa per togliere il malocchio ad Angela. Mi faceva uscire dalla stanza dove si teneva il rito con un piatto pieno d’acqua perché diceva che il malocchio s’insinuava nello sguardo degli innocenti. Io però sbirciavo lo stesso e lo vedevo tenere il cucchiaio di olio in mano con lo stoppino acceso, recitando delle cantilene in punta di labbra mentre sfregava energicamente il pollice sugli occhi di mia sorella. Poi intingeva la punta dell’indice nell’olio del cucchiaio, lasciandolo sgocciolare nell’acqua del piatto, su cui andava a formare dei cerchi che lui sapeva interpretare. Mia madre sosteneva che a volte l’olio schizzava via fiammeggiando ... ed era quello che ogni volta speravo inutilmente di vedere.

-        (Gli aspidi) ti scrutano con i loro occhi solfurei – va avanti finché scivolerà il tuo piede nell’improvvisa stabilità posta nel fondo della pozza e del tutto lo sgradevole sorso sia bevuto, che si trasforma in Lete sulle labbra.

Fu proprio Lidia a ragguagliarmi sulle dicerie che in quell’ambiente ancora si raccontavano a proposito degli incubi notturni che patii durante l’infanzia. Pettegolezzi che al solito si colorivano di fatti mai accaduti come nel caso dell’olio fiammeggiante che sosteneva di aver veduto mia madre. C’era gente, compreso Er Sor Onofrio, convinta che fossi stato veramente posseduto da un demonio!

-        Fefè è solo l’asina parlante di Balaam ...

Edo si riteneva l’apprendista stregone del Signor Onofrio e ne sposava ogni convincimento, anche se poi lui schifava i froci e lo usava solo per metterlo a culo in aria per chissà quali sacrifici rituali. Io gli preferivo di gran lunga Fefè che del Diavolo conservava la tradizione popolare legata appunto al malocchio o ai pendolini divinatori, gli elisir d’amore o i tarocchi magici, roba ritenuta infamante dagli adoratori di Satana. In quella comunità era uso comune prendere il nome del demone cui ci si faceva adepto e ad attribuirli ci pensava Belfagor, ovvero Er Sor Onofrio. Fefè era molto orgoglioso di essere stato messo tra le schiere dell’indovino Balaam, anche se il Sor Onofrio sottolineava con particolare malizia qual era stata la sua reale intenzione nell’indicargli il celebre stregone biblico.

-        Voi luciferini siete i vermi che vivono nello sterco del demonio ...

Questa era l’opinione da cui venne il mio epiteto di cherubino cornuto e che Edo aveva ovviamente ascoltato dalla bocca del Sor Onofrio. Sembrerà assurdo a dirsi, ma quei satanisti erano proprio dei gran bacchettoni! Zeno li aveva bazzicati quando era in seminario, ma poi si era tirato addosso la scomunica del Diavolo perché preferì la luce alla tenebra, che in gergo satanista significa che seguì la stella del mattino abbandonando il Principe delle Tenebre.

-        Voi porci luciferini mi fate schifo ...

Il Satanismo intellettuale del Sor Onofrio discendeva dall’ortodossia cattolica del IV Concilio Lateranense che espulse ogni tradizione demonologica precristiana dal corpo di Santa Romana Chiesa. Satana era l’unico Diavolo e i seguaci di Helel, la stella del mattino, erano stati cacciati alla stregua dei pagani, con tutti i loro riti spesso riconducibili al panteismo. Lo scandalo della mia condotta libertina insieme alla Lilith e l’Echidna, mi procurarono lo sdegno dei satanassi ortodossi, sempre più convinti che fossi un’emanazione di Lucifero. 

-        Zeno è un falso profeta e ti sta usando per lusingare Mammona.

Prima di quell’estate, io non sapevo assolutamente nulla di tutto questo e me ne interessai con l’intento di trarvi una licenza per i miei abietti bisogni. Fu anche per colpa di Fefè e del suo licenzioso modo di vedere il male, se non ebbi mai la percezione di cosa combinassero. Fefè avrà anche perseguito la corruzione degli innocenti quando ci ragguagliava sulle ultime novità in ambito di sexy toys, ma era anche l’unico che ci assolveva dal peccato insito nelle pulsioni dei nostri giovani e trepidanti corpi.

-        T’hanno fatto una fattura a morte ...

Le fatture sono dei malefici legati più alla magia nera che non al satanismo e comunque se sto qui a raccontarlo, siffatte maledizioni non sono poi così efficaci. Era inutile cercare di farlo capire a Edo perché ci credeva a tal punto, che per lui sfuggire a tali malefici confermava la provenienza oscura della mia anima.

-        Tesoro mio, che nun ce lo sai che l’invidia è la bestia più nera dell’inferno?

Chiesi consiglio anche a Fefè e secondo lui si trattava solo dell’invidia che quei satanassi nutrivano nei confronti di Zeno. Ritenevano che mi usasse per qualche rituale e del resto, quegli antisemiti erano certi che il mio sangue meticcio avesse influenze su Mammona ...

-        Sono degli schizzati e dovrebbero carceralli a tutti.

Quando lo dissi a Zeno, avrei preferito che si fosse messo a ridere di quelle assurde follie, invece, si scurì in volto e mi ammonì anche lui, dicendo che dovevamo stare attenti a non pestare i piedi a certa gente.

-        ... e tu piantala di fare il seduttore di anime ...

Che dovevo pensare, se anche la persona più dotta che conoscevo, mi accusava di averlo sedotto? Avevo il Diavolo in corpo come mi aveva sempre rimproverato mia madre? Ero nato storto e tale sarei rimasto per tutta la vita, questo mi era stato ficcato in testa e ogni cosa facessi, finivo per fare i conti con quella che pareva proprio essere un’incontrovertibile verità. Se con Primo m’illusi di poter fronteggiare dei veri Diavoli, fu perché alla fine anch’io avevo creduto a quelle menate sul cherubino cornuto. Anche dopo, quando mi tenni alla larga da Campo de’ Fiori, permase nella mia testa l’idea che la mia diversità fosse dovuta a qualche ragione occulta.

II

Quando il sistema operativo del mio cervello si piantò sull’ultima schermata di quella funesta nottata di Ferragosto, pensai addirittura che fosse stato l’artificio malevolo di quei satanassi ad avermi tirato dentro a una tremenda sciagura. Rimasi chiuso in casa atterrito dall’inferno di demoni che si agitava fuori dalla porta, cercando il perdono di Dio attraverso l’espiazione della mia abietta libido.  

Ero rimasto incastrato nella crepa che mi si era aperta in petto, quando vidi ricomparire Lilith dietro lo spioncino della porta di casa ... ebbi un déjà vu che mi piombò nel pomeriggio in cui era morta la Zia Pina, anche quel giorno Lidia aveva suonato al campanello e non mi ricordavo il motivo. Non so se fosse un’allomnesia oppure solo ora si stia formando una confabulazione di quei due ricordi, di certo c’è che la madre dei demoni aveva ascoltato l’urlo muto della mia incommensurabile pena.  

Lidia seppe resettare il grumo emozionale che il corto circuito di quella letale notte d’estate aveva fuso insieme. Forse le raccontai anche del disorientamento avuto dopo il bacio con Luigi e magari fu per quello che mi regalò un vibratore per interrogarlo sulla mia identità sessuale. Ero in sostanza confuso dallo sguardo poliedrico e dovevo trovare un insieme che mi comprendesse. La domanda che iniziò a frullarmi in testa era: esisteva altra gente della mia stessa razza?

Poi comparvero anche le ombre thailandesi nang yai di Marcello e il suo code line richiedeva dei file di decrepitazione che dovevo ancora procurarmi. Per quanto lo cercassi tra le pagine dei libri, il senso dell’amore pareva scriversi sulla pelle di ognuno in maniera diversa. Dante aveva confidato a Fefè il trasporto amoroso che provava nei miei riguardi, dunque pensai che potesse incidere sulla mia pelle quella risposta che non riuscivo a trovare. Invece, mi accusò anche lui di averlo sedotto e se ne andò a vivere in un locale occupato al Gasometro della Magliana pur di non incontrarmi più.

Sopraggiunta mia madre, ricomparve anche il Tavor sul comodino ... quella era una scorciatoia che mi affrancava dalla complessità della vita. La malattia era pur sempre una risposta plausibile alla mia normalità difettosa. Potevo in tal modo permettermi di sbagliare senza pagarne le conseguenze, come quando mia madre mi sorprese nel letto con la Lilith. Avevo il cervello lesso per lo spinello che Lidia aveva portato con sé ... non mi accorsi neanche della piazzata che fece mamma e poi, vedendomi catatonico, chiese aiuto a Zeno che sistemò tutto, dicendole di non dirmi nulla, rassicurandola sul fatto che avrebbe badato lui affinché Lidia non mi si avvicinasse più, come era già accaduto con Marcello e Bea.

Intanto Romoletto e Patrizia riferirono quanto accaduto al mare con Primo e anche se non mi lasciai sfuggire una parola di bocca sul proseguo di quella nottata, tutti collegarono il mio esaurimento nervoso a quei fatti. Mamma pensò dunque di vendicarmi avviando definitivamente le pratiche del divorzio ... litigammo ferocemente su questa cosa perché non volevo assumermi la colpa di quella sua decisione. Quando mi parlò di Paolo e dell’eventualità che mi adottasse, le rivolsi insulti irripetibili e lei mi schiaffeggiò ... immediatamente dopo si accorse che il suo sguardo di spillo non mi avrebbe più spaventato. Com’era già accaduto con Primo, anche con lei provai quella spaventosa vertigine che la rimpicciolì nei miei occhi, allontanandoci per sempre.

Tuttavia, mia madre si avvaleva della legge per cui ero ancora un ragazzino senza alcun diritto di decidere sulla propria vita, per questo motivo avevo bisogno di Primo per giocare quella partita a scacchi. Con lui condividevo il segreto che lo legava a Brusco e questo mi permise d’instaurare un rapporto di comuni convenienze. Lo compresi quando Zeno aspettò che mamma andasse in cucina per dirmi «Tuo padre m’ha detto che avete chiarito ... ».  Era stato Primo a chiamarlo per tenere fede alla promessa d’iscrivermi a pallanuoto? Certo che no, mi aveva solo scambiato con l’appoggio dell’Avvocato Lollo per far ammettere quel maiale di Brusco nel circolo più snob della capitale.

Zeno mi fece partecipare a delle amichevoli di campionato per mostrarmi al direttivo della squadra ... il problema era il ruolo in cui mi mise a giocare che era quello di Carmelo. Io gli volevo bene e pensai di accettare la sua proposta di amicizia amorosa ... ma non capivo ancora cosa stesse significando e alla fine Carmelo lesse nella mia titubanza, il subdolo intento di tenermelo buono mentre gli sfilavo il posto in squadra. In quel momento ero diventato la personificazione della iella che si stava abbattendo su di lui. Dante lo aveva lasciato da solo a badare  alla nonna che mezza ciucca scivolò rompendosi un’anca, fu costretta così ad una lunga ospedalizzazione, durante la quale lui fu rispedito dai suoi a San Basilio. Restare in squadra era il solo modo per non uscire dal giro delle sue amicizie, però non era colpa mia se si allenava poco e ricorreva alla cocaina per migliorare le prestazioni ...

Carmelo mi rivolse epiteti come recchione o frocio ma, in fondo, era sempre la stessa accusa di abietto seduttore di anime che mi veniva ripetuta assecondo della forma in cui si manifestava. Rimanere chiuso dietro la porta di casa era il solo modo per preservarmi dall’infezione che ogni volta mi trasfigurava in un Demonio sempre più spaventoso.

III

Il direttivo tecnico della squadra di pallanuoto era affidato ad Agostino, che faceva parte di una confraternita ben consolidata, sulle cui fratellanze si erano create complesse relazioni sociali. La vecchia guardia deteneva il potere decisionale ed era formata dai baby boomers come il Dottor Sanna, che era il Presidente della squadra e almeno a me pareva un matusalemme.  Nei fatti la società sportiva era del Coni, ma poteva considerarsi l’espressione del potere esercitato dalla confraternita. Gli appuntamenti sportivi davano l’occasione formale per incontrarsi e supportare finanziariamente la squadra era il primo passo per entrare in quel giro di conoscenze. Tuttavia, si diveniva un confratello solo dopo un percorso iniziatico che cominciava dall’esperienza sportiva. Tutti i membri della confraternita avevano un trascorso da atleti come ad esempio Agostino e prima di lui l’Avvocato Lollo o il Dottor Sanna, che ai suoi tempi aveva militato nella squadra di calcio capitolina.

Quando Zeno arrivò al Circolo, si fece notare proprio grazie al successo che seppe procurarmi. Molti lo ingaggiarono per i propri ragazzi e ottenne anche la fiducia dell’Avvocato Lollo. Allenare la squadra gli serviva per entrare a far parte della confraternita, ma questa opportunità gli si profilò solo quando diventai materia del contendere tra la vecchia guardia del direttivo del Circolo e la confraternita che ambiva a sostituirlo. Zeno mi doveva far lasciare il canottaggio e per il vero non ci riuscì perché Primo non volle inimicarsi quelli della sua parrocchia e m’iscrisse comunque all’agonistico del Circolo. In squadra mi ritrovai accanto a Julien perché eravamo le nuove matricole. Io già conoscevo tutti mentre lui era noto solo per aver giocato in doppio misto con la madre nel torneo di tennis di primavera. Neanche Julien era passato per le audizioni sportive del Coni, quindi qualcuno aveva trovato il modo di pagargli la quota associativa ...

“Càrmelo est un abruti ... un perdent!” Non era tutta colpa di Carmelo se anche gli altri ragazzi mi trattavano con una certa diffidenza. Durante gli allenamenti respingevo la tipica sensualità goliardica da spogliatoio che era fondamentale per inserirsi nel gruppo. Invece con Julien ci si vedeva al circolo, dove lo portai anche in vogata con me. Era piacevole accorgermi delle cose belle che avevo attraverso l’entusiasmo nei suoi occhi, ma siccome abitava all’Eur, poteva frequentare poco il Circolo che stava dall’altra parte della città. Sua madre era un alto diplomatico e suo padre viveva ad Algeri, lui era cresciuto con i nonni a Clamart, nell’Ile de France, ma quelli tirarono entrambi le cuoia e dopo che si fece cacciare da un collegio in Svizzera, la madre dovette trasferirlo con lei in Italia. A me non stava antipatico, però avevo la sensazione che mi lisciasse il pelo solo perché aveva un disperato bisogno di farsi delle amicizie.

Agostino ci presentò al Dottor Sanna che venne di proposito negli spogliatoi. Fu una situazione abbastanza imbarazzante scambiare frasi di convenevoli tenendosi l’asciugamano sulle pudende. A me il Presidente riservò particolari apprezzamenti atletici, mimando persino un passaggio che gli era piaciuto particolarmente. A Julien dette solo un buffetto sulla guancia, raccomandando un caro saluto per la madre. Dopo, al ritorno dalle docce, trovai Agostino a confabulare con Zeno e scoprii di essere stato invitato per un fine settimana di windsurf. Lo dissi a Julien e ci rimase malissimo per essere stato escluso, cercai anche d’intercedere per lui, scoprendo così che era una roba molto privata e che non avrei dovuto sbandierarlo in giro. Chiesi dunque notizie a Luca che si divertì non poco a infittire quel mistero con allusioni a chissà quali riti d’iniziazione ...

La villa di Agostino era una casetta bianca sul lungo mare di San Felice Circeo … bella, per carità! Tuttavia, ci si sarebbe aspettato qualcosa di molto più confortevole. "Julien, ma a chi lo hai scippato ‘sto Monkler lucido da frocione?" Il vento nebulizzava una pioggerellina appiccicaticcia mischiata a sabbia che sgranocchiava sotto i denti. "Aoh, ne ho visto uno uguale addosso a ‘n transone dell'Eur, niente ... niente eri tu?" La villetta era nascosta dietro una fitta siepe di lauro mal tenuta. “Càrmelo, tu li conòsci bène i vìados, vèro?" Zeno parcheggiò il suo furgone tra due grossi fuoristrada ... Mattia e Carmelo, che erano già là, ci vennero incontro ingaggiando subito un botta e risposta con Julien ...

Alle sei del mattino ero sceso ad aspettare Zeno sul lungo Tevere di Castel Sant’Angelo, c’era ancora la luna in cielo e le lampadine dei lampioni accese. “Tutto apposto?” Mi disse invece di darmi il buongiorno e poi mi venne ad aprire lo sportello posteriore del furgone perché era difettoso e solo lui sapeva come fare. “Sei pronto per cavalcare le onde?” Mi mostrò la sua tavola da surf ... avvertivo qualcosa di strano nel suo entusiasmo, anche perché a Zeno non piacevano le levatacce. “Ti ho preso una muta ... è una quicksilver!” Lo conoscevo troppo bene e sotto a tutte le sue premure stava covando un senso di colpa.

Julien abitava sul Poggio Laurentino, dietro l’ambasciata d’Uganda e siccome Zeno non sapeva come arrivarci con il furgone, mi fece scendere davanti la scalinata che vi conduceva. “Suona all’interno tre” Io non avevo capito che stavamo andando a prendere Julien e mi stupii quando riconobbi la sua voce al citofono. ”Sàli per fàvore” Trovai il portone di casa aperto e non mi rispose nessuno quando chiesi timidamente permesso prima di entrare. “Sòno in camèra” Era solo in casa e nella sua cameretta pareva esserci esplosa una bomba nucleare. “La svèglia non ha suònato!” Il suo letto non si capiva se era un futon, un sacco a pelo o semplicemente un mucchio di coperte gettate sul pavimento. “Tògli la plàstica e ... le còme si chiàmano?” Etichette. Si era comprata tutta l’attrezzatura nuova e mi chiese d’infilarla nel borsone che stava ancora chiuso nella plastica ... anche in quell’occasione mi accorsi della straordinaria avventura che andavamo a condividere, solo dopo averla vista risplendere nello sguardo entusiasta di Julien.

Alla villa trovammo un’atmosfera fin troppo conviviale e mi chiusi subito a riccio. "Sistematevi come potete" Agostino stava con gli altri nella rimessa, dov'erano intenti alla sciolinatura delle tavole. "Ti presento i nostri ultimi due acquisti …" Fu molto gentile e non si risparmiò in complimenti presentandoci al Signor Toscano che però veniva da Catania. “Bella stretta!” Questo mi strinse vigorosamente la mano col proposito di farmi male, ma non gli concessi la soddisfazione che invece gli aveva appena dato Julien, piegandosi dal dolore.  Kriss, così si faceva chiamare Cristiano, era una sorta di vichingo siculo con una zazzera bionda platino raccolta in una coda di cavallo. Dalla corporatura massiccia non si sarebbe mai dedotta la sua passione per il surf. “Andremo a Liman!” Kriss era uno skipper rinomato per conoscere le onde migliori del mediterraneo. “Ci sono dei break con onde tubanti, vero Kriss?” Era a Roma per trovare dei finanziatori e Agostino lo avrebbe raggiunto ad Atene prima di attraversare il Bosforo.

"E’ da un po’ che non vedo Primo" Gli altri li conoscevo tutti. “E’ tornato a vivere in campagna?” C'era anche l'Avvocato Lollo e con la solita deferenza cominciò a farmi domande su Primo. "Digli che Pino lo sta cercando per quella faccenda che lui sa" Mi fece strano trovarmelo davanti ... "Si può sapere che t’è preso?" Fu tutto un insieme di cose che non saprei spiegare a farmi irrigidire e la mia ritrosia fu scambiata per supponenza. “Cerca almeno d’esse gentile” Zeno mi prese da parte e mi dette una bella strigliata, ricordandomi che noi due eravamo una squadra. "Fa un bel sospiro e rilassati, ok?" Erano tutti simpatici … però non mi veniva di sputare manco mezza parola.

"No, no!" Dietro casa c'era una specie di trabiccolo. "Ecco, ora tirala su" Era un aggeggio per imparare a stare in piedi su un windsurf. "Si fa così" Sulla tavola c'era montato il telaio di una vela e tutto stava vincolato a degli snodi mobili, insomma, era una roba su cui era difficile tenersi in equilibrio. "Piega le gambe senza tirare fuori il culo o vai fuori asse" Julien ed io fummo istruiti con la solita goliardia riservata a dei neofiti. “E’ caduto come un sacco di patate!” Si scompisciavano dalle risate per le nostre cadute ma non c'era motivo per arrabbiarsi. "Se t'incazzi, allora è meglio che non ci vieni in acqua" Si fa così, devi tenerlo colà e non me ne fregava un cazzo di restare in piedi su quel trabiccolo. “Bravo, ragazzo!” Intanto un’ovazione generale accolse il successo di Julien, cazzo! "Rilassati bello, ci stiamo solo divertendo" Conoscevo quella goliardia per averla già affrontata negli spogliatoi della squadra e con Julien funzionava perché ci rideva e scherzava, ma a me faceva l'effetto istrice e alla fine ribaltai il trabiccolo di merda …

In quel buco di casa non c'era un angolo per trovare ristoro dagli sguardi altrui. "Dove cazzo vai?" Lo sapevo che sarebbe andato tutto storto ed era meglio se toglievo subito il disturbo. "Guardami negli occhi!" Quando caddi per l'ultima volta da quell'arnese e sbroccai, i miei piedi presero a marciare verso la casa e una volta dentro, rimbalzai da una stanza all'altra e alla fine presi la via del cancelletto pedonale. "Dove cazzo vai?" Zeno mi corse dietro per farmi ragionare. "A matto, se non torni te ce riporto io a calci ‘n culo!" Ci raggiunse Carmelo che fino a quel momento non mi aveva rivolto mezza parola. "Lasciaci soli …" Zeno sapeva come prendermi. "Guardami negli occhi ... andrà tutto bene, OK?" Sì, ci tornai indietro ma non era vero che tutto sarebbe filato liscio.

IV

«Viene detto spirito libero, colui che pensa in modo diverso in base alle opinioni dominanti» Al rientro, tutti presero a trattarmi con le molle. «Gli spiriti vincolati accusano i suoi comportamenti di smania di protagonismo» Invidiavo troppo l’entusiasmo di Julien che lo metteva in sintonia con gli altri. «Gli uomini attivi rotolano con meccanica ciclicità» Ero un presuntuoso che voleva essere adulato? "Ragazzino, devi imparare a pensare colla testa tua" Cercai rifugio tra le pagine di «Umano, Troppo Umano» di Nietzsche e decisi di rimanervi quando gli altri si stavano avviando per veleggiare sulle onde tempestose del mare. "Almeno provace, nessuno pretende che tu sia perfetto" Il guru della Garbatella mi disse qualcosa, piccato dallo sdegno con cui pareva rifiutassi la loro compagnia. "Promettimi che non scappi" Avevo paura di combinare altri casini e basta … rimasto finalmente solo, trascorsi tutto il tempo a prendermi a capocciate con quell'accidenti di trabiccolo.

«Gli eroi non sono quegli armigeri che indossano auree armature, facendosi scudo d'impropri blasoni … i coraggiosi si denudano con pudicizia alcuna per la propria umanità, combattendo a mani nude i nemici senza timore di patirne le ferite, in tal modo costringendoli a sporcarsi le mani con il sangue della loro iniquità (Da "Appunti di un adolescente inquieto")».

Zeno si sbagliava a credere che fosse Nietzsche a ispirarmi il rigore dell’essere iperboreo, in realtà avevo bisogno di quelle parole per mitigare i pensieri che andavo scribacchiando sui margini di quelle pagine allo scopo di sferzare il mio ego ferito. Quando poi tornarono dalla spiaggia, nei loro occhi brillava l'emozione dell'esperienza appena condivisa. Come potevo non sentirmi umiliato dall'incapacità di mettermi in sintonia con la loro gioia?

Mi barricai in un angolo del salottino e non partecipare al rito della bisteccata, scavò un'ulteriore trincea tra di noi. In casa c'era un gran caldo, ero l'unico vestito di tutto punto e il solo cui stavano sudando le ascelle … entravo e uscivo dalla veranda e ogni volta la tentazione di scappare si faceva più irresistibile. L'ultima volta che rientrai, c'era Mattia che si stava cimentando in una verticale a testa in giù. Era in canotta e slip bianchi ... il suo corpo era bello ed emanava energia vitale. Sarei voluto essere come lui, chiunque sarebbe voluto essere come lui e anche Julien stava provando a mettersi a testa in giù ma non ci riusciva, suscitando l’ilarità generale. Mi chiedevo cos’era che m’impediva di provarci, se non ci fossi riuscito, nessuno mi avrebbe accusato di chissà cosa ... invece feci solo un mezzo salto mortale per scivolare lungo la parete, evitando di sfiorare qualcuno. Mi chiusi in camera … c'erano borsoni aperti in terra e roba sparsa ovunque con le mute appese ad asciugare che parevano le presenze dei loro corpi estranei.

Una volta richiusa la porta della camera, mi fu impossibile riaprirla. Non c’era una sola ragione plausibile per starmene in disparte e ogni volta che sentivo esplodere una risata, era come udire la condanna di un giudice. L’ansia mi faceva continuamente guardare la maniglia della porta finestra che dava in giardino, allora mi sdraiai sul letto per compiere gli esercizi di trend autogeno. Ero appena riuscito a estraniarmi quando Zeno si materializzò dal nulla facendomi sobbalzare. "Vieni qua" Mi chiese se volevo abbracciarlo e sì, avevo bisogno di un contatto umano e lo strinsi forte. "Li stai offendendo con il tuo atteggiamento" Zeno disse che se rimanevo in camera, avrei trascorso la notte rincorso da una canizza di rimorsi. “Gli ho spiegato dei tuoi problemi” Come da bambino che mi chiudevo nello sgabuzzino per sfuggire all’entusiasmo degli altri ragazzini? “Hai solo affrontato un brutto momento” Cazzate, ero un fottuto malato mentale. “Queste persone hanno solo voglia di conoscerti” A me pareva che si stessero divertendo anche senza di me. “Ago pensa che sia per colpa sua” Beh, un po’ lo era perché non la piantava di starmi addosso. “Tu resta vicino a me e usa le buone maniere per non offendere nessuno” Facile a dirsi ...

"La compro da un contadino che la distilla in casa” Quando tornai di là, c’era il Dottor Sanna che stava illustrando a tutti le qualità di una boccia di grappa. “E’ solo uno shottino per aprirci lo stomaco” Sottolineò Ago, quando Zeno rifiutò per me il bicchierino. “E che sarà mai, il ragazzo è grande e grosso” Concluse, tirandoci dentro al cerchio che si era formato attorno alla grigliata. "Sta capra non mangia abbastanza proteine" Zeno ingollava la grappa come fosse acqua e non ebbe riguardi ad abbassarmi i pantaloni per mostrare a tutti il lavoro che aveva fatto sulle mie cosce. "Guardate che adduttori!" Ago palpò la consistenza dei miei muscoli e gli bloccai la mano che risaliva pericolosamente lungo l’adduttore sinistro. “Quanti anni hai?” Ognuno ha gli anni che si sente. “Diciassette” No, io non avrei mai detto quella balla in quel contesto, fu Zeno ad anticiparmi e mi domandai perché. “Sei come Titti, che liceo frequenti?” S’intromise l’Avvocato Lollo mentre mi allungava il piatto con la bistecca. “Non ti conviene fare il timido” Come facevo a rifiutare tanta gentilezza? “Carne chianina tenuta al pascolo senese” Figurarsi se il celebre Chef Piffi stava arrostendo delle banali bistecche. “Bevi ragazzo che fa buon sangue!” Si era innescata una gara di raffinatezze gastronomiche e Agostino allora tirò fuori del Barolo ... quei due non mi davano tregua! “Ha la stoffa del campione, io ero come lui, piuttosto di perdere, avrei rivoltato il mondo!” Riuscii a sfilarmi per andare a vomitare.

“Stai male?” Mattia mi aveva seguito e come cazzo aveva fatto ad aprire la porta del bagno? “Basta un coltellino per aprire queste serrature” Lui conosceva bene quella casa. “Liceo Visconti, vero?” Se la rideva per la balla che avevo appena raccontato al padre, ma tanto era matematico che avrei frequentato quel liceo ... dopo la terza media ovviamente. “Parlami del francesino” Mi domandò di Julien mentre appuntava sul coltellino un pezzettino di hashish. “Sua madre è una caga cazzi stratosferica” Julien si era accreditato come amico mio. “Perché te lo sei portato dietro?” La madre aveva telefonato al Dottor Sanna che però aveva negato ogni riferimento al nostro incontro. “Ci si può fidare di lui?” Mattia accese lo spinello e poi ripose l’accendino nel bordo delle mutande. “Non fa’ il finto tonto, lo sai che intendo” No, che non lo sapevo. “Che fai la verginella?” Io ancora non conoscevo i dopo cena di una confraternita. “Brutto porco, voglio sapere se ci ha fatto cose” Sul mio conto non aveva dubbi, invece non sapeva se Julien fosse stato iniziato agli usi di una fratellanza. “Allora lo stronzo si è imbucato!” Mattia si scurì in volto quando gli spiegai che Julien non era amico mio e non sapevo perché Zeno era passato a prenderlo quella mattina. “Te lo dico io perché l’ha fatto” La madre di Julien si faceva scopare da Zeno. “E’ maggiorenne, tanto peggio per lui” Gli domandai chiaramente che cosa sarebbe successo. “Ci divertiamo ... tra un po’ arrivano anche le ragazze” Un orgia di sesso, una mega ammucchiata, un festino sadomaso in cui avremmo messo allo spiedo Julien? “Sì, come no ... famo sodoma e gomorra” Non mi rispose. “Tu sei peggio di Carmelo!” Un po’ perché ero riuscito a vomitare quella carne truculenta al vino rosso, un po’ anche per l’hashish che mi aveva fatto venire la ridarola, ma uscii dal bagno completamente rilassato e con tanta voglia di divertirmi.

«You need cooling. Baby I’m fooling. I’m gonna send ya. Back to schooling»

“ ... questa è musica!” Al posto dell’Avvocato Lollo era comparso Piffi che aveva appena calato sul piatto un vinile di musica rock. “Jimmy Page e Robert Plant ti mettono il fuoco nelle vene” Era la prima volta che ascoltavo i Led Zeppelin! “Ti prego papà, No!” Esortò Mattia quando Piffi si mise ad agitare le mani, seguendo linee immaginarie mentre la hit hat di batteria impregnava l’aria di un’atmosfera psichedelica. “Andiamo!” Rispose al figlio, trascinandolo al centro della stanza e quando partì il rullo di batteria e il riff di chitarra tornò a graffiare l’aria, Mattia si cimentò in un’imitazione scatenata di Jimmy Page. “Basta, non ce la faccio più” Faceva invidia guardarli e quando l’Avvocato Lollo si gettò sul divano esausto, mi sostituii a lui ...

«I'm gonna give you my love. Want to whole lotta love»

Non volevo che quell’attimo finisse perché surfavo su un’onda empatica capace di travolgere qualsiasi convenzione sociale. Mattia non solo era capace di seguirmi su quella via, ma sapeva anche indicarmi il modo per aggiungervi ulteriore follia. Sembrava che stessimo sfottendo le movenze groovy appena esibite da Piffi, ma in realtà stavamo facendo un viaggio indietro nel tempo e attraverso quelle note, sondavamo nuove dimensioni. Le mie mani fluttuavano nell’aria e Mattia ne catturava le scie invisibili per farne una trama che m’irretiva ... poi mi scansò i capelli che mi erano calati sugli occhi ... e dunque fummo travolti da Carmelo ...

«Hey!Alright! Let's go! Want to whole lotta love. Way down inside. Woman, you need, yeah!Love ... My, my, my, my ... Lord»

Carmelo entrò in scena di prepotenza, rompendo l’incanto come una palla da bowling sui birilli per fare strike. Non si capiva un cazzo di cosa stesse facendo, si agitava come una scimmia impazzita. Forse, però, stava solo interpretando quello che avevano inteso anche tutti gli altri. Ci stava sfottendo! Gli esagerati movimenti pelvici con cui tentava di catturarci come un cane con la gamba del suo padrone, era una rilettura grottesca della scena omoerotica che avevamo impudicamente mostrato. In ogni modo, la sua interpretazione seppe coinvolgere persino il Dottor Sanna, che si cimentò in un freeballing a dir poco scandaloso. Quando la puntina del piatto rimbalzò indietro sul fondo del vinile ... la scena degenerò ancora di più e Carmelo salì sul tavolinetto per far roteare la sua proboscide fino a farla decollare come l’elica di un elicottero ... scoppiò un vero deliro di grida e sfottò.

C’era un caldo esagerato esattamente come in uno spogliatoio durante il dopo partita. Mi ritrovai mezzo nudo senza alcun pudore e finalmente compresi cos’era quella follia che univa in una sensualità travolgente. Ago mi tirò giù sul divano con una presa da rugby, ma non fu violento e ridevamo come pazzi. “Aspetta” Mi disse, andando a recuperare una scatolina tonda dalla tasca del suo borsone. “Chiudi il pugno” Era una scatolina di tabacco da sniffo, ma dentro c’erano cristalli di cocaina. “Fa un’altra presa” Ogni colpetto che la scatola dava sul dorso del mio pollice, rilasciava un piccolo mucchietto di coca, perfetta da inalare con un solo tiro. “Ragazzo, tu mi piaci!” Sul principio, credevo che Ago mi stesse offrendo di quella liquirizia amara che si vendeva in scatoline simili! Compresi di cosa si trattasse solo quando ne riconobbi gli effetti nefasti che aveva su di me. La ridarola sciamò in un baleno e le ombre iniziarono a debordare da ogni interstizio. A differenza della marijuana che non si fuma mai da soli, la cocaina si divide solo con gli amici più stretti ed ora che l’avevo accettata da Ago, lui si sentiva libero di accavallare la gamba sulla mia mentre incitava i contendenti della gara di oscenità che si stava tenendo al centro del salotto.

"Zitti e ascoltate!" Poi Mattia chiese del silenzio e aveva ragione! Il batacchio di Carmelo sbattendo sui suoi addominali li faceva risuonare come un tamburo . "Al circo dovresti lavorare" Sì, Kriss aveva ragione, quel pene sembrava una terza gamba. “L’ottavo nano facisti” Era impossibile sfuggire alle più becere battute sugli attributi dei nani. "Catanese, suca la minchia palermitana" Tra Carmelo e Kriss era un continuo punzecchiamento campanilistico siculo. “Lasciame!” Il vichingo catanese catturò dunque l’impertinente chiwawa palermitano e imitando una sodomizzazione, prese a sbatterselo sulle pudende con l’accappatoio aperto. “Vaffanculo!” Era una scena veramente grottesca vedere Carmelo sobbalzare come una marionetta ubriaca sul pube di quel gigante ... "Toglietemelo de dosso!" Nessuno muoveva un dito, anzi, se la ridevano della grossa anche quando Kriss gettò il povero Carmelo a gambe all’aria e ci si sedette sopra. "Aiutateme!" Sì, era effettivamente grottesco, ma neanche a me dispiaceva quello cui stavo assistendo. "Me fai male!" Kriss, per costringerlo a rimanere fermo, gli aveva afferrato le palle e gliele menava in maniera esagerata. "Vaffanculo, stronzo!" Non so come riuscì a divincolarsi e saltare via da quel divano. "Ti piacisse lo sticchio catanese?" Kriss aveva finto di sodomizzarsi con il suo uccellone ostentando degli strepiti che fecero scompisciare tutti dalle risate. "Puzza de merda come tutti i catanesi" Gli rispose Carmelo, andando poi a rifugiarsi in bagno.

Il boato prodotto dalla porta del bagno sbattuta da Carmelo fu come uno schiaffo in faccia alla goliardia di quei momenti di delirio. “Quel ragazzo ha dei seri problemi” Partirono una serie di commenti accompagnati da facce molto preoccupate che confermavano il declino delle quotazioni di Carmelo in seno alla squadra. “Avete esagerato” Zeno tentò di spendere un paio di parole a suo favore, ma poi capì l’antifona e glissò andando a rintuzzare il fuoco. “Ti piacerebbe?” L’ilarità di prima aveva lasciato il posto a una calma surreale. “Sapessi che forza!” Ognuno se ne stava per conto suo bisbigliando discorsi che non rompessero il silenzio. “Ti ci porto” Si sentiva solo il vocione di Kriss che stava abbindolando Julien con racconti di mare. “Vieni da Papu” Kriss sapeva come prendersi quello che voleva. “Cu avi culu cunsidira” Si era tirato addosso Julien che poi aveva preso a palpeggiare pesantemente, ma non si capiva se stesse ancora scherzando come aveva appena fatto con Carmelo. “Puri o ficateddu è sustanza” Certo che Julien non era del tutto sobrio, ma la situazione lo aveva coinvolto parecchio perché rideva e poi senza capire come, lo vidi limonare col vichingo che, a un certo punto, se lo caricò in spalla imboccando le scale per la sua camera da letto a suon di scorregge.

“Non facciamo gli ipocriti” Disse Ago in difesa di Kriss perché Zeno aveva appena espresso un paio di giudizi caustici su di lui. “L’avete visto anche voi, No?” Sottolineò il Dottor Sanna, cercando di rassicurare tutti su quanto sarebbe potuto accadere. “Quel ragazzo è una puttanella” C’era un certo compiacimento in quelle sue infamie. "Piuttosto, avete avvertito Chantal?” Disse poi con una certa premura, controllando l’ora sul suo costoso orologio sportivo. “Secondo me quelle stronze ci hanno dato buca” L'avvocato Lollo interrogò il figlio che giungeva in quel momento dalla cucina ingollando una bottiglietta di Gatorade. “E’ sabato sera e se sono andate in discoteca, hanno trovato un merlo, ovvio” Mattia si lasciò cadere sul divano e poi si azzuffò col padre. "Se telefoniamo a Chantal, un paio di puttane ce le rimedia" Tornò a dire il Dottor Sanna, preso ormai da un’insopprimibile impellenza. “Se arrivano le ragazze, fate un fischio” Tagliò corto, inseguendo Carmelo che aveva visto uscire dal bagno.

“Chantal non ci promette niente” Disse l’avvocato dopo aver riagganciato il telefono. “Chi se ne frega” Affermò Agostino, facendo però male i conti perché mi aveva proprio rotto i coglioni con le sue subdole palpatine. "Noi siamo stanchi e ce ne andiamo a dormire" Ribadì Zeno, quando Ago insisteva per farci rimanere con loro. "Coach, non ti stancare troppo che domani ci aspetta una giornata di surf" Commentò Mattia con una delle sue risatine sceme, piccato di vederci andar via.

V

"Sono dei depravati" Non capivo perché Zeno la stesse buttando giù così dura, possibile che non si aspettasse gli sviluppi di quella serata? “Mi fanno schifo” Non poteva fingere di non sapere che segarsi o fare sesso insieme era consueto in seno a una confraternita. “Dove andremo a finire!” Lo infastidiva la normalità di quei gesti che escludeva la trasgressione e la conseguente redenzione. “Dovevamo andarcene subito” Se magari mi avesse dato retta ... “Secondo te allora è colpa mia?” Mi ci aveva portato lui in quel posto o No? “E’ stato il tuo amichetto a organizzare tutto con Ago” Intendeva Carmelo, ma precisamente che cosa avevano organizzato? “Lo conosci meglio di me” Appunto mi preoccupavo. “Tu stuzzichi” Ma se era stato lui a calarmi le braghe davanti a tutti e poi aveva anche mentito sulla mia età! “T’ho forse costretto io a ballare in quel modo col figlio dell’avvocato?” Zeno era bravissimo a farti sentire in colpa. “Tu non ti rendi conto, ma quelli li vanno in cerca quelli come te” Che intendeva per quelli come me? “Guarda che questi lo sanno del vizietto che c’hai” Ah, ecco ... siccome ero recchione sarei stato anche una zoccola.

“Smettila de famme di’ quello che non penso!” Ovviamente ero anche il subdolo Diavolo che attentava alla sua santità. “Il problema è Julien!” Sì, ero geloso perché si stava preoccupando solo di lui. “Lo sai chi è la madre?” Lui la conosceva sicuramente meglio di chiunque altro. “Quella mi fa le chiavi di cioccolato, chiaro?” Intendeva dire che lo faceva sbattere in galera a vita. “Quel pervertito domani sale in barca e sparisce” Poteva rigirare la frittata quanto voleva, ma era stato lui a portare Julien in quel posto, esattamente come aveva fatto con me. “Almeno sai se ... insomma, è amico tuo, no?” Secondo lui, io ravanavo nelle mutande di tutta la gente che conoscevo? “Non me fa parlà che è meglio” Si preoccupava solo di lui quando io avevo dovuto subirmi Agostino per tutta la serata. “Cocaina!” Beh, se Ago l’aveva offerta a me per mandarmi su di giri, magari qualcuno aveva fatto sniffare anche a lui. “Devo fa’ qualcosa o qua finisce male, cazzo!” Voleva forse auto denunciarsi?

Zeno era entrato solo in paranoia perché aveva bevuto e fumato anche lui. “Chissà che gli sta combinando!” Secondo me se lo stava sbattendo. “Smettila!” Lo aveva visto anche lui sul divano come si faceva paccare da Kriss. “Sicuro che è maggiorenne?” Era in secondo ginnasio perché lo avevano cacciato dal collegio mentre io stavo ancora in terza media, cazzo! “Che c’entra ... ” Certo che era comodo farmi passare per diciassettenne. “Tu c’hai tanta di quella malizia dentro a sto capoccione ...” Almeno non la usavo per raccontarmi balle come faceva lui. “Tu ci godi a stuzzicarmi, vero?” Lo avevo fatto venire duro anche a lui? "Ti ho forse lasciato con Ago?” No, ma lo aveva fatto perché era preoccupato per Julien ...  

"E quell’altro che ci porta pure suo figlio?" Ora se la prendeva anche con l’Avvocato Lollo come se fosse stato il primo padre che portava il figlio a puttane. "Non è per quello" Ok, magari gli aveva anche insegnato a farsi le seghe. "E ti pare normale?" Quello che per gli altri era considerato normale era sempre giusto? "Tu lo faresti con tu padre?" Primo mi aveva fatto cose ben peggiori, ma al solito fa scandalo solo quando si toccano le mutande dei figli. “Lasciamo stare che è meglio” Io invidiavo molto Mattia e quell’intimità che aveva con suo padre. “Dormiamoci sopra, ok?” Non aveva importanza quello che stava accadendo, ma solo le conseguenze che ne sarebbero venute. “Domani ti sequestro quel libro di Nietzsche” Dove stava il male in quell’impudica gioia indotta dai sensi? “Vuoi andare a farti sbattere da Agostino?” Sarò stato pure frocio, però non ero mica scemo e stavo bene abbracciato a lui, al calduccio sotto le coperte, in quel momento era il più accogliente posto del mondo. “Mi farai finire carcerato” Mugolò, mentre mi ripulivo la mano ... iniziando poi istantaneamente a ronfare ...

VI

Rimasi ad ascoltare il rumoreggiare che giungeva dal resto della casa, poi vidi la luce di un paio di fari filtrare attraverso la siepe di lauro, dedussi che fossero le ragazze perché dopo udii delle voci di donna aggiungersi al baccanale. D’improvviso la notte si ammutolì e caddi in un dormiveglia fino al mattino, quando trovai asfissiante fermarmi ancora tra le mura di quella camera e decisi di andare a preparare il caffè, che a Zeno piaceva bere prima di alzarsi. Esitai sui miei passi quando ascoltai lo sfrigolio del bacon provenire dalla cucina. “Buongiorno” Era l’avvocato Lollo intento a spadellare con la voce ancora impastata dal sonno. “Sei un tipo mattiniero” Asserì, mentre in silenzio preparavo la caffettiera della moca. “E’ nello sportello sopra il frigorifero” Gli chiesi dov’era il barattolo del caffè e dopo mi appoggiai allo stipite della porta ad aspettare che l’acqua nella moca bollisse. “Oggi c’è bonaccia” L’alba illuminava un’opalescente foschia che l’avvocato lesse come il segno di una nefasta assenza di vento. “Ci onorerai della tua presenza oggi?” Gli spiegai che il windsurf non faceva per me e di come il giorno avanti avessi inutilmente tentato ancora di rimanere in equilibrio su quel trabiccolo. “In acqua è molto più piacevole sbagliare” Non so se lo disse solo per convincermi ad andare con loro, ma sostenne che la parte più divertente del windsurf è imparare.

“C’è n’è un po’ anche per me?” Quando la caffettiera iniziò a rimbrottare, il profumo del caffè diede il buongiorno a qualcun altro. “Voglio il caffè anch’io, uffa!” L’avvocato indossava solo un accappatoio bianco e mi turbava parecchio perché lo teneva chiuso sul davanti con un nodo lento. “Ne offriamo una tazzina alla mia porcellina?” Fummo interrotti da una bionda in vestaglia da camera trasparente, che si aggrappò a Piffi infilando le braccia sotto il suo accappatoio. “Che buono!” La tipa continuava ad ammiccare con atteggiamenti da bambina vezzosa. “Ho tanto freddo” Le porsi la tazzina di caffè che avevo preparato per Zeno e siccome tremava tutta, le appoggiai sulle spalle il mio accappatoio. “Che gentiluomo!” Commentò l’avvocato, dopo che quella, senza neanche dire grazie, se ne tornò in camera con accappatoio e tazzina ...

“Allora ti piace la mia porcellina!” Se la rise l’avvocato, schioccando una schicchera sulle mie mutande. “Non fare il timido con me” Facile a dirsi. “Noi siamo amici adesso” Intendeva dopo quella serata trascorsa insieme? “Lascia stare Zeno, lui non può capire” Disse che un mezzo prete della Garbatella non poteva certo comprendere i piaceri della vita. “Fefè mi ha detto che vai spesso sulla sua terrazza” Mi stava sottoponendo a un esame o voleva solo farmi capire che conosceva i miei segreti? “Lilli è una ragazza complicata” Lilli e Titti erano i vezzeggiativi con cui chiamava Lidia e Mattia. “Titti saprà come fartela dimenticare” Sapeva anche della mia storia con la sua figlioccia e mi propose di uscire con Mattia, invitandomi a stare qualche fine settimana a casa sua. “Devi solo rispondere di Sì” Mi prese il panico! Se mi avesse visto Primo, mi avrebbe dato dell’imbecille a non accettare subito quell’offerta di amicizia ... invece scolai la caffettiera in un’altra tazzina per scappare via senza dargli una risposta.

