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Vittorio Messori - Io cattolico e il conformismo sui gay


Fabio Castorino

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Fabio Castorino

Articolo di Vittorio Messori apparso oggi sul Corriere della Sera, interessante non tanto per le posizioni del giornalista cattolico, quanto per la ricostruzione del clima di pesante omofobia che si respirava nelle redazioni dei giornali agli inizi degli anni settanta.

 

 

Io cattolico e il conformismo sui gay

di VITTORIO MESSORI

 

Qualche tempo fa — pare per uno sgradevole incidente o per colpevole pigrizia — il redattore di non so quale documento pubblico ha proceduto a un rovinoso copia-incolla. Trattando di omosessuali, ha attinto di peso da un Manuale per le Forze dell'Ordine degli anni Cinquanta, dove si parla di «ambienti ambigui», «giri torbidi», «passioni oscure», «amori inconfessabili». E via imprecando e deprecando.

La cosa è stata subito notata e, come doveroso, si è provveduto a cestinare quell'imprevisto reperto di una prospettiva da tempo improponibile.

Ma chi, come me, era già nei giornali in anni lontani, ha letto con un sorriso un po' amaro le reazioni sdegnate, se non furibonde, di certi colleghi, molti dei quali non più giovani. Le loro rampogne senza appello per l'episodio, le loro richieste di licenziamenti con infamia dei colpevoli, dimenticano che essi stessi, o i loro giornali, hanno usato quei toni e quegli epiteti e non solo per conformismo al «politicamente corretto» dell'epoca ma, probabilmente, per autentica convinzione.

Ebbene, il disteso clima estivo, favorevole anche agli esami di coscienza, mi suggerisce di rievocare un ricordo, forse non irrilevante. Era l'autunno del 1971, terminavo il mio praticantato giornalistico in un quotidiano torinese. Passando per la centralissima piazza Solferino (la sorpresa fu grande, dunque la memoria è vivida) fui colpito da un manifesto con la scritta F.U.O.R.I, seguita da un punto esclamativo. Mi avvicinai e scopersi che l'acrostico stava per «Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani». Il testo che seguiva era firmato da Angelo Pezzana, un libraio giovane ma già noto e stimato: io stesso ne ero saltuario cliente, senza nulla sospettare. Non ricordo se altri si fossero esposti, firmando l'appello pubblico. Quel manifesto era davvero storico: per la prima volta — ma proprio la prima, almeno in Italia, e giusto a Torino — usciva allo scoperto, rivendicando non solo il diritto a manifestarsi ma, tout court, ai diritti umani, un mondo da sempre esistente eppure sconosciuto, celato, indicato solo con termini di offesa o di condanna. Lessi incredulo e, da buon cronista di «bianca», raggiunsi in fretta il giornale. Raccontai d'un fiato la novità al capocronista, proponendo subito un articolo, un'intervista a Pezzana.

Intendiamoci, non mi sentivo il reporter coraggioso dei film americani, non mi muovevano nobili sentimenti come la ricerca di giustizia per chi doveva nascondere la sua vita privata, sempre timoroso che venisse violata. Ci ho pensato spesso, negli anni seguenti, interrogandomi soprattutto — essendone coinvolto — sul silenzio e l'indifferenza anche da parte cattolica. Eppure, per il credente dovrebbe esserci qui un motivo di profonda riflessione: se l'omosessualità, in ogni tempo e in ogni luogo, marca e marcherà sempre una percentuale (che sembra fissa), dell'umanità, può forse trattarsi di un «errore» del Creatore? Che sono, questi nostri fratelli in umanità? Sono forse «scarti di lavorazione»? Perché Dio e la sua Provvidenza non siano offesi, occorre riconoscere che anche questo fa parte, enigmaticamente, del piano da Lui voluto e da Lui attuato. La teologia, qui, ha ancora molta strada da fare.

