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Una storia d'amore


Allineedisyou

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Allineedisyou

Ho trovato per caso questa storia sul web e alla fine sono scoppiato a piangere come un bambino..So che è lunga ma leggela, mi è piaciuta molto.

 

 

"Voglio scrivere e raccontare la mia storia, la più intensa e travolgente storia d’amore che mi sia capitata in tutta la vita.

 

Mi chiamo Andrea e oggi ho 43 anni, sono sposato e ho una figlia di 2 anni, una moglie che adoro, una bella casa, un buon lavoro e come dice mia madre, ho tutto quello che un uomo della mia età possa desiderare. In effetti non mi lamento. Sto bene e oggi giorno star bene è un lusso quindi mi ritengo molto fortunato. Ho deciso di raccontare, attraverso la scrittura, la mia storia perché prima d’ora non l’ho mai fatto e perché mi è dolce ricordare quel passato che mi ha reso un uomo felice, un uomo migliore, un uomo capace di amare, un passato che mi ha regalato diverse emozioni e sensazioni che mai prima di allora avevo provato. Quel passato che mi ha reso l’uomo che sono. Riparto da allora e per farlo ho bisogno di tornare indietro di ben 25 anni. All’epoca avevo 18 anni, frequentavo un liceo italiano in Germania e quell’anno era dura perché ci sarebbero stati gli esami di maturità. Ero vissuto in quella meravigliosa cittadina tedesca da quando ero nato. I miei si erano trasferiti lì per lavoro nel lontano 1968. Tutta la mia infanzia e adolescenza l’ho trascorsa in Germania. Ho frequentato un asilo tedesco e anche le scuole elementari e medie. Sono cresciuto parlando entrambe le lingue perché mia madre, qualche anno prima di sposarsi, aveva conseguito una laurea in lettere in Italia quindi grazie a lei, io e mia sorella, abbiamo imparato a parlare e a scrivere correttamente anche in italiano. Le superiori le ho frequentate in una scuola per figli di immigrati italiani. Da qualche anno mia madre lavorava lì come insegnante e quindi mi indirizzò lei stessa. Ero bravo a scuola e soprattutto partivo avvantaggiato perché oltre a possedere un’ottima conoscenza della lingua tedesca e inglese avevo una buona padronanza della lingua italiana. Per me fu un’esperienza nuova perché il sistema scolastico era completamente diverso da quello al quale ero abituato e poi non mi dispiaceva affatto avere compagni di classe e professori italiani come me. Ero nato e cresciuto in Germania ma nel mio cuore pulsava sangue italiano e ne andavo fiero! Avevo 14 anni all’incirca quando iniziai a frequentare quella scuola. Ero uno studente bravo, diligente e studiare mi piaceva anche perché mia madre mi aveva sempre bacchettato su questo “Andrea studiare è importante perché più apprendi, più sai e più un domani riuscirai a cavartela nella vita da solo senza aver bisogno dell’aiuto degli altri!” Devo riconoscere che mia madre ha sempre avuto ragione. Sia io che mia sorella siamo sempre stati due studenti modello e le abbiamo regalato tantissime soddisfazioni. Oltre ad essere uno studente apprezzato dai professori, ero anche un ragazzo molto ammirato dalle ragazze. Dopo i 16 anni ho iniziato ad avere un sacco di ragazze intorno; con alcune mi sono semplicemente divertito, con altre c’è stato qualcosa di più serio anche se a quell’età si sa che non si pensa molto all’amore. Non ero mai stato innamorato sul serio. Non sapevo neppure cosa fosse l’amore vero. Stavo con delle ragazze ma si litigava spesso per delle banalità, poi si faceva pace e si faceva tanto l’amore. Ricordo che il mio ultimo anno di liceo ero sempre stanco perché stavo tutto il tempo con Laura, una ragazza tedesca, con la quale ci eravamo fidanzati prima della fine del penultimo anno e si faceva sempre l’amore.  Lei era di un anno più piccola di me e mi amava follemente. La amavo anche io ma a volte non riuscivo a sopportare i suoi scatti di ira e di gelosia nei confronti delle altre ragazze. Era ossessionata dal fatto che io la potessi tradire con qualche mia compagna di classe, visto che piacevo abbastanza. A volte le dicevo che dovevamo trovare un limite alle nostre uscite perché io dovevo studiare, la maturità sarebbe arrivata e mi sentivo stanco. Spesso uscivo per farla contenta perché altrimenti pensava che la tradivo o che non volevo più star con lei e mi chiamava a casa in continuazione suscitando il nervosismo di mia madre che, senza conoscerla, già la odiava. Per mia madre le ragazze sono sempre state sinonimo di distrazione “Andrea devi impegnarti, hai la maturità. Questa Laura ti stressa! Deve pur capire che tu devi studiare e non hai tempo da perdere con lei al telefono! ”.          I miei tre anni in questa scuola scorsero così, tra studio, donne, amici, uscite. L’ultimo anno la mia vita iniziò a cambiare radicalmente. E chi poteva mai immaginarlo! In classe andavo d’accordo con tutti ma quell’anno strinsi un’amicizia molto particolare. Un nostro compagno di classe, di nome Nicola, era arrivato in Germania l’anno prima. Aveva avuto parecchie difficoltà di inserimento, non tanto con la classe o con i professori, ma con la lingua tedesca. Era stato assegnato ad un’insegnante esterna di tedesco e pian piano  migliorava. Era un ragazzo molto educato, a modo, studioso, discreto e timido. Ogni tanto i compagni di classe lo prendevano un po’ in giro per la sua troppa riservatezza. Passava ore in silenzio, ascoltando gli altri, senza mai aprire bocca. Per molti era strano, per me era semplicemente un ragazzo timido che preferiva starsene più per i fatti suoi che con gli altri. Era molto ordinato e questo lo avevo notato da come teneva i libri e i ricambi di sport nell’apposito cassetto. Condividevamo lo stesso cassetto e ogni volta che andavo lì a prendere o posare i miei libri notavo il suo ordine. Questa cosa mi faceva riflettere molto. Anch’io ero ordinato ma non quanto lui. Immaginavo sua madre, sicuramente una donna di un ordine maniacale, caratteristica che, ovviamente, aveva trasmesso all’unico figlio che aveva. Nicola era figlio unico. Doveva essere brutto essere figlio unico, mi dicevo. Forse per questo Nicola era una persona così silenziosa, taciturna, proprio perché a casa non aveva nemmeno un fratello o una sorella con cui scambiare due parole e confrontarsi.          