Tornato in camera, chiesi consiglio a Zeno, ma lui non aveva voglia di ascoltare i miei dubbi che, effettivamente, erano parecchio confusi. “Sto a pezzi” Glissò, sorbendo il caffè prima di rivoltarsi sulla pancia. “Per favore!” Si strofinò contro il materasso coccolando l’idea di riaddormentarsi. “Ti prometto che dopo parliamo” Mi respinse quando cercai timidamente di riprendere il discorso. “Abbi pietà di me!” Avevo preso ad infastidirlo sfiorando le complesse linee dell’assurdo tatuaggio sulla sua schiena. “Piantala, ok?” Alla fine mi scacciò definitivamente perché, un po’ per stizza e un po’ per piacere, gli menai una pacca sulle belle natiche trattenute negli slip bianchi. “ ... “ Mugugnò qualcosa d’incomprensibile tirandosi la coperta fin sopra la testa pelata ... pareva un bambino che la mattina non ha voglia di svegliarsi. Ripensai alla cattiveria detta dall’Avvocato Lollo su di lui ... forse era vero che la plebaglia non poteva comprendere i piaceri della vita, lo rinfacciava sempre anche Primo a mia madre ... Lilli e Titti mi somigliavano e forse l’Avvocato Lollo mi avrebbe potuto capire ... poi mi tornò in mente anche la fessura aperta del suo accappatoio ...

Ritornai in cucina ma l’Avvocato Lollo aveva spadellato apposta prima di andare a docciarsi ... sopraggiunse invece Mattia. “Me lo prepari anche a me il caffettino?” Lo scemo mi venne incontro e abbracciandomi teneramente, chiese piagnucolando se preparavo il caffè pure per lui ... era proprio una zoccola, peggio della porcellina di prima. “Il tuo caffè sta riscuotendo più successo del mio bacon” Osservò l’avvocato, dopo che suo figlio ne aveva appena ingollate due tazzine di seguito. “Devi dirmi qual è il tuo segreto per farlo così buono” In realtà, sì, avevo una mia tecnica di preparazione ... il caffè andava premuto con delicatezza e poi con la punta del cucchiaino ... “Interessante!” Interessante un cazzo, mi si era avvicinato pericolosamente, ne avvertivo il calore del corpo e il profumo del suo bagnoschiuma mi stava ubriacando. “Che fai!” Era bellissimo e volevo toccarlo ... quante fantasie da bambino avevo fatto sul suo corpo ... specie in pantaloncini da tennis e quei peli sexy sul petto e le cosce e gli occhi, quei capelli! Tutta roba che ora avevo a portata di mano! “Ti piaccio così tanto?” Non stavo mica parlando, erano le mani che raccontavano quello che non avrei mai osato dire. “E sì, credo proprio di piacerti parecchio” Disse dopo aver soppesato l’osso che tenevo nelle mutande.

“Ago mi ucciderà per questo” Senza darmi il tempo di pensare, tanto ero ancora preso a esplorare le ombre sotto il suo accappatoio, si chinò in avanti e posò le labbra sul mio orecchio ... non era un bacio, ma semplicemente un tocco, un sospiro lieve che mi fece rabbrividire. “Vieni” Disse dopo aver spento il gas ed essersi lavato le mani nel lavello. “Aspettami qui” E valla a trovare una camera libera in quella bolgia assonnata che ricominciava a svegliarsi. “Qui staremo comodi lo stesso” L’avvocato era un uomo dalle mille risorse e alle brutte mi spinse nell’angusta lavanderia, su un sacco a pelo raccattato chissà dove. “Lo hai mai fatto?” Mi aveva forse preso per una verginella? “Rilassati” Ero nervosissimo per quanto stava accadendo. “Sei bellissimo!” Fu tenerissimo con me, almeno quanto il suo pisello che rimase moscio per tutto il tempo. “Cerca di rilassarti” Forse era per quello stanzino asfittico, buio e puzzolente ... c’era un cazzo di ragnaccio che pencolava proprio sulle nostre teste! “Chiudi gli occhi” Lo feci, ma poi serrai le labbra d’istinto appena sentii la sua lingua cercare d’insinuarsi nella mia bocca ...

“Ecco, da bravo ... così” Ci volle un po’ di tempo prima che iniziassi a fidarmi delle sue spericolate carezze. “Ti piace?” Quelle mani scavavano solchi nella mia carne, stringevano quasi a farmi male ... cercai di abbracciarlo ma lui mi trattenne con le spalle a terra. “Sccc ... fidati di me” Si tirò una mia gamba sulla spalla in una posizione scomodissima. “Fa il bravo ... sta fermo” Ebbi un sobbalzo quando sentii qualcosa di gelido e gelatinoso spalmarsi direttamente sul buco del culo! “Zitto!” Zitto un par di palle! Avevo la testa cinta nel suo avambraccio con la mano che mi premeva sulla bocca impedendomi anche di respirare perché il pollice si schiacciava contro una narice del naso ... “Vedi che ti piace!” Non mi stava facendo male penetrandomi con le dita ... era quella dannata posizione che era una tortura.

“Sei eccitante da morire” Almeno uno dei due si stava divertendo. “Ah, no ... sta fermo o ti farà ancora più male” Di più di quella fitta che mi percosse il cervello come una manganellata! “Buono!” Che cazzo stava cercando d’infilarmi dentro? “Sta fermo, cazzo!” Ma vaffanculo, era qualcosa di enorme, gigantesco ... come poteva pretendere che me ne stessi fermo? “Ancora uno sforzo e ci siamo” Sudavo copiosamente, avevo il cuore che mi rimbalzava fuori dal petto e l’aria che inspiravo nervosamente mi finiva per soffocare. “Fatto!” Affanculo lui e quella puttana di sua madre, lo morsi appena allentò la presa e gli montai sopra deciso ad ammazzarlo. “Calmati!” Che ci trovava da ridere tanto? “Non è successo niente!” Questo lo diceva lui, ma quel coso mi era rimasto incastrato dentro! “Fa un respiro profondo” E ma un bel paio di sganassoni li accusò di brutto ...

“Lo vedi che ti piace” Non m’importava, doveva togliermi quel coso dal culo! “Fa da solo” Bell’aiuto ... non si toglieva! “Senza fretta ... così” Accidenti a lui ... riprese a carezzarmi e trovarmelo sotto, sentire il suo corpo ansimare all’unisono con quei miei assurdi patimenti. “Spingi” Appena mollavo la presa per il dolore, quel coso si rinfilava dentro ... e l’assurdo era che non mi dispiaceva. “Abbracciami” Lo amavo ... era una roba inconcepibile ... quel bastardo mi stava facendo male e lo amavo! “Pulcino ... non piangere” No, non mi doveva chiamare come la Zia Pina. “Cazzo!” Lo morsi quando diete quell’ultimo strappo per tirarmi via il plugs di gomma. “Oh ... Oh ... Oh!” Ero scivolato in una specie di trance emotiva e provai un brivido ... una tale roba che mi fece drizzare in piedi ... mi scoprii improvvisamente sul limite di un orgasmo intergalattico ... un’altra scossa elettrica mi troncò le gambe, costringendomi a cadere sulle ginocchia e poi farmi schizzare fuori anche l’anima ...

“Porca vacca!” Avevo appena realizzato la fantasia erotica più spinta di tutta la mia giovane vita. “Lo sai che sei proprio un gran porcello?” Sì, avevo sborrato sul petto dell’Avvocato Lollo. “Ridi pure ... mi hai letteralmente lordato!” Ero esausto ... completamente ubriaco di endorfine. “Non crederai di farla franca” Mi abbracciò per sporcarmi e mi tenne sotto di sé per qualche attimo ... se quello non era amore, doveva proprio somigliarci parecchio. “Ti è piaciuto?” Domanda meno opportuna non poteva pormela. “Dimmelo ... dai” Si stava strofinando su di me e non è che mi dispiacesse, ma non ce la facevo proprio a sollecitare il suo trasporto emotivo. “Lo sai che sei proprio un egoista?” Non se l’era presa ... riuscivo a intravedere le ombre di una smorfia buffa sul suo bel volto. “Sei un bambino cattivo” Mi tirò indietro i capelli per scoprirmi la fronte che baciò dopo avermi  guardato per qualche attimo in silenzio. “Andiamo” Di punto in bianco, mi strattonò trascinandomi letteralmente sotto la doccia.

“Sei più bello quando ridi” L’Avvocato Lollo non aveva un gran pisello ... cioè ... non è che mi sarei aspettato qualcosa di monumentale ... però ... quella virgoletta appoggiata su due palline non era all’altezza di tutto il resto, ecco. “Che stai pensando?” Andammo a farci la doccia nella sua camera, che poi era quella dove dormiva anche Agostino e c’era anche qualcun altro nel letto che non si distingueva. “Sei un porcello!” Il buio di quello stanzino mi aveva tolto il piacere di scoprirlo in ogni dettaglio ... e poi era così bella la straordinaria intimità che ora sentivo nei suoi confronti. “Sta un attimo fermo” E non ho capito, solo lui poteva toccarmi a suo piacimento? “Ah, ma allora soffri anche tu il solletico!” Era bellissimo ridere a voce alta, urlare persino, senza timore di essere scoperti o altre paranoie del genere.

“Figlio di puttana!” L’imprecazione venne dalla camera e compresi che si trattava di Agostino solo dopo che irruppe nel bagno. “Questa me la paghi” Spaccò l’anta della doccia per aprirla e poi scagliò violentemente qualcosa contro Piffi, che prima cercò scampo in un angolo proteggendosi la testa con le braccia e poi gli si lanciò contro, sgusciando via dalla sua presa. “Bastardo!” Dopo che Ago si lanciò nell’inseguimento, vidi il butt-plug abbandonato sul piatto doccia. “Me lo avevi promesso” Non mi ero accorto che l’avvocato glielo aveva lasciato sul comodino quando eravamo entrati in camera. “Che ci posso fare se sono più bello di te?” Quell’affare mi era sembrato più grosso. “Perdente!” Indossai l’accappatoio dell’avvocato mentre quei due pareva che stessero demolendo la camera. “Ah, ecco la piccola troietta!” Andai di là con il butt-plug in mano e un dubbio in testa ...

Quei due litigavano per una sorta di diritto allo ius primae noctis? Era questo a cui alludeva Luca quando mi disse che sarei stato battezzato? Era questo il rimorso che stava logorando Zeno fin da quando eravamo partiti da Roma? “Non sei il primo” Mi disse la bella bionda scendendo dall’angolo del letto dove si era rifugiata dalla follia di quei due. “Ti deve aver fatto proprio male” No, era la delusione per l’intero genere umano che mi stava facendo venire le lacrime agli occhi. “Quei due sono due scemi” Continuò a dire la bella bionda mentre senza alcun riguardo mi umettava il buco del culo con una cremina freschissima. “Benvenuto nel mondo dei rotti in culo” Come avevo fatto a non accorgermi che la bella bionda nascondeva un piripicchio tra le cosce?

“Oddio ... sono Barbie, che non mi riconosci?” Nel lettone disfatto si nascondeva anche una morettina dai capelli lunghissimi e le tette enormi. “Mi sa che Samantha m’ammazza se ce vede così” Quella ragazza parlava, parlava ... non la smetteva mai di parlare. “Oddio, ma che te sei messo co’ Chantal?” Mi offrì da fumare e per un po’ quella stanza divenne un bel posto. “Prendi il posacenere” Le sue celie tenevano la mia testa sgombra dai cattivi pensieri. “Ieri sera stavamo alla Bussola, oddio ... ” Barbie mi aveva preso per qualcun altro ed era piacevole pensare che lo fossi veramente. “Oddio ... c’era pure Corinne, che vacca!” Mi sa che Barbie non si rendesse neanche conto di come c’era finita in quel letto. “Tu mi piaci tanto, lo sai?” Volevo prendermi una sbornia di fica per lavarmi via l’onta appena subita. “Mi sa che mi piaci proprio tanto!” Barbie era così morbida ... un po’ puzzolente, ma in quel momento era un dettaglio trascurabile. “Oddio ... sei proprio dolce!” La baciavo solo per farla stare qualche attimo zitta ... “Oddio, che fame!” Ma non ci riuscii allungo e alla fine mi convinse ad accompagnarla in cucina.

“Tu mi piaci tanto, lo sai?” Barbie si era infilata sotto il mio accappatoio e si teneva come un koala al suo eucalipto. “Oddio che buona che è!” In casa c’era un gran movimento e riuscii a conquistare un po’ di pancetta e bacon per il koala. “Ti stai dando da fare!” Commentò Zeno sbucando dal nulla e subitaneamente Barbie migrò sull’eucalipto più grosso. “I sono Barbie, ma che ci conosciamo?” Sì, gli piaceva tanto, tanto, tanto anche Zeno. “Randagio, questo l’ho preparato solo per te” Perché l’Avvocato Lollo mi aveva chiamato randagio? Solo Zeno mi chiamava così. “E’ stato lui a darmi la ricetta e lo berrai fino all’ultimo sorso” Avevano parlato di me ... avevano riso di me ...  “E’ da ieri che non tocchi cibo!” Non volevo bere quel vomito di cane. “Non fare i capricci” Solo perché si era fatto schizzare addosso, ora non poteva prendersi la licenza di comandarmi. “Rassegnati perché oggi t’insegno pure a surfare” Mi disse Agostino che assisteva alla scena appoggiato allo stipite della porta ... ci mancavano solo i titoli di coda per un happy ending ... ma vaffanculo!

VII

“Ragazzi, fatevi i compiti di scuola” Sostavamo tutti tra la cucina e il salotto mentre si consumava l’abbondate breakfast preparata dall’avvocato. “Dai che così oggi pomeriggio potremo fermarci di più in mare” Tranne Zeno che aveva deciso di consumare la sua parte di colazione in camera, in compagnia di Barbie. “Dèvo pàrlarti” Julien mi venne incontro e con circospezione mi chiese di uscire in veranda. “Kriss mi ha apèrto la mènte” Bell’eufemismo. “Mi pòrta in bàrca con lui” Intendeva proprio salpare per il Mar Nero ... ma non poteva piantare tutto e partire senza dire niente a nessuno. “Je suis majeur!” Capirai ... aveva compiuto diciotto anni al massimo da qualche settimana e già pretendeva di poter mandare a puttane la sua vita. “Zèno non mi làsciera andàre” Meno male che lo aveva capito da solo. “Tu ... ” Aiutarlo? E in che modo? Quella era una follia! “Fantàstico!” Gli consigliai di dire a tutti che Kriss lo portava a far vedere la sua barca e quindi se la sarebbero filata, mettendo tutti davanti al fatto compiuto. “Gràzie, amìco mio” Io non ero amico suo e dovevo ancora ponderare bene la faccenda.

Saranno state le undici quando il cielo si terse dalla foschia che lasciò dietro di sé un’umidità pregna dei profumi acri del mare. Decisi dunque di andare a sonnecchiare con Nietzsche su una sdraio in giardino, tanto con la giustifica del sabato, il giorno dopo avrei acchitato un filotto per bigiare a scuola. “A quanto me lo piazzi?” Mi spalmai al tiepido sole ottobrino con la nenia di Mattia che ripeteva delle declinazioni in latino. “Al Monte di Pietà ce vogliono diciott’anni” Carmelo vene a farmi vedere l’orologio sportivo che avevo visto al polso del Dottor Sanna. “Ma che te sei scimunito?” Gli dissi che quel tipo di orologi non avevano mercato e gli sarebbe convenuto portarlo al banco dei pegni del Monte di Pietà, ma per farlo aveva bisogno di un maggiorenne, gli proposi di chiederlo a suo zio Dante, ma disse che piuttosto avrebbe venduto l’orologio al mercato di Porta Portese.

“Mi sta evìtando!” Appena Carmelo si tolse dai piedi, sopraggiunse Julien. “Màledetto bùgiardo” Pareva proprio che Kriss si fosse dimenticato le sue promesse. “Gli ho fàtto fàre tùtto ... capito?” Mi ringhiò in un sussurro sgomento. “Adèsso non so che fàre” Aveva barattato il culo con il sogno di una fuga romantica? “A nèssuno impòrta di me” Si mise a spadellarmi le sue paturnie familiari come se fosse il solo ad averne. “Kriss è uno strònzo” Aveva dovuto scoparci prima di accorgersene? “Erò ubrìaco!” Sì, però fino a mezz’ora prima serbava un’opinione diversa dell’accaduto. “Erà la prìma vòlta, capìto?” Intendeva un rapporto completo con un uomo. “Luì mi avèva promesso ... ” Beh, aveva imparato che bisogna sempre farsi pagare prima. “Ce connard m'a baisé!” Almeno a lui non avevano messo un tappo nel culo e poteva ancora sedersi. “A te non impòrta” E certo perché io ero una puttana, vero? “Tu lo hai fàtto con tùtti!” Effettivamente, escludendo il Dottor Sanna, lì dentro mi rimaneva di fare cose solo con Agostino e Chantal ...

“Lo ha pròmesso!” Le promesse d’amore sono un esercizio di volontà teso a conservare qualcosa che altrimenti sciamerebbe troppo presto. “Ha giùrato!” Quanto poteva valere il giuramento di un uomo abituato a puntare sempre sul piacere più travolgente? “Ha dètto ti amò, càpito?” Si erano solo accorti che in quel momento condividevano il sogno della fuga. “Smèttila!” Io sminuivo la faccenda nel tentativo di calmarlo. “Je le tue!” Invece quello andò fuori di testa e di punto in bianco lo vidi andar via minacciando di ammazzare Kriss. “Je te casse le gueule!” Per un po’ sperai che si fosse andato a buttare sotto a un treno perché non successe nulla. “Tu es un trou du cul!” Poi venne giù il fini mondo ... “Tu pue comme un égout!” Quando sopraggiunsi, tutti stavano trattenendo Julien che inveiva cercando di aggredire Kriss, ma a prendersi una gomitata nello stomaco fu solo il Dottor Sanna ...

“Se può sape’ che è successo?” Oh, bella! Perché Zeno era venuto a chiederlo a me? “Julien dice che sei stato tu a dirgli ...” Ecco che ci rimedi a dare dei consigli. “Allora?” In quel momento si sentì Julien bestemmiare ancora qualcosa in francese e poi lo sbattere di una porta. “Cos’è che ti rode?” Letteralmente il culo ... ce lo avevo in fiamme, a malapena riuscivo a camminare senza mettermi a piangere e tutto questo per colpa di una scommessa tra due scemi ... e Julien aveva fatto quello che avrei dovuto fare anch’io, ecco ... “ Se non parli come faccio a capire?” Gli faceva comodo non capire perché era tipo un’ora che si stava trombando Barbie ... a un certo punto quella poveraccia aveva imboccato per sbaglio la portafinestra della camera ed era talmente tuonata di estrogeni, che si accoccolò lo stesso in giardino per fare pipì. “Che c’entra questo con Julien?” Barbie avrà avuto al massimo un paio d’anni di più di lui. “Barbie fa la puttana” Ah, beh ... allora cambiava tutto.

“Stai delirando” Noi eravamo un pregiato piatto di portata, carne fresca come le bistecche di chianina senese, il barolo o la grappa distillata in casa. “Kriss si è approfittato di Julien?” Ma va là! “Che cosa gli aveva promesso!” Gli avrebbe promesso qualsiasi cosa pur di abbindolarlo. “Adesso mi sentiranno!” Almeno mi ero tolto la soddisfazione di aver rovinato la festa a tutti. “Zeno, calmati ... sono solo le fantasticherie di un adolescente” Disse l’Avvocato Lollo con la sua inossidabile deferenza. “Ti pare che Kriss volesse seriamente rapirlo?” Certo che no, lui aveva solo voglia di trombare. “Piuttosto il minchione palermitano rapivo” Rispose Kriss facendosi una grassa risata, quando l’avvocato lo chiamò per chiarire l’equivoco. “Prepara la roba e mettila in macchina” Zeno taglio corto la discussione e mi disse di radunare la roba mentre lui pensava a Julien. “Se vuoi ti riaccompagno a casa” Zeno lo chiese anche a Barbie se voleva venir via, ma quella era spaventatissima e si rincantucciò dietro a Chantal.

Compresi allora quanto sia facile plagiare gli acerbi sensi di un ragazzetto educato al romanticismo dell’amore. Ripensai anche alle carezze dell’avvocato e di come avevano facilmente raggiunto la mia anima. Probabilmente Agostino avrebbe ingannato con qualche lusinga anche me, se la sera avanti Zeno non mi avesse tratto via da quel contesto. “Cerchiamo di non drammatizzare” Continuò a dire l’Avvocato Lollo per dissuadere Zeno dalla sua decisione. Il dettaglio che più mi stava mandando in bestia era il loro ghigno compiaciuto per gli effetti di quella che ritenevano un’innocua bravata. Persino le ragazze sfottevano il nostro disappunto, forti solo del fatto di essere già passate chissà quante volte per quella la gogna. Ci guardarono andar via e nel loro sguardo ci lessi della consapevolezza da vampiri, sicuri di averci ormai morso e quindi certi di averci trasmesso il loro stesso inappellabile bisogno di sangue.

Julien se ne stette in silenzio per tutto il viaggio, rincantucciato sul sedile posteriore a guardare il mondo che scorreva fuori dal finestrino. Stava tornando a casa con un granello di esperienza ingombrante come un macigno. Arrivati sul Poggio Laurentino, lo aiutai con la sua roba. In casa trovammo sua madre che trombava con la porta della camera aperta perché sicura di essere sola in casa ... non si degnò neanche di scendere dal letto e sbraitò qualcosa in francese, cui Julien rispose malamente e lei urlò a sua volta. Gettò le sue cose in un angolo della cameretta, mi accorsi dunque che quel macello era proprio dovuto a tanti granelli di esperienza che faticosamente riuscivano a stare insieme. Sulla porta di casa gli allungai la mano in segno di amicizia e allora lui me la strinse in un pugno e mi tirò a sé, per batterci spalla a spalla com’era il saluto tra quelli della squadra. Il capitano Lost aveva appena imbarcato sul suo naviglio un altro naufrago degli affetti famigliari. Anche se l’equipaggio di Prosperina somigliava sempre di più a un’armata Brancaleone, a me piaceva lo stesso così ...

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  • 2 years later...
Silverselfer
Spoiler

La letteratura entropica è indeterminabile e mi si ammassano una mole incredibile di appunti in fondo ad ogni esperimento. I Coriandoli ne hanno generati almeno il quintuplo di quanto poi è finito negli scritti ufficiali <-- che poi sarebbero quelli postati in questo link.

Insomma, ho deciso di rimettere mano nello stesso punto in cui avevo lasciato e penso di aver fatto bene perché in quegli appunti c'erano cose interessanti. Tuttavia, alcune parti, probabile che siano già state inserite da qualche parte ... per inciso, è il momento in cui il protagonista torna a casa dopo l'estate dell'1983 e il casino accaduto nel ferragosto di quell'anno ... 

I Ragli dell’Asino

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Col sopraggiungere dell’autunno, le rondini si davano appuntamento sul filo del telefono che attraversava la via davanti la finestra della mia camera. Le ascoltavo alla buon ora confabulare in cinguettii stridenti per ricordarmi che l’estate era finita e avrei dovuto riannodare i fili della trama di una normalità sempre più sfilacciata. Il CPU nella mia testa aveva appena ricevuto un sovraccarico di emozioni. Mio padre numero uno, Primo appunto, mi aveva coinvolto nei suoi casini e quando venne al mare, non si risparmiò un’oncia del rancore che covava verso di me. Fui costretto a prendere in mano la situazione, a tornare a essere il piccolo mostro dell’ebrea convertita. Le mie ginocchia si piegarono sotto il peso di quella soverchiante ondata di cinica verità e mi chiusi in casa, nella tana che fino a quel giorno mi aveva protetto dal mondo esterno, ma il citofono continuava a ragliare perché gli echi della vita che avevo creato reclamavano una persona morta, nonostante fosse appena nata durante quell’estate.

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Tutti noi facciamo parte di costellazioni di persone che ci trattengono nelle loro orbite attraverso la gravità dell'affetto, senza il quale ci perderemmo nello spazio siderale. Avevo frequentato Campo de’Fiori alla ricerca della mia galassia, però le persone avevano orbite già ben definite, mentre io continuavo a comportarmi come una cometa errabonda. Rimanevo in mezzo alla piazza e aspettavo che i lampioni si accendessero, poi fingevo di avere qualcuno che reclamava la mia presenza e me ne andavo alla tavola calda per mangiare un boccone. Dopo aver pagato il conto, tornavo a fare una capatina sotto la statua di Giordano Bruno, giusto per vedere se c'era qualcuno cui dare la buonanotte.

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Era il 1983, l’anno del maiale, l’ultimo segno dello zodiaco cinese che avrebbe segnato l’inizio di una nuova dozzina di anni sconvolgenti --> La rete di computer DARPA creata nel 1969 dall’USA Army poi divenuta ARPAnet, aveva appena approvato l’Internet Protocol (IP) con cui si dava inizio alla rivoluzione informatica. Apple commercializzava “Lisa”, il primo Personal Computer e Microsoft rilasciava la prima versione di Word per DOS, mentre partiva il progetto GNU che divenne la base dello sviluppo libero del software, da cui venne Linux e su cui avrebbe girato Wikipedia. Nella cultura pop, i Queen preparavano l’uscita di Radio Gaga che rifletteva l’inquietudine di una Metropolis sotto l’occhio del Grande Fratello di 1984, il romanzo di Orwell. Una profezia cui la moderna letteratura di fantascienza accostava il termine “Cyborgpunk” intuendo le derive di questa rivoluzione culturale.

Nella vita di tutti i giorni, il mondiale di calcio dell’ottantadue aveva definitivamente sostituito il focolaio domestico con il televisore a colori, sotto di cui, almeno i più privilegiati, potevano mettere un videoregistratore VHS. I più snob ostentavano un Beta Max, però la vera rivoluzione la stava compiendo proprio il VHS perché le major dell’industria pornografica americana scelsero questo formato più economico per la diffusione dei primi home video sexy. Dante arrotondava lo stipendio convertendo in VHS vecchi filmati che, ufficialmente erano quelli girati per matrimoni o altre feste di famiglia, ma in realtà spacciava porno anni sessanta/settanta. L’affermazione del porno in Home Video fu rapida e di conseguenza, le sale cinematografiche a luci rosse che negli ultimi anni avevano invaso l’Italia, divennero pseudo teatri dove le dive del porno facevano i loro numeri hot per i fan --> La masturbazione sarebbe diventata la nuova frontiera del sesso?

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La solitudine è sinonimo di libertà … riempire la libertà di emozioni non basta a renderci meno soli … ogni decisione presa in autonomia la compiamo contro la libertà di chi c'è accanto … condividere il nostro tempo ci renderà inevitabilmente meno liberi … accettare la libertà degli altri, significa abdicare alla propria … essere o non essere è una questione di libertà e solitudine.

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 Il primo raglio dell’asino giunse quando erano trascorsi già diversi giorni dall’uscita di scena di Primo. In casa avevo finito il cibo e fu un sollievo quando Fefè mi citofonò. Forse era veramente preoccupato per me o, forse era semplicemente venuto a riscuotere la contropartita del favore per aver medicato la mano di Primo, quella che Brusco gli aveva infilzato con la forchetta a monito del patto appena stipulato. Contava poco il fatto di avere quattordici anni, quando hai a che fare con i soldi. “Lo so che de te ce se può fida’” disse Fefè, mentre posava la busta della spesa sul tavolo della cucina. “Sai già come vanno 'ste cose” Si riferiva a Zeno perché mi aveva dato una copia delle chiavi del Mykonos e all’bisogna andavo ad aprire e chiudere il centro estetico per qualche cliente speciale. “Tu sei così intelligente!” Poteva anche piantarla di lisciarmi il pelo come faceva con i ragazzini per convincerli a fare marchette.

“Io lo amo!” E’ ora che spieghi chi era la “Principessa di SAABa”. Ai suoi tempi d’oro, Fefè usava travestirsi da donna, ma non c’era niente a che vedere con le Drag Queen. Lui usava spacciarsi per una donna comune o almeno quello che lui riteneva tale. Tuttavia, per rimorchiare doveva andare a battere. “Se te pagano, non se sentono froci” Usava dire, ma siccome era troppo snob per mischiarsi alle mignotte, aveva trovato un modo alternativo di adescare i maschi. “La Principessa di SAABa è tutta sola alla piazzola della stazione di servizio 36” Fefè aveva scoperto la radio CB, cioè l’internet di quando ancora non c’era la rete. Ero venuto a conoscenza della sua radio CB quando gli risolsi un mezzo incendio provocato da una doppia spina elettrica. Davanti al microfono interpretava la frocissima Principessa che prendeva il nome dalla sua automobile SAAB-99. “Parole … Parole … Parole” Intonava la nota canzone di Mina quando qualche camionista la provocava con le sconcezze che poteva procurarle. Di fatto, però, qualcuno di quei rudi camionisti si presentava sempre alla piazzola, dove parcheggiava la SAAB.

“Strappamutande” era il camionista che a dire di Fefè, era talmente romantico da spezzare il cuore, nonché un fine poeta … molto incompreso a giudicare dal nickname che si era dato. In ogni modo, era lui che l’aveva invitato per accompagnarlo in un lungo viaggio in Europa. “Sarà come una luna di miele” Anche un cinico come Fefè poteva innamorarsi e sarebbe stato crudele dirgli quanto era ridicolo vedere un uomo della sua età emozionarsi come un’adolescente … specie vestirsi come una collegiale con tanto di gonna a portafoglio. “Tu sei il solo che mi capisce, vero?” Perché me lo domandava? Se voleva andarsene con il suo Strappamutande poteva ben farlo senza la mia benedizione. “Ho fatto cambiare la serratura alla porta” A quanto pareva, Giacomo, il suo pupillo, era partito per la Thailandia con Marcello mettendolo nei guai con sua madre, la Signora Gamberetti, che era anche una finanziatrice occulta di Fefè. “E’ colpa de Marcello” Sì, lo sapevo da un pezzo che Marcello aveva preso a frequentare Giacomo. “Me lo sta a porta’ sulla cattiva strada” Non so quanto veramente a Fefè importasse di Giacomo, però io sapevo che Marcello era partito per la Thailandia con i soldi della cocaina di Brusco e certo questo significava “guai”.

“Sarà un segreto tra noi, eh!” I segreti valgono più delle pietre preziose, soleva dirmi la Zia Pina, chi te ne mette uno tasca, ti sta firmando una cambiale in bianco. “Ricordatelo, i maschi ragionano con la testa del cazzo” Infatti, l’ammonizione giungeva da uno che stava per partire in luna di miele con Strappamutande, lasciando i suoi affari in mano a un adolescente. “Sento che non posso fidarmi più di lui, lo dicono anche le carte!” Intendeva Giacomo che, secondo Fefè --> Aveva il culo in estro per Marcello, ergo non si fidava di Marcello e questo lo potevo capire. “La stronzetta se ne torna da mammà, già ho sistemato tutto” La stronzetta era Giacomo ed io avrei custodito le nuove chiavi di casa --> Io non volevo diventare il suo pupillo!

“Non preoccuparti, pensa a tutto Fefè tuo” Diceva che avrei solo dovuto consegnare le chiavi a chi mi mandava lui. “Dammi il tuo numero di telefono” All’epoca non c’erano ancora i cellulari e non potevo certo farmi telefonare a casa, ero un adolescente, cazzo! “Ar baretto sotto casa mia, come il solito” Tutto pagato al bar sotto casa sua per gli amici di Fefè … se l’avesse saputo Zeno che stavo per diventare ufficialmente un amico di Fefè, mi avrebbe come minimo segato le gambe! “E’ più facile de quanto te pensi” -->Il solito<-- era riservato ai ragazzini che aspettavano la telefonata di Fefè, questo per salire da lui e incontrare i clienti. Nel mio caso, dovevo passare ogni giorno per sapere se c’erano messaggi per me, in tal caso dovevo aprire casa ai clienti. Ero troppo giovane per capire che mi stavo cacciando in un affare troppo grande e anche molto pericoloso. Mi sembrò solo un pretesto per tornare a uscire da casa e magari incontrare qualcuno di Campo de’ Fiori.

Innanzi tutto, mi accorsi che i segreti di Fefè erano di dominio pubblico e di conseguenza i ragli dell’asino iniziarono a susseguirsi. Quelle chiavi erano ambitissime e tutti quanti mi conoscevano anche solo di vista, pensarono di potersi ritenere abbastanza amici da venire a suonare il mio citofono. Quel dannato raglio m’infilzava il cervello e neanche mi affacciavo più alle imposte socchiuse della sala da pranzo per controllare chi ci fosse giù al portone --> Non volevo tornare a vivere! Fino a quando un raglio fu seguito dal trillo del campanello di casa. Era Lidia e fu bellissimo vederla sulla porta, anche se non era venuta per me, ma solo per portarmi l’ambasciata di Fefè che non sapeva che fine avessi fatto, poi si offrì di mostrarmi come funzionava l’affare delle chiavi. Fu così che conobbi “NCC”, questo era un nome in codice: Noleggio Con Conducente. Il suo nome vero era Aldo. Veniva dal basso Lazio che, dopo Gaeta, diventa ex Regno di Napoli. Si sforzava di parlare romano, ma l’accento campano si sentiva lo stesso … peggio ancora quando cercava di esprimersi in italiano.

NCC a noi ragazzini pareva un vetusta, ma era anche un bell’uomo, aveva gli occhi azzurri, un po’ forte di naso che però era dritto e con le narici strette; le sue labbra sottili erano incorniciate da un filo di barba grigia che gli cresceva continuamente. Si rasava la testa, ma anche così era possibile intuire la forma della sua pelata. Ricordo che era più basso di me, ma c’è da dire che all’epoca già viaggiavo oltre il metro e ottanta centimetri. Il suo problema più grande era la totale mancanza di filtri, esagerava in tutto. Era espansivo fino alla molestia, quando ti parlava, usava toccarti e passi la pacca sulla spalla o a limite il buffetto sulla guancia, ma appena diceva qualcosa che riteneva spiritoso e questo atteneva sempre a qualche doppio senso sessuale; beh, allora arrivava anche l’agguato alle palle. Era sempre vestito come un tipico autista privato: completo blu, giacca e cravatta; tuttavia, appena poteva, quindi quasi sempre, il nodo della cravatta lo allargava per sbottonarsi i primi tre o anche quattro bottoni della camicia, mettendo in bella mostra tutte le sue “capezze” d’oro, affogate in una folta zazzera di pelo superfluo.

“Quanti anni c’avete?” NCC stava aspettando Lidia e me al baretto con un gomito appoggiato sul bancone mentre gustava del prosecco in un bicchiere da flute. “Guarda se quella brutta checca non se fa rimette al gabbio, cazzo!” Fintanto che Fefè era stato in prigione, NCC aveva preso in mano il suo giro di prostituzione e si dimostrava molto insofferente al modo in cui gli affari erano tornati a girare. “A marmocchio, tu non me li devi tira' i pacchi o t’arriva il contropaccotto, ce siamo capiti?” Quando salimmo a casa di Fefè, NCC ci ringhiò contro i suoi ammonimenti perché l’appuntamento che avevo mandato a monte gli era costato non tanto in soldi, ma in credibilità. “Fa’ il ruffiano è un lavoro serio!” Ci voleva spaventare e devo ammettere che ci stava riuscendo. “Se fate i bravi, io ve posso fa diventa’ famosi!” Quale promessa poteva suonare più allettante per degli adolescenti? Lidia ed io ascoltammo in silenzio e, almeno a me, servì per capire che il gioco fatto insieme quell’estate, si stava trasformando in qualcosa di serio. Questo ci fece giungere a due conclusioni diverse, io volevo tirarmene fuori prima di subito mentre Lidia credeva che quell’affare ci avrebbe permesso di “svoltare”.

“Non fare l’handicappato mentale!” Lidia ed io avevamo due punti di vista diversi, anche se parlare di punti di vista suppone che fossimo due persone con le idee chiare, mentre eravamo solo degli adolescenti con il senso del pericolo inibito dall’età. “Non c’è niente da temere” Lidia sentiva di essere nata per diventare una popstar, lo so che l’intento può sembrare megalomane, ma chi non lo è a sedici anni? “E’ così che gira il mondo!” Insomma, eravamo figli del nostro tempo e cinicamente non ci spaventava fare marchette, anzi, lo ritenevamo persino il segno di essere sulla strada giusta per il successo. “I’m a material, I’m a material girl” Lidia era persino entusiasta della piega che aveva preso la faccenda. “Non fare lo stronzo!” Io non ne facevo una questione etica e men che mai percepivo una qualche questione morale in quelle faccende, provavo solo una forte repulsa per il malaffare dopo essere passato per la porcilaia di Brusco.

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A volte mi stupisco a scrivere di fatti che per il vero scopro solo dopo averli riletti. Esistevano anche prima ma non avevano ancora ricevuto delle parole per essere ricordati. Quanta vita scorre via senza concretarsi in pensieri, rimanendo un eco in sillabe emozionali che trovano corpo solo dopo essere state ricomposte nelle parole di qualche romanzo ...

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Era piacevole ascoltare l’acciottolarsi dei secondi nel tiepido autunno romano, con le rondini sull’attenti sui fili del telefono che si preparavano al lungo viaggio verso l’Africa. L’Italia era rimasta quella che ascoltava Nilla Pizzi ai tempi di Elvis Presley. Nessuno si accorgeva della Guerra Fredda, nonostante i pacifisti manifestassero al tempo degli Inti Illimani contro i missili Cruise in Sicilia e il 26 settembre del 1983, fu solo per la lungimiranza di un tenente colonnello dell’armata rossa, tale Stanislav Evgrafovic Petrov, che identificando un falso allarme evitò d’innescare la guerra nucleare. Se il mondo si preoccupava della prima polaroid scattata all’HIV, da noi teneva banco il discorso del Papa anticomunista, contemporaneamente alla scomparsa di Manuela Orlandi nei meandri del Vaticano … tutto ciò, mentre io dovevo decidermi ad abbandonare il letto per andare ad affrontare il primo giorno di Terza Media.

Al rientro delle vacanze estive il mondo dell’infanzia si era definitivamente dissolto. Io stesso ero diventato un altro --> Un gran bel figo, cazzo! Ma avevo anche scoperto che la bellezza serve solo a renderti più scopabile e se non hai ben chiaro in testa da chi vuoi farti fottere, non serve a niente. Dopo l’ultima notte d’estate in cui incontrai il Diavolo, mi chiusi in una fortezza con alte torri d’avvistamento e sofisticati marchingegni per resistere all’assedio della vita, ma per tornare a scuola dovevo sincronizzare di nuovo l’orologio con gli appuntamenti della quotidianità, fu così che il mio tempo diluito in uno spazio incommensurabile, riprese ad avere una forma definita. Dopo di tutto, frequentare la terza media era più facile perché potevi anche essere il più sfigato di tutti, ma nei corridoi quelli delle classi inferiori ti portavano rispetto.

I ragli dell’asino si erano succeduti riportando sulla soglia di casa entità di cui mi ricordavo solo in relazione a quanto mi fossi calato le mutande con loro. Il sesso si profilava come una dipendenza e come tale, le persone mi venivano a chiedere una dose. Personalmente, risolvevo la faccenda come con il cibo --> Una manovella il mattino e una la sera, giusto per tenere lontani i morsi della fame. Per gli altri non era così e le chiavi di Fefè sortivano l’effetto del miele per le api. A casa sua non solo era facile appagare la propria libido, ma c’era anche tutto lo strumentario per accrescerne la soddisfazione dei sensi. Carmelo mi aveva fatto conoscere i piacevoli effetti del nitrito di amile, che si facevano sentire anche con la semplice masturbazione. Fu così che mi lasciai tentare dalla variegata scorta nella dispensa di Fefè.

Tutto questo era incompatibile con la vita di un adolescente “normale”. Me ne avvidi quando anche Vanni fece ragliare il citofono, ma per il vero c’eravamo già sentiti attraverso la chiostrina del palazzo … come ai vecchi tempi e furono proprio quelli che mi aprirono una voragine nel petto. “Andiamo al Circolo?” Andando con lui avrei sperato di ritrovare la spensieratezza dell’infanzia … ma di quale spensieratezza andavo farneticando! Fu un disastro … invidiavo la pacata normalità di Vanni, eppure sapevo della sua storia con Marcello e anche di cosa avessero fatto lui e Dimitri a Juri; tuttavia, questo pareva non turbarlo e mi raccontò anche di Domitilla, la sua fidanzatina. Vanni era cresciuto con me, avevamo fatto più o meno le stesse esperienze e allora perché io non sentivo le stesse pulsioni, quei bisogni che conducono negli stessi luoghi, dove incontrarsi per condividere il peso del desiderio e il piacere della soddisfazione? Forse il segreto della serenità di Vanni stava nel fatto che non si poneva manco mezza di tutte quelle mie domande … e sapevo che dovevo tacerle o lui e tutti quelli come lui, mi avrebbero dato dello stramboide.

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La ricerca del consenso e la soddisfazione che ci dà il trovarlo, costituiscono buona parte di quanto si definisce “avere successo”. Che ne resterebbe della ricchezza più grande o del talento più raro, senza qualcuno che lo invidi o lo applauda? Essere privo di questo bisogno ci rende antipatici, perché smettendo di lesinare l’attenzione altrui, si viene percepiti come sprezzanti verso chi si aspetta di essere importante per te al fine di concederti il suo consenso.

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“Principino!” Non so se questo possa essere accumunato agli altri ragli. “Sono sicuro che Brusco te vorrebbe parla’” Ah, No! Dal Grande Maiale non ci tornavo. “Quel coglione de tuo padre non se fa trova’” Quel giorno che andai al Circolo con Vanni, ebbi la cattiva sorpresa di trovarmi davanti ad Elton John. “Damme retta che la storia di tuo cugino è roba seria” Mi fece sentire tremendamente solo riconoscere la sagoma di quell’omaccione mentre ci veniva incontro dal fondo del parcheggio, non che mi spaventasse ma fu per Vanni che si allontanò senza aspettare una spiegazione o altro, prese l’autobus lasciandomi da solo. “Qualcosa la dovemo fa’” Elton John non sarebbe tornato dal Grande Maiale con le mani in mano. “Solo cinque minuti, giusto pe’ chiarisse” Primo era un grandissimo codardo e si era imboscato in campagna mentre di Marcello non volevo neanche sapere dove fosse finito. “Non devi ave’ paura che Brusco c’ha una grande considerazione pe’ te” Che poi sta cosa era proprio un mistero. “Allora che famo?” Dissi a Elton John che avrei riferito io le sue minacciose ambasciate, ma di andare alla corte del Grande Maiale non se ne parlava proprio.

Telefonai ad Angela e mi confermò che Primo stava lì con lei per badare a chissà quale faccenda legata all’oliveto. “Non puoi resta’ qua, è troppo pericoloso” Dopo qualche ora me lo ritrovai sotto casa. “Giovanotto, prenditi un cambio e andiamo via” Primo era nervosissimo e se solo ci fosse stata Evelina, avrei potuto opporre almeno un ma … “Devo parlare con le persone giuste” Durante il viaggio discutemmo della faccenda di Brusco. “Tu non puoi capire” Far ammettere il Grande Maiale al Circolo era molto più difficile di quanto pensassi. “Non sarei dovuto scendere a patti con quella bestia” Però i soldi della bestia non gli avevano fatto schifo. “Non voglio che frequenti quella gentaglia, ci siamo capiti?” Certo che quella notte di ferragosto, per lui sarebbe stato meglio trascinarmi da un padre mai conosciuto per elemosinare denari in nome del torto subito. “Bada che ti conviene tenere a posto quella lingua sozza” Secondo me, era lui che doveva tenere a guinzaglio la sua e doveva anche sbrigarsi a fare quelle telefonate, oppure Elton John gli avrebbe saputo ben ricordare i termini del suo contratto.

In provincia ritrovai un po’ di quella pace che andavo cercando … però anche là tornò a ragliare l’asino a causa dell’abbandono di Pino. A ragione, lui non comprese il motivo per cui l’anno prima avevo tagliato la corda e, per il vero, neanche io avevo ben chiaro in mente la causa del malessere che mi dava stargli accanto, dopo aver capito che suo padre lo abusava sessualmente fin da tenera età. La nostra intimità gli era mancata perché non poteva confidare ad altri quel segreto che lo angustiava --> Il prepuzio e il frenulo costituiscono un serio problema per i giovani maschi, in fatti, anche Pino era alle prese con il suo pisello, esattamente come Juri! Il suo baccello aveva dei seri problemi ad aprirsi, aveva giusto un buchino in punta, da cui anche la pipì riusciva a uscire solo dopo averlo gonfiato come un palloncino. A differenza di Juri cui il frenulo si spezzò liberandolo da quella tortura, Pino aveva una brutta fimosi e quell’inconveniente si era trasformato in un vero problema sociale, questo perché il cattivo odore che emanava dipendeva proprio dallo schifo che si era formato nel suo baccello. Come tutto ciò che riguardava la sua vita, per Pino la cosa si risolse in maniera dolorosamente drammatica e recise col coltellino da pastore il suo prepuzio …

I ragli dell’asino mi reclamavano in città. Primo andava e veniva da Roma e mi bastò trovare il pretesto per farmi accompagnare una volta a casa, per poi contare sulla sua più completa inaffidabilità. La prima volta si ricordò di venirmi a prendere un paio di giorni dopo e non che poi mi riportò da Angela, semplicemente mi chiamò al telefono chiedendomi se potevo restarmene da solo fino a quando sarebbe tornato in città. Ovviamente, quando tornò, si dimenticò di nuovo e venne solo quando aveva combinato l’incontro per l’ammissione di Brusco al Circolo, quindi gli serviva che lo contattassi per evitargli il fastidio di ascoltare le sue minacce. Quella volta mi riportò in campagna e fui felice di vedere Pino finalmente sereno con il suo bel pisello non più puzzolente. Quei ragli si erano placati, ma sopraggiunse quello di Marcello che nel frattempo si era rifatto sentire … non mi è chiaro se questo accadde prima o dopo che Elton John lo minacciò per quel debito con il Grande Maiale.

