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La lettera aperta di Laura Boldrini a Zuckerberg


SerialHenry

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Pubblicata su Repubblica:
 
Caro direttore, chiedo ospitalità sul suo giornale per rivolgermi a Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook.

Signor Zuckerberg, come molti sono preoccupata per il dilagare dell'odio nel discorso pubblico. Fenomeno non generato certo dai social network, ma che in essi ha un veicolo di diffusione potenzialmente universale. Questo dev'essere quindi per tutti il tempo della responsabilità: tanto maggiore quanto più grande è il potere di cui si dispone. E il suo è notevole. Lei ha affermato che "su Facebook non c'è spazio per l'odio". Mi tocca dirle che, almeno in Italia, non è vero. Le faccio pochi esempi. Una ragazza, Arianna Drago, ha richiamato l'attenzione sull'inquietante fenomeno dei "gruppi chiusi". Ha avuto il coraggio di pubblicare alcuni commenti di utenti che avevano postato foto di donne ignare, facendone il bersaglio delle loro violente sconcezze.

Facebook ha oscurato il profilo della ragazza, e soltanto dopo che io avevo deciso di condividerne la denuncia ha fatto sapere che era stato sospeso "per errore". C'è voluta invece qualche settimana perché i gruppi segnalati da Arianna fossero chiusi. E ancora ne esistono diversi di questo tipo che agiscono indisturbati, nonostante le numerose segnalazioni. Il problema è analogo per le pagine di gruppi politici estremisti e violenti. Una ricerca dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia ha catalogato 300 pagine che su Facebook esaltano il fascismo. L'apologia del fascismo da noi è un reato, ma i rappresentanti italiani della sua azienda rispondono che non è compreso nelle regole di Facebook e che "gli standard della comunità devono poter valere in ogni Paese".

Del resto, parlano chiaro i dati di applicazione del codice di condotta contro "la diffusione dell'illecito incitamento all'odio in Europa", che anche la sua azienda ha sottoscritto a maggio 2016 con la commissione Ue. La prima verifica semestrale dice che risulta cancellato appena il 28% dei contenuti segnalati come discriminatori o razzisti. Una media che si ricava dal 50% di Germania e Francia e dal misero 4% italiano. Mi domando se questo dato allarmante lo dobbiamo anche all'assenza di un ufficio operativo di Facebook in Italia.

Un'Italia che sconta scarsa collaborazione da parte della sua azienda anche sul fronte della disinformazione, al contrario di quanto avviene in Germania o in Francia. Su questo tema ho da poco lanciato una campagna di sensibilizzazione www.bastabufale.it. Proprio perché sono convinta che le fake news - create ad arte per fini di lucro, delegittimare l'avversario o generare tensioni sociali - provochino danni alle persone e spesso rappresentino l'anticamera dell'odio.

Prima di essere eletta Presidente della Camera dei deputati, ho lavorato per 25 anni nelle agenzie delle Nazioni Unite, occupandomi di crisi internazionali e di rifugiati. Ho visto quanto siano importanti la Rete e i social network anche nei luoghi più remoti del pianeta e nei campi profughi. E proprio perché ne conosco lo straordinario valore, ritengo si debba agire presto e su più livelli affinché i social non diventino ostaggio dei violenti. Ho avuto modo di parlarne di recente con Richard Allan, vicepresident public policy di Facebook per l'area Europa-Medio Oriente-Africa, che ho incontrato a Montecitorio su sua richiesta. Mi ha contattato dopo che, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, avevo postato una selezione delle oscenità che costantemente arrivano a me, come a quasi tutte coloro che hanno una presenza nella sfera pubblica. Ho denunciato anche che Facebook non si cura a sufficienza di rimuoverle. E lei sa bene che la mancata rimozione di un contenuto umiliante può provocare tragedie come quella accaduta recentemente a Napoli, dove la trentunenne Tiziana Cantone si è tolta la vita per la vergogna di un video divenuto virale.

Ad Allan ho avanzato tre proposte. Due di natura tecnica. La terza riguarda l'apertura in Italia di un ufficio operativo per i 28 milioni[/size][/font][/color]di utenti che Facebook ha nel Paese. Le risposte giunte dopo due mesi sono evasive e generiche. A questo punto chiedo a lei, signor Zuckerberg: da che parte sta Facebook, in questa battaglia di civiltà?