La mia vita iniziò a cambiare da quel famoso pomeriggio di metà ottobre, quando il preside ci ordinò di svuotare tutti i cassetti perché il giorno seguente ci sarebbe stata la disinfestazione di tutta la scuola. Io mi dimenticai di prendere la roba dal cassetto dopo scuola perché quel giorno avevo la testa da tutt’altra parte. Avevo litigato con Laura pesantemente e quindi finita l’ultima ora, presi la macchina e me ne tornai a casa. Ho riscaldato il cibo che mi aveva lasciato mia madre. Quel giorno né lei né mio padre erano a casa perché mio padre aveva una riunione fuori città e quindi potevo finalmente rilassarmi sul divano prendendo il posto di papà. Ma non fu così. Ricevetti la chiamata di un mio amico di classe “Andrea hai svuotato il cassetto? Cazzo io l’ho scordato. Vieni con me a scuola per compagnia?”. Risposi che anche io l’avevo scordato e così ci siamo precipitati a scuola nella speranza che non fosse già chiusa. Sono passato a prenderlo in auto e pensavo quanto fortunato fossi perché i miei, visti i miei ottimi risultati a scuola, mi avevano permesso di prendere la patente subito, così come era stato con mia sorella. Il giorno del mio 18esimo compleanno avevo già macchina e patente in mano. La scuola fortunatamente era ancora aperta e mi sono diretto al cassetto dicendo al mio amico che chi avesse finito per prima avrebbe aspettato fuori all’ingresso centrale, per evitare che qualcuno, non vedendoci, avrebbe potuto chiuderci dentro.          Arrivato al cassetto ho notato che Nicola aveva ancora le cose lì. E certo! Erano due o tre giorni che mancava da scuola ed evidentemente non era nemmeno stato informato della disinfestazione. Meno male che avevo la macchina, almeno avrei preso anche le sue cose e gliele avrei passate a casa l’indomani mattina oppure la sera stessa. Quando sono uscito, dopo aver svuotato tutto, mi sono diretto in macchina con tre borse enormi di plastica e le due sacche di sport, la mia e quella di Nicola. Il mio amico mi aspettava già lì. Abbiamo caricato tutto in auto e dopo aver accompagnato lui, sono tornato a casa. Ero stanco per passare da Nicola e sinceramente non avevo la minima idea di dove abitasse. L’indomani mattina avrei chiamato una mia compagna di classe e le avrei chiesto il numero di telefono di casa di Nicola o l’indirizzo. Quel pomeriggio ero molto stanco. Arrivato a casa ho ricevuto la telefonata di Laura che mi chiedeva di uscire e chiarirci. L’ho mandata al diavolo. Non ce la facevo più a stare dietro alle sue richieste, alle sue lune storte ed ero stanco. Desideravo soltanto buttarmi sul letto e dormire per ore. Al diavolo queste femmine. Al diavolo Laura! Scopava da matti ma era una rottura di scatole tutto il tempo! Non ne potevo più e non era proprio serata. Quella sera, prima di addormentarmi, sono sceso in cortile a prendere i miei libri dalla macchina. Ho preso anche quelli di Nicola perché mia madre mi aveva chiesto di prestarle la macchina per l’indomani mattina che doveva andare da una sua collega e la sua era dal meccanico. Ho svuotato il cofano perché conoscevo mia madre e ogni volta che prendeva la mia auto poi tornava con la spesa fatta e il cofano pieno zeppo di borse. Sono salito in stanza e le borse di plastica mi sono cadute tutte sul pavimento. Quella di Nicola si era pure rotta e quindi mi sono messo a riordinare tutti i suoi libri e le sue cose per sistemarli in altre buste. Mi dicevo che a casa di una persona ordinata non potevo di certo presentarmi con la busta rotta e i libri in disordine. Mia madre mi faceva sempre pesare il fatto di essere suo figlio, il figlio dell’insegnante “…” e quindi non dovevo né potevo permettermi di sfigurare. Riordinando i libri di Nicola ho notato che c’era una carpetta piena zeppa dalla quale fuoriusciva un foglio. L’ho aperta per risistemarlo e ho notato che dentro c’era un diario foderato e chiuso col lucchetto. Ma certo! Era il famoso quaderno con il quale Nicola si rifugiava sempre in biblioteca e scriveva. Mi chiedevo, così come tutte le mie compagne di classe, che cavolo scrivesse in quel quaderno. In realtà non era un quaderno anche se dall’esterno lo sembrava. Era un diario! Un ragazzo di quasi 18 anni (non li aveva ancora compiuti) che scrive un diario? Ecco perché era strano! “Chissà quali segreti - pensavo – ci racchiude! Chissà quali amori sofferti per qualche ragazza che non lo considera vi sono contenuti!”. Ero curioso! E se avesse avuto anche lui una cotta per Laura, la mia ragazza? Lei ogni tanto mi diceva che lo vedeva mentre ci spiava incuriosito quando ci baciavamo o eravamo insieme e ci tenevamo per mano. Era convinta che avesse una cotta per lei ma io credevo lo dicesse solo per suscitare in me gelosia infatti la cosa non mi faceva né caldo né freddo perché Nicola mi sembrava un ragazzo bravo e per niente interessato a lei. E se invece era come sospettava Laura? Se Nicola aveva una cotta per lei? Mi ero incuriosito e anche se da un lato sapevo che non avrei mai dovuto fare una cosa del genere perché non era giusto curiosare nella vita altrui, aprì il lucchetto. Ero un mago nel fare queste cose. In passato avevo sempre letto il diario segreto della mia sorellona, conoscevo tutti i suoi segreti, anche quelli più intimi, i suoi amori, le sue sofferenze, le sue bugie e forse questo mi aveva aiutato a capire meglio la psicologia femminile. Lo so, sono uno stronzo ma la curiosità prendeva il sopravvento ogni qualvolta mi si presentava un’occasione del genere. Così lessi il diario del mio compagno di classe e fu da allora che la mia vita cambiò all’improvviso. Nicola scriveva benissimo e aveva iniziato a scrivere quelle pagine esattamente dai primissimi giorni di scuola dell’anno precedente, insomma da quando era arrivato in Germania. Le prime pagine raccontavano il suo dolore per il distacco dai nonni che erano rimasti in Italia, la difficoltà dell’inserimento a scuola e dell’apprendimento della lingua, la difficoltà nel comprendere alcune spiegazioni di fisica e matematica e il timore di chiedere ai compagni di classe o agli stessi professori di aiutarlo con qualche chiarimento. Poveretto, pensai. Ha bisogno di aiuto ma non osa chiederlo per vergogna. Dalle prima pagine traspariva la sua timidezza estrema che lo bloccava in tutto. “Povera Sara -pensavo- ha una cotta per lui ma ha paura di chiederglielo o di farsi avanti perché pensa di non essere ricambiata”. Sara era una mia compagna di classe, studentessa brillante, che si era invaghita di Nicola ma lo vedeva troppo inarrivabile. In realtà lui era solo timido. Un ragazzo insicuro e impaurito. Pensavo che dovevo smettere di leggere quelle pagine e che non era giusto infilarmi così, senza chiedere il permesso, nella vita di qualcun altro solo per soddisfare la mia curiosità. Però mi attanagliava un pensiero. E se fosse esattamente come sospettava Laura? Dovevo saperlo e quindi andai avanti. La scrittura di Nicola era talmente precisa, perfetta, scorrevole che mi immersi in quelle pagine senza riuscire a staccarmi gli occhi nemmeno per un secondo. I pensieri scritti nero su bianco di quel ragazzo mi avevano rapito. In una notte l’ho conosciuto meglio di quanto non avevo fatto in un anno di scuola. E fu lì che capì chi era Nicola, il perché, a volte, sembrava strano a tutti, il motivo del suo isolarsi, del suo starsene solo nel suo mondo. Quello che lessi mi turbò e mi cambiò. Non riuscivo a metabolizzare bene il tutto, leggevo e rileggevo parole e frasi che mi piombavano dritte al cuore e vi rimanevano impresse. Nicola era innamorato di me, non di Laura. Nicola non era strano, era gay. Gli piacevano i ragazzi, gli piacevo io. Ero confuso. Smisi di leggere. Non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte e alle 6 del mattino mi addormentai.          