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L’identità del maschio coincide con l’impellente bisogno del coito fecondante. Si ritiene svilente ogni atteggiamento erotico non conforme a uno scopo dominante. Ai contravventori la pena requisisce l'identità maschile e condanna al pubblico ludibrio.

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 Il ritorno a casa di mia madre detonò come un raglio atomico! Di me non rimase che una proiezione bruciacchiata sulla parete della mia stanza. Ero solo un adolescente e non potevo pretendere di avere una vita scissa da quella della mia famiglia e, soprattutto, mi era proibito avere una vita sessuale. Del resto, per mia madre ero un malato mentale da sedare con le benzodiazepine, questo perché la mia indipendenza sabotava il progetto della nuova famiglia che andava pianificando. Fu così che Lidia mi scaricò di punto in bianco e sparì dalla mia classe. Fece cambio con Marcello! Il motivo non l’ho mai saputo … certo che essere stata cacciata da casa da mia madre, dopo averci pizzicato a letto insieme, avrà avuto il suo peso. Tuttavia, credo che fu un vero e proprio accordo preso con Marcello. Il quale, anche lui aveva fatto ragliare il mio asino.

Nel racconto fatto sulle marionette nang yai, quelle che Marcello mi portò dalla Thailandia, ho eliso il reale luogo dove me ne fece dono. Fu a casa di Fefè, dopo che Lidia aveva interceduto per Giacomo al fine di aprirgli la porta di casa. Quel giorno non mi aspettavo che ci fosse anche Marcello e notai subito che mi guardava in maniera diversa. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo ferito … tale e quale a quello visto negli occhi di Luigi qualche settimana prima al mare. Penso anche che quelle marionette non fossero sue, era un acquisto più nelle corde di Giacomo che, probabilmente, gli propose di regalamele al fine di dichiararmi il suo amore … o magari fare pace con i demoni che era andato ad affrontare in Thailandia. Non ho certezze al riguardo, so solo che quella cosa m’incasinò ancora di più il cervello. Mi sentivo in colpa per non essere capace di provare quella roba per nessuno e chiedere numi a Dante finì per peggiorare le cose. Dante, dopo aver fatto sesso con me, pensava anche lui che dovevo amarlo e invece niente. Non so in che modo o maniera, ma tutto questo portò a quei cambiamenti che m’inaridirono l’anima.

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L'energia della dinamo sessuale per essere conservata bisogna convogliarla in bacini dinamicamente inerti. Quanta letteratura romantica combatte i mulini a vento per edificare questi bacini, dove il lieto fine si cristallizza nell'ultimo punto della storia, quando il flusso degli eventi s'interrompe generando una rassicurante speranza descritta su pagine assenti.

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Iniziai l’anno scolastico del 1983/84 con un'altra faccia e un corpo nuovo. Nessuno rimpiangeva il bambino controverso che era rimasto dentro di me. Sarebbero stati tutti lieti di accogliere quel bel ragazzetto che durante l’estate aveva iniziato a vivere l'età dell'oro della sua esistenza. Io stesso volevo amputare definitivamente l’escrescenza della psiche che mi permetteva di avvertire cose che non avrei dovuto conoscere … fu allora che feci sparire ogni foto del mio passato --> Bruciai anche il filmino della cresima. La mia immagine riflessa nello specchio prese a spaventarmi perché non la riconoscevo più, esattamente come capita agli arconti delle sette sfere celesti o ai vampiri che perdendo la coscienza di Sé, perdono anche il proprio riflesso nello specchio.

Appena tornai a sedermi al banco di scuola, mi sentii meglio perché acquisii i limiti marcati dal ruolo di alunno. A differenza degli altri che erano oppressi da quell’omologazione coatta, io mi sentivo finalmente materializzare in una forma riconoscibile. A scuola m’iscrissi a ogni genere di corso di studio supplementare, da quello di latino al corso di educazione alimentare, fino a offrirmi volontario come assistente in infermeria. Calarmi in dei ruoli facilitava il rapporto con gli altri, i quali non dovevano più domandarsi chi ero o cosa desiderassi da loro. Fu in questo modo che ogni ruolo iniziò a produrre un piano di esistenza alternativo, su cui concretavo una forma di me delineata dall’opinione degli altri. Per evitare incongruenze, i piani di esistenza non dovevano comunicare tra di essi e per questo motivo che iniziai a costruire paratie stagne, in cui tenevo chiusi dei personaggi di una commedia, senza interrogarmi su quale di essi corrispondesse i miei bisogni.

Ingannevole è il cuore più di ogni altra cosa, Geremia 17:9 --> Compresi quanto fosse meglio gettare napalm sui sentimenti perché senza emozioni si diventa più forti … ma il cinismo che ne viene è un genere di solidità simile a quella della porcellana, che sarà stata anche più dura dell’acciaio, come stava sostenendo il prof dell’ora di Tecnica, ma ogni volta che cadevo, sbriciolavo in pezzettini sempre più piccoli e difficili da assemblare in una forma accettabile. Senza contare che la colla con cui li rimettevo insieme era amara quanto il fiele. Per quanto riuscissi a conquistare il rispetto di tutti, non capitalizzavo neanche un’oncia d’affetto che mi permettesse di gravitare intorno a un corpo solido umano. Mi crogiolavo nell'idea romantica di essere una cometa errabonda su una rotta siderale sconosciuta, che si avvale della gravità affettiva dei corpi astrali sul suo cammino per sfruttarne l’effetto fionda <-- Proprio come il progetto Voyager che aveva da poco sorvolato Saturno.

Trovavo più facile un tipo di affetto che si palesava con chiare richieste a cui applicare il giusto tasso d’interesse. Per questo scrivevo i versi del Capitano Lost sui bigliettini che lasciavo nei quaderni di Giada. Il mio amore aveva bisogno di un’ispirazione come lo era Laura per Petrarca --> Dove avrei trovato la ragione della mia vita? Lo domandai a Dante … ovviamente non Alighieri! Il mio Dante mi raccontò del suo primo amore per il pescivendolo del mercato di Campo de’ Fiori, di come aveva cercato di nascondersi la verità e come poi si era sentito meglio quando accettò i suoi sentimenti. Lui poteva insegnarmi e decisi di scoparci, un errore fatale --> Eppure Fefè mi aveva ammonito dal farlo! Dante se ne andò a vivere all’ex gasometro della Magliana perché incontrarmi lo faceva soffrire <-- Disse così.

La Comare Nella mi ritenne responsabile e non volle più vedermi in casa sua ... ma neanche una settimana dopo, si ruppe un’anca mentre era probabilmente ciucca. Ebbe una lunga convalescenza e poi fu definitivamente messa in una casa di risposo. In tutto ciò, Carmelo dovette tornare a San Basilio dai suoi e questa cosa lo sconvolse troppo.

Finii per rimettere le mani sul pacco di Marcello … lo conoscevo ed era disponibile. Dovevo ammettere che, nonostante io avessi scelto di stare con la combriccola di Campo de’Fiori, ci rosicai quando vidi Marcello bazzicare Giacomo e non perché fossi geloso di Marcello … la verità era che invidiavo mortalmente Giacomo! Era bello come avrei voluto essere io --> Capelli neri e lisci, occhi neri e brillanti, pelle di velluto sempre abbronzata, una bella barba uniforme e un fisico dalle fattezze scultoree. Lavorava in RAI come ballerino di fila e rischiai di strozzarmi d’invidia quando mi capitò di vederlo in televisione. Volevo essere come lui e mi prese una tale rabbia quando lo vidi uscire con Marcello che li sfanculai io, prima che lo facessero loro … anche se poi non avevano alcun motivo di farlo.

Marcello reagì alla mia insensibilità allo stesso modo di Dante --> Lasciò casa per andarsi a vivere la vita lontano dai pregiudizi familiari e anche da me. Affrontare sua madre Rosa fu molto più traumatizzante di subire i sibillini ricatti della Comare Nella --> Mi sputò in faccia dandomi del “recchione”. Odiavo la logica conformista dei sentimenti che mi rigettava e rifiutavo la retorica della poesia che li cantava --> Volevo riscrivere quella metrica che non mi prevedeva. In tutto questo, mia madre decise di lasciarmi cuocere nel mio brodo, convinta che la ragione dei genitali avrebbe fatto mettere giudizio anche a me. A casa c’incontravamo di sfuggita e ci parlavamo giusto il necessario --> Non riuscivo a provare nulla per quella donna. Iniziai a cercare conferme sulla mia eterosessualità e nel farlo, scoprii quanto le femmine fossero ben felici di saltare in groppa a un torello che non potesse sconvolgere la loro quotidianità.

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I segreti sono dei peccati che sterilizzano l'intimità del sesso, impedendogli di diventare quel prolifico concime in cui germoglia l'amore.

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“C’è qualcosa che ti turba?” Era comunque difficile igienizzare le esperienze impedendo che tracimassero in qualche emozione inopportuna. “Alla tua età è normale essere confusi” A scuola il prete dell’ora di religione ci diede un tema da svolgere sulla famiglia e l’amore che serve a costituirla. “La sessualità è una parte importante della vita” Il mio cinismo coagulò sul foglio bianco una feroce invettiva sull’amore sensuale. “Don Salvatore è una brava persona, ma ha compiuto una scelta di vita particolare” Il mio tema gratificò moltissimo il prete che lo lesse alla riunione dei professori, immagino come fosse una conquista del suo insegnamento. “Mi hanno parlato dei tuoi problemi famigliari” Fu terribilmente umiliante quando la professoressa che quell’anno sostituiva la mia insegnante di matematica, ordinò una verifica a sorpresa e poi disse che non mi riguardava. “Sei un così bravo ragazzo!” Mi fece sedere alla cattedra e iniziò a rompermi i coglioni. “Mi hanno parlato dei tuoi problemi” Probabile che tra le avvertenze d’insegnamento della mia classe, ci fosse un paragrafo dedicato alle mie inclinazioni suicide ...

“Ne so io più di un vecchio saggio” Questa frase a effetto ebbe un esito disastroso. “Perché dici così!” La risposta non la conoscevo, però avrei potuto spiegarle di come il suo rossetto amaranto che il caldo screpolava sulle rughe delle labbra, l’avrebbe presto resa sessualmente indesiderabile. “Tu sei ancora un ragazzino!” Pessima cosa da dire a un ragazzino. “Divertiti, esci con gli amici” Sì, per mimare quelle convenzioni sociali che conducevano al talamo nuziale. “Da dove arriva tutto questo tuo malessere” Poteva chiederlo al mio psicoterapeuta … Zeno avrebbe ben saputo risponderle. “…” Ammetto che un po’, giusto all’inizio, il suo interesse mi aveva lusingato … ma ora volevo solo che la piantasse di commiserarmi e le guardai le cosce … e poi fissai l’apertura della sua bella camicia … lei cercò di tirare in basso la gonna del tailleur verde e poi richiuse uno dei bottoni della camicia bianca … e poi, finalmente comprese che ero qualcosa fuori dalla portata della sua psicologia da rivista femminile.

Quell’episodio mi confermò che gli adulti erano fottuti, oramai prigionieri dei loro schemi mentali, avevano da prescrivermi solo delle ricette di dozzinale mediocrità. Era più semplice comunicare con loro attraverso il sesso, con Romoletto, per esempio, andavamo d’amore d’accordo. Il suo raglio mi giunse in maniera indiretta, attraverso mia madre che mi chiese se mi andava di passare un paio d’ore del pomeriggio al forno, per aiutare a riempire le ceste dell’infornata serale di pane. “Si tratta di un paio d’ore, ci farebbero comodo quei soldi” La domanda era retorica perché quando si parlava di soldi, a mia madre non si poteva rispondere di No.  “A pisellotto mio, vie’ qua e fatte abraccià” Mi presentai alla bottega pieno di vergogna e non saprei dire se era per la verità svelata quel ferragosto da Primo o per le altre vicende inerenti a Mary Poppins Porno. Mi sentii solo avvampare le guance appena attraversai la soglia della bottega e rimasi paralizzato ad aspettare che Romoletto finisse di servire delle clienti. Invece, lui si scusò per l’inderogabile impellenza che ebbe di venire ad accogliermi con un forte abbraccio.

“Stai bene, a bello de papà?” Il suo affetto tracimava in qualcosa di ancora più imbarazzante. “Sei sparito, sei … m’hai fatto pia’ ‘no spavento, mai fatto ... e parla, dimme qualcosa” Facevo fatica a respirare, figurarsi se riuscivo a modulare una semplice parola. “Signore, vi presento il mio nuovo garzone” Mi presentò alle clienti come il nuovo commesso della sera. “Trattamelo bene perché già v’ho capito che ve lo state a magna’ co’ l’occhi” Ma io non avrei dovuto solo incestare il pane da mandare ai super mercati? “A quello non ce dovemo pensa’ mica noi” A casa del Sor Peppone era successa una rivoluzione. “Ma che il gatto te s’è magnato la lingua?” Romoletto mi trovava profondamente cambiato. “Noi semo amici, No?” Ammesso che fossi capace di sillabare quanto mi stesse accadendo, lui era comunque un adulto e quindi non poteva capire. “Sputa quello che c’hai nel gozzo e vedi che te sentirai meglio” Per ora mi bastava il suo affetto, soprattutto, mi piaceva che mi dicesse “bello de papà” davanti alle clienti …

“Avanti, sedemoce qua e magnamoce sta mortazza” Vegetarismo a parte, focaccia appena sfornata e mortadella a merenda era semplicemente irresistibile! “Tiè, ce mettemo pure ‘n bel bicchierozzo de vino” Disse che quello serviva a sciogliere la lingua. “Hai capito! Così er Sor Peppone c’ha lasciati co’ ‘na mano davanti e una di dietro” Boh, non lo so se poi la partenza del Sor Peppone fu veramente così repentina. “L’ho diceva sempre, ma non lo faceva mai” Invece, quella volta lo fece. Si era ritirato sui Colli Albani con Cesira e Mariano cioè quello che restava della storia oscura di quel forno. “Ce semo spartito tutto, patti chiari amicizia lunga, come se dice?” S’instaura un’intimità speciale dopo aver messo le mani nelle mutande di qualcuno, “Cioè, tu me capisci, No?” C’era molta amarezza nella sua voce. “E’ tutta colpa de Simone” Insomma, Romoletto era il fratello gemello alfa ed era abituato a gestire il fratellino mentre a Simone non aveva mai nascosto il suo risentimento. “Ma lui che centra, ma che vole?” Era evidente che fra Remo e Simone ci fosse un rapporto di fratellanza tipo bromance. “Che c’avrà da mette sempre becco” Se Simone fosse stato la cognata, Romoletto gli avrebbe riconosciuto un ruolo nella spartizione del forno, ma così quel sentimento non era conforme alle regole sociali condivise.

“Ce s’è messa pure quella zozza de Patrizia ” E no, le cose non erano andate come si aspettava Mary Poppins Porno. “Quelli so’ proprio du’ maiali” L’ amicizia ritrovata tra Patrizia e Silvana con suo fratello Dino aveva finito per escludere definitivamente Romoletto dalla vita della moglie. “Pure mi’ figli s’è portata” In realtà non si erano separati, solo che Pat aveva deciso di prolungare le ferie trasferendosi a casa di Silvana, ma giusto fino a quando Juri e Nikita avrebbero ripreso la scuola. “E’ ‘na zozza e poi tu lo sai, dopo che ha combinato pure co’ te che sei ‘n ragazzino” Beh, pure lui non è che si fosse proprio astenuto. “Ma che c’entra, so cose tra maschi” In sostanza, Patrizia aveva deciso di tornare a vivere al tempo delle comuni degli anni settanta, e non ci pensava proprio di sobbarcarsi l’onere delle mansioni che erano state di Cesira. “Manco del figlio glie importa!” Intendeva Dimitri, ma dopo la vacanza in Versilia con lo zio e Simone, lui aveva deciso di passare dalla loro parte, cioè lavorare di notte nel forno … lasciando da solo il padre in bottega.

“Amore, stai bene? Porello, mamma tua m’ha spiegato… è tutta colpa del patriarcato!” Il lavoro al forno durò giusto il tempo che Patrizia tornasse per l’inizio dell’anno scolastico. “Ti odio” E con Patty arrivò anche quella spina al culo di Juri. “Chiama Silvana e Dino che te devono parla’ de quella faccenda della musica” Quella faccenda riguardava la loro radio indipendente e io desideravo troppo andarci a lavorare! “Juri, ma che stai a scherzà?” Juri era geloso del fatto che i suoi mi trattassero con un affetto esagerato e lo potevo capire. “Che c’è, te sei stufato de sta co’ noi?” Era giusto che Juri servisse il pane alle clienti, come prima di lui aveva fatto Dimitri e forse Romoletto stesso ai tempi suoi. “Juri non è sveglio come te” L’idea non piacque neanche a Patrizia. “E’ ancora regazzino” Aho, in fin dei conti, Juri aveva la mia stessa età. “Quello c’ha le pigne ‘n testa” Magari se il padre lo avesse un po’ aiutato ad accrescere la sua autostima. “Juri è ‘n artista” Forse Patty voleva aiutare il figlio con quella sua considerazione, ma fece solo scurire in volto il marito che taglio corto. “A Mimmo, l’ho capito che lo voi aiutà e c’hai pure ragione …” Beh, dovetti scendere a compromessi. Sarei andato in bottega fino a quando Juri non avrebbe imparato il mestiere …

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Perversione (Pervertere) --> Processo psichico ritenuto di tendenza istintiva (precognitiva). Espressione usata in passato per indicare sindromi psicopatiche caratterizzate da deviazioni del comportamento sessuale normale, cioè rispondente alle norme morali riconosciute e condivise.

La perversione sessuale è oggi ritenuta morbosa quando trova soddisfacimento con pratiche erotiche diverse dal coito come l’esibizionismo o la scopofilia; oppure quando l’istinto sessuale è diretto verso un oggetto inanimato (feticismo). 

La patologia psicotica oggi s’individua nella contravvenzione della legge biologica come ad esempio la zoofilia o necrofilia; oppure, quando il desiderio sessuale assume aspetti amorali cioè rivolto verso modelli sociali inviolabili come nel caso dell’incesto. E’ invece patologia psicotica nel caso riguardi un istinto sessuale diacronico verso i più giovani (pedofilia) mentre si declassa in morbosità quello rivolto verso gli anziani (gerontofilia).

La perversione della libido attiene quegli ambiti di un piacere non conforme alla sensualità di un coito sessuale come nel bondage o in pratiche sadomasochistiche. Più in generale, la perversione della libido è oggi ritenuta una pratica moralmente accettabile, fin quando non si voglia ottenere un riconoscimento sociale di essa.

In quanto la deviazione è relativa ai costumi sociali, è il tempo e il luogo a definirla. Il divertimento (divertere) e la perversione (pervertere) sono delle variabili interpretative aventi lo stesso oggetto -->  Il coito. Ciò che è divertimento oggi, era pervertimento ieri o viceversa, come ciò che è pervertimento qui, potrebbe essere divertimento da un’altra parte. La perversione è dunque una psicopatia sociale più che una patologia dell’individuo.

L’ ordine naturale (ordine biologico) è spesso al centro dell’odio che precede un conflitto che sia esso civile o internazionale. Si indica la perversione dell’altro come l’elemento pernicioso che attenta l’ordine morale condiviso e riconosciuto. Tale ordine si deve interpretare come cardine su cui ruota la philia aggregante della società, questo perché il coito sessuale coinvolge direttamente la riproduzione e la crescita dei bambini. Questione determinante al fine di controllare il futuro ordine della società.

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E’ opinione comune che la vita di un individuo gira intorno ai bisogni dei suoi genitali. Era per questo che le persone con cui mi ero calato le mutande, ritenevano che non fossi più un ragazzino --> Oramai io condividevo la loro dipendenza dal sesso. Mia madre stessa soleva zittirmi con “un giorno capirai”; beh, quel giorno giunse quando mi sorprese a letto con Lidia. Lo stesso stava accadendo con la storia delle chiavi di Fefè. NCC mi voleva corrompere attraverso un coinvolgimento sessuale. In fondo era una tecnica che funzionava con tutti e questo era innegabile. Quei ragazzini che si presentavano puntualmente in casa di Fefè non lo facevano per il denaro, almeno non solo per quello. La fame sessuale si ripresentava puntuale e NCC poteva soddisfarla. Era una vera e propria dipendenza e anche quella del sesso richiedeva dosi sempre più massicce.

“Sta attento che da sto giro non se esce più” Questo mi disse Dante, un giorno che lo incontrai al baretto sotto casa di Fefè mentre ero insieme a Lilith e all’Echidna. “Te senti tanto forte, ma non è così” Forse non era un incontro casuale … chissà quante volte era venuto ad aspettarmi. “Fattelo di’ da uno che c’è passato” Era dunque stato anche lui uno dei ragazzini di vita di Fefè? “Erano altri tempi, ma quelli de adesso so’ pure peggio!” Io non facevo marchette e forse glielo dissi in un modo che risultò offensivo, ma era colpa del Tavor con cui mia madre aveva ripreso a curarmi. “E certo, ce credemo tutti meglio dell’altri …” Dopo averci scopato, ogni cosa che gli dicevo sembrava ferirlo e odiavo sentirmi in colpa per non riuscire a contraccambiare il suo amore. “Me lo fai almeno sto favore?” Mi dette un foglietto su cui c’era scritto il numero di telefono di una stazione di servizio che era gestita da una certa Gina. Se avevo bisogno di qualsiasi cosa, anche solo di parlare, avrei dovuto lasciargli un messaggio e lui sarebbe arrivato. “Este é o gesto de uma pessoa que está muito apaixonada por você” L’Echidna poteva anche farsi un pacco di cazzi suoi …

Quel giorno era stato il destino a farmi incontrare Dante perché io non mettevo volentieri piede in quel baretto. Ci andava Lidia al posto mio che poi m’informava se dovevo andare ad aprire la casa di Fefè. Mi facevo trovare già dentro perché passavo dal roof garden del Mykonos. Pochissime persone conoscevano la via delle terrazze che, di palazzo in palazzo, conduceva al piano dei desideri proibiti di Fefè, cioè i locali degli ex lavatoi condominiali. Mi piaceva esibire quella piccola magia perché era un modo di far intendere che ero a conoscenza di segreti interdetti ai più. Giacomo neanche conosceva la via del roof garden del Mykonos e si vide che lo disturbò <-- Fefè si fidava di me e non di lui. “Tu saresti l’angelo con le corna, o sbaglio?” Cherubino. Che ignorante! “Io non credo alle stronzate di Fefè” Detestavo la sua aria di superiorità. “Ti dò un consiglio” Grazie, anche No. “Non ti far lasciare incantare dalle sue chiacchiere” Perché non raccattava le sue cose e se ne andava ‘affanculo? “All’inizio sembra tutto bello …” C’è qualcosa di meno opportuno dei consigli non richiesti?

“Fefè non ti ha spiegato tutto” Giacomo mi doveva un favore per avergli permesso di entrare a riprendersi le sue cose. “A quel maiale gli piace sguazzare nella merda” Forse è per questo che quel giorno si sentiva in dovere d’istruirmi al mestiere. “Vieni, ti faccio vedere” Dalla portafinestra del piano dei desideri si accedeva ad un’angusta scala a chiocciola di ghisa, la stessa da cui salivo quando passavo dal roof garden del Mykons. “Queste sono le docce” Le scalette conducevano a un piccolo terrazzino di servizio, in fondo al quale c’era una porta di ferro ed era qui che si celavano le latrine. “Non c’è acqua calda” Quelle latrine erano a dir poco squallide. Le docce erano costituite da un tubo che attraversava un lato della stanzetta con due soffioni attaccati. “Usa il caucciù perché lo sciacquone non funziona” Sull’altro lato c’erano due latrine alla turca, due buchi con accanto un tubo di gomma attaccato a un rubinetto. “Ci devi buttare tanta candeggina” Faceva specie che Fefè non avesse speso un soldo per rimettere in sesto quell’elemento essenziale alla sua attività commerciale.

“Questi sono i butt plug” Accanto alla porta c’era un armadietto di quelli da cantiere che conteneva tutto il neccessaire del marchettone. “Lo sai almeno a cosa servono?” Era la prima volta che li vedevo e dalla forma non era neanche così intuitivo capire che funzione avessero. “Vanno inseriti nell’ano per prepararti a un rapporto sessuale” Giacomo si divertiva a farmi sentire un pivellino. “Questa roba è invece lucido da scarpe” Sì, erano delle scatoline tonde di metallo proprio come quelle del lucido da scarpe --> Che servissero a lucidare quei suppostoni di gomma? “E’ vasellina, scemo!” Per quanto ne sapevo, la vasellina poteva anche essere un tipo di lucido da scarpa. “E’ vero, questa mondezza si mette pure sulle tomaie” In quella latrina conobbi l’altro volto di Fefè. “Quello spilorcio la compra in ferramenta” Giacomo mi spiegò che era diverso quando c’era NCC, lui comprava roba di prima qualità. “Questa almeno lo sai cos’è” Un piccolo clistere? “Quasi, è la peretta che le donne usano per il lavaggio vaginale, noi la usiamo dopo un rapporto sessuale” I ragazzi erano restii a usarla, ma Giacomo disse che dovevo insistere per evitare qualche malattia.

“Questo è il clistere” NCC gli comprava delle perette di glicerina sterili monouso, invece con Fefè neanche l’acqua calda. “Fefè è un mangia merda” Non era una metafora denigratoria e non mi stupiva la coprofilia di Fefè. Una delle sue porcate era comprare il nostro sperma e l’urina, che conservava in frigorifero con recipienti corredati di etichette per non dimenticare di chi era. “Le meringhe non sono malvagie” Disse Giacomo facendomi l’occhiolino, ma non compresi subito cosa volesse intendere. “Le meringhe allo sperma sono una sua specialità” Usava lo sperma e l’urina come ingredienti per i suoi noti dolcetti! “No, quelli non si mangiano” Poi mi spiegò che gli stampini scambiati da me per sorbetti, in realtà erano supposte di sperma. “L’hai assaggiata la sua sacher torte?” Tutti avevano assaggiato la sacher torte di Fefè. “Allora non ti schifare troppo” Che la facesse sul serio con la merda! “Fefè è un pervertito, chiaro?” Lo stava dicendo solo per convincermi delle sue buone ragioni … almeno credo.

“Bisogna pulire ogni volta” Il piano dei desideri esprimeva a pieno la personalità di Fefè --> Kitsch elevato all’ennesima potenza. C’erano specchi ovunque e drappeggi alle pareti, luci da night club con triclini dorati che contornavano un palchetto centrale. “La vuoi vedere una magia?” Giacomo concluse la frase con un gesto plateale per far scorrere lo sportello che celava una cabina armadio. “Controlla sempre che non manchi niente, questa roba costa un occhio della testa!” Sembrava il camerino di un teatro, un camerino molto ben fornito. “Qui puoi trasformarti in quello che vuoi” Non c’erano finestre e tutti quei vestiti appesi alle pareti rendevano l’aria soffocante. “Aspetta … lo vuoi provare questo?” Toghe romane, abiti settecenteschi e quante parrucche! “Ci sono anche le ali!” Forse Giacomo non intendeva prendermi in giro, quando mi tirò giù dalla gruccia una calzamaglia assurdamente luccicante. “Possiamo prendere le corna dal costume da diavoletto” Il cherubino cornuto non era un angelo ma Lucifero e No che non le volevo le corna da diavoletto. “Che problema c’è? Era solo per divertirci!” In quel periodo mi pesava pure cambiarmi le mutande ogni mattina, figurarsi se trovavo divertente addobbarmi come un albero di Natale.

“Lo sai qual è il tuo problema?” Potevamo solo finire quel giro turistico del Luna Park? “Sei bisessuale” Perché lo stavo ancora a sentire? “Quando ti deciderai a saltare il fosso?” A quel punto mi mostrò il magazzino. “Qui puoi trovare qualsiasi cosa ti serva per capirlo, ma è un segreto” Secondo Giacomo, tutto lì dentro era un segreto. “Qui ci devi entrare solo tu” E perché ci sarei dovuto entrare? “Prendi solo la roba che ti serve e poi richiudi a chiave” Lì dentro c’era dal corredo fetish all’armamentario più classico, tipo una serie di dildo da quello piccolo quanto un pollice a quello fatto a foggia di pene di cavallo. “La chiave la rimetti sopra lo stipite” Non gli passava per la testa che se Fefè non mi aveva detto niente al riguardo, forse non avrei dovuto saperlo? “Fefè è cambiato” Sì, era la stessa cosa di cui si era lamentato anche NCC. Da quando era uscito da galera, Fefè pensava solo al momento in cui ritirarsi a fare la bella vita spensierata. “E’ solo un egoista” Questo lo pensavano quelli che vivevano dell’attività di Fefè. “Rimarrà solo come una cagna rognosa” Forse era proprio questo che temeva ed era il motivo per cui aveva mollato tutto per andare in luna di miele con Strappamutande.

“Sei pronto per la sala del trono?” Quanti convenevoli per quelle che fino allora erano solo state delle stanze con l’aria viziata. “Accendo l’aspiratore” Giacomo aveva ragione riguardo alla puzza di merda. “Apri la finestra, sbrigati” A trovarla la finestra, stava nascosta dietro dei pesanti drappeggi di velluto rosso. “Che disastro!” La luce del giorno bagnò l’oscurità di quel luogo, concretando ogni traccia lasciata dalle bave oscure dei desideri notturni. “Questo è il prezioso Trono del Fauno” Non tutto ciò che è antico, è altrettanto prezioso. “Lo portarono a Roma i Francesi” Ah, allora … “Devi sempre sminuire tutto?” Quell’enorme seggiolone di legno pareva una macchina da tortura medievale con tanto di legacci sui braccioli e cavigliere di metallo sulle zampe anteriori. “Si fa dondolare così” Le quattro zampe avevano lo zoccolo biforcuto poggiato su due lunghe toghe curve che lo facevano dondolare. “Da qui esce il tirso di Dioniso” L’oscillazione azionava una leva che mandava su e giù una radica di legno levigato a foggia di grosso pene. “E’ un rito iniziatico di magia nera” Il coglione di turno si sedeva su quel coso e il cazzo di Satana usciva dal buco sotto il sedile … patetico.

“Hai ragione” Giacomo che mi dava ragione! “E’ uno stupro rituale” Consenziente? “Se ci credi, sei consenziente” L’intelligenza di Giacomo m’infastidiva parecchio. “Le donne si sono fatte stuprare per secoli accettando il talamo nuziale” Forse stava esagerando. “Venivano date in spose da uomini ad altri uomini che dopo averle sverginate, le lasciavano ammuffire in casa” C’era comunque una certa differenza dal sedersi su una sedia a dondolo con un cuneo nel culo. “Hai ragione, è questo il peggior modo di perdere la verginità” Perché m’infastidiva quando mi dava ragione? “Lo chiamano il sacrificio degli innocenti” Beh, non doveva poi far così male, se poi gli innocenti continuavano per conto loro a prenderlo in culo con sommo gaudio. “Lo sai che sei proprio stronzo?” Sì, preferivo quando mi dava dello stronzo. “Guarda” Spinse all’indietro il trono affinché il tirso di Dioniso uscisse dal basso e poi, pestò ulteriormente l’asse curvo su cui si dondolava il seggiolone per fargli fare un ulteriore scatto. “Visto?” C’era un meccanismo a molla che spingeva in alto la punta del fallo. “Sai cos’è un orgasmo anale?” Se riguardava quella specie di coltellino svizzero piantato nel culo, non lo volevo sapere.

“Il fallo così raggiunge lo sfintere anale interno … ” Ma come ci godeva a dare sfoggio della sua cultura frociarola! “ … i muscoli lisci reagiscono di riflesso” A quello serviva il meccanismo a molla? “Venti centimetri sono la misura giusta” Ecco da dove arriva la fantomatica misura ideale di un fallo. “Lo stimolo provoca l’idratazione fecale” L’orgasmo anale? “Insieme a uno spasmo che provoca qualche inconveniente” Ti caghi addosso ed era forse quello il motivo della puzza di merda nauseante? “I clienti sono restii a farsi il clistere, guarda qua!” OH, innomineiddio! La puzza veniva da un cumolo di stracci malamente nascosti dietro ai drappeggi delle finestre … o forse erano parte dei drappeggi stessi usati per pulire lo schifo?  “Imparerai che i maschi non amano ripulire” Disse Giacomo, divertito dai conati di vomito che trattenevo a stento. “Ci farai l’abitudine” Col cazzo che volevo abituarmi a quell’abominio! “Il culo però ti piace” Era mai possibile che dovevano montare tutta quella messa in scena per affrancarsi dalla colpa di essere nati con una figa tra le chiappe?

“Prostituzione e sodomia sono i peccati più vecchi del mondo” Era strano sentirlo dire da un escort gay. “Tutti vanno a puttane e a tutti piace prenderlo in culo, perché solo noi ce ne dovremmo vergognare?” A Giacomo piaceva quel posto e c’era una certa famigliarità nei gesti mentre rassettava in giro. “Sono proprio i preti che pagano per il sacrificio degli innocenti” Lele mi aveva raccontato tutto, anche delle messe nere. “Sono felice di andarmene da questo schifo” Non pareva dal tono sconsolato della sua voce. “Tanto Fefè non conta più un cazzo” Ora era NCC che ti metteva nel giro giusto --> La grande bellezza. “Tutte queste cazzate sono il passato” Il Diavolo aveva cambiato casa? “I party, weekend a Ibiza, Cortina, capisci?” Sì --> Lusso e Lussuria. La perdizione nella mondanità era un tipo di stupro ritualizzato più affascinante che quel seggiolone dalla testa caprina. “Aldo ci sa fare” Era sempre meglio vendersi che sacrificarsi gratis. “Tutti hanno iniziato così, prendi me che ora ballo al Blue Angel” Sì, in perizoma e con un paio di ali glitterate. “Ma che ne vuoi sapere tu, io sono stato un boys di Raffaella Carrà!” <-- Grandissima carriera!

“Ti piaccio, vero?” Si era tirato su la maglietta per farmi vedere il movimento del bacino per un passo che faceva sul cubo della discoteca. “Puoi toccare, non mordo mica” Ci dovevano scrivere sopra -->chi tocca muore <-- a quegli addominali scolpiti … ma anche straordinariamente morbidi al tatto! “Se solo tu fossi più carino con me” Oh santissimo hare Krishna, hare … hare … (!) Si era avvicinato troppo e sentivo il calore della sua carne … e quelle tette da maschio che si erano posate sul mio petto poi … che strano, perché sentivo i tamburelli degli hare Krishna negli orecchi? “Si capisce che lo fai controvoglia” In che senso? “Se vuoi … puoi darle a me” Se continuava a sussurrarmi le parole nell’orecchio, non ci capivo più niente. “Non ti preoccupare di Fefè, so come prenderlo” Ah, ecco il motivo di tutte quelle moine da puttana --> Mi voleva sfilare le chiavi di casa. “Lo sai che c’è?” Gliele avrei cedute anche volentieri, ma Fefè mi aveva dato una salvata quella notte che gli piombai in casa con mio padre ferito. “E’ meglio così” Giacomo si era tirato giù la maglietta e forse il mio rifiuto lo aveva imbarazzato. “Meglio darci un taglio e ricominciare, giusto?” E che cazzo ne sapevo io di come sarebbero andate le cose?

Giacomo mi aveva fatto fare il giro del Luna Park con l’intento di sedurmi, anche lui come aveva già fatto Lidia e mia madre stessa con la sua fissa dell’amore che mi avrebbe fatto vedere il mondo in modo diverso, tutti si aspettavano che diventassi dipendente dal sesso <-- Non mi capivano perché non prendevo decisioni secondo i loro stessi bisogni --> Vaffanculo. Io non sapevo cosa andavo cercando, ma comunque potevo capire cosa non volevo e non avevo nessuna voglia di finire come Evelina a fare a sguattera di una matrona; però conoscevo qualcuno cui sarebbe andato bene --> Lele. Lui era definitivamente scappato da casa e viveva da squatter in un appartamento a Trastevere, non ricordo esattamente la via, ma stava dalle parti di Porta Settimiana. Ci misi un po’ di tempo per trovare quel postaccio e nel frattempo feci quello che andava fatto, ma per fortuna Lele accettò la mia proposta senza batter ciglio. Era ridotto male e non era escluso che si facesse di droghe pesanti, così le chiavi continuai a tenermele in tasca, ma la merda la puliva lui. La vita di Lele aveva intrapreso una spirale pericolosamente discendente e come mi aveva insegnato la Zia Pina --> E’ doveroso occuparsi dei più sfortunati, ma è imprudente affidarsi alle cattive maniere che li hanno precipitati così in basso. 

Edited by Silverselfer
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  • 8 months later...
Silverselfer
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Guida alla lettura

In principio, questo voleva essere un romanzo autobiografico, a sua volta scaturito da un racconto breve riguardo al romantico suicidio di un uomo che si accorge di vivere in un sogno fatto da altri. Il racconto si titolava appunto “Apologia di un momento” e mi fornì la consapevolezza di un rammarico che sentivo annidarsi dentro di me. Fu proprio l’analisi di questa inquietudine interiore che mi condusse nel gay-forum, dove sperimentai l’ipotesi di un’omosessualità irrisolta. Riscrissi dunque “Apologia di un momento” focalizzandolo sulle problematiche di un’omosessualità latente e in particolare su un evento traumatico vissuto durante l’adolescenza, ne venne un racconto lungo molto coinvolgente, ma incompleto ...

Insieme alla fine di una bella storia d’amore vissuta con un ragazzo, costatai di non potermi definire all’interno di un orientamento sessuale. Ricominciai quindi a scrivere “Apologia di un momento” con l’intento d’indagare il passato per risolvere l’enigma del mio presente. L’analisi si è spinta in ogni direzione e investigando ogni dubbio, mi sono sempre più allontanato dai ricordi oggettivi perché resi volubili dallo scopo con cui si ricompongono >Il movimento entropico causa la percezione del presente come una freccia temporale che si muove in avanti da causa a effetto. La rilettura in analessi cerca d’invertire questo processo attraverso un movimento a ritroso degli effetti, la cui causa diventa però il punto di vista del presente.

Seguendo un percorso storico, cioè una freccia temporale che passa attraverso degli eventi condivisi, si rende una cornice capace d’influenzare ma non determinare il presente individuale. Esempio: Possiamo descrivere il tempo condiviso degli eventi astronomici, ma i giorni sul pianeta terra saranno caratterizzati da una propria entropia; così come i giorni di ogni individuo sul pianeta terra si muoveranno secondo una propria entropia. L’entropia del singolo è misurabile con il sistema primordiale dei vuoti e dei pieni, esattamente come funziona un orologio ad acqua, il cui bilancino si riempie e si svuota determinando l’avanzamento delle lancette. Per quanto si sincronizzino il tempo di un riempimento e svuotamento con il tempo condiviso, la rapidità di come affluisce l’acqua/eventi lo accelera o rallenta.

La mia teoria dei coriandoli è volta a non selezionare eventi e personaggi in un ordine determinato dall’effetto che essi hanno prodotto sul presente, cioè la causa con cui ci si proietta nel passato. Nell’economia letteraria, questo si concreta con l’abbandono di una linea narrativa, dando spazio all’intreccio caotico di ogni genere di logica aleatoria. Di conseguenza si assiste a una dilatazione del tempo del racconto a scapito di quello della storia. Esempio > Cappuccetto rosso va dalla nonna < Il tempo della storia si attiene a questa linea narrativa di causa ed effetto mentre ogni altro evento dilaterà il tempo del racconto. Siccome forma e sostanza sono relativi, cambiando la sostanza anche la forma letteraria diventerà quella del racconto e non più del romanzo strutturato su un’unica linea narrativa.

Al fine di mantenere dei riferimenti generali che aiutino a inquadrare i racconti in un ordine temporale definito, ho cercato di far cadere i miei coriandoli all’interno di una cornice storica, ma queste vicende non formano un’eco che le riconducano in un alveo generazionale, come per esempio accade nel romanzo autobiografico di Christiane F., dove il quadro degli avvenimenti era di per sé testimone di una cornice storica > “Lo Zoo di Berlino”. La verità è che questo pulviscolo di racconti diventa anche molto difficile da collocare cronologicamente nella vita del protagonista. Acquistano volume quando si rendono al foglio bianco e fatterelli durati quanto una scintilla, si dilatano insieme alle emozioni che generano nel ricordo di se stessi, tornando a far scorrere le lancette del mio orologio ad acqua. Ergo > Questo non è più un romanzo autobiografico, ma l’esperienza di un presente che acquisisce nuova consapevolezza.

L’abbandono di ogni fabula e intreccio, mi porta a recuperare l’enorme massa di appunti che naviga sommersa sotto la punta dell’iceberg costituita dai capitoli già editati. Siccome rimetto mano a questo progetto da circa un decennio, molti di questi appunti risalgono a diversi tipi di consapevolezza dell’autore, quindi dovrò necessariamente resettarli. Tuttavia, voglio rispettare l’integrità degli scritti, anche a costo di produrre incongruenze nella storia. L’altro problema degli appunti è l’arco temporale che vanno a recuperare, francamente ancora non ho idea della logica che userò per ricollocarli in modo plausibile nella storia. Per ora la cronologia sarà data semplicemente dal periodo che gli scritti vanno descrivendo. Per il resto, conto di affidarmi a dei dettagli generali come l’anno scolastico in cui vive il protagonista o altri riferimenti di carattere storico. Al fine di non generare deragliamenti su linee narrative alternative, cercherò di limitare il più possibile ogni intervento di struttura letteraria generale ... non so neanche io come andrà a finire!

Un momento che dura per sempre … lo desideriamo ogni volta che c’imbattiamo in un evento felice … agogniamo dunque l’incantesimo capace di non far passare mai quella gioia … ma l’incanto di un attimo che non trascorra mai nell’alveo del tempo somiglia alla morte … rinunciare per sempre agli eventi futuri, significa morire … sarebbe un bel paradosso se lo spavento più grande di un vivente è proprio il desiderio più grande di un vivente > la morte. (Da “Appunti di un adolescente”)

 

***

Romantici Sognatori

 

Faccio un passo indietro per raccontare Edo … ne ho parlato spesso, ma non ne ho mai parlato molto. E’ difficile ricordarmi di lui perché un senso di colpa irrisolto non permette ai pensieri di concretarsi in sillabe. Non so se fossimo veramente amici, però ci siamo frequentati abbastanza. Diceva di amarmi … io credo che fosse innamorato della figura tragica dell’artista. Condividevamo il piacere della lettura, ma era anche vero che avevamo due approcci completamente diversi a essa. Edo voleva vivere in un romanzo e credeva nelle storie raccontate nei libri, faceva lo stesso per una serie televisiva o magari un cartone animato. Forse sbagliai a dargli spago e mi lasciai coinvolgere anche nella sua passione per gli album delle figurine o le action figure. Io non capivo come potesse diventarci matto … ma questo gli serviva semplicemente a portare nel mondo reale quei personaggi fantastici.

Ogni volta che Edo s’innamorava di un personaggio, cercava d’interpretarlo e spesso i suoi eroi erano gli autori stessi dei libri. Si convinceva di essere come loro al punto d’inventarsi delle situazioni o rielaborare il suo passato affinché spiegasse quei suoi repentini cambiamenti. Era opinione comune che fosse un racconta balle e magari c’erano veramente gli indizi per crederlo un bugiardo patologico, ma il suo unico intento era romanzare la vita. Con Lidia si divertivano a scrivere dei componimenti per poi leggerli l’uno all’altra, tipo Piccole Donne. Il giorno che lessi il mio racconto, lui s’innamorò di me e forse anche Lidia … perché quei due si somigliavano … magari sarà stato per motivi diversi, ma ci somigliavamo tutti e tre > Eravamo dei romantici sognatori delusi dalla vita.

Edo condizionò moltissimo la mia realtà di quegli anni! In fondo, fu lui a introdurmi nel mondo che gravitava intorno a Campo de’Fiori. Sì, è stato un grave difetto renderlo marginale nell’economia di questo romanzo. Se iniziai a scrivere fu merito suo perché leggeva avidamente ogni mia stronzata manco fosse merda d’autore. Ho molte colpe nei suoi riguardi, non ultima quella di avergli tolto il saluto perché scoprii che era lui a far leggere le pagine del mio romanzo porno a Marcello. Edo era innamorato dell’idea dell’amore maledetto, quello che ti danna e ti consuma ed era il sentimento che Marcello provava per me. Fu, invece, Lidia a proporre Edo per sostituirmi nell’impegno preso con Fefè e almeno in questo, posso non sentirmi in colpa.

Edo era in perenne conflitto con suo padre che, per il vero, era comprensibilmente preoccupato per la piega malsana presa dal suo secondogenito. Certo che reagiva nel modo sbagliato perché picchiarlo finiva per esacerbare la sua propensione al melodramma. Suo padre non lo cacciò mai via di casa, come andava sempre raccontando lui. Se ne andava per ogni piccolo scorno adducendo proprio la cinghia lesta del padre. Quando Lidia ed Io andammo a proporgli di occuparsi degli affari di Fefè, era scomparso da casa da diversi giorni e sua madre c’implorò di farlo rinsavire. Veroca sapeva dove avremmo potuto trovarlo e non era neanche lontano. Edo per procurarsi i soldi si prostituiva sotto Ponte Sisto, che era un noto punto di ritrovo per quel genere di affari. Ci si trovavano i tossici di eroina che per svoltare una dose, mettevano all’incanto quel che gli rimaneva del corpo.