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Quindi l'unica cosa che interessa commentare è la modalità di comunicazione (con domande retoriche scontate)?

 

Proponevo ovviamente di commentare in merito alla questione che avanza la Boldrini.

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Penso che la boldrini invece di darsi in battaglie mediatiche dovrebbe occuparsi di far funzionare meglio il parlamento che e' il suo mestiere.

 

Invece di scrivere ai giornali faccia le leggi anche su questo tema e tutto andrebbe meglio.

 

Mi verrebbe da pensare che forse e' troppo scema per far bene il suo lavoro ma sufficientemente intelligente per far gazzarra sui giornali.

Edited by marco7
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Sicuramente ha scritto questa lettera per una giusta causa, visto i recenti casi. Però se parte della società odierna è arrivata ad essere come è, non è solo colpa dei social network, i problemi sono altrove.

 

Prima di scrivere la lettera a Zuckerberg, giustissima, anche se dubito che ne prenderà visione, bisognerebbe considerare anche il ruolo quotidiano di altri mezzi, come i mass media, che di certo non trasmettono un buon modello, anche se questo non può e non deve essere una scusa. Ma anche più semplicemente il tipo di educazione ricevuto.

 

Più che altro dovremmo chiederci il perché di questo uso distorto di internet, cercando di risolvere il problema a livello culturale intervenendo nel primo anello della catena, cioè l'educazione, invece di considerare solo l'ultimo anello, dove si effettua una soluzione parziale del problema. Il quale non è risolto definitivamente, in modo che non si verifichi più in futuro, ma solo nel caso preso in esame, sempre se viene risolto.

 

Servirebbero leggi più severe contro l'utilizzo scorretto della rete e se le leggi non le fanno loro che sono al potere, non le proporranno di certo i fondato dei social.

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"Dilagare dell'odio nel discorso pubblico"?

 

La solita fiera dei luoghi comuni:

dilaga l'odio, vien meno il rispetto, non ci si ama più come una volta.....

 

D'altronde non si vede che cosa possa fare concretamente un sito strutturato come Facebook per censurare preventivamente gli abusi degli utenti, quando anche il direttore di un giornale ha difficoltà, per un semplice fattore di tempo, a leggere prima che siano pubblicati tutti gli articoli quotidiani, di cui per altro è legalmente responsabile:

si può chiedere ai dirigenti di Facebook una maggior vigilanza successiva, ma è impossibile che sia preventiva, se non snaturandolo, e comunque chi stabilisce preventivamente quali siano i limiti tollerabili nelle manifestazioni di odio su Facebook, tanto più considerando che esso è diffuso a livello mondiale e che quindi la percezione della tollerabilità dell'odio può variare da un ambito socio culturae ad un altro?

 

Come al solito i politici, abdicando dalle loro responsabilità pubbliche, pretendono che siano i singoli cittadini e le singole imprese a regolarsi uniformemente nel migliore dei modi possibili:

se la Boldrini ha in mente rimedi efficaci per impedire il "dilagare dell'odio nel discorso pubblico", formuli proposte di legge convenienti, possibilmente incominciando dai discorsi dei suoi colleghi parlamentari, che spesso troppo "amorevoli" non pare siano.....

Edited by Mario1944
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Ovviamente Zuckenberg avrà letto la lettera.

Pochi imprenditori vengono chiamati in causa direttamente

da una delle più alte cariche di un Paese del G8.

Purtroppo per la presidente Boldrini direi che Facebook ha già dei buoni standard.

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senza pressioni politiche saremmo ancora con la benzina al piombo e le auto senza airbag...

Quelle non erano pressioni politiche ma leggi o regolamenti.

 

Una pressione ti da la scelta se farlo o no. Una legge non da alternativa ma ti obbliga ad ossequiarla.

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Bel post di diegozilla.com. È lungo ma consiglio la lettura.

 

 

In questi giorni sul web sta succedendo un gran casino.
L’autorità facebookkiana ha chiuso la nona versione della pagina: “La Fabbrica del Degrado”. Una pagina da più di un milione e mezzo di like, al centro di Nati e cresciuti a colpi di meme, di umorismo nero e nerissimo, un luogo dove il politicamente scorretto viene coniugato in tutte le definizioni possibili. Lì e in altre pagine simili è stato costruito un linguaggio specifico di gruppo, che ha alimentato il senso di appartenenza a una vasta community socialmente trasversale.
L’estensione sul piano reale del fenomeno “degrado” ha portato a serate in discoteca, gadget e altre forme di autosostentamento.
La Fabbrica e i suoi simili sono sempre stati borderline, gli admin e i seguaci hanno saputo usare in modo efficace i punti di forza e i punti deboli di Facebook.
Siamo tutti adulti. Non pigliamoci per il culo.