Mi svegliò mia madre a mezzogiorno per dirmi che era tornata e che dovevo alzarmi per portare i libri a Nicola. Ecco, Nicola. Grazie mamma per avermi ricordato il motivo per cui non ho chiuso occhio tutta la notte, pensai. Rimasi un’ora a letto a pensare ma in realtà non sapevo su cosa riflettere. Ho nascosto il diario nella scrivania, mi sono alzato, vestito e dopo pranzo ho chiamato Sara per chiederle se mi diceva dove abitava Nicola. “Glieli porto io sti libri Andrè?” mi disse scherzando e io sorrisi. Quasi quasi le dicevo di sì e mi toglievo il pensiero, dimenticavo tutto e facevo finta che non fosse successo niente. Dopo pranzo mi rimisi a leggere di nuovo tutto. La maggior parte del diario di quel ragazzo parlava di me, raccontava le mie giornate, la mia vita, mi descriveva come il ragazzo perfetto, dagli occhi profondi e dalla camminata elegante. Mi colpirono quelle frasi su di me. Pensavo che nemmeno la mia ragazza insieme a tutte le altre precedenti avrebbero potuto scrivere di meglio sul mio conto. Nicola non era volgare in quello che scriveva, non aveva fantasie particolari sul suo oggetto di desiderio, cioè io, ma era speciale. Quello che scriveva era speciale. Se quel diario lo avesse scritto una ragazza, se quelle frasi fossero fuoriuscite dalla testa e dalla penna di una ragazza, avrei lasciato Laura per stare con lei. Leggevo Amore in quelle righe, un amore così dolce, pacato, riservato, vero, sincero che quasi a stento credevo potesse mai averlo scritto un ragazzo. Se non avessi letto con i miei occhi, non avrei mai pensato che un mio coetaneo, di qualche mese più piccolo di me, sarebbe stato capace di scrivere quelle cose così profonde! I pensieri di Nicola mi avvolgevano, mi travolgevano, mi emozionavano, a tratti mi commuovevano e mi facevano capire quanta poca conoscenza avessi io dell’amore. Io conoscevo il sesso, le litigate pesanti con Laura, le riappacificazioni, i regali che ci scambiavamo, l’affetto che nutrivo per lei ma nulla di tutto ciò che io avevo provato fino ad allora per una ragazza si avvicinava minimamente a quello che descriveva Nicola. Conosceva tutto di me. Riusciva a capire quando ero nervoso, quando ero sereno, quando ce l’avevo con Laura. Sapeva se il giorno prima eravamo andati al cinema, se eravamo stati ad una festa. Mi ammirava per essere bravo in fisica e matematica e si chiedeva se mai un giorno avrebbe avuto il coraggio di chiedermi di poter studiare insieme per il compito. Per lui potevo andare bene anche come amico perché una storia con me sarebbe stata impossibile. Era consapevole di questo. Io etero, lui, forse, gay. Io amavo Laura, lui amava me. Non aveva mai avuto ragazze e ragazzi prima di allora. Mai una storia. Era sempre stato timido. Fino all’anno scorso non sapeva nemmeno di essere gay; ha scoperto tutto quando si è trasferito qui e ha iniziato a frequentare la mia scuola, dove ha conosciuto me. Nemmeno lui sapeva di preciso se fosse omosessuale o eterosessuale ma fatto sta che da un anno provava quel sentimento così forte e intenso per me. La sua vita ruotava attorno a me. Lui stava bene per il semplice fatto che a scuola mi vedeva e ogni tanto scambiava qualche parola con me. Infatti a volte capitava che mi chiedeva di correggergli i compiti di tedesco e io lo aiutavo volentieri. Nel diario scriveva persino il giorno in cui tanto ha insistito con il coordinatore delle classi per farsi assegnare il cassetto dei libri insieme a me. Io avevo un intero cassetto per me e c’era posto per due persone. Ogni cassetto aveva due scompartimenti. Ricordo che mi aveva chiesto se lo potevamo dividere e gli dissi che non c’era problema. In realtà lo aveva fatto apposta e notava tutto quello che vi tenevo. In una pagina ha scritto di essersi portato la mia maglia di sport a casa e di averla indossata la notte per dormire con me, abbracciato al mio odore. Un modo per avermi vicino. Io non mi sono mai accorto di niente. Laura aveva ragione. Ci spiava. Ci guardava. Era roso dalla gelosia quando io e lei stavamo insieme e ci baciavamo durante le pause tra una lezione e l’altra. Desiderava me con tutto se stesso. Non sapevo cosa pensare. Le sofferenze di quel ragazzo che mi amava ma non poteva confessare a nessuno il suo amore per paura di essere deriso, mi facevano quasi sentire in colpa. Io ero causa della sua gioia ma soprattutto della sua sofferenza. Ma che colpa avevo? Gli piacevo ma non potevo farci niente e mi convinsi che non era nemmeno giusto che mi sentissi in colpa. Però leggendo quelle pagine qualcosa in me era cambiato. Qualcosa dentro era diversa, anche se non riuscivo a capire cosa. Quel giorno mi sentivo turbato, le frasi di Nicola mi frullavano in testa e non riuscivo a rimuoverle. Chiusi il diario, il lucchetto e rimisi tutto in ordine. Telefonai a casa di Nicola e mi rispose la madre. Avevo il cuore a mille e temevo che se avesse risposto lui forse avrei riagganciato. Non ero spaventato e nemmeno schifato. Non so descrivere come mi sentivo esattamente ma dentro avevo un turbine di emozioni. Mi sentivo semplicemente la causa della sofferenza di un ragazzo. Un ragazzo che forse andava aiutato, che forse non era gay come lui credeva di essere da un anno a questa parte, un ragazzo che forse era normale come tutti gli altri e magari aveva solo un’ossessione per me perché nella sua testa, non so per quale strano motivo, mi vedeva perfetto. Aveva bisogno di una ragazza, aveva bisogno di fare esperienze nuove. L’arrivo in Germania lo aveva turbato e destabilizzato e non ci aveva capito più niente. Dovevo avvicinarmi a Nicola, essere suo