Lidia sapeva meglio di me cosa avremmo visto e fu categorica nel dirmi che manco morta mi avrebbe accompagnato in quel postaccio. Veroca, invece, nonostante fosse impegnata, mi fissò un appuntamento su Ponte Sisto. Era buio fatto e forzai ogni passo mentre scendevo la scalinata che conduceva sull’argine del Tevere, mi sembrava di stare calando in un purgatorio. Veroca era vestita da lavoro, quindi tacchi altissimi e latex, pensai che camminarle accanto in quel luogo era come passeggiare sotto un parafulmini durante il temporale. Tuttavia, la sera in cui ci andai non c’era molta gente, ma forse ero io che non sapevo ben guardare perché fummo adescati diverse volte. Veroca era fin troppo disinvolta nelle risposte da dare a quei tipi, che avrebbero avuto anche un aspetto rassicurante, se non fossero spuntati fuori dall’ombra degli imponenti argini del fiume. Camminammo parecchio, superammo Ponte Garibaldi e arrivammo fin sotto Ponte Fabricio, dove ricordo il cielo distante come se lo stessi guardando dal fondo di un pozzo, con i rami degli alberi  che vi si protendevano come delle braccia di dannati a chiedere misericordia … e poi lo scroscio delle rapide del fiume mi atterriva al punto da togliermi il respiro.

In poche parole, io non ci capii niente di quanto accadde lì sotto e neanche potrei raccontarlo. “Querido, vamos sair daqui” Fui solo felice di ascoltare Veroca esortarmi a salir a riveder le stelle. “Eu tenho um cliente esperando por mim com as cazzu drito” Come potevo chiederle di più, dopo che aveva lasciato il suo cliente ad aspettarla per venirmi ad aiutare? Le avevano riferito che Edo si era allontanato, ma che lo potevamo trovare alla Casa del Popolo in Trastevere; cioè dall’altra parte del fiume. Era oramai quasi mezzanotte, piovigginava anche e avevo stressato già troppo il mio fragile sistema nervoso. Decisi dunque di andarlo a cercare l’indomani, magari con Lidia … ma, No; glielo chiesi a scuola perché era ancora in classe con me, però non ne volle sapere, disse che quel posto la faceva vomitare e sbagliai a pensare che la sua fosse solo una metafora. Non riuscii neanche ad andarci nel pomeriggio perché avevo il corso di Educazione Alimentare e ne avevo bisogno per i crediti presso la giudice che seguiva il tribolato divorzio dei miei genitori … quindi ci si mise pure Evelina, a cui mia madre non aveva pagato il settimanale ed eravamo già al martedì della settimana successiva.

Riuscii a liberarmi che oramai si era di nuovo all’imbrunire e provai anche a fermarmi qualche tempo a Campo De’Fiori, nella speranza che Edo passasse da quelle parti, ma niente, questo servì solo a far calare definitivamente la sera. Il destino voleva che mi recassi alla Casa del Popolo e non potevo sottrarmi … solo che quel posto non si chiamava così, in realtà non aveva neanche un nome. Lidia mi aveva solo dato l’indicazione di Porta Settimiana ed era veramente poco e stavo per mollare, quando incrociai due zecche con i loro cani al guinzaglio e li associai alla dicitura “Casa del Popolo” e sì, loro sapevano di che stavo parlando e del resto ci stavano proprio uscendo in quel momento. Un colpo di fortuna? Bah, forse sarebbe stato meglio non trovare quel posto …

Squatter, di questo si trattava … non saprei se definirla “palazzina” perché a Trastevere gli edifici sono tutti attaccati e si sviluppano intersecandosi in maniera caotica. Insomma, questo posto era un grumo di … appartamenti? Difficile a dirsi. Quelle che forse in un tempo remoto erano state delle abitazioni per il popolino che viveva in Trastevere nel medioevo, si erano perse tra le scartoffie del catasto comunale, degradando in alloggi di nessuno, occupati poi da una varia umanità di difficile identificazione. Ci si accedeva da un portoncino verde dal legno marcio e con un buco al posto della serratura. Spingendo l’anta, si apriva giusto lo spazio per infilarsi di sghimbescio perché il pavimento del minuscolo ingresso era ricoperto di cartacce e quant’altro. Puzzava talmente di muffa e piscio che le vie respiratorie si rifiutavano d’inalare l’aria nefasta. Trattenni il respiro e imboccai la ripidissima scala che s’inerpicava subito a sinistra del portoncino. Meno male che dopo la prima rampa iniziavano a esserci i pianerottoli che avevano una parete aperta.

Da ogni pianerottolo si poteva proseguire nella scalata oppure c’era una via buia che si snodava in un labirinto dove non mi volevo inoltrare. Invece, giunto al sottotetto, c’era un ballatoio e sporgendomi, vidi che quei labirinti, per il vero finivano su dei balconcini che proseguivano in qualcosa che poteva ricordare dei loggiati, su cui si aprivano porte e finestre. Ridiscesi, dunque, e m’infilai in quel dedalo maleodorante. Per fortuna, trovai al primo tentativo Edo perché stava seduto sull’uscio a leggere. Non mi fece entrare e di questo gli fui grato, però non accettò subito la mia offerta di lavoro perché sapeva di essere uscito dalle grazie di Fefè. Lo rassicurai dicendogli che lui non avrebbe mai saputo niente e anche se era scettico su questo, alla fine disse che non gli importava di quella checca sfranta. Quindi lo invitai a venire con me a Campo de’Fiori e accettò volentieri. Quella sera mi sembrò felice e ci salutammo convinti entrambi di aver ritrovato un amico speciale.

Fefè montò su tutte le furie quando, dopo un paio di settimane o poco più, tornò dalla sua luna di miele con lo “Strappamutande”. Disse che Edo si bucava ed io non ci volevo credere, giuro che non me ne ero accorto! Fefè ebbe una vera e propria crisi isterica ed era ancora fuori di sé quando accettai di vederlo alla terrazza. “Ha rubato in casa mia, è questo che fanno i tossici” Era vero? Era stato Edo a rubargli … cosa? Soldi? Che gli mancava in casa? Fefè non rispondeva alle mie domande specifiche e allora gli risposi che non sapevo fin quanto fosse moralmente riprovevole rubare in casa di chi campava col culo degli altri. Non mi ricordo perché in quel momento c’era anche Aldo, comunque fu lui a risolvere il nostro alterco dicendo che Edo aveva fatto un buon lavoro e che io non avrei saputo fare altrettanto. “Questo ragazzo c’ha più giudizio di te” Gli disse con tono di rimprovero, asserendo che non lo riconosceva più e questo sarebbe stato un problema. Insomma, Fefè ne uscì bastonato però non mentiva sulla storia dei furti perché anch’io avevo sgraffignato in casa sua, non ultimo un gingillo che mi era servito per pagare il settimanale di Evelina.

Edo si bucava e questo era indubbiamente vero. L’eroina non era un ghiribizzo adolescenziale come una cresta moho che si poteva abbandonare da un giorno all’altro. Di ultima pera in ultima pera, la rota settimanale di Edo non tardò a diventare giornaliera e alla fine non bastava più neanche quella. Fefè aveva ragione sull’affidabilità degli eroinomani e lo stato di necessità permanente fece diventare Edo indesiderabile. Lidia lo scacciò dal Dark Angel, Marcello lo picchiò pubblicamente, Veroca gli intimò di disintossicarsi quando le rubò il portafogli dalla borsetta ed Io? Io non feci nulla e continuai a passargli la merda che scrivevo. In quel periodo ero esacerbato dal pessimismo e credo che fu come spingerlo verso la fine. In realtà, io pensavo che le cose per lui si stessero mettendo meglio quando lo vidi lasciare la Casa del Popolo per tornare dai suoi genitori. C’era un programma sanitario a cui s’inscrisse che gli passava del metadone e anche assistenza psicologica … credevo che stesse “guarendo”.

Io avevo bisogno del motorino di Edo e me lo avevo fatto prestare con il pretesto che mi serviva per andare agli allenamenti al Villaggio Olimpico, ma in verità lo passavo a Carmelo perché nel frattempo era tornato dai suoi a San Basilio per via dell’accidenti all’anca della Comare Nella. Mi serviva che tornasse perché gli avevo trovato dei clienti come il ragioniere frocio e la di lui moglie feticista. Avevo bisogno di quei soldi per finanziare la guerra contro mia madre. Sicuramente sottovalutai il serio problema in cui si era cacciato Edo e lo usavo come facevo con tutti, mettendo avanti i miei guai a quelli degli altri. Del resto, nessuno prendeva sul serio Edo, nel senso che andava a periodi come quello in cui diceva di partecipare a delle sette sataniche officiate da alti prelati della diocesi romana … ma forse era vero anche quello. Sta di fatto, che io decisi di non darci peso perché mi conveniva così e allora ignorai gli avvertimenti di tutti e continuai a frequentarlo.

Siccome il padre di Edo lo aveva segregato in camera sua perché credeva che i suoi amici fossero tutti degli eroinomani, Edo aveva escogitato un sistema per farsi chiamare senza suonare il campanello di casa. Mi aveva dato un richiamo a soffio per merli, un fischio e lui si affacciava alla finestra. Io gli dovevo il grande favore di avermi affidato il suo motorino, tra l’altro dicendo a suo padre che lo aveva venduto per drogarsi; quindi passavo ogni sera sotto la sua finestra. Mi calava uno di quei cestini che si usano per la spesa nei vecchi rioni senza ascensori ed io ci mettevo dentro quanto mi aveva chiesto la volta precedente > Libri, nastri musicali o sigarette ... eroina mai, giusto qualche spinello per alleviare l’astinenza. Trascorrevamo anche delle ore in quel modo, lui in finestra ed io giù da basso, a parlare di cosa manco me lo ricordo. Mi serviva qualcuno con cui condividere le mie paturnie esistenziali e lui era sempre disponibile ad ascoltarmi … però temo che non gli facesse bene.

Questa storia continuò fino a dicembre, quando la reclusione in casa di Edo si allentò per via del padre andato fuori città per questioni legate alla sua officina. Fu allora che mi chiese indietro il motorino che sarebbe dovuto ricomparire in maniera plausibile. Edo mi spiegò il suo piano, cioè una serie di balle molto arzigogolate, ma la parte che m’interessava era quella in cui avrei dovuto portare il motorino davanti all’officina del padre. Sarò pure stato paranoico, ma dall’altra parte della stretta stradina c’era il Ministero di Grazia e Giustizia con non si sa quante telecamere di videosorveglianza. Dunque, quella sera preferii andare a soffiare nel richiamo per merli sotto la sua finestra, ma lui insolitamente non si affacciò. Pensai che dormisse così mi feci coraggio e portai il motorino alla scalinata di Via delle Zoccolette, cioè a debita distanza dalle videocamere del Ministero e abbastanza vicino affinché il fratello di Edo lo vedesse all’indomani mattina quando andava ad aprire l’officina. Fu lì che vidi delle luci lampeggianti provenire dal fondo della breve Via del Conservatorio. Era tardi ed era opportuno incamminarmi verso casa, però il Lungotevere era a due passi e se avessi scoperto di che si trattava, lo avrei potuto far diventare un buon argomento di conversazione sotto la statua di Giordano Bruno.

C’era un gran trambusto con lampeggianti di tutti i colori che davano un certo non so che di festaiolo alla faccenda. Oramai conoscevo che genere di affari si tenessero su quegli argini del fiume e preferii andare a guardare dal vicino Ponte Sisto. Quella sera capii soltanto che c’era scappato il morto perché avevo visto la barella chiusa della mortuaria scendere al fiume … poi me ne andai perché mi cadde l’occhio sull’orologio luminoso di una farmacia che segnava le undici e quarantacinque. “Eduardo se suicidou” Fu Veroca a spiegarmi cos’era accaduto. “Abençoada Virgem Maria” Venne ad aspettarmi all’uscita da scuola e in quel contesto, l’Echidna appariva come un essere oscuro emerso dall’oscurità. “Menino Jesus, me perdoe” Era sconvolta, in un pianto dirotto che la faceva urlare e mi vergogno perché io non pensavo che all’imbarazzo di quella situazione. “Anjinho, ninguém o amava” Perché era venuta a cercarmi? Perché mi rivolgeva le sue incomprensibili suppliche? I multiversi della mia realtà stavano collimando ed ero atterrito dall’esplosione che ne sarebbe venuta. Marcello capì lo sconcerto che stavo vivendo e venne in mio soccorso, ma forse lo fraintese anche … non lo so. Per fortuna Lidia ci portò tutti al riparo tra le mura del Dark Angel.

Quanto stava accadendo richiedeva uno sforzo emotivo che non potevo permettermi … no, lo sto facendo di nuovo > Cerco di relazionare dei fatti che possano giustificare l’ingiustificabile. Posso solo raccontare quello che mi accadde > Spensi l’audio e blindai i miei banchi di memoria > Edo non c’era più > File spostato nel cestino della spazzatura. Seduto al tavolo del Dark Angel ascoltavo le parole degli altri come fossero un fastidioso rumore di fondo. Ingollavo ansia a ogni respiro, ma poi azzeravo ogni pensiero perché ero colpevole. Di punto in bianco mi alzai e me ne andai … forse accadde proprio allora, passo dopo passo mi allontanai dal ricordo di Edo e forse non solo da lui. So che gli altri andarono al suo funerale … io no. Me ne dimenticai, ma non del giorno della cerimonia funebre, mi dimenticai di tutti loro. Magari è la distorsione del tempo che in questo momento mi fa vedere un intreccio di eventi riconducibili a quel fattaccio. Tuttavia, ha un senso credere che non fosse Lidia a lasciarmi o Marcello ad allontanarmi, ma fui io a rimuovere ogni link che potesse ricordarmi qualcosa che neanche adesso riesco a identificare.

La caduta e lo schianto sordo che non ho mai udito, hanno formato un eco che rimbalza periodicamente tra le righe che scrivo > Cerco forse di metabolizzare in maniera indolore la scelta di Edo? Scrissi un racconto dove andavo al suo funerale e venivo ricoperto di sputi > Mi sentivo responsabile, ma non come gli altri che avevano effettivamente dei riprovevoli atti di cui pentirsi. Io temo di averlo inspirato > Lui ha compiuto quel gesto che io andavo predicando? Per qualsiasi ragione Edo sgattaiolò via di casa quella sera, non fu certo per andare a gettarsi dagli argini del Tevere. Che accadde? Temo che durante quegli attimi di smarrimento, le mie parole nella sua testa abbiano spento le luminarie del Natale sullo sfondo del suo futuro. Sì, perché era Dicembre e a Edo il Natale piaceva, collezionava quelle cartoline di auguri con i paesaggi innevati e le casette con le finestre illuminate.

Proprio l’altra notte guardavo la serie TV “Mr Robot” e c’era Elliot che confida a una tipa il momento in cui si era odiato al punto da pensare al suicidio. E’ un punto di vista che mi fa riflettere. Odiarsi prevede un risentimento contro se stessi per aver sciupato irrimediabilmente un’occasione di felicità, cioè prevede che in questa vita ci sia almeno una possibilità di essere felici. Edo s’innamorava continuamente ed era proprio per questo entusiasmo che poi il disincanto lo gettava nella frustrazione del pessimismo. Forse quella sera odiava se stesso per aver compromesso ogni possibilità di essere felice?

***

Rinascita

 

Asserragliarmi in casa era stato fin dall’inizio un gioco in perdita perché la legge concede diritti ai minorenni solo per procura e gli alleati adulti mi sostenevano per convenienza, appena questa veniva meno, tornavo a vivere da mia madre, così a lei bastava semplicemente aspettare. Fu per non cederle le armi che, giunto alle scuole superiori, dissi alla giudice che volevo andare ad abitare da Primo. Tale scelta mi mise nella condizione di dover vivere nella quotidianità della periferia, tra le cui certezze inopinabili non c’era posto per qualcosa d’indefinibile come me. Io continuavo a sperare di tornare nella mia casa e così iniziai a galleggiare in un limbo tra città e periferia. Fu così che gli amici di Roma iniziarono a parlare di cose che non mi coinvolgevano più mentre la gente di periferia continuava a guardarmi come un alieno.  

Se mi sentii strappare la faccia quando venni a sapere di non appartenere alla mia famiglia, andare a vivere in periferia mi privò dello stile di vita in cui rimaneva quel poco d’identità che mi era rimasta. Solo nell’appartamento dov’ero cresciuto, ritrovavo la naturalezza di quei gesti familiari che ti fanno abbassare la guardia. La mia stanza non aveva più un luogo fisico, la cui porta divenne spesso la copertina di un libro. La realtà tornò a essere una finestra con i vetri chiusi, da guardare attraverso l'analisi dei grandi pensatori. Si trattava di una condizione esistenziale che avevo già conosciuto quando, da bambino, mia madre mi teneva segregato in casa. Una condizione che mi portava progressivamente lontano dai bisogni di un presente partecipato, avvertito sempre più come una contaminazione dolorosa.

Già mi erano stati attribuiti dei tentativi di suicidio, ma proprio per questo ero consapevole che ci si toglie la vita dinanzi a un patimento d’animo insostenibile come accadeva al giovane Werther, che poi si compiva in un irreversibile passo come quello di Anna Karenina. Io, invece, scivolavo ogni volta lungo un declivio che conduceva in una fossa di apatica sussistenza. Accadeva gradualmente, in maniera impercettibile, l’anoressia dell’anima che si abitua al digiuno dal piacere gustato attraverso i sensi del corpo. Calarsi nella realtà della periferia fu per il vero molto semplice perché bastava affidarsi alla corrente delle convenzioni sociali, ma la normalità è un costrutto educativo di cui si gusta il piacere attraverso il consenso collettivo, per questo il mio erotismo metamorfo non riusciva ad avvertirla. Alla lunga si risolse in un sonno apatico che mi prendeva come uno svenimento davanti all’inevitabile …

Quando parlo di sonno, mi riferisco proprio al dormire. Per riuscirci non dovevo ricorrere ai medicinali, bastava trovarmi davanti alla più banale decisione da prendere. Le mie giornate divennero un dormiveglia che mi stancava sempre di più. L’anoressia dell’anima e la conseguente anaffettività, mi privò dell’entusiasmo necessario a conseguire dei risultati. Senza il balsamo del successo conseguito in degli obiettivi comuni (media scolastica o medaglie sportive), la solitudine diventava l'umiliante responso di un fallimento. Questa introversione culminò a dicembre, quando tutte le decisioni evitate, rimandate e omesse chiesero udienza ai giudici esattori della realtà > Colloquio con i professori. In realtà la mia media scolastica non faceva così schifo, però non era comparabile a quella avuta fin a quel momento ed ho il sospetto che era quanto andava cercando mia madre. Lo penso perché usò quei voti scolastici per mettere in discussione l’affido a Primo. Sostenere di nuovo il colloquio con l’assistente sociale e poi lo psicologo e in fine la giudice, peggiorò la percezione che avevo di me stesso > Di tutti i personaggi letterari diventati i miei unici amici, avevo finito per acquisire le sembianze dello scarafaggio di Kafka e allora perché continuare a farsi abbrutire da una quotidianità senza speranza?

Sì, quella volta decisi lucidamente di estirparmi dal petto quell’indefinibile dolore di vivere ... ma lo feci nella maniera più goffa > Aprii l’armadietto delle medicine e ingoiai ogni tipo di pillola che ci trovai dentro. Poi andai a letto convinto che non mi sarei risvegliato > Fu lo spavento più grande che avessi mai provato prima. Invece, la mattina dopo, mi svegliai senza neanche un sintomo d’intossicazione. Fu allora che compresi di non avere le palle di ammazzarmi e allora decisi di vivere. Qualsiasi cosa fossi non spettava al giudizio degli altri legittimarla. A morire sarei comunque morto e allora preferivo farlo disperdendomi in una vertigine come fa la falena che si ubriaca di luce … decisi di ardere piuttosto di languire nella meschina esistenza di uno scarafaggio schifato da tutti. Sì, era un’aspirazione romanticamente adolescenziale; tuttavia, è proprio l’incoscienza di quell’età che rende abbastanza audaci da volare sempre più vicino alla fiamma.

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Soldi

 

La Zia Pina mi aveva ampiamente ragguagliato su come lo sporco e maledetto sterco del demonio unisca nella convenienza > E’ la condivisione dei soldi a creare una comunità d’interessi. Primo e Angela erano restati in casa mia fino a quando mia madre aveva trovato conveniente viverci per quello stipendio del portierato che le aveva permesso di non rimanere schiava nel ruolo di moglie e di madre. Nel momento che i soldi del portierato vennero meno, scomparve quel veniale interesse che costringeva la mia famiglia a vivere sotto lo stesso tetto. Primo si sentiva appartenere alla casa ereditata dai suoi genitori, mentre mia madre non voleva tornare in quel luogo di patimenti da cui era fuggita, mia sorella invece si sentiva vittima di quel portierato che l’aveva umiliata e tenuta lontana da quanto sentiva appartenerle per diritto di nascita. Non è per cinismo che ho mancato di nominare l’amore famigliare, ma la prova che in casa mia non ce ne fosse, sta proprio nel fatto che appena il portierato fu soppresso, tutti scapparono via per spendere il proprio denaro altrove.

Quando la Zia Pina morì, non compresi che tipo di eredità mi aveva affidato in quella busta di documenti segreti > In fondo a quel vaso di Pandora c’era proprio casa mia! Lo capii solo dopo aver saputo da Primo che era stato Ezra a rilevare il mutuo dell’ex portierato. Certo che lo aveva fatto sotto il ricatto della Zia Pina, però mi dovevo accontentare perché quelli erano gli unici soldi che qualcuno stava spendendo per me. Quell’appartamento era casa mia, cazzo! Angela aveva riottenuto quella di suo padre e allora perché io non potevo restare in quella che il mio di padre mi stava pagando? Il problema stava nel segreto che dovevo mantenere > Come facevo a spiegarlo alla giudice senza far venir giù un pandemonio? Così dovevo districarmi tra dei non detti che prendevano le forme di profili pedagogici del cazzo.

La Zia Pina era stata la sola persona che si era preoccupata del mio interesse e la sua unica colpa era stata quella di morire prima di completare “la sua piccola opera d’arte”. Se fossi rimasto nella giusta ignoranza in cui deve stare un bambino, una volta adulto mi sarei accorto che anche dopo morta, lei aveva continuato a curare il mio interesse come riuscì a fare con tutti i suoi affetti. Quella stupida di mia madre non aveva capito che pure il suo principe azzurro era opera sua > Paolo era il Generale in uniforme che mi aveva fatto da Padrino dalla Principessa, il giorno in cui la Zia mi consegnò la preziosa medaglia della congregazione paolina ... ma con il senno di poi non si fa la storia. Avevo aperto il vaso di Pandora troppo presto e liberando tutti quei dannati demoni, feci venire giù il castello di convenienze messo in piedi dalla Zia Pina. Ovviamente non avevo coscienza di tutto questo ed ero rimasto da solo dentro quel vaso di Pandora oramai vuoto > L’unica cosa che mi rimaneva era la speranza contenuta in quelle quattro mura.

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Sandrocchio

 

Sandrocchio mi fornì l’opportunità di tornare a Roma. Lui era la prova che la virilità non si misura attraverso il successo con le donne. Nessuno lo rispettava, tanto meno le amanti che però se lo litigavano. Era succube del proprio eros viscerale che gli impediva di pensare ad altro che alla figa. Il suo sguardo era languido e il tono di voce remissivo. Otteneva tutto il suo successo con le donne attraverso un piagnucolio romantico e una bella mazza a percussione, per il resto era completamente privo di carattere e debole di spirito. Incedeva in ogni piacere mondano e l'apparire era quanto più di sostanza riusciva a esprimere.

I suoi difetti erano gli stessi tratti caratteriali in cui identificavo Primo e non era certo un caso se quei due cazzoni si erano alleati per mettere in scena le mie ripetizioni scolastiche, che servivano a Primo per dimostrare che si occupava delle mie necessità e servivano a Sandrocchio per convincere il padre a mantenerlo ancora all'università, nonostante avesse trent’anni suonati. Per le prime lezioni mi recavo alla villa dei suoi genitori che però stava sulla Nomentana così, appena quelli si avvidero che esistevo e non ero una delle sue solite menate, “il precettore” accettò di venire a casa mia. Le ripetizioni insieme agli allenamenti sportivi, mi fornirono il pretesto per trovare conveniente fermarmi in città e fare il pendolare con la scuola in periferia. Per mia madre era una mezza vittoria e accettò di buon grado di sistemarmi di nuovo con Evelina. 

Dopo neanche un mese di lezioni, Sandrocchio mi chiese un consiglio in merito ad un prestito contratto con Brusco. Perché me lo chiese? Primo mi chiedeva continuamente d’intercedere per lui presso il Grande Porco e Sandrocchio lo sapeva. Brusco non si ambientò mai al clima fighetto del Club e usava sedersi sempre al solito salottino del Belvedere come se andasse alla scrivania di un ufficio. Lui m’invitava spesso a sedermi per farsi raccontare la vita di qualcuno degli avventori, godendo in particolar modo dei particolari più torbidi. A Sandrocchio descrissi talmente bene Elton John e la sua cattiva nomea da castigamatti, che si sfilò l’orologio dal polso e con i sudori freddi, mi chiese una consulenza su quanto poteva valere.  Perché me lo chiese? Era colpa di quello stronzo di Mattia che mi perseguitava con lo sfottò del “rigattiere”. Io non volevo alimentare quei pettegolezzi sul mio conto e detti giusto un’occhiata al suo orologio, ma si trattava di un Vacheron in oro rosa! “Tu sei fuori di testa!” Dirglielo fu un riflesso incondizionato. Piuttosto, quell’affare non doveva esporlo alle intemperie tenendolo al polso. “Vale troppo?” Che stupido che era! Lo aveva preso così, a cazzo, dalla collezione di famiglia > Se fossi stato il padre, gli avrei mozzato i polsi per quella leggerezza.

Sandrocchio aveva preso della cocaina a buffo e poi il suo debito era lievitato con gli interessi da strozzino. Allora gli spiegai come funzionava la faccenda > Con i ricchi, il Grande Porco aspettava che la cifra del buffo si alzasse parecchio prima di reclamarla, così da legarli al suo debito per sempre. Sandrocchio avrebbe dovuto dunque restituire solo una parte del suo buffo e poi, con regolarità continuare a pagarlo senza problemi. “Quanto gli dovrei restituire?” Sarebbe bastato saldare il debito della cocaina e poi il cinquanta percento degli interessi maturati a scadenza mensile. “Cazzo, come li chiedo tutti quei soldi a mio padre?!” Mi propose di nuovo di vendere l’orologio, ma con gingilli così costosi si rischiava grosso e me ne tirai fuori. “Porca troia, aiutami!” Chissà se Elton John si sarebbe impietosito davanti agli occhioni da bamby ferito che Sandrocchio sfoderava come un’arma non convenzionale … a me fecero effetto e usai la perizia acquisita in anni di servizio per la Zia Pina nel trovare oggetti di valore tra le cianfrusaglie che i ricchi ripongono distrattamente in cantina, per svuotare quella della villa di famiglia di Sandrocchio < No, che non ero un rigattiere, cazzo!

“Non è che puoi anticipameli tu?” Ma Sandrocchio era come una cambiale, nel senso che quando ti si appiccicava, non te lo scrollavi più di dosso. “Poi scaliamo con i soldi che mi deve tuo padre” In fondo, la vagina era il suo unico scopo nella vita e allora perché non mettere a profitto quella sua unica abilità? “Dici che pagherebbero!” Sandrocchio divenne un gigolò. Evelina non oppose neanche un ma, quando le chiesi di tornare a fare il suo vecchio mestiere > Affittavo la camera matrimoniale a Sandrocchio per i suoi incontri d'affari ed Evelina si occupava di tutto, dal cambio delle lenzuola all’acquisto di quanto necessita un’attività di prostituzione. Era talmente discreta che Io stesso non mi accorgevo più di cosa stesse accadendo. Del resto, molte di quelle donne le conoscevo e non di rado si fermavano anche a mangiare qualcosa. C’è poi da considerare tutte le altre volte che Sandrocchio si fermava a dormire per fatti suoi. L'unico che trovò da ridere fu Toni, ma solo quando si accorse che quelle donne pagavano per scopare con Sandrocchio. Prima mi fece una testa tanta, convinto che Evelina avesse organizzato tutto in combutta con Sandrocchio alle mie spalle, quando poi gli dissi le cose come stavano, reagì ancora peggio, minacciando di andare a raccontare tutto a mia madre. Alla fine mi tolse solamente il saluto, ma come il solito anche quella volta il suo broncio durò pochissimo tempo.

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Ezra

 

Se volevo rimanere in casa mia, avrei dovuto creare una comunità d’interessi che mi avrebbe permesso di continuare a viverci. C’ero già riuscito con Primo che mi faceva da scudo legale contro le pretese di mia madre. Potevo contare anche su Angela che sosteneva la mia causa perché era stufa di occuparsi di me. Tuttavia, nessuno era disposto a finanziare la mia guerra e mi resi ben presto conto di quanto costasse mandare avanti una casa. Il problema più grande in cui incorsi fu il riscaldamento autonomo deciso per delibera condominiale. Con l'arrivo del metano nelle case, fu deciso di abbandonare il riscaldamento centralizzato e ognuno avrebbe dovuto provvedere a modificare il proprio impianto di termosifoni con l'installazione di una moderna caldaia a gas. I soldi che rastrellavo in giro bastavano a malapena per le bollette! Angela convinse Primo a chiedere un preventivo di spesa, ma come il solito scomparve al momento di dare l’anticipo.

Mi lasciai convincere da Toni a chiedere l'aiuto del mio padre genetico. Mi sono trovato spesso a raccontare di questo primo incontro e ogni volta l'ho arricchito di fatti accaduti solo in seguito. La verità è che c'è assai poco da scrivere a tal proposito perché bussai alla porta della sua famiglia nel giorno dello Yom Kippùr e la domestica cristiana si rifiutò anche solo di annunciarmi. Inutile dire quanto mi sentii umiliato per essere andato a mendicare la sua attenzione. Me la presi anche con Toni e lo ricoprii a tal punto d'improperi che mi sfanculò un’altra volta … Tuttavia, Ezra fu avvertito della mia visita e trovai una sua lettera consegnata a mano nella buca della posta. Quel foglio fu il primo reale contatto con lui … e ricordo solo vagamente cosa c’era scritto. Nella mia memoria è rimasta la bella calligrafia inclinata a scandire un linguaggio impersonale da azzeccagarbugli ebreo.

Forse fu colpa di Toni che mi aveva rimbambito con la sua propensione a vedere la vita come uno scintillante musical Disney, ma rimasi deluso ... amaramente deluso. Quando da piccolo me la vidi brutta e finii all’ospedale, Ezra aveva fatto carte false per starmi vicino ed io me lo ricordavo, questo mi aveva spinto a credere che fosse mia madre a tenerlo lontano da me ... ma era passato tanto tempo e oramai non ero sicuro se quei vaghi ricordi fossero solo fantasie. In fondo a quelle poche righe mi lasciava il recapito telefonico del suo ufficio per fissare un appuntamento. In quel periodo ne avevo piene le scatole di tribunali che deliberavano su padri decaduti e aspiranti tali, quindi andare nel suo studio legale, seppure l’avvocato fosse mio padre, mi procurò un senso di repulsione. Senza contare che avrei dovuto mendicare dei soldi per la dannata caldaia ... e anche per lo scaldabagno che si era rotto perché le sfighe arrivano sempre in coppia e no, il mio orgoglio mi impedì di andarci.

Mia madre usò quella faccenda per costringermi ad andare in casa di Paolo, ma siccome io non volevo, la pazza mandò i carabinieri per prelevarmi sostenendo che ero scappato da casa e questi lo riferirono alla giudice che stava liquidando la pratica di adozione di Paolo. Ci fu una mezza apocalisse e dopo la solita trafila all’assistenza sociale, Paolo accolse di buon grado la decisione della giudice di far trasferire sua moglie a casa mia, però mia madre col cazzo che aveva intenzione di lasciare il letto del suo principe azzurro. Così ora sarebbe stato Paolo a pagare Evelina per accudirmi, ma a Primo restava l’onore dell’assegno di mantenimento, il quale però arrivava sul conto in banca di mia madre e ogni volta che chiamavo mia sorella Angela perché il frigorifero in casa era vuoto da troppi giorni, succedeva sempre un casino con tanto di avvocati. La faccenda del riscaldamento autonomo e dello scaldabagno non era ben chiara a chi spettasse risolverla ed io stesso preferii lasciarla nel dimenticatoio. Quando spensero i termosifoni, tirai fuori dalla cantina la stufa da campeggio e facevo la doccia in palestra. Dulcis in fundo, la Befana regalò a Roma una copiosa nevicata così Evelina mi fece delle babbucce di lana per la notte > Si gelava, cazzo!

Fu Evelina ad andare dallo Zio Gerardo per spiegargli la faccenda e sono certo che la condì d’invettive contro gli adulti che mi costringevano in quella meschina condizione, dimenticandosi però di raccontare che il suo più grande cruccio era di non poter più affittare la camera matrimoniale a Sandrocchio. Fu così che lo Zio contattò Ezra che poi venne a far ragliare il mio citofono. Rispose Evelina, che avendo tramato alle mie spalle, non le uscì il fiato di bocca quando venne ad annunciarlo > Mi guardò solamente con i suoi enormi occhi da elfo servitore annacquati dallo spavento. Ezra si palesò da solo alle sue spalle e mi chiese direttamente se mi ricordavo di lui > Non me lo ricordavo. Cioè, nei miei rarefatti ricordi era un tale gigante! Non che fosse piccolo perché era ancora più alto di me e anche robusto il doppio di me, però era diverso. “Sei cresciuto” questa fu la cosa più affettuosa che proferì. Lo Zio gli aveva già spiegato tutto e per il vero, sarebbe anche potuto non venire a casa perché aveva sistemato con lui anche la faccenda del riscaldamento autonomo. Gironzolò per la mia camera e mi chiese su cosa stessi armeggiando perché mi si era inceppata la stampante con cui trascrivevo a pagamento le robe di università per Giovanna. Lo Zio gli aveva raccontato anche dei miei lavoretti per i condomini e di ogni altra cosa che facevo per tirare su qualche soldo.

“Anch’io da giovane lavorai per una radio libera” Lo Zio non sapeva della mia passione per la musica e neanche che trascorrevo molto del mio tempo a registrare nastri per la radio di Silvana e Dino. “Suoni qualche strumento?” Toni mi stava insegnando a suonare le tastiere. “Somigli a una persona … tantissimo!” Sì, forse fu questa la cosa più affettuosa che mi disse, anche perché la sua voce era piena di emozione mentre me lo diceva > Si riferiva a suo fratello morto durante l’insurrezione nel ghetto di Varsavia, però lo venni a sapere solo dopo perché non aggiunse altro, anzi, dopo divenne formale come la lettera che mi aveva lasciato nella buca delle lettere. Mi spiegò degli accordi presi con lo Zio e che avrebbe assolto anche tutte le altre spese condominiali. Disse che mia madre non avrebbe mai dovuto saperne niente e fin qua stava andando tutto alla grande. “Per ogni cosa …” Per ogni altro mio bisogno, avrei dovuto semplicemente incaricare lo Zio di risolverlo per suo conto. Nel senso che avrebbe pagato lui … poi precisò che non avrei dovuto mai bussare a casa sua. Mi sentii avvampare le guance dalla vergogna e allora cercò di metterci una pezza, sostenendo che non era il momento di far agitare sua moglie perché era incinta.

Questo fu il primo incontro col mio padre genetico, si risolse in meno di mezz’ora. Seppure non mi avesse abbracciato con tanto di orchestra e ballerini come aveva immaginato Toni, lui ci teneva a me perché era disposto a pagare tanti soldi per farmi restare nella sua casa. Questa consapevolezza mi faceva battere forte il cuore per la felicità. Dopo, Toni mi spiegò anche che era normale per lui cercare di proteggere la sua famiglia da una verità così compromettente. Certo che non ci si abitua mai a essere “il figlio della colpa”, ma che ci potevo fare? Il desiderio di entrare a far parte della vita di Ezra era fortissimo e sapere di non poterlo neanche sperare mi faceva male, questo era innegabile ... Toni si diceva sicuro che dopo quel gesto di benevolenza, ne sarebbero sicuramente arrivati altri e questa volta ebbe ragione perché il padre di Ezra, mio nonno, da lì a poco gli chiese di conoscermi.

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Radio Lambda e Toni

 

La mia famiglia erano quelle persone che decidevano di loro iniziativa di starmi accanto … come Toni. Radio Lambda ci aveva riunito nel sacro fuoco dell’arte ... o quello che era. Silvana e Dino avevano messo in piedi questa radio pirata durante i primi anni settanta ed era una radio politicamente militante < Socialista. Quando ci misi piede io, c’era rimasto ben poco degli splendori degli anni della comune, quando un manipolo di ragazzi e ragazze voleva divulgare l’idea di una società alternativa. Trovai solo dell’apparecchiatura vetusta in una cantina sul tetto nel palazzo di Silvana e Dino a Testaccio. A me parve comunque qualcosa di fantastico e accettai di svecchiare il loro palinsesto musicale. In realtà sistemai anche la giungla di fili che oramai impediva fisicamente di entrare in quel magazzino ...

Dino m’insegnò come si usava l’apparecchiatura di registrazione e nel giro di una settimana, ero in grado di gestire ogni dettaglio tecnico. Manco a dirlo, i soldi furono l’ostacolo maggiore in cui m’imbattei perché Silvana e Dino non avevano più voglia di spendere per quel sogno rivoluzionario oramai rarefatto. Potevo fare ben poco con i vecchissimi nastri musicali che Dino usava per la messa in onda e i vinili originali erano tutti rovinati. Cercai di usare la musica che avevo in casa, ma non bastava, quindi telefonai a Toni e la sera stessa ci ritrovammo nella cantina di Testaccio a registrare la più bella musica della capitale. Credo che Silvana e Dino rivedessero se stessi nel nostro entusiasmo e ci lasciarono carta bianca; tuttavia, dovevamo a malincuore sospendere il palinsesto in occasione delle interviste a qualcuno dei loro conoscenti attivisti. Seppure accadesse di rado e non mettevano bocca sulla nostra propensione per la musica imperialista, dovevamo comunque attenerci alle loro ferree convinzioni politiche, cioè niente concessioni al capitalismo, il che voleva dire No alle agenzie pubblicitarie e filtro ideologico alle sponsorizzazioni.

Dino aveva i suoi contatti nel mondo musicale capitolino, così iniziammo a ricevere gli inviti per i concerti. “Benvenuti!” Dopo un po’, per entrare nei locali passavamo dalla porta di servizio e non serviva neanche presentarci > Sì, era veramente figo! “Salve, sono il DJ di Radio Lambda” Toni era più conosciuto di me perché divenne la voce della radio. Io ci provai ma parlare a un microfono mi faceva lo stesso effetto di repulsa che mi dava uno specchio. Toni, invece, era spigliato e il fatto di fare il DJ lo rese molto popolare anche nel suo liceo, popolarità che ci tornò utile perché ovviammo così al problema di come procuraci la musica “imperialista” > Ci inventammo un collettivo in cui tutti ci prestavano i loro dischi o nastri, che piratavamo non solo per la messa in onda, ma ci rivendevamo anche delle cassettine con playlist commissionate. Silvana e Dino non ebbero da ridire sulla nostra esegesi di lotta al copyright delle major discografiche.

Dino ed Io in radio ricoprivamo quei fondamentali ruoli tecnici di cui non interessa niente a nessuno. Dino c’era abituato ma io lo trovavo abbastanza frustrante. Forse era per questo motivo che a noi due interessava più la musica che non la radio in sé. Toni, invece, si gettò anima e corpo nella missione di alzare gli indici di ascolto di Radio Lambda. S’inventò dei gadget da dare in premio per un quiz musicale, inventò un logo per la radio e realizzò degli imbarazzanti jingle per promuoverla, ma ci riuscì solo quando andò in onda con il suo programma di dediche pieno di pettegolezzi perfidi. La sua popolarità ci procurò una notevole crescita di pubblico, tanto che il giornale della capitale “Il Messaggero” citò Radio Lambda per l’intervista di Silvana a un tizio, un francese o era un dissidente italiano in Francia … non ricordo i dettagli, ma fu un vero successo per lei. A noi, questo suo successo ci procurò solo fastidi perché riesumò una pletora di amici di Silvana che iniziarono a scombinarci i palinsesti con le loro robe di militanza.

Il lavoro alla Radio unì parecchio Toni e me, forse anche troppo. Nel senso che lui si trasferì praticamente a casa mia! Toni si trovava a vivere una difficile situazione famigliare, non che fosse mai stata facile, ma accadde che nel suo condominio morisse la moglie del notaio del quarto piano, lasciando libero un buon partito in cerca di qualcuno che lo aiutasse a tirare su i due figli. Il notaio era anche un bell'uomo e la madre di Toni s'innamorò di lui. Approfittando delle vacanze estive, i due provarono a convivere ed evidentemente la cosa funzionò perché al ritorno dalle ferie, Toni si ritrovò nella mia stessa situazione … solo che lui la prese molto peggio. Tuttavia, Toni era molto più Dottor Spock di me e invece di fare scenate e tirare giù il mondo, fece buon viso a cattivo gioco iniziando a intascare il senso di colpa della madre. Ci ricavò anche lo scooter con cui potevamo muoverci agevolmente per la città, ma con quello poteva anche venire a casa mia e quando si fermava a dormire, immagino che la madre col notaio facessero festa.

Noi non andavamo molto d'accordo, anzi, era proprio un mistero come potessimo trascorrere tanto tempo insieme. Ragionava esattamente come mia madre, a volte usava persino le stesse parole per rompermi i coglioni! Anche con Evelina si comportava allo stesso modo e trovava sempre un pretesto per rimproverarla, senza contare che la comandava a bacchetta manco fosse una sua schiava. Lei ne aveva incontrati di stronzi in vita sua e a capo chino accettava la sua presenza, anche perché si rendeva conto che era Toni a riempire il nostro frigorifero. Ogni volta che veniva, arrivava con le buste della spesa e poi faceva la lista della roba che mancava in casa, quindi si curava di dare i soldi a Evelina per andarla a comprare. Era una massaia perfetta che mandava avanti la casa come un orologio e gli piaceva parecchio farlo. Il suo unico cruccio era che quel ruolo dipendeva da me e non poteva pretendere di gestirmi come faceva con Evelina. A lui non andava bene niente di quello che facevo e gli andava sul culo chiunque frequentassi. Litigavamo su ogni cosa e quando esageravo nel turpiloquio, si offendeva e capitava che sparisse per qualche tempo … ma poi tornava sempre.

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Il successo di Luca

 

Durante i primissimi giorni che mi ero arroccato in casa anche Luca venne a far ragliare il citofono. Era quasi l’alba perché lo avevano rilasciato dopo una retata per atti osceni. Questo era accaduto nei bagni pubblici di Piazza Cinquecento, davanti al piazzale della Stazione Termini, una nota zona del battuage romano. I gabinetti erano scavati sotto il livello stradale e visti da fuori, con quelle scalette strette, facevano anche un po' spavento, tanto che non saprei spiegarmi come Luca ci fosse finito "casualmente". Sta di fatto che la buon costume ci fece irruzione e portò in caserma chiunque pescò col pesce di fuori.

Luca era in paranoia perché quegli stronzi lo avevano umiliato manco lo avessero preso a stuprare qualcuno. Se quella sera non fosse venuto da me, capace che avrebbe persino compiuto un gesto estremo. Diceva di farsi schifo, di non valere niente e tutto questo per una sega in tandem in un cesso pubblico. Compresi allora quanto fosse violenta la repressione sessuofoba e non nell'armare una squadra di legionari preposti al controllo morale, quanto nell’educazione culturale, fabbricando delle cataratte psicologiche che in quel momento stavano scattando nel cervello di Luca come una serie di trappole per topi. Riuscì a strapparmi la promessa di aiutarlo a smettere con quella sua "dipendenza" e nei giorni successivi approntò una raffazzonata terapia a base di pippe "legali". Il problema era la nostra incompatibilità erotica. Io proprio non riuscivo a comprendere cosa fosse "il brivido" che andava cercando quando si segava guidando per le vie del centro > Bisogna avere dei modelli morali per provare l'inebriante senso di trasgredirli e su di me quella roba non aveva mai attecchito.

Il solo modo in cui potevo essergli d’aiuto era permettergli di venire a casa mia ad ammazzarsi di seghe. Fu così che piazzò al posto del vecchio televisore a valvole della sala da pranzo, un moderno quaranta pollici a colori predisposto per essere collegato a un riproduttore VHS, cioè videocassette che erano da poco diventate il principale supporto di diffusione per il porno. A Luca però serviva anche un compagno di seghe e spesso anche più di uno. Aveva così formato un club della pippa, cui non potevo stare dietro, quindi gli fornii anche una copia delle chiavi di casa. Obiettivamente Toni aveva ragione nel dire che avevo trasformato casa mia in uno “sborratoio comunale”, però Luca contribuiva all’economia domestica e a me pesava troppo andare ogni volta dallo Zio Gerardo con qualche bolletta scaduta. Del resto anche Evelina non si dispiaceva di quei ragazzi arrapati in giro per casa > Che le ricordasse i giorni della giovinezza trascorsi nei bordelli anteguerra? Di certo c’era che faceva la cresta sulle cose che la mandavano a comprare. Insomma, io non vedevo il problema … o meglio, sapevo che a Toni scocciava soprattutto che in tal modo anche il suo odiato fratellastro Mattia prese a frequentare casa mia.

L’attività masturbatoria di Luca divenne presto un evento sociale che stizzì i condomini. “Figliuolo, sono stato giovane anch’io, ma ...” La reprimenda giunse per voce dell’amministratore, cioè lo Zio Gerardo. “Pensano tutti che tu stia prendendo una brutta piega” I condomini mi volevano bene, ma proprio per questo si sentivano in diritto di badare a me. “Lo sai che nella tua difficile situazione famigliare ...” Rischiavo che per un eccesso di preoccupazione nei miei riguardi, qualcuno si fosse sentito in dovere di alzare il telefono per chiamare mia madre. “Già ho chiuso un occhio per te e lo sai ...” Lo Zio mi rinfacciò il favore di avermi coperto per la storia del subaffitto della camera matrimoniale a Sandrocchio. “La gente mormora ...” Non certo quelli che venivano a calarsi le mutande a casa mia e poi anche lo Zio mi doveva dei favori, non ultimo l’avergli messo in casa Dorina che aveva rimesso al mondo lui. “Santo cielo, sei come tua Zia!” Era stata proprio la sua compianta moglie a insegnarmi come creare un sistema di convenienze. “Io lo dico per te, ora fai come ritieni opportuno” Mi bastava aver fatto capire allo Zio e a tutti gli altri condomini di non trattarmi come un banale ragazzino, per il resto sapevo bene quanto fosse importante il valore della discrezione. 

