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Radical chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto


Rotwang

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Radical chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto è un saggio del giornalista statunitense Tom Wolfe del 1970.

 

Negli anni Sessanta e Settanta diventò estremamente di moda, per gli intellettuali newyorkesi ricchi e affermati, ospitare nei propri salotti ogni possibile rivoluzionario radicale, dalle Pantere Nere agli antimilitaristi agli hippy psichedelici. In questo libro Tom Wolfe mette in ridicolo quegli ambienti (di cui esiste anche una versione italiana), descrivendo una serie di serate mondane all'insegna di "Invita-una-Pantera-Nera-al-Cocktail". Quando il libro apparve per la prima volta nell'estate 1970 sul New York Magazine, lo scandalo fu grande: fu una dura e sana presa in giro della Buona Coscienza Progressista, tuttora attuale.

 

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Felicia e Leonard Bernstein nella loro casa di New York con la Pantera Nera Field Marshall Donald Cox

 

Un piccolo assaggio di Wolfe:
 
"ciò che ne venne fuori fu il Radical Chic. Sin dall’inizio non ebbe alcun senso discutere della sincerità del Radical Chic. Era fuor di dubbio che il primo impulso, […] fosse sincero. Ma, come accade per molti sforzi umani che si concentrano su un ideale, sembrava che il pensiero avanzasse su una sorta di doppia pista. Prima pista: beh, è chiaro che si ha un sincero interesse per i poveri e bisognosi e una sincera rabbia rispetto alla discriminazione. Il cuore si ribella — e lo fa spontaneamente! — quando sente come la Polizia tratta le Panthers, trascinando un epilettico come Lee Berry giù dal letto dell’ospedale per gettarlo in galera. Se uno pensa a Mitchell e ad Agnew e a Nixon e a tutti i loro seguaci tipo Captain Beefheart e Maggie e Jiggs del New York Athletic Club, trogloditi cripto-seguaci di Horst Wessel Irish Oyster Bar Construction Worker, allora si capisce perché i poveri neri tipo le Panthers siano costretti a usare metodi estremi, e… beh, comunque ci si sente dalla loro. Sul serio.
 
D’altro canto – nella seconda pista della mente – si ha un sincero interesse a che la Società newyorkese mantenga uno stile di vita proprio dell’East Side. E tale preoccupazione è sincera tanto quanto la prima, ed è profonda tanto quanto la prima. Sul serio. Diventa sul serio parte della psiche. Per esempio, bisogna avere un posto dove andare il fine settimana, in campagna o al mare, di preferenza tutto l’anno, ma necessariamente da metà maggio a metà settembre. È complicato far capire a chi è fuori dall’ambiente come simili bisogni apparentemente volgari siano assoluti. Li si sente nel Sistema Solare. Quando uno immagina di restare intrappolato a New York sabato dopo sabato, a giugno o ad agosto, condannato a far parte di quelle orde tremendamente sciatte che vagano dalle parti di Bonwit e Tiffany sulla sabbiolina cotta dal sole di mezzogiorno, a 92 gradi, paparini che sbarcano da Long Island con i loro bei bermuda dal culo sformato comprati in un negozio di Times Square in Oceanside e mamme grasse con i loro pantaloni bianchi a campana strizzati sulle pance cadute e arricciati sul cavallo tipo labia in dacron-poliestere… Beh, a quel punto uno sente il bisogno di obbedire quantomeno alle regole minime della Società newyorkese. Sul serio.
 
La prima regola è che la ‘nostalgie de la boue’ – lo stile romantico e rudemente vitale dei primitivi che abitano nelle case popolari, per esempio – è bella, e che la borghesia, nera o bianca che sia, è brutta. Diventa così inevitabile che il Radical Chic prediliga chi ha l’aria primitiva, esotica e romantica, tipo i raccoglitori d’uva, che oltre al fatto che sono radicali e «vengono dalla Terra» sono anche latini, o le Panthers, con le loro giacche di pelle, le acconciature afro, gli occhiali da sole e le sparatorie, o i Pellerossa, che, logicamente, hanno sempre avuto un’aria primitiva, esotica e romantica. Quantomeno all’inizio, tutti e tre i gruppi avevano un’altra qualità che li avvantaggiava: stavano tutti a tremila miglia di distanza dall’East Side di Manhattan, in posti tipo Delano (i raccoglitori d’uva), Oakland (le Panthers) e l’Arizona e il New Mexico (i Pellerossa). Non c’erano molte probabilità che ce li ritrovassimo troppo… come dire, tra i piedi. Esotici, romantici, lontani… Come vedremo a breve, altre creature amate dal Radical Chic avevano le stesse attrattive, ovvero gli ocelot, i giaguari, i ghepardi e i leopardi della Somalia.
 