amico e farlo uscire dal guscio, chissà magari convincerlo a uscire con Sara o fargli conoscere qualche amica di Laura. Dovevo aiutarlo. Mi sentivo in dovere di farlo. Lui era così piccolo, fragile, non aveva nessun tipo di esperienza in amore e quindi non sapeva nemmeno cosa significasse baciare una ragazza o farci l’amore. Ma certo! Nicola era normalissimo; aveva solo bisogno di qualcuno che lo facesse svegliare un po’. Con questi pensieri in testa presi i libri e mi diressi a casa sua. Mi dissi che il diario doveva restare una cosa segreta, non ne avrei mai fatto parola con nessuno, neanche con Laura. Non era giusto. Era come se avessi violato l’anima di un amico e forse mi sentivo in colpa proprio per quello. Per ricambiare avrei aiutato Nicola. Avrei stretto i rapporti di amicizia con lui e lo avrei cambiato. Attraverso le sue pagine ho scoperto una semplicità, un’autenticità, un’umiltà, una sincerità, una discrezione, un rispetto assoluto verso tutto e tutti. Sarebbe stato un amico ideale per me e un ragazzo modello per qualcuna.          La casa di Nicola non era molto lontana dalla mia, circa una decina di minuti in macchina. Appena sceso ho preso le buste e la sacca di sport e mi sono avviato alla porta. Lì ho iniziato un po’ ad avere qualche perplessità. Mi sentivo a disagio. Chissà se Nicola era a casa, pensavo. “Forse sarebbe meglio se non lo incontrassi. E se capisse che ho violato la sua privacy?”. Assalito da mille dubbi suonai il campanello e mi aprì sua madre. Mi fece entrare, mi fece accomodare nel salotto e mi disse di attendere perché Nicola sarebbe sceso a momenti. Era stato a letto per giorni a causa di febbre alta e quindi non era venuto a scuola. Io risposi che avevo fretta e che non c’era bisogno di disturbare Nicola, ho bevuto il caffè che la signora mi aveva preparato e sono andato via. Se Nicola stava male, di sicuro, ci avrebbe messo una vita a prepararsi e scendere sotto sapendo che c’ero io a casa sua e si sarebbe fatto mille complessi e quindi pensavo di risparmiargli questo fastidio. Dentro di me sapevo che lui in cuor suo stava morendo dalla voglia di vedermi e che sicuramente mi stava spiando da qualche finestra della casa. Non alzai il viso. Misi in moto e andai via.          Quei tre giorni senza scuola mi avevano fatto bene. Avevo pensato a quello che mi era successo, a quella scoperta così improvvisa e scioccante ma al tempo stesso avevo cercato di scacciare quei pensieri e mi ero promesso di non pensarci più. Nicola era stato catapultato da un paese in un altro; si era dovuto confrontare con una realtà diversa, dove la gente aveva un’altra mentalità, parlava un’altra lingua. Non aveva fratelli e sorelle, i suoi genitori lavoravano entrambi e lui era sempre da solo. Questa cosa lo aveva distrutto e fatto andare fuori di testa. Aveva perso il senso della realtà. Si trattava solo di aggiustare le cose e io, forse, avrei potuto aiutarlo. In quei giorni sono uscito con Laura, ci eravamo riappacificati. Stavo bene con lei ma mi mancava qualcosa. I nostri incontri erano piacevoli ma spesso il nostro rapporto diventava meccanico. Si faceva l’amore, si arrivava al piacere e tutto finiva in 5 minuti. Nicola nel suo diario mi aveva fatto capire che oltre l’amore fisico vi era qualcosa di più grande e importante. L’amore non si poteva ridurre a una semplice scopata. Mi dicevo però che lui non era mai stato né con una donna né con un uomo e che quindi il suo modo di vivere e pensare l’amore era diverso proprio perché era lui a non conoscere l’amore vero, quello pratico, quello reale. Il suo amore era immaginato, fantasticato, meraviglioso e perfetto proprio perché irreale e non vissuto. Era un sentimento talmente perfetto e immenso che non poteva esistere davvero. Nicola viveva di fantasia e si perdeva la vita reale. Io dovevo farlo scendere sulla terra e riportarlo tra noi esseri comuni mortali. Un giorno mi avrebbe ringraziato per questo e spettava a me farlo perché, anche se involontariamente, io ero causa del suo dolore e della sua stranezza di vivere la vita. Ero venuto a conoscenza di questo suo problema e dovevo fare qualcosa per farglielo superare. Gli amici servono anche a questo. Non avrei potuto fare altrimenti e questo pensiero mi torturava e mi assillava ogni giorno. Non avrei dovuto leggere quelle pagine di diario, mi ripetevo.          Quando siamo tornati a scuola quella mattina ho incontrato Nicola al cassetto; stava sistemando i libri. Appena mi ha visto mi ha sorriso e mi ha detto “Ciao Andrea! Grazie mille per i libri. Mi è dispiaciuto che sei andato subito via l’altro giorno e…” , io l’ho subito interrotto e gli ho detto che non mi è costato nulla ma che avevo fretta perché mi aspettavano a casa. Dopo quello che sapevo sul suo conto non riuscivo più a fare l’indifferente come prima, nel senso che adesso mi riusciva difficile. Mi sforzavo ma mi rendevo conto che era cambiato tutto. Lui mi guardava. Guardava come ero vestito, le mie mani, i miei capelli e mi venivano in mente quelle pagine del suo diario dove descriveva ogni minimo dettaglio di me. Mi imbarazzavo però dovevo far finta di niente e quindi per spezzare ho detto: “Nicola tra non molto il prof ci farà fare un compito di fisica e una simulazione scritta di quello che ci aspetterà per l’esame, ti va se ripassiamo insieme qualcosa? Magari uno di questi pomeriggi quando non abbiamo altro da studiare”. Lui mi ha guardato stupìto ma mi ha detto di sì entusiasta anche se all’esterno cercava di mascherare la sua felicità. Mi ripetevo che lui era consapevole del fatto che tra me e lui non poteva esserci nulla, che io ero etero, che avevo una ragazza e che per lui ero solo Andrea, il compagno di scuola. Punto. Ripetermi quelle cose mi tranquillizzava perché a volte mi assalivano degli atroci dubbi “E se col mio atteggiamento Nicola fraintendesse? E se l’ossessione per me aumentasse ancora di più? Non è che invece di fare bene gli farei solo del male?” ma poi mi rassicuravo quando mi tornavano in mente quelle pagine di diario dove lui confessava di non sapere se era omosessuale, di non capire più se stesso, di provare quel sentimento nuovo per me che non aveva mai provato per nessuno prima di allora. La fine di ottobre e tutto il mese di novembre e dicembre passarono in fretta e io e Nicola stringemmo un legame particolare. Era davvero l’amico perfetto. Era un ragazzo in gamba, intelligente, discreto e quando stavamo insieme a studiare non mi metteva mai a disagio e non faceva mai l’invadente. Lui mi osservava, quando leggevo mi