Il punto della questione rimaneva sempre lo stesso > La vagina. Qualche schiamazzo non aveva mai costituito un problema perché l’appartamento dell’ex portierato era un ammezzato, cioè era stato ricavato nell’altezza eccezionale dei portoni stile medievale, quindi non aveva muri perimetrali adiacenti ad altri appartamenti, tranne che per il soffitto, ma sopra di me abitava gente a pigione che andava e veniva. La reprimenda “morale” era prontamente scattata quando Mattia aveva iniziato a invitare delle ragazze. Mi era già successo > Fin quando si trattava di piselli non succedeva niente, ma la lottizzazione legale di una vagina la espropria alle stesse ragazze che ne devono rispondere al mondo intero. Anche Evelina diventava intransigente a tal proposito e dopo la visita dello Zio, me la ritrovai alle spalle con lo sguardo cupo e le mani giunte sul ventre, significava > Te lo avevo detto io. Mi feci dunque restituire le chiavi di casa da Luca perché non c’era altro modo di mettere un freno al suo esibizionismo cameratesco e riguardo a Mattia, chiedergli di non coinvolgere delle ragazze era come pretendere che un cane non corresse dietro ai gatti.

Il tutto si risolse quando Dante divenne proprio il buddy di Luca. Ero stato io a trovargli lavoro all’ingrosso edile della famiglia di Luca e avevo le mie responsabilità anche sulla loro partnership. Iniziò con la storia delle Jacuzzi, di cui il padre di Luca aveva l’esclusiva di vendita sul mercato della capitale. Luca aveva appena mollato l’università e doveva riguadagnare punti in famiglia, gli fu dunque affidato il compito di rappresentate delle Jacuzzi. Poverino, ci metteva il massimo dell’impegno, ma quelle enormi tinozze non ci stavano fisicamente dentro a delle misure standard di un bagno italiano. Un giorno mi confidò l’umiliante ramanzina che il padre gli aveva appena rifilato davanti alla clientela. Io avevo già da qualche tempo individuato il problema di quelle vendite mancate e non era colpa di Luca e così aprii bocca e gli detti fiato ...

Sulla brochure dei modelli delle vasche si mostravano i benefici sanitari di un idromassaggio e lo slogan era di avere delle rilassanti terme in casa propria. Insomma, sarà sicuramente stato tutto vero, ma negli Stati Uniti il boom commerciale delle Jacuzzi non si era ottenuto con il richiamo a delle terme ottocentesche, che nel frattempo erano diventate dei ricoveri per anziani. Toni ed Io eravamo stati a vedere al cinema “Cercasi Susan Disperatamente”, dove il marito di Rosanna Arquette era un rappresentate di Jacuzzi e le pubblicizzava in TV con modelle in costumi sgambatissimi color fluo, la vasca era circondata da cartonati di palme esotiche e il tizio c’era allegramente tirato dentro dalle avvenenti fanciulle. Insomma, avrebbero dovuto vendere quelle tinozze come avvincenti esperienze erotiche e non come lettini dal medico della mutua.

Dante aveva l’attrezzatura per girare uno spot pubblicitario mentre l’ingrosso edile già si faceva pubblicità all’interno di un piccolo circuito di televisioni commerciali. Dissi a Luca che avrebbe stupito suo padre prendendo l’iniziativa di una televendita. Per il vero, Luca stupì tutta la cittadinanza romana perché si rivelò un imbonitore dall’intuito eccezionale. Mise su un vero e proprio show con tanto di avvenenti modelle e Dante mi stupì anche lui, perché fu il regista di tutto questo. Quei due ebbero talmente successo che la società televisiva gli sponsorizzò anche un programma d’interviste sulla vita notturna della capitale. Luca fu preso dalla sua nuova vita a tal punto che non si curò più di quella vecchia.

***

Crisi di violenza

 

Mattia continuò a frequentare casa mia, però lui non nutriva particolare interesse per le comunità della pippa. Toni sosteneva che era geloso della nostra amicizia e non era del tutto da escludere questa ipotesi. Si era comportato allo stesso modo quando Carmelo ed io iniziammo a frequentarci più assiduamente e lo temevo perché avevo visto come aveva fatto terra bruciata intorno a quello che era stato il suo amico particolare per tanto tempo. Io a Toni gli davo del paranoico quando cercava di mettermi in guardia dal fratello, ma sapevo che aveva ragione > Mattia mi aveva scelto per sostituire Carmelo. Il fatto è che Mattia mi piaceva e mi attraeva anche l’idea di diventare il suo buddy, ma ne ero anche spaventato perché se da un lato avrebbe potuto insegnarmi molto sulla mia ambigua natura sessuale, dall’altra vedevo come lui la padroneggiasse a tal punto da saperla usare come una temibile arma. In particolar modo riusciva a spaventarmi quando mi cingeva un braccio al collo e mi sussurrava nell’orecchio quello cui stavo pensando, poi urlava una delle sue chiassose risate per lo sgomento che leggeva sul mio volto. “Siamo uguali, frate’!” Mi diceva entusiasta ... ma era veramente così?

Il mio pene era fighissimo, io ero una gran torta di manzo, la mia mente era una macchina da guerra … Mattia me ne diede la consapevolezza, ma tendevo comunque a dimenticarmene facilmente. Tuttavia, volevo imparare a usare i miei super poteri proprio come lui. Per riuscirci mi costringevo a una dolorosa estroversione e ogni volta che ci riuscivo, ottenevo degli evidenti successi sociali. “Questo è proprio matto!” Persino tra i compagni di scuola in periferia iniziai a diventare popolare. “L’ha fatto veramente!” Sì, ai loro occhi apparivo fuori di testa, ma era qualcosa percepito come una forza e quindi di successo. In città era diverso, anche perché c’era Mattia che a strafottenza era insuperabile. “Principessa, guarda che effetto mi fai!” Come quando andavamo a correre e si calava la tuta per dimostrare a una ragazza la sua “ammirazione”.  A volte era proprio da denuncia, eppure tutti lo ammiravano, specialmente le ragazze che cadevano ai suoi piedi nonostante sapessero che gran canaglia fosse. No, io potevo solo fingere di essere come lui e per breve tempo. “Devi solo starmi vicino, fidati!” Mattia però insisteva e desideravo tanto riuscirci ...

"Ti giuro, è così!" Fu impossibile evitare che Sandrocchio facesse comunella con Mattia. "No, sul serio!" Per via della differenza anagrafica, Sandrocchio si sentiva il nostro mentore. “Stasera ti faccio vedere come funziona” Mattia lo imboniva chiamandolo Zio e forse si divertiva sul serio ad ascoltare le sue imprese amatorie. “E’ un posto speciale, senza cravatta è off limits” Quella sera avevano qualcosa da festeggiare. “Te la presta Momo” Io non avevo cravatte. “Certo che ce l’hai!” Ah, quella della divisa del club. “No, io preferisco quest’altra” Sì, ne avevo anche una sottile di pelle molto New Wave. “Perché non indossi sta roba quando esci con me?” Mi fece una scenata di gelosia quando mise il naso nel mio guardaroba. “Che io non ti vado bene per le seratine rock?” La metteva sempre sul personale. “A Ponte Milvio vieni sempre con sta roba da Nerd” Era una questione di situazioni diverse. “Cazzate” Con Mattia uscivamo sempre dopo gli allenamenti o pretendeva che avessi messo il chiodo di pelle nel borsone da spogliatoio? “Ti piace farlo venire duro a quel frocetto?” Si riferiva a Toni. “E perché sarei fuori di testa a pensarlo, perché?” Mi costrinse a indossare la cravattina di pelle e quel cazzo di chiodo. “A me lo fai venire duro, senti qua” Non sapevo che fare quando gli prendeva così. “Guardami negli occhi, cazzo!” Per fortuna che arrivò Sandro a togliermi da quell’impaccio.

"Ho svuotato le boracce, andiamo?” La prima regola di Sandrocchio era farsi una sega prima di uscire, perché la seconda sborrata lo metteva al sicuro dall'eiaculazione precoce. “Che state combinando?” Mattia mi aveva stretto in un angolo e a prima vista poteva sembrare che stessimo per suonarcele. “A Sandrì, s’è fatto tardi, portace lui a scopà o finisce che sto scemo ce diventa checca” Non bisognava mai sottovalutare la gelosia di Mattia. “Ma che gli hai fatto?” Se ne andò sbattendo la porta di casa “Beh, peggio per lui” A Sandro importava solo della sua serata glam. “Dai, mettiti qualcosa di elegante e andiamo” Io non avevo voglia di andare a cena in qualche specie di bordello. “E piantala de fa’ l’impunito!” Ecco, finiva sempre che ero io il guasta feste.

Quella sera Sandro festeggiava l'incasso di una marchetta con una gran signora milanese, tanto antipatica e arrogante quanto generosa. Era Mattia che gli aveva fatto il favore d’intrattenere la figlia della maiala e quindi non c’era motivo che mi pagasse la cena. "Dai retta a zio che un posto così non l’hai mai visto" Fu così che il mio “precettore” mi portò a cena nel locale più trasgressivo della capitale. "Il ragazzo non può entrare" Disse il maitre che pareva una brutta donna che sembrava un uomo. "E' mio fratello, lo saprò se ha diciotto anni" Mi ero appena rasato e senza barba, la statura non era sufficiente a ingannare la mia giovane età. "Che sta succedendo?" Quella fu la prima volta che incontrai Roberto, era il gestore del locale. "Su annamo Roberti’, è mio fratello … diciotto'anni, diciassette che vuoi che sia, gli voglio fa’ vedere un po’ di ciccia" Roberto confabulò con la maitre e poi questa mi guardò come se mi volesse salvare da un guaio, poi però abbassò gli occhi bovini e ci accompagnò a un tavolo.

Lungo le pareti del locale erano sistemati dei salottini che la semioscurità rendeva assai discreti. Il nostro tavolinetto, invece, sembrava sistemato in mezzo a quella che doveva essere una specie di pista da ballo con uno specchio per pavimento. C'era solo un palchetto in fondo alla pista, dove due bellissime ragazze in topless ballavano svogliatamente della disco music. "Verdure grigliate, giusto?" Disse il o la maitre quando venne a prendere la nostra ordinazione perché Sandro cercava di farmi ordinare un cocktail di scarafaggi rosa decorticati (cocktail di scampi). "Per te succo di pompelmo, giusto?" Disse ancora la grassona che pareva un maschio quando Sandro ordinò due gin and tonic. "Ma la conosci?" In effetti, mi parlava con eccessiva confidenza.

"Abbiamo fatto colpo, bello!" Al centro del tavolo c'era un … telefono? Un citofono? Bah, era sicuramente una cornetta accanto a un prisma rosso con un numero che s'illuminò, Sandro stette un po' a parlare e poi si voltò sulla sedia. Riposta la cornetta, mi disse tutto eccitato che avevamo fatto colpo su una signora. "Qui si scambiano le mogli, hai capito?” Eravamo stati appena agganciati da una coppia di scambisti. “Non mi starai diventando seriamente checca!” A me quella vecchia non piaceva. “Ma sta zitto, sei proprio un ragazzino” E sti cazzi. "Io adoro il peperone fresco" Disse così quella tizia in calze a rete su tacchi esagerati. Si avvicinò al tavolo e prese un peperone dal mio piatto prima di declamare la sua battuta a effetto, poi se lo cacciò in gola come Diana dei Visitors faceva con i ratti. "Cazzo, che roba!" Sandro era super eccitato perché non gli era mai accaduta una cosa così. “Sei una fata, baby” Gli aveva mugolato per farla voltare ancora una volta mentre se ne tornava al suo tavolo.

“Che fai, non ti lanci?” L’ingenuo non aveva capito che quello spettacolino era stato inscenato per arrapare il marito che la guardava dal tavolo. “Tu dici che ...” Sandrocchio era talmente vagina dipendente che non vedeva nient’altro. "Che schifo!” Se ci fosse stato Mattia al posto mio, si sarebbe sicuramente divertito a infilare Sandro nel letto della milf, solo per vedere la sua faccia quando capiva che il marito si sarebbe segato guardandoli scopare. “Ho partecipato a certe orge!” Dopo quella figuraccia, voleva riguadagnare punti con la storia di una fantasmagorica scopata. “Che ne dici se zio ti organizza una roba a tre con una di quelle ballerine?” Non aveva abbastanza soldi da pagare anche l’altra? “Mi sa che Mattia c’ha ragione” Ero frocio perché non volevo vedere il suo culo peloso mentre scopava? "Quando stai nel mucchio, scatta il fattore animalesco" Quello di cui non teneva conto Sandro è che se scattava a me il fattore animalesco, era il suo culo che avrebbe rischiato grosso.

"Ciao Sandro!" Dov’e che mi aveva portato Sandro? Ma ovviamente in uno dei night club di Ciro o’pazzo. Sì perché Roberto, il gestore, era il suo futuro genero, cioè il promesso sposo di Lidia! “Ciao rigattiere ...” Non ci frequentavamo più dai tempi delle medie, forse da quando Edo si era tolto la vita. “Qui lui non ci può stare?” Era acidissima quando ci venne a salutare. “Ci fanno chiudere, se pescano un moccioso al tavolo” Dio sicuramente esiste ed io dovevo proprio stargli sul culo. “Ma voi non stavate insieme?” Che parolone! Un flirt estivo o una leccata di figa non bastavano certo per dire che eravamo stati insieme. “Ben detto ... rigattiere” Io sarò stato pure un rigattiere, ma lei che ci faceva in quel covo di mignotte? “Lavoro al bar ... straccivendolo” Mi versò il succo di pompelmo addosso come in una banale commedia sentimentale. “Ti saluto Sandrì” La maitre, cioè Olga, sua sorella, quella che mi aveva pulito il culo da piccolo e perciò che mi conosceva, arrivò prontamente ad allontanarla prima che Roberto si avvedesse di come sbrodolava ancora per me. “Sandro per favore, andatevene subito” Addirittura! Ci stavano cacciando! Mi ero rotto i coglioni di finire nei merdoni … quindi ne combinai uno più grosso.

Chiesi a Olga d'indicarmi i bagni per riparare il danno alla mia preziosissima camicia di alta sartoria. Lei mi scortò fino alla porta e se fosse stata un uomo, mi avrebbe seguito fin davanti al pisciatoio. Quella storia del rigattiere mi bruciava troppo e poi da che pulpito arrivava la predica! Volevo riscattarmi da quella figuraccia, dovevo dirgliene quattro, anche se non sapevo esattamente cosa andarle a sputare in faccia ... intanto con l’acqua la macchia stava peggiorando e allora la misi sotto l'asciugamani elettrico. Fu a quel punto che entrò il marito della tizia del peperone. "Sono rischi del mestiere per un bel giovinetto come te" Magari non disse proprio così, però ricordo bene la sua voce viscida e il tocco della mano che mi scivolava sotto la canotta. "Ci piacerebbe giocare con te … come se fossimo il tuo papà e la tua mamma" Sì, era proprio una gran sozzeria, ciò non toglie che le mie crisi di violenza erano incontrollabili. Le parole che usò furono una specie di combinazione che misero in allerta la mia amigdala che scattò come una fionda per mettermi al sicuro > Marcello docet: una gomitata allo sterno, che lo aveva lasciato senza fiato, seguito da una capocciata, che lo fece sanguinare copiosamente.

Zeno sosteneva che le mie crisi di violenza corrispondevano a quei No che da bambino sentivo esplodermi dentro in maniera autolesionista, ora deflagravano all’esterno in quel modo. Mi succedeva sempre più spesso e non era passato molto tempo dall’ultima volta. Era accaduto a scuola e a farne le spese era stato il bulletto della mia classe, si chiamava Cecia ed era un piccolo e insignificante essere di sessanta chili fatti di ossa e pus dei sui foruncoli. Giocava a fare il duro perché era un ripetente, non so perché mi aveva preso di mira, ma l’ultima volta che lo fece si ritrovò scaraventato sui banchi, e poi lo presi per la cintola dei jeans e lo tirai contro il muro come fosse un fantoccio di pezza ... e non mi fermai, però quello iniziò a correre come una mosca ceca. Magari capitava a tutti di perdere il controllo, ma in me c’era anche una lucida volontà omicida supportata da una forza fisica che scoprivo ogni volta più potente. Anche in quel bagno ero lucidissimo quando mi stavo rinfilando la camicia e il verme ancora rantolava le sue ragioni. Gli stavo per spezzare quella sua lurida mano, quando cercò di opporla alla mia che lo derubava del portafogli e quando mi dette del ladro, lo stesi con un man rovescio tra i due pisciatoi.

Quando uscii, mi curai di spostare con circospezione una fioriera davanti alla porta dei bagni e poi salii le scale per andarmi a sedere al bancone del bar. Fino a un attimo prima, l'adrenalina scaricata nel cervello mi aveva fatto vedere chiaro il da farsi, ma quando arrivai davanti a Lidia ci fu il blackout totale. “Se vuoi stare seduto, devi consumare” mi disse sul grugno sbattendomi davanti uno shottino di vodka … la ingollai di un fiato … secondo shottino … idem … terzo … giù come fosse acqua. “Cerchi rogna?” Non c’era niente di razionale in quello che stavo facendo. “Io … io …” Gli alcaloidi stavano combinando uno strano cocktail nel mio ipotalamo “Deeev …” disfasia del linguaggio? No, era la mia solita balbuzie emotiva. "Non ti azzardare a balbettare che non m'incanti" Dovevo parlarle ma se non la piantava d'irrompermi. "Sei sparito, cazzo!" E che le cose accadono e poi diventa complicato trovarci un senso. “Ti odio” Non volevo essere quel mostro che mi stava raccontando e poi era lei che mi aveva pisciato via! “Vaffanculo, non ti voglio più vedere” Perché non la piantava di parlare e come ci godeva a farmi male! "Se avessi un minimo di dignità …" Se fossi stato una lurida troia come andava dicendo, li avrei accettati quel pacco di soldi che mi aveva appena offerto il vecchio nei cessi, invece no … "Che hai fatto!" Voleva farselo succhiare mentre lo chiamavo papà invece gli avevo fatto lo sconto e spaccato la faccia.

"Gli hai rubato i soldi?" E secondo lei come li stavo pagando i suoi shottini? "Tu sei da ricovero, cazzo!" Lidia scese giù nei bagni e poi mi chiuse in dispensa, credo che dopo corse da Olga. Il trambusto o l'alcol o tutte e due le cose, mi fecero venire un attacco claustrofobico > Sudavo e mi mancava l'aria, anche se la dispensa era grande come un magazzino. Fui felice di vedere Lidia tornare e ancora di più perché mi abbracciò. “Io ti avevo invitato alla mia festa di compleanno, non come quella stronza di Giada” La vita era così difficile da decifrare. “Non fare così, cazzo!” Cadute verticali, ne ebbi una in quel momento … mi arrendo a una marea nera che sale e trabocca, sono patetico quando succede, ma di Lidia non mi vergognavo. “Lo so da me che sei un casino” La mia vita era tutto un casino e lei lo sapeva. “Credi che la mia sia migliore?” Avrei voluto aiutarla. “Che casini che siamo!” Non era esattamente il momento di farsi venire le fregole, eppure avevo bisogno di mordere la sua anima e a lei non dispiacque perché mi baciò persino con più intensità della mia. Ci aprimmo le camicie per sentirci pelle a pelle ed era bello … era molto bello.

"Ma vi sembra il momento!" Beh, come dare torto a Olga che giunse con un’espressione severa in volto, ma con una voce che mi rassicurò perché sapeva cosa c'era da fare. "Datti una sistemata e vai di sopra che Roby ha già chiesto dov'eri" Spedì via Lidia perché Roberto era paranoico, poi mi chiese anche lei se avevo rapinato il tizio del cesso. "Ma se mi ricapita sotto le mani quel coglione che t'ha portato …" Olga aveva chiesto aiuto a Sandrocchio e quello se n'era letteralmente scappato via. "Te ne devi andare …" La visitors stava piantando un sacco di grane con la storia della rapina al marito e nonostante quello non volesse, lei insisteva nel voler chiamare l’ambulanza e quindi Olga mi spiegò che dovevano chiamare pure i carabinieri, per cui mi avrebbe fatto uscire dal montacarichi della dispensa. Lei mi accompagnò fino alla rampa del garage, dove aprì il cancello con il telecomando. Ci abbracciammo e mi sorrise prima di ammonirmi che non voleva più vedermi da quelle parti.

Sperai che Sandrocchio almeno si fosse fermato fuori dal locale ad aspettarmi, invece non trovai traccia del suo Porche. Mi allontani a piedi … avessi almeno saputo dove cazzo mi trovavo, sapevo solo che a casa non potevo arrivare senza un mezzo di trasporto. Era notte fonda e ovunque avessi chiamato, avrei creato un bel trambusto. Cercai strenuamente di ricordarmi il nuovo numero di telefono di Dante, ma proprio non ci riuscii … non mi rimaneva che provare con Toni, cui la madre dormiva regolarmente dal notaio del quarto piano."Te lo avevo detto io …" Venne a recuperarmi in scooter e non mi risparmiò nemmeno uno dei suoi polemici «te lo avevo detto io». Ma sì che era anche piacevole starlo a sentire mentre si faceva venire una crisi di nervi nel cercare di spiegarmi quanto fossi cretino > E' rincuorante trovare qualcuno che è ancora disposto a incazzarsi per te.

"Sei ubriaco" No che non lo ero, il gelo della notte mi aveva del tutto fatto riprendere, ma figurarsi se Toni mi faceva guidare … neanche insistetti più di tanto perché non mi dispiaceva rannicchiarmi dietro di lui per ripararmi da vento. Mi ci spalmai addosso, con le mani al calduccio sotto la sua felpa del pigiama … mi ero dimenticato che Toni aveva un fisico scultoreo … specie i pettorali mi parvero gonfi come due tette di marmo! "La pianti di ravanare!" Mi disse senza troppa convinzione, quando si fermò al semaforo rosso di un incrocio deserto. "Vaffanculo" Mi venne da ridere e fu liberatorio dopo quella serata da incubo. Mi ci stropicciai contro con maggiore convinzione e gli dissi che era caldo come un termosifone e allora mi sfanculò. "Domani io ci vado a scuola …" Dopo il lungo viaggio all'addiaccio non aveva senso che se ne tornasse fino al quartiere Prati. "Scemo … ridammele!" Lui iniziò a fare storie che non poteva dormire da me, sempre con le sue solite immancabili frecciatine orticanti e allora gli sfilai le chiavi dello scooter e se non voleva passare la notte in mezzo alla strada …

Approfittai dei vantaggi di avere una caldaia a gas autonoma per farmi una lunghissima doccia bollente. Il fragrante odore di muschio bianco mi schiumava addosso portandosi via l'odore di disinfettante di quel cesso nel locale di scambisti. I ricordi negativi tendono a prevalere nella memoria emotiva perché hanno il preponderante compito di preservarci dal pericolo, allora li lavai via con la visione dei grossi seni di Lidia e la sensazione intensa che mi davano premendosi contro la mia pelle. Tentai anche di masturbarmi, ma non riuscii a eiaculare … per farlo bisogna abbandonarsi, cedere il controllo, in qualche modo fidarsi e per me era sempre più difficile farlo anche con la mia mano.

"Dormi?" Toni si era andato a coricare e aveva lasciato la porta socchiusa, quindi la feci scivolare domandando a voce bassa se stesse già dormendo. Non lo avevo fatto salire per poi andarmene a dormire da solo. "Che stai facendo!" Mi stavo semplicemente distendendo sotto le coperte accanto a lui. "E' troppo stretto" Era lui che non voleva venire a dormire nel letto matrimoniale. "Puzzi come un cane bagnato" Ma vaffanculo, quel bagno schiuma costava un occhio della testa! "Almeno asciugati" Avevo l'accappatoio e sì, forse sarà stato anche un po' umido. "E' fradicio" Che palle! "E mettiti le mutande" No e poi mi andava di riprovare quella sensazione del pelle a pelle. “Non ti azzardare …” Ma quante storie … come se non avessimo mai fatto dei giochi sozzi. “Smettila!" Gli tenni le mani bloccandolo sotto di me e sentii i suoi muscoli afflosciarsi … come se nella sua inerzia vi fosse un'azione erotica. “Che ti è preso adesso?” Cercando di capire cosa era appena successo, ero rimasto a fissarlo.

"Non guardarmi così …" Lo liberai dalla mia presa e poi sciolsi quel momento enigmatico in un sorriso. Mi grattai vigorosamente la testa per cercare di farci uscire qualche parola. Allora Toni si sfilò da solo la maglietta del pigiama. "Non accendere la luce" Mi aveva chiesto se volevo ancora guardarlo, ma come potevo riuscirci se non accendevo l'abatjour? "Ti piacciono così tanto?" Le tette non è che mi piacessero poi tanto, certo però che lui non le aveva e allora perché si era abbracciato il petto come se ne avesse un paio da celare al mio sguardo? "Mi stai facendo il solletico …" Toni era proprio bello e mi piaceva anche quel suo labbro superiore sporgente da paperino, il naso a patata e gli occhi! Come avevo fatto a non accorgermi di quei due frammenti di cielo incastonai in un taglio tondeggiate da manga. "Per favore, piantala di dire cavolate …" Nascose lo sguardo sotto il cappello dell'abatjour. "No e no!" Beh, non è che non l'avessi mai visto in costume, che male c'era a farmi dare una sbirciatina sotto l'elastico del pigiama? "Sei proprio un pervertito" Lo tenevo ancora prigioniero tra le gambe e non poté fare molto per impedirmi di tirargli giù i pantaloni … come facevo a sapere che stava senza mutande! "Ti prego … no!" E ormai il guaio era stato fatto e il mister faccia da schiaffi era arrossito come una verginella.

"Oddio!" Giuro che non l'avevo toccato … improvvisamente s'irrigidì e si strinse i pugni sulle lenzuola come per trattenersi … aveva appena eiaculato. "Avanti, ora puoi anche iniziare a canzonarmi" Soffriva di eiaculazione precoce? "Non mi succede sempre" Molto precoce. "Anche prima sullo scooter …" Ecco perché si era tolto le mutande. "Smettila!" E ma lo aveva ancora duro. "E’ colpa tua … mi piaci troppo, imbecille!" Eppure non è che non ci fossimo mai toccati prima, mi ricordo dei succhioni in macchina di sua madre … “Eravamo dei ragazzini” In effetti, durante l’adolescenza gli anni vanno contati moltiplicandoli almeno per due. “La pianti?” Glielo tenevo stretto in una mano, tutto qua. “Ho appena eiaculato e sono super sensibile” A me non succedeva. “Perché sei una puttana” La dovevano piantare di darmi della puttana, cazzo! “Vuoi che ti aiuti?” Farmi una sega? No, ero ciucco. Preferivo addormentarmi abbracciato a lui. "E' stato bellissimo" Sussurrò sul cuscino, un attimo prima di addormentarsi. Io, invece, vai a scoprire perché … non chiusi occhio e trascorsi quella manciata di ore a maledire la mia ghiandola pineale farlocca.

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  • 5 months later...
Silverselfer

 

Spoiler

E' da aprile che non posto più nulla e nel frattempo è trascorsa un'intera estate ... ma non è che non scriva, anzi, è vero il contrario --> La guerra in Ucraina mi ha fatto porre molte domande sull'universo mondo, cui sto rispondendo a modo mio <-- per iscritto ... ma questa è un'altra storia.

Bando alle mestizie (si fa per dire) qui c'è molto materiale per un mercatino fantastico di memorabilia anni ottanta! Stiamo vivendo gli anni di Footloose ...

Che dire, questo è il film che lanciò nel firmamento internazionale Kavin Bacon ... ammetto di non conoscere sto film, la cui trama sono sicuro che trattasse della vicende di un ballerino alla ribalta ... anche se nel trailer ci sono cose tipo i volteggi all'asta e non so che caspita c'entrino. La cosa certa è che Kavin Bacon usa una controfigura che balla al suo posto ... niente di che.

Uh, uh, uh ... mi sono appena letto la trama e ci sono dettagli tipo che il protagonista legge libri proibiti tipo Mattatoio n.5 (!) No, non deve essere molto pop tipo --> Flashdance! <-- E a proposito di controfigure, qui la controfigura usa una parrucca inverosimile ..

Il film non mi piace, ma di questo ho la colonna sonora su vinile >>iper80's<< tipo questa Kim Carnes d'annata con Bette Davis Eyes

Ricordo che navighiamo nei mari dell'1983 e da questo momento si susseguirono tutta una serie di film sul genere dance ... di cui però so poco e niente.

Arriviamo a qualcosa di attualità --> Occhi di tigre vi ricorda qualcosa? (povero Letta [e poveri noi]) --> In ogni modo, qui si parla di Rocky IV, quello con Ivan Drago ... ma siccome la colonna sonora è roba che non si può ascoltare oltre i confini dell'Alabama , vi metto il rocky III quello di eye of the tiger

E poi ... come non citare Cercasi Susan Disperatamente con un'esordiente al cinema come Madonna, cioè l'unico film decente della sua carriera ... "Evita" è un musical e non lo conto ...

Tuttavia, i grandi successi come questi sono delle icone senza tempo, sono invece quelle robe super commerciali e mega stereotipate tipo i Cugini di Campagna che hanno addosso la puzza dei loro anni e Beverly Hills Cop è così ... loro sono le  grandissime Pointer Sister!

Basta così o il mercatino diventa una vendita all'ingrosso ...

Accettare un dono è come se contrassi un debito di riconoscenza  che restituirai nel giorno del bisogno. Quando ne fai uno, non sentirti in imbarazzo a chiederne indietro la dovuta riconoscenza perché stai reclamando il patto che tiene insieme la comunità dei giusti. Non fare doni a chi non sa bastare a se stesso, quelli non potranno che restituirti l'invidia per quanto ancora non gli hai regalato.(Zia Pina Docet)

 

Randagio

 

Avevo perso il senso dell'orientamento e capitava che mi recassi il giorno sbagliato a casa di chi mi accoglieva dissimulando malamente l'imbarazzo di vedermi comparire sulla porta. Confesso che talvolta lo facevo apposta; per esempio, a casa di Paolo ci andavo nei giorni in cui c'era la colf, così mi faceva il bucato, tanto da non dover essere di peso a Evelina che aveva le mani rese bitorzolute dall’artrosi < Avrò pure avuto il diritto di fare come mi pare, visto che pianificavano ogni cosa senza interpellarmi? Quella cui stava più sul culo la mia condotta da randagio era la psiconazi dell’assistenza sociale > Era allarmata dal valore troppo alto di malinconia segnalato nelle mie analisi delle urine mentali. La mia tristezza non era diversa da quella degli altri, ma andava curata perché attentava alla mia sopravvivenza. Se solo avessi trovato sufficientemente appagante i bisogni della copula e la crapula, anch’io sarei guarito. Quello che più m’infastidiva era il commento alla mia dipartita che avrebbero fatto le giornaliste ex troie del jet set che si riciclavano tra cronaca rosa e cronaca nera, sempre alla ricerca di stereotipi su cui affilare i pregiudizi > Si vestiva sempre di nero, non aveva la fidanzata, non andava alle feste, odiava i cagnolini …

“Hai appena espresso dei pregiudizi per affilarci sopra del sarcasmo” Quando ero con Zeno, capitava spesso che lasciassi parlare i miei pensieri come se non ci fosse. “E’ stupido non amare la vita”. Andavo al Mykonos perché ci trovavo sempre qualcosa da fare … qualche volta Zeno telefonava ad Evelina per dirle che mi portava a casa sua. “Tu non vuoi essere felice, questo è il tuo problema” Ricordo il suono sordo che faceva lo sportello della sua auto quando si chiudeva … “Potresti almeno sforzarti, No?” … con Zeno mi sentivo al sicuro. “E da dove sono usciti i soldi per queste?” Però di padri ne avevo fin troppi e quindi doveva farsi un pacco di cazzi suoi. “Costano un occhio della testa” Sì, erano gioielli provenienti dal galeone di marzapane del Capitan Melassa. “Mi devi dire come campi, innomineiddio!” Quei cestini di frutta candida erano così colorati e cosparsi di brillanti cristalli di zucchero! “Brusco, non è così?” Chi era quel bastardo che gli aveva riferito la chiacchiera dei soldi di Brusco?

“Brusco è un delinquente!” Quando Margherita fu operata per la prima volta al labbro leporino, andai a trovarla in ospedale e le comprai dei palloncini con dei cotillon e, quando tornò a casa, le preparai una festa di carnevale fuori stagione > le piaceva troppo il carnevale! “Quell’idiota di Primo fa finta di non accorgersene” Per via dell'aberrante sfregio, solo le maschere di carnevale le permettevano di essere come gli altri. “Io non ci finisco nelle peste per le cazzate di Primo” I sorrisi storpi di Margherita somigliavano alla mia riprovevole felicità. “Rispondi” Che cazzo voleva sapere? “Io so tutto di te, pure quello che fai in giro” Di che si preoccupava? “T’immischi in affari più grandi di te e maneggi troppi soldi” Margherita non avrebbe mai saputo come suo padre si procurava i soldi per gli interventi che l’avrebbero resa bellissima. “Io sono un adulto e so badare a me stesso” Zeno faceva paura a tutti, ma non a Brusco. “Tu mi metterai nei guai” Brusco m’infilava qualche soldo nella tasca dei jeans e poi schioccava la lingua facendomi l’occhiolino, in cambio gli davo compagnia perché al club schifavano tutti la sua puzza di porcilaia. “Io non posso starti sempre dietro!” Zeno doveva rispettare i patti > lui mi aveva chiesto di diventare suo socio e siccome io la mia parte l’avevo sempre fatta, stavo reclamando la giusta riconoscenza.

“Brusco, Fefè … i viados … e … e so anche delle storie al Monte di Pietà con il giro dei rigattieri, spero solo che non presti anche i soldi a strozzo come faceva tua Zia” Zeno era chic mica mondezza de’ borgata, ora l’aveva comprata quella palestra alla Garbatella, dove prima campava con due soldi di stipendio > Prima di conoscere me. “Mi stai ricattando!” Volevo solo la sua riconoscenza. “Certo che non sono come quella gentaglia” Aveva sicuramente più buon gusto e aveva trasformato il Mykonos in un ninfeo subacqueo, dove trovavano riparo dalle ore diurne le affascinanti creature delle notti romane> Piccoli nugoli di sirene vi si tuffavano dalle prime ore del pomeriggio. Giungevano discretamente scivolando tra le ombre del centro storico, avvolte in anonimi mantelli che smarrivano appena discese nei meandri del beauty center. Allora si vedevano fiorire in folte chiome raccolte con vezzoso negletto mentre verginali asciugamani pendevano dai prosperosi seni. Il loro celiare allegro, a volte lieve come un cinguettio o deflagrante come lo scroscio impetuoso di una cascata, ubriacava l’udito di Zeno che se ne beava mai sazio. “Smettila, non fai ridere” Lui era stato il mio psicoterapeuta infantile e doveva sciacquarmi dai coglioni quella psiconazi dell’assistenza sociale, me lo doveva e l’avrebbe fatto.

“Vaffanculo, Randagio” Sì, il Mykonos era un troiaio > Maschi e femmine commerciavano la loro bellezza. Nella capitale c'era sempre un'abbondante richiesta di bellezza e ne affluiva da ogni parte del mondo. L'offerta straniera era sofisticata mentre quella nostrana era un po' rustica perché si trattava spesso di materiale universitario fuori sede e soprattutto fuori corso, che era disposto a tutto pur di non tornarsene in provincia. Poi c'era la fauna locale come Lidia e Carmelo che erano i più scafati e conoscevano bene le regole del gioco. Erano tutti convinti di essere depositari di uno sconosciuto talento che gli avrebbe spalancato le porte del successo. Il Mykonos faceva parte di un complesso sistema che alimentava questa illusione ed era collegato a scuole di portamento, corsi di dizione o più genericamente sedicenti accademie dello spettacolo. Per il vero, si frequentavano questi luoghi nella speranza di scoprire dove cazzo si tenessero quei fantomatici provini, in cui ti avrebbero finalmente chiesto il culo in cambio di un contratto da VIP.

“Credi di sapere tutto” Zeno si faceva passare per una sorta di guru della bellezza del corpo e dell’anima < Erano proprio queste le frasi ad effetto che vendeva all’ingrosso. Donne e uomini pagavano cifre da capogiro per sgrossare via dal loro aspetto delle inopportune originalità > La scienza del Mykonos ti rendeva socialmente desiderabile. “Quindi ti starei sfruttando!” C'era una nutrita flotta di volontari che pur di avere un ruolo in quel magico mondo, sgomitavano per rendersi utili. “Vorrei sapere che ti passa per la testa” In tal senso, io ero un privilegiato perché preparavo i lettini, accendevo i fornelletti delle cerette, avviavo i boiler e all'abbisogna cambiavo anche la carta igienica nei cessi. In cambio dell'impegno profuso, ricevevo bonus per partecipare ai corsi "professionali" che esponevano le locandine nella bacheca. Anch'io covavo il sogno di diventare famoso, anche se con quei bonus finivi per svolgere ruoli secondari come già accadeva al Mykonos, tipo essere l'assistente di portamento nell'agenzia di moda, fare il suggeritore durante le rappresentazioni teatrali o qualsiasi altro tipo di prestazione non retribuita.

“Innomineiddio, non farmi incazzare!” Restando in quel giro, la massima ambizione che potevi coltivare era di diventare carne da privè nei night club > Ovvio che non si trattava di prostituzione! Si percepiva un cachet per la serata, cui si partecipava a vario titolo: animatore, ballerino, attore o meno pretenziosamente come «ragazzo immagine». Succedeva un po’ come in quelle televendite, dove compri un lenzuolo e ti danno il letto in omaggio. “Ti dovrei pagare?” I papponi non si sentivano tali perché non lucravano sull’eventuale prestazione sessuale, della quale era severamente proibito parlare. “Non è così che funziona” Per i sedicenti artisti si trattava di uno scambio di favori, tipo la raccomandazione per un provino o comunque per ottenere un ruolo nell’ambito dello spettacolo > Solo quando scopavi per soldi, diventavi una fottuta troia.

“La tua psichiatra ha proprio ragione!” Zeno si spaventava quando non poteva gestirmi. “Il tuo è un disturbo ossessivo compulsivo” Alla psiconazi avrei dovuto proprio raccontare quella mia paranoia vissuta nella casa al mare di Agostino? “Devi fidarti di me, ok?” Strana richiesta da farsi a un paranoico. “Ti conosco fin da quando eri un frugoletto” Cioè quando iniziò a scoparsi mia madre. “Te lo ricordi?” Mi ricordavo di ogni singola ghianda infilata nella tasca dei miei pantaloni. “Non voglio averti sulla coscienza” Zeno era come tutti gli altri adulti che ritenevano ancillare la vita dei giovani. “Come devo dirti che non la conosco?” Però, anche i giovani avevano i loro scazzi e lui mi doveva liberare della psicosvalvolata. “E’ una consulente esterna designata dalla giudice” Se i miei non la piantavano di far casini, quella giudice non mi avrebbe mai mollato. “Sai meglio di me cosa vuole quella psicoanalista da te” Certo che lo sapevo: Media scolastica, risultati sportivi, fidanzatina e natale in famiglia > Roba da campo di rieducazione cinese. “Questi bastano?” Due centoni? Per ora me li facevo bastare, ma il suo debito non si liquidava con così poco ...

 

L’apprendista stregone allergico all’amore

 

Gli artigiani della bellezza negli anni ottanta erano dei veri e propri guru, la cui fama era commisurabile alla parcella. Zeno era ritenuto un vero scultore, una sorta di Michelangelo che sapeva vedere la bellezza imprigionata nel lardo. Lui era un tipo decisamente carismatico e gli bastava qualche citazione ad hoc per convincere chiunque a mettersi nelle sue mani. Nessuno obiettava qualcosa, neanche quando c’era da ricorrere a mezzi poco legali, tipo farmaci eccetera. La sua teoria si basava sul come trasformare la volontà di essere attraverso il sacrificio > I suoi trascorsi da seminarista si sentivano > Lo sforzo era la combustione necessaria per attivare i vari processi di trasformazione. Sì, ero affascinato dalle sue teorie e del resto, ero cresciuto piluccando i suoi testi di medicina, specie quelli orientali; tuttavia, trovavo infinitamente interessante anche la sua enciclopedia di medicina generale … fu in tal modo che da suo apprendista stregone elaborai la mia personale teoria del rush …

Non seppi mai tramutare la mia teoria in una terapia finalizzata a raggiungere degli effetti concreti, ma era comunque una pratica apprezzata da tutti ed ebbe l’approvazione persino di Zeno. Il fenomeno del rush era una sorta di leggenda che si raccontava tra gli atleti sottoposti a sforzi prolungati e che causava inebrianti stati di euforia. La scienza presumeva che fosse indotta dalle endorfine che hanno una struttura peptica prodotta dall'ipofisi, come i peptidi bioattivi che avevano un coinvolgimento diretto nelle pratiche prescritte da Zeno. Per farla breve, il mio rush era un prolungato sforzo anaerobico, eseguito in un crescendo tale da indurre l'ipofisi a scariche ormonali. Vero o no, i dati che raccolsi convinsero anche Zeno > In particolare i maschi reagivano con attacchi di feroce euforia. C'è da dire che i migliori risultati li ottenevo potenziando l’escalation del rush stappando una fialetta di nitrito di amile … ma era un plus ultra e Carmelo era solo invidioso del mio successo a sostenere il contrario.

Carmelo arrivò a darmi del ladro perché secondo lui gli avevo rubato l’idea, ma c’era una grande differenza dal farsi una sniffata di Popper in palestra e un’attenta pratica supportata da dei dati certi … e fu solo per il suo bene, se poi informai Zeno che gli avevo visto assumere androgeni diversi da quelli prescritti > Come potevo immaginare che Zeno reagisse così drasticamente cacciandolo dal Mykonos? I fatti però mi smentivano e anche se non lo feci di proposito, contribuii al rapido declino sociale di Carmelo. Fu per il senso di colpa che non lo lasciai indietro come invece fecero tutti gli altri. Andavo persino a casa sua > San Basilio!> per aiutarlo a studiare perché da solo sui libri proprio non riusciva a starci e, tra parentesi, Carmelo riuscì a diplomarsi ragioniere alla faccia dei suoi che lo ritenevano un sottosviluppato. Insomma: gli piazzavo i regali delle marchette, gli trovavo dei nuovi clienti, cercavo anche di metterci una buona parola con Mattia che in alcuni giorni diceva persino di odiarlo! Che altro dovevo fare?

Carmelo era il tipico ragazzo che si lasciava ammaliare dalla grande bellezza > Lui lottava con un’autostima bassa almeno quanto la sua statura, che gli induceva una sperticata volontà di potenza. Per lui la grande bellezza diventava un miraggio, i cui riflessi rivelavano ciò che poteva appagare il suo desiderio > Un consenso sociale che lo facesse emergere dalla mediocrità, in cui però si pasceva beatamente. Carmelo era ben conscio di fare un gioco in perdita, ma non poteva rinunciare alla speranza di una folla acclamante, così reagiva imputando al resto del mondo la volontà di fregarlo, compreso me … specie quando occupai il suo posto in squadra … lui reagì malissimo!

Io perché rincorrevo la grande bellezza? Che cosa stavo cercando? Con Vanni avevo sofferto il complesso del figlio del maggiordomo e da quando se n’era tornato dai nonni, si animava in me un desiderio di rivalsa e sognavo platee rock acclamanti, pur non avendo mai intonato una nota in vita mia. Di sicuro provavo una perversa fascinazione per i colori della notte, la musica pulsante delle stelle, la voglia di fuggire dalla luce accecante del giorno e riparare nell'oblio che illumina senza delimitare orizzonti … forse ero solo alla ricerca di un estemporaneo scroscio di presente. “Io sarei … come stai a di’?” Scroscio di presente? Sì, forse … nel senso che da quando faceva il regista di Luca, Dante era ufficialmente entrato a far parte del circo della grande bellezza. “Me lo dai il culo, se te manno in televisione?” No, cercavo Dante perché gli si illuminavano gli occhi quando mi vedeva apparire sulla soglia del suo appartamento e potevo farlo a tutte le ore del giorno e della notte … lui era sempre felice di vedermi.

Dante, dopo aver fatto lo squatter al gasometro della Magliana, si era trasferito a casa del padre genetico. Gaetano era simpatico … beh, nella misura che lo può essere un depresso cronico … che poi pareva anche un po’ una posa d'artista, anche se aveva abbandonato ogni velleità artistica e si era messo nel business dei matrimoni > Realizzava servizi fotografici per le spose. “A papà, Lolita è roba etero” Gaetano e Dante più di padre e figlio, erano due amici e per ogni piccola questione intavolavano un dibattito. “Vallo a raccontare a un giudice che non è un adolescente” A me piaceva starli a guardare … credo che invidiassi il loro rapporto. “E’ lui che s’è scopato a me, chiaro il concetto?” Però erano pur sempre un padre e un figlio, col primo che non riusciva a fare a meno di preoccuparsi. “Manco stamo assieme, ma de che stamo a parlà?” All’inizio, Gaetano si disturbava quando mi vedeva in casa sua …

Decisi di andare a cercare Dante quando bigiai gli allenamenti per non incontrare lo sguardo rancoroso di Carmelo per via della sostituzione in squadra. Rimasi a girovagare completamente tramortito da una realtà che continuava a prendermi a pugni nello stomaco. Ingoiai l'amarezza insieme alle medicine contro il male di vivere e mi ritrovai a piangere le mie pene nel bar della stazione di servizio di Gina, quella del numero di telefono che Dante mi aveva dato davanti al baretto di Campo de’ Fiori. C’erano delle carte piacentine su un tavolinetto del bar e così feci sfoggio degli insegnamenti di Fefè leggendo le carte a Gina, era un gioco per contraccambiare la maestria con cui era riuscita a cavarmi fuori dal pozzo. Lei prese molto sul serio quel gioco e mi costrinse a rifarle le carte e rifarle ancora e ancora, una roba che se avessi saputo che le prendeva in quel modo … e dopo avermi pagato perché era straconvinta che portasse iella farsi leggere le carte gratis, di punto in bianco mi presentò il padre di Dante sbucato fuori da non so dove. Mi ritrovai così a mettere i miei passi dietro a quelli di Gaetano che mi condusse a casa sua.  