La regola numero due è che non importa quale, ma bisogna avere un indirizzo appropriato, con arredamento appropriato e domestici. I domestici, in particolare, sono una delle essenziali linee di confine tra chi fa realmente parte della Società, Nuova o Vecchia che sia, e la grande massa borghese degli emuli che arrivano a pagare un affitto di 2.500 dollari al mese o che comprano costosissimi appartamenti in condomìni di tutto l’East Side. In questo non ci sono mezze misure. Bisogna avere i domestici. Avere i domestici diventa un tale bisogno psicologico che oggi capita di sentire un mucchio di donne della Società lamentarsi in buona fede di quanto sia difficile trovare una tata per i bambini che sostituisca la tata fissa quando ha il giorno libero. C’è la famosa Signora C., una delle più ricche vedove di New York, che ha un duplex di dieci stanze in Sutton Place, la parte bene di Sutton Place, ovviamente, non quella che dà su Miami Beach, che essendo una vipera con i domestici non riesce più a procurarsi che aiuti a giornata, e non fa che lamentarsi: «A che serve tutto il denaro di questo mondo se poi non puoi arrivare a casa la sera e trovare qualcuno che ti prenda il cappotto e ti prepari un drink?». E l’osservazione nasce da un’angoscia reale. Nell’Era del Radical Chic, poi, quale conflitto si innescò tra l’assoluto bisogno di domestici e il fatto che i domestici fossero il simbolo assoluto di ciò contro cui i nuovi movimenti, neri o marrone, stavano combattendo! E allora, quanto assolutamente urgente divenne la ricerca dell’unica via di salvezza: domestici bianchi!"
Edited by Rotwang
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Quando leggo questi stralci o guardo film come "Tutti dicono i love you"

(dove la ricchissima famiglia newyorkese di sinistra ospita un galeotto)

e ancora di più quando vedo queste serate di beneficienza organizzate

dai vip di Hollywood che raccolgono a una cena migliaia di dollari

per il Terzo Mondo o per la ricerca contro l'AIDS o per case-famiglia per adolescenti GLBT

mi chiedo sempre: "Ma perché in Italia i nostri ricchi non sono così?"

 

Perché cetomila dollari ad Arcigay li regala Soros e non De Benedetti?

Perché a venire a cantare gratis a Roma per l'EuroPride è venuta Lady Gaga e non Laura Pausini?

Persino noi gay italiani beneficiamo dei radical chic statunitensi...

 

Capisco che alle persone di destra e a quelle di estrema sinistra i Radical Chic siano antipatici,

ai primi perché danno fastidio le persone socialmente impegnate, ché li fanno sentire in colpa,

e ai secondi perché i ricchi hanno sempre torto, qualunque cosa facciano per sistemarsi la coscienza.

Io però continuo a chiedermi perché la "sfortuna" di avere dei ricchi radical-chic non è capitata anche a noi Italiani :)

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Io però continuo a chiedermi perché la "sfortuna" di avere dei ricchi radical-chic non è capitata anche a noi Italiani :)

 

Veramente in Italia c'è una lunghissima tradizione in questo senso. I radical chic sono sia cattocomunisti e moderati, sia di estrema sinistra e spesso sono pure ricchissimi e benestanti. Ma poi non c'è bisogno di essere ricchi per essere radical chic. Feltrinelli era un radical chic, ad esempio. I ricconi toscani di sinistra che non vogliono i profughi nei dintorni sono radical chic. Chi è di sinistra e buonista e dice che in Italia non esistono ricchi radical chic è radical chic.

Edited by Rotwang
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Chi dà del radical chic agli altri è radical chic?

Che schiocchezze blateri, Rotwang.

 

A parte che pure tu lo sei nel fingere di non capire, Almadel è radical chic.

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Quando capirai in che modo io sarei radical chic, invece di farlo attraverso l'accusa a quello o a quest'altro utente, informami.