guardava e mi ascoltava. Lo aiutavo in tedesco e lui apprezzava molto. Ogni tanto mi fissava e lo faceva anche quando eravamo in classe e appena si accorgeva che lo guardavo anch’io distoglieva subito lo sguardo e fissava altro. Un giorno, durante l’ora di matematica, i nostri sguardi si incrociarono per almeno un minuto ma appena me ne sono accorto mi sono chinato a scrivere sul quaderno facendo finta di nulla. Nicola era rimasto fisso a guardarmi e poi mi ha sorriso. Non ho mai dimenticato lo sguardo che ci siamo scambiati quel giorno, uno sguardo complice in un silenzio pieno di parole. In quel minuto mi sono sentito diverso, avevo bisogno di cercare ancora quello sguardo, di trovarlo, di fissarlo ma non l’ho fatto. Finita la lezione me ne sono andato al cassetto a prendere i libri per la prossima lezione di storia e mentre stavo per chiudere il cassetto arrivava Nicola “Aspetta. Devo prendere il quaderno anch’io. Andrea hai capito la lezione di mate oggi? Mi sono distratto un po’ e non ho seguito bene gli ultimi passaggi”, io risposi “Nemmeno io ho capito benissimo ma poi in caso li rivediamo insieme per capirci di più” e lui, guardandomi, sorrideva. Io non lo guardavo, cercavo di evitare quello sguardo che mi aveva scombussolato prima e dopo avergli detto ciao sono scappato via. La lezione di storia, fortunatamente, ce l’avevamo con insegnanti diversi ma quel giorno non sono riuscito a seguire nemmeno una parola. Ero distratto. Non riuscivo a fare finta di niente. Nicola ci riusciva perché non sapeva che io sapevo ma io sapevo tutto e non riuscivo più a far finta di niente. Mi sentivo un peso dentro al petto, mi sentivo scoppiare. A casa riflettevo sul fatto che il problema di Nicola non era il mio però dentro me sapevo che il mio disagio era dovuto ad altro. Mi sentivo a disagio perché per la prima volta avevo provato qualcosa guardando Nicola, avevo sentito un brivido, una complicità, un sentimento, un qualcosa di grande che non ero riuscito a gestire. Provai paura, tanta paura. Cosa mi stava succedendo? Che mi era preso? Forse ero solo suggestionato per le cose che avevo letto e di cui ero a conoscenza. Dovevo calmarmi. Nicola con me si comportava da amico e non mi dava assolutamente modo di sospettare di altro. Io interpretavo il tutto in modo errato perché conoscevo i suoi più intimi pensieri. Ero io quello sbagliato, non lui.          I giorni passavano, studiavamo insieme. Notavo che lui guardava spesso le mie mani, mi guardava quando gli parlavo e persino un cretino avrebbe capito che quegli sguardi significavano più di quello che sembravano. Io percepivo il sentimento che Nicola provava per me e il punto era che non mi dispiaceva né mi infastidiva. Ero solo imbarazzato a volte perché non volevo fraintendesse. In realtà avevo paura di provare le stesse cose che lui provava per me. Avevo paura delle conseguenze che un mio sorriso o una mia parola gentile potessero avere su di lui. Così, dopo aver studiato, quel giorno gli proposi se uscivamo insieme a Laura e alle sue amiche. Lui mi disse no ma io lo convinsi. Secondo me era giunta l’ora di farlo uscire, fargli conoscere la vita fuori, nuove persone. Andammo al cinema, io stavo avvinghiato con Laura e lui stava accanto alla sua amica ma con la mente non c’era. Era assente e triste. Mi sono sentito un verme quella sera. Nicola stava soffrendo e io lo percepivo. La causa della sua sofferenza ero io. Ero un coglione. Dopo il cinema siamo andati a mangiare una pizza con patatine fritte e lui era seduto di fronte a me. Mi guardava e cercava di far finta di niente. Impazziva quando Laura mi baciava, glielo leggevo nello sguardo. Ormai riuscivo a leggere la sua mente. Riuscivo ad invadere la sua privacy. Ero scorretto e sleale nei suoi confronti e lui non se lo meritava. Dopo aver accompagnato le ragazze a casa quella sera, lui si sentì più a suo agio. Mentre lo accompagnavo a casa avrei voluto dirgli tutto e rivelargli del diario ma non l’ho fatto. Quella sera gli avevo inflitto troppe sofferenze e non potevo di certo dargli la batosta finale. Non se lo meritava. Gli chiesi della serata: “Nicola, ti sei divertito stasera? Ti ho visto particolarmente giù”. Lui mi disse che era stata una serata piacevole ma che era stanco e che aveva sonno. Poi gli chiesi: “Che te ne pare di Christine?” e lui mi disse che la trovava simpatica ma che non gli interessava. Io a quel punto gli chiesi il motivo e lui mi disse che era innamorato di una ragazza che non lo ricambiava e lui non poteva farci niente. Continuava ad amarla in silenzio e in segreto e questo gli bastava. “Perché non provi a farglielo capire? Al massimo ti becchi un No però almeno ci hai provato”. Lui stette in silenzio, poi disse “Non è facile Andrea. Se le dicessi quello che provo per lei penso che come minimo non mi rivolgerebbe la parola. Non mi degnerebbe nemmeno di un saluto. Lei ha un altro e non potrei mai interessargli io. A me basta il suo sorriso, il suo saluto, parlarle qualche volta”. Io insistevo “Ma così vivi un amore finto, un amore platonico. Almeno le fai capire che ti piace?Ma è della scuola?”. Stette in silenzio. Poi gli dissi: “Scusa. Sono stato troppo invadente e non avrei dovuto”. Lui guardandomi mi disse “La guardo sempre, ogni volta che posso cerco di incrociare il suo sguardo, la fisso alcuni istanti, le sorrido e lei, a volte, ho l’impressione che ricambi ma credo lo faccia solo perché siamo amici”. “E questa cosa ti fa stare male?”, lui disse “Sì”. Dopo un po’ aggiunse: “Quello che provo per lei mi riempie la vita ma come dici tu è una cosa platonica”. Io cercavo di persuaderlo e dicevo: “Nicola, nella vita non si può vivere di cose immaginarie. Ci si illude e basta. Quando si prova un sentimento per qualcuno bisogna dirlo. Non c’è niente di male ad amare qualcuno. E’ la cosa più bella del mondo o almeno dovrebbe essere così…”. Nicola non rispose ed eravamo già sotto casa sua. Mi salutò, mi ringraziò del pomeriggio e della serata e scese dalla macchina. Prima di arrivare alla porta di casa si girò e mi sorrise. Tornando a casa continuavo a ripetermi che ero un coglione. Come avevo potuto pensare di distrarre Nicola portandolo fuori con la mia ragazza? Gli avevo fatto passare una serata di merda.          