"Tranquillo che stasera sta a casa perché deve monta' un filmato" Loro abitavano in un ex portierato di Viale Marconi. Era un bell'appartamento da cui si accedeva scendendo un piano sotto il livello stradale, ma siccome sul retro del palazzo avevano scavato un enorme garage, da quel lato le finestre davano su una vasta area aperta. Gaetano fece girare la chiave nella toppa del portoncino blindato e appena dentro iniziò a chiamare il figlio. Sicuramente quel posto aveva bisogno di una rassettata, sul divano c'era una montagna di panni da stirare e nel lavello della cucina giacevano le stoviglie sporche con ancora i resti del cibo dentro. Gaetano parve accorgersi del disordine solo dopo che lo guardai io e iniziò a lamentarsene accusando Dante, che continuava a chiamare con sempre maggiore insistenza.

Gaetano mi annuiva con un sorriso ogni volta che si creavano dei silenzi imbarazzanti e fu per cavarsi via da uno di questi momenti, che scattò spazientito per andare dal figlio. Lo vidi scomparire in un piccolo intercapedine, attraverso cui si accedeva ad una stanza adiacente. Quello era l'ex locale caldaia del palazzo, uno stanzone senza finestre che Gaetano decise di occupare abusivamente per realizzarci una camera oscura per lo sviluppo fotografico, ma ora ospitava anche l'attrezzatura di Dante. “E tu come ce sei arrivato fino a qua dentro?” Mi disse, piacevolmente sorpreso. “Annamo fuori che qua manca l’aria” Sì, quello stanzone non solo era caldo, ma anche umido e si sudava solo respirando. “A papà, ma dove l’hai raccattato a sto matto?” Dante stava in mutande > Uno slippino nero veramente sexy. “Ma come non te lo ricordi, lui è il regazzino che me mozzicò l’ombellicolo” Senza una comprensibile ragione, dopo che Dante cercò di spiegargli chi ero, Gaetano bestemmiò la madonna e prese la via della porta di casa. Dante tirò via un maglione a caso dal mucchio dei panni sul divano e cacciandoselo in testa lo rincorse > Rimasi per un bel po' nel silenzio ronzante di quella casa. Poi rividi Dante tornare mimando una buffa corsa da maratoneta, con i gomiti alti e scivolando su dei passettini svelti, impediti dalle infradito che portava ai piedi.

Senza neanche pronunciare una A o una E, mi stampò un bacio sulle labbra! Io lo respinsi. “Mo che t’ha preso?” La casualità mi aveva condotto sulla via di una decisione avventata. “Allora perché m’hai cercato?” Per il vero, lo avevo solo pensato ed ora mi ritrovavo in quella situazione imbarazzante. “M’hai fatto litiga’ pure co’ mi padre!” Dante era amareggiato e deluso. “Ma no, resta … non è colpa tua, è quello che se crede ancora chissà cosa” Gaetano faceva fatica ad accettare l’omosessualità del figlio e forse quella era la prima volta che Dante gli portava un ragazzo in casa. "Giuro che io non te capisco a te!" Mi fece una scenata simile a quella che mi rifilò Carmelo quando seppe della sostituzione in squadra, però meno cattiva … anzi, al contrario, era molto accorata, ma forse proprio per questo che mi gettava in uno sconforto più profondo. "Io c'ho il sangue nelle vene" < Forse i siciliani sono troppo focosi.

“Te piace famme soffri’?” Non era vero che ci godevo a vederlo soffrire e non era per provocarlo che continuavo a girargli intorno. "Ma lo vedi che me voi bene pure tu!" E allora? Questo che cosa comportava? "M’hai cambiato la vita, prima de conoscete era un ex tossico e ora guardame, è merito tuo, del tuo amore, lo capisci?” Mi mancava l’aria > Ero caduto in una trappola per orsi ideata da Jane Austin? “Fidate, lasciate anda’” No. "E allora dillo che me voi fa impazzi’" Io lo avevo cercato solo per quello che mi aveva detto a Campo de’ Fiori. "Lo vedi che te 'n porta de me" Gli volevo bene e se non l'avesse fatta così complicata, avrei anche voluto fare del sesso con lui. "Me stai a tratta' come 'na puttana de Fefè!" Ma no, se non voleva scopare potevamo anche non farlo, gli avrei voluto bene lo stesso. "Io voglio scopa’ no una, o due, o tre vorte, lo voglio fa pe’ sempre!" Che stronzata … “Io ti amo” Si era fatto crescere due baffetti paraculissimi ed era sexy da sballo con quel maglione sgualcito, i riccioli sparati in testa e lo slip nero a stringersi su quelle cosce asciutte e pelosette. "C'hai paura de ammettelo?" E che ne sapevo io? "Allora famo finta de niente, mo ce mettemo qua e ce abbracciamo, va bene così?" Mi stava trattando come un ragazzino e questo non mi piaceva, però era proprio quell’abbraccio che ero andato a chiedergli.

Ovviamente, quell’oasi di serenità non durò più di cinque minuti e mi ritrovai spalmato sul divano tra i panni da stirare che puzzavano di lavatrice con lui che mi baciava sul collo mentre con le mani tentava di strapparmi i vestiti di dosso. Sembrava volesse sbranarmi, tale era la foga con cui cacciava la testa tra le pieghe del mio corpo. Quando riuscì a calarmi i jeans e m'ingoiò in un sol boccone … mi spaventai e la paura non ha nulla di razionale, quindi è inutile che adesso cerchi di dargli un senso logico. Me lo strappai di dosso tirandolo su per i capelli … sembrò allora tornare in sé. "Famo come te pare … ma non te ne annà" Quel suo amore mi soffocava e mi faceva sentire in colpa anche … volevo scappare il più in fretta possibile. Mi rivestii con l'ansia che mi stringeva lo stomaco e leggere sulla sua faccia il dolore che gli stavo provocando, mi fece sciogliere la spina avvelenata che non so chi mi aveva piantato nel petto. “E dai, non fa così che è tutta colpa mia … è che a vorte uno se scorda che sei ancora un regazzino” La psiconazi sosteneva che piangere mi facesse bene, invece ero proprio patetico con quella grottesca smorfia in faccia … su cui scivolava ogni tipo di maschera …

 

Pippilotta Batti l'Occhio, Viktualia Ruggaltina, Succiamenta, Efraisilla Calzelunghe

 

"E adesso chi sono questi altri due scappati da casa?" Mi sentii dire da dietro l'orecchio sinistro. Toni si era appena sistemato sul sellino dello scooter, ed eravamo pronti per partire alla volta di Villa Borghese per un filotto del lunedì. "Aspettate!" Orlando e Andrea ci corsero incontro con gli enormi zaini di scuola che gli rimbalzavano sulla schiena. "Possiamo veni' pure noi?" Come mai quei due stavano assieme? E a quell'ora del mattino! Toni mi torse la carne con un pizzicotto quando glielo domandai, già capendo che quella mia curiosità preludeva il consenso a farli venire con noi.

"Eddy Murphy è troppo forte!" Andrea e Orlando avevano continuato a vedersi dopo che si erano conosciuti nella mia casa di Nettuno. "Beverly Hills Cop fa cagare” Eppure, durante quella breve vacanza, si erano bisticciati continuamente. “Amadeus è un gran film e la canzone di Falco è una forza, è rap!" Mi chiedevo che cosa potessero avere in comune quei due. "A me è piaciuto un casino Footlose!" Era stato sicuramente Orlando a fargli bigiare la scuola. " … è un film tipo Flashdance" Perché erano venuti a cercarmi? "Blah, è roba da femmine, invece, l'avete visto il trailer de Rocky IV?" In villa ci stavano aspettando due amici di Toni, ragazzi del vicino liceo Tasso. "Ah, te spiezzo in due" Si cazzeggiava parlando ora di questo o quello, ma io ero sintonizzato unicamente sul silenzio preoccupato di Andrea. " … a te che film è piaciuto?" Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. "Che?" Desperately Seeking Susan, Toni ed io avevamo visto due spettacoli di fila talmente eravamo riamasti incantati da Madonna. "Chi?" Andiamo, come potevano non sapere chi era Madonna! “Boh … io conosco solo quella del presepe” Per tutta l'estate avevamo ascoltato Into the Groove. "Boh, non me lo ricordo …" Nightmare. "Cioè?" Star Trek III, Alla ricerca di Spock, questo almeno lo dovevano conoscere. "Ma quello non lo danno in televisione?" No, basta! Meglio andare a parlare alle scimmie.

Toni era uno dei pochi con cui riuscivo a comunicare, ma i suoi gusti ostentavano sempre una ricerca smaccatamente snob. Gli altri vivevano connessi alla pubblicità, divenuta propaganda consumista di Stato. Sì, pareva che me la tirassi quando reagivo alla mediocrità molesta, ma non lo facevo apposta > Temevo che insieme all’ignoranza giungesse anche il conseguente pregiudizio capace di sfregiarmi. "Certo che voi proprio non lo capite …" A Toni piaceva fare da filtro tra me e il mondo, mi esibiva come un accessorio chic della propria ricercata personalità. "Eddai, ce ne vedemo solo cinque minuti …" Orlando era invece mio cugino e se ne infischiava delle istruzioni per l’uso che Toni pretendeva che seguissero. “Ce famo ‘na pippa e basta … te prego” Non ricordo in quale occasione gli avevo mostrato la collezione porno di Luca. “Te prego … te prego … te prego” In fondo era colpa mia se ora mi stava chiedendo di guardare almeno uno di quei film proibiti. "Oh, quell'handicappato mentale dice che non se fa le seghe!" Orlando mi svelò anche un secondo fine malevolo. "Eddai che ce divertimo a vede' che fa quando glie se addrizza" Beh, la curiosità è sempre stato il mio punto debole.

Prima del formato VHS, i film pornografici si guardavano nei cosiddetti cinema a luce rossa < luoghi postribolari poco raccomandabili. Il formato videocassetta dei film “sozzi” ne agevolò la diffusione, tant’è che si vendevano anche in edicola nello scomparto per adulti, che in genere era posto in alto, proprio sull’apertura in cui sedeva l’edicolante, quasi a costringerti a guardarlo negli occhi mentre la tua mano andava a lordarsi della sua innominabile colpa. Il riproduttore VHS era una spesa famigliare che aveva bisogno di una ragione per essere affrontata: blockbuster ancora non c’era, gli home video non esistevano e quindi rimaneva solo la necessità di guardare agevolmente i video commemorativi, tipo quelli girati per i matrimoni. Il secondo problema per usufruire della pornografia domestica era il televisore grande, quello del salotto, dove si collegava il VHS per guardare i video insieme agli ospiti. Tuttavia, questi impedimenti accrescevano la curiosità intorno al porno, tanto che il cinema commerciale divenne praticamente soft porno.  La mia libertà di guardarne quanto ne volevo e a qualsiasi orario del giorno e della notte, era ritenuta una roba super emancipante. 

La confraternita della pippa messa in piedi da Luca non mi aveva mai coinvolto proprio perché si basava su quell’incontro per guardare “i film sozzi”. La pornografia titillava unicamente la vista e l'erezione diventava un riflesso incondizionato da tutti gli altri sensi.  Questo genere di desiderio induceva a ricevere input visivi ingigantiti: tette gonfiate, culi esagerati, cazzi inverosimilmente enormi. Se l'autoerotismo allenava il corpo al piacere sessuale, la funzione della pornografia era di sedarlo perché titillando unicamente gli occhi, si atrofizzavano gli altri terminali erotici posti sul nostro corpo e nella nostra psiche. La parte che trovavo più interessante della confraternita era l’attesa, quegli attimi che precedevano la visione del film erano pieni di frenetica pulsione sessuale. I ragazzi si punzecchiavano con battute irripetibili e cercavano un contatto fisico per accrescere l’entusiasmo collettivo. Dopo infilata la cassetta, quella sensualità ci ammutoliva, rendendoci dei meri consumatori di sesso e future vittime di una solitudine condivisa.

Quel giorno mi aveva stuzzicato l'intento perfido di Orlando che voleva costringere il nostro verginale amichetto a svelarsi. Guardai con tenerezza Andrea che aspettava la mia decisione scalciando sassolini. Avrà avuto tre o quattro anni meno di me eppure era poco più di un bambino mentre io al confronto ero già adulto. Mi arrivava a malapena all'avambraccio e non aveva un pelo che ne indicasse la pubertà. Il suo silenzio e lo sguardo schivo finì per intenerirmi. Entrati in casa, Orlando iniziò a ravanarsi attraverso le tasche dei pantaloni mentre consultava i titoli sulle copertine delle videocassette; colsi quell’attimo per dire sottovoce ad Andrea che non era costretto a farlo. Sbagliai perché quell'esperienza erotica era già iniziata e in quel modo gli stavo dicendo che anch’io non lo ritenevo all’altezza.

"Cazzo!" I trailer che precedevano i titoli di testa del film non erano ancora finiti. “’fanculo” Quando Orlando scattò in piedi slacciandosi rapidamente la cintola nel tentativo di non sborrarsi addosso. "Mannaccia la sventrata … mannaccia!" Disse ancora, mentre si avviava al gabinetto allargando i passi temendo di sgocciolare sulle scarpe. “Te le riporto domani” Lo vidi ritornare senza pantaloni perché aveva bisogno di un paio di mutande pulite. Andammo in camera mia e al ritorno in salotto, Andrea scattò di soprassalto togliendo rapidamente la mano dal cavallo dei pantaloni. Fu solo per mantenere l'atmosfera sullo scherzo che gli chiesi se anche lui aveva bisogno di un paio di mutande pulite, invece sbagliai di nuovo perché scosse la testa come se lo avessi punto nell'amor proprio.

"Eddai, annamo che tanto se stamo aspetta' che te se addrizza ce famo notte" Dopo l'eiaculazione, un film porno rivela tutta la sua tediosità e Orlando iniziò a fare battute di dubbio gusto su ogni scena, finendo per trovare la scusa dell'ora tarda per potersene andare. "Tu fa come te pare che io vado a mette le gambe sotto al tavolo" Disse mimando il gesto della forchetta sui maccheroni. Si era fatto effettivamente tardi e mezzogiorno aveva già fatto scampanare le chiese. Andrea abitava alla Baldunina e da casa mia doveva arrivare fino al Ponte Vittorio Emanuele II per prendere il 23 e poi cambiare a Piazzale Clodio. "No, cambio prima, a Largo Trionfale" Beh, non ci avrebbe comunque impiegato meno di un'oretta per arrivare e … "Alle sei andrò direttamente alle prove di canto" Aveva detto a casa di essere ospite da un amichetto … ma allora perché non se n'era andato con Orlando?

Apparecchiai un picnic in salotto a base di snack al cioccolato, patatine e Sprite. "Che forza!" Andrea apprezzò molto la mia cucina raffinata. "Figo!" Esclamò, quando gli spiegai che non dovevo dar di conto a dei premurosi genitori anticarie. "Sei come Pippi Calzelunghe" Questo era un complimento? "Anche lei vive da sola e fa quello che gli pare" Pippilotta Batti l'Occhio, Viktualia Ruggaltina, Succiamenta, Efraisilla Calzelunghe; beh, in effetti se anch’io mettevo in fila tutti i miei nomi e cognomi, le potevo sul serio somigliare. "Sei strano come lei" Io non portavo i codini … e cazzo! "Scusa, non volevo offenderti" Suvvia, non c'era bisogno che mi chiedesse scusa e poi, a ben vedere Pippi Calzelungue non aveva forse una storia con Tommy e Annika e conviveva con una scimmia che somigliava a Evelina?

"Mi fai fare un tiro?" Ma non se ne parlava proprio! "Tanto ho già fumato una volta" Orlando, c'era da scommetterci che … "Guarda che non sono scemo" Macché … io volevo solo dire che era quell'altro lo scemo. "E non sono neanche handicappato, capito!" Forse era meglio starsene zitti. "Mi prendono in giro" Andrea non riusciva a partecipare alla giostra della virilità con gli altri ragazzini. "Anche Orlando dice che …" Ohi, mado'! Ancora con la storia che se hai buone maniere, parli forbito e hai un'indole sensibile, sei frocio … come se gli omosessuali fossero tutti usciti dalla corte di Francia. "… però lui dice che anche tu" Orlando era un gran bugiardo e seppure lo avevo usato per qualche giochino erotico, alla fin dei conti era sempre stato lui a farmi le pippe. "Però quella volta al mare …" Che palle! Ma come c'ero finito al centro di quel discorso? "Io non lo so se …" Il cazzo ti piace o non ti piace, non è che ci vuole la scienza per capirlo e se era venuto a casa mia solo per addossarmi la responsabilità dei suoi dubbi, aveva sbagliato indirizzo.

"Non so che fare!" Se lo ridicolizzavano dandogli del castrato perché cantava in un coro delle voci bianche, poteva sempre andare a cantare in un coro gospel. Bisogna scendere a compromessi con la propria libertà, quando vuoi entrare a far parte di un gruppo. Quegli altri bulli che lo ostracizzavano erano le prime vittime del pregiudizio di cui si erano fatti paladini … o credeva seriamente che si potesse essere mediocri al punto di non avere un pensiero originale in testa? Se voleva farsi accettare, avrebbe dovuto indossare una maschera come facevano tutti e mostrare il volto solo con chi valeva la pena rischiare. "Tu stai fingendo con me?" Questo che c'entrava? Anch'io provavo a esibire delle maschere … il mio problema era sceglierne una sola. "Non mi piace mentire" La verità è quella scritta nello spartito di una garbata commedia dell'arte. "Allora tutti fingerebbero?" Scegliersi una maschera serve a rendersi riconoscibili, allo stesso modo di quando ci si presenta con il proprio titolo di studio. "Pippi non finge mai" Infatti! Pippi era sola come un cane randagio, suo padre era un sanguinario bucaniere che l'aveva scaricata dopo averla fatta partorire da qualche puttana, viveva in una casa diroccata con un cazzo di cavallo a pallini e una scimmia, innaffiando sotto la pioggia un giardino di erbacce e la sua super forza esisteva solo nella fantasia degli scemi che le invidiano quegli assurdi codini storti, le calze spaiate o le sue ridicole lentiggini. La verità era che sarebbe stato proprio lui il primo a chiamare la neuro, se avesse visto Pippi andarsene in giro sul suo cavallo cantando «Tutti i giorni, tutti i giorni siam contenti e cantiam, cantiam, cantiam».

"Non è vero" E' vero. "No!" E' vero eccome. "Balle" E allora che si rassegnasse a finire anche lui nel circo dei freak, perché era quello il ruolo riservato a noi Pippi Calzelunghe, spauracchi da deridere quando messi sul palco e di cui aver paura nel momento che vi discendono. "Tu non sei così" Importa poco non avere dei codini arancioni, se poi persino tua madre ti trova imbarazzante. "Mi dispiace …" Ma perché non si sciacquava dai coglioni, lui e la sua faccetta d'angelo?  "Ho paura!" Quei suoi occhietti strizzarono le piume che liberarono in un battito d'ali due stelline. "Non so che mi succede …" Ero quasi riuscito a cacciarlo via quando, già con lo zaino in spalla, si voltò di nuovo … e se ne rimaneva là impalato davanti a me ad aspettare non so cosa. "Ho paura!" Piegò il capo e finalmente stanco di guardarsi la punta delle scarpe da ginnastica, mi guardo solo per un attimo e poi andò a raccontare al soffitto che aveva paura. "Non so cosa mi succede …" Disse, dopo aver aspettato inutilmente una mia reazione. "Mi sento strano e non so cosa fare …" Perché non la piantava di parlare? Io non gli stavo rispondendo perché ero stupefatto da quel cataclisma intergalattico che emanava nell'etere spaziale dei bagliori d'intensa umanità.

"Perché non parli?" Ma perché era venuto a cercare risposte da me? "Ok, me ne vado …" Si avviò strascicando i passi con lo sguardo basso, umiliato dal mio implacabile silenzio … e dove se ne sarebbe andato fino alle sei? "Non lo so" Feci una cazzata a dar voce a quella curiosità e me ne accorsi subito perché scoprirlo m'investì della responsabilità di rispondere. "Posso rimanere qui?" Posso rimanere qui … posso rimanere qui … accidenti! E ora come sarei sopravvissuto al buco nero che mi attraeva sul suo confine degli eventi? "Grazie" Grazie un cazzo! Venne a sedersi accanto a me, calando lo zaino e tenendolo poi stretto tra le gambe. "Io non vorrei metterti in imbarazzo, ma non so a chi altri rivolgermi" A'mbe, stava messo proprio bene se andava cercando consigli da Pippi Calzelunghe. "Sei buffo" Poteva anche dire patetico, visto che ora pareva che fosse lui a consolarmi con un sorriso.

"Ti va di diventare amici?" Oh, scordatelo mio caro Annika. "Veramente Annika era la ragazzina" Accidenti a me e ai miei strafalcioni. "Però … forse hai ragione a chiamarmi così …" Zitto! Infingardo di un ragazzino. "… perché sarebbe tutto più semplice" Si sentiva femmina? "No, ma sarebbe naturale che …" Stava dando ragione ai bulli che lo deridevano? "Che c'entra questo?" I maschi cui piacciono gli altri maschi rimangono maschi allo stesso modo. L'esercizio dell'eros passivo non determina alcuna trasmigrazione ormonale e quei cinghialopodi che camminano a culo stretto avrebbero fatto bene a non scaricare le loro frustrazioni sessuofobiche sugli altri. "Mi piacerebbe essere forte come te" Ancora con sta storia di Pippi Calzelunghe!

"Se proprio dovessi essere una femmina, non mi dispiacerebbe essere come Pippi" Proprio non so se due codini pel di carota gli avrebbero facilitato la vita. "Mi ci sono anche travestito da … " Femmina? " … da Pippi Calzelunghe!" A scuola? "Ma per carnevale!" Beh, visto che c'era poteva mettersi anche un bel bersaglio sul culo. "Era solo per gioco!" E' scherzando e ridendo che si fanno i fatti. "C'erano anche altri ragazzini vestiti da femmina" E lo so, scommetto tutti travestiti da zoccole. "Era solo per gioco" Ora perché aveva di nuovo fatto quella faccia da funerale? " Era solo uno stupido gioco" Allora non c'era motivo per mettersi a piangere … o no?

"Ora siamo diventati amici?" Che caspita di domanda è? "Ma io ho bisogno di farti delle confidenze" Ancora! "Per favore diventa mio amico" Era ormai chiaro che accumulando massa critica in una nebulosa di sfiga, stessi catalizzando detriti cosmici di casi umani. "Rispondimi, ti prego" Casa mia era già diventata una corte dei miracoli ed io bastavo a malapena a me stesso. "Ho solo te!" Ma se ci conoscevamo appena. "Tu sei la sola persona che mi può capire" Ah no, suo cugino il principino era molto più frocio di me. "Matteo è uno stupido" Non so come fosse arrivato a quella conclusione, però non mi venivano sul momento argomentazioni per smentire la sua diagnosi.

"Volevo solo che lo sapesse" Santa ingenuità! Si era invaghito del supplente del prof d'inglese e gli aveva scritto un bigliettino > firmandolo! "Era l'ultimo giorno e poi non lo avrei più rivisto" Ma che c'entra, la metà e forse più della popolazione mondiale s’innamora dell’insegnante e non per questo si azzarda a scrivere delle lettere d’amore. "Ma che dici?" Non voleva avere una storia con il prof? "No!" E allora perché … "Ma non si può voler bene a una persona?" Immagino di sì, ma in tal caso non lo scrivi su carta da lettera < E’ una convenzione sociale. "Mi ha mandato dallo psicologo della scuola" Eh, quello sì che era un bel guaio. "Il Dottore dice che è solo una fase di crescita" La prognosi l'aveva emessa prima o dopo la festa di carnevale? "Smettila di prendermi in giro!" Ok … probabile che gli dovevano ancora spuntare i peli sul cazzo.

"Questo che c'entra?" Oh, ma se aveva la coda di paglia … "Tu non capisci niente dell'amore" Gli adolescenti sono dei fondamentalisti perché non ancora corrotti dall'esperienza. "Parli solo per invidia" Diciamo che ancora parlavo perché non mi ero buttato di sotto da Ponte Sisto. "Lo stavi facendo sul serio?" No, ma non era la prima volta che incorrevo in certi incidenti. "Io ho tanta paura" Con l'annichilimento dei sensi tutto appassisce senza mai morire. "Faccio pensieri brutti" Se te lo fanno venire duro, non poi così brutti. "Faccio anche cose brutte" Mannaccia la pupazza! Tutti si fanno le seghe, ok?

"Ho iniziato da quella volta al mare con te" Uffa. "Mi è piaciuto troppo" Se è per questo anche a quel macho man di Orlando. "Ma io ti penso sempre quando …" E capirai, non mi offendevo mica. " … mi piace lo sperma" Sarebbe andato d'accordo con Luca. "Penso a dei ragazzi che lo spruzzano su di me" E che sarà mai, neanche io credevo possibile che farmi pisciare sulle mutande da Pino mi avesse arrapato tanto. "Che schifo!" A 'mbe, perché farsi glassare con la sborra è una raffinatezza da gran gourmet. "La pipì puzza" Sì, ma lo sperma ha la consistenza del catarro di rospo. "Ti sei fatto schizzare in bocca!" Ma non si stava parlando dell'amore assoluto?

"Ti va di farlo?" Hai capito! Di punto in bianco si allungò verso di me e chiese in un sussurro se volevo farlo di nuovo. "Dicevo così …" Mi andava eccome ma ... "Sì?" La sua domanda mi spiazzò. "Che c'è?" Ero troppo scafato per lui. "Che ti credi … anch'io con Orlando" Ecco spiegata la loro amicizia. "Con lui non mi piace " Meglio che si togliesse dai piedi prima che succedesse un guaio. "Ma …" Zaino in spalla e andale … una passeggiata per schiarirsi le idee gli avrebbe fatto bene. "Siamo amici?" Disse quando stava andando via. Gli volevo bene ma aveva ragione Toni a dire che è quel genere di richiesta a far diventare puttane delle ragazze generose. Lo salutai a denti stretti prima di gettarlo fuori dalla mia zattera < Chiusi la porta a doppia mandata nel vano tentativo di tenerci lontano il rimorso che mi mordeva la coscienza. Andrea doveva scambiare i suoi doni con qualcuno che avrebbe potuto ricambiarlo, con me si sarebbe solo incasinato ancora di più …

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  • 9 months later...
Silverselfer

 

Floppy 05-55

 

Il Vizietto

 

Siccome mi capita spesso di ascoltare affermazioni del tipo > negli anni ottanta non c’era coscienza dei diritti civili, vorrei focalizzare meglio il passaggio storico che inevitabilmente vado a descrivere. Sono cosciente che dire 50 anni fa o 100 anni fa è più che altro un intercalare che vuole indicare un tempo lontano o lontanissimo; tuttavia, il frangente storico che viviamo c’impone una riflessione > 50 anni orsono erano gli anni 70, cioè appena dopo il rivoluzionario 1968; mentre saltando 100 anni addietro si cade in pieno periodo dadaista, cioè quando la contro cultura anarchica voleva sovvertire l’ordine morale accettato e condiviso di una società che aveva appena generato quel carnaio che fu la Grande Guerra. Riguardo all’Italia bisogna fare un discorso storico sociale diverso da quello che oggi ci vede inseriti nel percorso delle altre società occidentali. Questo perché in Italia la morale imposta dal cattolicesimo romano non è mai stata rigettata e, poi, cent’anni fa qui prevalse l’avanguardia futurista che sicuramente raccoglieva in sé l’eredità della rivoluzione intellettuale germinata a cavallo tra ottocento e primi decenni del novecento, tuttavia si tradusse in una società guerreggiante dai forti connotati patriarcali (Fascismo).

Dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale, all’Italia furono imposti i valori di una società liberale d’ispirazione puritana, a cui si contrappose sempre la morale cattolica da controriforma. Una situazione che mise il popolo italiano in una posizione di suddito che recepisce la morale del Re, ma che nel privato continua a coltivare le proprie tradizioni. Questo presupposto creò due realtà distinte tra città e provincia. Per esempio, Milano che già era stata un crogiolo contro culturale fin dai tempi della Scapigliatura bohemien, nel 1978 celebrò il Festival del Proletariato Giovanile, in pratica l’equivalente di Woodstock o l’Isola di White, anche se con dieci anni di ritardo e una connotazione ideologica che la confinerà nel proprio orizzonte politicizzato. Tuttavia, niente di tutto questo, cioè la liberazione sessuale e via discorrendo, arrivò nelle piccole città, specie se del sud e men che mai nella provincia. Gli anni ottanta italiani, quindi, sono molto diversi da regione a regione, da città in città e ancora di più se in provincia.

L’omofobia degli anni ottanta era espressa dai boomers che formavano la prima fascia d’età degli adulti tra i venticinque e quarant’anni, mentre la fascia superiore dei più grandi risaliva alla generazione tra il 1925 e 1945, detta dei Movers o anche dei Tradizionalisti. La percezione dell’omosessualità per i Movers era di una malattia, il cui effetto era l’incapacità erettile e dunque anche generativa. La malformazione di un feto, invece, sarebbe stata la causa dell’effeminatezza o ermafroditismo. Se un figlio maschio “impotente” poteva camuffarsi con un matrimonio finto e poi tollerata la sua debolezza della carne consumata nei postriboli, i “femminielli” minacciavano il buon nome di tutta la famiglia perché la supposta malformazione del feto era sentita come un difetto genetico e quindi trasmettibile come la follia.

I boomers, invece, guardavano il sesso sotto la prospettiva di una nuova esperienza, molto spesso condizionata dalle droghe. L’omosessualità gli appariva, invece, come una maschera d’avanspettacolo. Da qui arriva l’ambiguità del boomer omofobo che non si riconosce tale perché adora le macchiette d’avanspettacolo e trova logico deridere l’omosessualità. Sostanzialmente, il boomer degli anni ottanta voleva tenere l’omosessualità fuori la porta di casa sua, allo stesso modo come non desiderava una figlia puttana o un figlio tossicodipendente. Tuttavia, bisogna fare un distinguo con i boomers che vissero il sessantotto, rimaneva però in loro un certo gusto per la trasgressione a cui non volevano rinunciare e che gli faceva preferire l’esperienza postribolare ad un coming out.

Entrambi queste generazioni traevano informazioni sull’omosessualità dall’omoerotismo, cioè qualcosa che non determinava una nuova identità sessuale. Un maschio che amava un altro maschio era naturale se rimaneva nei ranghi camerateschi o cosiddetti bromance < Un tipo di relazione che non confliggeva con il matrimonio tradizionale. Il vizio che corrompeva questo equilibrio era dovuto al deviante amplesso impuro < Conno anale. Tant’è che dinanzi all’imbarazzo delle “chiappe chiacchierate” di un figlio, i genitori maledicevano colui che glielo aveva “rovinato”. Sì, perché, specie tra i maschi, quella penetrazione era ritenuta una strada senza ritorno > Attivava un bisogno insopprimibile. Inoltre, lo stupro tra i maschi non era così eccezionale, da cui arrivava quel pregiudizio omofobo che costringeva un ragazzo a guardarsi le spalle da un maschio col vizietto. Sempre dall’esperienza dello stupro arrivava la leggenda di un amplesso anale doloroso e sanguinante. Ovvio che negli anni ottanta tutto questo non si trovava scritto da nessuna parte, però il mondo degli adulti lo aveva introiettato e lo esprimeva in ogni aspetto della quotidianità.

La Generazione X italiana (1965/80) fu la prima a crescere con dei diritti civili acquisiti, in particolare la legge sul divorzio (898/1970) da cui venne tutta una serie di modifiche legali che liberavano la donna dalla sua condizione di ancella, fino alla legge sull’aborto (140/1978).  Tutto questo condusse a una poligamia diacronica de facto, tanto che negli anni ottanta definirsi anche solo “fidanzati” era considerato demodé ed era proprio lo stile di vita festaiolo dei gay ad essere “cool”. La morale conservatrice si oppose fin da allora a ogni modifica dell’istituto della famiglia tradizionale italiana (patriarcale), dimostrandosi ostile persino all’equiparazione dei figli adottati a quelli naturali (219/2012). La stessa legge sulle Unioni Civili (76/2016) si è trovata sul suo lungo cammino i raduni del Family Day, simbolo di una società di boomers cresciuta nella filosofia del vizietto, cioè della trasgressione postribolare. Parliamo di persone affezionate al “Così fan tutti” > Rispettabili di giorno e trasgressive di notte. Anzi, questa tipologia di maschi ha inviso i diritti civili, proprio perché con la legge che chiuse i bordelli (1173/1966), gli fu impedita la dimensione del “vizietto”.  Del resto, i boomers resero gli anni ottanta italiani un grande bordello a cielo aperto, travisando la questione dei diritti civili per una faccenda di moderno libertinaggio.

Riguardo all’informazione sui diritti civili, negli anni ottanta l’omosessualità era ancora elisa dai libri di testo scolastici e, per esempio, studiando l’Iliade, Patroclo era spesso descritto come un parente prossimo di Achille. Un giovane omosessuale italiano degli anni ottanta non aveva alcun riferimento che lo aiutasse a identificarsi. Gli unici indizi arrivavano dal mondo musicale anglosassone o dal cinema francese, ma si confondevano nella tradizione derivante dal peccato cristiano. Concetto che insegnava come tutti possono incedere nel vizio della sodomia attraverso la lussuria, questo perché la morale cattolica si formò in contrapposizione a quella generata dai riti pagani, dove l’omosessualità era una sfumatura dell’omoerotismo. Il concetto moderno di omosessualità si definì solo in epoca vittoriana (1837/1901), quando oltre manica si riteneva che fosse endemica alla promiscuità indotta dall’urbanizzazione post rivoluzione industriale. I rimedi erano gli stessi con cui all’epoca si curavano le malattie mentali, tipo gli elettroshock o persino la lobotomia, ma nella fattispecie si arrivò anche al patibolo per quanti esibivano la propria malattia “culturalmente infettiva”.  In Italia, invece, a quei tempi l’omosessualità era nota col nome di “vizio inglese”, in quanto gli omosessuali in fuga dalla madre patria riparavano nell’esotismo del Mediterraneo, dove incedevano nel permissivismo cattolico che li lasciava pascere nei festini carnascialeschi. Il risultato fu che gli omosessuali costretti a vivere tra i puritani forcaioli, si ritrovarono da un lato con un’etichetta che li condannava, ma dall’altra ebbero anche un’identità per cui reclamare dei diritti, mentre il vizietto tollerato dai papi si prolungò fino agli anni ottanta, quando i boomers come Silvio Berlusconi o Claudio Cecchetto erano al vertice delle produzioni mediatiche pop.

Fu così che negli anni ottanta la comicità d’avanspettacolo si riversò nel cinema della Commedia all’Italiana e poi anche nelle televisioni private > Una celebrazione del cisgender latino. In quell’umorismo sessista, razzista e inconsapevolmente omofobo, c’erano trasmessi dei canoni di normalità oltre a cui ci aspettava il pubblico ludibrio. C’era uno sketch che veniva ripreso spesso in molti film, tanto che c’era un comico caratterista specializzato solo in quella scenetta, ebbene, c’era questo signore dall’aspetto comune che in situazioni diverse, finiva per essere accidentalmente penetrato nell’ano da qualche corpo contundente > Il comico quindi urlava “Mamma mia che dolore!”. La risata era assicurata, anche se nessuno vi coglieva il monito a quei maschi che praticavano sesso anale e quindi non avrebbero urlato lo stesso dolore, addirittura c’era una variante in cui il malcapitato, dopo l’amplesso involontario > Puff > si trasformava nella maschera clownesca di una checca. Per meglio capire questo monito possiamo immaginare la stessa scena con una donna protagonista, in quel caso la trasformazione sarebbe avvenuta in una prostituta perché il sesso anale non era per donne dabbene.

Durante gli anni ottanta, la Guerra Fredda aveva chiuso l’occidente in una bolla di materialismo assoluto, celebrato dall’avanguardia della Pop Art che cuciva attraverso l’haute couture, gli estremi della disco-music col punk. Fu nella dissolutezza dello Studio 54 di New York o nella nascente industria pornografica che crollarono le barriere tra orientamenti sessuali. In quel contesto, l’idea di comunità gay fu respinta come una forma di auto ghettizzazione o, ancora peggio, un qualcosa che radicava nel 68 politicizzato dalla partigianeria comunista > L’androginia di quegli anni accumunava tutti e nessuno sentiva il bisogno di definirsi in un coming out, anche perché gli omosessuali andavano a letto pure con le donne “per divertimento”. Il futuro di questa società aperta s’infrangerà presto sugli effetti della pandemia di HIV.

Insieme all’HIV si materializzò sugli schermi televisivi italiani la prima figura di omosessuale non clownesco che si aggirava perfettamente mimetizzato tra i “normali”. Il timore del contagio attribuiva un’aura fucsia tossica all’infetto > Un vizioso il cui pene era paragonabile alla siringa sporca di sangue dei drogati. Nel tipico candore da boomers, gli autori di quella prima campagna di prevenzione dell’AIDS non si avvidero dei contenuti omofobi. Era nella loro cultura considerare l’amplesso anale un vizio, tale e quale alle campagne anti droga degli anni 50 > Si cominciava con un tiro alla “canna” e si finiva automaticamente al “buco”. Fu la necessità di condurre il rapporto anale tra maschi in un vincolo di coppia che ne limitasse la promiscuità a riportare in auge la memoria dei moti newyorkesi di Stonewall del 1969, o le rivendicazioni politiche di Harvey Milk a San Francisco. Le associazioni Gay presero sovvenzioni pubbliche per promuovere il Coming Out e organizzare i Gay Pride, in cui iniziarono a confluire i mille rivoli dell’amore postribolare. Tutto questo però giunse solo nel decennio successivo agli anni ottanta.

Spoiler

Qui c'è abbastanza materiale per un mercatino della memorabilia anni ottanta!

Direi di cominciare con lo sketch comico > Mamma mia che dolore 

Queste clip sono estrapolate dai film "Comiche 1 e 2" degli anni 1990 e 91, tuttavia s'ispiravano al genere commedia trash italiana. Questo attore caratterista è irresistibile nella sua disperazione, ma non giustifica il contesto. C'è da domandarsi se oggi abbiamo acquisito la sensibilità per accorgercene e, non vorrei apparire ottimista, però credo di Sì; anche se fino al 2015 le cose non erano cambiate, mi ricordo chiaramente la scena dei I soliti Idioti a San Remo che facevano venire giù l'Ariston con una risata annunciandosi così > "Io sono oooomooosesssuaaale". 

Continuando sul filone dell'omofobia inconsapevole, questo è il primo spot per la campagna di prevenzione dall'AIDS promossa dal Ministero della Sanità (Sì chiamava così il Ministero della Salute) > Se lo conosci lo eviti ...

Anche qui stiamo in zona primissimi anni 90 e forse negli anni 80 si era molto meno omofobi perché gli effetti della pandemia si facevano sentire. Da notare quanto pesa il "non detto" di queste immagini. 

Ma ora guardiamo com'erano i prototipi cisgender degli anni ottanta per capire perché era difficile identificare un gay.

George Michael si vantava della propria eterosessualità sottolineando di essere di origini greche ... ma allora guardiamo come rispondeva il cisgender latino/italiano ...

Si capisce bene il perché anche cantanti come Boy George non sentissero l'esigenza di dichiararsi apertamente gay. A questo punto, qualcuno potrebbe immaginare cosa mai combinassero quelli che il coming out lo facevano ... ebbene, niente di tutto ciò > Jimmy Somerville e i suoi Bronski Beat

C'è da sottolineare che loro erano una mosca bianca ... forse i Pet Shop Boys erano come loro, ma per lo più si cavalcava ancora l'aspetto trasgressivo tipo per i Frankie Goes to Hollywood 

E non dai > Qui c'è anche parecchio "Pride" e, poi, da notare che i gay si truccavano molto meno dei presunti etero!

Mi sa che mi sto lasciando prendere la mano dai ricordi e quindi > Basta così.

 

 

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Silverselfer

E’ umiliante continuare a strisciare come un verme necrofago tra i resti emotivi delle vite altrui. (Da "Appunti Sparsi di Un Adolescente Inquieto") 

 

PVC e l’Accelerazionismo

 

Introduzione

Lorazepam, diazepam, clonazepam, alprazolam < Incubi notturni, ansia e crisi di violenza, sospetta sindrome di Asperger alla base dell’umore suicidario > Basta un po’ di zucchero e la pillola va giù, e la pillola va giù. Non ricordo quando le benzodiazepine entrarono a far parte della mia vita … forse dopo l’intossicazione di antibiotici … o magari mia madre già ci aggiungeva quella mezza pasticchetta che certo non poteva far male. Sta di fatto che, dopo l’ultimo penoso tentativo di togliermi la vita, quando tirai giù nel gozzo l’intero armadietto dei medicinali e risvegliandomi poi fresco come una rosa, provai il terrore di non avere scampo < Dovevo vivere. A collo torto dovevo accettare il giogo della realtà. Fu così che diventai dipendente dal flunitrazepam.

La vita non è altro che un coacervo di ricordi e a me procurava un dolore lancinante. Bruciai tutte le foto che mi ritraevano nel passato, fino a giungere alle immagini che m’inquadravano nel presente. Il mio stesso volto riflesso in uno specchio cominciò a procurarmi ansia e succedeva anche con l’esperienza di vita che si coagulava nella mia memoria. Una via di fuga da tutto questo era dormire e oramai non avevo neanche bisogno del Tavor per riuscirci. Era diventato faticoso anche mettere i piedi giù dal letto e lo era ancora di più mettere in fila ogni passo verso gli appuntamenti quotidiani. Fu Zeno a sostituire il lorazepam con il clonazepam e così tornai effettivamente a vivere. D’incanto scomparvero le mie ansie sociali perché non provavo più quella vertigine che mi faceva camminare in equilibrio sui fili invisibili degli sguardi altrui. Non ricordo esattamente il momento in cui iniziai a usare il clonazepam, ma ho idea che coincise con l’estate in cui frequentai Campo de’Fiori. Oggi posso ben considerare che il clonazepam aveva su di me anche degli effetti disinibenti, tanto da riuscire a vivere la mia sessualità in maniera sconsiderata.

L’enciclopedia medica e quant’altro trovai nella libreria dell’ufficio di Zeno al Mykonos, mi fornì la conoscenza necessaria per diventare PVC, così mi chiamava Lele perché ero veramente diventato un luminare delle droghe sintetiche. Arrivai da solo al flunitrazepam e fu come premere a tavoletta sull’acceleratore! All’inizio lo usavo solo quando la vita mi metteva davanti a prove insostenibili e, comunque, spezzavo in due la minuscola pasticca perché un’intera mi cancellava completamente la coscienza di me. L’assuefazione accadde impercettibilmente, tanto che ancora oggi non saprei scandire i modi e meno che mai i tempi con cui avvenne. Fu quando le amnesie si dilatarono fino a formare dei veri e propri buchi neri, che iniziai ad avvertire la presenza di quell’altro me. Avevo perso il controllo, nel senso che non c’era più il gesto volontario di spingere fuori dal  blister una pasticca e ingoiarla, succedeva e basta, dimenticavo anche il motivo per cui decidevo di ricorrere al flunitrazepam. La memoria si riaccendeva come una lampadina solo dopo aver smaltito la pasticca. Sempre se l’altro me non decideva di ricorrervi nuovamente e questo poteva protrarre la sua presenza per diversi giorni, di cui io poi non serbavo memoria, ma dovevo comunque gestirne gli effetti. Il fatto più antipatico era quello che quel fottuto bastardo piaceva alla gente più di me …

 

Buchi Neri

 

***

 

Buco 01 > Edonismo

 

"… não conheço ninguém …" Mi arrangiavo un po' con tutte le lingue però il portoghese mi rimaneva particolarmente ostico. "Roupas aqui perto?" Che poi sti stranieri sono convinti che sui romani discendano i sette doni dello Spirito Santo direttamente dal cupolone … e vaffanculo! "Nós temos o jantar?" Iniziavano a parlarmi nella loro lingua come se nel culo invece di un vibratore gli avessi infilato il jack di un traduttore simultaneo. "Você não gosta de passar a noite juntos?" Luan era un mandingo brasileiro giunto in città per il catalogo della Coin. Era obiettivamente un bel manzo e pensai subito che fosse perfetto per un rush nella saletta dei pesi. Per praticare un rush ci voleva una certa empatia e unitamente al nitrito di amile, mi faceva diventare tutt’uno con il partner di allenamento. Era come raggiungere un orgasmo virile e dopo aver tagliato il nastro del traguardo, un’esaltazione da folli c’investiva come uno tsunami irresistibile. Senza alcun dubbio mi piaceva quella situazione e se per raggiungerla dovevo alterare la chimica del mio corpo, certo che non mi facevo scrupoli.

Con Luan accadde che durante una serata infrasettimanale, lo vedessi pompare agli estensori quando io avevo già iniziato a rassettare la sala pesi. Fuori piovigginava nevischio e il pomeriggio era trascorso nel tedio di una scarsa affluenza e siccome Zeno se n'era andato presto, una dopo l'altra anche le inservienti stavano tagliando la corda, fino a quando l'ultima lasciò a me il testimone della chiusura e rimasi solo con Luan. Mi fece tenerezza vederlo lì da solo a girare tra le macchine per non tornarsene nella solitudine della sua stanza in affitto. Gli feci vedere la fialetta di nitrito di amile e capì da solo mettendosi sui blocchi di partenza del rush. Alla seconda macchina gli avevo già spezzato il fiato e a metà percorso mollò i pesi sulla panca e urlò, scrollandosi il sudore di dosso tipo cane bagnato. Vagò per la saletta cercando di riprendere fiato e rallentare il batticuore, poi si chinò sulle gambe e allora gli corsi vicino perché sapevo che nel momento che si sarebbe rialzato, un capogiro lo avrebbe steso a terra.

