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Gli anatemi di Caiffarra e la dignità degli omosessuali credenti a confronto.


Cosgrove

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La Repubblica Bologna

 

L´intervento del cardinale sul tema "Maschio o femmina. Realtà o scelta?" pubblicato ieri da "Bologna Sette" di Avvenire

 

Caffarra alla vigilia del Gay Pride: "Rapporti omosex, pericolo sociale"

 

di MICHELE SMARGIASSI

 

Ignorare o confondere la distinzione fra uomo e donna non è solo irragionevole, ma «inficia ogni rapporto sociale»; insomma le rivendicazioni omosessuali sono una minaccia per la società tutta quanta. Lo dice da tempo il cardinale Carlo Caffarra, ma non è un caso che abbia voluto ribadirlo ieri con grande evidenza su Bologna Sette, il supplemento domenicale diocesano di Avvenire, a meno di una settimana dal Gay Pride che sta scuotendo, in città e non solo, i rapporti fra laici e cattolici in politica.

 

Il testo dell´arcivescovo, titolato a tutta pagina Maschio e femmina: realtà o scelta?, è frutto di una relazione presentata sabato scorso da Caffarra al centro pastorale "Paolo VI" di Brescia, ma Avvenire tiene a precisare che il cardinale ne ha «scritto di suo pugno» una sintesi specificamente per il settimanale. Nel testo il cardinale, col linguaggio del teologo morale, propone una «risposta cristiana» alle due opposte, e a suo parere sbagliate, interpretazioni della differenza fra i sessi: la «teoria del gender» che ammette che chiunque possa scegliere liberamente la propria appartenenza di genere senza sentirsi tenuto a rispettare alcun «referente naturale»; e la teoria della «rottamazione dell´io» per cui l´identità sessuale «è ridotta all´insieme dei processi biologici e psicologici» e non bisogna fare altro che seguire «una mera spontaneità». La risposta cristiana, per Caffarra, sta in mezzo: «natura e cultura, libertà e scelta»: non una media matematica, ovviamente, ma il riconoscimento dettato dalla ragione che «la humanitas è bi-forme», che la relazione tra mascolinità e femminilità «non si contratta» perché ha già una sua naturale destinazione: il suo «significato sponsale, l´essere costituiti per la relazione con l´altro», che è poi «condizione dell´esistenza di un terzo: il figlio». E qui Caffarra affonda il giudizio sull´omosessualità: «La relazione omosessuale non veicola più il significato originario della sessualità, è relazione di identici, cioè alla fine con se stessi». Non solo: «Poiché la società uomo-donna è il paradigma fondamentale di ogni socializzazione della persona, l´errore e il disordine circa quella inficia ogni rapporto sociale». Ne deriva in particolare una minaccia per l´istituto matrimoniale e la famiglia, «che sta subendo una vera e propria de-costruzione, smontata pezzo per pezzo. Si parla ancora di coppia, di famiglia, di genitori, di paternità/maternità, ma queste parole veicolano significati tra loro contrari». Non è difficile, dietro il linguaggio cattedratico, leggere un riferimento alle unioni civili e al matrimonio omosex. Così come sembra trasparente il rimprovero di Caffarra al «pensiero cristiano» che «non è sempre stato vigile» su questi argomenti: quasi un invito ai cattolici bolognesi a levare la loro voce. Come in effetti le Acli di Bologna hanno appena fatto, accusando il Pd (che invece ha aderito alla manifestazione sui diritti omosessuali che solcherà sabato prossimo le vie di Bologna) di «appoggiare una manifestazione esibizionista e radicalmente anti-cattolica». Il Pd ha risposto di avere aderito in nome della «lotta contro ogni discriminazione» senza far propria l´intera piattaforma della manifestazione. Ma dopo il richiamo dell´arcivescovo, la polemica potrebbe tornare ad allargarsi.

 

 

Noi, omosessuali cristiani e la nostra chiesa

 

Immagine attivaDocumento redatto dal gruppo dei credenti omosessuali aderenti a Noi Siamo chiesa dell’Emilia Romagna

 

Nel corso del convegno intitolato "Omosessualità nel cristianesimo: approcci alternativi" , organizzato  dal movimento “Noi siamo chiesa” dell'Emilia Romagna, il 20 Giugno 2008, è stata data lettura di un'interessante documento elaborato dal gruppo dei credenti omosessuali di Noi Siamo chiesa dell’Emilia Romagna “una riflessione che nasce dall'esperienza diretta  di chi vive la condizione omosessuale e vuole andare oltre le discriminazioni”, affinchè le nostre comunità cristiane "si facciano promotrici di questa rivoluzione di mentalità" poichè il superamento dei pregiudizi e dell’ingiusto trattamento delle persone omosessuali passa necessariamente da una loro accoglienza nelle comunità dei credenti. Osiamo anche affermare che l’accoglienza è il primo coraggioso passo in quella direzione, quando riesca a far conoscere le persone e a metterle in comunione".