Arrivai ad una settimana prima delle vacanze di Natale stressato. Lo studio aumentava ma io ero stressato per altro. Ci eravamo visti poco e niente con Nicola di pomeriggio perché avevamo talmente tanti compiti che per studiare insieme non c’era tempo. Lo vedevo a lezione ma cercavo di evitarlo di incontrare da solo al cassetto. Diverse volte incrociavamo i nostri sguardi e lui mi sorrideva, mi fissava e a volte si voltava. Io non sopportavo più questa situazione, questo peso e così il giorno in cui ci diedero le vacanze di natale gli telefonai a casa e gli dissi se voleva uscire da solo con me perché dovevo parlargli con urgenza di alcune cose. Gli dissi che al tel non potevo accennargli nulla. Lui accettò ma intuivo che era stranito. Passai a prenderlo nel pomeriggio e andammo in un parco bellissimo, immerso nella natura. Un posto che a lui, da quello che avevo letto nel suo diario, sarebbe sicuramente piaciuto. E così è stato. Quel posto lo mise di buon umore. Parlammo del più e del meno per tutta la strada e poi una volta lì ci sdraiammo sull’erba. C’era una bellissima giornata di sole nonostante fosse pieno inverno. Nicola mi raccontava della sua vita e adolescenza in Italia, di quanto dolore aveva provato ad abbandonare i suoi nonni per trasferirsi con la famiglia in Germania. Il padre aveva trovato lavoro e anche la madre ed entrambi erano convinti che quella nuova patria potesse rappresentare il futuro del figlio. Era sincero, era vero e io conoscevo quel racconto a memoria perché già lo avevo letto. A un certo punto lo bloccai e gli dissi “ Sei un buon amico per me Nicola. Sei sincero con me e sono felice di averti incontrato in questa vita”, lui sorrise e mi guardava emozionato. Poi aggiunsi: “Non è giusto che tra noi debbano esserci segreti ed è per questo che ti ho portato qui”. Lui si stranì. Forse si sentì confuso e mi disse: “Ma che vuoi dire?” ed io “Niente. Volevo dirti che ti considero il mio migliore amico” e lo guardavo. Lui non staccava nemmeno per un attimo il suo sguardo dal mio ma era fortemente in imbarazzo. Poi rispose “Anche io ti considero il mio migliore amico” e sorrise. Il suo era un sorriso pieno di una tristezza infinita e mi faceva pena. In quel momento avrei voluto abbracciarlo, dirgli che con me accanto non doveva avere paura di niente e di nessuno perché io per lui ci sarei stato sempre. Volevo proteggerlo, lo vedevo indifeso. Ma non dissi nulla. A un certo punto ruppi il silenzio dicendo “Ho letto il tuo diario”. Lui mi guardò dritto negli occhi, incredulo, il suo volto cambiò immediatamente espressione e colore, si alzò e andò via correndo. Gli gridai “Non l’ho fatto apposta e ti chiedo scusa, Nicola!”. Mi alzai e gli corsi dietro. Quando lo raggiunsi aveva gli occhi pieni di lacrime e non riusciva più a guardarmi negli occhi. Mi disse solo con la faccia nascosta tra le mani e la voce tremolante: “Torniamo indietro per favore. Me ne voglio andare”. Gli dissi “Ok” e senza aggiungere altro ci siamo rimessi in macchina per tornare indietro. Durante il tragitto non scambiammo nemmeno una parola. Lui piangeva ma soffocava le lacrime. Che coglione che ero stato, mi ripetevo. L’ho fatto soffrire di nuovo. Sono un mostro. Poi mi fermai di colpo. Gli dissi “Scusami. Scusami per tutto ma sappi che io ti voglio bene e che mai nessuno saprà questa cosa del diario. Tu sei il mio amico e io per te ci sarò sempre anche se non nel modo in cui vorresti tu. Non ti giudico per questo. Quello che hai scritto nel tuo diario mi è rimasto impresso e mi ha fatto riflettere tanto. Ti ho portato qui oggi perché volevo dirti la verità e mi sentivo un verme a far finta di niente. Mi sentivo sleale. Ti voglio bene Nicola”. Lui non aprì bocca. Continuava a fissare fuori dal finestrino soffocando le lacrime. Voleva esplodere. Stava malissimo e la colpa era mia ma io mi ero finalmente liberato di quel peso o almeno così pensavo. Le cose però andarono diversamente.          Nicola non si fece vivo per tutte le vacanze di Natale. Lo cercai tre volte a casa ma tutte e tre le volte la madre mi disse che non era in casa. Ci credevo poco. Non aveva amici quindi con chi poteva uscire? Da solo come un pazzo? Al rientro a scuola mi evitava, non mi salutava e cercava di ignorarmi ma dentro soffriva e soffrivo anche io. Andava al cassetto quando io non c’ero e durante le lezioni mi ignorava. Io lo guardavo, lui no. Dopo tre settimane passate in questo modo gli lasciai un biglietto al cassetto con scritto: “Non riesci proprio a perdonarmi, vero?” ma non ho mai trovato risposta. Passarono i mesi e arrivò marzo ma Nicola continuava ad ignorarmi. Io per lui non esistevo più e pensavo che forse era meglio così. Un pensiero in meno. In fin dei conti ci avevo provato a chiedere scusa ma lui non aveva accettato il fatto che mi fossi impadronito della sua vita intima e privata. L’unica cosa che potevo fare era quella di non dire nulla a nessuno e andare avanti per la mia strada.          Un giorno lo incontrai al cassetto. Appena mi vide disse “Scusami faccio in un attimo” ma io lo bloccai da tutta quella fretta dicendogli “Dobbiamo parlare”. “Di cosa? Io e te non abbiamo proprio niente da dirci” mi disse tutto innervosito. Insistevo: “Nicola mi dispiace per quello che ho fatto ma prova a metterti nei miei panni per un minuto…”. “No”, esplose lui, “non mi metto nei tuoi panni perché tu ti sei impossessato di una cosa mia e non dovevi. E tutti quei discorsi sull’amore, sulle ragazze? Era una presa per il culo! Bell’amicizia Andrea. Bel modo di dimostrarmi la tua amicizia! Io non ho mai fatto nulla per metterti in difficoltà, mai! Sapevo che non potevo dirti certe cose ma la nostra amicizia era perfetta! Hai rovinato tutto! Sei entrato nella mia vita privata e ti sei stato zitto per tanto tempo per far che Andrea? Per mettermi alla prova? Per vedere se ci provavo con te? Per umiliarmi, per cosa lo hai fatto? Che razza di amicizia era la tua?” e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Prese il quaderno, lo scaraventò nello zaino e se ne andò in bagno. Lo raggiunsi e lo afferrai per un braccio. Lo abbracciai, mi venne spontaneo e poi, tenendolo per le spalle e guardandolo fisso negli occhi, gli dissi: “Mi dispiace Nicola. Credimi. Ti prego non ignorarmi. Soffro per questa cosa”. Lui stava zitto e mi diceva che me ne dovevo andare. Io insistevo : “Non ti ho mai preso in giro. Volevo solo far finta di niente e aiutarti a superare questa cosa perché mi consideravo e ti consideravo un amico. Mi dispiaceva essere la causa della tua sofferenza. Mi sentivo in colpa. Però le cose sono andate diversamente. Ho iniziato a nutrire dubbi su Laura, ho messo in dubbio tutto, ho iniziato a ricambiare i tuoi sguardi in classe. Nicola io ho avuto paura. Non sono riuscito a sopportare tutto questo. Stavo impazzendo e dovevo dirtelo. Non sono