Gli alzai le braccia per allargare la cassa toracica e mi cadde lo sguardo sull’insana erezione che tutto questo gli stava provocando. Non era niente che non avessi già visto, succedeva sempre nel rush quando spingevo al limite le capacità del corpo > Credo che fosse proprio questo a generare lo sballo empatico omoerotico. Lo stimolatore prostatico lo proponevo solo a quelli che m’invitavano a fare la doccia insieme. L'oggettino non ricordava una figura fallica e questo aiutava ad allontanare l'immagine sodomitica del gesto. Gli spiegavo che quella forma con le sue sinuose curvature sollecitava la ghiandola prostatica, mentre la piccola maniglietta con il ricciolo serviva a stimolare il perineo < Luan mi sorprese quando mi agitò sotto il naso proprio uno stimolatore prostatico! Non che ne avessi l'esclusiva, ma il sorriso malizioso a trecentodue denti di Luan stava proprio alludendo allo spaccio che ne facevo. Si sdraiò sulla panca dei pesi e tirò le ginocchia al petto esibendomi un conno anale trepidante di essere titillato. La cosa mi fece impressione, insomma, era un armadio a due ante e non sapevo fin dove volesse arrivare, considerando poi che eravamo rimasti soli … insomma, mi riusciva fare lo spavaldo solo con dei micetti timidi, ma quando si trattava di manzi grossi il doppio di me e assolutamente disinibiti, avevo bisogno di un aiutino > Confetto di flunitrazepam.

Mi sedetti cavalcioni alla panca con stimolatore e bustina di gel. Luan era sensibilissimo al tatto e sussultava ogni volta che lo sfioravo. Lubrificai un dito, ma nella sua carne ce ne sprofondarono due e poi risucchiò anche lo stimolatore, ancorando solidamente al perineo il ricciolo della maniglietta. Il resto se lo fece da solo, manipolando con perizia la sua imponente erezione. In fine stappò l'ano che sbocciò per qualche istante in una rosellina scarlatta, quindi si tirò in piedi sopra di me. Non ebbi il tempo di pararmi, sentii solo i suoi fiotti cadere e poi colare … cazzo, che schifo! Andai a farmi la doccia e Luan non l'aveva capito che il suo cadeau non mi era piaciuto perché mi venne dietro > Black Out > Il flunitrazepam a quel punto spense la luce.

 

Buco 02 – Bisessualità

 

Zeno mi aveva fornito i pantaloni bianchi e la polo blu a maniche corte con cui mi confondevo tra gli inservienti del Mykonos. Per lo più trascorrevo il tempo nell’ufficio ambulatorio di Zeno e conoscevo ogni punto e virgola della sua libreria medica < Conoscere il nostro corpo significa controllare la sinapsi chimica della carne. Poi succedeva come per il rush > Imparavo e rielaboravo.

-          Che cos’è sto schifo?

La morale di Zeno rimaneva un arcano > Prete bacchettone o guru sozzone? > Beh, diciamo che la sua formazione in seminario durante gli anni sessanta lo delineava come un Tradizionalista bisessuale di ultima generazione.

-          Da quant’è che spacci questa roba?

Ma di che spaccio mi stava accusando? Quell’innocuo oggettino rinvenuto nelle docce era uno stimolatore prostatico e siccome le sue forme non davano adito ad alcun accostamento sessuale, chiunque lo avesse ricondotto alle sue reali funzioni, sapeva da sé dove andarselo a ficcare.

-          Randagio, non mi provocare …

Eccolo di nuovo, è lui! > Randagio era l’altro me. Zeno non mi spiegò mai la ragione per cui mi affibbiò quel soprannome, ma era chiaro che lo stigmatizzarmi negli atteggiamenti di un cane randagio, qualificava l’altro me come un ragazzo di strada. Del resto, anche il soprannome PVC che mi aveva affibbiato Lele, significava la stessa roba, tuttavia, avevo coscienza d’impersonare PVC mentre dava una sensazione estraniante, quando avvertivo la presenza di Randagio nel ricordo degli altri.

-          Questa mondezza è di Fefè?

E certo, da chi altri avrei potuto procurarmene? Però il business era solo mio e poi Zeno non era certo più santo di me o di Fefè.

-          Quante volte te lo devo ripetere che non puoi fare di testa tua?

Come no, così mi sfilava l’affare come aveva già fatto con il Rush. Tutta la storia che eravamo soci si traduceva con lui “uomo” che si teneva in tasca anche la mia svolta perché io ero solo un “ragazzino”.

-          Zitto e cammina, la signora stronzetti ha chiesto di te.

E certo, per la signora stronzetti gli andavo bene, non è così?

-          Ehi, vieni qua …

Mi piaceva un casino quando mi stringeva il collo nell’avambraccio e poi mi dava un bacio in testa. Lui voleva che rigassi dritto e cazzo, ce lo avevo anch’io qualcuno a cui importava di me

-          Oggi la finisci tu la signora … ma vacci piano, ci siamo capiti?

Frequentando il Mykonos imparai che le donne si masturbano quanto gli uomini, anche se trovano frustrante esercitarne il controllo. Questo era il motivo per cui si rivolgevano a dei professionisti, allo stesso modo di quando prendevano un appuntamento dal ginecologo, come se si trattasse di un normalissimo trattamento terapeutico < Massaggio perineale, così usava definirlo Zeno quando lo prescriveva sulle sue ricette bianche farlocche. “Un vero toccasana contro il rilassamento del pavimento pelvico” lo sostenevano unanimemente tutte le avventrici del Mykonos, che facevano la fila per squirtare sull’intera serie di vibratori anatomici creati ad hoc. 

-          Carissimo, che bella sorpresa!

Sorpresa di che, se mi aveva fatto chiamare? Io non ero autorizzato a praticare qualsivoglia massaggio, però accadeva spesso che fossi io a preparare l’ambulatorio: mettevo la musica rilassante, accendevo le candele profumate e poi, grazie alla maglietta con su scritto Staff che mi autorizzava a farlo, cospargevo di oli aromatici le carni delle avventrici.

-          L’ultima volta mi hai lasciato i segni, mascalzone ...

Ricevevo anche parecchi complimenti! Dicevano che avevo le mani molto calde … è importante avere le mani molto calde per un buon massaggio … questo lo sosteneva Lea, mica io! Lea era la massaggiatrice di origine eritrea che si spacciava per indù, ma che era romana quanto un San Pietrino di Via Giulia. Lea era più lesbica di una camionista e aveva lisciato il pelo a tutte le avventrici del Mykonos … beh, tutte forse no, ma in genere quelle che la salutavano con un ammiccamento erano passate sotto la sua mano “molto calda”.

-          Che fai il timido?

Io mi occupavo dei preliminari ed era tutto più soft. Le avventrici non si sentivano in imbarazzo e parlavano e parlavano > Si stendevano sul lettino e mentre le preparavo per i trattamenti, mi raccontavano di questo o quell’acciacco o piuttosto di quanto non le faceva risposare tale preoccupazione e quindi chiedevano un massaggino, gemendo di piacere quando le strizzavo proprio in quel punto sul collo < Oh, ma che tocco magico che avevo!

-          … usa le rotelline come l’ultima volta …

Dopo arrivavano le varie rotelline di legno e … e poi continuava Lea. Le stuzzicavo, ma non avrei osato di più … però Randagio non si faceva scrupoli ed era quello a cui stava alludendo la signora stronzetti > Lei non aveva chiesto di me, ma di quell’altro!

 

Buco 03 – Saranno Famosi

 

Ero diventato come Carmelo, anche se lui usava la cocaina e quella non metteva a rischio la tua sanità mentale … almeno credo. Forse è più giusto dire di PVC che era come Carmelo perché fin quando usavo il clonazepam, mi liberavo delle paure inibenti e diventavo padrone del mio presente e mi sentivo più forte, più sicuro di me ed erano gli stessi motivi per cui Carmelo diceva di usare la cocaina.

-   Evelina, rispondi tu?

Ricorrevo al flunitrazepam per esaltare le qualità del clonazepam e immagino che sia il motivo per cui una pippata ne chiamava un’altra per Carmelo > Ci ritrovammo entrambi a convivere con un Mister Hyde. Siccome le droghe amplificano i bisogni per ingigantire la soddisfazione di appagarli, l’altro me era assai promiscuo. Carmelo però non aveva l’alibi delle amnesie, lui era coerentemente zoccola e la cocaina amplificava solo l’egoismo della sua stronzaggine. Tuttavia, io non avevo la forza di allontanare Carmelo come avevano fatto tutti gli altri e fu così che finì per incontrarsi con Randagio …

-   Che vuole la puttanaccia a quest'ora di notte?

Quella sera era giovedì e come tutti i giovedì, Toni dormiva a casa mia o viceversa. La zoccolaccia in questione quella volta non era Carmelo ma Lidia e non era poi così tardi. Avrei risposto io al telefono, ma Evelina temeva le chiamate a random che mia madre faceva per controllarci.

-   Dove vuoi andare se fuori sta venendo giù un diluvio!

E capirai, per i romani bastano dieci minuti di pioggia per far gridare al diluvio universale, anche se dieci minuti di pioggia a Roma provocano effettivamente un mezzo diluvio, ma proprio per questo non potevo lasciare Lidia nei guai.

-   Se ci vai … giuro che chiamo tua madre.

Ma che ne voleva sapere Toni del guaio in cui si era messa Lidia e poi non era neanche mezzanotte.

-   Scordatelo che ti presto lo scooter …

Quando faceva così, lo avrei strozzato.

-   Questa è l'ultima che …

Era vero, mi approfittavo del suo buon cuore. Gli chiesi scusa e tentai di promettergli qualcosa, ma lui mi lanciò le chiavi dello scooter giurando che non mi avrebbe perdonato se … non me lo ricordo quell’ultimatum, ma ogni volta ce n’era uno e contavo sul fatto che, anche quella vota se lo sarebbe rimangiato.

-   Cocaina … solo tu mi puoi tirare fuori da questo guaio.

Con il senno di poi, Toni aveva ragione su Lidia, lei era totalmente proiettata nella Grande Bellezza romana e passava il tempo a farsene stuprare > Dove cazzo li andavo a trovare cinquanta grammi di cocaina a quell’ora di notte? Quella volta Lidia l'aveva combinata proprio grossa e non aveva alcun diritto di coinvolgermi solo perché avevamo ripreso a scoparci. Tuttavia, era disperata quando mi pregò di aiutarla perché altrimenti NCC o ancora più sicuramente il padre, cioè Ciro o’pazzo, l'avrebbero ammazzata di botte. Senza contare Roberto, il suo promesso sposo < Ma tu che cazzo c’entri? > Mi sentii dire in testa dalla voce di Toni.

-   Aho, a Principi’, non so' mica bruscolini, l’hai capita?

Con la storia di Brusco che mi portava in palmo di mano, finiva spesso così. Era già successo con Marcello che, grazie alla mia intercessione, Elton John non ne fece carne trita per le nutrie del Tevere. Allo stesso modo, Lidia mi aveva chiesto di tirarla fuori da quel guaio e che dovevo fare? Andai alla bisca, ma ci trovai il porco occhialuto che per tutte le ragioni appena esposte, mi vedeva col fumo negli occhi.

-   Se dice che sei ’na lince, na’ volpe e poi, te fai infinocchia’ come ‘na allocco?

Il porco occhialuto aveva visto giusto. Era facile dedurre in che guaio si era infognata Lidia > C'era di mezzo NCC e Veroca, quindi si trattava di qualche festino privato con le trans. Sono le trans che portano la coca, così Lidia ci aveva sicuramente tirato dentro il suo pusher, cioè Marcello e lui per conto di chi spingeva la droga? Il porco occhialuto aveva semplicemente fatto due più due, quando si sentì chiedere da me, la stessa quantità di cocco consegnata al mio presunto cugino > Panari Felice Marcello.

-   Te consiglio de trova’ quel sola de tu cugino o l'amichetta tua la vai a raccoje a l'isola Tiberina.

Sapevo che Marcello e Giacomo convivevano, ma non sapevo dove < Zeno. Lui lo sapeva perché gli prescriveva ancora i farmaci per l'epilessia …

-   Chi è?

Contai solo fino a dieci prima di suonare il citofono, poi temetti che rispondesse la moglie … saranno state quasi le due del mattino, che cazzo di scusa potevo raccontarle senza che l'andasse a riferire a mia madre? La seconda volta arrivai a contare fino a cinquanta, poi pigiai di nuovo il pulsante del citofono > Strinsi gli occhi e fui percorso da un brivido … ero pronto a scappare.

-   Vengo giù …

Meno male, rispose Zeno che, senza neanche ascoltare una parola oltre al mio nome, disse imperturbabile di aspettarlo da basso. Solo in quel momento realizzai che disturbarlo in casa e specie di notte, rientrava tra i divieti inviolabili. Scese vestito di tutto punto, quindi aveva intuito che si trattasse di un guaio che lo avrebbe trattenuto fuori di casa … e questo non andava bene, perché io non volevo che mi accompagnasse da Marcello … non volevo che scoprisse di cosa si trattava … ma che cazzo gli avrei raccontato?

-   Da quant'è che vi frequentate di nuovo?

Se avessi frequentato Marcello, non avrei avuto bisogno di lui per trovarlo … a meno che quell’altro me … ma no, certo che no …

-   Dimmi di che si tratta e poi ti accompagno da lui.

La stava mettendo giù dura, ma poteva pure ammazzarmi di botte, non potevo dirgli tutto …

-   Cocaina!

Un po' di coca … un po' tanta … ma ora non è che mi poteva venire a fare il predicozzo … Bang! Primo manrovescio e se volevo che finisse là, era meglio tenere lo sguardo basso e tacere < Aveva delle mani pesanti che ti rivoltavano il cervello!

-   Sali in macchina.

Il sapore del sangue m’inondò la bocca e gli raccontai tutto … e cos'altro mi rimaneva da fare? Zeno non è che non sapesse come andassero quelle cose, ma dopo che si era fatto il segno della croce, tornava a credersi un cazzo di Savonarola pronto ad appiccar fuoco alle pire.

-   Ragazzino … credevo … il nostro patto lo hai già dimenticato?

… meglio tacere ...

-   Domani mattina noi due diventeremo dei perfetti sconosciuti.

Ma no, perché … non poteva abbandonarmi anche lui … lo implorai di non lasciarmi …

-   Smettila di frignare.

Non stavo frignando … ma non era colpa mia … non era giusto che pagassi un prezzo così alto.

-   Siamo arrivati.

Toh, Zeno parcheggiò la macchina in Via Santa Maria in Monticelli, praticamente dietro a Piazza Cairoli, cioè a due passi dal Mykonos!

-   Aspettami qui, salgo io …

Sì, meglio che se la vedesse lui con Marcello. Però non potei fare a meno di notare che Zeno aveva le chiavi del portone del palazzo … ma non trovò Marcello in casa … almeno fu quello che disse … si era trattenuto troppo per non aver parlato con qualcuno … forse aveva discusso con Giacomo? So solo che uscì da quel portone più incazzato di quando c’era entrato.

-   Basta così, ora andiamo da Aldo.

Io non glielo avevo detto che c’era anche NCC e meno che mai dove si stava tenendo il festino.

-   Sei stato tu a dare le chiavi a Lidia?

No, come poteva solo pensare una cosa del genere!

-   E come ha disattivato l’allarme?

Perché mi parlava così? Marcello o Giacomo o tutti e due, che cazzo gli avevano raccontato? Doveva credermi, io non lo sapevo come Lidia aveva organizzato tutto …

-   Giura …

Il palmo della sua enorme mano mi abbracciò l’intera nuca e stringendomela tra le grosse dita, mi costrinse a guardarlo negli occhi, prima di chiedermi un giuramento solenne. Non gli stavo mentendo … non lo sapevo come Lidia aveva fatto a procurarsi il codice per disinserire l'allarme < Che fosse stato il Randagio?

-   Mi vorresti far credere che ti sei fatto raggirare … tu!

Che voleva intendere con quel “tu”? Non c’era altra spiegazione > Lidia mi aveva fregato le chiavi mentre ci ammucchiavamo in camerino e il codice dell'allarme stava segnato dietro la targhetta del porta chiavi … però con la coca non c'entravo niente e anche con la storia del festino … ero solo uno stupido … e lui doveva rimangiarsi che non mi voleva più attorno.

-   Da quanto tempo reggi il gioco anche a Fefè?

E dai! Lo sapeva che frequentavo la terrazza …

-   Quante altre cose mi nascondi?

La saracinesca del locale era abbassata, ma i lucchetti erano stati sfilati e si udiva della musica provenire giù da basso. Arrivammo fino alla saletta del fitness, che era la più grande … saranno stati al massimo dieci persone comprese le ragazze. Erano così presi dal casino che non si accorsero manco del nostro arrivo …

-   Amico mio!

Disse NCC quando Zeno gli bussò sulla spalla mentre ballava mezzo nudo con Veroca.

-   … ma sei scemo ad aver portato Zeno?

Senza capire da dove fosse saltata fuori, Lidia mi tirò per un braccio portandomi fuori dalla saletta.

-   Cazzo, se lo dice a qualcuno sono fottuta.

Indossava solo delle autoreggenti e una specie di reggiseno senza coppe …

-   Gli hai detto pure della coca!

Ma secondo lei, dove l'andavo a prendere cinquanta grammi di cocco senza il becco di un quattrino?

-   Tu non ti ricordi un cazzo … stai fuori di testa!

Ma vaffanculo, si stava approfittando delle confidenze che le facevo per farmi passare per matto.

-   Aldo ci ha proposto di conoscere questo pezzo grosso della televisione … cioè, è un tipo che ti mette in prima serata, capisci adesso?

Perché stava usando il plurale? Non mi pare che mi avessero invitato a partecipare, ho avrei dimenticato pure quello?

-   Che c’entri tu … non è roba di froci …

Avranno avuto pure delle tette, ma lì dentro sembrava di essere a una sagra della salsiccia.

-   Ti pare che ci mettono una trans in televisione?

Si stava arrampicando sugli specchi e se non mi diceva la verità, non l’avrei aiutata.

-   Non lo so perché Aldo voleva tenere fuori Fefè … non capisci che questo tipo è un mega impresario … è la mia occasione!

In qualche modo c’entrava anche Fefè, ecco perché Zeno mi aveva accusato di reggergli il gioco. Giacomo aveva ancora il dente avvelenato per la storia delle chiavi della terrazza e gli aveva sicuramente riferito che avevo preso il suo posto, ma era stato solo per un periodo oramai concluso!

-   Tu eri d’accordo, non ti ho fregato le chiavi.

In quel momento l’avrei presa a calci.

-   Non ti ricordi neanche che sei stato proprio tu a dire che era meglio la saletta del fitness o Fefè si sarebbe accorto del movimento sul Roof?

Sì, ci stava che l’altro me avesse messo a rischio tutto per Lidia, quello che ancora non capivo era il motivo per cui Marcello le aveva rifilato quel pacco.

-   Se non mi credi, senti qua … secondo te non fa schifo?

La seguii nei camerini per assaggiare la coca di Marcello, ma poi disse che era stata Veroca ad averla avuta in consegna prima di portarla al festino. La roba era stata tagliata malamente con del bicarbonato e quella non era opera di Marcello, lui usava mannite per steccare sulle dosi e non si rovinava la piazza quando voleva farsi dei nuovi clienti.

-   Allora chi sarebbe stato?

Chi aveva tenuto la coca prima del festino > Veroca.

-   Rischia più di me, i soldi sono di Aldo e quello l’ammazza!

Veroca, come me con Lidia, peccava di buon cuore e non era difficile credere che Carmelo l’avesse raggirata in qualche modo.

-   Come cazzo non ci ho pensato subito … quello gnomo malefico s’è pippato la nostra bamba … ma come facciamo adesso?

Potevo provare a mischiarci della fentermina insieme a creatina e lidocaina. La prima era un'anfetamina per dimagrire, la creatina monoidrato avrebbe aiutato a dare corpo al taglio della loro merda e, infine, la lidocaina che era un anestetico, avrebbe fatto addormentare la punta della lingua al momento dell'assaggio > Era tutta roba disponibile nell'ambulatorio di Zeno.

-   Che stai facendo?

Quando la sfiga inizia fin da subito a remarti contro, dovresti solo tirare i remi in barca e aspettare che passi la buriana.

-   Da quando mi rubi i farmaci?

Stavo triturando la soluzione nel piccolo mortaio che usava Zeno, quando me lo vidi comparire davanti …

-   E chi ti avrebbe insegnato queste cose?

 … le cose stavano così e basta.

-   Ho chiarito con Aldo … e tu sei un imbecille romantico.

No,  era colpa del flunitrazepam. Di mio ero solo un romantico fottuto …

-   Dammi una rapida spiegazione di tutto quello che sto vedendo …

Ah, ma che palle! Stavo solo cercando di salvare quella merda …

-   Raddoppia la dose di creatina … torno subito.

Zeno assaggiò la mia ricetta e fece una brutta smorfia, ma poi disse di terminare quello che stavo facendo e uscì dall'ambulatorio. Vi rientrò insieme a NCC che non si staccava dalle tette di Veroca.

-   E' tutto quello che si è potuto recuperare.

NCC era parecchio alticcio, fece schioccare un paio di volte la lingua sul palato e strinse la faccia in una smorfia, poi volle tirare un’altra striscia e deglutì allungo … disse che sapeva parecchio di medicina, ma già la sentiva salire in testa.

-   Tu va a casa.

NCC e Veroca si erano avviati per la saletta del fitness, ma Zeno trattenne ancora Lidia che cercò di opporre una debole resistenza, poi disse a me di tornare a casa.

-   Sta tranquilla, Ciro non saprà mai niente di stanotte … ma d’altronde Roberto ...

Furono gli ultimi stralci della loro conversazione che ascoltai, poi chiusi dietro di me la porta dell’ambulatorio e non volevo sapere cosa stava per accadere. Bea era terrorizzata dalle punizioni di Zeno e anche Marcello si cacciava lo sguardo tra i piedi quando ne sentiva anche solo accennare, ma nessuno dei due aveva mai spiegato che cosa gli facesse di tanto brutto. Sì, anch’io avevo buscato i suoi ceffoni ed era roba che ti mischiava i punti cardinali, ma sapevo che non si trattava solo di botte.

-   E vai col trenino di cacao meravigliao … cacao … cacao …

Quegli altri stavano facendo un gran baccano e non sarei riuscito a origliare neanche se avessi voluto > Zeno aveva avuto il suo torna conto, Fefè non avrebbe mai saputo che Aldo gli remava contro e persino Carmelo l’aveva fatta franca. Io potevo solo andarmene. Lidia se l’era cercata e in fondo doveva levarsi dalla testa quella pazzia di diventare famosa. Un passo dietro l’altro, mi ritrovai davanti alla centralina dell’allarme, digitai il codice d’accesso, feci scorrere il menù ad albero fino a “cambio codice”, il tastierino bippò ripetutamente quando apprese la nuova serie di numeri; quindi iniziò ad emettere i bip più lenti del ritardo di accensione, da quel momento avevo un minuto per uscire e abbassare la saracinesca … feci in tempo anche a rimettere i lucchetti e siccome l’allarme ancora non scattava, detti un calcio alla serranda, più di uno … continuai anche dopo che la sirena si mise a suonare … forse urlai anche ...

 

Buco 04 – Il Richiamo del Sangue

 

Quella notte riuscii a salvare anche Lidia, ma ci volle l’intervento dei vigili del fuoco per farli uscire dal Mykonos > Tutto questo ebbe delle conseguenze > Io al Mykonos non ci potevo tornare > Niente più clonazepam e meno che mai flunitrazepam. Gli effetti dell’astinenza da benzodiazepine erano mitigati dalla marijuana di Lele, così facendo scivolai di nuovo nel limbo della periferia. Una mattina mi risvegliai a casa mia e c’era Lele accanto a me, nudo e brutto come un verme che si rivolta impudico nel grasso dei propri vizi. Lo volevo cacciare, cancellarlo dalla mia vista e lo sollevai di peso dal sofà e lo scaraventai lontano. Frignava ma lo continuai a picchiare fin quando non ebbi più forza nelle braccia. Solo dopo mi guardai attorno e che disastro! Sedie cappottate, suppellettili per terra … la vetrinetta della sala da pranzo con lo sportello spaccato ed Evelina piccola, piccola che mi fissava atterrita da un angolo remoto. Non lo avevo ammazzato … Lele respirava e si muoveva emettendo rantoli soffocati dai colpi di tosse > Non lo avevo neanche convinto ad andarsene e lo guardai tornare sul divano beccheggiando su dei passi sbilenchi mentre si tirava su le mutande ingiallite dal piscio.

Forse è per farmi perdonare che gli offrii una pista della mia ultima creazione. "PVC, tu sei un cazzo di genio!" Ovviamente non era gratis e scambiai la mia merda con un pezzo di hascisc. "Quanta ce n'hai?" Era quanto mi ero imboscato della roba del festino. “Io te voglio bene, ma se me rimeni te sfanculo" Lele era sicuro che le mie crisi di violenza fossero dovute all’astinenza. “Tu sei ‘n tossico, è così, ce devi sta” Lele poteva procurarmi dell’ossimorfone, ma è un oppioide e avevo troppo paura dell’assuefazione. Per questo motivo Lele cercava di convincermi che ero già un tossicodipendente > Il suicidio di Edo mi toglieva ancora il sonno > Lele se ne doveva andare. "Soci come sempre?" Mi disse sulla porta di casa. Annuii solo con la testa perché non avrebbe accettato un No. Anche lui voleva diventare un protagonista della Grande Bellezza romana e aveva deciso di farlo attraverso la porcilaia di Brusco, gli servivo solo per questo … almeno credo.

Cioè, senza clonazepam la mia vita tornò a essere la risultante vettoriale di decisioni altrui. Le ansie mi opprimevano e si riaffacciarono anche tutte le paturnie riguardo alla mia sessualità amorfa. Odiavo sentirmi in colpa per non riuscire a essere felice, specie quando incrociavo i commiserevoli sguardi di chi si sentiva in dovere di aiutarmi. Uno di questi era lo Zio Gerardo che poi mi spinse a incontrare la famiglia di mio padre genetico, intendo proprio tutto il cucuzzaro israelita. La faccenda era ancora più sorprendente perché l’iniziativa partì proprio dal patriarca < Il nonno. C’era da crederci o lo Zio era andato a elemosinare attenzione per me e mi raccontava quella panzana per indorarmi la pillola? In quei giorni mia madre stava formalizzando anche l’adozione > Stavo per diventare ufficialmente il figlio del Generale < Hippie! Insomma, pensai che forse potesse ancora succedere qualcosa affinché la mia normalità non fosse solo tedio e tragedia. Dissi di Sì e subito dopo iniziai a maledirmi per averlo fatto, ma questo era normale, era una sensazione che provavo ad ogni decisione presa.

All'incontro mi accompagnò lo Zio > Non si fraintenda, io gli ero grato del suo interesse, ma dopo il colpo apoplettico anche la sua testa iniziava a perdere colpi. “Ho spento la luce?” E certo, avevamo già controllato almeno tre volte la luce nello stanzino. “Andate, tanto resto io in casa” Gli disse spazientita Dorina dopo un suo ennesimo tentennamento. Ci vollero almeno un paio d’ore prima di riuscire a metterci in cammino; Sì, perché andammo a piedi e quindi fu una lunga via crucis per dei suoi affanni dovuti al cuore malandato. Ogni cento passi, una stazione di passione e lo avrei ammazzato quando lo vidi sedersi davanti a un bar di Via dei Giubonari. Accadde esattamente quello che temevo > Zeno a quell’ora si recava al Mykonos. I due si salutarono e lo Zio si sbrigò a invitarlo a prendere un caffè e poi tante celie come se nessuno dei due avesse altro da fare. Ero a disagio perché era la prima volta che incontravo Zeno dopo il fattaccio di quella notte. Lo salutai con lo sguardo sfuggente, invece lui sembrava persino felice di vedermi! Con lo Zio parlarono sempre di me e dei miei successi sportivi. Zeno disse un sacco di belle cose e prima di accomiatarci, mi cinse il collo nell’avambraccio annunciando che ero stato ufficialmente invitato al ritiro speciale dei veterani. Solo al successivo allenamento ebbi modo di capire di che si trattava > Quello fu l’invito alla casa al mare di Agostino ed ecco spiegato anche il senso di quell’inaspettato perdono.

In ogni modo, sul momento pensai solo che le cose sarebbero tornate come prima ed era un bel sollievo. Tanto che non ritenni più necessario costringermi a incontrare Ezra. Appena varcai i confini del Borgo Ebraico, compresi di non aver ben ponderato tutte le conseguenze di quanto mi apprestavo a fare < Stavo accelerando troppo! Più mi avvicinavo e meglio mi rendevo conto che si trattava di un esame sociale. Come avrei sostenuto quegli sguardi indagatori e come avrei risposto alle loro domande? Volevo tagliare la corda, ma così all’ultimo istante era difficile trovare una scusa plausibile. Troppo tardi … riconobbi subito la sagoma di Ezra delinearsi tra i passati di Piazza delle Cinque Scole.

“Il mio l’ho fatto, ora è meglio che tolga il disturbo”

Sì, disse proprio così > Arrivati al centro della Piazza delle Cinque Scole, lo Zio declinò l’invito a pranzo di Ezra e mi sganciò. Comunque, dopo il primo incontro in circostanze a dir poco antipatiche, c’erano buone probabilità di far salire il livello dell’impressione che Ezra aveva di me. Pranzammo in uno di quei ristoranti che hanno i tavoli sulla via del Portico di Ottavia, dove pareva che lo conoscessero bene. L'audio dell'incontro era sparito un attimo dopo che iniziò a parlarmi e parlava, parlava mentre io gli contavo i peli della barba. In quei momenti stavo sperimentando l’esistenza del famigerato richiamo del sangue > Io lo stavo provando perché sentivo un sincero trasporto per quello sconosciuto. “Si chiama humus” No, non era stato quel vomito di cane in cui Ezra mi aveva costretto a intingere il pane a farmi strozzare, ma l’annuncio che dopo il pranzo saremmo saliti in casa per conoscere suo padre, cioè mio nonno, cioè il patriarca …

Che cazzo mi ero messo in testa? Possibile che solo in quel momento realizzai la gravità della faccenda? Se mia madre lo avesse saputo, avrebbe scatenato come minimo l’armageddon! “Si chiama halva parfait” Ezra mi chiese se volevo il dolce e avrei accettato qualsiasi cosa pur di prolungare il pranzo. “Tua nonna lo prepara meglio” Mangiai di gusto fino all’ultima briciola, anche se sapevo come quel dolce al pistacchio mi avrebbe fatto male. “I pistacchi non li dovrei mangiare, ma come si fa a resistere?” Oh, cazzo! Facevano male pure a lui e non era la sola cosa che avevamo in comune > Quando ridevamo, strizzavamo gli occhi alla stessa maniera! < ‘fanculo il richiamo di sangue. “Ti piace l’uva?” Perché esiste qualcuno a cui non piace? “Intendo quella appassita, ma senza niente di aggiunto” Oddio, Sì! Da bambini, Lalla tirava fuori la lingua facendo il gesto del vomito, quando mi vedeva abbuffarmi di quella roba. “E la liquirizia?” Gli mostrai la scatolina tonda di metallo dei confettini neri amarissimi e lui rise perché ne aveva un’identica in tasca. Continuammo per un po’ a fare quel gioco ed era … non so, era bello! Lui era come me o, meglio, io ero come lui, cioè mi dissi > Cazzo, questo è mio padre! < Vallo a capire come tutte quelle robe ci finivano dentro a una sola sborrata …

“E’ ora di andare, abbiamo fatto tardi” Ezra era uno sporco avvocato e sapeva infinocchiarti con la parlantina sciolta < Tutte quelle chiacchiere mi avevano dissuaso dal rifiutare l’invito del patriarca. “E’ un gigante buono” Me lo avrà ripetuto non so quante volte che suo padre era un gigante buono, ma io pensavo solamente a quello stronzo dello Zio che non aveva insistito abbastanza per farmi vestire in maniera consona. “Ci sei?” Cazzo, avevo distrattamente messo su la stessa roba del giorno prima, stessa felpa e jeans di scuola e quelle scarpe da ginnastica erano sporchissime! “Ti vedo agitato” Ma dai! Sul serio si notava che mi stavo cagando addosso? “Andrà tutto bene” La faceva facile lui, ma io ero super impanicato e in quelle condizioni ero consapevole di essere in zona merdoni da paura. “Prendi un bel respiro” La respirazione è importante, me lo aveva insegnato Zeno. “Sei pronto?” La serratura del portoncino scattò crepandomi il petto e facendomi raggelare l'anima > Forse Ezra intuì che stavo per scappare via insensatamente perché mi tenne per un braccio.

“Non è vero quello che si dice su di noi, almeno non tutto quanto” Ezra mi raccontò una roba sugli ebrei brutti e cattivi, ma era una roba da ridere, solo che non fui in grado di cogliere il sarcasmo. “Ehi, mi ascolti?” Gli era chiaro o no che stavo flippando? Dal momento che ci aprì la domestica non riuscivo a pensare ad altro > Si sarebbero accorti di quanto fossi debosciato?  Ezra mi fece l'occhiolino per tranquillizzarmi, però dopo mi lasciò da solo nel silenzio ovattato dell’ingresso … c’era un orologio a pendolo sontuoso che faceva un gran chiasso con il suo ticchettio e non succedeva nient’altro. Poi comparve Ezra con quella che avrei scoperto essere la nonna. Sopraggiunsero alle mie spalle facendomi prendere un coccolone, così anche lei si accorse del mio stato di agitazione; tuttavia, questo non la trattenne dall’esprimere il disappunto per il nostro ritardo. Aveva avuto quella reazione solo dopo avermi squadrato da capo a piedi e, senza presentarsi, rimproverò il figlio per il ritardo, ma forse a infastidirla fu lo strano sorriso di soddisfazione comparso sul volto di Ezra.

La nonna > Alta, magra … molto magra  e con uno sbuffo di capelli argentato. Era vecchia ma poi non tanto, forse mi fece quell’impressione perché ero stato abituato a vedere le mie nonne in un certo modo, mentre lei indossava dei pantaloni a sigaretta e, una camicia color crema con un ricamo molto elaborato sui polsi e poi quel filo di perle < Le perle a me hanno sempre fatto un sacco chic. “Shalom!” Mi rispose con un certo distacco, dopo che le porsi il buon giorno pur di farle sputare una parola perché era rimasta immobile, fissa a guardarmi. “Ora mi credi?” Le disse Ezra e lei, portandosi due dita sulla tempia per distogliere lo sguardo da quella realtà disturbante, gli rispose “du zalst nisht vits mit mir” No, la nonnina non stava scherzando quando redarguì il figlio e poi continuò a parlare yiddish, forse proprio per non farsi capire da me. Tuttavia, compresi di averle appena fatto una certa impressione e temeva che il mio brutto muso avesse sortito lo stesso effetto al gigante buono > Intanto quei due mi lasciarono di nuovo solo con quella cazzo di pendola che mi martellava in testa …

Nel silenzio dell’attesa, mi ero accorto che c’era dell’altra gente in casa > Bisbigli, fruscii, improvvisi sussulti che soffocavano sulla carta da parati di velluto. Mi sedetti su una specie di savonarola e inavvertitamente, il mio piede sinistro si drizzò sulle dita e iniziò a farmi rimbalzare la gamba > Giuro che non mi ero accorto del rumore che stavo facendo fare a quella vecchia sedia, mi succedeva anche da piccolo di lasciarmi cullare da quel tic nervoso che, invece, faceva impazzire Angela. “Fatelo smettere!” No, questa non era Angela, quel cigolio innervosiva parecchio anche la nonna e sentii letteralmente esplodere la sua voce. “Non è colpa tua!” Prima venne Orietta, la domestica cristiana, ma subito dopo giunse anche Ezra che mi parlava in modo strano < Pronunciava ogni parola con accurata ponderazione. “Ti ricordi?” Sì, me lo aveva detto della mia somiglianza con suo fratello maggiore. “Beh, anche lui aveva questo tuo stesso tic nervoso” Me lo disse sgranando gli occhi e fu per rassicurarlo di non essere un fantasma, se gli spiegai di averne parecchi di tic nervosi. “Anche lui … anche lui” Ah, bene! Se da avvocato sapeva tranquillizzare i suoi clienti come aveva appena fatto con me … “Sei pronto?” No, ovviamente! Ma oramai Orietta marciava col suo passo marziale attraverso il corridoio e non ci restava che seguirla.

Mi ricordo quel corridoio come in un film horror > Era lungo e pieno di robe, specchi dalle cornici dorate, quadri, pesanti drappi davanti alle grandi finestre e il soffitto alto che mi diede il capogiro a guardarlo. “Vieni qua” Ovviamente ero io che avevo i bulbi oculari ovalizzati dal panico e vedevo tutto distorto, così i miei passi s’incepparono e allora Ezra mi cinse le spalle con il braccio per incoraggiarmi a incontrare i meganoidi, ma non avrebbe dovuto farlo perché io non ero uno di quei fottuti predestinati degli anime … ero un fake > Mi convincevo di essere forte avvitandomi direttamente nelle ossa l’esoscheletro di cinismo ereditato dalla Dottoressa Pina Hishimantsu, ma non ero forte e non potevo affrontare tutto questo > Sapevo cosa mi stava per accadere e non volevo che mi vedessero precipitare nella marea nera. “Calmati … Orietta, fa qualcosa” Ezra mi teneva tra le braccia e non avrebbe dovuto farlo, tutto franava sotto i miei piedi e la marea saliva rapida < L’aria non entrava più nei polmoni. “E’ epilessia” Non era epilessia, cazzo! “Ora sta bene” La nonna mi aveva fatto annusare una roba dentro una boccettina di vetro, tipo una piccola ampolla ed era stato come se nel naso mi entrasse una scossa elettrica che resettò il sistema. “Febbre emotiva” La nonna disse anche altre robe, ma io non la seguii perché mi avevano portato in quel salotto da dove avevo sentito arrivare tanta agitazione … e ora quelle voci erano tutte lì davanti a me … corredate di occhi che mi fissavano …

Il nonno era seduto sul divano, quello era il suo posto perché il suo enorme culo non lo avrebbe potuto parcheggiare da nessun’altra parte > Quello era l’uomo più grosso e grasso che avevo mai visto in vita mia … più grande persino di uno dei giganti di Ken Shiro! Erano tutti presi dal trambusto che gli avevo consegnato come biglietto da visita e quante ne aveva da dire la nonna a tal proposito! Poi il nonno mi fece un cenno con la sua mano gigante perché voleva che mi avvicinassi. E che dovevo fare? Mi alzai e gli andai vicino e una volta davanti a lui, mi esaminò squadrandomi dalla testa ai piedi per più volte, mi toccava anche e mi chiese di chinarmi su di lui per carezzarmi il capo, fu allora che gli altri smisero quella bolgia di celie. La nonna corse in soccorso del marito per asciugargli le lacrime e poi gli soffiò il naso con lo stesso fazzoletto > Stavo scoprendo quanto gli yiddish somigliassero a degli appassionati partenopei … ma più fuori di testa. D’improvviso ricominciarono a parlarsi l’uno sopra l’altro con emozione ancora più esagerata. Poi, di punto in bianco calò di nuovo il silenzio perché la nonna entrò nel salotto tenendo una cornice stretta al petto. “Mame, s'iz nakh fri” Cercò di dirle Ezra per dissuaderla, ma secondo lei dovevo saperlo e a me bastava che tenesse a portata di mano quell’ampollina di roba super buona.

Il ragazzo cui somigliavo si chiamava Shimek ed era il figlio maggiore dei nonni. In quel ritratto fotografico indossava una divisa scolastica e avrà avuto giusto la mia età e sì, era sconcertante! Eravamo praticamente due gocce d’acqua. “Mame!” Esortò il nonno, quando sua moglie mi porse un’altra foto, una tesserina dai bordi smerlettati e in quella c’era Shimek con altri ragazzi, tutti con un cappello in testa con la visiera che gli oscurava lo sguardo. “Lui è questo qui” M’indicò la nonna, senza che io riuscissi a distinguere gran che. Mi spiegò che era l’ultima immagine di suo figlio, quelli erano gli ultimi giorni che avrebbero trascorso a Stettino perché le leggi razziali in Germania li avevano convinti a imbarcarsi per l’Argentina. Shimek lasciò quella foto in una busta con una lettera in cui annunciava di arruolarsi nella resistenza ebraica < ZOB. La lettera l’avevano bruciata e avrebbero dovuto fare lo stesso anche con quella foto, ma la nonna non poteva separarsene. Successivamente seppero che Shimek era stato infiltrato nel ghetto di Varsavia, dove probabilmente morì durante l’insurrezione eroica del 1943. Ascoltare la sua storia mi scavò una trincea nel petto > Volevo andare in guerra, volevo morire per salvare il mondo, ecco come avrei potuto dare un senso alla mia inutile esistenza! Il nonno si lamentò borbottando che se Shimek non fosse stato così stupidamente idealista, non sarebbe morto invano. Allora m’incazzai, cioè, stavamo parlando di un martire, un cazzo di eroe, quella foto sarebbe dovuta stare sui libri di storia! Insomma, dissi anche dell’altro, quando mi piglia, sono come un invasato.

Il nonno iniziò a far sobbalzare il suo panzone dalle risa e dicendo qualcosa in quella loro strana lingua, si menò uno scappellotto in fronte, facendo ridere anche tutti gli altri. Mi sentii proprio ridicolo e avvampai dall’imbarazzo. Quasi, quasi mi sarei pure offeso se non la piantavano di sganasciarsi. In sostanza il nonno aveva detto che la vena di follia che attraversava la sua famiglia, doveva essere proprio potente se si era trasmessa pure a un nipote bastardo > Che cazzo ci avranno mai trovato da ridere non lo so … però non m'infastidiva quella brutale franchezza. Certo non potevo pretendere che mi considerassero ebreo, però, dopo aver visto la foto di Shimek, mi dissi che la mia faccia valeva più di una kippah in testa e se ripensavo alla minaccia della comare Nella di sputtanarmi raccontando a che razza apparteneva il mio vero padre, ora avevo voglia di gridarlo al mondo intero di essere un bastardissimo, fottuto yiddish del cazzo!

Aver ripreso contatto con la famiglia ebrea complicò ulteriormente la mia complessa esistenza multidimensionale. Almeno un pomeriggio a settimana mi ritrovavo a bussare a casa del nonno. Mi piaceva quell'uomo perché sapeva ridere delle proprie lacrime e sorbivo ogni emozione dai racconti da Hobbit che mi faceva. A volte chiamava la nonna perché non si ricordava se quel tal parente fosse figlio della cugina di tal prozio e che discussione ne veniva! Poi, immancabilmente, si commuoveva perché quasi tutti quei mille rivoli parentali confluivano nel mare di dolore della shoa. Mi raccontò anche la parte della mia vita che non conoscevo e al suo solito ci rideva sopra senza fare sconti a nessuno. Io ero stato tecnicamente il loro primo nipote > Una palla di lardo tale a quale a suo nonno, certificò la nonna mostrandomi un’altra immaginetta dagli orli ricamati, scattata nel breve periodo in cui fui affidato a loro. In quella foto ero seduto su un tavolo e parevo proprio un piccolo Buddha felice > Mi stupiva l'entusiasmo con cui i nonni ricordavano il mio arrivo nella loro famiglia. Parlavano in yiddish quando dovevano nascondere il biasimo per mia madre, ma era chiaro che la considerassero la seduttrice del figlio, anche perché era molto più grande di lui, che per di più era anche il loro figlio più giovane. Al nonno per poco non scoppiava un embolo quando gli confidai di tutte le volte in cui mia madre mi tappava la bocca con la storia che furono loro ad allontanarmi per via del sangue ebreo che si trasmette per linea materna. "Avrei buttato il mio primo nipote per strada?" Disse il nonno indignato, prendendosela con i pregiudizi antisemiti sui costumi ebraici.

La nonna mise quella mia piccola foto in una cornice e poi la pose in mezzo alle altre sul mobile a specchiera del salone. Ne fui così orgoglioso! Tuttavia non acconsentii alla richiesta di rifare la foto di famiglia e forse si offesero anche un po’ > Quella foto veniva rinnovata continuamente, ogni volta che la famiglia si allargava. Quel No fu colpa di mia madre, fu un po’ come quando da piccolo mi diceva di rispondere di No agli inviti a pranzo della Zia Pina > Si tratta di quegli imprinting che ti rimangono come marchi a fuoco nel cervello. Fu così che risposi di No alla loro bella proposta, loro si offesero ed io ci soffrii tantissimo. A volte penso che se avessi accettato di fare quella foto, la mia vita sarebbe stata diversa. Forse il randagio avrebbe accettato senza troppi scrupoli e questo rimorso mi spinse a ricorrere sempre più spesso al flunitrazepam perché senza non sarei mai stato capace di liberarmi dal giogo del mio passato.

 

Buco 5 – Amicizie Amorose

 

“Dove sono?” Classica domanda post Roipnol. Il Roipnol usa il principio attivo del flunitrazepam, ma è una roba fulminante! “Fidati di me”, Mi disse Mattia, quando mi porse quel confettino in punta di lingua e fu come gettare napalm sull’ippocampo del mio cervello > Una liberazione da tutti quei freni inibitori cui ci incatena l’ethos. Il problema stava nel risveglio su qualche battigia sabbiosa, dove la risacca del presente cancellava ogni traccia delle orme che ti ci avevano condotto. “Chi sono?” Sì, a volte capitava anche che mi domandassi chi ero, perché noi siamo fatti di ricordi e quando inizi a cancellarli, sbiadisce anche la tua identità. “Mattia” Ero nel letto di Mattia. Lo smarrimento di quella volta era in parte giustificato dal fatto che prima di allora non avevo mai visto la camera di Mattia. Per la precisione era la prima volta che stavo in casa dell’avvocato Lollo. Dopo l’invito ricevuto alla casa al mare di Ago, Primo mi aveva dato l’assillo sul quando e come avrei colto quell’opportunità, ma c’era da scommetterci che non c’entrava nulla con il modo in cui ero finito nel letto insieme a Mattia.  