 

 

 

 

Dieci anni fa veniva emesso nella Diocesi di Innsbruck un documento sulla pastorale nei confronti delle persone omosessuali, frutto di un gruppo di lavoro costituito dall’allora vescovo Alois Kothgasser, oggi arcivescovo di Salzburg.

 

Questo documento, che risente già di dieci anni di evoluzione teologica successiva, è sul piano pastorale molto al di là delle aspettative che possiamo avere sulla nostra chiesa e anche in direzione opposta a quella che, negli ultimi decenni, ha preso la chiesa cattolica romana, soprattutto in Italia.

 

Noi, omosessuali cristiani appartenenti a Noi Siamo Chiesa dell'Emilia Romagna, leggiamo in questo documento parole che ci restituiscono conoscenza, sapienza e comunione nella chiesa, a differenza dei documenti del Magistero (in particolare le dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1975 e del 1986, assieme con le encicliche Humanae Vitae e Familiaris Consortio) che ci restituiscono misconoscenza, insipienza e disprezzo.

 

Per questo motivo, invitiamo a rileggere il documento di Innsbruck, ad assumerlo e ad adottarne le linee guida, nella consapevolezza di essere in forte ritardo nei confronti della storia.

 

In forza delle conoscenze acquisite ad oggi dalle scienze umane – che la moderna teologia ha assunto pienamente rileggendo anche l’intera questione della sessualità, la natura relazionale di Dio e la priorità della coscienza individuale – possiamo affermare che l’omosessualità, come ogni orientamento sessuale, è variante naturale della sessualità iscritta nella relazionalità umana.

Anche se a tutt’oggi non sono ancora stati chiariti pienamente la genesi e lo sviluppo dell’omosessualità, così come anche dell’eterosessualità e di ogni variante dell’orientamento sessuale, possiamo considerare l’orientamento sessuale, quale esso sia, come componente dell’autenticità della persona.

 

È importante sottolineare, peraltro, la perniciosa influenza che, sull’autentico sviluppo della persona, hanno i pregiudizi omofobi presenti nelle nostre società. Essi hanno costituito un tormento fin dai primi anni della crescita e ci hanno ostacolato nel normale sviluppo e floridità.

Alcuni di noi hanno conquistato a fatica un’emancipazione e una maturità piena, mentre altri ancora in età adulta portano dentro sofferenza per le conseguenze di quei patimenti. Non possiamo tacere che gli stessi pregiudizi omofobi, interiorizzati già in tenera età dalle/gli stesse/i omosessuali, sono in grado di generare nevrosi, psicosi, somatizzazioni varie, ed aumentano di due volte il rischio di suicidio nell’età adolescenziale.

 

Di tutto questo noi siamo consapevoli e testimoniamo che la nostra omosessualità si iscrive pienamente nell’autenticità della nostra vita, a livello interiore, interpersonale e nel rapporto positivo con Dio. Lo stesso potrebbe avvenire senza problemi a livello sociale ed ecclesiale, se non esistesse l’omofobia.

 

Da questo punto di vista appare prioritaria la lotta ai pregiudizi e alle discriminazioni. Non vogliamo farci illusioni: il replicarsi delle frasi offensive e delle immagini stereotipate su gay e lesbiche è un fenomeno che non può certo essere contrastato efficacemente, anche a fronte di campagne di informazione e sensibilizzazione (semmai ce ne fossero), senza un’attiva partecipazione di molte persone.

Gli stessi mezzi di informazione, la televisione e la pubblicità, si fanno solo cassa di risonanza degli stereotipi esistenti, senza cercare la verità dei fatti e rendere la vita reale delle persone, mantenendo al contempo troppe ambiguità sul collegamento omosessualità–pedofilia, che va rigettato sempre e comunque.

 

È quindi importante che anche le nostre comunità cristiane, in quanto agenzie educative di giovani ed adulti, si facciano promotrici di questa rivoluzione di mentalità.

Il superamento dei pregiudizi e dell’ingiusto trattamento delle persone omosessuali passa necessariamente da una loro accoglienza nelle comunità dei credenti. Osiamo anche affermare che l’accoglienza è il primo coraggioso passo in quella direzione, quando riesca a far conoscere le persone e a metterle in comunione.