più io da quando ho letto il tuo diario. Non so più cosa provo per Laura e cosa per te. So solo che i tuoi silenzi, il fatto che mi ignori mi stanno uccidendo. Non so cosa mi prende Nicola però … sento che mi manchi. Mi mancano le giornate di studio con te. Mi manca il tuo sguardo, il tuo sorriso. Mi manca tutto questo…”. Quelle parole mi uscirono all’improvviso e in modo naturale. Non c’era nulla di preparato. Ero sincero. Mi resi conto lì, in quel bagno, di quanto importante fosse Nicola per me. Lui era basito. Non sapeva che dire. Mi guardava stranito, sono sicuro che mi avrebbe voluto dire tante di quelle cose ma dalla bocca non gli uscì niente. Io uscì dal bagno e me ne andai al cassetto, presi il quaderno e mi diressi a lezione. Nicola aveva la stessa lezione con un altro prof. Meno male! Avevo paura di vederlo dopo quello che gli avevo confessato. Mi vergognavo però dentro me sentivo un senso di liberazione perché sapevo di aver detto la verità senza troppi giri di parole.          Quel giorno a casa pensai tutto il tempo a Nicola e a quello che gli avevo detto. Il giorno dopo al cassetto trovai un biglietto: “ANDREA IL MIO AMORE PER TE E’ TALMENTE GRANDE CHE IO SONO DISPOSTO ANCHE A FARE A MENO DI TE SE IL TUO CUORE NON APPROVA NE’ RICAMBIA IL MIO. IERI MI HAI DETTO COSE IMPORTANTI MA PRIMA DI GIOIRE VOGLIO CHE TU SIA SICURO DI QUELLO CHE PROVI PER ME. TI PREGO, NON MI ILLUDERE. MI FARESTI SOLO DEL MALE. PRENDITI TEMPO PER CAPIRE COSA VUOI. NICOLA” Ero confuso. Non sapevo che fare. Sono andato in classe e lui era lì. Mi guardava. Tutte le lezioni erano fatte di scambi di sguardi. Nicola mi piaceva. Non riuscivo a stare senza far nulla. Dovevo vedere Laura e fare l’amore con lei. Ero convinto che mi sarebbe passata ma è stato il contrario. Non ho provato nulla. Volevo bene a quella ragazza ma non l’amavo. A scuola con Nicola ci scambiavamo sguardi sempre più complici e una mattina di fine aprile andai al cassetto e gli lasciai un biglietto: NON SO SE SONO NORMALE, IMPAZZITO, GAY O ALTRO. DI UNA COSA SONO SICURO: IO TI AMO E VOGLIO STARE CON TE! SOLO CON TE! Il giorno stesso lasciai Laura spezzandole il cuore. Gli dissi che avevo un’altra e che si chiamava Nicole. Non voleva accettare la cosa e non si rassegnava all’idea di perdermi. All’uscita di scuola Nicola mi aspettava alla macchina e appena mi vide mi sorrise da lontano. Era felice. Anche io quel giorno ero felice. Mi sentivo un altro. Mi sentivo “pieno”. Siamo saliti in macchina e siamo andati a mangiare fuori. Sembravamo due amici di vecchia data ma dentro stavamo esplodendo. Io avevo voglia di contatto, di baciarlo, di toccarlo e anche lui, un mese più tardi quando abbiamo fatto per la prima volta l’amore, mi confessò che in quello stesso momento fremeva per la stessa cosa. Lo guardavo, gli parlavo, desideravo abbracciarlo, baciarlo, accarezzarlo ma lì, con quella gente, non potevo e questa cosa faceva aumentare in me la voglia e il desiderio. Posso dire che quel giorno abbiamo fatto l’amore con lo sguardo. I nostri occhi, così intimi, così complici, si sono amati, osservati lì in quel ristorante. Ed è stato bellissimo!          Io e Nicola da allora ci siamo amati, voluti bene sul serio, abbiamo conseguito la maturità a pieni voti e poi siamo andati a studiare a Berlino. Ci siamo laureati nello stesso corso di laurea. Abbiamo convissuto assieme per ben 15 anni. L’ho amato come non avevo mai amato nessun altro e nessun’altra in vita mia! Era perfetto per me e io per lui. La nostra relazione era talmente bella, sana, complice e piena di passione…insomma NOSTRA… che non mi va di raccontare i particolari intimi a nessuno. Abbiamo vissuto il nostro amore per tutti e 15 anni in assoluto segreto. Le nostre famiglie non sapevano né sospettavano niente e credevano che fossimo migliori amici. Nicola faceva credere di essere fidanzato con una certa Anna e io con una certa Nicole,appunto. Entrambe impegnate e sempre in giro per lavoro. Di solito si pensa che una coppia gay sia una coppia perversa, malata, che faccia sesso dalla mattina alla sera. Ma non c’è nulla di vero. Io e Nicola ci siamo amati oltre ogni cosa. Il nostro amore andava oltre tutto. Era un amore speciale e particolare. La prima volta che abbiamo fatto l’amore è stato dopo un mese che eravamo insieme ed è stato così romantico, così dolce, così complice e così semplice e pulito che posso ben affermare che nella mia vita la mia prima volta è stata proprio quella vissuta con lui. Avevo avuto diverse ragazze ma mai con nessuna la prima volta era stata uguale. Ero innamorato….eravamo innamorati e come dice Tiziano Ferro, in una sua canzone, l’amore è una cosa semplice. Quando c’è, quando si sente per davvero, l’amore non è complicato ma è semplice e ti riempie la vita!E non importa che tu sia etero, che tu sia gay, sia lesbica, sia bisessuale ecc. L’AMORE E’ UNA FORZA CHE TI TRAVOLGE E CHE TI FA SENTIRE UNICO. L’AMORE TI LEGA ALL’ALTRO SENZA OSSESSIONI NE’ COSTRIZIONI NE’ FORZATURE…l’amore è una cosa meravigliosa. Ti fa sentire parte di un tutt’uno, parte dell’altro.  L’amore non ha regole, non deve sottostare a nessun tipo di convenzione sociale. L’amore è una cosa semplice. Dove ci sono complicazioni non può esserci amore quindi non smettete mai di cercare l’amore vero. Oggi ho 43 anni e sono sposato con una donna meravigliosa. Mia figlia ha due anni e si chiama Nicole. Nicola mi ha lasciato all’età di 33 anni per una brutta malattia che nel giro di sei mesi me lo ha portato via. Ho sofferto come un cane, volevo farla finita perché con lui se n’era andata anche una parte di me. Conservo ancora i suoi biglietti, il suo diario, che ha sempre continuato a scrivere fino alla fine dei suoi giorni, e ogni tanto, quando ho il bisogno di sentirlo vicino a me, lo rileggo. Mi disse di rifarmi una vita tanto lui sarebbe sempre stato al mio fianco e avrebbe continuato ad amarmi anche se non fisicamente presente. Forse è stato lui a darmi la forza per superare quegli anni bui. Dopo 8 anni ho conosciuto mia moglie e mi sono rifatto una vita. La amo. Non le ho mai raccontato nulla se non il fatto che ero legato a questo amico di nome Nicola. Lui continua a vivere dentro me. Mi ha insegnato l’amore, mi ha insegnato la bellezza della vita e la semplicità delle piccole cose. Mi ha insegnato ad essere l’uomo che sono, un uomo migliore e speciale. Non dovete mai vergognarvi di provare sentimenti per persone del vostro stesso sesso perché quando si ama veramente niente è impossibile. Senza amore non esisterebbe vita.   Alì.  "