In ogni caso, quel giorno, in cronaca, ciò che mi preoccupava era soltanto l'istinto del mestiere. Se il nostro, di mestiere, era dare delle notizie, quale notizia maggiore dell'uscita dalle catacombe, per giunta con toni battaglieri e rivendicativi, di un popolo da sempre nascosto? Bisognava muoversi al più presto, soprattutto per precedere l'altro quotidiano locale. Il capo mi ascoltò in silenzio, con aria ironica, commentando alla fine: «Mi dispiace proprio, non sapevo che anche tu fossi uno di quelli!». Gli replicai che proprio perché non lo ero né temevo di diventarlo, non avevo complessi o paura di ricatti: dunque, se mi dava il via, andavo con un fotografo in libreria a incontrare «l'omosessuale rivoluzionario» che aveva infranto la legge millenaria del silenzio. A questo punto, il capo chiamò a testimoni, ad alta voce, gli altri cronisti presenti nello stanzone: «Ehi, ragazzi, 'sto pivello di praticante vuol andar dietro ai "cupi". Adesso si sono fatti un loro sindacato, una specie di partitino, roba da matti! E secondo questo qui, noi dovremmo anche intervistarli, manco fossero prime donne». Per intenderci: «cupio», in torinese, è l'equivalente del «frocio» romanesco. All'allarme beffardo del capocronista vennero dai colleghi battutacce, pernacchie, scuotimenti ironici di teste: «Pure lui, chi l'avrebbe detto!». La reputazione fu salva solo perché era evidente il mio assiduo interesse per l'altro sesso. Comunque, nessuna notizia andò in pagina, né il giorno dopo né quelli seguenti, ma non ci fu alcun problema di concorrenza: neanche gli altri quotidiani pubblicarono alcunché. Tacque rigorosamente anche la redazione torinese de l'Unità: il perbenismo comunista superava quello clericale e per «i diversi», nell'Urss, c'era il Gulag, in Cina il colpo alla nuca, a Cuba i lavori forzati, nell'Africa allineata ai russi il «capestro».

Ma passò qualche tempo, il F.U.O.R.I.! Pubblicò un mensile che in edicola ebbe un buon successo, organizzò qualche manifestazione clamorosa, insomma divenne impossibile ignorarlo, anche perché dall'estero giungevano notizie di movimenti analoghi, ancor più agguerriti. Parlarne, ma come? Stando a quanto ha scritto lo stesso Angelo Pezzana, risulterebbe da un' inchiesta che, prima degli anni Settanta, sui giornali italiani non apparve mai la parola «omosessuale», usando — se proprio era necessario — «invertito» o, nei casi più benevoli, «diverso». Quando, alla fine, anche il mio quotidiano, dovette occuparsene, ero passato ad altri settori, non mi occupavo più di cronaca, dunque neanche di «quelli là», come li chiamavano. Ma fu significativo assistere alla ricerca di cronisti «volontari», di temerari che accettassero di firmare un articolo sui «cupi». Tutti si schermivano, dicevano con chiarezza che avevano paura di essere scambiati per uno che difendeva una parte che era anche la sua.

Ora: una buona dose di conformismo contrassegna sempre chi lavora nei media. Ma proprio per questa obbedienza di tanti giornali alle mode culturali del tempo, è sgradevole lo sdegno di chi, oggi, vede ovunque «omofobia», sale in cattedra e invoca punizioni esemplari per chi ne sarebbe colpevole: per quanto conta sono testimone che, nella categoria, tante conversioni furono assai tardive, spesso obbligate. E ho visto di persona tanti conformisti attuali, paladini oggi di cause ormai stravinte, nascondersi un tempo sotto le scrivanie, pur di non dover firmare pezzi su quelli che definivano «invertiti».

Vittorio Messori

 

 

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Fabio Castorino

Con ciò il giornalista cattolico vorrebbe mettere a tacere quei giornalisti che oggi condannano l'omofobia, dicendo che sono degli ipocriti perché una volta anche loro erano degli omfobi. Il che è una colossale scemenza, perché è ovvio che il cambiamento all'interno di una società omofoba è possibile solo se le persone cambiano idea.

Quello che mi interessa è la ricostruzione del clima di omofobia che si respirava nelle redazioni dei giornali al tempo (immagino che il "quotidiano torinese" di cui si parla nell'articolo sia La Stampa), dove l'omosessualità era un tabù che non poteva essere affrontato con un articolo, ma solo con battutacce e scherzi da caserma. Almeno da questo punto di vista possiamo dire di aver fatto passi da gigante anche in Italia, grazie al coraggio dei "pionieri" come Angelo pezzana e a tutti quelli che sono venuti dopo.

Edited by Fabio Castorino
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Quindi?

I comunisti di oggi dovrebbe smetterla di dare dell'omofobo ai cattolici,

perché 40 anni fa c'erano i Gulag?