 

Le famose foto hard degli Operai e delle Operaie non erano postate direttamente sulla pagina social, c’era un link che rimandava a imgur, o un’altra imageboard esterna al social network. Spostando su terzi la responsabilità del contenuto in questione. Nel web di massa diventa difficile stabilire con esattezza l’origine di un contenuto porcellino condiviso.
Posso mandarti la foto di un bel pisello, spacciandolo per mio, così come posso aprirmi un profilo fake con un’identità femminile e mandarti le foto della mia ex dicendoti che quella sono io. Non c’è alcuna certezza sull’origine di una foto di quel tipo, e sostenere il contrario è un po’ da sciocchini. La “provenienza sicura” non è un problema della Fabbrica, è un problema anche per realtà con target adulto e a pagamento come i siti per voyeur, esibizionisti o cuckold.

Allo stesso modo, usando degli account fake, da bannare al momento giusto, posso gestire in modo scientifico la diffusione di link che portano a piattaforme esterne, dove vengono ospitate copie de “La Bibbia”, lo zip malandrino dove sono raccolte una tonnellata di selfie e foto hard con nomi e altre info sulle protagoniste. Su “La Bibbia” se ne è parlato fin troppo, tirando in ballo il pornoshaming, il cyberbullismo, la pornografia jailbait e compagnia bella.

Dal mio punto di vista, sicuramente sbagliato, se sei maggiorenne, consenziente e nel pieno delle tue facoltà mentali, con il tuo corpo puoi e devi farci quello che ti pare, assumendotene oneri e onori, e tutte le conseguenze, positive o negative che siano.

Ma, se non sei maggiorenne, se non sei consenziente e se non sei nel pieno delle tue facoltà mentali, il discorso cambia in modo netto e radicale.
Anche qua. Non pigliamoci in giro che siamo adulti.

 

Io faccio parte di quella generazione di utenti che passava le notti su WinMX, aspettando ere geologiche per il download completo di “Forza Chiara da Perugia”.
Questo genere di cose esiste ancora prima che esistesse il web, esiste da quando esiste Internet, inteso come un tot computer collegati tra loro con un protocollo arcaico.

Ora però il paradigma è cambiato. La massificazione esponenziale del web, e la facilità estrema con cui si può caricare un contenuto, non fa altro che amplificare le possibilità che la protagonista o il protagonista di uno scatto o di un filmato non siano consenzienti, non approvino o non sappiano della sua diffusione, non siano maggiorenni o non siano totalmente in sé.

Questo, nell’ipotesi ormai fantascientifica di un uso consapevole della rete non può non essere preso in considerazione.
Ecco perchè tutto lo shaming sul caso di Tiziana Cantone è una cosa da esseri umani di merda. «Se l’è cercata» «Era consenziente, cazzi suoi» non sono posizioni accettabili. Nascosto sotto il tappeto di quella vicenda c’è uno schifo che nessuno dei commentatori moralizzatori darkhumoristi seriali si è preso la briga di scoprire perchè è troppo complicato.
In più, in questo e in altri casi, il contenuto travalica i confini precisi del contesto e diventa virale, con tutte le conseguenze incontrollabili della viralità.

Sappiamo tutti quanto sia difficile spostare una struttura narrativa, di qualunque tipo essa sia, in un contesto completamente diverso da quello di origine.

 

Ed è proprio sulla scia del caso di Tiziana Cantone che entra in scena Selvaggia Lucarelli.
Selvaggia, da molto tempo, sta portando avanti una battaglia contro il cyberbullismo, il leonismo da tastiera e il “degrado” al fine di un uso responsabile della rete.

Ha dato lei la notizia della chiusura della Fabbrica, scatenando un pandemonio di shitstorm e piccione-storm sul suo profilo. Una situazione analoga a quella scatenata dalla sua azione contro la pagina “Sesso Droga e Pastorizia” dell’anno scorso.
Quando si parla di cyberbullismo c’è un grandissimo errore di fondo, un problema di percezione della questione che non riguarda soltanto la Lucarelli, ma è comune a tutti quelli che trattano quel tema.
L’attenzione è concentrata soltanto su chi attua il cyberbullismo e su chi subisce il cyberbullismo. Ogni ipotetica soluzione prende in considerazione unicamente questi due attori, dimenticandosi che ne esistono altri due, che non vengono mai inseriti nell’equazione.