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"era strano, era malato, dovevo aiutarlo a guarire, perciò gli facevo conoscere delle ragazze.."

Solo perchè aveva preso una scuffia per te??

 

MA VAFFANCULO!!!

[oh, quando ci vuole, ci vuole!!!!]

 

ammesso & non concesso che sia una storia vera, se uno dicesse qsa del genere su di me, minimo finirebbe polverizzato dopo 3 nanosecondi

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Allineedisyou

"era strano, era malato, dovevo aiutarlo a guarire, perciò gli facevo conoscere delle ragazze.."

Solo perchè aveva preso una scuffia per te??

 

MA VAFFANCULO!!!

[oh, quando ci vuole, ci vuole!!!!]

 

ammesso & non concesso che sia una storia vera, se uno dicesse qsa del genere su di me, minimo finirebbe polverizzato dopo 3 nanosecondi

Beh ma alla fine hanno vissuto e si sono amati a lungo fino alla fine

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Beh ma alla fine hanno vissuto e si sono amati a lungo fino alla fine

 

peggio mi sento!!!.

 

tralasciando il fatto che gli avrebbe letto il diario così, giusto per farsi un po' i ca§§i suoi (che già solo per questo con me avrebbe chiuso ancor prima di partire),

non so te,

ma se qualche mio ex parlasse di me in quei termini anche oggi, sicuramente lo.. addobberei.

 

E non per le feste..

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Ancora???? Giá qualcuno l ha inserita sul forum

E comunque é una storia inventata..

 

Come giá scrissi mesi fa questa storiella mi fa schifo

Ed é una cretinata per bambine..

Se tu che sei gay leggi il diario di una ragazza etero

Innamorata di te, diventi etero!!!????

Ma dove!!!?????? Ma che stronzate.

 

Poi manco si son rivelati sti due cojoni.

Una merda.

 

 

 

Ps. Il passato remoto di riuscire é riuscii, non riuscí,

Per la prima persona. Quindi pure un analfabeta.

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Ero indeciso se commentare negativamente il mieloso romanticismo irreale della storia o il cinismo spietato e altrettanto a buon mercato dei commentatori. 

Ma mi sono accorto che sono due facce della stessa medaglia alla fine

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  • 2 weeks later...

un riassunto della storia non lo fa nessuno tanto per non dover leggere quel mattone ?

Questo signore, Andrea, racconta la sua storia d'amore con un compagno di scuola, Nicola.. scopre tutto leggendogli il diario segreto, in cui l'amico aveva scritto che si era innamorato di lui. Dopo una serie di questioni in cui cerca di "curarlo".. scoppia una grossa lite e questo tizio si rende conto che in realtà corrispondeva i suoi sentimenti.. stanno insieme per 15 anni, finendo l'università insieme e convivendo. La storia finisce perchè Nicola muore, il protagonista poi si sposa e chiama la figlia Nicole.

 

Scusami.. ho il dono della sintesi..

 

Comunque a me non sembra così inverosimile, la mia prima ed unica storia seria è stata con un mio compagno di classe del liceo.

Forse è un po' inverosimile che poi si sia sposato e che quindi aveva solo messo in "pausa" la sua eterosessualità. Però chissà.. magari "erano altri tempi" 

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