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Se avessi tutti quei soldi sarei un cazzo di oligarca russo e tu, Rotwang, mi spolvereresti la libreria con un gembiulino a forma di jockstrap

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I radical chic sono sia cattocomunisti e moderati, sia di estrema sinistra e spesso sono pure ricchissimi e benestanti. Ma poi non c'è bisogno di essere ricchi per essere radical chic. Feltrinelli era un radical chic, ad esempio. I ricconi toscani di sinistra che non vogliono i profughi nei dintorni sono radical chic. Chi è di sinistra e buonista e dice che in Italia non esistono ricchi radical chic è radical chic.

 

In Italia l'omosessualità è stata tabù per la sinistra per moltissimo tempo, di qui la scarsa attenzione dei "nostri" radical chic. 

 

Mi piace quando le locuzioni vengono riportate al loro originario impiego, perciò ti ringrazio del contributo da Wolfe (che poi, diciamocelo, questo vegliardo fustigatore dei costumi sempre col panama in testa...mah...non ho letto Il Falò delle Vanità, ma mi pare soprattutto un giornalista di costume, nemmeno tra i più arguti).

 

@Almadel

Non mi infastidiscono i radical chic, mi infastidisce chi gioca a fare il poser senza metterci poi del proprio.

Perciò bene Lady Gaga al Pride, che nella mia genealogia intellettuale è più autenticamente figlia del Gian Maria Volonté difensore di Pinelli di un Sergio Castellitto qualsiasi.

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L'articolo di Tom Wolfe era un articolo tra la parodia e la satira

di costume, di un tipico uomo del sud abbastanza condizionato

dallo status sociale ( sia nel giornalismo che nella narrativa )

 

Quindi è chiaro che è un articolo sui "poser" ante litteram, quello

che magari andrebbe detto è che lo stesso Tom Wolfe è a sua volta

un "poser"

 

Nel Falò delle vanità replicherà lo stesso approccio nei confronti della

società reaganiana ( pur essendo lui per primo repubblicano ) quindi va

detto che non è una questione politica, per lui

 

Di Bernestein coglie solo la contraddizione più apparente, perchè in realtà

quel ricco ebreo per quanto sposato, era omosessuale ( e ragionevolmente

il radicale nero -suo ospite- sarà stato più omofobo che antisemita...) ma nel

farlo smonta il mito dell'ebreo ricco finanziatore di movimenti sovversivi, perchè

in fondo lui ci dice, che è solo un gioco ( l'ebreo è esattamente come l'inglese

aristocratico dei '20  messo alla berlina da E.Waugh che riduce le istanze sociali

ad un gioco di società )

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L'articolo di Tom Wolfe era un articolo tra la parodia e la satira

di costume, di un tipico uomo del sud abbastanza condizionato

dallo status sociale ( sia nel giornalismo che nella narrativa )

 

Non è ipocrita, a differenza di chi critica.

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Mai detto

 

Leggi da qualche parte : "ipocrita"?

 

Ho scritto che è un "poser" nel senso che - come

noto - è un dandy ( possiede più abiti lui di un gay

fashion victim ) il ché potrebbe spiegare la cecità

relativa l'omosessualità di Bernstein

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Di Bernestein coglie solo la contraddizione più apparente, perchè in realtà

quel ricco ebreo per quanto sposato, era omosessuale ( e ragionevolmente

il radicale nero -suo ospite- sarà stato più omofobo che antisemita...)

 

Basta guardar la foto per capire che chi ha fortemente voluto invitare l'afro è la SIGNORA BERNSTEIN, felicissima di sentirsi avanti e finalmente un po' progressista pure lei.

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Ebbe anche il buon gusto, quando lui la lasciò infine per Tom Cothran nel 1973

di ammalarsi di cancro, lui tornò a casa per assisterla lasciando il suo giovane

amante che morì di AIDS nel 1981 ( la moglie nel 1978 )

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Beh se tutti sanno - tranne Tom wolfe - che sei

la moglie ( peraltro convertita all'ebraismo ) di un

noto omosessuale ( relazioni gay come piovessero

e con personaggi noti da Farley Granger a scendere...)

ha poco senso essere una donna "casa e chiesa"

 

Sarai l'amica-sposa anticonformista e radicale, che tutti

guardano con simpatia e/o disapprovazione MA non per

quella sola e specifica cosa

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