 

Il cyberbullismo viene messo in atto su una piattaforma sociale digitale, alla quale si accede tramite un servizio di telecomunicazioni. Di solito, questi due elementi, il social e le Telco, non entrano nemmeno nel dibattito.

Quando, in realtà, se conosci anche un minimo come funziona la rete e il tipo di tecnologie a disposizione dei social e le aziende di telecomunicazioni, dovresti capire che il fenomeno del cyberbullismo potrebbe essere stroncato nell’istante stesso in cui viene premuto invio sulla tastiera.

 

Social e Telco hanno i mezzi, ma soprattutto hanno i big data per poterlo fare. La profilazione profonda alla quale siamo tutti soggetti lo consentirebbe, e non c’è questione di privacy che tenga, visto che la mia privacy può e viene violata ogni secondo che passo in rete. Non viene fatto per un ovvio motivo, che non è legato alla libertà di espressione, è legato ai big money.

Nel contratto di Facebook, quello che noi tutti abbiamo “firmato”, è presente una clausola che consente al social network di intervenire, rimuovere, avvisare le autorità giudiziarie, per prevenire un reato. Attenzione, è scritto proprio “prevenire”, e non un’altra parola. Possono quindi stabilire un’ipotesi di reato, in base al tuo comportamento e a ciò che condividi. Cyberbullismo compreso.
Non ci vuole molto a dir la verità, basta un’Artificial Neural Network per svolgere tutta la noiosa menata del controllo e del data mining.
Il treno di commenti che sono derivati dalla chiusura della Fabbrica, sia sulla pagina della Lucarelli, sia in altri posti, ha messo in luce un altro fattore di percezione della realtà che secondo me non va sottovalutato: la comprensione del concetto di libertà di espressione.

Molti commentatori inviperiti, tra shitstorm e quant’altro, tirano in ballo la libertà di parola e pensiero, garantite dalla costituzione. La chiusura, la lotta lucarelliana contro il “degrado” e il cyberbullismo sarebbe, in quell’ottica, un limite censorio alla libertà di parola.
(Legge di Godwin a manetta in queste ore)
Purtroppo non è così, ma soprattutto non è archiviabile in una maniera così semplice.
Quello che sta succedendo non riguarda la sacrosanta libertà di pensiero o parola, compresa la libertà di mandare affanculo o di dare della troia a chi ti pare.
Quello che sta succedendo riguarda le responsabilità che sei obbligato ad assumerti quando eserciti il tuo sacrosanto diritto di dire quello che vuoi.
Responsabilità delle quali non puoi esimerti soltanto perchè ti stai esprimendo sul web.

(E anche qui, c’è da fare un ragionamento. Questo post è lunghissimo, a questo punto ci saranno arrivati in 4, tantovale farlo.)
Stiamo parlando di pagine e situazioni che operano sulla parte più mainstream del web: Facebook. Ovviamente, quel tipo di contenuti e di casini non può essere fatto in ambienti non facilmente raggiungibili da uno smartphone, altrimenti non si farebbero milioni di follower.
Se, quel tipo di logiche venissero adottate su 4Chan, nessuno avrebbe niente da dire.
Ma vengono messe in atto su Facebook, la parte più massificata e di superficie disponibile sul web. Non puoi adottare il comportamento e le regole di 4Chan su Facebook.
Anche se usi account fake. Anche se per te è tutta una burla, anche se per te niente è sacro e tutto è perculabile.
Stiamo trasformando il web mainstream in un gigantesco /b/ di 4Chan?
A me starebbe anche bene.
Però a questo punto, la Lucarelli ha tutti i diritti di pubblicare screenshot con i nomi in chiaro e telefonarti a casa. Perchè se “niente è sacro” deve esserlo a 360 gradi, altrimenti è troppo comodo.
Così come è troppo comodo separare il proprio comportamento sul web da quello che si tiene nella real life. Perchè c’è qualcuno che alla real life ci rinuncia, per dei fatti che accadono sul web.

Edited by SerialHenry
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