Come se noi gay non avessimo riabilitato Fini dopo 5 minuti :D

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Dev'esserci per forza un quindi?

Per noi ggggiovani è interessante, se non altro come pezzetto di storia, per quel che dice Fabio.

Quello che mi interessa è la ricostruzione del clima di omofobia che si respirava nelle redazioni dei giornali al tempo (immagino che il "quotidiano torinese" di cui si parla nell'articolo sia La Stampa), dove l'omosessualità era un tabù che non poteva essere affrontato con un articolo, ma solo con battutacce e scherzi da caserma.

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Fabio Castorino

Potrebbe essere anche la Gazzetta del Popolo.

 

Ho guardato su Wikipedia: nel 1971 Messori era a La Stampa

 

http://it.wikipedia....ittorio_Messori

 

Nel 1970 entrò a Stampa Sera come redattore della cronaca cittadina. L'attività giornalistica e le inchieste gli valsero alcune querele ed un processo per avere svelato dei retroscena di uno scandalo cittadino dove erano implicati alcuni medici[4]. Inoltre, in quegli anni il vicedirettore del quotidiano di proprietà della Fiat, Carlo Casalegno, fu ucciso dalle Brigate Rosse e la sede della redazione fu oggetto di vari attentati.

Dopo oltre quattro anni di cronaca, Arrigo Levi, allora direttore sia de La Stampa che di Stampa Sera, lo chiamò a far parte del gruppo di tre giornalisti destinati a creare Tuttolibri, settimanale culturale, anche se Messori non aveva voglia di rientrare in una cerchia culturale che non stimava e non gli interessava[4].

Edited by Fabio Castorino
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  • 3 weeks later...
Fabio Castorino

Molto probabilmente l'episodio che l'ha spinto a scrivere questo pezzo è stata l'accusa di omofobia rivoltagli da qualche collega giornalista.

Messori, che è un giornalista filo-vaticano e quindi contrario ai diritti dei gay, vuole vendicarsi dei colleghi "progressiti" che lo accusano di omofobia, accusandoli a sua volta di ipocrisia. Ricordando qual era il clima nelle redazioni 40 anni fa, vuol dirci che i giornalisti di una certa età oggi favorevoli ai diritti GLBT molto probabilmente un tempo erano anch'essi omofobi.

Edited by Fabio Castorino
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privateuniverse

Messori non sta accusando i suoi colleghi di aver cambiato idea.

 

Li sta accusando di non avere idee, di pensarla, sempre e comunque, come la maggioranza, di seguire la corrente.

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Fabio Castorino

Messori non sta accusando i suoi colleghi di aver cambiato idea.Li sta accusando di non avere idee, di pensarla, sempre e comunque, come la maggioranza, di seguire la corrente.

 

E' molto difficile essere paladini di un'idea quando questa (come l'uguaglianza GLBT 40 anni fa) è sostenuta solo da un'esiguissima minoranza ed osteggiata dalla grande maggioranza che si permette addirittura di ridicolizzare o minacciare più o meno velatamente chi la pensa diversamente (nel racconto di Messori c'è chiaramente una sorta di "mobbing" da parte degli altri giornalisti verso Messori stesso per fargli abbandonare l'idea di scrivere il pezzo sul nascente movimento gay. Il messaggio nemmeno tanto velato è: noi disprezziamo ed emarginiamo i gay, e se tu ti intestardisci a scrivere il pezzo su di loro ti considereremo gay e quindi diprezzeremo ed emragineremo anche te, con le conseguenze che puoi immaginare per la tua carriera in questo giornale). Per andare controcorrente è necessaria una forte dose di coraggio, e chi non ha né coraggio né motivazione preferisce"seguire la corrente". Per questo quelli come Pezzana che hanno iniziato il movimento GLBT in questo clima opprimente e soffocante sono da considerare dei veri e propri eroi, che non dovremmo mai smettere di ringraziare.

Quando poi, grazie all'azione di questi "pionieri", le cose cambiano e l'idea comincia a diffondersi in un segmento significativo della popolazione, allora sempre più persone prendono coraggio, perché esporsi non è più così pericoloso. Questa è la storia di TUTTE le idee che da ultraminoritarie sono diventate maggioritarie, quindi non capisco Messori cos'abbia da stupirsi.

Edited by Fabio Castorino
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