La penombra rendeva la sua pelle abbronzata ancora più uniforme > Le spalle larghe, la bella schiena nuda con i suoi solchi che precipitavano nel coccige celato dal lenzuolo bianco. Risvegliarsi accanto al corpo di Mattia ti rievocava scene da un film peplum > Il suo corpo non aveva nulla da invidiare a quello di un Adone. “Che puzza!” Sprofondai il naso tra i suoi capelli riccioli, sicuro di trovarvi il profumo del balsamo che era solito usare, invece mi arrivò su per le nari l’odore acre di squirto di fica raffermo, altrimenti detto in romanesco: concallato. Quel puzzo mi si strozzò in gola e fu come riacquistare la misura di tutti gli altri sensi, compresa la vista perché quelle lenzuola erano ingiallite dagli umori corporei che avevano assorbito. La mia pelle era ancora madida di sudore mischiato a dell’altro che mi dette repulsa solo a immaginarlo. Per fortuna che il bagno era subito a destra appena uscito dalla stanza di Mattia. M’infilai nella doccia e ripresi fiato con il buon profumo di bagnoschiuma che pervase la cabina di cristallo. Pisciai nel piatto di ceramica della doccia e sentii il forte bruciore dell’urina scorrermi via dall’uretra > Avevo l’uccello infiammato dalle abrasioni della notte di sesso. “Buondì” La porta del bagno era scorrevole e fu come aprire un sipario e trovarci dietro la governante < Detta così uno la immagina come una donna grassa e avanti negli anni > Niente di più sbagliato > Carmen era alta, mora con dei fianchi generosi, latini direi. Era grande, sicuramente aveva più di quarant’anni, forse si avvicinava anche ai cinquanta, però non era a quelli che uno pensava quando ti stava davanti > Indossava solo una sottoveste di raso con dei ricami floreali che si adagiavano sinuosamente sul decolté > La sottoveste però somigliava troppo a quelle che usava anche mia madre e la cosa mi fece l’effetto di una doccia fredda …

“Hai fffame?” E’ difficile spiegare l’accento di Carmen. “Ho preparato qualcosssa” Il suo accento ispanico sembrava qualcosa di artificioso > Volutamente sensuale, insinuante, provocante. “Segui-me” Carmen non batté ciglio nel vedermi uscire dal bagno con indosso solo un asciugamani legato in vita e trovò naturale chiedermi di seguirla in cucina. “Le chancletas estan nel cassseto” Si preoccupò invece delle mie impronte bagnate sul parquet. “Oh, carissimo!” Non era Carmen che stava spignattando in cucina. “Omelette, proteine, proteine, proteine, d’accordo?” La cucina era il regno dell’avvocato Lollo. “Non fare l’ingorda!” Bacchettò la mano di Carmen che stava rubacchiando della frittata per il suo toast. “ Yo necesito pr .. pr-rot-te … mierda” Tra l’avvocato e Carmen c’era un’intimità speciale. “Stanotte ti sei sgranocchiata due polletti” Si scambiavano sorrisetti ammiccanti e, quando proprio non riuscivano a trattenersi, allungavano una mano per toccarsi. “Y otra vez y otra vez … que Cabròn!” Stavano parlando di me? Sì, Carmen raccontava qualcosa di me e l’avvocato ridacchiava sommessamente > Avessi avuto indosso almeno un paio di mutande, non mi sarei sentito così imbarazzato. “Dios no lo quiera, lui non es Carmelito!” L’avvocato mi aveva scambiato per quello gnomo di Carmelo? “Hai ragione, scusami” Si scusò dando la colpa alle lenti a contatto che non aveva ancora messo su. “Come ho fatto ha sbagliarmi!” Ecco, c’era proprio da domandarselo. “Tu sei una colonna di ragazzo” Sì, ma non aveva ancora capito chi fossi. “Ma sì, tu sei il ragazzo di Zeno!” Provai a spiegargli chi fossi indicandogli Primo, ma lui semplificò tutto con quello che ero per tutti.

Quella notte Mattia ed Io avevamo scopato con Carmen, non che me lo ricordi, ma essere amico di letto di Mattia comportava il vaglio della governante colombiana. “ .. era un burro!” Carmelo non stava simpatico neanche a Carmen che lo ricordò facendo facce stravaganti. “Mi farebbe piacere se venissi” L’avvocato mi aveva appena invitato ad andare nella casa di Fregene. “Così possiamo conoscerci meglio” Carmelo avrebbe fatto carte false per andarci ogni volta, ma io avevo ancora in mente il fine settimana a San Felice Circeo da Agostino. “E dai, non farti pregare!” Giusto per spiegare la mia titubanza > L’ultima volta l’avvocato mi aveva infilato un dildo nel culo per vincere una scommessa con Ago. “Ci sarà tutta la famiglia … anche Carmen, vero Carmen?” E come avrei potuto rifiutare quell’invito > Primo mi tagliava i viveri se sapeva una cosa del genere. Al contrario, Toni la buttò giù durissima e aveva anche ragione perché quel fine settimana avremmo dovuto recensire un contest di musica rock > Insomma, di quella notte di sesso con la governante non ricordo nulla, però so quello che era accaduto prima …

"Sono Charlotte, non ti ricordi di me?" Mattia bazzicava il bar dei pariolini a Ponte Milvio, dove di sabato sera sfilavano le fuori serie che discendevano dalla Camilluccia. "Lo shootig a Villa Paphili, ti ricordi?" Per Lele e Carmelo era quella la Grande Bellezza cui anelare. “Abbiamo sfilato insieme anche al Plaza” Io, invece, ci venivo trascinato di contro voglia da Mattia e spesso anche con l’inganno. “Lo stai facendo apposta … è imbarazzante, lo sai?” Povera Charlotte, mi ricordavo di lei, ma se abboccavo alla sua lenza, avrei dovuto pagarle la serata e non me lo potevo permettere > Era questo il motivo per cui non ci volevo andare a Ponte Milvio. “Lory non mi ha chiamata” Charlotte era preoccupata perché la nostra agenzia non si era fatta più viva con lei > Il motivo era che allo show room della maison Valentino aveva fatto sclerare la figurinista per una minigonna che le avrebbe lasciato scoperta una smagliatura sulla coscia. "Tu sei proprio scemo!" Mattia non comprese il senso della mia schiettezza. Ok, ammetto che avrei potuto indorarle la pillola, ma le ragazze come Charlotte si pagavano il lavoro di modelle come fosse un costoso abito sociale. "Chi ti capisce è bravo" E allora poteva mettersi in fila con tutti gli altri, perché non mi capiva nessuno … neanche io. "Quella è una gran gnocca, cazzo!" Chissà perché m'impegnavo tanto per essere cool, se poi non lo facevo per la figa …

"Sei solo un ragazzino" Quanto poteva darmi fastidio sta frase! Certo perché non potevo capire l'impellenza d’infilarlo in un buco. "Sta zitto e fa parlare me" Socializzare non solo mi annoiava, ma era una vera sofferenza … tanto anche questo mio distacco risultava super cool. "Su bello che hanno sbrodato quando ho detto che andiamo a casa tua" Mattia ci usciva pazzo con me! Proprio non capiva le mie insicurezze. "Così mi fai incazzare!" Se lo lasciavo fare, Mattia avrebbe portato a casa mia delle ragazze tutte le sere. "A Evelina ci penso io" Evelina non aveva torto a opporsi perché bastava che imboccassero in casa due femmine di fila per far chiacchierare tutto il condominio e figurarsi cosa sarebbe accaduto se un solo pettegolezzo fosse arrivato all'orecchio di mia madre! “Sono tutte scuse di merda” Mattia non era diverso da Toni e neanche da Lidia > Volevano organizzarmi la vita."E' normale che dei ragazzi escano con delle ragazze" Tipico egocentrismo da bisessuale dominante credere che la sua normalità sia l’unica possibile. "Mi sa che a te non preme la figa" In effetti osservavo in me una crescente misoginia per quei due neuroni spartiti uno per ovaia. "Io ho bisogno che tra di noi ci sia di più …" A questo punto giunse il confettino di Roipnol e ci scopammo la sua governante colombiana, niente di strano perché a casa sua tutti scopavano con Carmen, compresa la madre …

Casa al mare > Medesima situazione di città > Mi alzo presto e trovo in cucina l’avvocato Lollo che prepara la colazione. Carmen lo assiste da seduta in una posa annoiata. “Mommo!” Esclamò entusiasta l’avvocato. “Il mattino ha l’oro in bocca” Disse, dopo avermi invitato ufficialmente nel club dei mattinieri. “Matti ha preso della mamma, quei due sarebbero capaci di dormire giornate intere” Mi sedetti al tavolo con Carmen che mi versò della spremuta d’arancia fresca. "Devi portare pazienza con mio figlio" Era imbarazzante ricevere consigli sentimentali su Mattia, cioè mi stava attribuendo palesemente il ruolo di suo nuovo amico di letto. "C’eravamo affezionati a Carmelo, ma temo che si approfittasse di Matti" L’avvocato sapeva tutto e non solo a proposito di Carmelo, mi parlò anche di Veroca in relazione alla gelosia che provocò in Mattia. "E’ un ragazzo molto sensibile" Forse intendeva dire > Geloso a livelli patologici. “Ultimo anno di liceo e poi l’Università, come corre il tempo, vero Clo?” Clo era il vezzeggiativo di Carmen > Stare con quella gente mi cappottava i valori  morali della società cattolica e mi facevano sentire improvvisamente più bacchettone di mia madre.

La loro villa di Fregene era un elemento architettonico dissonante con il resto del paesaggio > Linee di cemento armato grigio che s'intersecavano in un parallelepipedo tutto sommato più piccolo di quanto apparisse. La piscina proseguiva fin dentro casa, ma le vetrate del piano terra si aprivano totalmente, diventando tutt'uno col giardino < Lì dentro mi sentivo un pezzo d'antiquariato sempre in cerca del suo stipetto stile vittoriano su cui parcheggiarsi. In quei giorni fui presentato a tutta la famiglia Scrocchi da Pietra Dura. C'era la zia con il cugino scemo che si trascinava dal divano al letto su passi stanchi e annoiati. Poi c’erano i nonni, entrambi completamente tuonati, i quali continuarono per tutto il tempo a chiedermi chi ero. La zia, invece, era un'artista concettuale e in quel momento dipingeva con la porporina dei piccoli Buddha di gesso senza volto, ce n'erano ovunque sparsi per il giardino. Era lei a sistemarli e poi andava a spostarli continuamente, come se all'improvviso si accorgesse di aver commesso un errore madornale. Carmen e l’autista Antonio si comportavano esattamente come degli ospiti mentre i domestici erano un’intera e operosa famiglia di filippini. 

La mattinata del sabato trascorse nel fermento dei preparativi del ricevimento che si sarebbe tenuto la sera e noi giovani eravamo d’intralcio. Fu così che Mattia mi portò a conoscere i vicini di casa insieme al cugino scemo. Conobbi Vito che era il figlio dell’Ingegner Bernardini e stava con la fidanzata. Mattia disse di tenercelo buono solo perché era auto munito, ma a me invece stava proprio simpatico e legammo parecchio perché mostrai interesse per i suoi studi di botanica, ma forse era proprio questo che infastidì Mattia. Dall’altro lato della strada viveva Lavinia > La figlia dello studio notarile Alce Pina Santarelli < Mattia aveva profanato ripetutamente ogni suo pertugio fin dai tempi delle scuole medie. La descrisse come un’invasata ed effettivamente aveva un’indole a dir poco effervescente. Mattia fu piacevolmente sorpreso dalla presenza di Ottavia, cugina di Lavinia > Un angioletto biondo dai lunghissimi capelli setosi. Il mio ruolo fu subito quello di tenergli a bada Lavinia per lasciarlo libero di lavorarsi Ottavia. Facile a dirsi ma non a farsi perché Lavinia era ultra cotta di lui e benché sarei stato felice di “metterglielo in mano” come mi suggerì Mattia, lei non mi cagava proprio. Trascorremmo tutto il giorno a casa loro e nel pomeriggio andammo anche a fare un’escursione al mare e per tutto il tempo Lavinia lo tampinò, tanto che finii per trascorrere la maggior parte del tempo insieme al cugino scemo.

Il ricevimento della sera era roba per adulti ed era scontato che i figli si recassero presso la discoteca locale. “Che cazzo ti sei messo indosso!” Pantaloni di pelle e sotto il Chiodo borchiato, una camicia di pizzo bianco < Ero uno strafigo, altro che! “Sei ridicolo” Ma se mi aveva piantato un casino quando aveva trovato quella roba nel mio armadio, lamentando che non me la mettevo mai quando uscivo con lui. “Non stiamo andando in uno di quei posti di merda” Si riferiva alle mie uscite rock con Toni. “Va a cambiarti” La cosa più antipatica e che mi fece quella piazzata davanti a tutti e passi i nonni che vivevano in un mondo parallelo, ma con tutti gli altri fu una grezza pazzesca. “Ti presto io della roba decente” Mi stava piccola la sua roba. “Questa me la paghi” Uscimmo di casa dopo questa sua ultima minaccia e, comunque, compresi quello che intendeva nel momento che guardai Vito > Lo stile dei giovani vacanzieri di Fregene era decisamente Yuppies, cioè quella tendenza degli anni ottanta che imitava l’abbigliamento dei brokers di Wall Street < Beh, diciamo che se volevo farmi notare, c’ero riuscito benissimo. Prima di entrare in discoteca era prassi sfoggiare la macchina andando su e giù in uno struscio motorizzato. Vito guidava una Audi cabriolet rossa e compresi dunque la raccomandazione di Mattia di quella mattina > Che gran figurone che facemmo!

Peccato che il resto della serata andò sempre peggio > Lavinia mi schifava, Ottavia seguiva come un cagnolino la cugina, Vito scomparve e soprattutto, Mattia m’ignorò per tutto il tempo > Che ci stavo a fare in quella tana per pariolini? Anche la musica era pessima > Dance commerciale tipo Tarzan Boy di Baltimora > Me ne tornai a casa senza dire niente a nessuno. Rimanevo un maestro nell’individuare i corridoi dell’invisibilità, fu così che nessuno si accorse del mio rientro e fu un sollievo quando mi richiusi la porta della camera alle spalle. La camera degli ospiti dava sulla piscina e non potei fare a meno di dare una sbirciata al ricevimento > C’era uno gruppo musicale che intonava canzoni estive anni sessanta, tipo la mitica Sapore di Sale. Era un party informale > Le abbronzature delle signore indossate su spalle scoperte e costosissime cosce rassodate, mentre il lino beige mimetizzava le panze dei signori rigorosamente in scarpe da yacht. Andai a guardarmi allo specchio dell’armadio e con quella roba indosso parevo proprio un pagliaccio vestito a lutto > Tanti anni trascorsi alla corte della Principessa non mi avevano insegnato nulla. Mi tolsi di dosso quella roba e sprofondai nel letto, lasciandomi cullare le orecchie dal rumore di fondo prodotto dalla festa.

“Te ho porrrtato qualcosssa da mangiàre” Evidentemente mi ero trattenuto troppo davanti alla finestra e Carmen mi aveva visto. “Tienes ochio tristes” Era entrata in camera senza bussare portando un vassoio riempito sul buffet. “La felicitad es dei giovani, non la rifiutarrre” Avevo proprio fame e mangiavo di gusto ogni bocconcino adagiato su quel vassoio d’argento. “Mattia tiene el medesssimo vicio de su padre” Carmen era giunta in quella fase della vita dove l’esperienza inizia a farti dare consigli. “Antonio dormirà con l’avvocato esta nottte” Non la ascoltai fin quando iniziò a parlarmi del vizietto che accumunava Mattia a suo padre. “Carmelo lo sabìa bien” Con tutta la sua saggezza da meretrice, Carmen mi aveva scambiato per un sempliciotto. “Mattia no se portò bien con te” Lo avevo provocato vestendomi in quel modo perché quella sera avrei preferito stare al contest rock con Toni invece di sbattermi tra i suoi amici pariolini > Ma non lo avevo fatto apposta. “Sssei un an-gelo” Mi disse Carmen, stringendomi il capo contro il suo profumatissimo seno. “Buens noches” La Zia Pina mi aveva insegnato che a star zitti si fa sempre bella figura e, non capendo un cazzo di quello che mi aveva voluto dare ad intendere Carmen, me ne stetti in silenzio per tutto il tempo fino ad annuire al suo saluto, quindi lei se ne andò dalla stanza soddisfatta perché era convinta di aver raggiunto il suo scopo, di cui io continuai a non sapere.

“Allora che fai, mi reggi il gioco?” No, la serata non era ancora finita. “Muovi il culo da questo cazzo di letto” Le ragazze avevano il coprifuoco a mezzanotte o magari anche prima < Questioni di salvaguardia dell’imene. “Che cos’è che non ti è chiaro nel plurale di: ci stanno aspettando?” Lavinia non stava aspettando me come a Ottavia non importava di lui. “Pirla, con le ragazze devi insistere, perciò andiamo sotto la loro finestra” Non ero abbastanza etero da capire come tutto questo lo stesse eccitando. “Questo, come lo chiami tu, è l’amore” Lui era innamorato di Ottavia? “Me lo fa venire duro, quindi sono innamorato di lei” La logica del suo ragionamento era brillante. “Allora che fai, vieni?” E ma a me Lavinia lo faceva proprio ammosciare. >>Bestemmia<< Mattia era incline all’imprecazione. >>Altra bestemmia<<  Io non potevo essere quello che voleva lui. Noi non potevamo diventare amici a suo modo. Forse non eravamo così simili come pensavamo entrambi. “Ah, No?” Sfilò dalla tasca un blister di Roipnol per agitarmelo davanti al naso. “Allora dimmi perché se ti prendi una di queste, ci vieni con me, ti diverti con me, ci divertiamo da pazzi noi due” Se lo diceva lui, dovevo crederci. “Tu non ti ricordi proprio niente!” Beh, le aveva provate anche lui quelle pasticche. “Io non divento un altro, cioè tu, siete due persone opposte!” Sì, avevo notato che quell’altro stava più simpatico a tutti, solo Toni preferiva me, ma forse solo per masochismo. “Io voglio stare con te e se solo te lo ricordassi, cioè quell’altro sei sempre tu” Allora che stava aspettando per sganciarmi una pasticca?

Spoiler

Un'altra piccola teca di memorabilia > Ecco come si vestiva uno Yuppies

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Questi erano invece gli Emo degli anni ottanta > Darkettoni

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Insomma, giusto per dare una visione dell'epoca.

 

                                                                                                                                         Interludio

 

Carmelo s’intrippava di steroidi e pompava in palestra con la coca nel Vicks Sinex spray nasale, col risultato che aveva acquisito l'agilità di un Robocop e non fu certo per colpa mia se fu esonerato dal coach, ai suoi occhi invece ero stato io a rubargli il posto da titolare in squadra. Fu allora che me lo ritrovai sotto casa come un cane bastonato … era già da un po' che mi cercava … io mi facevo negare da Evelina perché non volevo certo ascoltare ancora i suoi beceri insulti da puttanaccia. Quella volta era venuto anche a vederci giocare e poi si era trattenuto per il dopo allenamento alla Pompa di Servizio < Mattia non lo aveva cagato minimamente … e poi mi seguì fino al portone del palazzo e che fai? S'invitò da solo a salire e sperai di trovare Lele in casa, ma oramai quel debosciato si faceva vivo solo per svuotarmi il frigorifero. "Io m'ammazzo!" Iniziò a piagnucolare i suoi guai e lo compativo anche, ma che voleva da me? "Solo tu me poi aiuta'" Carmelo aveva fatto carte false per partecipare al ritiro speciale della casa al mare di Agostino. “Ma che gli ho fatto?” Sperava di rientrare nelle grazie dei dirigenti della squadra, ma accadde l’esatto contrario e gli arrivò l’esonero. “E’ colpa de Mattia, lo so” Carmelo era convinto che Mattia mi preferisse a lui. “Lo so che sei stato a Fregene” Vero, ma che cazzo ci stava poi di tanto speciale in questa fantomatica villa al mare di Fregene?

“Tu sei nato col fiore ar culo come loro, perciò non te accorgi della fortuna che c’hai” Ma che ne voleva sapere lui e, soprattutto, cosa pretendeva che facessi ancora di più per lui? “Tu solo me poi aiuta’” Era per mia intercessione se Mattia lo tollerava in comitiva. "E' inutile che ce sbatto la testa sui libri" Ero disposto anche ad aiutarlo a studiare e non era certo comodo per me arrivare fino a San Basilio. "Tu non capisci" Non gli avrei sganciato neanche un centesimo. “Lo so che ce fai la cresta sulla roba mia” Poteva piazzarsi da solo le sue regalie da marchettone, se non voleva che mi trattenessi la percentuale sulla transazione. "Ho detto a casa che rimanevo a dormi' da Mattia" Io non potevo farci niente se quella sera il suo miglior amico lo aveva pisciato. "Toni?" Toni mi aveva appena lasciato basito fidanzandosi con Lidia > Stupido imbecille ciucciacazzi che credeva di avermi fatto un dispetto accettando di farsi usare da quell'altra puttanissima stronza. "Evelina non ce sta?" Evelina l’avevo lasciata andare da sua figlia … ma perché mi stava facendo tutte quelle domande? "Ma no, dicevo giusto così …" E va bene, se proprio non ci voleva tornare a casa, poteva pure dormire da me, basta che la smetteva di farmi sentire in colpa …

Toni si arrabbiava con me perché non sapevo rispondere di No e, secondo lui, gli amici si approfittavano della mia disponibilità. Comunque, Toni come Mattia e tutti gli altri, mi chiedevano soprattutto un tipo di rapporto esclusivo, cioè che escludesse tutti gli altri in virtù di qualcosa che io proprio non riuscivo a capire > Io volevo bene a Carmelo e per il suo bene mi recavo fino a San Basilio ad ascoltare noiosissime lezioni di Diritto Aziendale ed era un vero sacrificio respirare l’atmosfera pesante di casa sua, nel senso che puzzava sempre di verza mista a piscio di vecchio. Morale della favola? > La mia solitudine diventava sempre più affollata.

L’unico desiderio esclusivo che provavo ardentemente era di entrare nel mondo della musica e il piano era mettere su una band rock … questo però non era nei piani di Mattia, specie perché il progetto per il momento includeva solo me e il suo odiato fratellastro Toni. Le parole le scrivevo io, ma alle note doveva pensare il super DJ Toni, che ovviamente me lo faceva pesare dieci, cento, mille volte … comunque, alla fine, tra mille battibecchi, il nostro primo pezzo stava faticosamente prendendo forma < Bullet Proof Heart.  Trascorrevamo parecchio tempo a discuterne seduti sempre allo stesso tavolo della Pompa di Servizio. Ci piaceva troppo comportarci come fossimo già in una vera band. "Ma è una marcia funebre?" Commentò Mattia, quando ascoltò la cassettina della nostra demo. Che voleva saperne lui dell'intento di recuperare l'anima del primo dark dei Joy Division o nella sperimentazione elettronica di Blasphemous Rumours dei Depeche? "Piantala con ste menate e andiamo" Dal punto di vista di Mattia, l’esperienza a Radio Lambda e quella della band mi avvicinavano solo a Toni e quindi doveva trovare il modo di distruggerle. Accadeva la stessa cosa con ognuno di loro e allora perché si definivano amici? Era evidente che c’era qualcosa che mi sfuggiva nei rapporti umani ed era probabile che fosse connesso alla mia sensualità amorfa …

Buco 6 – Violenza Sessuale

Iniziai a frequentare la "Pompa di Servizio" con Mattia e Carmelo, prima di allora la conoscevo solo per sentito dire perché “Rita” era nota a tutti i canottieri che vogavano sul Tevere. Si trattava di un chiosco bar con annessa piccola sala ristorazione. Situato sul Lungo Tevere Diaz, da lì si scendevano le scalette che immettevano su Via Capoprati, da dove era possibile raggiungere gli attracchi sul fiume. Era un luogo veramente strategico perché la piscina era poco distante e c'era una comoda fermata dell'autobus proprio lì accanto. Senza contare che Via Capoprati era una piacevole passeggiata sul fiume che terminava a Ponte Milvio, dove Mattia e Carmelo erano di base per le uscite serali. In fine, sempre su Via Capoprati c'era un belvedere sul fiume molto appartato, ci si arrivava anche in auto e diventò il punto di spaccio per Lele.

-   Credevo che …

Rita era la proprietaria del bar ed era una avvenente cougar sui cinquant'anni o forse più. Era alta e slanciata, con dei seni che apparecchiavano dei decolté floridi come cesti colmi di frutta di stagione. Rita era stata una ragazza madre quando questo ti segnava per tutta la vita > Quel bar era il suo riscatto sociale ed esibiva una sensualità irriverente a spregio di tutte quelle finte sante, le quali, a suo dire, si sentivano tali perché facevano i bocchini solo in ginocchio. Sul fiume era diventata una leggenda e ogni canottiere ne aveva da raccontare qualcuna sul suo conto. Per esempio: Era noto che fosse una maga del pompino, da cui il soprannome del bar "Pompa di Servizio". Rita ci godeva come una cagna a fartelo venire duro tra allusioni e ancheggiamenti, ma alla prova dei fatti, dopo aver abbassato le saracinesche del chiosco, se ne tornava a casa sempre da sola.

-   Sei tu che mi hai chiesto di restare …

Rita mi stava simpatica e trovai naturale trascorrere più tempo nel suo bar, tirandoci dentro tutto il sistema planetario che aveva preso a gravitarmi attorno. Da prima fu Sandrocchio, che conosceva Rita e mi lasciava le chiavi di casa nella sua cassa; poi c’era Toni, per cui Rita nutriva una vera e propria adorazione > Quando un maschio la mandava in ovulazione peggio di un'adolescente, lo aspettava trepidante per corrergli incontro a passettini scemi e poi come si agitavano mentre restavano per ore a chiocciare dietro al bancone! Con Lele, invece, Rita aveva un rapporto conflittuale nonostante lui venerasse i suoi abitini animalier. Il fatto era che lo aveva sgamato subito e non gli permetteva di spacciare nel bar, tuttavia le faceva comodo che tenesse i suoi movimenti sul belvedere perché le portava nuovi clienti.

-   Non ti ricordi?

Dopo gli allenamenti serali, che si facevano saltando la cena, davamo l'assalto alla tavola calda della Pompa di Servizio perché era l'unica ancora aperta a quell'ora. Gli altri mangiavano in fretta o portavano via un panino caldo perché di fuori c'era qualcuno che li aspettava in macchina. "Ciao … ciao … scuola … domani … riportamelo o …" Il chiasso schiumava, defluendo rapido nella risacca del traffico < Ci rimanevo solo io e il mio latte e biscotti. Qualche volta mi dava compagnia Lele che contava e ricontava la svolta dei traffici dello spaccio, facendo mucchietti di soldi sul tavolo. "Ce l'hai da cambiamme sti sordi spicci?" Lele si fermava quando Rita andava via prima, così poteva approfittarsi del buon cuore di Danilo, il ragazzo tutto fare, per sistemarsi al calduccio. "Tiè e attento a nun anda’ a sbatte, te dovesse dà alla testa!" Lo corrompeva allungandogli uno spinello. "E che te dai prima dell'orario!" Sistemata la cucina e accatastate le sedie, si faceva quasi mezzanotte e a quell'ora d'inverno arrivavano solo i clienti di Lele; così Danilo ci chiedeva di andarcene per svignarsela una mezzoretta prima dell'orario di chiusura e ogni volta Lele gli faceva storie, minacciando di cantarsela con Rita. Solo dopo che mi alzavo io, Lele mi seguiva, altrimenti Danilo non avrebbe avuto il coraggio di metterlo alla porta.

-   Me stai a prende in giro?

Lele era stanco di spacciare tra gli sfigati di borgata e mi si era attaccato come una cozza allo scoglio per entrare nel giro della Roma bene. Il suo obiettivo era conquistare la Piazza di Monte Milvio, che corrispondeva al sogno della Grande Bellezza che aveva sempre avuto anche Carmelo. Introdussi Lele alla corte del Grande Maiale e Brusco mi chiese di garantire per lui, fu così che, mio malgrado, divenni suo socio e dopo aver individuato la posizione strategica del belvedere, capitava non di rado che Lele mi chiedesse di reggergli la piazza, quando doveva allontanarsi in macchina con qualcuno per concludere un affare. Io ci guadagnavo al massimo uno spinello e anche piccolo perché Lele era un noto spilorcio. Tutti mi mettevano in guardia dai rischi che correvo a restargli accanto, ma oramai era diventata un’abitudine e come tale, non ero in grado di privarmene.

-   Scusa, ma io non ce capisco più niente …

Sul belvedere bisognava stare attenti “Sta colle orecchie pizze” mi esortava sempre Lele, perché di notte quel posto sul Tevere era troppo appartato e qualcuno avrebbe potuto cedere alla tentazione di gettarmi a fiume. Quando i clienti non li conoscevo o arrivavano in macchine con subwoofer minacciosamente roboante, gli facevo cenno da lontano che non c'era trippa per gatti mentre fingevo di risalire le scalette che portavano sulla strada. Per dirla tutta, quel belvedere di notte faceva proprio paura e non ci rimanevo volentieri. Quella sera, Danilo mi fece prendere un bel coccolone! Ero appena arrivato sulla balaustra e buttato a terra il borsone da palestra, quando mi sentii bussare sulla spalla < Per poco non mi veniva un infarto e lo sfanculai diecimila volte prima di riprendermi dallo spavento. Era venuto a comprare due scudi di hashish. Aveva sicuramente aspettato che Lele spiccasse il volo perché Io ero molto più generoso, ma in cambio gli chiesi di rimanere a darmi compagnia < accettò.

-   Me lo hai chiesto tu …

Danilo andava e veniva da Morlupo con la Panda Van della tavola calda > Si faceva un bel po’ di chilometri sulla Flaminia, ben oltre il raccordo anulare. "Suono il basso" Chi l'avrebbe detto che suonava il basso! “Mi prendi in giro?” Mi raccontava di cose che sosteneva di avermi già detto. “Non vi serve più un bassista?” Aveva ragione Lele e oramai ero diventato dipendente dal Roipnol. “Non ti ricordi proprio niente!” Con Toni cercavamo un bassista per la band, questo me lo ricordavo. "Li conosci i Depeche Mode?" Cazzo, gli piaceva la New Wave ed era fan dei Depeche! “Smettila di prendermi in giro” Le mie amnesie coprivano archi di tempo sempre più lunghi. “Tu devi fa’ pace col cervello” A una certa, lo vidi allargarmi l’elastico della tuta per tirarmelo fuori, quando lo bloccai insistette pure perché credeva che stessi scherzando. “E poi non l’abbiamo fatto mica una volta sola” Era successo veramente? Danilo sosteneva che in una situazione simile, io praticamente lo stuprai e, comunque, a mia discolpa c’era che gli era piaciuto, se ora si stava incazzando per la mia inaspettata ritrosia.   

-   Ma che sei tipo quelli matti che c’hanno ‘n altra persona dentro ar cervello!

Chi era Danilo? > Non so se prima o dopo che diventasse il ragazzo tutto fare alla Pompa di Servizio, lui si era fidanzato con Chantal, cioè la brutta e antipatica figlia di Rita e le nozze si sarebbero tenute appena lui si congedava dal servizio militare. Ad un certo punto, Mattia lo prese di mira con la sua perfida goliardia e se le inventava tutte per metterlo alla berlina. Per esempio: Prima di chiudere un’ordinazione chiedeva se i cannoli alla crema li faceva con l’ingoio; oppure, ogni volta che vedeva Danilo chinarsi, gli balzava alle spalle per dargli un colpetto di reni sul culo. Nella grammatica omoerotica, questi erano degli approcci di un maschio alfa nei confronti di un maschio beta > L’intento stava nell’asservirlo per poi prenderlo nel proprio branco. Glielo avevo visto fare altre volte e tutto stava nella risposta del beta. Il quale poteva respingere l’avance a muso duro o ricambiare la goliardia iniziando il percorso di amicizia. In ogni modo, la proposta di un alfa non si poteva ignorare o questo ti avrebbe scagliato l’infamia peggiore > Mettere in dubbio la tua virilità che il branco avrebbe tradotto in omofobia, quindi facendoti oggetto della più svilente goliardia. Danilo era un maschio omega, cioè uno di quei ragazzi totalmente incapaci di reagire, da non confondere con la timidezza che cela una spropositata volontà di potenza. Gli omega sono naturalmente inclini alla sottomissione, ed è proprio questa mitezza di spirito ad inficiare la loro virilità > Uomini senza palle. Quello che Mattia faceva, sicuramente Danilo lo aveva sempre subito da ogni maschio alfa che aveva incontrato in vita sua, specie da quando era partito militare perché in situazioni cameratesche, il maschio omega è la classica preda del nonnismo. Questo non fa del maschio omega un omosessuale, ma nella grammatica omoerotica egli è un succubo e dietro la goliardia del branco si cela l’istinto bestiale di sottometterlo anche sessualmente.

-   Scusa, lo so che non sei matto, ma …

Quando il maschio omega presenta gli aspetti particolarmente deleteri di un succubo, quale un istinto di conservazione che sconfina nella codardia, unito magari ad un aspetto fisico poco prestante come può essere un incarnato gracile o grasso; questo può scatenare gli istinti più violenti di un branco. Parimenti ad una preda in fuga che infervora la canizza, il succubo si tira addosso ogni genere di violenza > L’omoerotismo amalgama il branco nell’esaltazione virile prima di un assalto. Il quale, in assenza di un agone sportivo, di una battuta di caccia o di una feroce battaglia, conduce a sfidare la morte in prove di coraggio suicide che diventano omicide per un succubo. Il maschio omega attiva una reazione contro questo rischio auto infliggendosi l’emarginazione preventiva, la quale può raggiungere livelli di isolamento che finiscono per riprodurre una violenza altrettanto devastante.  

-   E’ meglio che me ne vado …

Al contrario, quando in un succubo si ravvedono le qualità positive di un omega, tipo la scaltrezza o comunque una spiccata intelligenza, magari unita ad una certa piacevolezza nell’aspetto fisico, queste doti forniscono quel sex appeal che nella grammatica omoerotica origina un’offerta di protezione. La quale può arrivare direttamente dal maschio alfa, ma anche da un beta di alto o medio rango < Da tener conto che un beta di basso rango sta giusto una spanna sopra all’omega. Danilo non era proprio una spada col cervello, però era carino … almeno a me piaceva; invece, Mattia lo disprezzava dandogli del cagnolino di Chantal > M’inteneriva il suo sguardo vulnerabile e quel suo sorriso che ti prendeva sempre alla sprovvista … e checché ne dicesse Mattia, avrà avuto pure una corporatura minuta, ma quelle sue chiappette tonde erano talmente strette che si tiravano in mezzo la cucitura dei jeans …

-   Allora non te sei scordato proprio tutto …

Mi ricordai della prima volta che c’eravamo parlati, quando mi offrì un tiro di sigaretta sulla staccionata dietro al chiosco. Mattia si era appena fatto un nuovo amico sotto le docce e questo “beta di basso rango” per mettersi in mostra, era stato proprio perfido con Danilo, apostrofandolo “senza palle” davanti a tutti. Il poveretto si era dunque eclissato nel retro del chiosco e si era acceso una sigaretta sulla staccionata, cercando di gettare l’umiliazione patita nella vista sul fiume. “Non m’importa ‘n cazzo” Mi rispose così, quando gli dissi che quel coglione voleva solo compiacere Mattia. “Vuoi un tiro?” Mi offrì un tiro dalla sua sigaretta ed era una chiara offerta di amicizia.

-   Bada che non è stata quella la prima volta, ce parlavamo da prima, tipo un paio de settimane e non se trattava de parlà e basta.

Oh, cazzo! Non era possibile, cioè non potevo essere rimasto senza memoria per quindici giorni consecutivi. Almeno un flash, qualche sprazzo di sobrietà l’avrò avuto e poi, come potevo ricordarmi di alcune cose successe e non di quella? “M’hai spinto dentro ar bagno e m’hai detto che se te lo succhiavo, sarebbe finita là tra noi, oppure non te lo succhiavo e dicevi a tutti che facevo i meglio bocchini de Roma” Oddio, questa cosa me l’aveva raccontata Mattia, ma io non avevo voluto crederci. “Eppure è vero perché dopo quello stronzo non m’ha lasciato più in pace” Lo stronzo ero io! Come avevo potuto parlargliene, ben sapendo quanto Mattia soffrisse di gelosia. “E poi …” Basta, non volevo sapere altro. “Quando ti ho riaccompagnato a casa …” E no, ma ero diventato seriamente Dr Jakyll e Mr Hyde. “M’hai fatto ‘na pompa” Coglievo un certo suo compiacimento nel raccontarmelo > A quel punto dovevo credere anche a tutte le cose che Lidia raccontava di avermi visto fare e che pensavo che fossero solo pretesti per dirmi che non ero migliore di lei …

-   E così ‘ste pasticche te fanno fa certe cose?

Sarebbe stato troppo facile risolverla dando la colpa al Roipnol > Quello che non mi spiegavo era perché Danilo stava ancora là, avrebbe dovuto odiarmi almeno quanto detestava Mattia, che almeno si limitava ad angariarlo in pubblico. “E che ne so io” Non gli stavo neanche fornendo la protezione che qualsiasi altro nella mia posizione poteva fare.

-   Volevo sta nella band, uscì con voi, sta insieme ... e non me fa tutte ‘ste domande.

Il chiarore della luna non mi permetteva di osservare le espressioni sul suo volto, ma capivo dalle affermazioni appena sussurrate e dal fiato trattenuto che lo costringeva a dei lunghi sospiri, che lo stavo costringendo a rendersi conto di quanto succedeva tra noi e iniziava a sentirne il senso di colpa omofobo. “E mo che t’è preso?” Basta domande > Danilo era un bel ragazzetto e le mie mani non la volevano proprio smettere di carezzargli i fianchi e sentire la sua pelle liscia sotto i polpastrelli. “Oh, però non esageramo!” L’altro me si prendeva quello che voleva e a quanto pare, alla gente piaceva così. “A Mimmo, e dai No!” Danilo era un succubo ed era questa natura che l’altro me gli aveva fatto conoscere. “Oh, solo ‘n infracoscia però …” Gli avevo abbassato i pantaloni e fatto piegare sulla staccionata del belvedere > Ero io a decidere per lui. “Bastardo … figlio di …” Me lo tirai addosso tenendogli il capo per i capelli e m’inebriavo delle ingiurie che sputacchiava tra i rantoli sofferti. “Basta!” Commisi l’errore di avere pietà di lui e Danilo non capì, si voltò e dopo avermi guardato atterrito, fu come se cedesse ad un insopprimibile volontà. “Solo ancora un po’ …” Mi dette una ciucciata veloce e dopo aver sputato, si piegò di nuovo sulla staccionata. Lo trafissi ancora, ma stavolta non ebbi alcun rimorso ad infliggergli la mia volontà. Digrignava tra i denti il suo affanno mentre la mia mano tentava di strappargli via il cuore palpitante dal petto e poi, piagnucolai l’orgasmo nel suo orecchio. Allora fu lui che non ebbe pietà del mio disorientamento, si voltò e con la faccia nascosta sul mio petto, continuò ad ansimare ferocemente, mentre si teneva a quel corpo ancora sussultante per averlo appena posseduto. Non si fermò fino a quando non mi sporcò del suo seme, come se con quel gesto mi volesse marchiare a fuoco.

 

Ultimo buco  - Never Ending Story

 

… dove mi trovo?

Accelerare fino a raggiungere il punto di default affinché il sistema si resetti da solo > L'ago della mia bussola era diventato come una trottola impazzita, incapace di farsi attrarre dal Nord di un univoco desiderio. Disorientato, cercavo di ubriacarmi del presente, finendo per naufragare sull’ennesima battigia di una nuova alba > Punto e capo.

… come ci sono finito dentro il furgoncino di …

Uno sciopero tira l’altro, avevo cominciato a bigiare scuola regolarmente > Lì dentro si formavano ingranaggi sociali. Io volevo di più … non sapevo ancora cosa … ma per ora mi bastava ottemperare alle aspettative messe in fila su un foglio A4 dalla giudice minorile che seguiva la mia pratica di adozione.

… sento in bocca l’acquolina tipica del vomito …

Il Generale > Paolo era vedovo ed era padre di due figli maschi, il primo non lo avevo ancora incontrato mentre il secondo, Bruno, lo avevo già conosciuto durante un’imboscata che mi aveva combinato mia madre. In quella casa sembravano tutti imbarazzati dalla mia presenza ed ero convinto che non mi ci volessero, però era il mio incaponimento a non volerli frequentare che li rendeva diffidenti. Del resto, quando ero con loro, rimanevo in silenzio aspettando che mi rivolgessero la parola e poi liquidavo ogni discorso in due battute, senza mostrare il minimo interesse di conoscerli.

… stavolta perché mi è servito il Roipnol?

Era la prima volta che dormivo a casa di Paolo e Bruno tentava d’inscenare una normalità che non c'era mai stata. "Sto solo cercando di rendere le cose più facili, ok?" Paolo era sempre in giro per il mondo e quando tornava, portava mia madre a trascorrere lunghissimi fine settimana fuori città. "Tua madre mi ha detto che ti piace correre …" Mamma era terrorizzata da quello che potevo dire. "Io corro qui al Circo Massimo … ci facciamo due tiratine … sempre se ti va, ok?". Era difficile da ammettere, però Bruno mi piaceva fin troppo > Mi faceva rimbombare il cuore nel petto quando mi si avvicinava e questo era assolutamente spaventoso!

… sarebbe bello vivere senza farsi domande sul perché e per come …

"Ci facciamo un altro mezzo giro lento e poi rincasiamo, ok?" Bruno mi provocava improvvise scariche di feniletilammina, tanto che la mia amigdala s’impanicava caricando a pallettoni il sistema cardiovascolare per una fuga a razzo. "E bloccate un attimo, non c'ho mica più vent'anni!" Dubito che a vent'anni potesse essere stato più attraente > Guardarlo disteso sul prato, sudato e ansimante, mi suscitava uno strano istinto predatorio. "E dai, prenditi una pausa, siediti accanto a me" Il desiderio di sbranarlo mi rendeva ancora più ritroso. I nostri occhi a volte rimanevano appiccicati un nanosecondo di troppo, costringendomi a seppellire lo sguardo in qualche dettaglio del suo volto. "Volare tra i laghi della British Columbia è un'esperienza unica" Mi sistemò in quella che era stata la sua cameretta … piena zeppa di Canada che adorava e non si stancava mai di raccontarmi. "Ci ha fatto piacere ospitarti" Manco a dirlo, quel fine settimana, Paolo e mia madre erano andati in qualche agriturismo in Toscana e Bruno e sua moglie si occuparono di me. "Se torni, domenica ti facciamo conoscere anche tuo nipote" No, evitai Bruno come la peste e Francesco lo conobbi solo dopo l'estate …

… finalmente siamo arrivati, qualunque posto mi va bene, voglio scendere …

E’ più facile vivere come un animale privo di coscienza di sé. La memoria è come della cera fusa che ti cola addosso iniziando a darti forma rapprendendosi, ingrossandoti, zavorrandoti progressivamente. Il Roipnol è una sorta di anticoagulante della sinapsi che provoca una potente e virile erezione della volontà, finalmente svincolata da lacci e laccioli della morale. Che cazzo era successo? Inutile cercare di ricordarselo, potevo solo intuirlo dal fischio lasciato nei timpani > Quello era l’effetto dei bpm illegali di un rave.

-        N'do cazzo vai?

Ultimo ricordo: pastiglia ingollata con una Sprite di colore blu alla "Pompa di servizio" e Luca che mi dice "Vieni" ed io rispondo "No" e Dante fa "Dai che me serve 'na mano" allora accetto di andare con loro. Un attimo dopo, la realtà ricomincia a scorrere da dietro al furgoncino, tra le attrezzature di ripresa di Dante e la puzza acre di vomito. Uscito da quel buco, la luce del sole mi aggredì con una tale violenza che mi sentii evaporare come fossi un vampiro. Raggiunsi un filo d'ombra sul bordo di un muro e iniziai a muovermi strisciando contro la solidità dei mattoni. Non volevo che qualcuno mi vedesse in quelle condizioni e appena fui certo di essere fuori dalla portata di sguardi amici, iniziai a correre per spurgare via dal corpo la tossicità che mi rallentava la sinapsi.

-        Mannaccia a te, stai lesso come ‘na zucchina … sali che te riporto a casa.

Non riuscii neanche ad arrivare in fondo alla Via Flaminia Vecchia < Volevo rimanere alla luce, non volevo rientrare nel buco buio di quel furgoncino. Dante mi strattonò bloccandomi contro un altro muro. Lui voleva riportarmi sulla terra ma era uno sforzo che non riuscivo a compiere in quel momento e allora implorai venia nascondendo il volto sul suo collo, ben sapendo quanto era sensibile a quel gesto.

-        Levamoce da mezzo la strada che ce vedono tutti …

Mi raccontò che avevo solo ballato per tutta la notte, ma era evidente che mi nascondeva qualcosa. Lo leggevo nel suo sguardo da ladro che c’era un ricordo che voleva tenersi per sé. Doveva tornare da Luca che fingeva ancora di lavorare allo smorzo del padre e mi lasciò al ponte di Castel Sant’Angelo. Rimasi muto per tutto il tempo e gli feci cenno di No con la testa quando, prima di lasciarmi scendere, disse che mi avrebbe telefonato più tardi.

-   Fa ‘n po’ come cazzo te pare …

Mi dispiaceva per Dante … mi dispiaceva per tutti quanti. Quella volta mi ripromisi che sarebbe stata l’ultima e che con il Roipnol avevo chiuso definitivamente. Tuttavia, ci sono ultima volta e ultima volta > Quella definitiva forse neanche esiste perché puoi rimanere pulito per tutto il tempo che vuoi, ma nella tua psiche rimane impresso come un fossile, il vuoto lasciato dalla seducente esperienza. No, quell’ultima volta era del genere che ti fa solo capire il pericolo che corri e inizi a porvi dei rimedi, alcuni efficaci e altri meno. Il fatto era che ingoiare quella pastiglia era un po’ come morire, senza la paura dell’incontrovertibile fine …

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