 

Con “accoglienza”, cioè, intendiamo un complesso di azioni, necessariamente in sinergia col parroco e con tutti i responsabili della pastorale comunitaria:

 

·    considerare positivamente la ragazza o il ragazzo che presenta un orientamento omosessuale, fin da quando si presenta il caso (tipicamente negli anni del dopo-cresima);

 

·    evitare qualsiasi allontanamento dagli incarichi o discriminazione dei laici omosessuali (giovani o adulti) nelle attività parrocchiali o diocesane;

 

·    dare supporto, sia come guida spirituale sia come accompagnamento ed aiuto nelle scelte di vita, ai ragazzi e agli adulti che incontrano difficoltà a causa dell’omosessualità;

 

·    dare supporto anche alle persone del contesto familiare della persona omosessuale (genitori, fratelli e sorelle, parenti ed amici), che potrebbero vivere delle difficoltà a causa dei pregiudizi interni ed esterni alla famiglia;

 

·    trattare l’orientamento omosessuale, benché minoritario, come legittimo negli insegnamenti, nelle omelie e nella catechesi a giovani ed adulti, evitando ogni seppur minimo collegamento con il concetto di perversione o la violenza sui minori;

 

Bisognerebbe inoltre (noi ne sentiamo il bisogno già da decenni) avviare un serio dibattito sull’argomento e alla luce del sole, non nei sotterranei o negli studi dei teologi, metodi questi che risentono molto del tabù, ma anche di un ipocrita desiderio di mantenere il controllo sulle coscienze e la paura di perdere i propri privilegi.

 

Tutto quanto detto non può avvenire, ovviamente, sulle teste delle/gli omosessuali, ma necessariamente li deve coinvolgere attivamente.

 

La visibilità, cioè il conoscere da parte degli altri l’orientamento sessuale, è da considerarsi – almeno in questa fase iniziale – un valore, e non qualcosa da evitare. Esso è un aspetto interiore che non pare rispettoso mettere in piazza, ma allo stesso modo con cui un eterosessuale non si vergogna di presentare a chiunque la propria fidanzata o moglie (o il proprio fidanzato o marito), allora bisogna che diventi possibile il non vergognarsi per una relazione sentimentale con una persona dello stesso sesso (comunque essa sia) che corrisponde al nostro orientamento.

Diversi di noi riescono a realizzare quest’obiettivo, in circoli di amici o anche in intere comunità, ma è necessario che questo si avveri anche nella vita quotidiana, nei luoghi di lavoro, nella vita pubblica.

 

Oggi sono già molte le relazioni durature omosessuali. Quelli di noi che hanno avuto la fortuna, e la responsabilità, di realizzare un progetto di coppia stabile, testimoniano che l’orientamento sessuale non pregiudica la qualità dell’amore che in esse si vive. Le nostre relazioni non sono relazioni di serie B, tantomeno di serie Z, come se consistessero solamente di amore-eros e per nulla di amore-agape, ma vivono le stesse aspirazioni e difficoltà, le stesse gioie e sofferenze, di qualsiasi relazione sentimentale.

L’assunzione di responsabilità, la cui labilità è divenuta oggi ben visibile anche nelle coppie eterosessuali, si sostanzia non di meno nelle coppie omosessuali, a seconda delle possibilità e delle condizioni in cui i due partner vivono.

 

Pur nell’impossibilità di avere figli naturali, le nostre relazioni non vivono confinate nella sterilità, ma sanno rendersi feconde ed attive nelle comunità (piccole o grandi), laddove vengono accolte, finanche alla responsabilità genitoriale, nei casi in cui figli naturali od adottivi si sono trovati nella condizione di dover essere accolti.

 

E poiché la nostra “liberazione dalla schiavitù d’Egitto” è avvenuta quando abbiamo (talvolta in età adulta) scoperto ed accolto il sorriso di Dio sulle nostre vite di omosessuali, noi facciamo memoria di questa pasqua tutte le volte che prestiamo un orecchio attento all’ascolto e senza sguardo di condanna verso le situazioni di bisogno inascoltato che incontriamo altrove nella società.

 

Tutti questi sono segni inequivocabili, per noi, della benedizione di Dio sulle nostre vite e sulle nostre relazioni d’amore. Ci piacerebbe che, un giorno, anche le comunità dei credenti in cui siamo inseriti prendano atto di questa benedizione e ringrazino Dio – in una celebrazione comunitaria – per questo amore che solo da Lui proviene.

 

Bologna 17 giugno 2008

 

l gruppo di omosessuali credenti aderenti

a Noi Siamo Chiesa dell'Emilia Romagna

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...che dire la speranza è l'ultima a morire! Simpatizzo molto per questa causa, ma purtroppo la chiesa, quella istituzionale, è fatta di vecchi, con una mentalità del loro tempo, che sicuramente credono di far del bene, nella volontà di Cristo... mentre... Ma come dimostra questa associazione ci sono tante altre realtà nella comunità dei credenti  :P

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